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E DITORIALE
LUOGHI E UOMINI: LE MARCHE SILENZIOSE E PRODUTTIVE Si parla spesso di sociologia degli spazi e dei legami sociali, che ci permette di prendere in esame un luogo come costruzione culturale, ma anche come semplice vivere quotidiano. Questo aspetto consente di proseguire verso un percorso di conoscenza, nello specifico, della nostra piccola, grande regione. Nel numero attuale ci si rende conto che molteplici individui interagiscono e si caratterizzano attraverso appartenenze, ruoli, reti, ambienti. La scoperta delle Marche nasce proprio dall’apprendere come il territorio si muova spinto da notevoli risorse umane che si incontrano. Ancora una volta non smettiamo di portare alla ribalta i veri talenti nati qui e che operano qui: sono la forza delle Marche, così silenziose e così produttive, immerse tra arte, industria, artigianato, turismo. Nel 2019 si celebrerà l’anniversario dei 200 anni dalla composizione de L’infinito: Leopardi ci guarda dal suo Monte Tabor e probabilmente sorriderà con noi. Un motivo benaugurante per l’ingresso nel nuovo anno. Buone feste!
ALESSANDRO MOSCÈ
WHY MARCHE | 7
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negozi
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S O M M A R I O P.14
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10 OSSINI: “KALIPÈ!”
A NIMA 14 PERCORSI D’AUTORE 26 INFINITO LEOPARDI 28 MARE, MERCANTI, COMPAGNIE 36 IL SUONO DELLA MUSICA POPOLARE 38 MARIA GORETTI 40 SERVIGLIANO: L’ALTROVE È QUI 42 VOCAZIONE E MUSICA 44 IL MANOSCRITTO AMBITO 46 QUEL TUNNEL DELLA PAURA …
P RIMO
PIANO
48 PRELIBATEZZE DI UN TEMPO
Direttore Responsabile: Alessandro Moscè REDAZIONE Editor Leila Ben Salah Silvia Brunori Fabrizio Cantori Alessandro Carlorosi Stefania Cecconi Ilaria Cofanelli Stefano Longhi Alessandra Lucaioli Tommaso Lucchetti Marketing & P.R. Raffaella Scortichini r.scortichini@whymarche.com
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S PIRITO
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64 ORPHAN BRIGADE 66 CLUÆSIS 68 ALLE PRESE CON IL PUNTO “G” 70 BARBANERA 72 EVENTI
I PERCORSI DI WHY MARCHE
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di Leila Ben Salah
OSSINI:
“PORTERÒ LINEA BIANCA SUI SIBILLINI” Il suo volto entra nelle nostre case tutti i fine settimana, ma forse pochi conoscono lo stretto legame che unisce Massimiliano Ossini alle Marche. Le sue passioni? Sport, montagna al primo posto ma anche tutto il resto: natura, buon cibo, assolutamente marchigiano, e tanto altro. Dal 2014 conduce su Rai 1 la trasmissione Linea Bianca e nella stagione 2016-2017, assieme ad Adriana Volpe il programma Mezzogiorno in famiglia, in onda sabato e domenica mattina su Rai 2. Massimiliano ci racconta la sua vita tra l’amore per lo sport, il lavoro, ma soprattutto per la famiglia. DA DOVE NASCE IL TUO INTERESSE PER LA NATURA?
La natura è un elemento importante nella mia vita. Ho sempre avuto un contatto diretto sin da piccolo. La mia passione per la montagna e l’ambiente mi accompagnano nel quotidiano; cerco di trovare sempre un momento per me ogni giorno. Il solo respirare l’aria che ci circonda è uno spiraglio di pace e serenità oltre che un lusso a cui non voglio rinunciare. Sono molto fortunato perché anche nel mio lavoro ho la possibilità di toccare quotidianamente ciò che ci circonda e “Linea Bianca” (la trasmissione che conduce su Rai1 ogni sabato alle ore 14:00) in questo dona molto a me, ma anche al telespettatore. Ne sono molto felice.
COME MAI LA SCELTA DELLE MARCHE (SICURAMENTE DAPPRIMA PER QUESTIONI DI CUORE E POI)?
Sicuramente il motivo principale è stato per amore. Mi sono innamorato di questa regione in quanto risulta essere a dimensione d’uomo e riesci a vivere la natura tra i boschi, le montagne ed il mare avendo tutto molto vicino e a pochi chilometri.
QUALE POSTO DELLE MARCHE AMI DI PIÙ? E PERCHÉ?
San Benedetto del Tronto è una città straordinaria e ricca di opportunità, ma anche Ascoli Piceno è piena di storia e tradizione. Amo la regione Marche in tutte le sue forme e varietà.
È UNA REGIONE CHE CONSIGLIERESTI COME POSTO PER VIVERCI?
Assolutamente si. Non a caso ho scelto di viverci nonostante buona parte delle mie attività siano altrove.
QUALI SONO LE TUE PASSIONI?
Ho molte passioni, una su tutte è lo sport. Pratico qualsiasi tipo di sport appena posso e ovunque mi trovi: dalla città alla montagna o al mare. Non mi tiro indietro, ma soprattutto è importante praticarlo per noi stessi. Non bisogna mai trascurare la propria persona e poi è un naturale anti-stress.
CHE PIATTO TIPICO MARCHIGIANO TI PIACE DI PIÙ?
Sono tanti, ma come posso non menzionre le nostre amate e tanto imitate olive ascolane? Le trovo straordinarie sia come antipasto che come parte integrante della cena. In casa ne andiamo pazzi!
QUAL È LA TUA GIORNATA TIPO?
Le mie giornate sono tutte molto diverse l’una dall’altra. Questo perché ho molte cose da seguire, in città differenti e diverse oltre che molto distanti. Al primo posto c’è sempre la mia famiglia e cerco, quando posso, di essere sempre a casa per l’inizio della giornata - viaggiando anche di notte - in occasione della colazione oppure per la cena. Voglio esserci come padre e come marito. Non esistono scuse, semplicemente: volere è potere! Nelle mie giornate non mancano mai viaggi in auto tra la città in cui vivo e Roma.
VITA FRENETICA?
Molto, ma non mi lamento. Non amo stare fermo e preferisco essere sempre in movimento, non annoiarmi ma rimanere attivo. Nei momenti di pausa, anche se sono davvero pochi, pratico sport. Io e il divano siamo due cose diverse, non ci conosciamo nemmeno!
OSSINI A CASA PROPRIA COM’È?
Sono quello che conoscete. Non cambio molto, attento ai valori della vita e alla nutrizione. Sono un padre severo quando serve, ma anche giocoso e complice. Io e mia moglie siamo ben organizzati nella gestione della casa e famiglia, anche se l’unico difetto che forse mi attribuiscono quotidianamente è il disordine, ma come dico io: sono ordinato nel mio disordine. In ogni caso questo forse dovreste chiederlo a casa… (ride, ndr)
SEI UNO SPORTIVO, DOVE TROVI IL TEMPO E CHE SPORT PRATICHI?
Il tempo lo si trova sempre, se lo si vuole. Amo praticare sport all’aria aperta nei periodi favorevoli, mentre durante l’inverno prediligo la palestra anche per questioni di comodità e praticità.
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A GORÀ PER I TUOI 40 ANNI COSA STAI ORGANIZZANDO? Non sto organizzando niente: è mia moglie che sta preparando la festa a sorpresa e sono molto curioso di capire che cosa stia combinando. Sarà sicuramente un momento di gioia per stare tutti assieme con amici, parenti e colleghi. È un traguardo importante e lo affrontiamo con il giusto spirito!
CON “LINEA BIANCA” NEI GIORNI SCORSI TI SEI TROVATO IN DIFFICOLTÀ: COSA È SUCCESSO?
È un programma complicato per via dei luoghi di registrazioni. La montagna bisogna conoscerla a fondo prima di affrontarla. Per fortuna sono poche le situazioni in cui ci siamo trovati in pericolo. Può succedere, ma per fortuna noi abbiamo una grande guida oltre che amico ed esperto, ovvero Lino Zani.
COME AVETE AFFRONTATO LA SITUAZIONE?
Siamo stati coinvolti in una forte tempesta di vento, ma ci siamo protetti in una roccia e ne siamo usciti qualche ora dopo; in quel momento è molto importante la freddezza per avere tutto sotto controllo. Sono situazioni che possono capitare.
UN CONSIGLIO A CHI SI AVVENTURA AD ALTA QUOTA? Il consiglio è quello di non affrontare mai la montagna da soli, soprattutto se non si conoscono realmente tutti i rischi e pericoli. Bisogna sempre essere accompagnati da un esperto della zona perché è molto rischioso. Non si scherza!
PORTERAI MAI LINEA BIANCA SULLE CIME MARCHIGIANE?
Certo, “Linea Bianca” la porterò anche sui Monti Sibillini e sulla Montagna Dei Fiori in cui ci sono anche delle piste da scii. È importante dare visibilità anche alle realtà più piccole perché sono quelle che danno lavoro alle zone.
QUELLO PER L’ALTA QUOTA È UN AMORE SFRENATO: QUANDO È NATO E COME?
È un grande amore quello che unisce me e l’alta quota: finché non lo provi è difficile spiegarlo. In ogni caso non è tanto l’alta quota, ma il vivere la montagna in quanto maestra di vita.
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QUAL È LA SFIDA PIÙ GRANDE?
La mia sfida più grande è di allenarmi per fare gli 8.000 metri! (ride, ndr)
PARLIAMO DEL TUO LIBRO “KALIPÈ – LO SPIRITO DELLA MONTAGNA”. PERCHÉ LA SCELTA DI QUESTO TITOLO?
PROGETTI PER IL FUTURO?
Tanti, non ci si ferma mai. Sul fronte lavorativo mi godo quello che già di buono ho ottenuto e sono pronto a nuove sfide. I sogni sono tanti, ma prima di svelarli vanno realizzati e come dico io, Kalipè!
La scelta è stata quasi immediata e naturale in quanto “Kalipè” è un termine in uso nelle zone himalayane che mi accompagna nella vita di tutti i giorni. È un augurio il cui significato è quello di poter camminare sempre a passo corto e lento.
COSA SI DEVONO ASPETTARE I LETTORI DAL TUO LIBRO?
Questo libro non è solo per gli appassionati di montagna, ma è rivolto a tutti. Racconto parte della mia vita, il mio percorso e come ho trovato la felicità. Io l’ho fatto attraverso il silenzio e l’aiuto della montagna, ma chiunque può farlo nel miglior modo. È un racconto aperto in cui dono un po’ di me con la speranza di poter essere un buon esempio per il prossimo. È un modo per diffondere dei messaggi positivi di speranza, forza e rinascita.
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FERMO OFFIDA ASCOLI PICENO
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E T R A ’ L A R T A C I N O T T ARCHITE a Tessadori
Photos Andre
L’Architettura è il gioco sapiente, rigoroso e magnifico, dei volumi assemblati nella luce. Nelle Marche, spaziando da nord a sud, abbondano antiche chiese, palazzi storici, monumenti e piazze che sono capolavori d’arte architettonica. Goethe definiva l’architettura come musica congelata. Allora vale la pena lasciarsi cullare da queste note percorrendo una passeggiata d’ autore tra scatti in bianco e nero che immortalano alcune delle più belle costruzioni della nostra regione. Un’occasione per guardare con occhio nuovo a edifici che rappresentano lo spirito artistico, religioso e civile di epoche passate, che ancora dominano i nostri paesaggi e ci fanno sognare con la loro bellezza.
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FANO
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Corte Malatestiana: l’edificio ha subito vari interventi nel tempo ed in particolare lo scalone e la loggia sono stati ricostruiti nel 1544 ad opera di Giovanni Bosso. Degne di nota anche le bifore gotiche in cotto del 1420, presenti sia sul fronte della corte che sul fronte posteriore, e l’Arco Borgia Cybo che conduce a Piazza XX Settembre.
Ex Chiesa di San Francesco: edificata a partire dalla metà del XIII secolo, fu per molto tempo tra le più belle della città. Perse, però, il suo aspetto originario a favore di uno stile neoclassico nel secolo scorso, in seguito ad una radicale trasformazione su disegno dell’architetto senigalliese Giuseppe Ferroni.
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Palazzo degli Anziani visto dal lato del porto: la struttura è sede municipale dal XIII secolo. Il fronte mare conserva maggiori testimonianze del suo stile architettonico romano-gotico, si erge per sette piani di cui la base è in pietra bianca del Conero ed il resto della struttura in laterizi, con finestre romaniche ad archetti incrociati.
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ANCONA
Palazzo Mengoni Ferretti: divenne di proprietà comunale nel 1949 ed è attualmente sede della Biblioteca Benincasa. Visto da via Bernabei, in fondo si trova Porta San Pietro datata 1221, realizzata con grandi blocchi di pietra calcarea che ne esaltano le caratteristiche difensive (comunemente conosciuta come l’Arco di Carola).
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Monumento ai Caduti: realizzato in pietra d’Istria su disegno di Guido Cirilli, presenta otto colonne scanalate con al centro un piccolo altare. Inaugurato nel 1930 in piena epoca fascista, venne eretto in omaggio dei caduti della Prima Guerra Mondiale. Duomo di San Leopardo: di architettura romanico-gotica, ha subito varie modifiche nel corso del tempo. Ad oggi si presenta arricchito dal grande rosone sulla facciata, dai pregevoli portali in pietra e da una scalinata che conduce a tre navate, nonchÊ da parecchie sculture tra cui la Madonna col Bambino e gli Apostoli sul fianco sinistro.
OSIMO
Palazzo Comunale: un maestoso edificio costruito tra il sec. XVI e il XVIII, affiancato sul lato est da una torre civica duecentesca e con la facciata composta da finestre ad un’unica apertura e cornicioni che richiamano la forma di piccoli templi.
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MACERATA
Palazzo delle Poste: sorge in un’area anticamente occupata dalla chiesa di Santa Caterina, chiusa nel 1810 dal governo napoleonico. La costruzione venne avviata nel 1922 sulla base di un progetto depositato dall’Architetto Cesare Bazzani, ed inaugurata nel settembre del 1930.
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I PERCORSI DI WHY MARCHE Arena Sferisterio: anticamente utilizzato per manifestazioni sportive come si evince anche dalla scritta sulla facciata, oggi è uno dei teatri all’aperto tra i più suggestivi d’Italia. Un muro di mattoni alto 18 metri e lungo 90 con 56 colonne a base dorica su cui si sviluppano i palchi.
Loggia dei Mercanti: si trova nell’angolo rivolto a nord est di Piazza della Libertà e si presenta con portico a tre archi in basso e loggia al piano superiore, eretta fra il 1504 e il 1505. La loggia fu chiusa nel 1641 da un governatore pontificio che volle appropriarsene indebitamente come stanza da letto. Fu riaperta, quindi, solo nel 1905.
Palazzo Buonaccorsi: di origini settecentesche, è il risultato di diverse aggregazioni di edifici preesistenti. Il suo interno è impreziosito da un cortile e da un giardino all’italiana e la particolarità è rappresentata dall’ingresso con pavimento in tronchetti di legno di rovere che in passato servivano ad attutire il rumore degli zoccoli dei cavalli e delle ruote delle carrozze che entravano nel Palazzo.
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Palazzo dei Priori: si erge in piazza del Popolo ed è realizzato a partire dalla fine del XIII secolo per ospitare il Collegio dei Priori. Nato dalla fusione di due palazzi, uno privato nobiliare a nord e la chiesa di San Martino nella parte sud, per molto tempo è stato sede della vita politica della città. A partire dal 1981, è sede della pinacoteca comunale che ingloba anche la prestigiosa “sala del mappamondo”. Ha assunto l’aspetto attuale solo alla fine del Cinquecento con la doppia scalinata di accesso e la statua sovrastante di bronzo di Papa Sisto V.
Loggiato di San Rocco: venne realizzato nel 1528, composto di nove archi sorretti da colonne che custodiscono ciò che resta della chiesa di San Martino, edificata a sua volta nel 1505 quale risposta religiosa alla terribile epidemia di peste che mise in ginocchio l’Europa dal 1400 al 1600. Il piano del loggiato sorge ad una quota superiore rispetto a quella del colonnato rivolto ad ovest, e sembra che l’unitarietà dell’architettura sia passata attraverso molteplici fasi di costruzione.
