Appunti
Gestione delle imprese di assicurazione
Gestione delle imprese di assicurazione – Il rischio assicurativo
Il rischio assicurativo
Il rischio viene gestito secondo diverse modalità, a seconda del grado di significatività del potenziale danno derivante dal sinistro e la probabilità che questo si verifichi. Avremo quindi dei rischi con:
elevata probabilità e alta significatività bassa probabilità e alta significatività elevata probabilità e bassa significatività bassa probabilità e bassa significatività
Le tecniche di gestione del rischio che è possibile adottare sono:
la ritenzione o autoassicurazione, qualora il rischio abbia una bassa probabilità o significatività. A volte l’impresa può optare per tale tecnica a causa di un’errata percezione del rischio, sottovalutandolo le tecniche di controllo, di prevenzione, di riduzione e di diversificazione, finalizzate a ridurre la probabilità del rischio attraverso idonee misure il trasferimento del rischio, tramite il quale le conseguenze dannose derivanti da un sinistro vengono trasferite ad un soggetto terzo, dietro pagamento di un premio. Una situazione aleatoria caratterizzata da un rischio diventa una posizione certa
Per avversione al rischio/propensione al rischio si intende il grado di rischio che un soggetto è disposto a sopportare e può essere misurato dal premio che intende incassare per esporsi ad un rischio o dal premio che è disposto a pagare per trasferirlo
La legge dei grandi numeri La frequenza statistica è tanto più prossima alla probabilità dell’evento quanto più elevato il numero delle osservazioni effettuate. L’impresa di assicurazione può prevedere la probabilità di un certo evento osservando la frequenza passata dell’evento considerato; tali previsioni sono tanto più precise quanto più ampia è la base statistica considerata. La frequenza f tenderà alla probabilità p tanto più quanto più elevato è il numero delle n osservazioni. A tal proposito, è assai importante la dimensione del portafoglio: tanto più ampio e rappresentativo è il portafoglio rispetto alla popolazione in esame, tanto più precise sono le stime e le distribuzioni di frequenza. Con un portafoglio rischi più ampio, le imprese di assicurazione riescono a fare delle stime più precise delle probabilità di un evento rischioso, tramite cui vengono poi calcolati i premi da far pagare. È il cosiddetto effetto pooling. Eventuali scostamenti tra la probabilità effettiva e quella stimata possono portare a perdite inattese, che devono essere coperte dal capitale dell’impresa di assicurazione.
2
Gestione delle imprese di assicurazione – Il rischio assicurativo
Il principio di mutualità L’impresa che opta per l’autoassicurazione deve far fronte a tutto l’ammontare dei danni derivanti dal manifestarsi di un evento rischioso, ossia al costo totale da sostenere per ripristinare la situazione antecedente al sinistro. L’impresa deve quindi accumulare tutto il capitale necessario per fronteggiare gli eventuali fabbisogni futuri. L’impresa che preferisce l’assicurazione entra a far parte di una collettività di assicurati: i premi pagati dagli assicurati verranno utilizzati per rimborsare i danni subiti dai membri della collettività sinistrati. Non tutti i membri subiranno il sinistro, ma anch’essi contribuiscono a pagare i danni subiti da altri membri della collettività. Opera il principio di mutualità e ciascun soggetto pagherà un premio commisurato alla probabilità di accadimento dell’evento, che viene stimato sulla base della frequenza empirica. Il principio di mutualità può essere applicato sia dai mutui soccorsi sia dalle assicurazioni. Nel caso dei mutui soccorsi, ciascun membro versa un contributo a seconda della probabilità di accadimento del sinistro. Se la frequenza effettiva risulta superiore a quella osservata, i maggiori danni saranno a carico della collettività. Nel caso delle assicurazioni invece, ciascun assicurato versa un premio, ma il rischio di un eventuale scostamento tra frequenza effettiva e quella attesa è interamente a carico dell’assicuratore, che sopperirà con il proprio capitale. Ciascun evento rischioso può comportare x danni. Attraverso l’assicurazione i soggetti trasformano l’evento incerto in un evento certo, che si tramuta nel pagamento di un premio, commisurato al danno assicurato e alla probabilità associata all’evento.
Le tre condizioni per far funzionare il meccanismo assicurativo La massa dei rischi assunti e gestiti in portafoglio deve essere composta da rischi omogenei sufficientemente numerosi e valutabili in termini di probabilità e quantificazione del danno atteso. I rischi devono poi essere indipendenti tra loro. Non vi devono essere correlazioni tra i rischi in portafoglio. Il manifestarsi di un rischio non deve causare il manifestarsi degli altri rischi presenti in portafoglio. Altrimenti il meccanismo di compensazione delle perdite non può funzionare. Il rischio infine deve essere caratterizzato da casualità, cioè il rischio deve rappresentare un evento incerto e casuale, non dipendente dalla volontà dell’assicurato.
Le fonti di inefficienza del meccanismo assicurativo Le asimmetrie informative possono riguardare il lato della domanda (l’assicurato non conosce la qualità del servizio offertogli) e il lato dell’offerta (l’assicuratore non conosce l’effettiva rischiosità del soggetto che contrae la polizza). L’impossibilità di valutare la rischiosità associata a ciascuna polizza rende incerta la misurazione del premio da far pagare. Il premio infatti è correlato alla rischiosità dell’assicurato. Di conseguenza, a maggiore rischio corrisponde un premio più alto. Il premio deve essere determinato in base ad una stima ex ante del rischio riferito ad un cliente, ma l’assicuratore non dispone di tutte le informazioni per effettuare una corretta stima del rischio. Le asimmetrie informative si distinguono in:
3
Gestione delle imprese di assicurazione – Il rischio assicurativo
selezione avversa, con cui si intende la situazione in cui una delle parti nasconde delle informazioni alla controparte, ai fini di ottenere un vantaggio nella transazione. Tali informazioni sono rilevanti per una corretta stima del premio e omettendo la loro comunicazione all’assicuratore, l’assicurato intende ottenere un vantaggio. L’assicuratore non conosce l’effettiva rischiosità del cliente, per cui non riesce a farsi pagare il giusto premio. Di conseguenza deve far pagare un premio medio a tutti i suoi clienti, ma così facendo perderà i clienti migliori, che riterranno il premio medio troppo elevato per la loro effettiva esposizione al rischio. Di conseguenza l’assicuratore si ritroverà con soli pessimi clienti, che saranno attirati da un premio medio che è inferiore a quello che essi dovrebbero pagare moral hazard, con cui si intendono i comportamenti scorretti che l’assicurato potrebbe porre in atto in seguito alla stipula del contratto di assicurazione. Infatti l’assicurato, in virtù della tutela garantitogli dall’assicuratore, non è incentivato ad adottare le cautele e le attenzioni che assumerebbe in assenza di copertura. Questo comporta una maggiore probabilità di accadimento dell’evento assicurato e un peggioramento del portafoglio
Le asimmetrie informative possono essere limitate:
inserendo apposite clausole nel contratto di assicurazione, come ad esempio la franchigia o lo scoperto, tramite cui una parte del danno subito dall’assicurato è a carico dell’assicurato stesso riducendo la tariffa in caso l’assicurato adotti certe cautele che limitano la probabilità dell’evento introducendo delle classi di rischio, a cui sono associate diverse classi di premio tramite tecniche di controllo finalizzate a contenere il fenomeno delle frodi assicurative
Le frodi costituiscono un costo improprio del servizio assicurativo a danno della collettività. L’assicuratore infatti è costretto a far pagare un premio più elevato a tutti e questo riduce il benessere della collettività. La frode può avvenire in fase di stipulazione del contratto, presentando ad es. documenti al fine di ottenere un premio più basso, o anche in fase di liquidazione dei sinistri, denunciando sinistri non esistenti o aumentando artificialmente l’entità dei danni.
L’assicurazione danni e l’assicurazione vita I rami assicurativi sono gli ambiti in cui si manifestano le esigenze assicurative dei soggetti. I rami assicurativi si distinguono in:
rami danni, in cui i contratti hanno la funzione di trasferire il rischio dall’assicurato all’assicuratore. L’oggetto del contratto è il rischio puro, cioè il rischio di avere danni patrimoniali conseguenti al manifestarsi di un evento rischioso, relativo alla persona o alle cose. Il ramo danni include contratti come: o le assicurazioni di persone che offrono tutela contro i rischi derivanti da infortunio o malattia o le assicurazioni sul patrimonio che proteggono beni di proprietà da rischi di diversa natura, come furto e incendio o le assicurazioni che offrono garanzie di tipo finanziario o le assicurazioni di responsabilità, che tutelano l’assicurato dal rischio di risarcire i danni patrimoniali cagionati ad un terzo soggetto
4
Gestione delle imprese di assicurazione – Il rischio assicurativo
rami vita, i cui contratti prevedono, dietro il pagamento di un premio unico o periodico, l’erogazione di una prestazione al beneficiario al verificarsi delle condizioni stabilite in sede contrattuale. Le finalità di un’assicurazione vita sono essenzialmente 4: o previdenza o assistenza o risparmio o investimento Nei rami vita i soggetti coinvolti sono 4: o assicuratore, cioè il soggetto autorizzato dall’ISVAP ad esercitare attività assicurativa o assicurato, cioè il soggetto a cui si riferisce l’evento assicurato o contraente, cioè il soggetto che sottoscrive la polizza e paga il premio o beneficiario, cioè il soggetto che riceve la prestazione in caso di manifestazione dell’evento assicurato Gli ultimi tre soggetti possono identificarsi in una stessa persona.
Le tipologie di polizze vita Le polizze vita si distinguono in due categorie, ossia le polizze vita tradizionali e le polizze vita a contenuto finanziario. Nelle polizze vita tradizionali prevale il contenuto di protezione dai rischi demografici. Esse si suddividono in:
assicurazioni caso morte, nelle quali l’erogazione della prestazione pattuita avviene in caso di morte dell’assicurato.. La polizza caso morte è: o temporanea caso morte, in cui viene fissata una scadenza entro la quale la morte dell’assicurato comporta il pagamento della prestazione o a vita intera, in cui la prestazione avviene in caso di morte dell’assicurato in qualunque momento essa avvenga assicurazioni caso vita, nelle quali l’erogazione della prestazione avviene qualora l’assicurato si ritrovi in vita a scadenza. La prestazione può avvenire sotto forma di: o capitale differito, che prevede il pagamento di un certo capitale alla data pattuita, a patto che l’assicurato risulti in vita o rendita, che può essere immediata se corrisposta da momento della sottoscrizione, o differita, se pagata a partire da una certa data prestabilita, sempre a condizione che l’assicurato si trovi in vita, oppure vitalizia, fino alla morte dell’assicurato assicurazioni miste, che combinano le garanzie offerte dalle assicurazioni caso morte con quelle offerte dalle assicurazioni caso vita, nelle quali l’erogazione è prevista sia in caso di morte dell’assicurato sia in caso di sua sopravvivenza. Coprono quindi sia il rischio di premorienza sia il rischio di longevità
Le polizze a contenuto finanziario sono polizze vita in cui, oltre alla protezione verso i rischi demografici, sono offerte anche delle protezioni verso i rischi tipicamente finanziari, come l’inflazione. Tra le polizze a contenuto finanziario si distinguono:
polizze indicizzate, in cui le prestazioni e a volte anche i premi sono correlati all’andamento di un certo indice predeterminato, come il tasso di inflazione, salvaguardo in questo modo il valore reale nel tempo
5
Gestione delle imprese di assicurazione – Il rischio assicurativo
polizze rivalutabili, che prevedono una partecipazione degli assicurati ai risultati finanziari conseguiti dall’impresa di assicurazione attraverso la gestione finanziaria dei premi incassati. Queste polizze prevedono la costituzione di fondi separati dalle altre attività della compagnia e denominati fondi a gestione separata. In questi fondi confluiscono gli investimenti a copertura degli impegni assunti nei confronti degli assicurati e il cui rendimento veniva a loro retrocesso in base ad una % stabilita, con un minimo garantito polizze index linked, le cui prestazioni erano agganciate all’andamento di alcuni indici borsistici. Queste polizze hanno risposto al bisogno di diversificazione dei soggetti polizze unit linked, le cui prestazioni sono agganciate all’andamento di fondi comuni di investimento
le polizze index e unit linked hanno avuto un successo incredibile, grazie anche alla diffusione di nuovi canali distributivi, come la bancassicurazione, ossia accordi tra banche e compagnie assicurative per la distribuzione dei prodotti assicurativi tramite i canali distributivi delle banche.
Le tipologie di polizze danni I rami danni si possono classificare in rami auto e rami non auto. I rami auto includono la RCA, cioè il contratto che risarcisce i danni patrimoniali subiti da un terzo soggetto , e la CVT (corpi veicoli terrestri), che offre la copertura per i rischi auto diversi dalla responsabilità civile. I rami non auto invece includono
la responsabilità civile generale, che rimborsa i danni patrimoniali cagionati dall’assicurato a terzi, diversi da quelli auto infortuni, che rimborsa l’assicurato dei danni corporali derivanti da eventi esterni violenti o fortuiti malattia, che risarcisce l’assicurato delle spese sanitarie incendio, che risarcisce l’assicurato dei danni a beni causati da incendio o eventi equiparati altri danni a beni, cagionati da eventi non ascrivibili alle categorie precedenti
6
Gestione delle imprese di assicurazione – Il modello di business
Il modello di business del settore assicurativo
Le assicurazioni hanno un proprio modello di business, che si differenzia da quello delle imprese industriali. La peculiarità del business assicurativo è infatti l’inversione del ciclo produttivo: questo vuol dire che i ricavi precedono i costi. Le assicurazioni incassano i premi derivanti dalla stipula dei contratti di assicurazione e sostengono successivamente i costi legati alle prestazioni erogate, in caso si manifesti l’evento assicurato.
t Premi incassati dalla stipulazione dei contratti
Costi legati al risarcimento dei sinistri
L’inversione del ciclo produttivo rende quindi la gestione assicurativa ben diversa dalla gestione industriale. Gli effetti principali di questa inversione sono:
l’elevata aleatorietà dei costi specifici dell’impresa assicurativa. I costi legati alle prestazioni, che devono essere erogati in caso di sinistro, non sono facilmente stimabili. Questi costi si manifestano in seguito al percepimento dei ricavi e sono incerti sia nell’an (cioè se e quando si verificano) sia nel quantum (cioè quanto è l’ammontare del sinistro). Per alcune tipologie di assicurazione, come l’assicurazione danni, l’aleatorietà riguarda tutti e tre gli aspetti, mentre in altre tipologie qualche aspetto può essere certo, come nel caso dell’assicurazione a vita intera, in cui l’evento assicurato (la morte dell’assicurato) accadrà sicuramente, anche se non si conosce il quando. Inoltre accade che passa del tempo tra il momento in cui si verifica il sinistro e il momento in cui esso viene liquidato dalla compagnia di assicurazione. Questo arco temporale si rivela necessario per la corretta stima dell’entità dei danni subiti, ma la conseguenza è che i costi connessi al sinistro non vengono sostenuti tutti nell’esercizio in cui questo si verifica. Si verifica, soprattutto per i sinistri che comportano un importo unitario più elevato, che questi vengano trascinati negli esercizi successivi, anche se è regola che i costi vengano imputati per competenza nell’esercizio in cui si manifestano. Al momento della redazione del bilancio, le compagnie devono considerare dei costi futuri, ma di competenza dell’esercizio in chiusura. Sarà necessario procedere ad un accantonamento in riserve tecniche, che verranno utilizzate per far fronte ai sinistri non ancora liquidati un processo di formazione delle tariffe (e di conseguenza dei ricavi) basato su costi non certi, ad eccezione dei caricamenti. I costi futuri legati ai sinistri sono aleatori e si verificheranno a seconda delle probabilità associate ad essi, ma l’impresa assicurativa deve decidere anteriormente le tariffe da far pagare per la stipulazione dei contratti assicurativi.
7
Gestione delle imprese di assicurazione – Il modello di business
La necessità di definire le tariffe prima che siano conosciuti i costi legati ai sinistri rende estremamente importante o il ruolo dell’attuario, un soggetto nominato dall’impresa di assicurazione e dotato delle competenze e professionalità adeguate per la valutazione delle ipotesi sottostanti al calcolo delle tariffe e delle riserve tecniche o un’ampia base dati, ossia una base statistica su cui effettuare delle stime di probabilità affidabili che consentano una corretta assunzione dei rischi La tariffa deve essere equa in base al rischio percepito dal cliente. Infatti se: o la tariffa è troppo bassa, l’impresa di assicurazione si potrà sviluppare ed estendere la propria quota di mercato, ma ciò avrà ripercussioni sulla qualità dei rischi assicurati (antiselettività) e di riflesso anche sulla redditività aziendale o la tariffa è troppo alta, l’impresa di assicurazione costruirà un portafoglio di rischi molto buono, ma ci saranno conseguenze negative soprattutto in termini di volumi di raccolta, sviluppo, quote di mercato ecc... la centralità della gestione finanziaria. L’impresa assicurativa prima incassa i premi e solo successivamente paga i sinistri. Questo vuol dire che avrà a disposizione ingenti somme da gestire. La gestione finanziaria dovrà essere ottimizzata, in modo da consentire l’impresa assicurativa di pagare i sinistri; questo si realizza se si riesce a: o massimizzare la redditività degli investimenti, nel rispetto dei vincoli e dei limiti assunti a tutela degli assicurati o garantire una coerenza tra i flussi in entrata derivanti dagli investimenti e i flussi in uscita legati al pagamento dei sinistri, per garantire all’impresa la necessaria liquidità
La complementarietà tra la gestione tecnica e la gestione finanziaria La redditività di un’impresa assicurativa dipende dall’efficienza della gestione tecnica (propriamente detta assicurativa) e della gestione finanziaria. Redditività complessiva
Gestione ordinaria
Gestione tecnica assicurativa
Gestione straordinaria
Gestione finanziaria
La redditività della gestione tecnica è espressa dal saldo tecnico, pari alla differenza tra i premi raccolti e i costi di natura “industriale”. La redditività della gestione finanziaria invece è rappresentata dal risultato degli investimenti del capitale proprio e delle riserve tecniche.
8
Gestione delle imprese di assicurazione – Il modello di business I driver che conducono ad un’efficiente gestione tecnica sono diversi; agendo su ciascuno di essi, l’impresa di assicurazione può incrementare la redditività della propria gestione tecnica. Essi sono:
il processo di formazione delle tariffe la selezione del rischio da inserire nel portafoglio la politica di acquisizione di nuovi clienti la capacità di liquidare i sinistri il contenimento delle spese gestionali
La gestione tecnica e quella finanziaria però non devono essere viste indipendentemente l’una dall’altra: le due gestioni infatti sono strettamente interconnesse tra loro. Tale complementarietà è fortissima soprattutto nel ramo vita, nel quale l’aspetto assicurativo e quello finanziario hanno eguale importanza. Inoltre una parte degli utili conseguiti con la gestione finanziaria viene iscritta in conto tecnico, mentre viene trasferita nel conto non tecnico la quota di utili riferibili al patrimonio netto. Nel ramo danni invece le due gestioni sono più distinte; inoltre gli utili della gestione finanziaria vengono iscritti nel conto non tecnico e viene trasferito nel conto tecnico la quota di utili da investimenti riferibile alle riserve tecniche. Il contributo delle due gestioni alla redditività complessiva dell’impresa assicurativa non è stato costante nel tempo. Fino al 1998 le assicurazioni infatti presentavano dei saldi tecnici negativi che venivano compensati dai risultati positivi conseguiti dalla gestione finanziaria. Solo dopo il 1998 le assicurazioni hanno cominciato a raggiungere saldi tecnici sempre più elevati. Inoltre, facendo un’analisi più dettagliata, si può osservare che nel comparto vita le due gestioni vanno di pari passo (dovuto ad una maggiore interconnessione tra le stesse), mentre nel ramo vita accadeva precedentemente il risultato tecnico negativo veniva compensato dal risultato finanziario positivo. Le imprese di assicurazione, per aumentare i volumi di raccolta dei premi incassati anticipatamente, erano disposte a sostenere un saldo tecnico negativo e una selezione dei rischi inefficiente, che venivano coperti dal ritorno dei capitali investiti. Questo però era possibile solo se il mercato offriva dei rendimenti molto alti; quando i tassi scendono, la gestione finanziaria non permette di conseguire gli stessi risultati. Da cui il problema della mancata compensazione del saldo tecnico con il risultato finanziario. A partire dalla fine degli anni ’90, quando i tassi di mercato erano molto bassi, le imprese di assicurazione hanno dovuto ripensare al proprio modello di business, accorgendosi della centralità della gestione tecnica e quindi dell’importanza di una corretta assunzione dei rischi. Le assicurazioni hanno quindi cominciato a concentrarsi sul proprio core business assicurativo e sulle strategie riguardo l’assunzione dei rischi, l’attività di gestione e liquidazione dei sinistri, la riduzione dei costi di gestione attraverso economie di scala ecc… Queste strategie sono state improntate al raggiungimento dell’efficienza tecnica, anche a scapito dello sviluppo. Dal 2003 entrambe le gestioni hanno cominciato a contribuire positivamente sulla redditività complessiva dell’impresa assicurativa. Attualmente, le imprese di assicurazione non possono incentrarsi su una sola strategia monodimensionale, ponendosi come obiettivo solo lo sviluppo o solo la selezione, ma cercare di coniugarli.
