Università degli Studi di Parma Facoltà di Economia Corso di Laurea Specialistica in Finanza e Risk Management
ASSET ALLOCATION E STILE DI GESTIONE DEI FONDI AZIONARI DI INVESTIMENTO
Relatore: Chiar.mo Prof. Gino Gandolfi
Laureando: Ming Jie Wang
Anno Accademico 2008 – 2009
INDICE Sommario
1
Capitolo 1 I bisogni finanziari degli individui
3
1.1
Consumo, risparmio e investimento
3
1.2
Il sistema finanziario
5
1.3
Il ruolo degli intermediari finanziari
8
Capitolo 2 I fondi comuni di investimento
9
2.1
Introduzione
9
2.2
Definizione e classificazione dei fondi comuni di investimento 14
2.3
I soggetti coinvolti
23
2.4
La normativa giuridica
25
2.4.1 La societĂ di gestione
27
2.4.2 La disciplina del fondo
30
2.4.3 La vigilanza e i controlli sui fondi comuni
32
2.4.4 Gli obblighi informativi
35
2.4.5 Il trattamento fiscale
40
2.5
45
I costi di un fondo comune
Capitolo 3 Il processo di asset allocation 3.1
Definizione
3.2
L’identificazione delle caratteristiche e delle preferenze
51 51
degli investitori
52
I
3.3
3.4
La stima dell’andamento futuro del mercato e delle asset class
54
L’ottimizzazione del portafoglio
55
3.4.1 L’asset allocation strategica
56
3.4.2 L’asset allocation tattica
60
3.4.3 L’asset allocation dinamica
62
3.4.4 Alcuni esempi di operatività
63
3.5
Le asset class
68
3.6
Lo stile di gestione
71
3.6.1 La gestione passiva
76
3.6.2 La gestione attiva
86
3.6.3 La scelta del benchmark
88
3.6.4 La tracking error volatility
91
3.7
95
L’analisi dello stile di gestione
3.7.1 La style analysis di Sharpe
98
3.7.2 La rolling style analysis
102
3.8
L’attribuzione della performance
104
Capitolo 4 L’analisi di stile dei fondi comuni
107
4.1
Introduzione all’analisi
107
4.2
L’analisi dello stile di gestione tramite modello di regressione110
4.3
Gli indici
114
4.4
I risultati della regressione
116
4.4.1 Gli azionari America
120
4.4.2 Gli azionari Area Euro
121
4.4.3 Gli azionari Paesi Emergenti
122
II
4.4.4 Gli azionari Italia
123
4.4.5 Gli azionari Europa
124
4.4.6 Gli azionari Pacifico
126
4.4.7 Gli azionari Internazionali
127
4.4.8 Considerazioni conclusive
129
4.5
131
L’analisi tramite tracking error volatility
4.5.1 I risultati dell’analisi
136
4.6
Un confronto tra i risultati delle due metodologie
144
4.7
Conclusioni
148
Bibliografia
151
III
IV
Sommario Il presente lavoro si pone come obiettivo la verifica dello stile gestionale adottato dalle società di gestione del risparmio nella conduzione dei fondi comuni di investimento. È d’obbligo infatti per ciascun gestore dichiarare nel prospetto informativo del prodotto “fondo comune di investimento” lo stile gestionale che intende adottare. La scelta ricade nella totalità dei casi tra le alternative gestione passiva e gestione attiva, le quali si differenziano tra loro per il grado di attività e di autonomia che il gestore si assume. Diverse sono le metodologie con le quali verificare lo stile di gestione adottato da una SGR, ma sicuramente le due più note a livello operativo sono: la style analysis di Sharpe, che prevede l’analisi dei rendimenti effettivamente conseguiti da un fondo e di correlarli con i rendimenti ottenuti da un fondo benchmark, al fine di individuare gli scostamenti di rendimenti imputabili alle scelte attive del gestore; l’analisi dei tracking error e della loro volatilità, che consiste nel determinare il differenziale di rendimento ottenuto dal fondo rispetto ad un portafoglio benchmark. Le conclusioni a cui conducono le due metodologie di valutazione ci permettono di individuare lo stile effettivamente seguito dal gestore; non sono rari i casi nei quali il gestore dichiara di adottare uno stile gestionale attivo, smentiti però dall’analisi empirica. Il lavoro è preceduto da diversi capitoli introduttivi, finalizzati a fornire una migliore comprensione dello strumento finanziario che si andrà ad analizzare.
1
Il capitolo 1 tratterà dei bisogni finanziari che gli individui manifestano nel corso della loro vita. Tali bisogni possono essere soddisfatti ricorrendo al sistema finanziario e agli strumenti che esso mette a disposizione, quali i fondi comuni di investimento. Il capitolo 2 si concentra invece sullo strumento finanziario rappresentato dai fondi comuni di investimento, analizzandone gli aspetti definitori, giuridici e operativi. Il capitolo 3 si sofferma sul processo di asset allocation e sugli stili gestionali che una SGR può adottare. Infine il capitolo 4 procede all’analisi del grado di attivismo di un campione di fondi comuni azionari di investimento di diritto italiano.