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ASCOLI
Piazza del Popolo: in stile rinascimentale, è una delle piazze più suggestive d’Italia e per questo conosciuta anche come “salotto d’Italia”. Lastre di travertino compongono la pavimentazione della piazza, circondata da eleganti palazzi ed animata da portici e merlature.
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Palazzo dei Capitani del Popolo: un edificio ricco di storia e cultura, nato a cavallo tra il XIII ed il XIV secolo dall’accorpamento di tre edifici. La struttura ha subito un importante restauro in seguito all’incendio appiccato nella notte di Natale del 1535, quando il palazzo fu reso zona di guerriglia da alcuni nobili in rivolta.
Palazzo Comunale: la struttura si trova in piazza del Popolo e dal punto di vista architettonico presenta caratteristiche di diversa epoca. Maestosa è la torre centrale trecentesca contornata da merli a coda di rondine ed arricchita di un orologio. Sempre sulla facciata, si ergono le colonne in travertino contornate da due stemmi, l’uno del Comune di Offida e l’altro di Casa Savoia.
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Chiesa e chiostro di San Francesco: la chiesa è scrigno di importanti opere d’arte e presenta tratti dal romano al gotico, poiché costruita nell’arco di quasi tre secoli. Essa è inserita al centro di un complesso monumentale che comprende il chiostro Maggiore situato tra via del Trivio e via d’Ancaria ed il chiostro Minore, addossato alla parete di sinistra della chiesa.
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2019: L’ ANNO DELL’INFINITO Il 2019 si prospetta come anno di eccezionale interesse per gli amanti della poesia di Leopardi e dell’arte in generale. Recanati si prepara infatti a dare il via a “Infinito Leopardi”, un evento lungo un anno fatto di mostre, spettacoli, conferenze e pubblicazioni, con lo scopo di stimolare la necessità di tornare a pensare all’infinito e alle infinite espressioni dell’uomo nella natura.
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N
el 2019 si celebra l’anniversario dei 200 anni dalla composizione de L’infinito, tra le liriche più famose e importanti della nostra storia poetica. Scritta da Leopardi a soli 21 anni, la poesia che ha donato fama immortale al colle recanatese affascina da due secoli generazioni di lettori, portandoli a riflettere e a sognare nella contemplazione dell’infinito, splendidamente evocata dal poeta-filosofo. Mai come ora, in un tempo di frenesia e risposte facili, si sente il bisogno di riappropriarsi di questo genere di riflessioni intime e profonde, guidate dai meravigliosi versi di uno dei più grandi indagatori dell’animo umano che la storia abbia avuto. Il ricchissimo corpus di eventi dedicati al bicentenario dell’idillio ruota intorno all’esposizione al Museo civico Villa Colloredo Mels del manoscritto originale dell’Infinito. La presenza del manoscritto sarà arricchita da strumenti multimediali che ne accompagnano la visione, la comprensione e che consentono l’approfondimento della storia che lo ha condotto fino a noi. Questa prima parte dell’evento celebrativo, dal 21 dicembre 2018 al 20 maggio 2019, a cura di Laura Melosi dell’Università degli Studi di
di Fabrizio Cantori
Macerata, vedrà la riscoperta del patrimonio dei manoscritti di proprietà del Comune di Visso affiancato dal corpus leopardiano di documenti, manoscritti e cimeli del poeta, appartenenti alla collezione del Comune di Recanati. Attraverso il Comitato Nazionale per le celebrazioni del bicentenario de L’Infinito di Giacomo Leopardi, istituito dal ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBAC), si intende celebrare Leopardi tramite il suo componimento più conosciuto, una volontà che incontra l’autorevole condivisione e la collaborazione dei maggiori enti territoriali, primi “depositari” della conoscenza dell’opera leopardiana e soggetti attivi nella sua divulgazione: Centro Nazionale Studi Leopardiani, Casa Leopardi, Centro Mondiale della Poesia e della Cultura, Università degli Studi di Macerata. La programmazione rientra nel Piano strategico unitario della cultura messo in campo dalla Regione Marche per valorizzare al meglio il patrimonio culturale locale e che individua nel 2019 l’anno di Giacomo Leopardi, sostenendo gli eventi ad esso collegati.
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L’omaggio al componimento si intreccia e si arricchisce con altri eventi collegati: in particolare con la mostra dedicata al fotografo Mario Giacomelli, curata da Alessandro Giampaoli, si porta la sequenza fotografica al centro di uno dei capitoli più affascinanti e meno indagati della storia della fotografia italiana del dopoguerra e dei rapporti tra letteratura e fotografia. Saranno esposte in mostra A Silvia, il celebre foto-racconto ispirato all’omonima lirica di Leopardi e di cui fino ad oggi si erano perse le tracce, insieme con la serie completa di L’Infinito, per dare modo al pubblico di fare un confronto e di avere uno spaccato della straordinaria evoluzione stilistica di Giacomelli nel corso degli anni. Le celebrazioni del componimento continueranno fino a novembre 2019 con due mostre che ruoteranno intorno all’espressione dell’infinito nell’arte anche nella sua declinazione più contemporanea: “Infinito Contemporanea”, a cura di Marcello Smarrelli e “Infinito Arte”, a cura di Emanuela Angiuli. Scandite attraverso l’allestimento delle mostre in programma, le celebrazioni saranno accompagnate da eventi collaterali curati da massimi esperti del panorama culturale italiano e internazionale e che coinvolgeranno anche le nuove generazioni.
RECANATI Ad arricchire ulteriormente la propria offerta culturale e artistica, Recanati rappresenta inoltre una tappa fondamentale nell’itinerario della mostra “Lorenzo Lotto. Il richiamo delle Marche”. A Villa Colloredo Mels infatti si possono ammirare alcune delle opere più importanti del pittore veneto che scelse le Marche come terra d’elezione: il Polittico di San Domenico, primo lavoro marchigiano dell’artista rinascimentale, insieme all’affascinante Trasfigurazione di Cristo e l’indimenticabile Annunciazione. La mostra dedicata a Lotto è uno splendido esempio di “museo diffuso”, ovvero un’esposizione policentrica che coinvolge varie città del territorio marchigiano, depositarie dei capolavori del maestro. A poca distanza da Recanati si segnala in particolare Macerata, autentico fulcro della mostra che fino al 10 febbraio 2019 esporrà a Palazzo Buonaccorsi opere lottesche provenienti dalle collezioni di alcuni dei più importanti musei al mondo, tra i quali il Louvre, il British Museum e il Museo del Prado.
Marche, bellezza infinita - Turismo.marche.it POR, Fondo Europeo Sviluppo Regionale 14-20
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La spettacolarità del mare d’inverno
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di Raffaella Scortichini
L
e località sul mare in inverno danno un’emozione speciale, quella sensazione incredibile di libertà, di spazi da godere, di silenzi. Nella stagione fredda, il mare diventa contemplazione, esperienza interiore, alleato romantico capace di suscitare sensazioni esclusive. Nebbioso, agitato, nel pieno del suo impeto. Il mare d’inverno stupisce e cattura per l’intensità dei suoi colori cupi, per la maestosità delle onde che si infrangono in spuma, per la forza dirompente dei flutti. Dinnanzi a tanta vastità è inevitabile sentirsi piccoli e indifesi, ma anche perdersi alla ricerca di quell’infinito che il lontano orizzonte rappresenta. «Il mare d’inverno è come un film in bianco e nero visto alla tv», cantava Loredana Berté, ma se il sole brilla in cielo, il paesaggio si tinge di una
pennellata d’azzurro che rischiara i colori, procurando sprazzi di benessere. Questo perché il mare ha il suo particolare fascino in ogni stagione. Licenzia ogni pensiero, ci riconnette con noi stessi, ci mette di fronte alla potenza e alla forza della natura ridimensionando ogni stress e ogni ombra della mente. In pochi sanno che il mare d’inverno diventa una libidine quasi segreta. In pochi sanno che si può entrare in acqua anche quando il termometro sta su quei livelli bassi e l’aria intorno si muove con il soffio della tramontana. Il mare d’inverno offre spettacolarità e sensazioni uniche. Lontani dal caos e dal turismo estivo. Il mare nella stagione fredda offre sempre un fascino particolare. Infatti, alcune persone tendono ad amare il mare proprio nel periodo invernale, quando è mosso ed agitato, magari col vento impetuoso a fare da cornice.
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Da mercanti a compagnie marittime Con lo sguardo puntato verso l’orizzonte, quella linea sottilissima che unisce mare e cielo, nasce spontaneo lo slancio a scoprire, viaggiare, navigare. Navigare nello spazio, ma anche nel tempo. Noi abbiamo scelto di farlo davanti al mare di Ancona. La città dorica ha sempre vissuto il mare come risorsa e apertura verso altri mondi, tanto da renderla nel lontano medioevo, come le famose Amalfi, Pisa, Genova e Venezia, una Repubblica marinara. Nella sua storia si trovò spesso in competizione con Venezia per il dominio adriatico, potendo contare su alleati forti: l’Impero Bizantino e la Repubblica di Ragusa (Croazia, chiamata in croato Dubrovnik). Ancona era un importante snodo commerciale, le cui rotte andavano da Barcellona, Tripoli e Alessandria D’Egitto sino a Costanza e Trebisonda nel Mar Nero, passando per Costantinopoli. Porta d’Oriente dell’Italia centrale, divenne una città cosmopolita perché mercanti spagnoli, bizantini, siriani, ebrei, dalmati, croati ed egiziani vivevano e sostavano in città per svolgere i loro commerci. Essere Repubblica Marinara per Ancona fu impulso ai commerci, ma circolavano anche idee, scoperte tecnologiche e arte. Via terra giungevano nel porto di Ancona: panni pregiati da Firenze e dalle Fiandre; dalle Marche, olio, grano, vino, sapone, panni, carta di Fabriano e di Pioraco; dall’Abruzzo, lo zafferano, dal Montefeltro il guado. Questi prodotti erano poi esportati via mare in Oriente e in Dalmazia. È in questo contesto che nasce la figura del mercante. Nella società odierna, per mercante si intende chi, per professione, compra per rivendere. Il mercante medievale invece, non era un semplice intermediario tra produttore e consumatore, ma qualcosa di più complesso.
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Photo A. Tessadori
Innanzitutto, doveva fare una previsione precisa di ciò di cui vi era bisogno, dal genere di merci richieste alle relative quantità. Il mercante guadagnava molto ma correva molti rischi, uno tra tutti il fallimento. Doveva avere le spalle ben coperte finanziariamente, altrimenti era costretto a ricorrere a dei prestiti, la maggior parte dei quali ad usura. Il mercante era l’uomo “nuovo” che dava un contributo decisivo allo sviluppo della città e un impulso alla cultura urbana. Questa classe, proprio per il fatto di rappresentare il nuovo, non rientrava in nessuno schema della società feudale: si distingueva infatti dalla nobiltà, dal clero e dai servi della gleba. La funzione principale del mercante era quella economica: è infatti lui che nella società riesce ad arricchirsi sfidando il tempo, sfruttandolo per gestire i commerci e organizzarsi economicamente. Il mercante deve organizzare i propri commerci, misurare la lunghezza dei viaggi e il tempo per compierli e calcolare quanto questo incida sulle spese. Ecco apparire su tutti i campanili mercantili il simbolo
e il monito di questa nuova attenzione al tempo: l’orologio meccanico, che suddivide la giornata in 24 ore e scandisce coi suoi rintocchi i ritmi della frenetica attività commerciale. La figura economica del mercante diventa man a mano sempre più importante e indispensabile, soprattutto perché svolge una funzione nella cultura cittadina ritagliandosi un ruolo economico, ma anche politico e sociale. Nascono le prime associazioni di mercanti, armatori, proprietari di attività produttive e banchieri. Nel tempo la figura del mercante e della sua attività si è evoluta, rimanendo però sempre predominante nel contesto economico e sociale di ogni città con la fortuna di avere uno sbocco sul mare. Oggi, volgendo lo sguardo al porto di Ancona, non ci sono più gli antichi velieri medievali, ma si possono ammirare ormeggiate le moderne navi pronte a trasportare persone e merci. Alcune di queste appartengono unica compagnia di navigazione marchigiana: sì, stiamo parlando proprio di quella compagnia: Adria Ferries. Photo A. Tessadori
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Dal 2004 Adria Ferries
2018 un anno di successi FMG
L’impegno a garantire un servizio di qualità e altamente competitivo ha dato anche quest’anno i suoi frutti. La tradizionale cena aziendale di fine anno, svoltasi lunedì 10 dicembre a bordo della nave traghetto AF Michela, nella splendida cornice del porto dorico, è stata l’occasione per il presidente Alberto Rossi di tracciare il bilancio dell’anno che sta per chiudersi e delineare gli ambiziosi progetti futuri. Il gruppo Frittelli Maritime/Adria Ferries ha conseguito risultati estremamente positivi, rappresentati da un fatturato cresciuto dell’8,7%, per un totale di 85,8 milioni. Le due voci di ricavo più importanti sono state quelle del settore Cargo e dei passeggeri, rispettivamente per 30,9 e 25,9 milioni, con una crescita dell’8,7% e dell’11%. In crescita anche tutti gli altri settori: 1,85 milioni per merci e magazzino (+2%), 1,83 milioni dall’attività doganale (+2,7%), 1,51 milioni per l’Agenzia viaggi (addirittura +19,8%), 1 milione per l’agenzia marittima (+9,2%) e 660mila euro per l’impresa RoRo (+13,1%). Unica flessione da segnalare (-2,7%) nel traffico container, che ha comunque fatto incassare 19,1 milioni. Forte di questi numeri, Rossi si è dichiarato soddisfatto ma pronto a migliorarsi ancora. Adria Ferries ha infatti intenzione di varare un massiccio piano di investimenti, che parte dall’acquisto per 45 milioni di una nave gemella dell’AF Michela, che verrà ribattezzata AF Claudia. A questo va aggiunto l’acquisto di una nuova gru dotata di un braccio di 51 metri per il sollevamento dei container, al costo di 3 milioni. Non solo investimenti su nuovi mezzi, il 2019 porterà infatti anche importanti novità nel settore turistico, soprattutto per quanto riguarda la rotta con la Grecia: verrà lanciata una nuova linea per Chana, una linea diretta per Corfù e un catamarano ultraveloce per le Cicladi, tutto sopportato da un nuovo sistema di prenotazione online. Rossi ha inoltre auspicato il proseguimento del legame con le istituzioni che va avanti ormai da anni. Legame reso tangibile dalla sponsorizzazione di Adria Ferries durante il Natale di Ancona e dall’apertura di una nuova sede in zona Passetto. Infine, a testimonianza dello sguardo sempre rivolto al futuro, il presidente ha detto di puntare ad incrementare il personale puntando soprattutto sui giovani, filosofia già mostrata quest’anno con l’assunzione di 21 ragazzi.
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Un’avventura iniziata nel 2004 ma con alle spalle un’esperienza molto significativa. Oggi la Compagnia di Navigazione Adria Ferries è leader nel settore dei collegamenti con l’Albania, per quanto riguarda merci e passeggeri. “Eravamo agenti di Adriatica di Navigazione, società che si è disimpegnata via via nei collegamenti dell’area adriatica”, afferma Alberto Rossi, titolare della compagnia armatoriale. “Noi avevamo la possibilità di ripartire lavorando su queste tratte e così decidemmo di trasformarci da agenti ad armatori. Nasce qui Adria Ferries e abbiamo scelto i collegamenti con l’Albania perché fin dal 1991, avevamo rapporti consolidati con il Paese e io stesso avevo creato il rapporto con Durazzo”. Oggi la compagnia collega i principali porti dell’Adriatico – Trieste, Ancona e Bari – a Durazzo, con partenze giornaliere. “Abbiamo interpretato il mercato, la Puglia è la spina dorsale del collegamento vista la vicinanza con l’Albania e quindi, dopo aver avviato l’attività con la Linea Ancona – Durazzo, abbiamo aperto Bari – Durazzo, seguita poi da Trieste – Durazzo, per allargare il network e consentire alle persone e ai mezzi di scegliere la destinazione”, prosegue Rossi. I competitor sono numerosi: non solo navi, ma anche aerei, specialmente con voli low cost per i passeggeri. “Per essere competitivi abbiamo alzato il livello dei servizi e la qualità delle navi, anche se il cliente cerca sempre il prezzo migliore – conclude Rossi – scelte che pagano. Ho notato che negli anni viene richiesta una maggiore qualità di servizio ed è cambiato anche il tipo di sistemazione alberghiera. Prima i passeggeri per dormire si accontentavano del ponte, oggi cercano sempre più la cabina”. Non a caso la mission di Adria Ferries è da sempre “non semplici clienti, ma ospiti a bordo”.