9
Gestione delle imprese di assicurazione – Il modello di business
Il bilancio delle imprese di assicurazione Il D.Lgs. n. 173/1997 (Attuazione della direttiva 91/674/CEE in materia di conti annuali e consolidati delle imprese di assicurazione), che attualmente è stato abrogato e sostituito dal Codice delle Assicurazioni private, disciplinava la redazione del bilancio delle imprese assicurative, in modo da tenere conto della peculiarità del loro processo produttivo. Nel passato, le imprese potevano essere miste, ossia potevano operare sia nel ramo vita sia nel ramo danni. A partire dal 1979 le imprese di assicurazione hanno dovuto scegliere di specializzarsi in uno dei due rami assicurativi. Per quanto riguarda il conto economico, le voci inerenti alla gestione tecnica sono:
i premi incassati, che rappresentano una voce positiva del conto economico. Il volume della raccolta premi dipenda dalla quota di mercato, dal posizionamento dell’impresa, dalla diversificazione geografica e di prodotto ecc… i sinistri liquidati e la quota di sinistri di competenza dell’esercizio ma non ancora liquidati. L’ammontare dei sinistri pagati dipende dall’efficienza della struttura liquidativa e dalla diversificazione del portafoglio per ramo assicurativo e la durata dei rischi assunti le spese di gestione, inerenti alla struttura organizzativa, alle strategie distributive, al modello gestionale ecc… il saldo tecnico della riassicurazione, che è indice della politica di riassicurazione adottata, soprattutto in termini di tipologia di rischi trasferiti ad un riassicuratore
Le voci di conto economico della gestione finanziaria invece sono:
i risultati derivanti dall’attività di investimento iscrivibili al conto tecnico, in quanto imputabili alle riserve tecniche i risultati derivanti dall’attività di investimento iscrivibili al conto non tecnico, in quanto imputabili al capitale proprio
Oltre alla gestione ordinaria, composta dalla gestione tecnica e da quella finanziaria, l’impresa assicurativa consegue dei ricavi e dei costi derivanti dalla gestione straordinaria. Questi includono tutti i proventi e gli oneri non attinenti all’attività caratteristica dell’impresa assicurativa. Per quanto riguarda lo stato patrimoniale, l’impresa di assicurazione presenta delle voci nell’attivo e altre voci nel passivo. Nell’attivo patrimoniale vengono iscritti gli impieghi, soprattutto quelli posti a copertura delle riserve tecniche e per le quali l’Isvap pone dei vincoli in termini di sicurezza, redditività, diversificazione e liquidità, a tutela degli assicurati. Il passivo patrimoniale include le fonti di finanziamento dell’impresa assicurativa, come:
le riserve tecniche, da cui dipende la capacità futura dell’impresa di assicurazione di far fronte ai rischi in portafoglio e la sua solidità
10
Gestione delle imprese di assicurazione – Il modello di business
il capitale sociale e le riserve patrimoniali, che misurano il grado di patrimonializzazione dell’impresa. L’Isvap pone dei coefficienti patrimoniali da rispettare, al fine della vigilanza prudenziale e per garantire un certo margine di solvibilità i debiti finanziari, i quali misurano il ricorso alla leva finanziaria. Solitamente le imprese di assicurazione non dovrebbero avere la necessità di richiedere dei finanziamenti, in quanto hanno il ciclo produttivo invertito. Tuttavia vi sono situazioni in cui l’impresa presume di poter sfruttare l’effetto della leva finanziaria
Infine, per quanto riguarda le riserve tecniche e le attività poste a loro copertura, vi sono due classi:
classe C, in cui sono iscritti gli attivi e le riserve relativi a polizze tradizionali e a polizze rivalutabili, che retrocedono all’assicurato una quota degli utili finanziari conseguiti. La contabilizzazione delle voci è a costo storico classe D, in cui sono iscritti gli attivi e le riserve relativi a polizze index linked, a polizze unit linked e a fondi pensione. La contabilizzazione delle voci è a valore di mercato
11
Gestione delle imprese di assicurazione – La gestione tecnica
La gestione tecnica delle imprese di assicurazione
La gestione tecnica è la componente gestionale prettamente assicurativa. Questa riguarda le modalità di calcolo dei premi, la determinazione del rischio assumibile, la gestione dei sinistri, la loro liquidazione ecc… La gestione tecnica nel ramo danni si differenzia dalla gestione tecnica del ramo vita e per tale motivo verranno analizzate separatamente.
La gestione tecnica del ramo danni Nel ramo danni, cosi come nel ramo vita, il risultato della gestione tecnica è espressa da due indicatori: il margine di sottoscrizione, che deriva dal confronto tra la raccolta premi e i costi dei sinistri e le spese di gestione, e il margine tecnico – finanziario, cioè la quota di utili derivanti da investimenti che vengono iscritti in conto tecnico in quanto riferibili alle riserve tecniche.
La raccolta premi nel ramo danni La principale voce di ricavo delle compagnie è rappresentato dai premi raccolti. Nel corso degli anni il volume dei premi incassati è aumentato di continuo, anche se il gap con le imprese assicurative straniere è ancora evidente. I premi si suddividono in:
premi del lavoro diretto, se raccolti attraverso la stipula dei contratti di assicurazione con i clienti premi del lavoro indiretto, se raccolti tramite la stipula dei contratti di riassicurazione con altre compagnie di assicurazione
Al fine di crescere dal punto di vista dimensionale e per incrementare il volume dei premi raccolti, sono stati avviati dei processi di acquisizione e di fusione, attraverso i quali sono nati i grandi gruppi assicurativi. Questa strategia alla concentrazione è stata comune in tutte gli Stati dell’Unione Europea, probabilmente spinta dalla tendenza all’ampliamento oltre i confini nazionali, ed è stata favorita:
dalla possibilità di utilizzare economie di scala e sinergie, ottenendo in questo modo delle riduzioni di costi, capacità di innovazione, investimenti tecnologici e professionali e una migliore efficienza nella gestione dalla possibilità di ampliare la base dati con cui vengono determinate le tariffe assicurative dalla possibilità di ampliare la base clienti e il numero di prodotti venduti attraverso il cross selling
Secondo il criterio di cassa, i premi possono essere inoltre suddivisi in:
premi incassati, rappresentati dalla quota di premi emessi e già riscossi premi arretrati, che consistono nella quota di premi emessi che però non sono ancora stati incassati. Questo genera un credito nei confronti degli assicurati, denominato PICR “premi in corso di riscossione”
In sede di bilancio, i premi vengono valutati secondo il principio di competenza, secondo il quale i ricavi e i costi correlati devono essere attribuiti agli esercizi ai quali competono dal punto di vista economico, a
12
Gestione delle imprese di assicurazione – La gestione tecnica prescindere dalla loro manifestazione finanziaria. Per questo motivo i premi lordi contabilizzati e i sinistri pagati vengono rettificati mediante delle poste rilevate alla fine dell’anno, ossia le riserve tecniche (premi e sinistri), che consentono poi di determinare i premi e i sinistri di competenza dell’esercizio. I premi di competenza sono rappresentati dalla quota di premi emessi nel corso dell’esercizio o in quelli precedenti, relativi a rischi in corso nell’esercizio di riferimento. PoichĂŠ i premi vengono emessi in via anticipata rispetto al periodo di copertura del contratto a cui si riferiscono, ne consegue che una quota del premio serve a coprire una parte del rischio dell’anno successivo. Di conseguenza i premi di competenza saranno pari ai premi emessi e contabilizzati nell’anno (Pe), al netto della quota dei premi di competenza dell’esercizio successivo, che va in riserva premi (RPt) e maggiorati della riserva premi dell’esercizio precedente (RPt-1): đ?‘ƒđ?‘?đ?‘Ą = đ?‘ƒđ?‘’đ?‘Ą − đ?‘…đ?‘ƒđ?‘Ą + đ?‘…đ?‘ƒđ?‘Ąâˆ’1 PoichĂŠ đ?‘…đ?‘ƒđ?‘Ą − đ?‘…đ?‘ƒđ?‘Ąâˆ’1 rappresenta la variazione della riserva premi da un esercizio ad un altro, la quota dei premi di competenza sarĂ pari ai premi emessi meno la variazione della riserva premi. La normativa inoltre suddivide la riserva premi in:  
la riserva premi per frazioni di premi, costituita dalla quota di premi relativi ai rischi ancora in corso al termine dell’anno la riserva per rischi in corso, costituita da accantonamenti di natura tecnica da effettuarsi se l’andamento della sinistrosità risulta peggiore rispetto a quello stimato in sede di tariffazione
Per determinare la riserva tecnica, si utilizza il metodo del pro rata temporis, con cui si calcola la quota di premi da dedurre dai premi lordi. Per esempio si ipotizza un portafoglio assicurativo composto da una sola polizza, stipulata il 1 giugno 2003 con durata annuale fino al 31 maggio 2004 e rinnovata per un altro anno fino al 31 maggio 2005. Nel 2003 l’assicurato ha versato un premio al netto delle spese pari a 100, mentre nel 2004 il premio è stato di 120. Si suppone inoltre che non vi siano elementi che indichino un peggioramento della sinistrositĂ del soggetto, per cui non è necessario costituire una riserva per rischi in corso. Fatte le ipotesi, si può dire che la riserva premi è costituita dalla sola riserva per frazioni di premi, la quale ha la funzione di risconto passivo. Secondo il pro rata temporis, la quota di premio che va in riserva è pari al totale dei premi moltiplicato per il rapporto tra il numero di giorni che cadono nell’esercizio successivo e il numero di giorni di durata della polizza. Quindi avremo che: Numero di giorni di competenza 2003 = 213 đ?‘…đ?‘ƒ2003 = 100 ∙ Numero giorni di competenza 2004 = 214 đ?‘…đ?‘ƒ2004 = 120 ∙
Numero di giorni di competenza 2004 = 152 152 = 42 365 Numero di giorni di competenza 2005 = 151 151 = 50 365
I premi di competenza del 2004 saranno quindi pari a đ?‘ƒđ?‘?2004 = 120 − 50 + 42 = 112
Il processo di tariffazione è fondamentale per il successo della compagnia di assicurazione. Il premio che l’impresa assicurativa incassa non solo deve garantire un adeguato livello di redditività ma consentire anche lo sviluppo.
13
Gestione delle imprese di assicurazione – La gestione tecnica Il premio che l’assicurato paga è il cosiddetto premio di tariffa, formato dal premio puro maggiorato dei caricamenti e al netto del fattore finanziario. Il premio puro è la parte del premio adibita alla copertura del rischio assicurativo coperto dalla polizza contratta dall’assicurato. L’ammontare del premio puro viene determinato sulla base di osservazioni statistiche e tecniche attuariali ed è finalizzata a far fronte ai costi dei futuri sinistri. Il premio puro è quindi funzione di due variabili principali:
la frequenza dei sinistri, che misura la probabilità che si verifichi un sinistro. La frequenza viene stimata sulla base delle osservazioni passate il costo medio dei sinistri, cioè il danno medio causato da un sinistro che viene risarcito dalla compagnia. Anche il costo medio viene stimato sulla base dell’esperienza passata e di dati statistici
La precisione e la correttezza della stima della frequenza e del costo medio dei sinistri dipende molto dalla quantità di dati a propria disposizione: maggiore è il numero di osservazioni e informazioni a propria disposizione, migliore sarà la stima delle variabili. Il premio puro viene maggiorato dei caricamenti, cioè la quota di premio che è destinata:
a coprire il rischio tecnico, cioè il rischio che la sinistrosità effettiva si discosti da quella preventivata, utilizzata per il calcolo del premio puro. È in pratica un margine di sicurezza che copre il rischio di una stima non precisa a coprire i costi di gestione dell’impresa di assicurazione, quali le provvigioni alla rete distributiva, la retribuzione del personale e le spese amministrative a remunerare il capitale apportato dagli azionisti, i quali richiedono un rendimento pari al tasso privo di rischio maggiorato di uno spread corrispondente al rischio del settore
In questo ambito è fondamentale la capacità dell’impresa di determinare i caricamenti per i singoli prodotti, attraverso una corretta ed efficiente allocazione dei costi, in quanto si rivela utile in seguito per determinare il margine di profitto sui singoli rami e prodotti. Il premio di tariffa inoltre deve essere attualizzato, ossia scontato al tasso che si presume di poter investire le riserve tecniche. Quando i tassi di mercato erano molto alti, lo sconto diveniva molto rilevante, ma con il diminuire degli stessi ha portato una riduzione dell’effetto ammortizzante che tale fattore aveva sul premio. Le imprese di assicurazione cercano di perseguire i due obiettivi di redditività e di sviluppo; questi però sono in contrasto tra loro, ossia sono in un rapporto di trade off: questo vuol dire che un premio di tariffa troppo alto permette un’elevata redditività ma scarso sviluppo, e viceversa. Un modo per ottimizzare il trade off è rappresentato dalla tariffa personalizzata, che consiste nell’offrire ad ogni assicurato (od ogni classe di assicurati) il miglior rapporto qualità prezzo. Le compagnie si differenziano tra di loro nei parametri utilizzati per la personalizzazione della propria offerta, in modo da offrire al cliente un premio commisurato alle sue specifiche caratteristiche di rischiosità.
La gestione dei sinistri nel ramo danni Come visto in precedenza, l’elemento di incertezza per le imprese assicurative non è rappresentato dai ricavi, ma dai costi, principalmente derivanti dal rimborso dei danni cagionati dai sinistri. Il costo dei sinistri rappresenta quindi la maggior voce di costo nel bilancio di un’assicurazione. Questi costi sono incerti poiché in sede di determinazione della tariffa non sono ancora conosciuti: essi sono quindi caratterizzati da una forte componente probabilistica ed esogena.
14
Gestione delle imprese di assicurazione – La gestione tecnica La compagnia assicurativa deve cercare di ottimizzare l’efficienza della propria struttura dei costi, attraverso azioni che incidano sulle variabili principali, ossia il numero dei sinistri denunciati, l’entità dei risarcimenti, la velocità e il costo della liquidazione, i tempi e l’ampiezza del contenzioso ecc… La gestione dei sinistri si articola in diverse fasi:
l’accadimento del sinistro, cioè la fase in cui si verifica l’evento rischioso oggetto della copertura assicurativa. In questa fase il sinistro non è ancora “entrato” in azienda, ma la compagnia deve preventivamente accantonare delle risorse in un apposito fondo chiamato IBNR (fondo dei sinistri incurred but not reported) in modo da associare il costo al periodo di competenza. Questo fondo fa fronte ai sinistri accaduti nell’esercizio, ma non ancora denunciati all’impresa assicurativa. L’esercizio in cui si verifica il sinistro è l’esercizio a cui è imputata la competenza dello stesso. la denuncia del sinistro, che è la fase in cui la compagnia di assicurazione viene a conoscenza del sinistro e ne prende in carico la gestione la valutazione del sinistro, ossia la fase in cui si procede all’accertamento dell’entità del danno cagionato dal sinistro. La perizia deve quantificare il danno risarcibile, il quale si distingue in danno materiale, riferito alle cose, e danno fisico, afferente alla persona. Riguardo al danno fisico, si distingue a sua volta in: o danno fisico da inabilità temporanea, se comporta una diminuzione della capacità fisica limitata al tempo di guarigione o danno fisico da invalidità permanente, se comporta una diminuzione della capacità fisica permanente Inoltre il danno alla persona può essere di tipo patrimoniale, se inteso come riduzione della capacità di produrre reddito (danno da mancato reddito), o di tipo biologico (o danno alla salute) se ha effetti sull’integrità psico – fisica del danneggiato. I danni alla persona sono una fonte di aleatorietà nel processo di valutazione, in quanto la loro quantificazione richiede maggior tempo la liquidazione dell’indennizzo, la quale è la fase conclusiva del processo gestionale in cui la compagnia provvede al risarcimento del danno subito. La liquidazione può essere a favore del cliente stesso se si tratta di assicurazioni come incendio, furto, malattia oppure a favore di un terzo nel caso si tratti di un’assicurazione per RC. Per evitare comportamenti di moral hazard e per ridurre i tempi e i costi dei contenziosi, soprattutto nel RCA, è stato introdotto nel 1978 il CID (convenzione indennizzo diretto)
La durata del processo di gestione dei sinistri è molto variabile; l’arco temporale che intercorre tra il momento della denuncia del sinistro e il momento della sua liquidazione dipende da due fattori:
le caratteristiche specifiche del sinistro. Ad esempio i danni fisici richiedono maggior tempo per essere quantificati l’efficienza della rete liquidativa dell’impresa assicurativa
Così come avviene per i premi, anche il costo dei sinistri deve essere imputato nell’esercizio secondo il principio di competenza. Questo vuol dire che il sinistro viene imputato nell’esercizio in cui esso si verifica, a prescindere dal momento in cui avverrà il pagamento. I costi già sostenuti per la liquidazione dei sinistri di competenza dell’esercizio vengono iscritti tra i costi dell’attività assicurativa, mentre i sinistri che non vengono liquidati nell’esercizio in cui essi si manifestano devono essere coperti dagli accantonamenti in un apposito fondo detto fondo sinistri. Il fondo sinistri raccoglie quindi le risorse per far fronte al costo futuro da sostenere per il risarcimento dei danni da sinistri manifestatisi nell’esercizio di competenza.
15
Gestione delle imprese di assicurazione – La gestione tecnica I sinistri di competenza (Sc) sono pari ai sinistri pagati e contabilizzati nell’anno (Sp), maggiorati della variazione della riserva premi rispetto all’anno precedente (∆đ?‘…đ?‘†đ?‘› = đ?‘…đ?‘†đ?‘› − đ?‘…đ?‘†đ?‘›âˆ’1 ), ossia: đ?‘†đ?‘?đ?‘› = đ?‘†đ?‘?đ?‘› + đ?‘…đ?‘†đ?‘› − đ?‘…đ?‘†đ?‘›âˆ’1 = đ?‘†đ?‘?đ?‘› + ∆đ?‘…đ?‘†đ?‘› Fino al 1998, l’accantonamento a fondo sinistri era pari al costo futuro dei sinistri attualizzato al tasso che la compagnia pensava di poter investire la riserva premi. Dal 1998 vi è l’obbligo, sempre a tutela dei clienti, di accantonare una quota pari al “costo ultimoâ€? del sinistro. Secondo la normativa vigente, la riserva sinistri deve essere composta da:   
una riserva per i risarcimenti e le spese dirette una riserva per le spese di liquidazione, sia interne sia esterne una riserva per i sinistri IBNR non ancora denunciati
La riserva sinistri viene quantificata attraverso un processo di varie fasi, che utilizzano congiuntamente due metodologie:  
il metodo dell’inventario, che consiste nel valutare ciascun sinistro secondo il costo ultimo, costituito dagli oneri prevedibili dei sinistri il metodo del costo medio, che consiste nel calcolo del costo medio per gruppi di sinistri sufficientemente omogenei e ampi
Questo processo di quantificazione misto si suddivide quindi in: 

una prima fase, affidata alle strutture liquidative, in cui i liquidatori analizzano ogni sinistro aperto alla data di valutazione ed effettuano una stima dei costi necessari a liquidare ciascun sinistro, in funzione dell’entità del danno risarcibile e del momento in cui avverrà la liquidazione. In questa fase la riserva sinistri è costituita dai costi ultimi stimati per ciascun sinistro una seconda fase, affidata alle strutture direzionali, che corregge la stima effettuata dalle strutture liquidative sulla base di metodi statistici che prendono in considerazione i comportamenti tenuti dall’impresa in passato e osservazioni storiche. In questa fase la riserva premi non è piÚ costituita dalla somma dei costi di ciascun sinistro, ma come somma di riserve relative ad aggregazioni di sinistro chiamate generazioni. Le generazioni possono aggregare i sinistri per data di denuncia o di accadimento e vengono stimati secondo diverse tecniche: o metodo Fisher – Lange, il quale stima la riserva utilizzando previsioni su determinate variabili come il costo medio, il numero di sinistri , la velocità di liquidazione ecc‌. o Loss Development Methods, i quali proiettano nel futuro gli importi dei sinistri pagati delle generazioni passate. Queste tecniche suddividono i sinistri in sinistri accaduti nell’esercizio in corso (sinistri della generazione corrente) e sinistri accaduti negli esercizi precedenti (sinistri della generazione ex). I sinistri della generazione corrente vengono poi divisi in sinistri chiusi (già liquidati oppure chiusi senza seguito) e sinistri aperti, che non sono ancora stati pagati o pagati solo parzialmente. Il costo futuro dei sinistri aperti viene accantonato in riserva sinistri. Nell’esercizio successivo i sinistri riservati, cioè i sinistri ex, possono - essere chiusi, per cui è necessario dedurre il loro ammontare dalla riserva - rimanere a riserva, per cui si rende necessario una rivalutazione dell’importo accantonato che tenga conto della crescita dei costi ad essi associati
16
Gestione delle imprese di assicurazione – La gestione tecnica La compagnia deve poi verificare la congruità delle somme messe a riserva con l’effettivo costo sostenuto per la chiusura dei sinistri La correttezza della stima degli accantonamenti della riserva sinistri è fondamentale, in quanto da essa dipende la capacità futura della compagnia di far fronte ai propri impegni nei confronti degli assicurati. Tuttavia i costi divengono certi solo al momento in cui questi vengono sostenuti, cioè quando i sinistri vengono pagati. Il processo di controllo delle riserve sinistri deve prevedere:
l’analisi dello smontamento delle riserve (run off), che verifica se dal confronto tra la riserva accantonata a fronte dei sinistri pagati, cioè la riserva caduta, e l’importo effettivamente pagato emerge la sufficienza / insufficienza della riserva la stima del tasso di rivalutazione del costo dei sinistri riservati. La compagnia è tenuta ad effettuare una stima prospettiva dello scenario economico, dell’andamento dell’inflazione e dei costi connessi alla gestione assicurativa, del comportamento degli assicurati e di tutte le variabili che possono causare un aumento dei costi di liquidazione
La gestione tecnica del ramo vita È stato sottolineato precedentemente che anche nel ramo vita il saldo della gestione tecnica è dato dalla differenza tra i premi raccolti e gli oneri derivanti dai sinistri e le spese di gestione. Nel ramo vita però sono preponderanti le componenti finanziarie, le quali sono strettamente interconnesse con le componenti tecniche: questo rende più complesso separare la gestione tecnica da quella finanziaria.
La raccolta premi nel ramo vita A partire dagli anni ’90 il ramo delle assicurazioni vita ha visto aumentare il numero delle sottoscrizioni e quindi il volume dei premi raccolti, grazie al fatto che i nuovi prodotti assicurativi erano delle valide alternative agli strumenti finanziari tradizionali. Il premio di tariffa di un prodotto assicurativo del ramo vita è costituito dal premio puro e dai caricamenti. Il premio puro viene determinato sulla base di due fattori, il cui peso cambia a seconda del prodotto:
fattore demografico, la cui influenza viene stabilita in funzione delle ipotesi demografiche e attuariali. Queste ipotesi riguardano la probabilità che l’evento assicurato (la vita o la morte dell’assicurato) si manifesti durante il periodo contrattuale: queste probabilità prendono in considerazione diverse variabili, quali il sesso dell’individuo, l’età, le abitudini, lo stile di vita ecc… Per coprire il rischio demografico la compagnia utilizza delle tavole di mortalità, distinte per sesso (SIM per gli uomini e SIF per le donne) che associano a ciascuna età una probabilità di decesso e di sopravvivenza fattore finanziario, che riguarda la componente finanziaria del prodotto. La compagnia di assicurazione effettua delle stime sui rendimenti (che corrisponderanno al tasso tecnico di tariffa) che potrebbe ottenere dai premi accantonati (infatti il ciclo invertito permette inizialmente di avere a disposizione delle risorse da investire) e riconosce all’assicurato il rendimento atteso sull’investimento dei premi, al netto delle spese, scontando il premio di rischio al tasso tecnico
Il premio puro viene maggiorato dei caricamenti, che rappresentano la quota di premio destinata a coprire i costi di gestione della compagnia: i caricamenti vengono espressi come percentuali sul premio puro e sono in funzione dei costi che la compagnia sostiene per acquisire e incassare i premi.