2
Capitolo 1
I bisogni finanziari degli individui
1.1 Consumo, risparmio e investimento Nel corso della propria esistenza, ogni individuo deve prendere delle decisioni di tipo economico, che avranno successivamente un impatto sulla propria vita. Queste decisioni sono in gran parte relative all’allocazione delle risorse derivanti dalla propria attività, ossia il reddito. Il primo principio dell’economia recita: “gli individui devono affrontare scelte alternative”.
Ciò
significa
che
per
ottenere
una
cosa,
devono
necessariamente rinunciare a qualcos’altro. Di conseguenza, ogni decisione comporta la scelta tra due o più alternative. Sotto questo assunto, ogni individuo dovrà scegliere cosa fare del reddito prodotto, ossia decidere quanta parte di esso intende destinare al consumo e quanta parte invece risparmiare per esigenze future. Il reddito destinato al consumo comprende la quota di reddito che viene utilizzata per soddisfare le esigenze, i bisogni e le necessità correnti attraverso l’acquisto di beni e servizi idonei a tali scopi. La quota residua di reddito che non viene utilizzata ai fini del consumo viene definita risparmio. Il risparmio contribuirà ad accrescere il patrimonio del soggetto, che sarà a disposizione per qualunque bisogno si manifesterà in futuro.
3
Dal punto di vista matematico, si avrĂ : đ?‘Œđ?‘Ą = đ??śđ?‘Ą + đ?‘†đ?‘Ą + đ?‘‡đ?‘Ą
(1)
L’equazione esprime il reddito đ?‘Œđ?‘Ą prodotto al tempo t in funzione di tre variabili:  il consumo đ??śđ?‘Ą  il risparmio đ?‘†đ?‘Ą  le tasse đ?‘‡đ?‘Ą Appare subito evidente che tra le tre componenti del reddito ve n’è una esogena, ossia non influenzabile dall’individuo. Questa componente è rappresentata dalle tasse, il cui livello viene deciso dallo Stato e risulta totalmente indipendente dalle volontĂ del soggetto. Per questo motivo è preferibile continuare l’analisi senza considerare la variabile esogena, in modo da osservare le sole componenti che sono influenzabili dall’individuo. Il reddito al netto delle tasse viene definito come reddito disponibile, ossia la quota di reddito che l’individuo può allocare a propria discrezione. In termini matematici si ha: đ?‘Œđ?‘Ąđ??ˇ = đ?‘Œđ?‘Ą − đ?‘‡đ?‘Ą
(2)
Il reddito disponibile đ?‘Œđ?‘Ąđ??ˇ è pari al reddito prodotto đ?‘Œđ?‘Ą al netto delle tasse đ?‘‡đ?‘Ą . Sostituendo l’equazione (2) nella (1), si può ottenere il reddito disponibile in funzione delle variabili consumo đ??śđ?‘Ą e risparmio đ?‘†đ?‘Ą . Infatti đ?‘Œđ?‘Ąđ??ˇ = đ?‘Œđ?‘Ą − đ?‘‡đ?‘Ą = đ??śđ?‘Ą + đ?‘†đ?‘Ą
(3)
L’equazione (3) mostra che il reddito disponibile è dato dalla somma di consumo e risparmio: la quota che non viene consumata sarà destinata al risparmio e viceversa. Se si sposta la componente del risparmio al primo membro e il reddito disponibile al secondo membro, si ottiene l’equazione di �� : 4
đ?‘†đ?‘Ą = đ?‘Œđ?‘Ąđ??ˇ − đ??śđ?‘Ą
(4)
L’equazione (4) è di fondamentale importanza, in quanto esprime quanta parte di reddito prodotto viene risparmiata e quindi “rinviataâ€? al futuro. A livello di singolo individuo, il risparmio đ?‘†đ?‘Ą corrisponde al livello di investimenti đ??źđ?‘Ą che il soggetto è in grado di effettuare: đ?‘†đ?‘Ą = đ??źđ?‘Ą
(5)
Il risparmio đ?‘†đ?‘Ą contribuisce, insieme ai risparmi dei periodi precedenti, a formare il patrimonio del soggetto: đ?‘ƒđ?‘Ą = đ?‘†đ?‘Ą + đ?‘†đ?‘Ąâˆ’1 + đ?‘†đ?‘Ąâˆ’2 + â‹Ż
(6)
L’equazione sopra proposta è ovviamente valida se il soggetto non attinge al proprio patrimonio ma utilizza esclusivamente il reddito prodotto al tempo t per soddisfare le proprie esigenze che si presentano nello stesso periodo di tempo. In caso contrario, sarebbe necessario considerare anche i deflussi al patrimonio.