Adria Ferries Spa Lungomare Vanvitelli, 18 60121 Ancona ITALY Tel. +39 07150211621 booking.adriaferries.com www.adriaferries.com
A NIMA
ANTICHI PASSAGGI SULLA VIA DELLA MUSICA POPOLARE Leggende e verità percorrono antichi percorsi incrociando storie di popoli, pellegrini e produzioni artigianali legate agli strumenti musicali della tradizione. Un percorso nel tempo e nelle cose, dalle origini al presente.
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uando entri in alcuni luoghi capita di avvertire una grande energia e poi scopri che quella sensazione è reale ascoltando le sue storie e scoprendo che in quel luogo, dopo secoli, ancora si producono strumenti musicali straordinari. Gli spazi sono stretti, ma l’organizzazione è come quella di una fabbrica 4.0 anche se gli organetti che nascono in questa bottega sono ancora rigorosamente realizzati a mano e con tanta passione tipica del fare artigiano. Dalle stanze arrivano i rumori della tipica bottega, poi d’improvviso il silenzio e quando non te lo aspetti arriva una nota e se sei fortunato una melodia dal tono vivace che caratterizza questo antico strumento ad ance la cui invenzione si attribuisce a Leonardo Da Vinci. Il suono e le melodie sembrano segnali per condurti in nuovi spazi sempre più ricchi di oggetti, particolari e odori svelando piano piano una storia che sembra senza tempo. Dall’interno della bottega si esce su una stretta via non più pubblica che collega altri reparti della bottega dove si realizzano altre lavorazioni e si
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conservano le materie prime come il legno. Le essenze legnose arrivano nelle Marche dalle foreste di luoghi remoti nel mondo dove i tronchi sono rigorosamente trasportati a valle dentro i fiumi per lavare il legno dalla resina offrendo alle mani e alle orecchie dell’uomo un legno dotato di maggiore sonorità. Esci e rientri in spazi già visitati perdendo quasi il senso dell’orientamento, si arriva in nuovi reparti dove la lavorazione del legno lascia spazio al metallo e poi al cuoio, alla carta, alla plastica e alla madreperla che compongono questo strumento musicale. Ma prima di arrivare alla fine dell’ideale percorso - dove i preziosi organetti lavorati anche per mesi partono per tutto il mondo - ripercorri quella stretta via che connette i vari reparti così chi ti accompagna si ferma abbandonando il racconto del “saper fare” per riportarti in epoche remote, quando quella via attraversava l’antico borgo di Castelnuovo di Recanati, dagli Appennini al Mare Adriatico precisamente orientata verso la vicina Loreto. La storia ci porta nel IV o V secolo
di Alessandro Carlorosi
quando le invasioni dei Goti costrinsero la maggior parte degli abitanti dell’antica colonia di Helvia Recina (l’attuale Villa Potenza) a fuggire sulle colline dove nacquero i centri medievali di Macerata e Recanati. Quella stretta strada esattamente orientata verso Loreto, forse aperta proprio dai coloni romani che fuggivano dai Goti, tra il Cinque e Seicento componeva un tratto dei Cammini Lauretani. Si trova conferma nel libro di Guglielmo Molo intitolato: Viaggio spirituale per visitare la Santissima Casa di Loreto et i Santi Corpi de i gloriosi Apostoli Pietro e Paolo (Pavia 1613) dove indica la tappa Recanati-Loreto come tratto conclusivo della Via Romana Lauretana. Fermi su quel viottolo, i rumori della bottega si fermano nuovamente e arriva una folata di vento che rimanda al silenzio dei pellegrini verso Loreto e dei romani in fuga dai Goti. Suggestione ed energia si fondono
creando un ponte tra passato e presente fino a quando la stessa ventata alimenta la “scatola del vento” che prende forma nel laboratorio e l’allegra melodia spinta dal mantice riporta nella bottega che dal 1914 produce organetti conosciuti e suonati in tutto il mondo addirittura da personaggi e musicisti di fama internazionale come Sting, Renzo Arbore, i Negramaro, Lucio Dalla e tantissimi altri. I generi musicali di oggi suonano con gli strumenti della tradizione popolare come il saltarello che i suonatori più anziani narrano essere la musica suonata e ballata dalle fate della Sibilla. Leggenda e realtà coinvolgono tra storia e sensazioni dove le origini del luogo incrociano le rotte di pellegrinaggio e la produzione dell’organetto accompagna la storia più recente della tradizione marchigiana forse ispirata da quel pellegrino austriaco che diretto a Loreto portò nelle Marche la scatola del vento. WHY MARCHE | 37
A NIMA
M Incarnazione dei valori ecclesiastici, icona per il fascismo, esempio per le militanti del Pci. La breve vita di Maria e la nascita del culto
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el caratteristico borgo di Corinaldo, in Provincia di Ancona, nasceva, il 16 ottobre 1890, Maria Goretti, la bambina che il 24 giugno 1950, in piazza San Pietro, sarebbe stata proclamata Santa. All’età di sette anni, insieme alla famiglia, a causa delle precarie condizioni di vita, Maria è costretta a lasciare la piccola casa marchigiana e trasferirsi nelle campagne laziali. La famiglia di Maria si stabilisce in una casa, una costruzione seicentesca chiamata Cascina Antica, che condivide con la famiglia Serenelli, padre e figlio. La vita di Maria era simile a quella di molti bambini della sua epoca, fatta di lavoro nei campi, malnutrizione e carenti condizioni igienicosanitarie. Il territorio nel quale Maria e la sua famiglia vanno ad abitare era paludoso e malarico, tanto che quando la piccola ha dieci anni, perde il padre a causa della malaria. L’infanzia di Maria non scorre serenamente. Il giovane coinquilino della bambina, Alessandro Serenelli, nel corso di quegli anni tenta ripetuti approcci verso di lei. Questi continui tentativi di avvicinamento da parte del ragazzo, culmineranno il 5 luglio 1902 con l’ennesimo rifiuto di Maria, che per questo verrà colpita più volte con un punteruolo dal giovane. All’epoca dei fatti Maria ha dodici anni, il suo aggressore circa venti. Maria morirà il giorno seguente nell’ospedale di Nettuno per setticemia.
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ARIA
di Stefania Cecconi
LA SANTA BAMBINA CHE NACQUE A CORINALDO
Nasce così il culto di Maria Goretti. Grazie all’interessamento dei passionisti e poi dell’Azione Cattolica romana, che ricostruiscono sempre nuovi e fantasiosi dettagli biografici, la devozione per Maria Goretti si diffonde tra gli strati più umili della popolazione, in particolare quelli rurali, appartenenti allo stesso mondo in cui la piccola era cresciuta. Nel 1929, a quasi trent’anni dalla morte della giovane, padre Aurelio Verticchio scrive una biografia sulla bambina in cui ne esalta la spiritualità e la tenacia dimostrata durante l’aggressione volta a mantenere intatta la sua purezza. Anche il regime fascista si appropria della tragica storia di Maria per esaltarne le virtù di purezza e regalare un’icona contadina alle popolazioni delle paludi appena bonificate. Persino al volto di Maria vengono attribuiti, in maniera del tutto arbitraria, simboli ben precisi attraverso la sua riproduzione pittorica. La bambina viene dipinta bionda, in buona salute, con qualche anno in più, dal pittore Giuseppe Brovelli-Soffredini. Di Maria non vi sono fotografie all’epoca. Solo nel 2017, il giornale “Famiglia Cristiana” ritrova una fotografia che ritrae Maria poco prima della sua morte. Il suo aspetto in ogni caso viene ricostruito dall’esame autoptico. Maria era alta un metro e trentotto, era vistosamente sottopeso e presentava sintomi di malaria in fase avanzata. Una descrizione che ci restituisce un’immagine ben diversa della bambina rispetto a quella ricostruita nel dipinto ufficiale. La figura di Maria Goretti viene presa in prestito anche dal mondo non cattolico, diviene icona comunista con Enrico Berlinguer che trova nel coraggio e nella tenacia della bambina un esempio per le giovani militanti del partito. Negli anni Settanta, nel periodo di affermazione del femminismo, la figura di Maria Goretti perde gradualmente popolarità a causa della visione estremamente tradizionale della donna che essa veicola. Non mancano controversie circa la sua vita, ma soprattutto relative al cammino che ha portato al culto, alla sua beatificazione e santificazione. Secondo alcune fonti, l’attività intrapresa dalla Chiesa, e poi la biografia scritta nel 1929 sulla sua vita, è frutto di invenzioni volte a creare una figura che possa incarnare i valori sacri e che si opponga alla dissolutezza degli ideali anticlericali. Come riferito, la figura di Maria Goretti viene presa in prestito anche dai non cattolici. Nel 1984 Giordano Bruno Guerri pubblica il libro Povera Santa, povero assassino (Bompiani 2008), in cui il saggista
racconta la storia di Maria come il risultato tragico di condizioni di vita miserabili e di diffusa ignoranza, suggerendo una strumentalizzazione da parte della Chiesa. L’uscita del libro genera accuse, denunce e un procedimento legale che terminerà con l’archiviazione per non luogo a procedere. Il culto di Santa Maria Goretti resta tutt’oggi molto sentito. I luoghi della sua infanzia sono meta di pellegrinaggio da parte di devoti provenienti da tutta Italia e dall’estero. Uno di questi è la sua piccola casa natale che sorge poco distante dal centro storico di Corinaldo. Una costruzione in mattoni su due livelli, che conserva alcuni mobili originali della famiglia Goretti. A lei è dedicato anche il santuario che prende il suo nome all’interno della chiesa di San Nicolò, comunemente detta di Sant’Agostino, che conserva le spoglie mortali della mamma Assunta deceduta a Corinaldo nel 1954 e quelle del pentito Alessandro Serenelli. Nell’altare centrale, vicino ad una scultura lignea di Santa Maria Goretti, è posizionata un’urna in argento contenente l’osso del braccio della Santa, braccio con il quale la bambina tentò di difendersi dal suo aggressore. A destra dell’ingresso, nella chiesa parrocchiale di San Francesco, è presente un piccolo monumento in marmo bianco di Carrara dedicato a Santa Maria Goretti. Nel battistero, sotto una vetrata rotonda, è posto il fonte battesimale in cui la Santa fu battezzata il 17 ottobre 1890. Ripercorrendo la vita di Maria Goretti, le molteplici interpretazioni sulla sua vita, sulla sua morte, sulle sue ultime parole prima di morire (“io perdono tutti”), sull’uso della sua figura utilizzata dai cattolici, dal fascismo, dai comunisti, non possiamo con certezza stabilire quale sia la versione meno fantasiosa e che quindi si avvicina di più alla realtà dei fatti, alla vita della bambina. Possiamo però giungere ad una riflessione: la figura di Maria Goretti, la bambina uccisa perché rifiutò una violenza sessuale, è sicuramente un simbolo forte e potente, e che per questo è stata utilizzata, per i propri fini, sia da una parte, sia dall’altra. Inoltre, la storia di Maria, nonostante gli anni trascorsi, le migliorate condizioni sociali e culturali, è la storia che sentiamo ogni giorno al telegiornale e che leggiamo sui quotidiani. E la storia di un “no” che non viene accettato. È una storia che continua a ripetersi. È una storia dove predominano l’ignoranza, il senso del possesso, la violenza, che ci suggerisce che ancora molta strada c’è da fare perché fatti del genere non si ripetano più.
GORETTI WHY MARCHE | 39
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La parola utopia risuona come un richiamo a mondi lontani e alla volontà di costituire un altrove migliore. Come spesso accade, però, l’altrove è già qui, a pochi passi da noi: Servigliano, nelle nostre Marche, rappresenta un eloquente esempio di città ideale e utopica. La fascinazione del modello utopico sta già nel suo nome, che condensa in sé un duplice significato: un buon luogo, e quindi un mondo ideale, e insieme un non luogo, uno spazio che non esiste ma che il racconto utopico non manca di descrivere nei minimi dettagli. L’ambivalenza è tutta giocata sulla U iniziale che può rifarsi a due particelle greche: “eu”, avverbio che significa “bene” o “ou” che esprime una negazione. Il pensiero utopico ha storicamente giocato un ruolo centrale nella pianificazione urbanistica nella misura in cui si fa garante di un’assoluta regolarità: il suo elemento centrale è un razionalismo estremo in cui è l’ordine a farla da padrone, in cui ogni elemento è sottratto all’accidentalità e al caos, in cui tutto è coerentemente organizzato e coordinato. Ogni edificio deve essere concepito razionalmente sulla base delle funzioni che vi si devono svolgere e la planimetria della città deve essere geometricamente regolare.
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SERVIGLIANO LA CITTÁ DELL’UTOPIA A
questa logica non si sottrae la città di Servigliano, Comune in Provincia di Fermo, che estende le sue meraviglie tra i 189 e 447 metri di altitudine. La sua fondazione risale al I secolo a. C., ad opera di un tribuno di Gneo Pompeo il Grande, Publio Servilio Rullo, ma la sua fisionomia subì, nel corso del tempo, profonde modifiche. L’inarrestabile frana che colpì la collina su cui si ergeva il paese costrinse ad una ricostruzione ex novo nelle zone in piano sottostanti, ovvero quelle in prossimità del convento dei Minori Osservanti. La decisione dell’edificazione di un nuovo centro urbano fu suggerita dall’architetto romano Virginio Bracci, assoldato in quanto tecnico ed esperto di scienze idrauliche, dal neo Papa Clemente XIV sollecitato ad intervenire a seguito delle rimostranze e delle suppliche della comunità e delle autorità locali. È del 1771 l’atto di fondazione del nuovo casato disegnato dal Bracci che avrebbe avuto il nome di Castel Clementino, in onore al pontefice che ne aveva promosso e finanziato la ricostruzione. L’impianto urbanistico a pianta quadrangolare rappresenta un’autentica riproduzione delle utopie
di Alessandra Lucaioli
di cinta ognuna a distanza di “mille tese” dall’altra, con le sue vie di scorrimento calibrate in modo certosino e le case definite una volta per tutte. A questi precisi canoni non manca di attenersi l’architetto Bracci. Egli predispone che le mura esterne debbano difendere perfettamente il cuore del centro storico ispirato a quello delle città romane in cui si intersecano due assi, il cardo e il decumano. Il primo è l’asse che, da Nord a Sud, attraversa Servigliano e che unisce Porta Pia a Porta Clementina; il secondo è l’asse che da Est va a Ovest e che, pertanto, dalla Porta Santo Spirito conduce fino alla Chiesa Collegiata di San Marco. Tutte le restanti vie sono ortogonali, con edifici e palazzi che si fronteggiano. La “nuova Servigliano” cela figure geometriche inattese: una croce ideale viene a manifestarsi costruendo dei quadrati sulle linee tra le porte e la chiesa. Nella testa della croce è ubicata la chiesa, alla sua destra vi è il palazzo comunale, alla sua sinistra avrebbe dovuto sorgere un opificio mentre il corpo della croce
è costituito dai palazzi signorili. Di connotazione utopica è anche il modo in cui il Bracci pensa la divisione e distribuzione delle abitazioni civili attribuendo alle classi sociali spazi specifici, senza per questo comporti una ghettizzazione esclusiva ed escludente. Ad occupare il perimetro quadrato delle città non erano più le mura – che nel tardo Settecento avevano perso la loro funzione e la loro utilità – ma case a schiera di esigua dimensione murate nella parte esterna e aperte in quella interna del centro abitato, destinate ad artigiani, operai e piccoli negozianti. Il centro della città ospitava invece la dimora di alcune importanti famiglie nobiliari, come Palazzo Filoni-Vecchiotti e Palazzo Navarra. Quest’ultimo, peraltro, fu saccheggiato e incendiato nel 1799. Se è vero allora che l’obiettivo primario delle grandi utopie urbanistiche del Settecento era quello di rincorrere una visione ottimistica della storia e del progresso in nome del principio “dell’armonia universale”, è innegabile che la nuova città fermana custodisca questo intento, che non intende nascondere alle sue genti e ai suoi visitatori.
urbanistiche settecentesche: Owen, Fourier, Richardson, Cabet, Proudhon sono, con le loro dovute differenze, gli assoluti protagonisti di quel modello di città in cui domina l’idea di progresso e l’ottimismo verso il futuro. Lo spazio urbano, declamano questi autori, deve essere aperto, disseminato di vuoti e di verde e tagliato secondo un’analisi delle funzioni umane: una classificazione rigorosa colloca in luoghi distinti l’habitat, il lavoro, la cultura e il tempo libero. Una logica funzionale che necessita però di tradursi in una disposizione semplice, capace di appagare la vista in modo immediato in virtù di una geometria naturale che concilia estetica e rigore. L’ordine specifico della città utopica viene talvolta espresso con una precisione di dettagli e un rigore tale da scansare la possibilità di variazioni o adattamenti intorno ad uno stesso modello: è questo, ad esempio il caso di Charles Fourier, i cui disegni rappresentano la città ideale con le sue quattro mura
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La VOCAZIONE MUSICALE delle MARCHE
La vocazione musicale delle Marche ha radici antiche, si tratta di una tradizione ininterrotta che dal medioevo giunge fino a noi ed ha espresso le grandi e celebrate personalità musicali di Pergolesi, Spontini, Rossini. Non solo, ma le Marche possiedono anche una tradizione di ideazione e costruzione di strumenti musicali, che negli anni 50 – 60 si trasformò in una intensa attività di produzione industriale, soprattutto nell’area di Castelfidardo, Camerano, Sirolo e Recanati. La produzione di strumenti e accessori musicali creò molti posti di lavoro e un indotto che coinvolse molte famiglie con attività artigianali specializzate. Il Boom si sgonfiò molto velocemente durante la crisi di mercato degli anni 80, segnando la fine di molti marchi importanti e di molti posti di lavoro.