17
Gestione delle imprese di assicurazione – La gestione tecnica Nel ramo danni, la prestazione della compagnia corrisponde al risarcimento dei danni cagionati dal sinistro assicurato. Nelle assicurazioni vita le prestazioni hanno una duplice componente:
una componente di rischio, legata allo stato di natura dell’assicurato e quindi connesso al verificarsi dell’evento coperto (sopravvivenza o morte dell’assicurato) una componente finanziaria, legata alle logiche di capitalizzazione delle somme versate a titolo di premio. Le assicurazioni vita possono essere viste anche come forma di investimento
La duplice composizione della prestazione si riflette anche sul premio che, escludendo i caricamenti, è composto:
dal premio di rischio, che è la quota di premio che l’assicurato dovrebbe pagare per la copertura dall’evento rischioso (ad es. dal rischio di premorienza) dal premio di risparmio, che invece rappresenta la quota di premio che viene capitalizzata ai fini della costituzione della riserva matematica
La riserva matematica, così come la riserva sinistri, deve raccogliere le risorse che l’impresa di assicurazione accantona al fine di far fronte agli impegni futuri nei confronti degli assicurati. Per i prodotti assicurativi che incorporano delle garanzie finanziarie, come ad esempio le polizze rivalutabili collegate alle gestioni separate tramite cui la compagnia di assicurazione retrocede all’assicurato un rendimento minimo predeterminato, le imprese di assicurazione non possono garantire un tasso di retrocessione dei rendimenti maggiore di quello stabilito dall’Isvap. Inoltre le compagnie devono confrontare periodicamente i rendimenti effettivi con quelli stimati per gli investimenti rappresentativi delle riserve tecniche. Se dal confronto il tasso di rendimento (ridotto di un margine prudenziale del 20%) delle riserve tecniche risulta inferiore al livello minimo di garanzia, la compagnia deve approntare una riserva aggiuntiva. Nelle assicurazioni vita è quindi fondamentale un’efficiente asset and liability management, in quanto vi deve essere un equilibrio dinamico tra i premi raccolti e le prestazioni ad essi correlati. Le riserve matematiche coprono le polizze tradizionali e le polizze rivalutabili e sono definite come riserve di classe C in quanto iscritte alla voce C dello stato patrimoniale. Accanto a queste le compagnie di assicurazione costituiscono altre riserve, di classe D, a copertura delle polizze di tipo linked (ad es. unit linked e index linked) e dei fondi pensione. Le riserve di classe D devono essere contabilizzate a valore di mercato, in quanto la prestazione da effettuare nei confronti di questi assicurati non è predeterminata ma variabile e in funzione di certi parametri.
Le altre componenti della gestione tecnica: la coassicurazione e la riassicurazione Quando la compagnia di assicurazione si interfaccia direttamente con il cliente, si parla di lavoro diretto. I rischi assunti tramite il lavoro diretto possono essere conservati nel proprio portafoglio attraverso la loro ritenzione oppure, quando vi è un’eccessiva concentrazione, ripartiti o trasferiti ad altri soggetti mediante coassicurazione e riassicurazione. La coassicurazione è la modalità mediante il quale uno stesso rischio viene ripartito tra più soggetti, cioè tra diverse compagnie di assicurazione. Queste stipulano il contratto assicurativo in modo congiunto e si ripartiscono il premio raccolto in funzione della quota di rischio che si accolla ciascuna delle coassicuratrici. La coassicurazione può essere:
18
Gestione delle imprese di assicurazione – La gestione tecnica
diretta, se l’assicurato stipula un’unica polizza, che viene sottoscritta da una pluralità di assicuratori indiretta, se l’assicurato stipula una pluralità di polizze, ciascuna sottoscritta da un diverso assicuratore
Per facilitare le relazioni tra l’assicurato e le assicuratrici, una delle compagnie viene nominata come compagnia delegataria, la quale gestisce il contratto di polizza, provvedendo all’emissione del contratto stesso, all’incasso del premio, alla liquidazione del sinistro e a tutte le operazioni gestionali a nome delle altre imprese assicuratrici che compongono il pool di coassicuratori. Inoltre la compagnia delegataria non risponde in solido per le altre coassicuratrici, in quanto è responsabile unicamente della propria quota di rischio. La riassicurazione è la modalità contrattuale mediante il quale un’impresa assicuratrice cede, parzialmente o totalmente, il proprio portafoglio rischi ad un altro soggetto, chiamato riassicuratore. Il motivo per cui un soggetto riassicuratore accetta di accollarsi un rischio che un assicuratore non è in grado di sostenere è essenzialmente dovuto alla dimensione: infatti le imprese assicurative lavorano e sfruttano la mutualità su una base piccola, spesso nazionale, mentre le imprese riassicurative sono grandi gruppi che sfruttano la mutualità su una base molto più ampia, spesso mondiale. Inoltre, mentre per le compagnie dirette la rete distributiva e il rapporto con il cliente assumono un’elevata importanza, le compagnie di riassicurazione possono concentrare la propria attività sulla sola gestione dei rischi, senza dover badare ad altri aspetti quali il procacciamento della clientela. La riassicurazione può essere:
obbligatoria, se opera sulla base di un trattato mediante il quale la compagnia di riassicurazione si impegna a coprire tutti i rischi che le vengono ceduti dalla compagnia di assicurazione e che rientrano nella capacità del trattato facoltativa, se invece il riassicuratore ha la facoltà di poter selezionare i rischi che gli vengono ceduti dall’assicuratore, dopo adeguata valutazione
Inoltre, la riassicurazione può essere distinta ulteriormente in:
proporzionale, se il riassicuratore partecipa al premio e al rischio per la stessa quota. Una riassicurazione di tipo proporzionale è la quota share, nel quale il riassicuratore incassa una quota del premio pagato dall’assicuratore e si assume la stessa quota di rischio non proporzionale, se la quota premio incassata dal riassicuratore non è uguale alla quota rischio che egli si assume. Un esempio di assicurazione non proporzionale è la excess of loss, in cui il riassicuratore si impegna a far fronte a tutti i danni che eccedono una certa soglia
La scelta tra riassicurazione proporzionale e non proporzionale dipende da due fattori:
la qualità del portafoglio. Se il portafoglio rischi presenta un basso livello di sinistrosità, l’assicuratore tenderà ad optare per la riassicurazione non proporzionale, in modo da non cedere un portafoglio di buona qualità, la cui assunzione ha comportato costi la logica della mutualità. Se il portafoglio rischi ha un elevato frazionamento che permette di conseguire un’alta mutualità, l’assicuratore sceglierà una riassicurazione non proporzionale, mentre preferirà cedere mediante riassicurazione proporzionale i portafogli in cui non riesce a realizzare la mutualità desiderata
19
Gestione delle imprese di assicurazione – La gestione tecnica Attraverso la cessione di una parte del rischio ai riassicuratori, la compagnia di assicurazione migliora il proprio margine di solvibilità. Ciò incide sui requisiti di vigilanza prudenziale in termini di patrimonializzazione che essa deve rispettare. Tuttavia, sebbene ceda una parte del rischio assicurativo, la compagnia si assume il rischio di credito, ossia il rischio che il riassicuratore risulti insolvente per la quota di rischio che accetta di riassicurare. Il contratto di riassicurazione riguarda solo l’assicuratore e il riassicuratore ed esclude il cliente: per questo motivo la compagnia risponde di tutto il rischio assicurato nei confronti dell’assicurato, salva la possibilità di poter successivamente rivalersi sul riassicuratore. Il rischio di credito dipende dal rating del riassicuratore, ossia della sua capacità di far fronte agli impegni assunti. Il ricorso alla riassicurazione è più frequente per le assicurazioni del ramo danni, in quanto in esso è più significativa la componente di rischio catastrofale (che alla fine è il vero rischio che viene riassicurato) che comportano una maggiore concentrazione del rischio e un andamento della sinistrosità più variabile rispetto a quella stimata. La quota dei rischi riassicurati e dei premi ceduti per riassicurazione è in tendenzialmente diminuzione, a causa della scarsa convenienza e degli alti costi delle coperture riassicurative. Inoltre sono nati nuovi strumenti che incorporano il rischio assicurativo, come ad esempio i cat bond, il cui andamento dipende da un portafoglio di rischi catastrofali. Questi titoli nascono dopo un processo di cartolarizzazione (securitization) e riconoscono un elevato rendimento all’investitore, commisurato all’elevato rischio puro che incorporano: se si verifica l’evento rischioso, l’investitore ha elevate probabilità di perdere il capitale investito.
Le spese di gestione A differenza delle imprese industriali e di produzione, le compagnie di assicurazione non hanno macchinari e impianti da ammortizzare; la loro principale voce di spesa è costituita dalle risorse umane, ossia il costo del personale e le provvigioni riconosciute alla rete distributiva composta da agenti e broker. La provvigione è il compenso che la compagnia riconosce alla rete distributiva, principalmente agli agenti. Questa provvigione, determinata in percentuale sul valore del premio, si suddivide in:
provvigione di acquisto per la conclusione e l’esecuzione del contratto assicurativo. A loro volta si dividono in: o provvigioni precontate, se pagate in un’unica soluzione per tutta la durata del contratto di polizza. Le provvigioni precontate sono state introdotte per agevolare l’attività dell’agente e per incentivare la stipulazione delle polizze pluriennali. Le polizze che presentano un grado di rischio più elevato vengono stipulate invece anno per anno, in quanto la compagnia preferisce valutare il rischio e incassare il relativo premio anno per anno. o provvigioni ricorrenti, se pagate alla scadenza di ogni annualità provvigione di incasso per l’attività connessa all’incasso dei premi e per i costi amministrativi della polizza
Questa distinzione è stata fatta perché si tratta di compensi che remunerano due attività distinte e che possono essere svolte da soggetti diversi. Le provvigioni che vengono corrisposte anticipatamente al momento della sottoscrizione della polizza possono essere imputate interamente all’esercizio o ammortizzate entro il periodo di durata dei contratti.
20
Gestione delle imprese di assicurazione – La gestione tecnica
Esempio: polizza di durata decennale con premio annuo pari a 100. Viene riconosciuto all’agente una provvigione di acquisto pari all’8% (10% nel caso di provvigione ricorrente) e una provvigione di incasso del 12%. Se le provvigioni di acquisto sono precontate, al momento della stipula l’agente riceverĂ :  una provvigione d’acquisto pari a 100 ∙ 8% ∙ 10 đ?‘Žđ?‘›đ?‘›đ?‘– = 80  una provvigione di incasso pari a 100 ∙ 12% = 12 Nelle successive annualitĂ , l’agente riceverĂ solamente la provvigione d’incasso pari a 12 Se le provvigioni di acquisto sono ricorrenti, al momento della stipula l’agente riceverĂ :  una provvigione d’acquisto pari a 100 ∙ 10% = 10  una provvigione d’incasso pari a100 ∙ 12% = 12 Nelle successive annualitĂ , l’agente riceverĂ una provvigione d’acquisto pari a 10 e una provvigione d’incasso pari a 12
I costi di gestione vengono allocati ai conti tecnici e ai singoli rami secondo le modalità stabilite dall’impresa di assicurazione. Tali modalità , ai fini di disclosure, devono essere comunicate in bilancio. I costi solitamente vengono indicati in percentuale ai premi raccolti; l’impresa può tentare di ridurre i costi di gestione agendo su diverse variabili, perlopiÚ endogene: 


la rete distributiva. La strategia distributiva adottata dall’impresa influisce sul livello di incidenza delle provvigioni: le imprese che preferiscono utilizzare gli agenti distributivi dovranno corrispondere ad essi delle adeguate provvigioni, che sono sicuramente piÚ elevate rispetto ai costi che dovrà sostenere una compagnia la cui rete è incentrata sulla distribuzione via internet l’organizzazione interna e di gruppo. Le compagnie hanno cercato di razionalizzare le attività e ridefinire i flussi operativi al fine di ridurre le spese gestionali e amministrative. I gruppi societari hanno inoltre adottato delle strutture piÚ snelle, accentrando le funzioni di staff quali la funzione legale, l’audit, l’amministrazione, la finanza ecc‌ ottenendo risparmi di costo e un miglior coordinamento tra le società del gruppo l’information technology. Sfruttando l’informatizzazione, la compagnia può rendere i processi piÚ snelli ed efficienti, riducendo quindi i rischi gestionali
La gestione finanziaria La gestione finanziaria è la seconda componente della gestione della compagnia assicurativa ed è strettamente interconnessa con la gestione tecnica. Infatti la gestione finanziaria incide sul premio di tariffa, sul saldo tecnico e sul livello di rendimento che la compagnia è in grado di retrocedere ai propri assicurati (ad es. nel caso delle polizze rivalutabili). La gestione finanziaria consiste nell’investire le risorse che la compagnia assicurativa ha a propria disposizione. Queste risorse sono:  
il capitale proprio (free capital) le riserve tecniche, costituite dalla quota dei premi raccolti necessaria per fronteggiare il pagamento dei futuri sinistri
Le riserve tecniche, che raccolgono le risorse per far fronte agli impegni degli assicurati, possono essere investiti rispettando una serie di limiti; infatti, in accordo al principio di prudenza, la normativa pone dei vincoli sulla scelta delle attività a copertura delle riserve tecniche in termini di:    
sicurezza, stabilendo livelli massimi di investimenti in asset class a elevato grado di rischio redditivitĂ , prevedendo un monitoraggio periodico del rendimento prevedibile dagli attivi al fine di assicurare almeno il rendimento garantito agli assicurati liquiditĂ , prevedendo dei livelli massimi per categorie di attivitĂ caratterizzate da bassa liquiditĂ diversificazione, fissando dei limiti di concentramento per ciascuna categoria di asset
21
Gestione delle imprese di assicurazione – La gestione tecnica L’Isvap effettua un continuo monitoraggio del rispetto dei limiti sopra indicati e obbliga le compagnie a tenere un apposito registro delle attività a copertura delle riserve tecniche. La gestione degli attivi e i vincoli imposti seguono quindi il principio di prudenza, soprattutto in questi ultimi anni, in cui la riduzione dei tassi di interesse ha reso più problematico il conseguimento di una redditività adeguata dall’investimento delle riserve tecniche senza assumere un certo rischio. Il forte legame tra gli attivi e i passivi all’interno di una compagnia incentra l’attenzione sull’importanza dell’asset liability management. La compagnia infatti deve ottimizzare la correlazione tra le sue passività e le attività a copertura di esse dal punto di vista:
delle scadenze e della duration della periodicità dei flussi finanziari in entrata e in uscita della natura dei tassi di rendimento e delle condizioni contrattuali garantite agli assicurati
Un efficace ALM permette di far coincidere i flussi in entrata con quelli in uscita, attraverso la coincidenza delle scadenze delle poste attive e di quelle passive. L’obiettivo è quindi quello di avere la sufficiente liquidità nel momento in cui occorre far fronte agli impegni presi. Tuttavia vi è anche un altro obiettivo, da conciliare con il primo, ossia quello di effettuare degli investimenti con durata congrua che permettano alla compagnia di conseguire buoni rendimenti. Differentemente dalle banche, le passività delle compagnie assicurative sono passività subordinate al verificarsi di un certo evento aleatorio, che viene determinato in base a delle probabilità. L’ALM delle imprese assicurative deve essere in grado di conciliare gli attivi con i passivi e quindi di far dialogare coloro che lavorano dalla parte dell’attivo, cioè i gestori finanziari, e coloro che lavorano dalla parte del passivo, cioè gli attuari. Il matching tra le attività e le passività viene valutato utilizzando la duration, la quale misura la durata media di uno strumento finanziario tenendo conto della distribuzione temporale dei flussi di cassa che esso genera. Inoltre la duration può essere utilizzato per quantificare il tempo medio di rientro del capitale investito e la sensibilità del prezzo dello strumento al variare dei tassi di interesse. Calcolando il duration gap tra la duration delle attività e la duration delle passività, è possibile determinare la sensibilità dell’impresa al rischio di tasso.
La solvibilità delle imprese di assicurazione La componente aleatoria che l’impresa assicurativa deve affrontare è costituita dall’incertezza dei costi futuri che essa deve sostenere per far fronte agli impegni assunti con gli assicurati. La compagnia può stimare tale costo futuro, ma questo può discostarsi in maniera rilevante dal valore previsto, comportando un esborso più elevato. Se si aggiungono altri elementi aleatori, come la redditività degli investimenti, gli eventi esogeni ecc… ci si rende conto che l’impresa assicurativa potrebbe trovarsi in difficoltà nell’onorare gli impegni presi, ossia divenire insolvente. A causa dell’importanza assunta dalle compagnie, del loro ruolo all’interno del sistema finanziario e del fatto che essi incassano preventivamente i premi dietro la promessa della prestazione, è evidente che il rischio di insolvenza della compagnia diviene un punto cruciale; a tal proposito sono state emanate delle normative a tutela dell’assicurato e del sistema finanziario, finalizzate a garantire la stabilità e la capacità delle compagnie nell’adempiere alle proprie obbligazioni. Secondo i dettami della vigilanza prudenziale, viene imposto alle imprese assicurative di garantire un certo margine di solvibilità. La compagnia costituisce già delle riserve finalizzate a far fronte ai propri impegni
22
Gestione delle imprese di assicurazione – La gestione tecnica futuri; il margine di solvibilità ha la funzione di riserva complementare, che entra in gioco se gli impegni futuri comportano un esborso maggiore di quanto stimato. Per costituire il margine di solvibilità, la compagnia deve rispettare una soglia minima di patrimonializzazione, la quale è determinata sulla base di:
una componente fissa, denominata quota di garanzia, che viene determinata in misura pari a un terzo del margine richiesto e il cui livello minimo viene stabilito in funzione dei rami assicurativi che l’impresa è autorizzata a esercitare una componente variabile, misurata sulla base del volume dei premi raccolti e rettificato da un coefficiente che indica la rischiosità del “sottostante”. Nello specifico, nel ramo danni la parte variabile è correlata al volume dei premi raccolti e rettificata da un parametro di controllo che tiene conto del rischio di sinistrosità (il costo medio dei sinistri), mentre nel ramo vita è commisurata agli impegni assunti, misurati in termini di riserve matematiche o di capitali sotto rischio (capitale assicurato – riserva matematica accantonata) in funzione del tipo di rischio (finanziario, gestionale, demografico) assunto dall’impresa
Il margine di solvibilità è costituito da:
il capitale sociale versato le riserve legali, statutarie e facoltative non destinate a coprire specifici impegni o a rettifica di voci dell’attivo gli utili (o perdite) di esercizio e degli esercizi precedenti portati a nuovo, al netto dei dividendi da distribuire i prestiti subordinati, i titoli a durata indeterminata e altri strumenti nel rispetto dei limiti o quantitativi prefissati pari al 50% del margine o qualitativi, volti ad assicurare la permanenza dei fondi all’interno del patrimonio aziendale
Alle componenti sopra indicate bisogna portare in deduzione gli attivi immateriali (es. avviamento) e le azioni proprie e di imprese controllanti. Annualmente la compagnia deve presentare all’Isvap un prospetto che dimostri il margine di solvibilità Qualora la compagnia ricorra a contratti di riassicurazione passiva, può ridurre il margine di solvibilità in funzione degli impegni a carico dei riassicuratori, anche se attualmente tale riduzione non è commisurata all’effettiva diminuzione del rischio assicurativo derivante dall’utilizzo delle diverse forme di riassicurazione e non tiene conto del rischio credito, cioè del rischio che il riassicuratore non paghi. Il problema che si presenta quindi è quello di avere un margine di solvibilità che non è calibrato all’effettivo profilo di rischio a cui è esposta la compagnia. Inoltre, il margine si fonda su una valutazione statica, mentre dovrebbe essere determinato in base ad un approccio dinamico che comprenda valutazioni prospettiche e stress test che verifichino la capacità dell’impresa di subire shock esterni. Attualmente è in fase di studio il progetto Solvency II, che revisiona le regole prudenziali introdotte da Solvency I. Il nuovo progetto è finalizzato a definire dei requisiti patrimoniali che derivano da una più accurata e completa misurazione dei rischi a cui le compagnie sono esposte. A causa della crescente importanza del ruolo assunto all’interno del sistema finanziario, le compagnie di assicurazione devono fronteggiare, oltre ai rischi tipici dell’attività assicurativa (di natura tecnica e attuariale), i rischi di natura finanziaria tipici dell’attività di intermediazione finanziaria. Nel ramo vita, a
23
Gestione delle imprese di assicurazione – La gestione tecnica causa della diffusione di prodotti vita ad elevato contenuto finanziario, il rischio finanziario viene anche considerato come rischio tecnico. I rischi a cui l’impresa di assicurazione è sottoposta sono quindi:
i rischi assicurativi, tipici dell’attività assicurativa, che derivano dall’assunzione di rischi a fronte dell’incasso dei premi in via anticipata. I premi forniscono le risorse necessarie per far fronte ai futuri impegni aleatori e hanno la funzione di garantire l’equilibrio tecnico tra i ricavi e i costi. I rischi tecnici sono classificati in: o rischio di underwriting (o rischio di assunzione), dovuto a inefficienze nel processo di tariffazione. Il rischio di assunzione a sua volta è suddiviso in: - rischio di sottotariffazione, nel caso la tariffa venga costruita su basi statistiche e finanziarie che successivamente si rivelano inadeguate ad assicurare la copertura degli impegni assunti nei confronti degli assicurati - rischio di sovrasinistrosità, nel caso la tariffa venga costruita utilizzando delle stime di sinistrosità che si rivelano non corrette o rischio di riservazione, che riguarda la possibilità che le riserve tecniche accantonate non si rivelino sufficienti a causa di un errore di stima o di mutamenti nelle condizioni esterne i rischi finanziari, dovute alla sempre maggiore caratterizzazione finanziaria delle compagnie. I rischi finanziari si dividono in: o rischi di mercato, con i quali si intende il rischio di perdite dovute a variazioni inattese delle variabili di mercato come i tassi di interesse, i prezzi azionari, i tassi di cambio ecc… o rischi di credito, che riguardano la possibilità di insolvenza degli emittenti di titoli obbligazionari in cui si è investito, dei riassicuratori con i quali si hanno contratti di riassicurazione, di altri intermediari finanziari ecc… o rischi di liquidità, che riguardano l’incapacità dell’impresa di adempiere in modo puntuale e tempestivo alle obbligazioni assunte nei confronti degli assicurati a causa delle difficoltà incontrate nello smobilizzo delle proprie attività i rischi operativi e generali, che sono comuni a tutte le imprese. Questa tipologia di rischio si suddivide in: o rischio operativo, che riguarda le perdite che possono derivare da inefficienze di persone, processi , sistemi ed eventi esterni, quali la frode, l’outsourcing ecc… o rischio legale o rischio di compliance, che riguarda le sanzioni comminabili in caso di mancato rispetto delle leggi, dei regolamenti e dei provvedimenti delle Autorità di vigilanza o rischio reputazione, connesso al deterioramento dell’immagine aziendale e dei rapporti con la clientela. L’immagine dell’impresa può ad esempio deteriorarsi a causa della scarsa qualità dei servizi offerti, del collocamento di prodotti che non rispondono ai bisogni degli assicurati, del comportamento non corretto della rete distributiva ecc… o rischio legato all’appartenenza ad un gruppo, ossia il rischio che eventi riguardanti una società del gruppo abbiano effetti negativi anche sulla compagnia
Viste le numerose componenti di rischio, è evidente l’importanza di un’efficace ed efficiente gestione del rischio, ossia del risk management. È fondamentale che l’impresa sia in grado di identificare, valutare e gestire tutti i rischi, interni ed esterni, derivanti dalla propria attività, in un’ottica generale d’impresa e non limitata a determinate aree aziendali.