1.2 Il sistema finanziario Il sistema finanziario è l’insieme organizzato di mercati, intermediari e strumenti finanziari. Esso rappresenta la struttura nella quale viene svolta l’attività finanziaria e permette di realizzare i tre fondamentali processi del funzionamento di un’economia reale:  il regolamento degli scambi tra le pari;  la gestione dei rischi finanziari e non;  l’accumulazione del risparmio e il finanziamento degli investimenti. Per quanto riguarda il primo punto, il sistema finanziario svolge la funzione monetaria, cioè permette di effettuare i pagamenti tra i vari operatori. Un 5
efficiente sistema dei pagamenti consente di accrescere il numero degli scambi e di ridurre i costi e i rischi legati alla transazione. Relativamente alla gestione dei rischi, il sistema finanziario offre diversi e numerosi strumenti che permettono una corretta ed adeguata gestione dei rischi gravanti su qualunque attività economica reale. I mercati finanziari infatti mettono a disposizione degli operatori gli strumenti necessari alla copertura di un’ampia gamma di rischi, che vanno da quelli puri a quelli prettamente finanziari e speculativi. Si pensi ad esempio ai contratti di assicurazione, che permettono, previo il pagamento di un premio di assicurazione, di trasferire il rischio puro e/o finanziario ad un intermediario finanziario come la compagnia di assicurazione. Oppure si pensi ai contratti derivati, che consentono di gestire qualunque tipo di rischio finanziario legato alle variabili di mercato, come i tassi di interesse, le valute e i prezzi delle attività finanziarie. Per ultimo, il sistema finanziario ha la funzione di intermediazione tra i soggetti che accumulano il risparmio, che vengono definiti unità in surplus, e i soggetti che invece hanno necessità di finanziamenti, i quali vengono denominati unità in deficit. Il sistema finanziario consente di trasferire le risorse dalle unità in surplus alle unità in deficit in maniera efficiente, al fine di realizzare la migliore allocazione delle risorse a disposizione. Nel concreto, il sistema finanziario offre ai soggetti in surplus una notevole varietà di strumenti finanziari in cui impiegare i propri risparmi. La numerosità, la strutturazione e le caratteristiche di tali strumenti consentono di soddisfare la quasi totalità delle esigenze degli individui, soprattutto in termini di: rendimento
6
rischio orizzonte temporale Ciascun strumento e attività finanziaria presenta proprie caratteristiche relative al rendimento atteso, al grado di rischio implicito e all’orizzonte temporale ottimale. Il soggetto investitore che deve impiegare i propri risparmi deve decidere quale/i alternativa/e adottare. Tale processo di decisione si esplica in due passaggi: individuare le proprie esigenze finanziarie ed esplicitarle in termini di rendimento atteso, rischio assumibile e l’orizzonte temporale di riferimento; analizzare il mercato e gli strumenti finanziari, al fine di stimare il futuro e probabile andamento degli stessi; ottimizzare le proprie preferenze con le caratteristiche degli strumenti finanziari a disposizione sul mercato. Tale processo è definito come asset allocation e ha come obiettivo la costruzione del portafoglio ottimale, cioè la selezione degli strumenti finanziari le cui caratteristiche di rendimento atteso, rischio e orizzonte temporale meglio si adattano alle esigenze e alle preferenze dell’investitore. L’investitore si trova quindi nella condizione di dover decidere qual è la soluzione a lui più congeniale, ossia la migliore allocazione dei propri risparmi. L’investimento e l’allocazione risentono, tuttavia, anche del tipo di reddito prodotto dall’investitore e dalla sua dinamica nel tempo. È bene quindi tenere conto anche di queste variabili nel processo di allocazione.
7
1.3 Il ruolo degli intermediari finanziari Il processo di allocazione delle proprie risorse richiede delle competenze che la maggior parte dei soggetti non ha a disposizione. Mentre le proprie esigenze, il rendimento desiderato, il massimo grado di rischio sostenibile possono essere autonomamente delineati dall’investitore, più complicato è invece tradurli concretamente, ossia selezionare gli strumenti e le attività che meglio si adattano a questi parametri. Infatti un investitore non dotato delle adeguate competenze, professionalità e informazioni può adottare un comportamento non razionale, basato più sull’istinto, che lo espone a rischi notevolmente maggiori di quelli che intende assumere. Vi è la possibilità che un investitore, da solo, non riesca ad allocare efficientemente le proprie risorse. Ecco quindi che assume una notevole importanza il ruolo degli intermediari finanziari che, grazie alle proprie competenze, conoscenze e informazioni, riescono ad offrire un adeguato supporto alle decisioni di carattere finanziario e a guidare il risparmiatore verso l’/gli investimento/i più adatto/i alle sue personali preferenze ed esigenze. Il ruolo dell’intermediario finanziario può limitarsi alla sola consulenza, tramite cui l’investitore accresce il numero di informazioni e conoscenze a propria disposizione, oppure allargarsi alla gestione del patrimonio dell’investitore stesso, come succede nel caso dei fondi pensione, dei fondi mobiliari e moltissimi altri strumenti.
8
Capitolo 2
I fondi comuni di investimento
2.1 Introduzione I fondi comuni di investimento sono strumenti di investimento che hanno avuto un eccezionale sviluppo negli anni ’90, divenendo uno degli impieghi preferiti da una vastissima schiera di investitori. Essi hanno consentito e favorito l’accesso di larghe masse di risparmiatori ai mercati finanziari, in primis quello azionario. Ciò ha contribuito non poco a determinare un incremento notevole del numero e dei settori di appartenenza dei titoli quotati. I primi fondi comuni commercializzati in Italia videro la luce negli anni ’60. Poiché mancava ancora una disciplina nazionale in merito, tali fondi vennero costituiti in Lussemburgo, per motivi giuridici e fiscali, e presero il nome di “fondi di diritto lussemburghesi”. Lo sviluppo dei fondi lussemburghesi diffuse l’idea dell’investimento collettivo del risparmio e della gestione professionale.