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ulla scia del desiderio di ricostruzione del dopo guerra, le amministrazioni comunali locali e quelle regionali ignorarono del tutto i contenuti culturali inevitabilmente connessi alla musica; ci si concentrò esclusivamente sul lavoro, sul profitto e sul picco di ricchezza e di benessere economico che ne derivò. Non si crearono scuole specializzate di formazione-lavoro ne conservatori di musica qualificati, nessun evento o concerto significativo fu mai tenuto nelle marche, anche se la produzione aveva tra gli acquirenti i più importanti nomi e gruppi della musica Jazz, pop, blues e rock mondiale. Prevalse una prudente mediocrità, che caratterizza la nostra regione da tempi memorabili; la grettezza “della zotica gente” del “natio borgo selvaggio” così Leopardi, già a suo tempo, descriveva l’isolamento dalle correnti di civiltà e di pensiero della città di Recanati e in fondo anche del nostro territorio addormentato. Sono stato testimone in prima persona di questo tempo e in questo breve e incompleto articolo proverò a fare rivivere quei gioielli prodotti e i loro marchi, divenuti storici, attraverso foto e brevi notizie che testimoniano come grandi interpreti e artisti di tutti i tempi abbiano utilizzato le produzioni del settore musicale delle marche. Nella prima metà del 1800 si diffonde in Europa la sperimentazione di strumenti musicali ad ancia libera, che determina la nascita di strumenti come l’armonica a bocca, la concertina, il bandoneón, l’armonium, l’organetto e la fisarmonica. I primi artigiani e costruttori marchigiani risalgono alla metà del secolo: nel 1856 apre la sua bottega Giovanni Chiusaroli a Recanati, nel 1858 Celeste Ribighini ad Ancona e nel 1863 Paolo Soprani a Castelfidardo. È da questi artigiani che fiorirà poi l’industria della fisarmonica marchigiana, che vide sul finire del XIX secolo, l’affermarsi di tre ditte: la “Scandalli” di Camerano, la “Paolo Settimio Soprani” di Castelfidardo e la “Frontalini” di Numana, che nel dopo guerra fondendosi daranno origine alla Fabbriche Riunite di FISArmoniche, meglio conosciuta con l’acronimo FARFISA. Fu la leader assoluta del settore della fisarmonica, producendo oltre 180 esemplari al giorno, esportati in tutto il mondo. Con il crollo della vendita
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di Stefano Longhi delle fisarmoniche, avvenuto alla fine degli anni 1950 la Farfisa cominciò a produrre anche organi elettrici portatili e a console, ancora basati sul suono ad ancia libera (stesso sistema utilizzato nella fisarmonica e degli armonium), ma con il flusso dell’aria ottenuto tramite elettroventilatore e registri azionati con servocomandi, ottenendo un effimero successo commerciale. Sarà solo nei primi anni 60, con l’avvento dell’elettronica applicata in campo musicale, già da tempo utilizzata oltremanica e sollecitata dal successo commerciale del primo organo elettronico portatile (comboorgan): il Vox Continental apparso sul mercato nel 1962, che Farfisa otterrà un enorme successo commerciale con l’introduzione dei suoi primi organi elettronici portatili, dei quali la serie Compact è stata la più nota e apprezzata, in special modo nei generi beat, rock e leggera.
Il modello Compact Duo fu ampiamente utilizzato da Richard Wright dei Pink Floyd nei primi album del gruppo e nei relativi concerti, come testimoniano le immagini del film-concerto Pink Floyd Live at Pompeii del 1972. Il Compact Duo ha seguito il gruppo dai tempi dell’UFO club di Londra fino al grande successo di The Dark Side of The Moon. Il Farfisa divenne il suono caratteristico della musica dei Pink Floyd prima maniera. Unito all’ echo Binson Echore (anche questa prodotta
in Italia) diede luogo alle atmosfere spaziali che caratterizzano il gruppo. Spicca al centro del retro di copertina di Ummagamma (1969). Sly Stone dei Sly & the Family Stone suonarono un Compact Farfisa a Woodstock (1969) e nelle registrazioni in studio. Moltissimi sono i tastieristi che utilizzano questo strumento in special modo nei generi Beat, Pop,Rock e leggera. La sua presenza è evidente in vari filmanti dell’epoca e il suo suono è in primo piano nei primi album dei Genesis e dei Van Der Graaf Generator, gruppi di rock progressivo risalenti agli anni 1968-1972. John Paul Jones dei Led Zeppelin ha utilizzato un Farfisa in “Dancing Days”. Un’altra registrazione del 1970, un tributo a Jack Johnson di Miles Davis, include un Herbie Hancock che suona un organo Farfisa. Procol Harum, The Doors, Frank Zappa, sono solo una piccola parte di gruppi ed artisti che hanno utilizzato i prodotti musicali costruiti nel nostro territorio. Forse il più famoso brano che ha caratterizzato e immortalato il suono Farfisa fu Crocodile Rock di Elton John. Con l’avvento dei sintetizzatori molti pensarono che l’organo elettrico fosse uno strumento obsoleto, ma il tempo dimostrò il contrario. Alla fine degli anni ’70, con i vecchi modelli sempre più economici, numerose band punk e new wave (in particolar modo quelle
influenzate dal garage rock e dalla psichedelia) come Blondie, Talking Heads, tornarono a utilizzare tale strumento. Il suono Farfisa è oggi utilizzato per conferire un suono anni ’60, ed è apparso di recente su album di innumerevoli artisti contemporanei. Il nome del marchio Farfisa, nel frattempo, continua ad apparire sulle contemporanee tastiere MIDI. Il Professional Farfisa PP/222 and PP/221, tastiera caratterizzata dai tasti grigi, fu molto usata nell’ambito del rock progressivo tedesco (krautRock) da Ralf Hutter dei Kraftwerk, da Edgar Froese dei Tangerine Dream, dagli Amon Düül II, così come da gruppi progressivi inglesi come i Van der Graaf Generator. Vanno infine ricordate alcune tastiere multi-timbriche, ovvero dei sintetizzatori dotati di sezioni monofoniche e polifoniche, prodotti in vari modelli dal 1975 fino al 1983, molto utilizzate da Tony Banks dei Genesis. Sempre nello stesso periodo nasce la Eko, una azienda marchigiana produttrice di chitarre, fondata nel 1959 da Oliviero Pigini a Castelfidardo. La fabbrica, vide lo spostamento della produzione nel Comune di Montelupone nel 1965: tra i musicisti che utilizzarono gli strumenti dell’azienda figurano Beatles, Rokes, i Kings, i Nomadi, Edoardo Bennato. Assieme alle chitarre Vox (marchio inglese prodotto negli stabilimenti EKO). Nelle foto sotto troviamo da sinistra Gerry Rafferty cantante dei Stealers Wheel. Al centro possiamo vedere un giovane Jimmy Page dei Led Zeppelin durante una sessione live. A destra Mike Rutherford chitarrista de i Genesis. Questi sono solo alcuni degli artisti che si esibivano negli anni ‘70 con la storica chitarra Eko Range. Cinquanta anni dopo viene naturale chiedersi perché questa ricchezza, non solo economica, ma artistica e culturale non si sia sedimentata nel nostro territorio.
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Il Codex
il libro più desiderato da Himmler, Per giorni, nell’autunno del ‘43, una squadra di SS, per ordine del Reichsführer Heinrich Himmler, mise a soqquadro delle ville di Jesi, Osimo e Fontedamo (An) alla ricerca spasmodica di un manoscritto ritenuto molto importante dai vertici nazisti. Il proprietario e il suo personale di servizio riuscirono a beffare tutti nascondendo il libro in un ripostiglio. Può sembrare la trama di un film, invece è accaduto realmente.
I
l manoscritto in questione è il Codex Aesinas Latinus 8, il più antico manoscritto giunto fino a noi dell’Agricola e della Germania di Tacito. Il suo nome Aesinas deriva dal fatto che fu scoperto a Jesi (Aesis in latino) nel 1902 nella biblioteca della villa del conte Aurelio Guglielmi Balleani a Fontedamo da Cesare Annibaldi, professore di latino e greco al Liceo Classico Vittorio Emanuele II, direttore della biblioteca e della pinacoteca di Jesi. A esso risalgono tutti gli altri codici oggi conservati. Il Codex Aesinas contiene la Germania in scrittura umanistica del XV secolo, l’Agricola in scrittura carolina del IX secolo e il Bellum Troianum di Ditti Cretese. Dal nord Europa il codice fu portato in Italia nel 1455 da Enoch d’Ascoli per conto di Papa Niccolò V per creare il primo nucleo della Biblioteca Vaticana, ma, fallito il progetto di acquisizione da parte della curia romana, fu smembrato, venduto a privati e per secoli si persero le sue tracce. La Germania, ovvero il De origine et situ Germanorum, è un’opera etnografica scritta da Publio Cornelio Tacito attorno al 98 d.C. sulle tribù germaniche. In esso Tacito, che non aveva mai visitato i territori e i popoli di cui tratta, descrive le terre, le leggi e i costumi delle popolazioni barbariche al confine con l’impero romano, esaltandone il coraggio e la crudeltà in battaglia, la semplicità dei costumi, l’integrità morale e il rispetto dei valori. Lodando la purezza delle virtù tedesche, Tacito intendeva proporre un esempio virtuoso contro l’immoralità dilagante, la corruzione e la decadenza dei costumi romani e mettere in guardia sul possibile futuro dell’impero. Ben si comprende, quindi, il motivo per cui la Germania divenne presto il riferimento dei sostenitori della supremazia della cultura tedesca, dagli umanisti ai nazionalisti del XX secolo, fino a divenire una sorta bibbia per i nazisti che vi trovarono la prova della purezza, dell’unicità e della grandezza della razza ariana. In particolare nel IV capitolo Tacito proclama di associarsi «all’opinione di quanti ritengono che i popoli della Germania, non macchiati da alcun matrimonio con altre genti, siano rimasti una stirpe distinta, pura e simile solo a se stessa» ed elenca i tratti che caratterizzano l’aspetto tipico tedesco: «gli occhi sono azzurri e cupi, i capelli rossi, la
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Aesinas,
di Silvia Brunori
nascosto per anni a Jesi
corporatura grande e adatta all’attacco». Himmler, capo delle SS, capì quale formidabile strumento di propaganda potesse essere questo testo che conteneva lodi alla razza ariana scritto da un romano, anche se nella stessa opera Tacito non mancò di definire gli appartenenti alla medesima anche come ubriaconi, collerici e pronti a giocarsi ai dadi la libertà personale. Ma perché tanto interesse proprio per questo manoscritto? Certamente perché, come già detto, è il testo più antico della Germania, dalla quale provengono tutti gli altri manoscritti fin ora ritrovati, ma anche perché presenta delle varianti filologiche (oggi ritenute poco corrette) più gradite dall’ideologia nazista. Su consiglio di Heinrich Himmler, Hitler chiese di poter avere il Codex Aesinas direttamente a Benito Mussolini, in visita a Berlino per le Olimpiadi del 1936, che glielo promise. Due anni dopo Hitler chiese di poter acquistare il manoscritto ma il Ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, sentito anche il parere di una commissione di intellettuali, contrari all’esportazione del prezioso manoscritto, comunicò che il proprietario non aveva intenzione di vendere. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, un commando di SS ricevette l’ordine di impossessarsi del Codex Aesinas: iniziò quindi una spasmodica ricerca del testo nella provincia di Ancona. Dapprima perquisì la villa della famiglia del conte Aurelio Baldeschi Balleani a Fontedamo, vicino ad
Ancona, dove il manoscritto era ufficialmente custodito, devastò i preziosi arredi ma non trovò nulla. Proseguì allora a setacciare le altre due proprietà della famiglia Balleani a Osimo e a Jesi, in piazza Federico II. Il codice era proprio lì, ma i temibili tedeschi non riuscirono a trovarlo. Era stato prontamente e sapientemente nascosto dal conte Aurelio, con l’aiuto dell’autista e del maggiordomo, Giuseppe Angeletti e Riccardo Cerioni, in una cassa delle cucine del palazzo. Sembra che poi, probabilmente presi da problemi bellici più imminenti, con gli alleati che incalzavano su tutti i fronti, Himmler e i suoi fidatissimi abbiano dato ordine di sospendere le ricerche per indirizzare le forze altrove. Le vicende romanzesche legate al manoscritto jesino sono state raccolte dal professore di Filologia Classica alla Harvard University, Christopher B. Krebs, in un volume edito in Italia con il titolo Un libro molto pericoloso. La ‘Germania’ di Tacito dall’Impero romano al Terzo Reich dalla casa editrice Il lavoro editoriale di Ancona. Il manoscritto rimase perciò proprietà del conte Aurelio Baldeschi Balleani che negli anni ’60 lo prestò alla Biblioteca Nazionale di Firenze dove rimase danneggiato dall’alluvione del 1966 e poi restaurato. Nel 1994, alla morte del conte fu donato dagli eredi allo Stato Italiano e da allora è conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, con la sigla di Cod. Vitt. Em. 1631. Una copia in microfilm è conservata presso la Biblioteca Planettiana di Jesi.