24
Gestione delle imprese di assicurazione – Gli indici di controllo del settore assicurativo
Gli indici di controllo del settore assicurativo
L’importanza del controllo di gestione, cioè l’insieme degli strumenti e delle modalità che permettono di misurare efficacemente la performance di tutti i processi e attività, è ormai assodato, visto che si pone sempre più come strumento fondamentale per la gestione delle imprese al fine di poter conseguire gli obiettivi prefissati. Il controllo di gestione permette quindi un’efficace pianificazione, cioè l’identificazione delle azioni da intraprendere per conseguire gli obiettivi prefissati, e il successivo monitoraggio dei risultati effettivamente conseguiti, per valutare se risultano in linea con quelli prefissati. In caso negativo, è possibile adottare gli idonei strumenti di correzione che agiscono nelle aree che non sono in linea con le performance attese. Nel settore assicurativo, la funzione del controllo di gestione è particolarmente importante, in quanto:
il processo produttivo è complesso e caratterizzato da elevata aleatorietà dei costi e da difficoltà di monitorare la gestione tecnica vi è un elevato decentramento dell’attività assicurativa, il che richiede un forte controllo centrale. Le compagnie assicurative infatti sono molto decentrate nel territorio e serve un presidio centrale che dia direttive, monitori l’operato e i risultati e intervenendo qualora sia necessario il settore assicurativo deve garantire la trasparenza nei confronti del mercato. Per questo motivo vengono comunicati periodicamente dei “piani industriali” che fissano un obiettivo da raggiungere
L’obiettivo stabilito in sede di redazione del piano industriale deve essere perseguito con la collaborazione di tutta l’organizzazione aziendale e di tutti gli attori coinvolti. Per questo motivo intervengono tre principali organi:
i vertici aziendali, che hanno la funzione di pianificazione strategica, ossia devono essere in grado di identificare le minacce e cogliere le opportunità offerte da un contesto in continua evoluzione l’organizzazione, che ha la funzione di compattare tutte le componenti aziendali per il raggiungimento dell’obiettivo finale il controllo di gestione, che deve monitorare l’andamento dell’azienda e verificare che questo sia in linea con gli obiettivi prestabiliti. Se vi sono “errori di rotta”, il controllo di gestione deve comunicare in modo tempestivo i ritocchi necessari per garantire il pieno raggiungimento degli obiettivi
I key performance indicators Il controllo di gestione deve individuare gli indicatori che meglio possono monitorare l’andamento della gestione e organizzarli in maniera integrata. Gli aspetti da monitorare devono essere identificati con precisione attraverso la mappatura dei processi produttivi. Il fine è quello di definire un sistema di key performance indicators che consentano l’efficace monitoraggio della gestione e l’evidenziazione di eventuali scostamenti rispetto alla traiettoria predefinita. Gli indicatori fondamentali per il controllo di gestione sono:
25
Gestione delle imprese di assicurazione – Gli indici di controllo del settore assicurativo
gli indicatori di dimensione, che misurano la dimensione dell’impresa e la sua capacità di crescita gli indicatori di performance economica, che misurano la redditività dell’impresa in termini di gestione tecnica, finanziaria e complessiva e l’efficienza dell’assetto organizzativo e procedurale dell’impresa gli indicatori di solvibilità e solidità patrimoniale, che misurano il livello di solidità patrimoniale e il grado di solvibilità dell’impresa
Gli indicatori di cui sopra devono essere analizzati sotto tre chiavi di lettura:
il valore dell’indicatore da solo non fornisce informazioni utilizzabili, ma può essere confrontato con i valori assunti dall’indicatore nel passato, per ottenere delle informazioni sulle dinamiche evolutive dell’impresa il valore dell’indicatore deve essere confrontato con quello del piano industriale per verificare se la direzione presa è coerente con gli obiettivi il valore dell’indicatore deve essere comparato con quelli dei principali concorrenti (competitor). Questi ultimi infatti possono rappresentare un benchmark a cui rapportarsi, soprattutto le imprese migliori (best in class)
Gli indicatori di dimensione Gli indicatori di dimensione sono utilizzati per valutare l’andamento della gestione nel conseguimento di obiettivi di sviluppo dimensionale. Le compagnie di assicurazione, attraverso la crescita dimensionale, riescono ad ampliare il parco clienti, aumentare il cross selling e ottenere una maggiore forza contrattuale. Gli indicatori di dimensione sono:
la raccolta premi, che misura anche la quota di mercato detenuta dalla compagnia la dimensione delle riserve tecniche, che misura l’ammontare degli impegni assunti nei confronti degli assicurati e quindi il grado di leva assicurativa dovuto all’inversione del ciclo produttivo il volume degli investimenti, il quale deve essere superiore alle riserve che deve coprire
Gli indicatori di dimensione devono essere analizzati insieme agli altri indicatori, soprattutto quelli di performance, in modo da valutare se la crescita e lo sviluppo creano o distruggono valore. Inoltre la compagnia deve valutare attentamente il rischio derivante da un’eccessiva concentrazione dovuto alla crescita dimensionale, sia a livello di portafoglio polizze che a livello di portafoglio investimenti.
Gli indicatori di performance economica L’indicatore generale che viene utilizzato per misurare la performance economica conseguita dalla compagnia è il return on equity (ROE). Il ROE è il principale indicatore di redditività che tiene conto del contributo di tutte le aree gestionali. Il problema di tale indicatore è la scarsa significatività prospettica: infatti utilizza dati contabili relativi al passato e quindi non può essere impiegato per effettuare stime prospettiche. Per ovviare a questo problema, sono stati introdotti altri indicatori, che tengono conto:
della dimensione economica, cioè della valutazione delle componenti reddituali utilizzando criteri di natura economica della capacità di creare o distruggere valore
26
Gestione delle imprese di assicurazione – Gli indici di controllo del settore assicurativo
del grado di rischio che la compagnia corre per conseguire un certo rendimento. Una compagnia potrebbe conseguire un rendimento maggiore, ma causato dall’assunzione di un carico di rischio eccessivo
Gli indicatori di questo tipo sono denominati indicatori risk – adjusted, cioè misure di redditività corrette per il rischio. Uno di questi è il return on risk adjusted capital (RORAC), il quale rapporta la redditività con il capitale a rischio (o capitale assorbito dall’attività assicurativa) invece che del capitale misurato attraverso i criteri di bilancio. Nell’ottica di lungo periodo, l’analisi della performance viene effettuata focalizzandosi sulla gestione ordinaria; le componenti di gestione straordinaria infatti sono non ripetibili, in quanto appunto dovuti ad eventi straordinari alla gestione della compagnia. Gli indicatori di performance economica nel ramo danni La redditività complessiva dell’impresa, misurata dal ROE, può essere scomposta in redditività ordinaria e straordinaria. La gestione ordinaria può essere, a sua volta, divisa in redditività della gestione industriale e della gestione finanziaria. La redditività della gestione industriale misura l’efficienza e l’efficacia dell’attività di underwriting dei contratti assicurativi. L’indicatore principale è il combined ratio, che misura la performance della gestione tecnica danni e rapporta il totale dei costi industriali (spese per sinistri e spese di gestione) con il volume dei premi raccolti. Un combined ratio inferiore a 100 indica la capacità della compagnia di conseguire utili con la sola gestione industriale. Il combined ratio delle compagnie italiane è stato per molti anni maggiore di 100 in quanto riuscivano a coprire le perdite della gestione industriale con i ricavi della gestione finanziaria. Il combined ratio si suddivide in:
loss ratio, che misura la sinistrosità e rapporta gli oneri per sinistri con i premi di competenza. A sua volta, il loss ratio viene scomposto in: o loss ratio riferito alla generazione corrente o incidenza del run off delle riserve sinistri stanziate nei precedenti esercizi sui premi, che misura il loss ratio riferito alle generazioni passate Il loss ratio è influenzato da diversi fattori, quali: o la frequenza sinistri, definita dal rapporto tra il numero dei sinistri e il numero dei rischi assicurati o il costo medio dei sinistri, definito dal rapporto tra il costo totale dei sinistri e il numero dei sinistri o la velocità di liquidazione dei sinistri, che misura la qualità del servizio offerto al cliente o la sufficienza o insufficienza delle riserve, ossia il run off delle riserve stanziate in relazione ai sinistri accaduti negli esercizi precedenti. L’indice misura la congruità delle riserve stanziate expense ratio, che misura l’efficienza della struttura e rapporta le spese di gestione con i premi emessi. L’indicatore può essere scomposto in due indici: o l’indicatore di efficienza della struttura distributiva, dato dal rapporto tra le spese commerciali (provvigioni di acquisizione, di incasso e altre spese di acquisizione) e i premi
27
Gestione delle imprese di assicurazione – Gli indici di controllo del settore assicurativo
o
emessi, che dipende dalla politica distributiva e di remunerazione della rete vendita adottata dalla compagnia l’indicatore di efficienza della struttura amministrativa, dato dal rapporto tra le spese amministrative e i premi emessi, che dipende dall’assetto organizzativo dell’impresa, dalle sue politiche gestionali ecc...
Tutti i fattori visti prima sono strettamente correlati: ad esempio il costo medio dei sinistri può crescere perché l’impresa riduce i tempi medi di liquidazione. Inoltre il loss ratio e il combined ratio sono influenzati dalla politica adottata per la gestione delle riserve. Infatti nei due indicatori sono inclusi anche i costi relativi ai sinistri che vengono stanziati nelle riserve, i quali sono frutto di stime. La redditività della gestione finanziaria viene rappresentata dai seguenti indicatori:
il margine tecnico – finanziario, dato dal prodotto tra il rendimento degli investimenti sulle riserve tecniche e il reserve ratio, che indica la redditività degli investimenti delle riserve tecniche l’indicatore di redditività degli investimenti del capitale libero (free capital), dato dal prodotto tra gli altri proventi netti finanziari sul free capital e il rapporto tra il free capital e i premi emessi
Gli indicatori di performance economica nel ramo vita Così come visto per il ramo danni, anche la performance del ramo vita può essere misurata dal ROE, il quale viene scomposto in redditività ordinaria e straordinaria. La redditività ordinaria è suddivisa in gestione tecnica e gestione finanziaria. La prima viene monitorata attraverso specifici indicatori di redditività ed efficienza, mentre la seconda viene a sua volta suddivisa in redditività riferibile alle riserve tecniche inclusa nel saldo tecnico complessivo e quella che, essendo imputabile a capitale libero, viene trasferita in conto non tecnico. Tra gli indicatori di redditività si annoverano:
il rapporto del patrimonio gestito, che confronta il saldo tecnico con la massa gestita per conto degli assicurati, che viene approssimata dalle riserve tecniche il new business margin, che è un indicatore volto a misurare il valore creato dalla nuova produzione. L’analisi della nuova produzione può essere condotta dal punto di vista quantitativo (es. volume dei premi raccolti) o qualitativo, in termini di composizione per: o ramo assicurativo o canale distributivo o comparto di attività (polizze collettive e individuali) o tipologia di premio (unico, annuo, ricorrente) Il new business margin è dato dal rapporto tra la stima del valore attuale degli utili futuri attesi derivanti dalla nuova produzione dell’esercizio, al netto del costo del capitale, e una misura standardizzata dei premi di nuova produzione. Quest’ultimo parametro può essere calcolato tramite: o il criterio annual premium equivalent (APE) il quale consiste nel convertire tutta la raccolta in premi annui, in cui i premi di nuova produzione vengono stimati come somma dei premi annui e dell’importo medio annuo medio dei premi unici, calcolato come rapporto tra i premi unici e il numero di anni di durata dei contratti (per convenzione pari a 10)
28
Gestione delle imprese di assicurazione – Gli indici di controllo del settore assicurativo o
il criterio single premium equivalent (SPE) il quale consiste nel convertire l’intera raccolta in premi unici, in cui i premi di nuova produzione vengono stimati come somma dei premi unici e di quelli annui moltiplicati per il numero di anni di durata dei contratti (per convenzione pari a 10) Il problema del new business margin è dovuto al fatto che viene calcolato secondo delle stime prospettiche e quindi può variare a seconda dei parametri utilizzati per la previsione Tra gli indicatori di efficienza vi è l’expense ratio, dato dal rapporto tra le spese di gestione e i premi emessi. Negli ultimi anni si è assistito a degli sforzi da parte delle compagnie italiane a ridurre l’incidenza dei costi e divenire quindi più efficienti.
Gli indicatori di solvibilità e solidità patrimoniale Gli indicatori di solvibilità e di solidità patrimoniale misurano la capacità della compagnia a far fronte agli impegni assunti e quindi il suo stato di salute. Tra questi indicatori vi sono:
il reserve ratio, che viene utilizzato per valutare la congruità delle riserve tecniche con gli impegni assunti. L’indicatore è dato dal rapporto tra le riserve tecniche e i premi emessi e, seppur prendendo due indicatori non omogenei, costituisce un utile parametro per effettuare dei confronti con le altre imprese l’indice di copertura del rischio, dato dal rapporto tra il totale degli investimenti e le riserve tecniche. Tale indice deve essere almeno pari a 1, in quanto altrimenti la compagnia non sarebbe in grado di coprire le riserve tecniche con il proprio attivo. Un indice superiore a 1 è un segno che la compagnia è solida ed è in grado di coprire gli impegni nei confronti degli assicurati, oltre che disporre di un capitale libero che può essere investito senza vincoli normativi a tutela degli assicurati l’indice di patrimonializzazione, dato dal rapporto tra i mezzi propri della compagnia (capitale sociale e riserve patrimoniali) e il totale delle attività. Maggiore è il grado di patrimonializzazione, maggiore è la solidità patrimoniale della compagnia il debt ratio, o l’indice di indebitamento, dato dal rapporto tra i debiti finanziari e il totale delle attività. Il debt ratio esprime il grado di leva finanziaria assunto dalla compagnia: il ricorso all’indebitamento può essere conveniente in quanto il costo di un finanziamento (che dipende dal rating della compagnia) è minore del costo opportunità del capitale proprio, ma un’eccessiva leva finanziaria può essere molto rischiosa per la solvibilità della compagnia il solvency ratio, dato dal rapporto tra il margine di solvibilità della compagnia e il margine da costituire sulla base della vigilanza prudenziale. Le compagnie assicurative, come gli altri intermediari finanziari, sono soggette a vincoli regolamentari in termini di requisiti minimi di capitale da detenere. Il solvency ratio indica quindi il rispetto dei requisiti minimi da parte della compagnia
29
Gestione delle imprese di assicurazione – L’organizzazione
L’organizzazione delle imprese di assicurazione
La compagnia di assicurazione non è un’impresa industriale, che deve dare un’organizzazione alle proprie risorse materiali, quali impianti e macchinari, immateriali e umane. La differenza è infatti data dal fatto che nelle compagnie assicurative non vi sono impianti o macchinari; i veri cespiti sono intangibili e sono rappresentati dalle capitale umano e dal know how. L’organizzazione delle compagnie assicurative è quindi rivolta verso la strutturazione organizzativa efficiente ed efficace del capitale umano e del know how, che permetta di conseguire un vantaggio competitivo dato dalla valorizzazione delle risorse umane e dallo sfruttamento delle conoscenze e competenze. Inoltre, l’organizzazione è ancora più rilevante nel caso delle recenti operazioni di fusione, ossia deve far in modo che la mera fusione si trasformi in un’effettiva integrazione operativa che permetta di conseguire sinergie ed economie di scala, sia in termini di costo che di ricavo.
La struttura organizzativa Le caratteristiche organizzative di una compagnia di assicurazione sono:
l’elevato decentramento operativo, ossia produzione e distribuzione sono affidate a strutture decentrate l’ampiezza delle strutture la capillarità territoriale, ossia le agenzie e gli altri canali distribuitivi sono distribuite sul territorio
La struttura organizzativa così ampia può comportare dei problemi in relazione alla trasmissione degli ordini dai vertici aziendali fino ai livelli operativi più bassi e ciò rende difficile coniugare gli obiettivi di crescita e sviluppo con quelli di redditività. Una delle maggiori sfide per le compagnie è quella di trasmettere le proprie decisioni a tutti i diversi livelli. È quindi evidente l’importanza di ben definire la strategia dell’impresa attraverso un’attenta pianificazione strategica, che traduca la mission aziendale in un insieme di obiettivi che le singole funzioni aziendali riescano a percepire attraverso un’efficiente sistema di comunicazione e gestione delle informazioni. Il tutto deve essere monitorato continuamente dalla funzione di controllo di gestione, in modo che possa attuare gli interventi corretti in maniera tempestiva qualora ve ne sia bisogno. Abbiamo visto come sia di vitale importanza che tutti i livelli aziendali recepiscano le linee guida stabilite dai vertici. A tal fine sono sempre più diffuse tecniche gestionali basate sul management by objectives (MBO), attraverso i quali si assegnano ai responsabili delle singole funzioni aziendali degli obiettivi, chiari
30
Gestione delle imprese di assicurazione – L’organizzazione e obiettivamente misurabili, coerenti con la mission e che prevedono dei sistemi di incentivazione e di premiazione basati sul raggiungimento degli stessi. Un altro fattore di successo per la compagnia è rappresentato dalla capacità della compagnia di coinvolgere le reti esterne nel conseguimento degli obiettivi aziendali. L’obiettivo di creazione di valore per tutti i soggetti coinvolti, soprattutto nel lungo periodo, si può realizzare solo con sistemi gestionali innovativi, che prevedano il coinvolgimento di tutti i partecipanti e che adottino sistemi di incentivazione e di remunerazione improntati ad esempio non solo sul volume dei premi raccolti ma parametrati alla qualità del portafoglio di polizze sottoscritte. Solo in questo modo la mission aziendale diventa più facilmente conseguibile e la compagnia riesce a giungere all’equilibrio tra obiettivi di sviluppo e di selezione.
La struttura distributiva La compagnia di assicurazione può distribuire i propri prodotti e polizze attraverso diversi canali distributivi: questi sono gli agenti, i broker, le banche ecc… Gli agenti di assicurazione rappresentano il canale distributivo per eccellenza; essi sono iscritti in un albo nazionale gestito dall’ISVAP e non sono legati alla compagnia da un rapporto di lavoro dipendente. Gli agenti possono essere:
monomandatari, i quali lavorano per una compagnia in maniera esclusiva plurimandatari, i quali invece sono legati da un rapporto di mandato con una pluralità di compagnie
Il settore assicurativo italiano vede la netta preponderanza di agenti operanti in esclusiva per una determinata compagnia, riconducibile ad un forte senso di appartenenza e fidelizzazione dell’agente al gruppo assicurativo. I broker assicurativi sono invece i rappresentanti dei clienti: questi ultimi si rivolgono ai broker esponendo le proprie esigenze assicurative; successivamente il broker entra sul mercato assicurativo alla ricerca della soluzione più soddisfacente per il cliente in termini di costo e qualità. Il peso dei broker nel mercato assicurativo italiano è assai modesto e la loro attività viene svolta soprattutto nel settore delle imprese. A questi canali distributivi tradizionali si sono affiancati nuove modalità con cui i prodotti assicurativi vengono distribuiti. Queste nuove modalità permettono di soddisfare esigenze diversificate dei clienti e di raggiungere segmenti di clientela un tempo lontani dall’assicurazione. I nuovi canali sono lo sportello bancario, i promotori finanziari, la vendita diretta via telefono o internet ecc… Lo sportello bancario si è diffuso come canale distributivo verso la seconda metà degli anni ’90, nel periodo in cui è stato avviato il processo di finanziarizzazione delle polizze vita. Tramite le banche questi prodotti si sono avvicinati a clienti non interessati a coperture assicurative di tipo tradizionale.