In
quel
periodo
la
Borsa
Valori
era
considerata
eccessivamente rischiosa per il singolo investitore; l’investimento in fondi comuni riduceva il rischio in quanto permetteva una reale diversificazione degli impieghi e una gestione da parte di professionisti competenti. Ciò
9
favorì l’ingresso di una notevole massa di risparmiatori all’interno del mercato azionario. Nel 1983 il D.lgs. n. 77 istituì i fondi comuni di investimento di diritto italiano. I successivi 4 – 5 anni videro un notevole sviluppo di questi strumenti di investimento, frenato dalla crisi che colpì i mercati finanziari nel periodo 1987 – 1992. In questo quinquennio la raccolta netta fu sistematicamente negativa e ciò incise sul patrimonio gestito dalle società di gestione. In seguito al 1992, grazie alla ripresa e a rinnovate politiche commerciali e di marketing finalizzate a differenziare l’offerta, i fondi comuni conobbero un periodo di grande crescita in termini di raccolta netta e di patrimonio gestito. La riduzione dei tassi di interesse portò molti investitori a disinvestire dai titoli di Stato (che in periodi di elevati tassi di interesse divenivano lo strumento preferito dagli italiani) e dirottare i propri risparmi verso il mercato azionario, più rischioso ma sicuramente più remunerativo. Tuttavia, dopo aver conosciuto un picco nel 2000, il ruolo dei fondi comuni di investimento risentì dei cambiamenti nel comportamento dei risparmiatori: la propensione degli investitori a detenere attività rischiose era cresciuta per tutti gli anni ’90, contribuendo allo sviluppo dei fondi, fino al 2001, per poi diminuire; molti investitori decisero di allocare i propri risparmi in altri strumenti, quali le polizze assicurative vita a carattere finanziario e i fondi pensione. Il rallentamento della raccolta dei fondi comuni è quindi riconducibile alla minor propensione al rischio degli investitori, che hanno dirottato le proprie preferenze verso strumenti e titoli a basso rischio come i titoli di Stato e le polizze assicurative.
10
La crisi finanziaria iniziata nel 2007 ha successivamente acuito i problemi dei fondi comuni di investimento, facendo registrare dei flussi netti negativi che hanno eroso il patrimonio dei fondi stessi. La tavola 1 e la figura 1 mostrano l’andamento della raccolta netta dei fondi comuni di investimento dal 1984 al 2008 (viene distinta la raccolta dei fondi di diritto italiano dai fondi di diritto estero), mentre la tavola 2 e la figura 2 riportano il patrimonio gestito dai fondi comuni nello stesso periodo (distinti in fondi di diritto italiano e fondi di diritto estero). Risulta evidente la dinamica dei fondi descritta precedentemente.
Tav. 1 – Andamento della raccolta netta dei fondi comuni di diritto italiano, estero e totale.
Anno
Esteri e
Italiani
Roundtrip
Totale
1984
557
ND
557
1985
8250
ND
8250
1986
19390
ND
19390
1987
17
ND
17
1988
-6691
ND
-6691
1989
-3438
-623
-4061
1990
438
-691
-253
1991
2743
-536
2207
1992
383
-524
-141
1993
17281
-609
16672
1994
13121
-179
12942
1995
-5415
937
-4478
1996
29967
3138
33105
1997
73894
4401
78295
1998
161534
5530
167064
1999
61098
26918
88016
2000
-1184
36108
34924
11
2001
-15948
18117
2169
2002
-10983
5223
-5760
2003
10699
18853
29552
2004
-19407
20205
798
2005
-9885
31213
21328
2006
-42494
33080
-9414
2007
-52860
-325
-53185
2008
-82749
-57367
-140116
Fig. 1 – Andamento della raccolta netta dei fondi di diritto italiano, estero e totale.
Italiani
Esteri
150000
100000
50000
0
-50000
-100000
-150000
12
Totale
Tav. 2 – Andamento del patrimonio gestito dai fondi di diritto italiano, estero e totale.
anno
italiani
esteri
totale
1984
597
2186
2783
1985
10217
3902
14119
1986
33609
5511
39120
1987
30703
4535
35238
1988
26630
4465
31095
1989
25393
4420
29813
1990
24471
3186
27657
1991
29025
2838
31863
1992
31327
2562
33889
1993
56858
2676
59534
1994
67226
2768
69994
1995
65482
3521
69003
1996
101720
6996
108716
1997
189739
12603
202342
1998
372274
22828
395102
1999
475298
62107
537405
2000
458239
115958
574197
2001
416613
129506
546119
2002
374236
122481
496717
2003
397242
151064
548306
2004
388872
181034
569906
2005
401700
238681
640381
2006
370285
286104
656389
2007
322341
295971
618312
2008
213745
194943
408688
13
Fig. 2 – Andamento del patrimonio gestito dai fondi di diritto italiano, estero e totale.