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di Alessandro Moscè
I GIOVANI NELL DISCOTECA DI CORINALDO SONO INNOCENTI “Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte / coi poliziotti, / io simpatizzavo coi poliziotti”. Questi notissimi versi di Pier Paolo Pasolini, dal titolo Il Pci ai giovani, apparvero per la prima volta sul settimanale “L’Espresso” nel giugno del 1968. Erano gli anni turbolenti della contestazione giovanile in cui scoppiavano le risse in mezzo alla strada e si usavano le armi: l’eversione confusionaria e violenta provocava guerriglie. Quei giovani erano ben diversi, costituzionalmente, da quelli di oggi, perché partecipavano attivamente alla vita sociale del paese (non so se fossero migliori o peggiori). Leggo commenti allarmanti sui ragazzi del terzo millennio amanti del rapping, dopo la tragedia avvenuta a Corinaldo con sei morti e decine di feriti a referto. Nomen omen: la tradizione popolare vuole che il nome di Corinaldo sia formato dalle parole “corri in alto”, facendo riferimento a vicende di età romanica quando gli abitanti in fuga si sarebbero rifugiati su di un’altura per costruire un borgo più difendibile. Qui si svolge “La notte di Halloween”, iniziativa di grande richiamo, che si conclude bruciando una strega a mezzanotte e facendo esplodere fuochi pirotecnici sulle note medievali, con un rito definito il “tunnel della paura”. Da sabato 8 dicembre si parla di ben altra paura e di ben altre streghe: ma qualcuno ha preso ad esempio la disgrazia per introdurre temi inerenti al nichilismo disperante, all’analfabetismo emotivo, al disagio esistenziale, alla mancanza di senso dei minorenni, aspetti allarmanti che pure si riscontrano anche nella Provincia di Ancona. Non siamo d’accordo. I ragazzi che frequentavano la discoteca, alcuni addirittura per la prima volta, sono incolpevoli dell’accaduto, che non ha a che fare con l’abuso di alcool, droga ecc. Sono stati sfortunati perché un irresponsabile (o più di uno) ha scatenato il
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panico spruzzando una sostanza urticante, perché il piano di evacuazione non ha funzionato e perché all’uscita della struttura lo spazio a disposizione dove disperdersi all’aria aperta era esiguo, tanto che la pressione ha determinato il crollo di una ringhiera e il rotolamento delle persone una sopra l’altra, in uno schiacciamento da asfissia. La massa non si è resa partecipe di uno scempio corale, di un gesto assurdo e quindi evitabile. Le presunte ombre sinistre dei Millennial, però, finiscono al centro del dibattito. Tutte le generazioni hanno amato i loro idoli musicali, tutte le generazioni sono state in discoteca o nelle balere. Quei giovani che sono morti studiavano, praticavano sport. Gli altri, salvi o feriti, erano come tutti, parte di una realtà che offre meno occasioni lavorative, meno ricchezza, meno sicurezza economica alle famiglie rispetto ai giovani delle generazioni precedenti. Il titolo giornalistico “Folla impazzita” è sbagliato, come alludere ai malintenzionati. Qualche giovane è stato perfino eroico, perché mettendo a repentaglio la sua vita ha cercato, tra la calca, di salvare quella degli altri. Gli insensati ci sono stati sempre. Ricordo quando una volta, più di trent’anni fa, in una discoteca estiva dove mi ero recato, dentro un pozzo, nel giardino esterno, trovarono un morto ammazzato in sordina intorno alle 22. La fatalità non ha orario. Simpatizzo per quei giovani della discoteca di Corinaldo perché sono innocenti e hanno avuto il coraggio di soccorrere chi non conoscevano, di lasciare le giacche sulle spalle delle ragazze infreddolite, di non scappare, di telefonare per accertarsi che la comitiva con la quale erano partiti da casa fosse incolume, nessuno escluso, e rispondesse ai richiami. Il mondo globalizzato, i social network, le mode estrose, i modelli irreali, gli stili di vita non appartengono al crollo di quella ringhiera.
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di Tommaso Lucchetti
I dolci di Natale: memorie marchigiane nel tempo
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atale, tempo di aspettativa legittima di serenità, di quella quiete interiore indotta da un grappolo di feste a fine anno, con attorno il freddo, la quiete della campagna, l’aspettativa del nuovo anno ed il premio di un po’ di tregua. Era un periodo di celebrazioni festose che aveva i suoi riti, le sue tradizioni ripetute, i necessari preparativi richiesti, di credenze nel senso di magie immaginate come anche di dispensa riempita per l’occasione di prelibatezze immancabili, sporadiche nel resto dell’anno. Del resto ci si muoveva per tempo ad allestire il presepio, per cercare il muschio ed un ceppo da accendere nel camino, per comprare le provviste di pesce conservato per la vigilia e destinare i capponi ed i tacchini al loro sacrificio, per mettere da parte quei profumi che anticamente costruivano l’atmosfera del Natale, come le arance prese appositamente al mercato, da mangiare davanti al fuoco con le bucce buttate sulle fiamme.
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“Erano dolci che suggellavano i lauti banchetti celebrativi ma che soprattutto si donavano, e scandivano l’accoglienza degli ospiti nei diversi giorni di visite ricambiate nelle case.”
Mane speziate 50 | WHY MARCHE
Era l’atmosfera del dolce, da preparare per tempo. Già con la coda delle feste di novembre ed inizio avvento si cominciava a cuocere e decorare torte, biscotti e pasticcini che sarebbero durati in questa magica ed unica quindicina a cavallo di due anni. Erano dolci che suggellavano i lauti banchetti celebrativi ma che soprattutto si donavano, e scandivano l’accoglienza degli ospiti nei diversi giorni di visite ricambiate nelle case. Anche per questo, quando ormai un po’ di decenni fa attecchì da queste parti la tradizione di allestire l’albero di Natale, tra i rami si appendevano prima ancora delle decorazioni canoniche piccole golosità dell’abbondanza, noci, mandarini, mele o paccucce di mela (spicchi seccati o arrostiti), caldarroste, caramelle (anche quelle cosiddette “d’orzo” fatte in casa), piccoli tranci di croccante e torrone, biscotti o ciambelle, cioccolatini per chi aveva modo di comprarli. Questi preparativi dolciari partivano appunto per tempo, nelle famiglie come nelle altre comunità. Nei monasteri le religiose si davano da fare per tempo per confezionare specialità da distribuire come segno di gratitudine alle persone a loro vicine durante l’anno. Ad esempio tra le clarisse di Serra de’ Conti, stando alle carte d’archivio ottocentesche, i lavori iniziavano già al 23 di dicembre (giorno in cui i coloni portavano i capponi). Per i dolci di magro di “antevigilia” e vigilia si confezionavano le cialde ed una crostata di mele, poi per
Cavallucci
“...i cavallucci, con un ripieno golosissimo che spaziava dal dolce eterno e naturale di mosto e frutta agli aromi più recenti ed artificiosi di cioccolato e caffè.” le feste di piena celebrazione le dolci “paste all’ovo” si accumulavano così nelle teglie da forno e nelle tavole della cucina, in tutte le fantasiose e rinomate fogge e tipologie: dal Pan di Spagna ai savoiardi, dalle “rotole dall’ovo” ai pinoli e alle mandorle, fino ai biscottini di varie sorte, a specialità come le “galanterie” o “fraschette”, i “mostaccioli dal pieno” (ripieni), e “mane speziate”, i biscotti intagliati a forma di stella. Svettava poi la torta in pasta di mandorle e frutta secca, modellata a forma di un’animale simbolico legato a vario titolo all’iconografia sacra ed all’immaginario della devozione: si trattava di quel torciglione modellato a forma di serpe, secondo la simbologia del culto dell’Immacolata Concezione, celebrata l’8 di dicembre, ossia l’immagine canonica della Madonna che con il piede schiaccia la testa all’animale strisciante, simbolo del peccato
originale sconfitto. Molte sono le varianti celebri di questa leccornia: ad Apiro viene modellata nel corpo sinuoso di mandorle e zucchero, con il profumo di limone, vaniglia e cannella, glassato con gli albumi sbattuti a neve, disegnando poi le spire con il cioccolato, canditi rossi o caramelle al posto degli occhi, una mandorla affettata per la lingua. Per le clarisse di Falerone ha invece il corpo plasmato di zucchero, uova, mandorle, cioccolato e cannella, decorato con zucchero filato, e con gli attributi iconografici di una mela in testa ed un fico in bocca, rimandi allusivi e simbolici ai frutti ed agli alberi del giardino dell’Eden e della cacciata dal Paradiso. Le benedettine di Cingoli, del monastero cittadino di Santa Sperandia, avevano invece come specialità preparata già nell’autunno avanzato i cavallucci, con un ripieno golosissimo che spaziava dal dolce eterno e naturale di mosto e
frutta agli aromi più recenti ed artificiosi di cioccolato e caffè. Anche nelle famiglie ci si industriava a confezionarli, “spinzettando” o sforbiciando l’orlo come decorazione, ma nelle case per la data dell’Immacolata o per quella contigua della Venuta della Madonna di Loreto era più rituale e canonico un altro dolce, citato persino dai proverbi, ad attestarne la diffusione. Questa specialità ricorrente in tutto il territorio nel Montefeltro, dove era chiamato “bostrengo”, fino al Piceno più meridionale, dove lo si denominava “fristingo”, era un impasto che assemblava tutte le prelibatezze possibili, dalla frutta secca al cioccolato, passando per tutti i possibili aromi e liquori, impiegati a profusione in questo tipo di torta soprannominata per questo “svuotacredenza”. La massa poteva essere fatta di farina bianca o gialla, qualcuno ci metteva WHY MARCHE | 51
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Pizza de Natà anche il riso. L’elemento distintivo ed imprescindibile erano gli abbondanti tocchi dolci con una coralità di ingredienti. zuccherini. Allo stesso modo ad Ancona si nobilitava con questo dolcissimo ben di Dio la semplice massa del pane, ottenendo così la “pizza de Natà”, che era ancor più rudimentale del canonico ciambellone a forma di filone di pane, ma spandeva ugualmente dal forno un profumo meraviglioso, ben diverso da quello (comunque già di per sé inebriante) delle semplici infornate di pane quotidiano. Del resto per antica tradizione Natale era simbolicamente vissuta e sentita come la festa del pane (nella simbologia di Cristo nato e donato come sostentamento spirituale), e secondo tradizione erano straordinarie eccezioni per impreziosire nella cerimonialità conviviale di questa festa, la sacralità quotidiana delle pagnotte impastate e cotte per i giorni ordinari. Anche nelle Marche, ad esempio, a Pesaro si produce una locale versione del panettone, mentre nel monastero di Sant’Angelo in Pontano una ricetta di inizio ‘800 riporta l’uso dei pampepati. Tra i dolci marchigiani più antichi, 52 | WHY MARCHE
“Del resto per antica tradizione Natale era simbolicamente vissuta e sentita come la festa del pane ...”
a Civitanova il “cicerù” rivelava fin dal nome l’ingrediente segreto, ossia ceci cotti e passati mescolati con zucchero e sapa, e volendo cacao, per ottenere un ripieno per quadrati di sfoglia; simili tra fermano ed ascolano erano i “cacionetti”, che potevano anche essere fatti con fave, similmente bollite. A Corinaldo si confezionavano le “pecorelle”, farcite di sapa e frutta tritata, modellandole a piacere nelle sembianze delle pecore del presepio, o di altre fogge come casette, borsette, fiaschi. Per l’epifania si preparavano a Sassoferrato i “santaremmascini”, a forma di re magi (ingentilite appena da uvette ed anici), mentre a Genga erano tradizionali “i befanini”, dalle sembianze più svariate, ricoperti di glassa bianca (“viacca”) costellata di confettini colorati. Non mancavano nei laboratori artigianali di pasticceria i torroni, come quello di Camerino, celebre già nell’Ottocento con l’aggettivo “biondo”, a identificarlo e caratterizzarlo probabilmente per l’impiego abbondante di miele
primaverile (anche se per il fantomatico ingrediente segreto si parla anche di caffè); è stato laureato con premi, medaglie, attestati ed onorificenze internazionali in occasione di eventi celebrativi (il cinquantenario dello Statuto Albertino) e le esposizioni universali all’inizio del ventesimo secolo. A Falconara erano orgogliosi del loro prodotto, uscito dalla maestria di un caffè cittadino, ma giunto ad insidiare persino le inarrivabili eccellenze cremonesi. Si ricorda che le mandorle provenivano dalla Puglia, le nocciole erano di origine piemontese, i pistacchi di Bronte, in Sicilia. Da citare infine cosa creò nel 1927 il celebre maestro di cucina Cesare Tirabasso, originario di Montappone: un tronchetto ricoperto di crema moka, a ricordare il ceppo di Natale che, secondo sentita e diffusa tradizione, doveva ardere nei focolari di casa dalla vigilia all’epifania. L’inventiva dell’arte dolciaria celebrava così una poetica consuetudine delle più umili campagne.
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IL PRESIDENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO ANTONIO TAJANI ALL’INAUGURAZIONE DEL 683MO ANNO ACCADEMICO DI UNICAM “Carissime studentesse e carissimi studenti, permettetemi di concludere questo mio intervento con un pensiero rivolto a voi, con le parole del filosofo e dottore della Chiesa, Sant’Agostino d’Ippona: “Noi viviamo in contemporanea tre tempi: il presente del passato, che è la storia; il presente del presente, che è la visione; il presente del futuro che è l’attesa”. Come Universitas abbiamo il grande compito di alimentare questa vostra attesa, contribuendo a formare le vostre menti, mostrandovi il percorso più congeniale ai vostri talenti, sostanziando la grande opportunità di poter vivere in un’Europa libera e unita, come cittadine e cittadini europei, colmando la vostra sete di conoscenza, perché “tutte le cose sono belle in sé, e più belle ancora diventano quando l’uomo le apprende. La conoscenza è vita con le ali”. Vivete questa opportunità come ricchezza, come valore aggiunto. Siate costruttori di legami e reti, di rapporti ed armonia, di pace e sviluppo. Abbiate cura di questi anni, perché non li potrete rivivere ed entreranno a far parte di quel bagaglio di ricordi cui attingerete, per superare momenti di difficoltà o per godere appieno dei successi. A noi rimane il privilegio di essere stati parte della vostra vita, pur se per un breve tratto, di aver vissuto con voi questi giorni e di aver contribuito a renderli fondamentali per il vostro domani. Entrando a far parte della nostra comunità universitaria ci consegnate con fiducia la vostra attesa e noi, ogni giorno ci impegniamo a renderla concreto presente”: con questa certezza e con grande emozione, il Rettore Claudio Pettinari ha dichiarato aperto il 683mo anno accademico dell’Università di Camerino. “Ricerca, formazione, sviluppo: #UniversitasEuropa” è stato il tema scelto quest’anno per la cerimonia, alla quale ha
preso parte il Presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani. “Un titolo che simbolicamente riassume il legame inscindibile tra i luoghi di cultura e di sapere, le Universitas, e la mission che li contraddistingue, in Italia e nel mondo, con il respiro e la caratterizzazione europei che essi devono avere ed assumere sempre di più”, ha esordito il Rettore Pettinari.
ad prestare attenzione e a dedicare maggiori risorse. Unicam, con la propria azione nella formazione, vuole fornire il proprio contributo per cambiare questo posizionamento negativo del sistema universitario italiano nel quadro internazionale della formazione e vuole fornirlo soprattutto attraverso l’innalzamento della qualità e dell’efficacia dei processi formativi, intesi anche come diffusione e condivisione di conoscenze e competenze derivanti dalle acquisizioni più avanzate sul fronte della ricerca.
UNICAM “Dopo una fase inevitabile di gestione straordinaria dell’emergenza, abbiamo avviato quella dell’analisi del contesto e della riflessione sul nostro futuro e ci siamo messi al lavoro per dotarci di una pianificazione strategica concreta per il prossimo quinquennio, una pianificazione caratterizzata da poca enfasi e molta operatività, concretizzata in un piano strategico che include anche una significativa campagna di sviluppo del patrimonio edilizio”, ha proseguito il Rettore. Nella consapevolezza che l’università non esisterebbe senza studenti, visti i tempi dilatati della ricostruzione privata che solo nel lungo periodo consentirà di ripristinare la ricettività della città, si è ritenuto vitale puntare al recupero e all’ampliamento delle strutture abitative di Unicam. Siamo rimasti, senza piangerci addosso, radicandoci se possibile maggiormente nel territorio, facendo ingenti investimenti, ma nello stesso tempo abbiamo allargato ancora di più le nostre collaborazioni internazionali e i nostri spazi di ricerca: la vocazione Unicam di Research University multidisciplinare e cosmopolita si è costantemente rivelata dalla sua crescente missione in ambito internazionale, anche nello scorso anno accademico. In particolare abbiamo ottenuto numerosi finanziamenti internazionali nell’ambito dell’EXCELLENCE SCIENCE, tipologia di programmi e finanziamenti, senza dubbio fondamentali per chi come noi, vuole continuare ad essere UNIVERSITAS e favorire una ricerca di frontiera, multidisciplinare e transnazionale. E’ un motore importante dell’innovazione e ad essa prodromo, su cui confidiamo, l’UE continuerà
E’ stata poi la volta dell’intervento del Presidente Tajani. “L’Università di Camerino rappresenta la forza di un territorio, di persone che hanno saputo reagire alla violenza della calamità naturale che ha ferito la città, l’Università, l’Italia Centrale. Quando c’è la forza e la volontà ci si può rialzare, come dimostrato dal caloroso appaluso a conclusione del discorso del Rettore”, ha affermato il Presidente Tajani. “Senza dei sogni da realizzare, non si possono superare le difficoltà. Tutto ciò che avete dentro, ragazzi, la vostra formazione, il vostro bagaglio culturale, che acquisite anche in questa università, così aperta al mondo, non ve lo toglierà mai nessuno. Non rinunciate mai quindi a realizzare i vostri sogni. Ognuno di voi è determinante per mandare avanti questa Europa. Vale la pena battersi per cambiarla. Non rinunciate alla vostra identità, alla storia e alla civiltà perché è quello che ci permette di andare avanti”. Questo l’augurio del Presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani agli studenti, a conclusione del suo intervento alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico di Unicam. L’evento, che si è tenuto presso l’Auditorium Benedetto XIII lunedì 26 novembre, si è aperto con gli indirizzi di saluto del Presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli, del Sindaco della Città di Camerino Gianluca Pasqui, del Presidente del Consiglio degli studenti Riccardo Cellocco, del rappresentante del personale tecnico e amministrativo Stefano Burotti, del rappresentante del personale docente e ricercatore Barbara Re, del direttore generale Unicam Vincenzo Tedesco.
w w w. u n i c a m . i t comunicazione.relazioniesterne@unicam.it w w w. u n i c a m . i n f o fb: Unicam – Università degli Studi di Camerino twt: Unicam UffStampa - ig: universitacamerino
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SAVE THE APPS Quando la tecnologia si mette a sostegno delle economie locali
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opo gli eventi sismici che hanno scosso i territori appenninici, l’imperativo di molti è stato di creare delle iniziative per rilanciare le economie locali. Un recente progetto, promosso dalla collaborazione tra Fondazione Merloni e Fondazione Vodafone Italia, si è sviluppato con l’intenzione di valorizzare ulteriormente tali zone: si tratta dell’applicazione “Save the Apps”: un’iniziativa tutta dedicata alla riscoperta delle comunità dell’Appennino, che si articola su tre settori diversi, quello commerciale, quello turistico e quello agricolo. Scopo dell’idea è di ripartire dal territorio, mettendo in luce gli aspetti peculiari e le caratteristiche che, da sempre, rendono speciali tali aree. Alla base dell’iniziativa si trovano le imprese di nicchia, quegli imprenditori che intendono mettersi in gioco per rilanciare l’economia delle loro comunità e, soprattutto, dei prodotti tipici e delle specificità delle zone appenniniche, tramite la fruizione di tecnologie digitali e modalità di marketing a esse connesse. Non solo sponsorizzazione, ma anche promozione, distribuzione e commercializzazione dei frutti di queste terre.