31
Gestione delle imprese di assicurazione – L’organizzazione Lo sviluppo degli sportelli bancari è riconducibile all’affermarsi della bancassurance, cioè accordi tra le compagnie assicurative e istituti di credito per la distribuzione di prodotti assicurativi presso gli sportelli bancari. Tale integrazione tra assicurazione e banca può avvenire tramite semplici accordi distributivi, costituzione di joint venture, l’acquisizione di un’impresa già operante, la costituzione di una captive ecc… I promotori finanziari, iscritti in un albo tenuto dalla Consob, sono i soggetti tradizionalmente incaricati di collocare prodotti di risparmio. Con il processo di finanziarizzazione, i prodotti assicurativi del ramo vita sono assimilabili a strumenti di risparmio. I canali diretti di vendita, in particolare il telefono e internet, hanno conosciuto un forte sviluppo negli ultimi anni in UE. La struttura distributiva delle compagnie si fa sempre più multicanale; questo è per rispondere alle esigenze di adattamento ai cambiamenti e all’evoluzione del mercato assicurativo. La strategia multicanale ha visto il coinvolgimento di un maggior numero di attori, ciascuno dei quali però riceve una provvigione differente. Ciascun canale deve essere utilizzato per le potenzialità che ha: non si può ad esempio vendere una polizza vita via telefono. Inoltre ciascun canale deve essere valutato in base alle strategie e agli obiettivi che la compagnia si pone. Nel ramo danni, dove l’obiettivo è quello di coniugare la crescita con la qualità del portafoglio, il canale migliore rimane l’agenzia, che può sfruttare il rapporto personale con il cliente e l’elevato know how nel settore. Per mettere ordine tra tutti i soggetti coinvolti nella distribuzione dei prodotti assicurativi, il Codice delle Assicurazioni Private introduce una normativa di recepimento di una direttiva comunitaria in materia di intermediazione assicurativa. Secondo la nuova disciplina comunitaria, finalizzata a creare un mercato unico dell’intermediazione assicurativa all’interno dell’UE e a garantire un elevato livello di tutela del cliente, ciascun soggetto addetto alla distribuzione dei prodotti assicurativi deve essere iscritto in un apposito registro degli intermediari, gestito dall’Isvap e suddiviso in sezioni distinte. Per poter accedere al registro, gli intermediari devono soddisfare i requisiti di onorabilità e di professionalità ed essere dotati di un’apposita copertura di responsabilità civile professionale. A ciascun intermediario registrato viene imposto l’obbligo di fornire adeguata informativa precontrattuale al cliente, soprattutto riguardo le caratteristiche e le prestazioni a cui la compagnia è obbligata.
La struttura di liquidazione dei sinistri La fase di liquidazione dei sinistri comincia con la denuncia del sinistro stesso presso un’agenzia o un call center. Dopo aver verificato la regolarità amministrativa relativamente al versamento del premio e alla validità della polizza, la pratica viene affidata alle strutture liquidative. Il processo liquidativo viene gestito dai liquidatori, i quali definiscono l’importo da corrispondere al cliente e alla stima della riserva relativa al sinistro se questo non viene chiuso entro la fine dell’esercizio. I liquidatori si affidano a professionisti esterni per la valutazione dei danni, come periti, medici e legali. In base alla struttura della rete liquidativa, si sono sviluppati due modelli organizzativi:
32
Gestione delle imprese di assicurazione – L’organizzazione
basato sui liquidatori in agenzia, nel quale l’agenzia mantiene un ruolo importante nella fase di liquidazione in quanto fa da raccordo tra la fase di denuncia e la fase di prestazione della compagnia. Tale modello permette di offrire al cliente un miglior servizio percepito basato su ispettorati sinistri, nel quale la fase di liquidazione viene accentrata nelle strutture della compagnia. Il modello permette di conseguire una migliore efficienza e specializzazione
Il processo liquidativo nel ramo danni Nel ramo danni, i sinistri vengono classificati a seconda del danno:
se il sinistro ha causato un danno semplice, come ad esempio soli danni materiali ad una controparte nei sinistri auto, viene liquidato secondo criteri standardizzati, in modo da velocizzare il processo e ottimizzare le esigenze di contenimento dei costi medi da parte dell’impresa e le esigenze di qualità del servizio da parte del cliente se il sinistro ha causato danni complessi, come i sinistri relativi ai rami elementari e i danni materiali con più controparti e danni fisici nell’ambito dei sinistri auto, la fase liquidativa non presenta le caratteristiche di standardizzazione come nel caso dei sinistri semplici. È importante che il liquidatore sappia gestire la fase e valutare il danno, cercando sempre di contemperare la corretta gestione dei complessi profili valutati del sinistro con le esigenze di rapidità del servizio richieste dal clienteù
Il processo liquidativo nel ramo vita Il processo di liquidazione dei sinistri nel ramo vita è molto più semplice rispetto al ramo danni. Infatti nel ramo vita i sinistri sono certi, ossia non presentano alcuna caratteristica di aleatorietà, per cui anche la prestazione da parte della compagnia è certa (es. polizze di capitalizzazione) oppure è incerto il momento della prestazione (es. polizze causa morte a vita intera). È importante che la compagnia si doti dei canali liquidativi che riescano ad erogare la prestazione in tempi rapidi. In conclusione, la fase liquidativa, cosi come la fase di underwriting e quella distributiva, rappresenta uno dei parametri sul quale il cliente valuta il proprio grado di soddisfazione. Una struttura liquidativa rapida ed efficiente, che riesce a valutare i danni e risarcire in tempi congrui il cliente, può essere un vantaggio competitivo nei confronti delle altre compagnie. Con l’introduzione del risarcimento diretto nel ramo RCA, l’importanza della fase liquidativa è divenuta ancora più importante.
33
Gestione delle imprese di assicurazione – La valutazione di un business di lungo termine
La valutazione di un business di lungo termine
Una compagnia assicurativa, nonostante l’inversione del ciclo produttivo e le differenze con le imprese industriali, può essere valutata anch’essa secondo le metodologie previste dalla dottrina economico – aziendale. I metodi valutativi sono di tre tipi:
patrimoniali, basati su grandezze stock reddituali e finanziari, basati su grandezze flusso misti, basati su grandezze patrimoniali – reddituali
I metodi patrimoniali I metodi basati su grandezze stock prevedono la valutazione delle voci presenti nel patrimonio della compagnia, cioè gli elementi che compongono l’attivo e il passivo patrimoniale. Innanzitutto è necessario identificare le componenti patrimoniali e procedere poi alla loro valorizzazione. Al momento della loro iscrizione, le varie voci dell’attivo e del passivo sono espresse secondo il proprio costo storico. Tuttavia con il passare del tempo il costo storico non rappresenta più il valore reale del patrimonio della compagnia, per cui è necessario procedere alla rettifica del patrimonio in modo che rifletta il reale valore delle voci che lo compongono. I metodi patrimoniali si suddividono a loro volta in:
semplici, se considerano solo gli elementi del patrimonio netto risultanti dalla situazione contabile della compagnia. Secondo tale criterio si ha che
W K C P1 P2 ... M1 M 2 ...1 t ossia che il valore dell’impresa (W) è pari al patrimonio netto rettificato (K), a sua volta rappresentato dal capitale netto contabile (C) maggiorato delle plusvalenze (P) e al netto delle minusvalenze (M) e dell’effetto fiscale (t)
complessi, se oltre a considerare gli elementi patrimoniali risultati dal bilancio prendono in considerazione anche gli intangibles non iscritti in contabilità. Le compagnie assicurative sono un classico esempio in cui le risorse intangibili superano di gran lunga quelle materiali: fattori come la reputazione, il know how, la qualità del portafoglio, la quota di mercato ecc… rappresentano dei drivers per il valore. Secondo tale criterio si ha che
W K BI
34
Gestione delle imprese di assicurazione – La valutazione di un business di lungo termine ossia che il valore dell’impresa è pari al patrimonio netto rettificato maggiorato del valore dei beni intangibles (BI). I beni intangibili, per essere inclusi devono avere utilità pluriennale, avere un valore misurabile ed essere trasferibile a terzi; essi possono essere valutati secondo diversi criteri: o o o o
costo storico, cioè la valutazione dei costi sostenuti per la creazione e lo sviluppo dell’asset immateriale costo di riproduzione, cioè la valutazione dei costi da sostenere per la ricostruzione, alla data della valutazione, dell’asset immateriale redditività attesa, cioè l’attualizzazione dei redditi differenziali dovuti al possesso del bene immateriale costo della perdita, cioè il valore del danno che si avrebbe in caso di perdita del bene immateriale
I metodi reddituali e finanziari Il limite delle metodologie patrimoniali è il fatto che danno una fotografia statica della situazione aziendale. I metodi basati sui flussi, come quello reddituale e finanziario, basano la valutazione non tanto sul patrimonio della compagnia, ma sui flussi reddituali e finanziari che la compagnia sarà in grado di generare. I metodi reddituali si basano sull’idea che il valore dell’impresa è determinato dalla redditività attesa, cioè dalla sua capacità di generare dei flussi reddituali positivi nel futuro. I flussi reddituali che si vanno a considerare nella valutazione sono quelli che costituiscono il reddito normalizzato, cioè quello conseguibile in una condizione normale di mercato e di gestione, depurando quindi ogni effetto distorsivo dovuto a eventi eccezionali o esterni alla gestione. Pertanto il processo di normalizzazione ricava dai flussi contabili i flussi economici reddituali, attraverso:
l’eliminazione di oneri e proventi straordinari l’eliminazione di costi e ricavi extracaratteristici la neutralizzazione delle politiche di bilancio la neutralizzazione degli effetti inflattivi l’integrazione dei risultati storici contabili attraverso la rilevazione di plus/minusvalenze inespresse derivanti da politiche di creazione e distruzione di valore che sfuggono alla registrazione contabile
Di conseguenza, si avrà che:
W R an;i ossia che il valore dell’impresa è pari al reddito normalizzato medio (R) moltiplicato per un fattore di attualizzazione (a) che tiene conto sia del tasso di attualizzazione (i) sia del periodo considerato (n). Se l’orizzonte di valutazione è illimitato ( n ), il valore dell’impresa è pari a
35
Gestione delle imprese di assicurazione – La valutazione di un business di lungo termine W
R i
Spesso l’orizzonte di valutazione è limitato e considera quindi i soli redditi normalizzati medi del periodo considerato, aggiungendo un terminal value per considerare anche i redditi che si produrranno oltre l’orizzonte considerato. In alternativa al reddito normalizzato medio, è possibile utilizzare i redditi analitici attesi anno per anno. La valutazione risulterà più precisa. Il tasso di attualizzazione utilizzato per scontare i flussi deve essere determinato correttamente, in modo che tenga conto del rischio dell’impresa valutata. I metodi finanziari si basano sull’idea che il valore dell’impresa è dato dal valore attuale della sommatoria dei flussi di cassa che sarà in grado di generare in futuro (discounted cash flow – DCF). Di conseguenza, si avrà che
W t 0 CFt 1 i TV n
t
ossia che il valore dell’impresa è dato dalla sommatoria dei flussi di cassa attualizzati ad un tasso i maggiorato di un terminal value che tiene conto dei flussi di cassa che verranno prodotti oltre l’arco di tempo considerato. Il problema principale delle metodologie basate su flussi è la soggettività della valutazione. Infatti tutti i parametri (flussi reddituali, flussi di cassa, terminal value, tasso di attualizzazione, orizzonte di stima ecc…) sono tutti stimati e quindi presentano un alto grado di soggettività. Tuttavia permettono di esprimere bene la dinamicità dell’impresa, cosa che il metodo patrimoniale non fa.
I metodi misti I metodi misti tentano di coniugare la maggiore oggettività e dimostrabilità dei metodi patrimoniali con la maggior attitudine dei metodi basati sui flussi a riprodurre la dinamicità dell’impresa. I metodi misti assumono come base di partenza il valore del patrimonio netto rettificato, calcolato secondo il metodo patrimoniale, che viene integrato poi dalle prospettive reddituali future attraverso il riconoscimento di un goodwill in caso di sovra reddito o di badwill in caso di sottoreddito rispetto ad un rendimento normale atteso sul capitale netto dell’impresa nel settore di riferimento.
Le metodologie empiriche I metodi di valutazione empirica si basano su comparazioni di mercato. I più diffusi sono:
il metodo delle transazioni comparabili, in cui un’impresa viene valutata osservando i prezzi di mercato delle transazioni riguardanti imprese ad essa assimilabili il metodo delle società comparabili, in cui un’impresa viene valutata sulla base di una comparazione con i prezzi negoziati per i titoli negoziati in Borsa di società assimilabili a quella
36
Gestione delle imprese di assicurazione – La valutazione di un business di lungo termine oggetto di valutazione, attraverso l’analisi di multipli di mercato. Questi ultimi sono dei rapporti fondati sui prezzi di titoli o società comparabili, sviluppati individuando la possibile relazione esistente tra il prezzo di mercato delle imprese con alcune grandezze contabili (es. utile, fatturato, patrimonio netto)
La scelta del metodo di valutazione La scelta del metodo di valutazione dipende essenzialmente da due fattori:
la finalità della valutazione, ossia se la valutazione viene fatta per fini particolari, come ad esempio in occasione di una fusione, di una cessione a terzi, di una liquidazione, di un’integrazione in un gruppo, di uno spin off ecc… In condizioni normali di mercato il valore del capitale economico di un’impresa può essere indicato come valore generale, in quanto è ritenuto congruo senza considerare la natura delle parti interessate nella transazione, la loro forza contrattuale o i loro interessi, come succede nel caso vi sia una finalità le caratteristiche specifiche dell’impresa valutata, in particolar modo il settore di appartenenza. Uno studio ha dimostrato che la metodologia di valutazione dipende in gran parte dallo specifico settore in cui l’impresa opera: o le imprese industriali sono preferibilmente valutate con il DCF o le holding sono preferibilmente valutate con il metodo patrimoniale tradizionale, chiamato anche net asset value (NAV) o le banche vengono analizzate con molteplici criteri, a causa anche della diversità tra una banca e l’altra (es. banca universale e banca specializzata) o le assicurazioni vengono valutate tramite la metodologia dell’embedded value (EV)
Nonostante queste divergenze, si può osservare la tendenza ad utilizzare metodologie basate sulla creazione di valore nel lungo periodo. Lo studio ha evidenziato come, in pochi anni, si è passati da un massiccio uso di metodologie patrimoniali e patrimoniali – reddituali a metodologie quali il DCF, l’EVA e l’embedded value. Inoltre, gli indicatori che prima assumevano una rilevanza primaria, come gli indicatori di dimensione del patrimonio o dei volumi di premi emessi, ora divengono dei drivers di performance di creazione di valore.
L’embedded value e l’appraisal value L’utilizzo di queste metodologie per determinare il valore di una compagnia assicurativa è aumentato tantissimo negli ultimi anni. Le due tipologie in questione sono di tipo patrimoniale – reddituale e si esplicano nel calcolo dell’embedded value se a portafoglio “chiuso” o dell’appraisal value se a portafoglio “aperto”. L’embedded value è la somma del patrimonio netto contabile rettificato e la stima del valore intrinseco del portafoglio di polizze già acquisito. Esso stima il valore intrinseco del portafoglio vita e danni che la compagnia ha già acquisito al momento della valutazione.
37
Gestione delle imprese di assicurazione – La valutazione di un business di lungo termine L’appraisal value è la somma dell’embedded value e la stima dell’avviamento (goodwill) inteso come capacità della compagnia di generare nuovo portafoglio. Esso stima, oltre al valore intrinseco del portafoglio già detenuto, anche il potenziale della compagnia in termini di vendita di nuove polizze, sia a clienti attuali attraverso il cross selling, sia a nuovi clienti. Il calcolo dell’embedded value non è oggettivo, ma dipende dai parametri e dalle stime utilizzate nel processo di determinazione di tale valore. Inoltre il valore determinato può essere influenzato da variabili esogene, come fattori economici, finanziari, politici e sociali che l’impresa non può direttamente controllare. Per questi motivi di incertezza, l’embedded value deve essere interpretato e integrato con variabili qualitative e con altri metodi di valutazione. Nel 2004 è stato introdotto un modello europeo per il calcolo dell’embedded value, che si caratterizza per la maggior trasparenza in termini di informazioni fornite e per l’adozione, nella valutazione dei portafogli assicurativi, di un approccio stocastico, ossia i flussi futuri che determinano il valore dell’impresa non vengono identificati in un unico valore ma in una distribuzione di probabilità. Tuttavia anche l’EEV (european embedded value) risente dei margini di soggettività che rimangono in capo alle compagnie.
I criteri qualitativi di valutazione Accanto ai modelli basati su criteri quantitativi si stanno diffondendo dei modelli più attenti agli aspetti qualitativi di un’impresa. Questi fattori qualitativi sono:
la qualità della corporate governance e il ruolo delle risorse umane il livello della disclosure, cioè la trasparenza e la qualità delle comunicazioni verso il mercato i piani strategici e gli obiettivi che la compagnia intende raggiungere, per vedere se sono orientati alla creazione di valore e ancorando ad esso gli strumenti di remunerazione
Le tendenze in atto nella valutazione delle compagnie I modelli quantitativi e i criteri qualitativi impiegati nella valutazione delle compagnie di assicurazione evidenziano come sia in atto una tendenza verso:
l’adozione di un’ottica di lungo periodo il concetto di creazione di valore l’importanza dei principi etici nei rapporti con il mercato, con gli azionisti e i clienti
Questo nuovo approccio valutativo costringe le compagnie e i manager a definire piani strategici e prendere decisioni che creino valore, a una maggiore trasparenza e livello di disclosure nell’informativa verso il mercato e a costituire rapporti con gli altri soggetti basati su principi etici. Negli ultimi anni si è assistito ad un cambiamento culturale sia per quanto riguarda le compagnie di assicurazione sia per quanto riguarda la clientela e il mercato. Da un lato infatti si può riscontrare una maggiore attenzione verso i bisogni e le esigenze dei clienti, attraverso prodotti e tariffe personalizzate e una politica incentrata verso la customer satisfaction, mentre dall’altro lato è osservabile una crescente attenzione del mercato e della clientela verso l’immagine e la reputazione della compagnia.
38
I trasporti nell’area mediterranea L’ingresso in campo di nuovi Stati come Cina e India nel settore di esportazione delle merci ha riportato il Mediterraneo, il canale di Suez e il mar Rosso al centro dei traffici mondiali. Soprattutto per quanto riguarda il Mediterraneo, l’UE preme verso la risoluzione di diversi problemi che coinvolgono il traffico marittimo:
la riqualificazione dei porti l’intermodalità la cantieristica la navigazione interna i costi del trasporto la ricostruzione di flotte la riqualificazione del personale marittimo la definizione delle acque territoriali, il cabotaggio e l’inquinamento
Le potenzialità e l’importanza del Mediterraneo sono spiegabili sia dalla sua posizione sia dal fatto che la maggior parte degli scambi complessivi tra l’UE e il resto del mondo avviene via mare. Nonostante i volumi di merce trasportati nei porti del Nord Europa, si assiste ad un maggiore tasso di crescita dei porti mediterranei, dovuto:
alla tendenza ad accorciare i percorsi tra l’Estremo Oriente e il Nord America passando per il Mediterraneo alla nuova competitività dei porti del Sud Europa grazie alla maggiore efficienza del sistema di trasporti intermodale
In generale, il trasporto delle merci via mare ha un grandissimo successo. I fattori che lo decretano sono molteplici:
la diffusione del transhipment, cioè il trasferimento di merci da un vettore ad un altro per la continuazione del viaggio, che ha consentito di servire anche mercati e destinazioni con domanda debole, che sarebbero stati esclusi dal mercato la riduzione dei costi di handling portuale, grazie alle innovazioni tecnologiche e maggiore professionalità della forza lavoro la privatizzazione delle banchine, la quale ha consentito l’ingresso di operatori specializzati lo sviluppo della logistica portuale
il trasporto marittimo è di fondamentale importanza per un Paese come l’Italia, che ha oltre 1000 km di costa nel Mediterraneo. La maggior parte dei beni viene importata ed esportata via mare. L’estensione dell’UE a est e la volontà di incentivare il sistema di trasporti intermodale spinge ad una rapida riorganizzazione dei porti nazionali, soprattutto per quanto riguarda l’interconnessione con le altre modalità di trasporto. La debolezza del sistema portuale italiano, nonostante stia recuperando la propria importanza, soprattutto nel contesto internazionale è riconducibile:
alla frammentazione del sistema portuale. Esistono numerosi porti ma la stragrande maggioranza non possiede le dimensioni, le infrastrutture e potenzialità commerciali rilevanti all’assenza di un porto principale che possa competere a livello globale
all’assenza di una politica di investimenti finalizzata allo sviluppo delle infrastrutture e dell’intermodalità ad ostacoli di tipo amministrativo e giuridico dei terminalisti privati all’eccessivo costo del trasporto intermodale offerto e la minore produttività dei porti nazionali nelle operazioni di carico e scarico
I fattori di successo dei porti del Nord Europa sono stati:
la maggior concentrazione produttiva e commerciale del retroterra la presenza di una rete capillare di infrastrutture che penetrano nel continente l’esperienza organizzativa nel traffico intermodale
Gli indirizzi presi dall’UE si possono esplicare in due eventi:
la conferenza di Barcellona del 1995, in cui il traffico marittimo viene considerato fondamentale per la promozione e lo sviluppo del partneriato euro mediterraneo il consiglio europeo di Copenaghen del 2002, che concentra l’attenzione sul bisogno di aumentare la cooperazione transfrontaliera e regionale con i Paesi limitrofi. Nasce il concetto di prossimità nelle relazioni tra UE e i vicini orientali e meridionali
Le linee di intervento decise sono finalizzate a collegare gli assi della rete trans europea ai Paesi vicini, sviluppare una rete euro mediterranea dei trasporti e migliorare l’accessibilità alle regioni periferiche e alle isole In base a queste linee d’azione, il trasporto via mare assume un ruolo principale, anche nel sostegno all’attuazione dei programmi relativi all’intermodalità e alla sostenibilità ambientale. I progetti quindi prevedono:
lo sviluppo e il miglioramento delle infrastrutture lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni il rispetto delle norme del diritto marittimo internazionale il collegamento dei partner mediterranei con la rete trans europea
L’Italia può conseguire enormi vantaggi grazie a questi progetti e alla sua posizione di cerniera tra il Nord Europa e l’area mediterranea. L’importanza trasporto marittimo per l’Ue è ben spiegato dai numeri:
vengono effettuate via mare il 90% degli scambi con l’estero e il 45% degli scambi interni vengono movimentate nei porti comunitari oltre 1miliardo di tonnellate di merci le compagnie marittime dell’UE controllano un terzo della flotta mondiale gli addetti operanti nel settore sono circa 2,5 milioni
La modalità marittima è quindi essenziale nella mobilità, soprattutto delle merci. Per renderla più efficiente, è necessario identificare le tratte marittime, dette autostrade del mare, capaci di collegare gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo, e collegarle con i corridoi terrestri. Solo cosi si può innescare una spirale economica positiva che agevoli lo sviluppo della rete euro mediterranea di trasporto. Questa situazione si verifica affrontando una serie di vincoli/condizioni essenziali per rendere i traffici di interesse per gli operatori economici:
sicurezza, soprattutto in seguito agli attentati dell’11 settembre. I mezzi di trasporto sono facilmente esposti a minacce terroristiche. L’UE ha emanato un regolamento relativo al miglioramento della sicurezza delle navi e degli impianti portuali ICT e la diffusione delle tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni nel campo della logistica e dei trasporti un contesto normativo di riferimento chiaro e uniforme adeguamenti tecnologici nei terminal per garantire operazioni di carico/scarico nei tempi e costi opportuni organizzazione logistica e del lavoro che consenta di operare nei tempi e nei costi previsti
Il trasporto marittimo a corto raggio Il trasporto marittimo a corto raggio, o cabotaggio o short sea shipping (SSS) è definito come il movimento di merci e passeggeri via mare tra porti situati nell’Europa geografica o tra questi porti e porti situati in parsi non europei con una linea costiera sui mari chiusi alle frontiere dell’Europa. L’UE intende promuovere il servizio di cabotaggio, concependolo come servizio porta a porta e come alternativa e/o integrazione delle altre modalità di trasporto. Le azioni necessarie da intraprendere per migliorare l’immagine e la funzione del cabotaggio sono:
accrescere la trasparenza e l’efficienza delle procedure nei porti promuovere la sostenibilità generale dei trasporti migliorare i collegamenti interni favorire lo sviluppo di servizi intermodali, integrandosi con le altre modalità di trasporto
Il cabotaggio si presenta quindi come alternativa al trasporto su strada. A tal proposito si possono avere due effetti:
un alleggerimento del traffico su strada, da cui consegue un aumento della sicurezza stradale e la riduzione della necessità di investire a breve nelle infrastrutture stradali il contenimento dei costi di produzione e del mercato del trasporto grazie all’intermodalità
Il cabotaggio non deve essere visto esclusivamente come un concorrente del trasporto su strada. Più che altro esso deve rappresentare un sbocco naturale dei corridoi di trasporto terrestre sul mare. Molti corridoi europei hanno come terminal dei porti mediterranei, da cui le merci proseguono via mare. Riguardo alle azioni dell’UE, dopo la conferenza di Barcellona del 1995, in cui si asserisce dell’importanza del trasporto marittimo, nel 2001 vi è la proposta di direttiva volto a migliorare la qualità dei servizi nei porti marittimi e facilitare l’accesso al mercato. L’obiettivo della direttiva è quello di fissare norme chiare e procedure trasparenti per l’accesso alla fornitura dei servizi portuali, per garantire a ogni operatore una possibilità equa di beneficiare delle opportunità offerte dal mercato. Con il termine “autostrade del mare” si intende il trasporto effettuato su percorsi in parte tracciati (le tratte terrestri) e in parte non tracciati (le tratte marittime) in una logica door to door, capaci di collegare in maniera efficace ed efficiente gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo e di connetterli con i corridoi terrestri. Le autostrade del mare, che combinano strada e mare, devono essere in grado di assicurare frequenza, velocità e regolarità nelle partenze e fluidità nei collegamenti con l’entroterra.