italiani
Esteri
Totale
700000 600000 500000 400000 300000 200000 100000 0
2.2 Definizione e classificazione dei fondi comuni di investimento Il fondo comune di investimento è uno strumento finanziario che raccoglie le risorse da una gran massa di piccoli, medi e grandi investitori. Tali risorse vengono confluite in un unico patrimonio, che viene gestito e investito da un apposito intermediario finanziario, la società di gestione del risparmio (SGR). Il patrimonio del fondo viene suddiviso in quote, che vengono ripartite tra tutti gli investitori a seconda del capitale apportato. Le quote di partecipazione ai fondi sono rappresentate da certificati nominativi o al portatore1.
1
Art. 36 comma 8 TUF.
14
Ciascun investitore ha gli stessi diritti patrimoniali di qualunque altro partecipante al fondo comune. L’obiettivo è di ottenere il massimo rendimento, misurabile attraverso la crescita del valore del capitale investito. Pur rientrando nel concetto unico di fondo comune di investimento, esistono diverse tipologie di fondi che si differenziano molto tra di loro. Innanzitutto è doveroso distinguere i fondi comuni di investimento mobiliari dai fondi comuni di investimento immobiliari. La principale differenza tra le due tipologie è l’oggetto dell’investimento: infatti i primi investono il proprio patrimonio in valori e titoli mobiliari, mentre i secondi impiegano le risorse per la compravendita e la valorizzazione di immobili. Il presente testo si occuperà nello specifico dei fondi mobiliari, rinviando la trattazione dei fondi immobiliari a testi specialistici. Se classifichiamo i fondi in base alla loro struttura organizzativa, si hanno: i fondi chiusi, caratterizzati da un patrimonio iniziale predeterminato. Il regolamento che istituisce i fondi chiusi fissa il patrimonio e il numero di quote iniziali e ne permette la sottoscrizione solo al momento della costituzione. Il numero delle quote rimarrà invariato per tutta la durata del fondo e gli investitori le potranno riscattare solo a scadenza oppure in determinati periodi prefissati; i fondi semichiusi, i quali sono fondi chiusi ai quali viene affiancato un intermediario finanziario con la funzione di riacquistare le quote degli investitori e aumentare quindi la liquidabilità; i fondi aperti, caratterizzati da un numero di quote variabile che può aumentare o diminuire giornalmente a seconda delle nuove sottoscrizioni o delle richieste di rimborso delle quote già sottoscritte. Dopo
la
costituzione,
chiunque
15
può
partecipare
al
fondo
sottoscrivendo
le quote di
nuova emissione, pagandone il
controvalore, o richiedere il rimborso delle quote detenute ricevendone il valore corrente. La classificazione dei fondi può essere fatta sulla base della composizione del portafoglio dei fondi, ossia come le risorse vengono allocate tra le varie asset class, e quindi del grado di rischiosità dell’investimento. A tal proposito è possibile distinguere i fondi in: fondi liquidità, che investono prevalentemente in titoli a breve scadenza e prediligono il grado di liquidità dell’investimento; fondi obbligazionari, che allocano le proprie risorse in titoli obbligazionari a reddito fisso o variabile; fondi bilanciati, che possono investire sia in titoli obbligazionari sia in titoli azionari. Solitamente le risorse sono equamente ripartite, ma un fondo può investire dal 10% al 90% in una delle due asset class; fondi azionari, che sono i fondi con il più elevato grado di rischio in quanto allocano almeno il 70% delle proprie risorse in titoli azionari; fondi flessibili, per i quali non vi sono regolamenti rigidi da rispettare, in quanto possono investire in titoli obbligazionari o azionari a seconda delle prospettive di mercato. Se la classificazione avviene invece sulla base della diversificazione del portafoglio, si hanno due tipologie di fondi: fondi diversificati, che investono in titoli di società operanti in settori economici e/o Paesi diversi (diversificazione settoriale e/o geografica); fondi specializzati, che investono in titoli di società appartenenti ad un solo settore (specializzazione settoriale o economica) o a un’unica area geografica (specializzazione geografica). 16
I fondi si possono ripartire a seconda del trattamento degli utili derivanti dall’investimento: i fondi ad accumulazione (ACC Funds) non distribuiscono i proventi realizzati, ma li reinvestono e contribuiscono all’incremento di valore delle quote in circolazione; i fondi a distribuzione (INC Funds) distribuiscono periodicamente i proventi realizzati. La distribuzione può essere totale oppure parziale, ossia una parte viene distribuita mentre la parte residua incrementa il valore delle quote in circolazione. Un’altra possibile distinzione tra i fondi riguarda le modalità con le quali questi vengono distribuiti, ossia la politica commerciale. I fondi infatti possono essere collocati presso il pubblico in diversi modi e possono essere distinti in: fondi distribuiti da reti di vendita, i quali vengono collocati da promotori finanziari. Questi soggetti hanno la funzione di promuovere il fondo presso potenziali clienti e assistere i sottoscrittori delle quote; fondi distribuiti da sportelli bancari, i quali vengono collocati dalle filiali degli istituti di credito. Generalmente i fondi distribuiti in questo modo sono gestiti da SGR appartenenti allo stesso gruppo dell’istituto distributore; fondi distribuiti in forma mista, che si avvalgono sia della collocazione tramite promotori finanziari sia tramite sportello bancario; fondi distribuiti direttamente dalla SGR, i quali vengono collocati ricorrendo a veicoli di vendita quali pubblicità, direct mailing, internet. Infine è possibile distinguere i fondi a seconda se offrono la possibilità di trasferire il proprio investimento da un fondo all’altro. Avremo quindi: 17