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Best of the Apps Online è già dalla scorsa estate il portale www. bestoftheapps.it, che raccoglie le diverse iniziative ruotanti attorno al progetto. A sua volta, tale iniziativa si suddivide in tre settori: Best of the Apps - Appenines Food Ranking, Best of the Apps - Appennines Discovery, Best of the Apps Hazelnuts of Appennines. In cosa si differenziano tra loro? La prima parte prevede una stretta collaborazione con Amazon e fa sì che i prodotti tradizionali delle regioni appenniniche (Marche, Abruzzo, Umbria e Lazio) possano essere venduti online in tutto il territorio italiano: un’ottima occasione per rilanciare l’economia locale e permettere ai piccoli produttori di farsi conoscere in ogni zona d’Italia. L’app trasporta virtualmente il consumatore sul posto, lo fa interagire con il produttore e gli permette anche di lasciare un feedback di riscontro. Attualmente sono oltre 200 gli imprenditori che hanno aderito al progetto, piccole o medie aziende, caratterizzate da qualità elevata e tradizione. Si tratta dei prodotti tipici delle zone appenniniche,
di Ilaria Cofanelli
dai salumi ai formaggi, dall’olio alle confetture. Non pochi gli ordini già processati da Amazon. Best of the Apps Appennines Discovery si interessa invece all’aspetto culturale delle zone appenniniche: un’infrastruttura software, infatti, permette di raggruppare tutti i luoghi ameni delle quattro regioni, da abbazie millenarie a sentieri e percorsi adatti ai turisti e agli amanti del trekking interessanti ad avventurarsi in cammini in cui coniugare natura a opere architettoniche. L’app mette a disposizione di quanti sono interessati una mappa GPS che non solo fornisce indicazioni stradali, ma anche informazioni storiche e di servizio che caratterizzano il territorio di riferimento. Best of the Apps - Hazelnuts of Apennines, infine, si sviluppa in collaborazione con Ferrero Halzenut Company (Hco), società che si occupa della filiera della nocciola. L’iniziativa prevede l’installazione di strumenti tecnologici orientati all’agricoltura di precisione, oltre a coltivazioni dedicate a sperimentare diverse varietà, come quella della nocciola francescana. “Vogliamo celebrare la collaborazione tra Fondazione Aristide Merloni e Fondazione Vodafone Italia a sostegno dell’economia dell’Appennino. Lo facciamo attraverso questi progetti concreti che valorizzano il tessuto imprenditoriale locale, cruciale per la rinascita delle aree interessate dal terremoto. Il mondo imprenditoriale, prima di tutto i nostri partner, sono pronti a offrire il contributo delle loro competenze, conoscenze e relazioni, per portare nuova vitalità e progetti di sviluppo”. Queste le parole dell’ingegner Francesco Merloni, presidente della Fondazione Merloni per la presentazione di “Save the Apps”, cui fanno eco quelle di Enrico Resmini, presidente di Fondazione Vodafone Italia, il quale commenta: “Contribuire alla ricostruzione attraverso un modello di imprenditorialità che vede il coinvolgimento di produttori locali con il supporto di grandi partner, questa la forza di Save the Apps. Va in questa direzione l’impegno di Fondazione Vodafone Italia, nella diffusione di una tecnologia promotrice di sviluppo e innovazione sociale a supporto del territorio”.
Digital support Proprio a proposito del digitale e delle nuove tecnologie, si associa a “Save the Apps” un altro recente progetto, partito a novembre. Si tratta di “Digital Support”, iniziativa che vede il coinvolgimento di giovani freschi di laurea. Promosso dalla Fondazione Merloni e dalla Fondazione Marche, tale progetto è volto alla formazione di neolaureati che siano interessati a formarsi riguardo argomenti di economia digitale. In che modo tale master si collega a “Save the Apps”? Parallelamente alla formazione teorica, infatti, i partecipanti entreranno all’interno delle imprese marchigiane per supportarle nella realizzazione di progetti digitali, sulle esigenze delle singole aziende. Quello che si intende perseguire è la creazione di una rete di interconnessione digitale tra i diversi imprenditori delle Marche, con lo scopo di sviluppare attività, creatività e valorizzazione dell’arte e dei prodotti tipici del territorio.
Photo A. Tessadori
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LE ACCISE: COSA SONO E QUANTO PESANO SUL PREZZO DEL CARBURANTE
Facendo una semplice ricerca sul web possiamo imbatterci in Wikipedia, che ci informa che il termine “accisa” deriva da una parola latina, “accidere”, che significa “cadere sopra”. Le accise infatti sono imposte indirette, che vengono aggiunte al prezzo di un prodotto. In Italia in particolare sono gravati da accise non solo i carburanti, ma anche oli minerali e derivati, tabacchi, alcolici, fiammiferi, energia elettrica, gas metano e oli lubrificanti. Questo meccanismo vale per tutti i Paesi del mondo e dell’Unione Europea, ma per quanto riguarda l’Unione Europea l’Italia si attesta al terzo posto per il “caro accise” ( solo Regno Unito e Paesi bassi hanno accise più elevate), e a livello mondiale siamo al quinto posto alla pari con la Grecia. Le accise sui carburanti sono state introdotte in varie epoche storiche, per far fronte a spese straordinarie dello Stato come guerre o calamità naturali e si configurano quindi come “imposte di scopo”, ma nonostante le emergenze siano terminate molte accise non sono state abolite e continuano a gravare sul prezzo dei carburanti. Dalla metà degli anni Novanta, quando è stato istituito il Testo Unico delle Accise, le vecchie imposte di fabbricazione istituite per finanziare specifiche iniziative (guerre o ricostruzioni) sono state abolite, ed inglobate in una unica accisa indifferenziata entrata nella fiscalità generale, senza più riferimenti agli scopi originali per cui erano state istituite. E’ quindi improprio affermare che stiamo ancora finanziando alcune vecchie imprese (come la guerra d’Etiopia), ma di fatto sono costi che gravano ancora sul consumatore.
Ma quali sono le principali accise, e quanto pesano sul prezzo di un litro di carburante? Si tratta di 17 voci, ciascuna con un proprio costo: 1. finanziamento guerra d’Etiopia del 1935-1936: 1,90 lire - € 0,000981 2. finanziamento crisi di Suez del 1956: 14 lire - € 0,00723 3. ricostruzione disastro del Vajont del 1963: 10 lire - € 0,00516 4. ricostruzione dopo alluvione di Firenze del 1966: 10 lire - € 0,00516 5. ricostruzione dopo terremoto del Belice del 1968: 10 lire - € 0,00516 6. ricostruzione dopo terremoto del Friuli del 1976: 99 lire - € 0,0511 7. ricostruzione dopo terremoto dell’Irpinia del 1980: 75 lire € 0,0387 8. finanziamento della guerra del Libano del 1983: 205 lire - € 0,106 9. finanziamento della missione in Bosnia del 1996: 22 lire - € 0,0114 10. rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004: € 0,02 11. acquisto di autobus ecologici nel 2005: € 0,005 12. terremoto dell’Aquila del 2009: € 0,0051 13. finanziamento alla cultura nel 2011: da € 0,0071 a € 0,0055 14. arrivo di immigrati dopo la crisi libica del 2011: € 0,04 15. alluvione Liguria e Toscana del novembre 2011: € 0,0089 16. decreto “Salva Italia” del dicembre 2011: € 0,082 € (0,113 sul diesel) 17. terremoti dell’Emilia del 2012: € 0,02
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E’ importante sapere che il prezzo finale del carburante è suddiviso in 3 componenti: il prezzo netto del combustibile (che comprende anche il guadagno del benzinaio), le accise e l’Iva. Dal primo gennaio 2013 il valore delle accise è stabile e immutato: - BENZINA: 0,728 euro al litro - GASOLIO: 0,61 euro al litro - GPL: 0,14 euro al litro A tali importi va aggiunta l’Iva, attualmente al 22%, ed ecco quindi come le accise pesano sul costo di 1 litro di carburante (prezzi medi nella Regione Marche al 06/12/2018): BENZINA: € 1,554/litro – accisa iva inclusa € 0,89, pari al 57,27% del prezzo al litro GASOLIO: € 1,472/litro – accisa iva inclusa € 0,74, pari al 50,27% del prezzo al litro GPL: € 0,697/litro – accisa iva inclusa € 0,17, pari al 24,39% del prezzo al litro Come è possibile vedere dunque le accise pesano molto sul prezzo finale del carburante alla pompa, ma si tratta di un’imposta prevista dalla stessa Unione Europea, che impone una quota minima di accise sui carburanti sotto la quale non si può scendere. Lo scopo dell’imposta è quello di disincentivare l’utilizzo indiscriminato di energia e soprattutto contro l’inquinamento atmosferico, di cui i combustibili per autotrazione sono particolarmente responsabili. Tuttavia l’Italia è molto sopra il minimo previsto, che è di 0,359 euro per la benzina, 0,33 per diesel e 0,125 per il gpl. Infatti per lo Stato italiano le accise sono una notevole fonte di entrate (la quarta voce di entrate tributarie in termini di importanza). Nel 2017 le accise hanno garantito al nostro Stato un incasso di 25,7 miliardi di euro: 11 miliardi di euro per i primi 6 mesi del 2018. Per lo Stato italiano si tratta dunque di entrate importanti. Si sente tanto parlare di taglio alle accise, ma come verrà recuperato il minor gettito fiscale? Per il consumatore si tratterebbe certamente di un provvedimento molto positivo con importanti ricadute in termini economici, ma il problema che resterebbe sarebbe quello di trovare la copertura finanziaria per gli importi che lo Stato non incasserà più. Loredana Baldi Adiconsum Marche
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P ERCHÉ
SCUOLA,
L’ORIENTAMENTO DOPO LA TERZA MEDIA IL CASO IIS MARCONI PIERALISI
I
In questo periodo molti genitori e figli si trovano alle prese con il momento fondamentale del post terza media: la scelta della scuola superiore. Quale direzione per raggiungere la propria meta? Un momento delicato e alquanto impegnativo, soprattutto se non si hanno le idee chiare in merito. La scelta della scuola superiore non è né facile né banale. Vi è in ballo una scelta formativa che dovrà cercare di garantire la maggior parte delle probabilità di successo nella vita. Tutto dovrebbe partire da ciò che appassiona i ragazzi: cosa vorrebbero fare da grandi, se piace loro studiare e se pensano di volere continuare con l’università oppure no, quali sono le materie per cui sono più portati e l’offerta di lavoro sul mercato di oggi. La prima cosa da sapere è che ci sono tre grandi macro-aree: i licei, gli istituti tecnici e gli istituti professionali. Ognuno di questi prevede poi degli indirizzi e corsi di studio specifici, che a loro volta possono avere altre articolazioni. Un po’ confusi? Il portale della fondazione Agnelli www.eduscopio.it vi sarà utilissimo nel scegliere la migliore scuola nel territorio. Eduscopio ha analizzato circa 7000 istituti superiori in tutta
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Italia e ha stilato una classifica dei migliori licei, dei migliori istituti tecnici e dei migliori professionali d’Italia. I criteri utilizzati per scegliere le migliori scuole superiori si sono basate su: esiti universitari e esiti lavorativi. Per approfondire meglio la tematica abbiamo scelto una Scuola incontrando il suo Dirigente. Noi di “Why Marche” abbiamo raggiunto l’Ing. Corrado Marri, dirigente fino allo scorso anno scolastico dello storico Istituto Tecnico Industriale “ Guglielmo Marconi” di Jesi, un’eccellenza marchigiana che proprio la classifica Eduscopio colloca al primo posto nella provincia di Ancona, e seconda a livello regionale, per l’indice di occupazione dei suoi diplomati, con una percentuale del 70,95%.
di Raffaella Scortichini
Come si raggiungono determinati obiettivi? Innanzitutto la scuola, esattamente come l’azienda, deve avere ben chiari: modello, vision e mission. Il nostro modello ha tre caratteristiche fondamentali. In primis è inclusivo, ovvero è attento a seguire e a portare avanti tutti, con l’attitudine a dare tanto ma di pretendere poi altrettanto da ciascuno. Il nostro obiettivo è sviluppare il “capitale umano” di ogni ragazzo ospite di questo istituto. Il percorso educativo prevede un approccio quasi personalizzato, questo per dare a tutti la possibilità di tendere al successo formativo. Poi è meritocratico, ovvero ripaga quei ragazzi che hanno risposto a questo approccio con sacrificio e impegno. Infine è orientativo, nel senso che non può prescindere dal rispondere
La fusione dell’Istituto Tecnico Industriale Guglielmo Marconi e dell’Istituto Professionale Egisto Pieralisi presuppone una nuova vision e nuova mission. Una bella sfida per il dirigente alla guida del Marconi dal 2016. Indubbiamente sì. Questa estate già lavoravo alla redazione di una guida funzionale volta all’identificazione di una mission che avesse avuto come obiettivo primario l’integrazione responsabile e consapevole dei due istituti originali. Ho delineato un piano con le prime linee strategiche e rigorose, onnicomprensive sia degli ambiti disciplinari che valutativi. Di fondamentale importanza è stato il confronto con il team dei docenti del Pieralisi che si è rivelato molto disponibile, ben predisposto nel voler dare all’esterno un’immagine diversa dallo stereotipo degradato degli istituti professionali e soprattutto voglioso di poter svolgere al meglio il proprio ruolo di educatori. Così l’idea della fusione è passata come un arricchimento per entrambi gli istituti. Per cui oggi siamo pronti e coesi nel proporre attraverso l’Istituto di Istruzione Superiore Marconi Pieralisi sia un’istruzione tecnica con gli indirizzi Elettronica ed Elettrotecnica,
nel corso del percorso formativo a tre domande: stai facendo quello che ti piace? Ti appassioni a quello che fai o vorresti fare qualcos’altro? Questo perché è importante che i ragazzi siano interessati a ciò che si fa in questa scuola, e noi addetti abbiamo l’obbligo di aiutarli a far venir fuori le loro passioni e a non trattenerli se è per il loro bene. Se ci si accorge che le lettere antiche piacciono di più dobbiamo lasciarli andare al liceo classico, così se si scopre la vena artistica che vadano al liceo artistico e così via. L’obiettivo non sono i numeri ma la qualità, puntando a lavorare con persone che si trovano bene in questo istituto, che si interessano a quello che facciamo e a ciò che insegniamo. Solo così lo sforzo che chiediamo ai ragazzi non sarà vissuto come tale.