Affinché le autostrade del mare e il trasporto combinato siano attrattive, sono necessari:
infrastrutture e nodi di scambio intermodale riconvertire i sistemi tecnologici delle navi ripensare le condizioni di attrazione della domanda di trasporto verso la modalità marittima integrare la realtà portuale con la realtà retro portuale e le reti autostradali e ferroviarie
A livello comunitario, le autostrade sul mare rappresentano un’alternativa competitiva al trasporto terrestre, soprattutto nell’ottica di superare i colli di bottiglia. A livello bilaterale, i ministri dei trasporti di Italia, Francia, Spagna, Grecia e Porogallo hanno dichiarato nel 2003 di voler cooperare allo sviluppo della navigazione a corto raggio nel sud dell’Europa. Inoltre, a partire dal 2006 sono stati predisposti documenti di lavoro con Slovenia, Cipro e Malta al fine di garantire la concreta realizzazione dell’autostrada del mare. A livello nazionale si è stabilita la partecipazione dello Stato nel finanziamento degli investimenti connessi allo sviluppo del trasporto marittimo a corto raggio. Un secondo provvedimento ha promosso l’imbarco di camion su navi per rotte marittime prestabilite, al fine di sviluppare le catene logistiche e di potenziare l’intermodalità. Un terzo provvedimento infine stanzia dei finanziamenti per privilegiare le attività intermodali presenti nelle piastre logistiche portuali, in modo da ottimizzare le soluzioni di continuità tra la rete stradale, ferroviaria e marittima. In Italia solo il 4% della merce di carico che viaggia su distanze superiori ai 500 km viaggia per mare. La percentuale adeguata dovrebbe aggirarsi intorno al 10%: la conseguenza è che si ha un’eccessiva presenza di TIR su strada e quindi congestione stradale. Il sistema logistico italiano tende a disperdere il proprio traffico in entrata lato mare su una pluralità di porti, quasi sempre di media – piccola dimensione e di rilevanza locale. Inoltre importa un ampio volume di merci di basso valore (materie prime) ed esporta un basso volume di merci di maggior valore (prodotti finiti) e non ha delineato nel tempo piani di sviluppo adeguati. A differenza degli altri Paesi, come la Spagna, le risorse, già scarse, sono state dirottate verso la realizzazione di opere non strategiche. L’Italia dovrebbe cogliere l’opportunità data dalla crescente importanza assunta dal Mediterraneo negli scambi internazionali: la posizione geografica la avvantaggia ma è sfavorita dalla mancanza di una piena connessione con la rete dell’industria logistica, che impedisce all’Italia di attirare i traffici che le consentirebbero di eliminare il gap che lo separa dagli altri Paesi. I porti italiani devono diventare dei punti intermodali di connessione e sfruttare le nuove potenzialità offerte dall’IT. In quest’ottica le autostrade del mare costituiscono nuove catene logistiche basate sul trasporto marittimo in grado di cambiare la struttura organizzativa del settore. La necessità di orientarsi all’intermodalità è di fondamentale importanza per lo sviluppo italiano, in quanto vi è il rischio che emergano altre aree europee dotate di maggiori infrastrutture e servizi, dal costo più contenuto e con maggiore velocità di trasferimento delle merci. L’Italia rappresenta l’anello di congiunzione tra l’Europa e i traffici marittimi provenienti dall’Asia e può quindi ricavare un vantaggio incredibile dalla propria collocazione geografica. La Germania si conferma alla leadership per quanto riguarda il volume delle merci importate ed esportate: i suoi hub portuali raccolgono il 16,5% dei traffici totali a livello europeo. La Spagna sta consolidando il
proprio sistema portuale e si sta imponendo come prima porta mediterranea di accesso al mercato europeo. Il Libro Verde del 2006, “Verso la futura politica marittima dell’Unione: oceani e mari nella visione europea” esplicita l’importanza dell’economia e dei trasporti marittimi. L’obiettivo del Libro Verde è quello dello sviluppo sostenibile, ossia cercare di conciliare i diversi aspetti socioeconomici ed ambientali dello sfruttamento delle risorse dei mari e degli oceani. Il trasporto per via navigabile Il trasporto via fiume è un naturale complemento al trasporto marittimo. L’UE dispone di una fitta rete fluviale, in gran parte collegati da canali artificiali, che si gettano nell’Atlantico e nel Mare del Nord. La via fluviale rappresenta in molti Paesi un’alternativa alla via stradale e sta assumendo un ruolo sempre più importante per i grandi porti del Nord Europa che utilizzano tale via per trasportare gran parte del proprio traffico container. Il trasporto via fiume è affidabile e adatto al trasporto di grandi quantità ad un costo contenuto sulle lunghe distanze, consuma poca energia e produce un rumore limitato. Un’altra caratteristica è la sicurezza: il bassissimo numero di incidenti rende questa modalità adatta al trasporto di sostanze pericolose. Inoltre, le vie navigabili presentano infrastrutture e mezzi che non sono utilizzati al massimo delle proprie potenzialità. Prezzi contenuti – buon livello di sicurezza – benefici ambientali legati al contenuto tasso di inquinamento – consapevolezza del proprio potenziale futuro Principali fiumi navigabili: Reno, Danubio, Mosa, Rodano, Senna In Italia il principale fiume navigabile è il Po, ma ci sono molte riserve, politiche e culturali, che ne rallentano il rilancio. La realizzazione di un sistema di navigazione del Po potrebbe contribuire a mantenere l’elevato livello di competitività dei territori attraversati dal Po. Inoltre la rete idroviaria del Po si inserisce come bisettrice di un angolo, con vertice a Milano e lati gli assi pedemontani degli Appennini e delle Alpi sui quali sono situati i principali centri urbani ed industriali dell’area padana. Incrementare la navigazione interna in quest’area, che vede un grande flusso di merci e persone, decongestionerebbe le infrastrutture stradali.
Il complesso percorso verso un sistema dei trasporti Per avere un efficiente settore dei trasporti, è necessario che le infrastrutture e le modalità di trasporto si organizzino in maniera sistemica. Il settore dei trasporti che registra il più alto tasso di utilizzo è il trasporto su strada. Il trasporto su gomma infatti permette di offrire un servizio di trasporto di merci e persone dal punto di origine fino a quello di destinazione e può essere utilizzato per trasportare moltissime categorie di merci. Il trasporto su gomma presenta bassi costi fissi ed elevati costi variabili (circa il 90%) e ciò permette un’elevata flessibilità operativa. Inoltre vi è una copertura geografica maggiore rispetto alle alternative, maggiore frequenza, flessibilità di contrattazione, nonché la rapidità e l’affidabilità del servizio. Tuttavia, l’offerta del servizio è assai variegata e segmentata. Il servizio di trasporto su gomma è suddiviso in due comparti:
il trasporto per conto terzi, che si tratta dell’offerta del servizio di trasporto di tipo professionale nel quale l’impresa di trasporto riceve un corrispettivo il trasporto per conto proprio, che viene effettuato all’interno di un’impresa industriale o commerciale che distribuisce i prodotti con i propri mezzi
Il settore è molto inflazionato e l’allargamento dell’UE verso est ha accentuato la concorrenza e la lotta sui prezzi, solo leggermente attenuata dalla specializzazione dei veicoli. Attualmente, per distanze superiori ai 300 km, il trasporto su gomma viene utilizzato da un minimo del 55% ad un massimo dell’85%. Tali percentuali sono più alte di quelle “fisiologiche”, ossia di quelle che si avrebbero se la scelta del metodo di trasporto fosse strettamente legato a:
l’uso razionale delle conversioni di energia l’impatto che tale modalità ha sull’ambiente e sulla società il rischio alle cose e alle persone collegate al trasporto il costo
Per questo motivo, l’UE è intenzionata innanzitutto a ridurre l’utilizzo del trasporto su gomma alle tratte brevi, preferendo altre modalità, come il trasporto ferroviario, per le distanze più lunghe. Inoltre si cerca di liberalizzare il settore nei confronti di tutti i nuovi Stati membri, istituendo anche delle norme comuni in relazione alle condizioni di sicurezza e di tutela sociale. Tuttavia, nonostante gli sforzi, permangono delle differenze che non permettono a tutte le imprese del settore di competere alle stesse condizioni. Il trasporto su strada, oltre all’elevato costo tecnico, presenta anche notevoli costi di tipo sociale in termini di incidentalità. Inoltre il trasporto su strada non copre i costi che sarebbe necessario sostenere per mantenere la rete stradale idonea e adeguata ai maggiori carichi consentiti ai veicoli merci pesanti, causando una distorsione concorrenziale tra le diverse modalità di trasporto. Il trasporto ferroviario Il trasporto ferroviario presenta delle disomogeneità al proprio interno: vi sono reti ferroviarie nuove e moderne (l’alta velocità) e altre invece vecchie e obsolete. Tuttavia, il trasporto ferroviario è molto efficiente in termini di costi energetici, in quanto permette un notevole risparmio rispetto al trasporto su gomma. Inoltre il trasporto ferroviario fa uso di una sede propria (la ferrovia) e per questo non interagisce con altri vettori, con un notevole vantaggio in termini di costi sociali.
Per questi motivi, l’UE cerca di incentivare il trasporto su ferrovia rispetto a quello su gomma, in modo da rendere il settore più efficiente dal punto di vista energetico e dei costi e più efficace. Il trasporto su rotaia non permette il diretto collegamento tra il punto di partenza e quello di arrivo: infatti è necessario che la merce passi da diversi nodi: il punto di partenza, il terminal di carico, il terminal di scarico, il punto di destinazione. Uno degli svantaggi è quindi la relativa lentezza e la bassa accessibilità a questa modalità. Inoltre, in quanto le operazioni di carico e scarico sono tutte raggruppate, lo standard qualitativo non è molto elevato. Attualmente, il trasporto ferroviario non è molto sviluppato, nonostante le enormi potenzialità. I deficit in continuo aumento infatti sono ascrivibili a inefficienze del management e al mancato orientamento al mercato. L’UE intende incentivare il trasporto su rotaia e adeguarlo alle esigenze del mercato. Nel 1996 la Commissione ha delineato una strategia finalizzata a risanare il deficit finanziario e a garantire il libero accesso a tutto il traffico e servizi pubblici e a promuovere l’integrazione dei sistemi nazionali. A tal fine sono stati preparati tre pacchetti di misure:
2001, l’apertura regolamentata del trasporto internazionale di merci 2002, il rafforzamento della sicurezza e maggiore interoperabilità 2004, l’apertura alla concorrenza del settore del trasporto internazionale dei passeggeri
Nonostante queste misure tuttavia permangono ancora forti ostacoli all’integrazione del mercato a livello europeo:
non vi è una completa interoperabilità tecnica e un approccio comune tra le reti ferroviarie nazionali nei confronti della sicurezza ferroviaria le imprese ferroviarie sono relativamente deboli, soprattutto quelle dei nuovi Stati membri vi sono elevati costi d’accesso al mercato, connessi agli alti costi fissi delle operazioni di mercato e alle spese per il materiale, per le procedure del rilascio delle licenze ecc… vi sono investimenti insufficienti soprattutto verso la manutenzione e l’ammodernamento delle infrastrutture
Il trasporto marittimo Il trasporto marittimo rappresenta il 40% del trasporto delle merci intracomunitario. La struttura dei costi di questo settore è simile a quello del trasporto stradale: elevati costi variabili e costi fissi relativamente bassi. Le merci trasportate via nave sono principalmente quelle con un basso valore aggiunto e di elevata densità, che possono essere facilmente caricati e scaricati con mezzi meccanici come le gru. Il trasporto di merci via mare è relativamente poco costoso rispetto alle alternative, ma richiede tempi lunghi, l’accessibilità è limitata e l’affidabilità non è elevata, in quanto i tempi di consegna dipendono molto dalle condizioni meteorologiche e dai problemi che si verificano nelle strutture portuali. Inoltre un problema per il mercato interno della navigazione è costituito dalle diverse regolamentazioni nazionali : infatti i viaggi in mare da uno Stato membro all’altro sono considerati viaggi esterni e questo impedisce all’UE di ottimizzare la regolamentazione del traffico interno e integrare il trasporto marittimo. I porti dovrebbero essere sviluppati e potenziati, in modo da aumentarne le capacità di stoccaggio. L’UE si sta adoperando per creare uno spazio marittimo comune e si è fissato l’obiettivo di eliminare gli ostacoli agli scambi interni. L’UE intende inoltre fissare una regolamentazione in materia di protezione sociale,
tutela dell’ambiente e sicurezza (disincentivando le emissioni inquinanti prodotte dalla navigazione) e la promozione delle infrastrutture e delle attività. Il trasporto fluviale Il trasporto fluviale si avvale dei canali e dei fiumi navigabili che scorrono nel territorio dell’UE. Il progetto NAIADES del 2007 promuove tale tipologia di trasporto, lanciando iniziative per migliorare le condizioni di mercato, modernizzare la flotta e migliorare le infrastrutture delle vie navigabili. Il trasporto aereo Fino agli anni ’90 il trasporto aereo ha svolto un ruolo marginale nel trasporto delle merci. A partire dagli anni ’90 invece il ruolo del trasporto aereo ha assunto maggiore importanza. La struttura dei costi è caratterizzata da costi fissi relativamente bassi e dei costi variabili molto più elevati, relativi a carburante, manodopera, tariffe aeroportuali ecc… I costi fissi invece sono relativi ai costi di ammortamento della flotta aerea. È possibile realizzare rilevanti economie di scala nel settore. Il trasporto aereo vede nella sua velocità e alti standard qualitativi e di sicurezza i suoi punti di forza, mentre gli elevati costi medi e la limitata accessibilità costituiscono gli svantaggi. I problemi dello sviluppo del trasporto aereo riguardano innanzitutto la capacità degli aeroporti, che dovrebbero essere ampliati. Inoltre si necessita di una serie di riforme gestionali nel settore e convincere gli Stati membri dell’importanza di regole comuni concernenti standard di sicurezza, di qualità e di sostenibilità ambientale. Cosi come per le altre modalità di trasporto, anche per il trasporto aereo si cerca di creare un cielo unico europeo. Tuttavia vi sono ostacoli rappresentati dalla frammentazione del sistema tecnologico di controllo e dalla presenza di zone militari non sorvolabili, che possono aumentare i tempi e i costi dei voli. In risposta, l’UE intende creare un cielo unico europeo con un limitato numero di blocchi funzionali che sono basati su requisiti operativi che prescindono dai confini esistenti, dietro il presupposto di una maggiore compatibilità tecnica e tecnologica. Gli elementi di un sistema di trasporto Un sistema dei trasporti è caratterizzato da tre ordini di elementi:
la domanda di trasporto, ossia il bisogno di mobilità nello spazio visto come flusso che percorre una determinata rete trovando in essa le condizioni più favorevoli al raggiungimento della destinazione finale i terminali, cioè i punti di accesso/deflusso delle reti di trasporto dove i movimenti sono originati, destinati, trasferiti le reti e i mezzi di trasporto, che includono le infrastrutture e i terminali strutturati ed organizzati nello spazio che sono finalizzati all’offerta dei servizi di trasporto e dei servizi accessori
Il sistema dei trasporti è quindi l’insieme delle relazioni tra nodi, reti e domanda di movimento derivante dall’insieme delle attività socio – economiche. Ad esso spetta il compito di integrare le operazioni di carico e scarico da una modalità all’altra, ossia di avere intermodalità ed unitizzazione dei carichi.
Il trasporto intermodale permette di sfruttare più modalità di trasporto per una stessa unità di carico, senza che vi sia rottura del carico stesso. L’intermodalità si poggia sul principio che il servizio di trasporto deve utilizzare la modalità più idonea in base alla distanza e al peso del bene trasportato. Un’efficiente intermodalità può essere realizzato attraverso il coordinamento economico attuato dalle autorità finalizzato a creare le condizioni affinché ciascuna modalità possa concretamente esprimere le proprie convenienze comparative e realizzare un’integrazione tra le diverse modalità. Nel pratico, poiché gli utenti del trasporto scelgono i diversi sistemi sulla base dei prezzi, è necessario internalizzare nei prezzi e nelle tariffe dei diversi servizi di trasporto tutti i costi sostenuti per la fornitura dello stesso, attraverso l’applicazione del principio del full – cost recovery, che imputa a ciascuna modalità tutti i costi sostenuti e le risorse consumate nella fornitura del servizio. L’intermodalità dipende anche dal ciclo del trasporto, ossia del trasferimento dall’origine alla destinazione.
se il ciclo è semplice, ossia se l’origine e la destinazione sono coperti da una sola modalità o uno stesso mezzo, si ha l’utilizzo di uno o più mezzi appartenenti alla stessa modalità se il ciclo è complesso, ossia se prevede l’utilizzo di più mezzi o modi di trasporto, si può avere l’uso di due o più modi (bimodale e plurimodale)
Maggiori sono le combinazioni (cioè la plurimodalità)e le possibilità di scelta, maggiore è la funzionalità del sistema di trasporto stesso. Il trasporto si definisce intermodale se presenta le seguenti caratteristiche:
durante il ciclo di trasporto, l’unità di carico non viene aperta, se non a destinazione o per ispezioni doganali. Per unità di carico si intendono container, casse mobili, semirimorchi e veicoli completi l’unità di carico deve essere trasferita, tra l’origine e la destinazione, da una modalità di trasporto all’altra almeno una volta il trasporto principale deve avvenire utilizzando almeno una delle seguenti modalità: ferrovia, navigazione interna o trasporto marittimo
Il trasporto intermodale è differente dal trasporto combinato. Infatti abbiamo detto che il trasporto intermodale è basato sull’utilizzo delle unità di carico e il trasferimento riguarda la sola unità di carico e non un’intera modalità. Il trasporto combinato invece è la forma di trasporto che integra completamente due modalità, nel senso che entrambe viaggiano accoppiate su di una stessa tratta, in quanto una è integralmente caricata sull’altra. Esempi di trasporto combinato sono il carico di un veicolo stradale su una nave, su un treno, un treno su una nave ecc… La rigidità e la separazione tecnica, economica, gestionale e organizzativa tra le diverse modalità non rendono efficiente ed efficace il ricorso all’intermodalità. Infatti la possibilità di utilizzare più modi di trasporto rende necessaria l’organizzazione di una catena di attività tecniche ed economiche sequenziali ed interdipendenti che possano rappresentare efficacemente un’alternativa alla monomodalità. L’intermodalità deve essere realizzata in maniera da poter conseguire le economie di scala tipiche di ciascuna modalità all’interno di un sistema integrato, al fine di ottenere la massima produttività ed efficienza possibile. L’intermodalità si può imporre sul mercato offrendo dei servizi di trasporto con prezzi inferiori rispetto al “tutto strada”. Questa politica dei prezzi si può realizzare cercando di:
puntare sui traffici con grandi volumi
migliorare la qualità del trasporto in modo da attirare traffici attualmente serviti dal tutto strada sfruttare i punti di forza derivanti dalla migliore integrazione del trasporto intermodale
Gli ostacoli che frenano l’affermazione dell’intermodalità sono diversi:
il ricorso all’intermodalità invece che al tutto strada obbliga una riorganizzazione della logistica e investimenti non indifferenti motivi che limitano le possibilità di scelta effettiva, come la ridotta capacità di molti terminali, le scarse tracce orarie ferroviarie, la congestione dei porti
Il programma Marco Polo Il programma Marco Polo è un progetto che ha lo scopo di trasferire al crescita media annua del trasproto internazionale di merci verso il trasporto marittimo a corto raggio, la ferrovia e le vie navigabili interne, cioè modalità più rispettose dell’ambiente. Adottato nel 2003, rappresenta l’obiettivo principale del Libro Bianco sui trasporti del 2001 e si configura come un progetto di sviluppo dei trasporti intermodali e un’azione a sostegno dello sviluppo del trasporto sostenibile. Gli obiettivi che la Commissione intende realizzare attraverso questo progetto sono:
la riduzione della congestione stradale la migliorare delle prestazioni ambientali del sistema di trasporto merci nella Comunità il potenziamento del trasporto intermodale, visto come alternativa competitiva al trasporto stradale la realizzazione di un sistema di trasporti efficienti e sostenibili
Il progetto Marco Polo prevede tre tipi di intervento:
le azioni di trasferimento del traffico merci dalla strada verso altri modi di trasporto, attraverso l’avvio di nuovi servizi e il potenziamento di quelli già esistenti le azioni catalizzatrici di nuove attività e che riguardano il miglioramento del funzionamento dell’intera catena intermodale le azioni comuni di apprendimento, che ampliano le conoscenze riguardo la logistica nel settore merci, incentivano i metodi e le procedure di cooperazione nel comparto merci, diffondendo le informazioni e le best practises per il miglioramento del sistema logistico europeo
Nel 2006 è stato approvato il progetto Marco Polo 2, per il periodo 2007 – 2013, che oltre al mantenimento delle azioni esistenti, aggiunge due nuove peculiarità:
una maggiore copertura geografica, estendendo l’area di intervento finanziario anche all’esterno dei confini comunitari nuovi tipi di azione che riguardano in particolare le autostrade del mare e lo sviluppo della logistica
I progetti Marco Polo non penalizzano la strada a vantaggio delle altre modalità. Infatti dirottando il traffico verso altri modi con maggiore capacità residua, si ottiene il decongestionamento del traffico stradale. Inoltre l’incentivazione al ricorso ad altre modalità permette al settore stradale di utilizzare al meglio i propri mezzi e risorse. Infine i trasporti stradali fanno già parte del trasporto combinato e le imprese di trasporto stradale possono così beneficiare dei progetti Marco Polo.