fondi comunicanti, i quali permettono lo switch del capitale investito da un fondo all’altro, senza dover disinvestire e successivamente reinvestire pagando nuovamente una commissione di sottoscrizione. Il trasferimento richiede il pagamento di una commissione di switch di importo modesto; fondi non comunicanti, che non permettono di trasferire il denaro investito da un fondo all’altro. Qualora l’investitore desiderasse entrare in un altro fondo, è costretto a disinvestire le proprie risorse e reinvestirle nel nuovo fondo, pagando una commissione di sottoscrizione. A queste classificazioni di carattere generale si possono aggiungere le classificazioni redatte da enti specializzati, come Assogestioni, che permettono di individuare immediatamente le caratteristiche di un fondo. La classificazione di Assogestioni è il sistema di classificazione dei fondi di diritto italiano attualmente in vigore in Italia. Introdotto nel 2003, la classificazione ha l’obiettivo di rendere maggiormente trasparenti le caratteristiche principali dell’investimento in fondi, nonché i principali fattori che impattano sulla loro rischiosità. Le macrocategorie proposte sono cinque: fondi azionari, fondi bilanciati, fondi obbligazionari, fondi di liquidità e fondi flessibili. All’interno di questi gruppi si articolano 42 categorie che specificano i settori economici e le aree geografiche, il grado di rischiosità e la durata dei titoli nei quali investono i fondi. Le tavole 3, 4, 5, 6, 7 e 8 riportano in sintesi la classificazione di Assogestioni, specificando la composizione di portafoglio che un fondo deve avere per rientrare in una dette 42 categorie.
18
Tav. 3 – Le cinque macrocategorie di Assogestioni. Macrocategorie
% di investimento azionario
Azionario
Devono investire almeno il 70% del proprio patrimonio
Obbligazionario
Non possono investire in azioni (0% - 20% se fondo obbligazionario misto)
Bilanciato
Possono investire in azioni per 10% - 90% del portafoglio
Liquidità
Non possono investire in azioni
Flessibile
Nessun vincolo di asset allocation azionaria (0% - 100%)
Tav. 4 – Le 42 categorie di Assogestioni.
Azionario Az. Italia Az. Area Euro Az. Europa Az. America Az. Pacifico Az. Paesi Emergenti Az. Paese Az. Internazionali Az. Altro Obbligazionario Euro governativi breve termine Euro governativi m / l termine Euro corporate investment grade Euro high yield Dollaro governativi breve termine Dollaro governativi m / l termine Dollaro corporate investment grade Dollaro high yield Bilanciati Bilanciati azionari Bilanciati Liquidità Area Euro Area Dollaro Flessibili
Az. Energia e materie prime Az. Industria Az. Beni di consumo Az. Salute Az. Finanza Az. Informatica Az. Telecomunicazioni Az. Pubblica utilità Az. Altri settori Internazionali governativi Internazionali corporate investment grade Internazionali high yield Yen Paesi emergenti Altre specializzazioni Misti Flessibili Bilanciati obbligazionari
Area Yen Altre valute
19
Tav. 5 – Le categorie dei fondi azionari. Categorie
Investimento principale
Az. Italia
>70% azioni di emittenti italiani
Az. Area Euro
>70% azioni di emittenti dell'area Euro
Az. Europa
>70% azioni di emittenti europei
Az. America
>70% azioni di emittenti americani
Az. Pacifico
>70% azioni di emittenti dell'Estremo Oriente
Az. Paesi emergenti
>70% azioni di emittenti di Paesi emergenti
Az. Paese
>70% azioni di emittenti di un determinato Paese
Az. Internazionali
>70% azioni di emittenti esteri
Az. Altro
>70% azioni di emittenti non rientranti nelle categorie precedenti
Az. Energia e materie prime >70% azioni di società operanti nel settore energetico e delle materie prime Az. Industria
>70% azioni di società operanti nel settore industriale
Az. Beni di consumo
>70% azioni di società operanti nel settore alimentare e altri beni di consumo
Az. Salute
>70% azioni di società operanti nel settore medico e biotecnologico
Az. Finanza
>70% azioni di società operanti nel settore finanziario
Az. Informatica
>70% azioni di società operanti nel settore informatico
Az. Telecomunicazioni
>70% azioni di società operanti nel settore delle telecomunicazioni
Az. Pubblica utilità
>70% azioni di società operanti nel settore della pubblica utilità
Az. Altri settori
>70% azioni di società non rientranti nelle categorie precedenti
Tav. 6 – Le categorie dei fondi obbligazionari.