Informatica e Telecomunicazioni, Meccanica e Meccatronica, sia un’istruzione professionale con gli indirizzi Industria e Artigianato per il Made in Italy e Manutenzione ed Assistenza Tecnica. Il tutto all’interno di un unico edificio e sotto un’unica “regia”, con oltre 900 studenti (circa 650 al Marconi e 300 al Pieralisi), 47 classi e un’unica vision: quella di offrire al territorio un polo tecnico scientifico di eccellenza, la cui referenza riconosciuta sia quella di una scuola seria che richiede impegno e sacrificio ai suoi studenti, ma che garantisce loro le adeguate competenze in materia di cittadinanza attiva e in ambito professionale, per le sfide post diploma nel mondo del lavoro e negli studi universitari.
Il professionale da sempre viene visto come un indirizzo di studio di serie B. Che cosa cambierà con la fusione? Sostanzialmente il rigore operativo e di conseguenza il messaggio verso l’esterno. Una profonda revisione della formazione professionale è pronta a sfornare profili sempre più richiesti da industria (e moda). Va cancellata l’idea che ci si iscrive al professionale perché non si ha voglia di studiare.
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P E R C H ÉÈ Mentre per il tecnico? Siamo da anni Scuola 2.0, una scuola che usa didattiche innovative con tecnologia di laboratorio all’avanguardia. Tutte le aule hanno la LIM, la nuova lavagna elettronica che ha soppiantato la tradizionale lavagna in ardesia con i suoi gessetti e cancellino. I ragazzi seguono le lezioni con i device propri (tablet, notebook, smartphone). La vicinanza con il mondo del lavoro è una caratteristica fondamentale di questa scuola. L’alternanza scuola-lavoro viene fatta in modo eccellente. Siamo in contatto con le maggiori realtà del territorio: Loccioni, Paradisi, CNH Industrial, società leader nei loro settori con i quali abbiamo dei rapporti di collaborazione di altissimo livello. I nostri ragazzi vengono ospitati, fanno 400 ore in un triennio per arrivare a delle competenze ben precise. Si va in alternanza scuola-lavoro sapendo già che cosa si farà, quale è il percorso e quali sono gli obiettivi a cui si deve giungere, tutti aspetti delineati fin dall’inizio con l’azienda. Un’altra cosa importante è che viene fatta una valutazione del percorso dell’alternanza scuola-lavoro che ricade sulle materie e va a finire nello scrutinio finale. Questo dà delle capacità professionali molto specifiche che vanno ben oltre la didattica di tipo tradizionale.
Ci parli di queste due importanti collaborazioni: Fondazione Salesi onlus e Adecco/Siemens. Con la Fondazione Salesi onlus è stato sottoscritto un accordo nel 2017 che ci vede partecipi ad una loro importante esigenza, quella dell’utilizzo della Robot Therapy (la terapia con robot umanoidi) in alcuni casi delicati di bambini ammalati che debbono subire interventi o terapie
pesanti. In quel caso un robot umanoide diventa un coach che distrae i malati da determinate situazioni e crea storie, favole. La fondazione si è rivolta a noi perché abbiamo al nostro interno un robot che programmiamo didatticamente e che si chiama NAO. Tutti ragazzi del terzo anno 2017/2018 hanno partecipato alla selezione per poter arrivare a far parte di una squadra da integrare in un team della fondazione per programmare il robot sulla base degli input del comitato dell’ospedale. Sono 20 i ragazzi selezionati e che da quest’anno parteciperanno a questo tipo di progetto. È un’alternanza scuola-lavoro a tutti gli effetti che vedrà i ragazzi protagonisti dalla programmazione al collaudo finale. Una sorta di esperienza a tutto tondo che va al di là della mera parte tecnica portando con sé anche quella umana. La seconda collaborazione vede Siemens e Adecco insieme. Siemens ha scelto noi come unico istituto nelle Marche, riconoscendoci l’attività di polo di formazione ben radicato nel territorio. Nel concreto è stata scelta una classe terza articolata dove al suo interno ci sono sia meccatronici che automatici: la collaborazione durerà tutto il triennio. La formazione coinvolgerà Adecco per ciò che riguarda l’ambito delle soft skills (l’approccio al lavoro, come creare un curriculum, la resistenza allo stress, il problem solving, ecc.) e Siemens per tutta la parte di automazione. Gli studenti verranno mandati in aziende in cui sono utilizzate attrezzature Siemens per poter applicare le nozioni tecniche apprese da questi professionisti. Due opportunità di grande formazione!
Saper parlare e coinvolgere, come comunicare con i ragazzi? In merito vi posso riportare un frammento di esperienza del discorso di inizio anno agli alunni delle prime classi. Volutamente in questo contesto ho utilizzato i termini mission e vision per attirare la loro curiosità, ma ho parlato anche di cittadinanza attiva, del saper vivere, del sapersi presentare, del saper parlare senza usare il dialetto tutte cose che dovrebbero aiutarli ad inserirsi nel mondo dei grandi. Il ritorno delle considerazioni dopo l’incontro è stato una gran bella soddisfazione. A parte aver compreso i miei obiettivi, le regole, i due termini mission e vision (non del tutto scontati) dal feedback di questi giovanissimi è emerso che sono un dirigente esigente ma che opero per il loro bene. Questa è per me la vera ricompensa al lavoro che svolgo.
Robot NAO,
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programmato dai ragazzi dell’istituto e utilizzato per la Robot Therapy in collaborazione con la Fondazione Salesi onlus
La scuola, per far fronte ai rapidi e imprevedibili cambiamenti della società nella cultura, nella scienza e nella tecnologia, deve fare in modo che le giovani generazioni sviluppino competenze. Quanto contano per lei? Tantissimo. Vi porto un esempio per far capire la differenza tra contenuti, abilità e appunto le competenze e quanto quest’ultime siano importanti. Prendiamo i fari fendinebbia di un’auto: i contenuti sono il fatto che so spiegare che in un’automobile ci possono essere dei fari che riescono a bucare la nebbia e ti permettono di viaggiare meglio. L’abilità è: ti faccio salire in auto, ti mostro un determinato pulsante che se lo alzi fa accendere i fari fendinebbia e se lo abbassi li spegne; la competenza sta chiaramente nell’attivare questi fari quando c’è la nebbia. La competenza quindi altro non è che l’uso pratico di quello che si è studiato, ma soprattutto con essa si prende coscienza che quanto si è studiato serve effettivamente a qualcosa.
Il dialogo tra scuola e famiglia, necessario per la crescita culturale e per la formazione dei giovani, è un momento imprescindibile del progetto educativo che la scuola si propone di attuare con modalità di informazione, comunicazione e collaborazione serena e costruttiva. Spesso però questo anello è molto debole: lei cosa ne pensa?
Diventa importante investire su contesti partecipati in quanto il sentirsi parte costituisce la più efficace forma di prevenzione del disagio e di promozione sociale dei giovani e della famiglia. Ad inizio anno, a gennaio, faremo un corso per le famiglie in modo che i genitori sappiano usare bene il registro elettronico, quella grande risorsa che ci permette in maniera attiva di raggiungere ed informare tutte le famiglie con un click. Altra bella cosa il bilancio sociale: a fine 2019 tutte le scuole saranno chiamate a fare un bilancio sociale attraverso il quale si dovrà rendere conto al territorio, e quindi in primis alle famiglie, di quanto fatto nel triennio, in questo caso 2016/2019, mettendo a confronto obiettivi proposti con quanto effettivamente fatto attraverso un incontro pubblico. La scuola sempre più deve essere a disposizione del territorio. Io non debbo chiudere la porta dicendo: “siamo bravi lavoriamo, perché se siamo bravi ce lo debbono dire gli altri e gli altri debbono sapere quello che facciamo”. C’è poi in ballo un’altra idea, che è quella di fare un corso di italiano L2 non solo ai ragazzi stranieri, ma anche ai rispettivi genitori favorendo così una comunicazione che attualmente, in alcuni casi, è inesistente. Sarà proprio l’Ing. Marri, nelle prossime domeniche destinate alla Scuola Aperta, 16 Dicembre e 13 e 20 gennaio, a presentare l’offerta formativa e gli obiettivi, la vision e la mission di una scuola che guarda sempre all’innovazione e che forma competenze adeguate alla realtà economicoaziendale del suo territorio e dell’hinterland.
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S PIRITO
IL CUORE DELLE GROTTE OSIMANE NELLA MUSICA DEGLI
C
ORPHAN BRIGADE
osa ci fa un gruppo musicale americano, strumenti alla mano, nelle grotte di Osimo? Come molti, grandi eventi, tutto nasce per caso. Durante il tour per promuovere il loro disco “Soundtrack To a Ghost Story”, gli Orphan Brigade, questo il nome della band, si trova a suonare a Recanati. Il giorno successivo i tre componenti, Ben Glover, Joshua Britt e Neilson Hubbard, durante una pausa prima della partenza per la data successiva vengono portati a visitare le grotte di Osimo, accompagnati dalla storica e guida locale Simona Palombarani. I cunicoli si snodano per circa 10 km sotto la cittadina e risalgono a circa 2500 anni fa, scavati come camminamenti difensivi e labirintici passaggi segreti. Percorsi da santi e ordini segreti di cavalieri, che hanno lasciato segni misteriosi ed evocativi nelle pareti, le grotte sono rimaste intrise di questo misticismo e questa spiritualità che si respirano in tutto il loro intricato svolgersi. Proprio quest’atmosfera ha stregato e ispirato la band che già alla loro prima visita: hanno scritto la canzone “Osimo (Come to life)”. Pochi mesi dopo il gruppo è tornato nell’ipogeo osimano per registrare un intero album al suo interno. Da questo entusiasmante progetto è nato “Heart of the Cave”, con le sue sonorità che si intrecciano, proprio come le gallerie, tra folk, irish music, country e altro ancora. Le tredici tracce del disco sono un omaggio esplicito a Osimo, citato nel titolo di due canzoni (anche col suo soprannome: “la città delle cento chiese”) e a quella magia che i tre artisti hanno respirato, attraverso un percorso spirituale che li ha coinvolti come coinvolgeva i frati che nel sottosuolo cercavano un collegamento con l’al di là. È questo il filo conduttore del concept album, un viaggio che porta a riscoprire la propria spiritualità e ci invita, attraverso un confronto con la morte esorcizzata dai suoi connotati lugubri e spaventosi,
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di Fabrizio Cantori a riflettere sul ciclo della vita ed i suoi significati più profondi. Ne abbiamo parlato col cantautore Ben Glover, irlandese di Belfast ma da tempo trapiantato a Nashville, che a nome di tutta la band rivive con noi questa incredibile esperienza.
Come siete capitati proprio a Recanati, e in seguito ad Osimo? Cosa ha guidato questa scelta? Durante il 2016 eravamo in tour in Italia e uno dei concerti era a Recanati. Il nostro agente, Andrea Parodi, pensò che potessimo essere interessati alle caverne di Osimo, quindi organizzò una visita con Simona Palombarani. Quella fu la nostra connessione iniziale.
Qual è stata la prima sensazione che hai provato entrando nelle grotte? Abbiamo subito percepito un’autentica sensazione della storia e del mistero delle caverne. Era come se stessimo scendendo in un altro mondo, una specie di regno magico. Abbiamo sentito un legame con l’energia delle caverne.
Cosa significa, a livello musicale, suonare e registrare in un luogo così insolito? Parte dell’idea dietro la formazione della nostra band, è che ci mettiamo in luoghi insoliti e stimolanti per attingere allo spirito del posto. Lo abbiamo fatto con il nostro primo album, Soundtrack To A Ghost Story, e così Osimo ci è sembrato il posto perfetto in cui creare il nostro secondo album. Musicalmente siamo stati in grado di avventurarci in nuovi suoni e paesaggi grazie alla storia unica e all’energia delle caverne. Le leggende e la storia erano come nuovi percorsi in cui entrare e la musica il mezzo che abbiamo usato.
Oltre le grotte, hai avuto modo di visitare Osimo e i suoi dintorni? Cosa ti ha colpito? Amiamo la Regione Marche, le sue bellissime terre, la storia e la sua gente. Tutte queste cose hanno avuto un grande impatto su di noi.
Una canzone è dedicata a San Giuseppe da Copertino. Cosa ti ha colpito della sua figura? Siamo rimasti molto incuriositi dalla tragedia della storia di Giuseppe. Qui c’era un uomo benedetto con doni unici
e uno spirito unico, ma furono proprio queste cose a far sì che la sua vita fosse piena di sfide e difficoltà. La profondità della sua fede e i suoi poteri quasi soprannaturali erano sorprendenti. Una volta che abbiamo ascoltato la sua storia, sapevamo che dovevamo metterlo in una canzone.
Durante la vostra permanenza in Osimo avete anche vissuto i giorni del terremoto, che pervade alcune tracce dell’album. Come hai vissuto questa esperienza? Abbiamo vissuto il primo terremoto mentre stavamo mangiando in un ristorante e questo ci ha sicuramente scossi! Non avevamo mai sentito un terremoto prima, quindi era tutto molto allarmante. Il più grande dei terremoti si è verificato una mattina presto quando eravamo ancora a letto. Ci trovavamo al terzo piano, ma sapevamo che era troppo rischioso andare giù per la tromba delle scale. Ci sentivamo come intrappolati e faceva paura. Tutto questo ha ispirato la canzone ‘The Birds Are Silent’, quindi almeno abbiamo fatto uscire l’arte da un’esperienza spaventosa!
Nel libretto del disco citate il motto “Veritas vos liberabit”, la verità vi renderà liberi. Quale verità hai trovato all’interno delle grotte? Le caverne sono un simbolo meraviglioso di come dobbiamo guardarci dentro per trovare le cose che ci renderanno liberi. Il nostro viaggio e il lavoro nelle caverne hanno sottolineato per noi che il vero e le verità si trovano all’interno di noi stessi. La verità è personale per ciascuno di noi, ma il filo comune è che dobbiamo guardarci dentro.
Quali progetti hai per il futuro? Hai in mente di tornare a Osimo o comunque nelle Marche? Ci stiamo preparando a scrivere e a registrare il terzo album degli Orphan Brigade nel nord dell’Irlanda, da dove io provengo. Sono davvero entusiasta di tornare a casa per creare questo disco e sarà un’esperienza davvero speciale per me. Neilson, Josh e io abbiamo tutti una carriera da solisti e siamo impegnati con quella quando non lavoriamo come Orphan Brigade. Vogliamo assolutamente tornare ad Osimo per il tour, forse nel 2020. Sentiamo di avere un legame speciale con questo luogo ed è importante per noi mantenere il rapporto con esso. Photos Bruno Severini
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S PIRITO
CluÆsis:
tra indizi e indovinelli, un fumetto per far conoscere un luogo turistico Ma che cosa è CluÆsis?