Il mercato globale, la logistica e il trasporto Per logistica si intende l’organizzazione, la pianificazione, l’esecuzione e il controllo del flusso dei beni e delle relative informazioni dallo sviluppo e dall’approvvigionamento attraverso la produzione e la distribuzione fino al cliente finale, con l’obiettivo di soddisfare le richieste del mercato al minimo costo e con il minor impiego di capitale. Governa il processo logistico, che collega l’impresa ai suoi mercati esterni, clienti e fornitori, attraverso due flussi:
un flusso fisico, di beni e servizi un flusso informativo
Il concetto di logistica si è evoluto recentemente nel concetto di supply chain management, ossia la catena di fornitura del prodotto o servizio, comprendente l’insieme delle componenti e delle funzioni volte alla creazione e alla distribuzione dell’output. L’obiettivo della logistica è quello di offrire al cliente un livello di servizio in linea con le scelte strategiche dell’impresa al costo più basso possibile. Ciò comporta che l’ambito dei trasporti venga influenzato dalla tendenza, da parte delle imprese operanti nel settore, ad offrire servizi completi e personalizzati in funzione delle esigenze del singolo utente. Tradizionalmente si è intesa la logistica come una funzione unicamente interna all’azienda, riguardante lo stoccaggio dei prodotti, l’approntamento delle linee produttive e la gestione dei magazzini. Attualmente la logistica è considerata come il sistema di gestione dei flussi fisici e informativi di una pluralità di imprese che sono collegate dalla stessa catena di valore. La logistica permette di ridisegnare le relazioni tra i fornitori, i produttori e i distributori e contribuisce alla creazione di valore per il cliente. Tale valore consiste nel fatto che il cliente ottiene ciò che desidera, quando lo desidera, dove lo desidera e con le giuste informazioni. La logistica può essere vista sotto due ottiche:
nell’ottica dell’offerta. La logistica per essere efficiente, deve disporre di mezzi, flotte, infrastrutture e tecnologie in grado di movimentare elevati volumi di merci e documenti con tempi di consegna assicurati e con modalità di trattamento e conservazione dei prodotti conformi con la specificità delle singole filiere nell’ottica della domanda. La logistica permette di conseguire le economie di scala riconducibili al concetto di “esternalità di rete”, nel senso che la possibilità di poter ottenere un adeguato servizio logistico, in termini di costo e tempi, dipende dall’adozione di precisi standard informativi, organizzativi e di carico che consentano di integrare le proprie esigenze di movimentazione con quelle di altre imprese appartenenti alla stessa filiera o a filiere congruenti
La logistica crea valore e può valorizzare il tessuto locale e nazionale di piccole e medie imprese industriali e di servizio presenti sul territorio. A partire dagli anni ’80 diversi fattori hanno imposto alla logistica e al settore dei trasporti la necessità di doversi riorganizzare per adeguarsi al nuovo contesto. Questi fattori sono stati:
il progressivo abbattimento delle barriere doganali e delle limitazioni al commercio internazionale l’unificazione del mercato europeo nel 1993 e l’estensione dell’UE a nuovi membri ad est
la progressiva liberalizzazione dei mercati nell’area della fornitura dei servizi e della gestione di infrastrutture (es. terminal portuali, vettori arerei , servizi ferroviari ecc…) lo sviluppo dei container
La combinazione di questi fattori ha portato:
alla crescita della concorrenza tra le varie imprese, anche a livello internazionale alla riorganizzazione della produzione, con la concentrazione della stessa in pochi luoghi produttivi destinati a servire più Paesi e in cui sfruttare appieno le economie di scala e di specializzazione delocalizzando alcune fasi del processo produttivo sia nel Paese di origine che in Paesi terzi dotati di vantaggi di costo, soprattutto del lavoro a sistemi produttivi guidati dalla domanda (JIT) in cui il vantaggio competitivo si acquisisce soddisfacendo le esigenze dei clienti con rapidità (è necessaria quindi flessibilità in termini di capacità di risposta) e con un rapporto prezzo qualità superiore, grazie ad un attento controllo dei costi
L’ultimo punto è perseguibile solo attraverso l’ampio uso dell’ICT, che ha reso l’attività produttiva meno rigida e più flessibile, e l’esternalizzazione (outsourcing) di attività prima svolte all’interno dell’impresa. Con l’outsourcing si riesce a rendere variabili i costi che prima erano fissi. In un sistema produttivo guidato dalla domanda il contenimento dei costi passa anche attraverso la diminuzione delle scorte lungo la filiera distributiva, al fine di produrre solo ciò che si vende. In questo modo si possono ridurre i capitali investiti nel magazzino e i costi di magazzinaggio e si riescono a raggiungere più elevati tassi di rotazione delle scorte e velocizzare il ciclo produzione – consegne. Queste trasformazioni comportano la frammentazione dei flussi fisici, in quanto il ricorso all’outsourcing comporta la destrutturazione dei processi produttivi che si spalmano su territori molto distanti tra loro e collegati da ICT e da reti di trasporto. Ciò contribuisce ad aumentare la domanda di trasporto, in quanto la merce si sposta maggiormente. Inoltre molte imprese industriali e manifatturiere hanno terziarizzato (cioè hanno affidato a fornitori esterni la gestione operativa di una o più fasi di un processo) il servizio logistico, in modo da potersi focalizzare sul proprio core business, diventare più flessibili dal punto di vista operativo, ricercare maggior know how logistico e aumentare gli standard di servizio offerti ai clienti. In questo contesto, il servizio logistico diventa uno strumento per la ricomposizione dei cicli produttivi frammentati. Il ruolo svolto da tale servizio, insieme ai trasporti, ha comportato:
la stretta collaborazione tra soggetti interessati resa possibile grazie alle reti di comunicazione e all’utilizzo i protocolli standard di comunicazione la gestione dei flussi informativi che viaggiano insieme a quelli fisici la selezione delle aziende fornitrici di servizi di trasporto e logistica la tendenza alla loro integrazione societaria e/o operativa
Il sistema logistico Il sistema logistico è l’insieme coordinato delle attività ed operazioni industriali integrate tra loro che devono essere trattate valutando costantemente le loro possibili interrelazioni e il contributo che ognuna offre al raggiungimento di un obiettivo generale. Il sistema logistico è comprensivo di:
un sistema delle strutture fisiche, che comprende impianti e trasporti necessari a movimentare il flusso fisico delle merci, dalle fonti di approvvigionamenti ai consumatori finali un sistema gestionale, che comprende tutte le attività di programmazione, coordinamento e gestione dei singoli momenti e di tutta la filiera un sistema organizzativo, che comprende il patrimonio disponibile (strutture e risorse umane) per gestire il sistema logistico
Attraverso la valutazione delle interrelazioni tra i diversi momenti della catena è possibile indirizzare il flusso di attività attraverso una distribuzione dei costi che consenta di ottimizzare i profitti ad esso correlati. Inoltre, con la visione globale delle singole componenti del sistema logistico è possibile individuare i punti critici in cui è possibile ridurre i costi: l’abbattimento dei costi di una componente senza prendere in considerazione le interrelazioni che essa ha con le altre componenti potrebbe comportare un aumento dei costi globali. La rete logistica La rete logistica è un sistema costituito da nodi (gli impianti produttivi e distributivi) e da flussi da un nodo all’altro. I nodi logistici sono piattaforme logistiche, specializzati nel trasbordo e trattamento delle merci. In base alla loro tipologia e caratteristiche, i nodi si distinguono in:
autoporti, con infrastrutture adatte solamente al trasporto su gomma piattaforme logistiche, che rappresentano, rispetto al tradizionale magazzino (inteso come stock), un’alternativa al flusso distripark, che sono macropiattaforme logistiche in grado di operare come centri di stoccaggio. Tali piattaforme sono localizzazione solitamente a ridosso dei porti e dotate di strutture adatta a manipolare e ridistribuire le diverse merci. Rappresentano un punto di interscambio tra le diverse modalità di trasporto e di congiunzione tra industria e servizi gateways, che sono infrastrutture ferroviarie poste sulle direttrici ferroviarie principali e in corrispondenza delle stazioni centri intermodali, costituiti da infrastrutture adatte solo allo scambio intermodale tra vettori di carico e quindi sprovvisti di magazzini. Sono situati solitamente presso un terminal ferroviario centri merci, che sono centri intermodali dotati di magazzini city logistic center, che sono piattaforme logistiche urbane integrate, in cui sono concentrati i flussi di merci al fine di ottimizzare i percorsi e le consegne di merci all’interno delle città interporti, che sono strutture complesse che hanno la funzione di favorire le forme di cooperazione e integrazione tra i diversi operatori presenti in un unico complesso logistico,. Questi centri sono dotato di magazzini, servizi per le merci e le perone, di una sede doganale, sono colelgate con le reti ferroviarie, autostradali, porti e aeroporti
Inoltre, a seconda della struttura proprietaria e del profilo giuridico, le piattaforme logistiche possono essere:
piattaforme private di produttori di beni di largo. Tali piattaforme appartengono a produttori di beni di largo consumo e sono a loro uso esclusivo piattaforme private di imprese per la grande distribuzione, simili alle precedenti ma dotate anche della funzione di stoccaggio
piattaforme di trasportatori pubblici, nate con l’intervento dei gestori di reti di trasporto pubblico, stradali e ferroviarie, che hanno dovuto adattarsi per mantenere e ampliare la propria clientela piattaforme regionali di servizio pubblico e di proprietà pubblica, sorte per intervento di enti pubblici locali e utilizzate da privati, dietro il pagamento di un canone
I servizi logistici e la distribuzione si localizzano solitamente secondo una struttura a rete che collega i nodi primari territoriali a quelli secondari. Negli ultimi tempi la connessione della rete logistica è passata da un modello a rete non ordinata, in cui gli operatori logistici operavano in una logica di concorrenza senza un effettivo coordinamento, ad un modello a rete ordinata “hun and spoke”, più adeguato a rispondere alle esigenze di un sistema produttivo orientato al JIT. Il modello hub and spoke permette di ridurre il numero di collegamenti per l’interscambio delle merci, con il conseguente effetto positivo sui costi e sul servizio. Il modello prevede che i traffici siano concentrati su pochi punti (hub) da cui le merci verranno dirottati verso le strutture periferiche (spoke) e da qui verso le consegne finali attraverso brevi itinerari terrestri. Il modello hub and spoke quindi risponde alle logiche di creazione di reti e massificazione dei flussi. Esso:
riduce i collegamenti necessari all’interscambio riduce le rotture di carico riduce i costi di produzione aumenta la qualità del servizio
Un nodo può fungere da hub se dispone:
di servizi di trasbordo a prezzi e qualità competitivi di una rete infrastrutturale che consente un rapido smistamento delle merci verso gli spoke con tutte o quasi le modalità di trasporto disponibili
La caratteristica principale dell’hub and spoke è l’intermodalità, ossia la tecnica di trasferimento delle merci che, pur avvalendosi di più modalità di trasporto, non è penalizzata dalla rottura del carico e il cui scopo è quello di fornire un supporto al trasferimento delle merci di tipo door to door. Il tempo Il tempo rappresenta un elemento che l’impresa globale deve ottimizzare, al fine di:
tendere al coordinamento dei ritmi dell’impresa con quelli richiesti dal mercato, soprattutto se l’impresa opera nell’ottica del JIT tendere alla velocizzazione dei processi interni dell’azienda, soprattutto per quanto riguarda la politica di innovazione di prodotto e la gestione dei lead time (cioè il tempo necessario per rispondere ad una determinata sollecitazione): arrivare tardi sul mercato potrebbe compromettere la possibilità di beneficiare di alcuni vantaggi come il controllo del prezzo e la fidelizzazione della clientela. Attraverso la logistica è possibile istituire un collegamento tra i comparti dedicati alla progettazione con gli altri comparti dell’impresa
Il Just In Time Il modello JIT prevede un’elevata integrazione tra le funzioni acquisti, produzione e distribuzione. Esso si basa sull’obiettivo di ridurre le scorte in magazzino e di produrre quello che i consumatori effettivamente richiedono. Il JIT non può prescindere dall’utilizzo delle moderne tecnologie informatiche di trattamento
dei dati che consentono di velocizzare l’informazione: solo in questo modo si può minimizzare il rischio aziendale e consente di poter prendere le decisioni di produzione non sulla base di una previsione di vendita ma sull’ordine effettivo del cliente. Solo in questo modo è possibile ridurre concretamente le scorte di magazzino, che altrimenti sarebbero necessarie a fronteggiare l’incertezza della domanda stabilita dalla previsione, ma anche soggette a rischio di invenduto e obsolescenza. La logistica economica Dal punto di vista economico, la logistica deve conseguire gli obiettivi di efficienza ed efficacia. La logistica economica cerca di trovare gli ostacoli e le opportunità di sviluppo che la rete dei flussi e dei nodi può offrire al sistema economico generale. I flussi (movimenti) di merci e persone si concentrano in determinati punti (stock) e devono essere smistati verso le destinazioni finali cercando di ottimizzare tutte le fasi del processo, grazie ad una sufficiente dotazione infrastrutturale e rete di trasporti. Per ottenere questo, la logistica economica fa leva su:
i trasporti il territorio la terziarizzazione
ossia fornire una visione reticolare del territorio, in modo da poter ottimizzare il tempo e i costi, ridurre le esternalità negative e trovare combinazioni intermodali efficienti che possano essere valide alternative al tutto strada. Attualmente, nei nuovi modelli industriali, la logistica rappresenta una notevole fonte di valore per il prodotto. Il settore dell’offerta di prodotti logistici comprende molteplici servizi: trasporto monomodale e intermodale, spedizionieri, corrieri, fornitori di servizi di magazzino, terminalisti ecc… La tendenza comune a tutti gli operatori è quella di legare e valutare le performance non delle singole modalità di trasporto ma dell’intera catena origine – destinazione, con l’intenzione di connettere le varie modalità e di ridurre i costi derivanti dal passaggio da una modalità all’altra o da un operatore all’altro. L’obiettivo è quello di ottimizzare i costi, i tempi e la qualità del servizio. Questo si può realizzare solo ricorrendo all’intermodalità e all’integrazione di tutte le fasi della catena logistica dall’origine alla destinazione. Il tradizionale concetto di trasporto si deve evolvere verso quello di logistica integrata. L’integrazione è richiesta perché le scelte attuate in una certa area di attività logistica si ripercuote anche sulle altre aree. Solo con una visione integrata del sistema logistico si può giungere all’efficienza e all’efficacia desiderata. Il fondamento del concetto di logistica integrata è rappresentato dalla minimizzazione del costo totale delle attività logistiche, viste nel loro complesso. La minimizzazione può essere ottenuta attraverso la creazione e l’integrazione di catene logistiche, processi di terziarizzazione e outsourcing di alcune fasi del processo. Il risultato è che il trasporto e il magazzinaggio non sono più viste come un servizio separato ma come un’unica attività integrata finalizzata a garantire la fluidità, l’unitarietà e la rapidità del ciclo operativo. Si sta procedendo verso la scomparsa dei magazzini attraverso la creazione di un ciclo gestito dall’operatore logistico. La terziarizzazione Per terziarizzazione, o outsourcing, si intende l’affidamento di alcune attività o fasi marginali del ciclo operativo dell’impresa a soggetti terzi. In questo modo l’impresa cedente può concentrarsi sul proprio core business, mentre il soggetto che riceve l’attività ceduta può specializzarsi in quella determinata fase, raggiungendo un livello di specializzazione superiore rispetto a prima con conseguenze positive sui costi. Da
operatori monospecializzati si è giunti a operatori in grado di gestire ciascuno una fase della produzione con altissima specializzazione. Da lato dell’offerta, agli operatori tradizionali quali autotrasportatori, corrieri, gestori di magazzino ecc… si sono affiancate delle nuove figure:
i multimodal transport operator (MTO), i quali si occupano dell’intera operazione di trasporto (carico, scarico, trasbordo, assicurazioni, pratiche doganali, amministrative e fiscali e coordinamento di tutti i soggetti che cooperano, quali spedizionieri, magazzini, piattaforme logistiche) assumendosene la responsabilità di fronte al cliente i third party logistics provider (3PL), i quail gestiscono tutte le fasi dell’attività logistica fino all’assistenza clienti I fourth party logistics provider (4PL), i quali oltre a gestire le attività dei 3PL offrono anche servizi supplementari, collegate o collaterali alla logistica, come le attività amministrative, controllo e finanziarie
Le imprese ricorrono all’outsourcing perché permette:
la riduzione dei costi relativi alle attività affidate a terzi di concentrarsi sul core business di raggiungere una maggiore flessibilità operativa di aumentare la produttività e l’efficienza nell’esecuzione delle attività terziarizzate di rimediare alla mancanza di competenze specialistiche e tecnologie innovative l’aumento del livello e degli standard di servizio, sia verso l’interno sia verso l’esterno
Il co-sourcing Lo step successivo all’outsourcing è il co-sourcing, ossia un modello operativo basato sull’integrazione della catena del valore del fornitore con quella del cliente. Tra il fornitore e il cliente si instaura un rapporto imperniato sulla totale collaborazione e trasparenza dei dati e delle informazioni che, viaggiando da un soggetto all’altro, divengono un patrimonio comune e spendibile da entrambi. Con il co-sourcing la funzione trasporto si innova: il fornitore non è più visto solo come colui che esegue le operazioni richieste dal committente, ma anche come colui che talvolta pianifica e controlla i flussi di merce, progetta e realizza gli interventi che migliorano il servizio, gestisce il livello delle scorte e adotta sistemi tecnologici di interscambio di dati, monitoraggio e controllo flussi.
Secondo alcune stime, nel 2010 si avrà un incremento del traffico merci, che senza interventi di riequilibrio si scaricherebbe sulle strade, peggiorando la congestione delle infrastrutture stradali. La logistica deve perseguire l’ottimizzazione del sistema europeo dei trasporti e una maggiore efficienza per ridurre le tendenze non sostenibili. Per questo motivo la Commissione europea intende instaurare un equilibrio tra l’esigenza di sicurezza e la fluidità dei trasporti e auspica di integrare la logistica nella politica dei trasporti. I punti proposti dall’UE sono:
una relazione più stretta tra logistica e politica dei trasporti l’armonizzazione degli standard delle comunicazioni utilizzando le tecnologie ICT
individuare gli ostacoli allo sviluppo della logistica del trasporto merci formare personale addetto alla logistica e ai flussi logistici riconoscere la qualità dei servizi logistici attraverso il rilascio di etichette europee di eccellenza logistica sviluppare terminal logistici multimodali rendere maggiormente efficienti i nodi infrastrutturali e distribuire i carichi in maniera uniforme sulle infrastrutture
Nonostante il mercato dei servizi logistici sia in continua espansione, si hanno attualmente delle regioni altamente specializzate nei servizi logistici, soprattutto lungo le direttrici dei maggiori traffici e attorno ai terminal principali.