Categoria
Investimento Tipologia minimo
emittente
Valuta
Merito creditizio
Duration
Euro governativi breve termine
80% governo
euro
NR
≤ 2 anni
Euro governativi m / l termine
80% governo
euro
NR
> 2 anni
Euro corporate investment grade
70% impresa
euro
investment grade NR
Euro high yield
70% NR
euro
high yield
NR
Dollaro governativi breve termine
80% governo
dollaro
NR
≤ 2 anni
Dollaro governativi m / l termine
80% governo
dollaro
NR
> 2 anni
Dollaro corporate investment grade
70% impresa
dollaro
investment grade NR
Dollaro high yield
70% NR
dollaro
high yield
NR
Internazionali governativi
80% governo
NR
NR
NR
20
Internazionali corporate investment grade
70% impresa
NR
investment grade NR
Internazionali high yield
70% NR
NR
high yield
NR
Yen
70% NR
yen
NR
NR
Paesi emergenti
70% NR
NR
NR
NR
Altre specializzazioni
Fondi specializzati come da regolamento
Misti
Massimo 20% di azioni in portafoglio. Nessun vincolo ulteriore
Flessibili
Politica di investimento total return
NR non rilevante
Tav. 7 – Le categorie dei fondi bilanciati. Categoria
Investimento azionario
Fondi bilanciati
da 10% al 90%
- bilanciati azionari
da 50% al 90%
- bilanciati
da 30% al 70%
- bilanciati obbligazionari
da 10% al 50%
Tav. 8 – Le categorie dei fondi liquidità. Categoria
Investimento
Fondi liquidità
liquidità e/o titoli con un rating non inferiore a A2 (Moody's) e A (S&P)
fondi di liquidità area
liquidità in euro e/o titoli con un rating non inferiore a A2 (Moody's) e A
euro
(S&P)
fondi di liquidità area
liquidità in dollari e/o titoli con un rating non inferiore a A2 (Moody's) e
dollaro
A (S&P)
fondi di liquidità area
liquidità in yen e/o titoli con un rating non inferiore a A2 (Moody's) e A
yen
(S&P)
fondi di liquidità altre
liquidità in altre valute e/o titoli con un rating non inferiore a A2
valute
(Moody's) e A (S&P)
Assogestioni propone inoltre una qualifica ulteriore per i fondi comuni di investimento che presentano particolari caratteristiche che, per la loro 21
natura, non trovano posto nella classificazione proposta precedentemente ma che risultano di interesse sia per la SGR sia per gli investitori. Le qualifiche sono indipendenti dalla classificazione e di conseguenza non rappresentano
un’ulteriore
suddivisione
dei
fondi,
ma
servono
esclusivamente a fornire ulteriori informazioni di carattere qualitativo. Le qualifiche proposte sono: fondo etico, se presenta una politica di investimento che vieta l’acquisto di un insieme di titoli e/o privilegia l’acquisto di titoli sulla base di criteri diversi dalla sola massimizzazione dei rendimenti attesi; fondo a capitale protetto, se presenta una politica di investimento che ha per obiettivo la protezione del valore dell’investimento attraverso tecniche gestionali finalizzate a limitare le perdite. Tuttavia tali fondi non forniscono nessuna garanzia che il valore delle quote non scenda sotto il livello di protezione; fondo a capitale garantito, se garantisce al sottoscrittore la restituzione di una determinata percentuale delle somme versate, a prescindere dall’andamento del fondo; fondo indicizzato, se la politica di investimento ha l’obiettivo di replicare il rischio e il rendimento di un indice di mercato calcolato da terzi. Esistono inoltre ulteriori classificazioni dei fondi, come ad esempio quella proposta dalla società di consulenza finanziaria Morningstar.