È un fumetto fotografico, una guida turistica, un percorso ludico che ha lo scopo di raccontare la città di Jesi. Il nome deriva dalla crasi tra “Clue”, che significa indizio, e “Aesis”, cioè Jesi. Il format, in collaborazione con il Comune e la ProLoco, è stato ideato da due giovani jesini: Veronica Sassaroli e Andrea Laudazi, che grazie proprio a curiosi indizi e nozioni storiche faranno conoscere Jesi in modo nuovo. Gli ingredienti? Un fumetto fotografico, un font da comic book, il centro storico di Jesi e l’intenzione di riportarne alla luce alcuni misteri. La nascita di questo nuovo progetto deriva dall’intuizione che troppo spesso ignoriamo le bellezze storiche che sono sempre di fronte ai nostri occhi e dalla conseguente volontà di farle notare. Un esempio: in molti sono rimasti sorpresi dall’indovinello che conduceva all’ “Appannaggio” (“Altri venticinque come questo, protetti da sei leoni e sei donne, ti indicano qual è il cammino vicino all’antica casa delle nere gonne”), perché non avevano mai fatto caso, nonostante le numerose passeggiate per il corso, agli elementi architettonici citati nell’indizio. Gli ideatori stessi, oltre ad un’approfondita ricerca su decine di libri, hanno anche effettuato dei sopralluoghi per notare ciò che, vivendo la città quotidianamente, poteva essergli sfuggito. La scelta del format ha permesso di sfruttare il mezzo fotografico per mostrare monumenti ed edifici storici della città proprio come in una guida turistica. Per la fotografia un ampio supporto è arrivato da Alessandro Tesei e Francesco Coppari della Pro Loco di Jesi. Inoltre, si è voluto far coincidere l’uscita della prima puntata con i settant’anni dal primo fumetto fotografico della Bolero film, un prodotto molto apprezzato dagli americani che lo hanno utilizzato come modello per gli storyboard impiegati nel cinema. Tutto il progetto è stato studiato in modo da poter pensare alla sua replicabilità in altre città marchigiane. Il nodo narrativo principale si fonda sulla risoluzione di enigmi, congiunto a un percorso di ricerca, che si snoda per le vie del centro storico. Ogni enigma riguarda un monumento o edificio storico e viene proposto al lettore al termine di ogni “puntata”. La risoluzione dello stesso conduce alla location successiva. Il fumetto fotografico comprende 12 episodi, ognuno dei quali tratta un’evidenza storica cittadina. Nella struttura del racconto sono sempre presenti alcuni elementi narrativi, che fungono da fil rouge, quali l’enigma, l’aneddoto sul luogo, la nozione storica e la 66 | WHY MARCHE
di Raffaella Scortichini spiegazione dell’indovinello precedente. Nella progettazione Veronica e Andrea si sono lasciati ispirare da alcuni must della “Settimana Enigmistica”. Inoltre è stata inserita una trama secondaria, consistente nella love story (pensata per interessare una fetta di pubblico più giovane) tra i due protagonisti, Bianca e Federico, che prendono il nome da Federico II e Bianca Lancia. Stando ai documenti studiati in fase ideativa quest’ultima parrebbe essere l’unica moglie che Federico II abbia realmente amato. Si è voluto creare un paradosso: nemmeno Federico conosce così bene la sua “Betlemme” ed è tempo che s’impegni a riscoprirla. Ad interpretarli sono stati due ragazzi della zona, Eulalia Mazzarini e Nicholas Profili. Il progetto è nato con lo scopo di valorizzare, in maniera semplice ma innovativa, il patrimonio storico-culturale di Jesi, rendendolo appetibile anche per i più giovani, grazie al linguaggio impiegato, ma anche per i turisti, tramite una proposta di gioco/ itinerario/percorso che diverta, istruisca e
illustri, al contempo, i luoghi e le attrattive locali. L’intento, più in generale, era quello di coinvolgere ed incentivare la conoscenza del patrimonio storico-culturale della città e d’insinuare nella cittadinanza il desiderio di conoscerne ed esplorarne i luoghi. La prima fase di realizzazione del progetto si è svolta esclusivamente online. Le puntate venivano aggiornate tramite un’apposita pagina Facebook. Inizialmente sui monumenti venivano appoggiate, nel massimo rispetto del bene culturale, delle targhe in legno, incise con pirografo e riportanti l’indovinello, come si vedeva nel fumetto. La realizzazione è da attribuirsi al lavoro di Serena Micciarelli della Pro Loco di Jesi. Successivamente si è deciso di sostituirle con dei modelli plastificati, perché la fatica di realizzarle non era ricompensata dal fatto che ripetutamente venivano rubate. Il passo successivo di CluÆsis è la stampa cartacea del fumetto, che dal 2019 sarà distribuito all’Ufficio Turismo e nelle scuole aderenti al progetto.
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S PIRITO
28%
Il punto 20%
MANGIARE BENE IL MOMENTO DI MAGGIOR APPAGAMENTO
G
STARE CON AMICI E FAMIGLIA
17%
DORMIRE
dei
marchigiani Giusto un mese fa iniziavano i primi weekend di pioggia e arrivava anche il cambio dell’ora: una ricerca realizzata da Opinium, attraverso 2.000 interviste online su un campione nazionale rappresentativo della popolazione italiana adulta (a partire da 18 anni) condotte da 1 a 8 ottobre 2018, svela i piaceri che accendono la stagione autunnale dei marchigiani.
Il vero godimento culinario?
27% FRUTTI DI MARE 25% PANE E CIOCCOLATO 21% COMFORT FOOD Alcune curiosità? Se il rosso passione è il colore più associato al punto G (44%), oltre un marchigiano su 2 ritiene che il piacere raddoppi se condiviso, mentre il 34% ama rilassarsi da solo immerso nei propri pensieri. Ma cosa significa per gli italiani, e i marchigiani in particolare, soddisfare il proprio “punto G” e vivere momenti di piacere?
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I mille volti del punto G: la compagnia di amici e parenti, cibo e relax L’indagine svela che il momento più appagante per i marchigiani è il mangiar bene: secondo il 28% degli intervistati il cibo di qualità è piacere per le papille gustative, amato soprattutto dagli uomini (19%) e nella fascia di età 25-34 (20%). Segue al secondo posto il tempo trascorso con amici e famiglia (20%). L’affetto delle persone care regala momenti di puro piacere, una sensazione che diventa ancora più importante nella fascia degli over 65 (51%). Terzo posto per il dormire, appagamento totale per il corpo e la mente: i marchigiani si dimostrano pigri e dormiglioni, con il 17% delle preferenze. Fanalino di coda sono la sensazione di appagamento data dai momenti di relax e l’adrenalina del fare sport: secondo solo il 13% dei marchigiani un massaggio, un trattamento alla spa o essere sportivi permettono di estraniare la mente e liberarsi da ogni pensiero. Se è una certezza che mangiare può rappresentare un’esperienza di grande piacere, per il 36% dei rispondenti sono le ricette che rendono piacevole un piatto, come i cibi vengono cucinati e abbinati, mentre per il 23% è in particolare la qualità del cibo e la freschezza degli ingredienti e la raffinatezza di piatti ricercati e gourmet che soddisfano il gusto. Solo il 19% dei marchigiani si dichiara appagato dal cibo “godurioso”, come fritti, salse, dolci da glicemia, vino a litri - percentuale che sale al 26% nella fascia 18-24 anni. Poiché spesso il piacere è invece associato al relax di un momento SPA, la ricerca ha chiesto ai marchigiani quale esperienza rilassante riesce a lasciarli più appagati. Andando per grado di soddisfazione, “vincono” i bagni termali e idromassaggio che lasciano completamente appagato il 54% degli intervistati percentuale che arriva al 75% nelle donne. Segue un bel massaggio - completamente soddisfatto il 51% dei marchigiani. Terzo posto per una completa beauty session (44%), seguita subito da sauna/ bagno turco, che raccoglie il 34% delle preferenze.
Le combinazioni di cibi che rendono più appagante il momento del mangiare Che il cibo rappresenti un punto G è un risultato lampante. Ma quale combinazione di cibo è la più piacevole, da gustare davvero ad occhi chiusi per concentrarsi sul gusto e sul sapore? Quali cibi, insieme, danno piacere a tutti i sensi? Per il 27% dei marchigiani sono i frutti di mare, cibo che sembra appagare soprattutto gli over 65 anni, per i quali la percentuale sale al 46%. Segue un classico del godimento culinario, un cibo povero che dà ricchezza al palato: pane e cioccolato (25%). Non può mancare un po’ di comfort food, come hamburger, pizza e patatine fritte (21%): non il massimo per la dieta, ma il massimo del piacere (percentuale che sale al 31% nella fascia 18-24 anni, e al 28% nella fascia 25-34 anni). Poco interesse infine per il classico fragole e champagne (17%) e il peperoncino, l’afrodisiaco per eccellenza (5%).
Con chi si ama vivere i momenti di piacere e ogni quanto tempo? Si dice che il numero perfetto sia il tre, ma evidentemente non vale quando si parla di punto G! Secondo l’indagine, infatti, il due sembra essere il numero del piacere. Attenzione: non si parla solo di attività sotto le lenzuola! Oltre la metà dei marchigiani (57%) ritiene infatti che ogni tipo di piacere, se condiviso con un’altra persona, raddoppia. Ci sono invece quelli che trovano appagamento solo nel silenzio dei propri pensieri: per il 34% degli intervistati relax e armonia sono momenti da vivere – rigorosamente - da soli. Non molti, ma decisamente entusiasti, infine, i marchigiani che pensano che le esperienze più piacevoli siano legate al divertirsi e godere con gli altri di un’esperienza corale: il 9% ritiene che più si è, più ci si sente appagati da quello che si sta vivendo. Che sia un’esperienza di relax, di gusto, di piacere o di puro divertimento, il 37% dei marchigiani si concede un momento “punto G” almeno una volta a settimana, come una cena in un locale raffinato con il proprio partner di venerdì sera. Il 27% invece ha risposto “ogni giorno mi concedo piccoli piaceri”, magari un cioccolatino col caffè o anche solo bagno rilassante nella vasca di casa.
Punto G e qualche curiosità. I sensi, la stagione ed i colori del piacere Non si può parlare di Punto G senza pensare all’appagamento dei sensi. Ma se il luogo comune probabilmente lo assocerebbe al tatto, l’indagine di Groupon ha rivelato un podio diverso. Si aggiudica infatti il primo posto in questa classifica il gusto: secondo infatti il 36% dei marchigiani il piacere del cibo è il piacere con la P maiuscola con un picco nella fascia 25-34 anni in cui sale al 30%. Segue al secondo posto la vista: che sia una persona, che sia un tramonto, che sia una ricetta ben impiattata, i marchigiani devono “vedere” il piacere. Ne è convinto il 23% degli intervistati (percentuale che sale al 51% per la fascia degli over 65 anni). Terzo classificato l’olfatto: secondo il 20% dei marchigiani profumi e odori sono in grado di accendere i sensi, evocando in modo molto forte i ricordi legati ad una persona o, perché no, ad un piatto prelibato.
Uno sguardo ai colori. Guardando ai colori cui si associa maggiormente l’appagamento, il rosso, il colore del fuoco che tutto brucia, come la passione e l’amore, ha convinto il 44% dei marchigiani. Segue subito dopo il blu, come l’acqua, il colore della calma, della pace interiore e dell’armonia che raccoglie il 43% delle preferenze. Terzo posto per il verde (7%), come un prato su cui dormire guardando il cielo, che richiama la vita e la crescita, ma anche la stabilità. Infine il giallo, come il sole, un colore caldo e luminoso, che suggerisce cambiamento e ricerca del nuovo (6%).
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S PIRITO
Un buon anno porta buoni frutti Un giorno accadde 1° gennaio 1948. Entrava in vigore la Costituzione Italiana. In 139 articoli, vennero fissati i principi e la struttura della forma di governo che gli italiani avevano preferito alla monarchia con il referendum del 1946. Approvata il 22 dicembre 1947, la Carta fu firmata il 27 dicembre da Enrico de Nicola, primo Presidente della Repubblica.
Ho sognato… ... una stella – 84 –
Le stelle segnano, come fari luminosi, il cammino di coloro che, tanto in sogno quanto nella realtà, si accingono con la forza e la tenacia ad interpretare i segreti nascosti nel profondo della loro anima. Sognare la stella del mattino è di buon auspicio e annuncia che ciò che abbiamo desiderato si realizzerà presto. Anche sognare una stella solitaria è una visione che promette felicità: indica che molti dei nostri desideri stanno per diventare realtà.
Barbanera buongustaio Tortino di Verdure allo Zafferano Tempo (min.): 75 Difficoltà: facile Calorie per porzione: 475 INGREDIENTI (per 4 persone): 3 patate - 4 carciofi - 2 cipolle - 4 salsicce - 2 uova - un bicchiere di latte – una bustina di zafferano - 10 g di burro - 3 cucchiai di olio extravergine di oliva - sale e pepe. Cuocere le patate in acqua salata per 10 minuti dal momento dell’ebollizione, colarle, pelarle e tagliarle a fette. Soffriggere le cipolle tritate in olio, unire i carciofi tagliati a spicchi, le salsicce sminuzzate e le patate. Salare, fare insaporire e passare il tutto in una pirofila imburrata. Coprire con le uova sbattute con latte, zafferano e un pizzico di sale e pepe, e infornare a 200 °C per mezz’ora. 70 | WHY MARCHE
L’oroscopo di Barbanera BUONE ECOPRATICHE
ARIETE Potreste incontrare qualcuno che vi darà l’appoggio necessario per far ripartire un progetto in stand by o per mettere in pratica le vostre capacità organizzative.
BILANCIA Tra gli amici vi fate un’ottima pubblicità e riscuotete successo. Avete carisma, equilibrio, e con le vostre trovate vi aggiudicate un buon seguito di fans!
PULIZIE ECOLOGICHE
TORO Per quanto ci sia qualche pensiero che vi turba, riuscite a non dedicare alle preoccupazioni più energie del necessario, mantenendo un atteggiamento sereno.
SCORPIONE Il forte ascendente che esercitate sugli altri, insieme alla vostra tenacia, vi consentiranno di aprire porte che ormai sembravano irrimediabilmente chiuse.
PESCANDO QUA E LÀ!
GEMELLI Tanta la voglia di darvi da fare: vi butterete a capofitto nelle vostre attività, ricevendo grandi elogi e riconoscimenti consistenti. Vita affettiva in stallo.
SAGITTARIO Dovrete fronteggiare imprevisti o adattarvi a nuove situazioni, e questo vi sarà di sprone per essere flessibili e creativi. Preparatevi a fare scelte accorte.
d’Inverno
CUSCINI “SOSTENIBILI”
Se state per buttare un cuscino o un vecchio piumino, date prima un’occhiata alla stanza da letto e al resto della casa. Potreste accorgervi che un altro piumino, oppure qualche guanciale, hanno bisogno di riacquistare un po’ di volume. In questo caso, prelevate l’imbottitura dal vecchio copriletto e usatela per il “nuovo”, ovunque occorra. Un panno di microfibra, prima che si consumi e debba essere sostituito, può fare il lavoro di ben sessanta rotoli di carta! Inoltre, nel pulire le superfici con un detergente, spruzzandolo sul panno invece che sulla superficie, si risparmierà notevolmente anche sul prodotto. Per il detersivo della lavatrice, poi, meglio usare i misurini: spesso, infatti, si esagera e troppo detersivo non solo è uno spreco di denaro, ma finisce anche con l’inquinare l’ambiente. Labbra a prova di bacio Per nutrire e proteggere le labbra messe a dura prova dal freddo potete preparare anche in casa un balsamo, anche più efficace del burro di cacao. Fate sciogliere a bagnomaria 20 g di burro di karité, toglietelo dal fuoco, fatelo intiepidire e poi aggiungete un cucchiaino di olio extravergine di oliva e 10 gocce di olio essenziale di mandarino. Mescolate il tutto, versatelo in un barattolino con un coperchio e usatelo tutte le volte che ne avete bisogno.
CANCRO Riuscirete a risolvere problemi di vario genere e a fare le scelte giuste. Negli affari, la capacità di analisi e un fiuto eccezionale vi saranno di aiuto. LEONE Sembra proprio che sia il momento di prendere in mano le redini di una situazione che può avervi causato preoccupazioni professionali. Pretendete chiarezza. VERGINE Dolcezza e abilità vi consentiranno di avanzare richieste, ampliare l’attività e anche di sganciarvi da situazioni poco soddisfacenti, legami affettivi inclusi.
CAPRICORNO Non mettete da parte i vostri sogni e le aspirazioni: nel giro degli amici e delle vostre conoscenze potreste trovare la persona che vi aiuterà a realizzarli. ACQUARIO Siete allegri, sereni, tutto vi entusiasma e avete una carica da leoni! Cambiamenti e progetti a breve scadenza. Grandi e positive trasformazioni in atto. PESCI Non sottovalutate il vostro intuito, capace di guidarvi dove non pensavate di arrivare. Un progetto si evolve diventando qualcosa di diverso e anche migliore.
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EVENTI
DICEMBRE - GENNAIO 2018-19
MOSTRA LORENZO LOTTO IL RICHIAMO DELLE MARCHE dal 19 ottobre 2018 al 10 febbraio Macerata
PRESEPE DI SAN MARCO
Falerone (FM) 26 dicembre
MOSTRA DI MARIO GIACOMELLI
Ascoli Piceno (AP) Fino al 6 gennaio 2019
INFINITO LEOPARDI
Dal 21 dicembre 2018 al 20 maggio 2019 Recanati (MC)
PRESEPE VIVENTE DI GENGA
Genga (AN) 26 e 30 dicembre
FERMO MAGICA
Fermo (FM) Fino al 13 gennaio
PRESEPE VIVENTE DI PRECICCHIE
Piobbico (AN) 26 dicembre e 1-6 gennaio
FESTA NAZIONALE DELLA BEFANA
Urbania (PU) 4-5-6 gennaio
#ROSSINI150
sino al 2019 www.gioachinorossini.it
Un nuovo Anno di FelicitĂ
CAMPAGNA ABBONAMENTI
2018/19
6 NUMERI 5,00
SPESE DI SPEDIZIONE INCLUSE
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