Le linee guida della politica europea dei trasporti L’art. 2 del Trattato di Roma stabilisce che la Comunità Europea deve promuovere
lo sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità un’espansione continua ed equilibrata una stabilità accresciuta un miglioramento del tenore di vita relazioni più strette tra gli Stati membri della Comunità
Per poter perseguire questi obiettivi, si rendono necessarie due tipologie di azioni:
l’apertura delle frontiere, in modo da liberalizzare la circolazione di persone, beni, servizi e capitali l’organizzazione di politiche comuni tra gli Stati membri secondo il principio di solidarietà
Nel 2001 l’Unione Europea ha redatto il cosiddetto Libro Bianco “La politica comune dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte”. Tale documento è stato preceduto in ordine cronologico da:
un altro libro bianco, redatto nel 1985, che pone in essere gli elementi base per l’aumento della libertà di circolazione, della concorrenza e della crescita economica il trattato di Maastricht, siglato nel 1992, il quale conferisce nuovi poteri e deleghe alle istituzioni comunitarie e introduce nuove forme di cooperazione tra i governi dei Paesi membri. Inoltre si rafforzano le politiche e di bilancio relative al settore dei trasporti, in modo da permettere la messa a punto delle infrastrutture che possano beneficiare dei finanziamenti comunitari
Gli obiettivi del libro bianco del 2001 sono quelli di sviluppare la rete di trasporto europea, attraverso:
la rivitalizzazione della rotaia il rafforzamento della qualità del trasporto su gomma la promozione dei trasporti via mare e via fiume la riconciliazione tra l’aumento del traffico aereo con l’ambiente l’incentivazione dell’intermodalità la creazione di una rete trans europea dei trasporti l’aumento della sicurezza stradale un efficiente politica tariffaria dei trasporti la realizzazione di trasporti urbani di qualità
Nel 2006 vi è stato un riesame intermedio del libro bianco, per capire se ciò che è stato realizzato nei 5 anni precedenti e ciò che era in attuazione fosse in linea con gli obiettivi desiderati. Inoltre il riesame ha focalizzato l’attenzione sulla necessità di:
ottimizzare il potenziale di ogni singola modalità di trasporto, in modo da realizzare sistemi di trasporto puliti ed efficienti incentivare il trasferimento del traffico verso modalità di trasporto alternativi, come quello marittimo e ferroviario per le lunghe distanze
Una periodica rivisitazione degli obiettivi del libro bianco è utile anche in funzione dei cambiamenti a cui si assiste negli ultimi anni:
l’ingresso di nuovi membri all’interno dell’UE, che ha esteso i principali assi della rete trans europea dei trasporti i cambiamenti intervenuti nel settore dei trasporti l’importanza della ricerca e dell’innovazione all’interno dell’industria dei trasporti
Negli ultimi anni lo sviluppo e la crescita dell’economia ha aumentato la domanda dei trasporti e ha portato inquinamento e congestione delle vie di comunicazione. Ciò rappresenta una minaccia sia per la competitività di una regione, sia per la sua sostenibilità. Per questo è importante separare la crescita economica dalla crescita dei trasporti. La funzione di trasporto Il trasporto è una della attività che fanno parte della catena di valore di un’impresa. La funzione di trasporto ha il compito di collegare internamente le attività dell’impresa tra di loro ed esternamente l’impresa con il contesto ambientale e gli altri attori economici. Da questo ultimo punto di vista, il trasporto rappresenta anche l’anello di congiunzione che lega le catene di valore che compongono il sistema di valore. Il trasporto, parimenti alla funzione di produzione, contribuisce alla creazione di valore per il cliente finale. Inoltre, tale funzione deve affrontare due situazioni che si sono venute a creare nel recente passato:
una società sempre più esigente in termini di mobilità la mal sopportazione verso i ritardi cronici e la mediocre qualità nelle prestazioni di determinati servizi
Non è sufficiente costruire nuove infrastrutture e aprire nuovi mercati, ma riuscire a ottimizzare il settore dei trasporti. Come detto prima, il mercato richiede:
una maggiore domanda di mobilità, sempre più articolata e complessa sia per quanto riguarda il trasporto delle persone che delle merci. A questa richiesta il settore deve rispondere con efficienti reti di trasporto, che colleghino internamente ed esternamente il mercato con gli altri mercati una maggiore qualità del servizio di trasporto. Questo può essere affrontato adottando tecniche JIT, in modo tale da assicurare la certezza dei temi di consegna, l’integrità dei carichi e un’informazione tempestiva sullo stato di consegna dei carichi stessi, ossia offrire una migliore affidabilità
Il settore dei trasporti deve rispondere alla crescente domanda di mobilità, ma deve anche perseguire l’obiettivo di diminuire il consumo di energia nell’UE. Il settore vede la preponderanza del trasporto su strada (75% delle merci e 86% dei passeggeri) e ciò ha causato congestione delle strade e un livello di inquinamento eccessivo. Per questo motivo, l’UE intende potenziare il trasporto fluviale e quello ferroviario. La capacità di un Paese di competere con le altre economie dipende in larga parte dalla sua dotazione di infrastrutture e il loro funzionamento. Questo è tanto più vero nell’era della globalizzazione, che ha visto integrarsi e connettersi tra loro la maggior parte delle aree geografiche e geopolitiche. Non ci sono più confini alla mobilità di persone e capitali: questi vanno nella direzione dei sistemi economici in grado di attirarli. Le imprese, per rimanere competitive, richiedono di poter avere accesso ad un sistema di fornitura, di componenti e processi sempre più innovativi. Questo si esplica nel global recruitment degli input necessari per il processo produttivo: le imprese espandono il proprio raggio d’azione e alimentano la domanda di trasporto.
Inoltre, le imprese tendono sempre di più a concentrarsi sul proprio core business, esternalizzando altre funzioni come quello del trasporto. Questo crea la necessità di un sistema di trasporto molto sviluppato, che soddisfi le esigenze di fornitura delle imprese. Di conseguenza, le imprese principali che si concentrano sul proprio core business tendono ad assumere la funzione di general contractor in grado di gestire un processo produttivo che si decentra in svariate unità produttive localizzate in diverse aree. Queste diverse unità di produzione devono essere collegate e connesse tra loro attraverso una fitta e sviluppata rete di trasporti. Con la nascita dell’Unione Europea si assiste alla liberalizzazione multilaterale degli scambi tra i Paesi membri e a varie forme di integrazione regionale. L’UE ha avviato ad un processo in cui gli Stati membri stanno trasferendo gradualmente una parte delle proprie competenze ad un organismo sovranazionale. Una di queste competenze riguarda sicuramente il settore dei trasporti, in quanto solo un intervento a livello comunitario volto alla realizzazione di un’unica infrastruttura europea di trasporto può adeguatamente supportare lo sviluppo e le potenzialità del mercato unico europeo. Di conseguenza, per avere lo sviluppo di un mercato unico si deve avere anche una politica comune dei trasporti, soprattutto perché l’abolizione delle frontiere e le varie misure di liberalizzazione degli scambi stanno stimolando la crescente domanda di trasporto. Le infrastrutture che permettono l’attuazione e lo sviluppo del settore dei trasporti e dei servizi ad esso connesso possono essere:
fondamentali, come le vie naturali (mare, aria, laghi e fiumi) e le vie artificiali (strade, ferrovie, canali) complementari, come i terminali (scali ferroviari, aeroportuali, portuali, centri di smistamento merci)
Le infrastrutture rappresentano un elemento fondamentale per l’interconnessione tra le attività produttive e tra queste e gli insediamenti abitativi, per il movimento delle persone e delle cose e per la distribuzione delle risorse produttive nello spazio. Le infrastrutture inoltre hanno caratteristica di indivisibilità:
di scala (tecniche), ossia che esse devono avere la dimensione tecnica e le attrezzature necessarie per corrispondere alle finalità per le quali vengono realizzati di tempo e finanziaria, ossia che esse devono essere complete per poter essere utilizzate di “minimo quanto misto”, cioè le infrastrutture possono produrre effetti solo se inseriti in un sistema di infrastrutture, in modo da poter svolgere il proprio ruolo di elemento di interconnessione
Una infrastruttura produce esternalità verso l’ambiente in cui è inserito; tali esternalità possono essere positive, come lo sviluppo delle economie, oppure negative, come i costi sociali quali l’inquinamento atmosferico, delle acque e sonoro. Gli investimenti nelle infrastrutture non generano reddito visibile, ossia non producono flussi che ripagano l’investimento. Tuttavia vi è una redditività generale o sociale, che è rappresentata dagli effetti di sviluppo che l’infrastruttura produce e consiste nell’apertura di nuove possibilità di scambio, di nuove possibilità di movimento di persone, di nuove possibilità di localizzazioni produttive, residenziali, di nuove opportunità di specializzazione e divisione territoriale del lavoro. Si tratta quindi di un reddito che si manifesta nel tempo e che ha effetti sull’occupazione, sulla produttività dell’area direttamente interessata dall’infrastruttura ecc…
Inoltre vi è una serie di effetti che riguarda l’utilizzo del territorio intorno o sotto il raggio d’influenza dell’infrastruttura. Infatti intorno all’infrastruttura di trasporto si formano delle fasce di territorio più o meno ricercate dagli insediamenti produttivi e abitativi, in funzione della distanza dell’infrastruttura stessa e della possibilità di raggiungerla agevolmente. L’infrastruttura è quindi in grado di valorizzare l’area su cui sorge e assume una rilevanza dal punto di vista economico. Le infrastrutture possono inoltre generare un altro tipo di reddito, rappresentato dagli effetti moltiplicativi di reddito e occupazione derivanti dall’investimento. Questi effetti si manifestano attraverso i redditi distribuiti direttamente con il processo produttivo di costruzione dell’infrastruttura, le attività produttive mobilitate dalla costruzione e i redditi distribuiti da queste ultime. L’ultima categoria di redditività è quella che incide sui costi di trasporto, ossia tasse, pedaggi da pagare affinché gli investitori possano rientrare dei capitali investiti. Non c’è un diretto collegamento tra l’infrastruttura e il capitale investito. Le fasi di vita di un’infrastruttura di trasporto sono essenzialmente quattro:
la fase di “gestione”, che attiene alla costruzione dell’infrastruttura la fase di “infanzia”, che è relativa all’avvio dell’infrastruttura la fase di “maturità”, nel quale l’infrastruttura entra nel pieno dell’operatività e produce gli effetti di sviluppo ed economici generali, nonché i redditi al conseguimento dei quali è stata progettata la fase di “obsolescenza”, se l’infrastruttura non mantiene le condizioni adeguate per rispondere alle esigenze di traffico e al progresso del modo di trasporto per il quale è stata costruita, oppure la fase di “saturazione” se l’infrastruttura è caratterizzata da un volume di traffico che tende a superare la sua capacità, ossia l’ammontare di traffico che su un’infrastruttura può svolgersi in condizioni di soddisfacente sicurezza e fluidità
L’offerta di trasporto Gli input dell’offerta di trasporto sono gli impianti fissi, le attrezzature mobili e le linee e servizi di trasporto. Il bene che viene offerto dal settore è il trasporto, ossia il trasferimento di una merce o di una persona da un punto A ad un punto B, in un certo tempo, sotto certe condizioni di sicurezza, affidabilità e comfort. Il prodotto quindi è costituito da un’insieme di servizi volto a soddisfare la domanda di mobilità di merci e persone. La filiera, ossia l’insieme delle fasi che permettono la realizzazione del prodotto “trasporto”, è costituto:
l’attività di produzione delle infrastrutture e degli impianti l’attività di produzione dei mezzi e dei veicoli l’attività di gestione delle infrastrutture e degli impianti l’attività di gestione dei mezzi e dei veicoli l’attività di erogazione dei servizi di supporto l’attività di erogazione del servizio di trasporto
La domanda dei servizi di trasporto La domanda di mobilità che viene soddisfatta dai servizi di trasporto è costituita dai viaggiatori e dalle merci che si spostano da un’area di origine verso un’area di destinazione, in un determinato arco temporale. La
domanda di trasporto può essere alimentata da diverse cause, che generano esigenze di mobilità: queste sono la produzione di merci, il consumo, le relazioni sociali ecc… I fattori che influenzano la domanda sono molteplici:
il sistema sociale nel quale il servizio è fruito il tipo di localizzazione della popolazione il sistema economico e il reddito complessivo e pro capite fattori di prezzo la localizzazione delle imprese e delle unità produttive le caratteristiche del sistema produttivo l’utilizzo agricolo del territorio e le connesse attività di commercializzazione le variazioni stagionali della domanda e i cambiamenti nelle preferenze dei consumatori
Inoltre la domanda di mobilità non è omogenea al suo interno, in quanto è composta da bisogni diversi. Infatti vi è la segmentazione in:
mobilità di persone e di merci mobilità e livello di servizio atteso mobilità urbana, regionale, di lunga e lunghissima distanza
Le reti transeuropee Nel 1986 l’Atto unico europeo stabilisce che la coesione economica, sociale e territoriale è realizzabile unicamente attraverso il buon funzionamento di un mercato comune, in cui vi è la libera circolazione di persone, beni e capitali. Per garantire ciò sono fondamentali l’interconnessione e l’interoperabilità delle reti nazionali di infrastrutture. Inoltre, il titolo XV del trattato di Amsterdam sancisce la base giuridica delle reti transeuropee (o TEN – trans european network). Le TEN rappresentano uno dei progetti comunitari per il rilancio del settore dei trasporti. L’idea di creare questo network è nata verso la fine degli anni ’80 insieme al progetto del mercato unico. Attraverso la realizzazione delle reti transeuropee si vuole facilitare le comunicazioni tra le varie aree del mercato unico, riducendo quindi le distanze e favorendo i contatti tra le regioni. Gli obiettivi del TEN sono:
assicurare e incentivare la mobilità delle persone su tutto il territorio della UE, offrendo loro delle infrastrutture di qualità migliorare la coesione economica e sociale tra le diverse aree dell’UE collegare le regioni centrali della comunità alle regioni insulari e periferiche
Il TEN è basato inoltre sulla stretta interconnessione e sull’interoperabilità delle reti nazionali; la Comunità inoltre stabilisce gli orientamenti che individuano i progetti di interesse comune e le priorità di intervento. Le reti transeuropee sezionano trasversalmente i confini geografici e politici e si basano su rapporti di collaborazione socio – economica tra i paesi attraversati, dando vita ad un integrazione avanzata di secondo livello. Tuttavia la loro realizzazione non è semplice, in quanto vi sono percorsi giuridici disomogenei e vi è il coinvolgimento, nella fase ideativa e attuativa, di una pluralità di soggetti mossi da interessi diversi.
La realizzazione del TEN, cioè di una rete di trasporto totalmente integrata, costituisce una condizione per un’effettiva libertà di circolazione delle merci e delle persone e quindi rappresenta uno strumento di integrazione economica, di facilitazione delle comunicazioni e dei contatti tra le regioni, di riduzione delle distanze, di aumento del volume degli scambi e della competitività dell’economia. Esistono diverse tipologie di TEN:
TEN – trasporti (TEN – T), le quali comprendono i grandi progetti concernenti il trasporto su strada e quello combinato, le vie navigabili, i porti marittimi e la rete europea TAV TEN – energia (TEN – E), le quali riguardano i settori dell’elettricità e del gas naturale. Il TEN – E è finalizzato alla realizzazione del mercato unico dell’energia e la sicurezza dell’approvvigionamento TEN – telecomunicazioni (e – TEN), finalizzate a sviluppare i servizi elettronici basati sulle reti di telecomunicazione
Il progetto TEN è un progetto comunitario, sovranazionale. Le linee guida che delineano lo sviluppo del TEN – T sono definite dalle seguenti decisioni:
decisione n. 1692/1996/CE che costituisce un quadro generale di riferimento del settore della TEN e delinea gli obiettivi, le priorità e le linee di azione seguita dall’UE in tema di infrastrutture di trasporto. Gli Stati membri sono responsabili della realizzazione della rete, che deve essere completata con il supporto finanziario dell’UE nei casi specificati. Vengono inoltre identificati 14 progetti decisione n. 1346/2001/CE che rivede la decisione del 1996. Il progetto TEN è avanzato lentamente nei 5 anni precedenti a causa di diversi motivi: o di natura finanziaria, legato ai limiti di bilancio imposti dal trattato di Maastricht o la scarsa volontà politica dei Paesi membri ad impegnarsi nei progetti transfrontalieri, indirizzando le poche risorse disponibili verso i progetti di carattere nazionale Il progetto viene revisionato, soprattutto a causa dell’allargamento dell’UE e delle tendenze di cambiamento nei flussi di traffico internazionale, e affidato a Van Miert l’incarico di formulare nuove proposte in linea con il Libro Bianco sulla politica europea per i trasporti per il 2010 decisione n. 884/2004/CE che tiene conto delle considerazioni avanzate dallo studio del gruppo di Van Miert e sposta la scadenza della realizzazione del TEN dal 2010 al 2020. Inoltre vengono presentati 30 progetti prioritari, adattati alle dimensioni dell’UE allargata, ossia i 14 progetti individuati nella decisone n. 1692/1996, il progetto di navigazione satellitare Galileo e le autostrade del mare, al fine di ridurre la congestione delle strade e migliorare l’accessibilità delle aree insulari e periferiche
Il costo dei TEN è stimato intorno ai 250 miliardi di euro e i Paesi membri possono accedere solo in maniera limitata ai finanziamenti dell’UE. L’aumento dei costi e la volontà dei Paesi membri di indirizzarsi verso opere interne, ha portato l’UE a concentrare il cofinanziamento sulle sezioni transfrontaliere e sui progetti che offrono il maggior valore aggiunto all’Europa. L’ampliamento del numero dei Paesi membri ha rafforzato l’importanza delle TEN in quanto ne estende la copertura a tutto il continente europeo. Oltre ai finanziamenti della BEI, le reti possono usufruire di:
una linea di bilancio con stanziamenti pluriennali per i grandi progetti una linea di bilancio con stanziamenti annuali per quelli di dimensione minore
fondi strutturati e di coesione che sostengono lo sviluppo sociale ed economico e le ristrutturazioni negli Stati membri
Nel 2006 è stata inoltre istituita l’Agenzia esecutiva per la rete trans europea di trasporto, la quale si occupa della gestione dei progetti del TEN – T fino al 2015. Sistemi di reti e corridoi Le reti di trasporto paneuropee attraversano gli Stati membri e verranno estese a Stati non facenti parte dell’UE su iniziativa dell’UE stessa. Tali reti hanno una dimensione interna (che riguarda la connettività intracontinentale) e una esterna, in fase di sviluppo (che riguarda la connettività ultracontinentale). I corridoi sono i collegamenti di importanza prioritaria che attraversano gli Stati membri dell’Unione e anche gli Stati terzi. I corridoi paneuropei sono le vie di comunicazione nell’Europa centrale e orientale e si differenziano dalle reti di trasporto transeuropee nonostante siano in progetto degli interventi per unire i due sistemi. Questi corridoi sono stati ideati per favorire la circolazione di merci, persone, risorse naturali tra l’UE, gli Stati balcanici e gli Stati dell’Asia centrale. Inoltre, l’attuazione dei corridoi non viene progettata a livello sovranazionale come avviene per le TEN, ma è decentrata e lasciata a forme di cooperazione multilaterale. In sintesi, la politica europea delle infrastrutture di trasporto ha due strumenti, con finalità complementari:
la rete trans europea di trasporto i corridoi paneuropei, che sono nella pratica un prolungamento della rete TEN – T verso est
Attualmente la realizzazione della TEN – T non sta seguendo i tempi previsti, a causa di diversi motivi:
le reticenze a livello locale nei confronti della costruzione di nuove infrastrutture e l’assenza di un approccio integrato al momento della pianificazione, della valutazione e del finanziamento delle infrastrutture transfrontaliere l’assottigliamento dei finanziamenti pubblici legato alla generale riduzione degli investimenti in infrastrutture di trasporto
Le strategie per la sostenibilità ambientale L’inquinamento atmosferico e i problemi ad esso connessi si concentrano maggiormente sulle aree caratterizzate dalla presenza di grandi impianti industriali e/o da traffico veicolare molto intenso. Con sostenibilità, o sviluppo sostenibile, si intende un progetto, prodotto, strategia o politica attenti all’ambiente. Specificatamente, l’uso di una risorsa naturale è sostenibile quando il prelievo della risorsa non supera la capacità di generazione della risorsa stessa. La caratteristica principale della sostenibilità risiede nella sua natura di integrazione tra tre diverse componenti: la componente economica, quella sociale e quella fisico – ambientale. Il trasporto è sostenibile quando è compatibile con l’ambiente, efficiente dal punto di vista economico e giusto sotto il profilo sociale. Il sistema dei trasporti origina, nonostante gli sforzi che si sono fatti in tal senso, pesanti effetti negativi:
impatti globali, come la riduzione delle risorse energetiche e l’effetto serra impatti sulla salute umana, in termini di incidentalità, inquinamento acustico e atmosferico impatti sugli ecosistemi naturali, quali la frammentazione dei biotipi e la perdita del suolo
il settore dei trasporti produce il 30% delle emissioni di CO2 dell’UE, mentre le emissioni industriali sono in diminuzione, in linea con gli impegni assunti con il protocollo di Kyoto. Attualmente, il settore dei trasporti non è sostenibile. Come si può allora fronteggiare la crescita della domanda che si ha in questi anni? Attraverso:
tasse ecologiche sui trasporti, ossia applicare alle tariffe dei trasporti anche una tassa che includa il valore economico dei danni ambientali, sanitari e sociali generati dal trasporto stesso. È possibile inoltre redistribuire la domanda tra le varie modalità applicando tasse diverse a seconda della dannosità che hanno sull’ambiente ammodernare il settore dei trasporti, con una politica volta a sviluppare modalità di trasporto che comportino effetti meno negativi in termini ambientali. La soluzione sarebbe quindi di erogare degli incentivi per favorire e accelerare processi di outsourcing e il ricorso al trasporto intermodale potenziare la capacità del trasporto ferroviario
Concretamente, la sostenibilità in materia di trasporti significa:
a livello economico o l’utilizzo ottimale delle infrastrutture esistenti o la creazione di infrastrutture efficienti o la promozione della competitività o l’aumento del tasso di autofinanziamento nel settore ed internalizzazione dei costi esterni (cioè applicare alle tariffe anche i costi sociali e ambientali) a livello ecologico o la riduzione degli effetti negativi sull’ambiente dovuti ad agenti inquinanti o la riduzione dei danni ai paesaggi ed agli habitat o il contenimento del consumo energetico, specie dell’energia non rinnovabile a livello sociale
o o o o
si garantiscono i servizi di base su tutto il territorio nazionale attraverso il servizio pubblico la tutela della salute della collettività la RSI delle imprese di trasporto la riduzione dell’incidentalità
Concludendo, tutti i progetti promossi dall’UE in materia di intermodalità e controllo telematico dei flussi di merci rientrano tra le azioni che hanno come scopo quello di migliorare la sostenibilità del sistema dei trasporti europeo a livello economico, sociale ed ambientale.