22
2.3 I soggetti coinvolti La costituzione, il funzionamento e la gestione di un fondo comune necessitano della presenza di quattro categorie di soggetti: la società di gestione (SGR) del fondo; gli investitori sottoscrittori delle quote; la banca depositaria; la rete di vendita delle quote. La società di gestione del risparmio è la società preposta alla promozione e alla gestione dei fondi comuni di investimento. Nella pratica è l’asset manager del fondo comune di investimento, in quanto ad essa sono affidate decisioni quali la scelta delle politiche di investimento, dei titoli da negoziare ecc… In qualità del suo ruolo di asset manager la SGR deve quindi: effettuare un’analisi macroeconomica generale, che studi la situazione dei mercati finanziari e il potenziale andamento futuro delle variabili economiche, quali PIL, tasso d’inflazione, tassi d’interesse ecc…, al fine di delineare i possibili scenari che si manifesteranno; effettuare un’analisi fondamentale dei singoli titoli, al fine di giungere ad una valutazione del valore intrinseco delle società e ad una previsione circa la possibile evoluzione del prezzo; ripartire le risorse raccolte dal fondo nelle diverse asset class, aree geografiche e settori economici sulla base delle valutazioni fatte e del regolamento del fondo; selezionare i singoli titoli da acquistare o vendere, sulla base delle valutazioni effettuate (stock picking);
23
La società di gestione segue una politica di investimento prefissata per ciascun fondo, in funzione della sua natura e del regolamento. L’attuazione di tale politica è compito del consiglio di amministrazione della società, che può delegare i propri poteri ad un comitato esecutivo, a dirigenti della SGR oppure a singoli amministratori. Inoltre il CdA della SGR può ricorrere alla collaborazione di analisti ed esperti esterni, conferendo loro deleghe gestionali in settori che richiedono competenze specifiche, purché con una durata predeterminata e con facoltà di revoca in qualsiasi momento e senza carattere di esclusività. Il CdA è responsabile della propria attività e di quella dei collaboratori e risponde sia verso i soci della SGR che verso i partecipanti ai fondi che essa gestisce. Gli investitori sono i soggetti che sottoscrivono le quote del fondo, divenendo di fatto gli apportatori delle risorse finanziarie. La partecipazione al fondo può avvenire per importi di elevato valore, ma anche per importi modesti2. Tutti i sottoscrittori, indipendentemente dall’importo investito, hanno gli stessi diritti: essi beneficiano della stessa performance relativa realizzata in un arco temporale e in percentuale sostengono le stesse commissioni. Gli investitori che sottoscrivono le quote di un fondo comune di investimento aperto hanno il diritto di richiedere il rimborso del valore delle quote in un qualsiasi momento, mentre chi sottoscrive le quote di un fondo chiuso è molto più limitato da questo punto di vista, in quanto può richiedere il rimborso solo in determinate occasioni. La banca depositaria è il soggetto preposto ad amministrare il patrimonio del fondo, a controllare che le operazioni messe in essere dalla SGR siano 2
La possibilità di investire modesti importi attraverso piani di accumulo è uno dei vantaggi dei fondi comuni. Ciò permette l’investimento anche a piccoli risparmiatori che si vogliono prefissare obiettivi finanziari.
24
coerenti con il regolamento del fondo e rispettose della normativa e a calcolare il valore delle quote su richiesta della SGR. Essa è la garante della regolarità dell’operato della società di gestione e deve riferire alla Banca d’Italia ogni irregolarità riscontrata. Inoltre la banca depositaria è la delegata di ogni operazione relativa al patrimonio del fondo, quali ad esempio l’accredito dei dividendi nel caso di fondi a distribuzione di proventi. La rete di vendita è la rete preposta alla collocazione delle quote di un fondo presso i risparmiatori, nonché a fornire l’assistenza finanziaria in materia. Le reti di vendita sono costituite generalmente da sportelli bancari (reti di vendita bancarie) e promotori finanziari (reti di vendita costituite da società di intermediazione mobiliare).
2.4 La normativa giuridica I fondi comuni di investimento, sebbene già esistenti in Italia, vengono disciplinati nel 1983 dal D.Lgs. n. 77/1983, che introduce i fondi comuni di diritto italiano e ne autorizza l’istituzione da parte di apposite società di gestione aventi come oggetto esclusivo la gestione di patrimoni collettivi. Il fondo comune e la gestione del risparmio erano intesi come “prodotto” che la società di gestione offriva al pubblico. Il legislatore già allora aveva delineato i punti più importanti di questa forma di investimento: la gestione del patrimonio collettivo in maniera professionale e continua; l’autonomia del patrimonio del fondo da quello della società di gestione e degli altri partecipanti al fondo; 25
il frazionamento del rischio derivante dalla diversificazione; le garanzie a tutela dei sottoscrittori. L’evoluzione
del
mercato
ha
tuttavia
reso
necessario
numerosi
aggiornamenti della normativa in questione. Gli interventi legislativi introdotti sono: il D.Lgs. n. 83/1992, che apporta modifiche al D.Lgs. n. 77/1983 soprattutto per quanto riguarda la commercializzazione dei fondi di diritto comunitario; la Legge n. 344/1993, che istituì i fondi mobiliari chiusi; la Legge n. 86/1994, che ha istituito i fondi immobiliari. Nel 1998 il legislatore decise di abrogare la precedente normativa sui fondi comuni di investimento attraverso il Testo Unico della Finanza (D.Lgs. n. 58/1998), introducendo una vera rivoluzione nella disciplina giuridica dei fondi d’investimento e intendendo la gestione del risparmio non più come un prodotto, bensì come un servizio. In particolare tutto il sistema dei fondi comuni di investimento diventa funzionale allo svolgimento dell’attività di gestione collettiva del risparmio, che si realizza mediante: la promozione, l’istituzione e l’organizzazione dei fondi comuni di investimento e l’amministrazione dei rapporti con i partecipanti; la gestione del patrimonio dei cosiddetti organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) I successivi paragrafi approfondiranno la disciplina dei fondi comuni di investimento, concentrandosi principalmente sulle società di gestione.
26
2.4.1 La società di gestione La società di gestione (SGR) è una società per azioni avente per oggetto sociale la costituzione e la gestione dei fondi comuni di investimento. La SGR può essere costituita esclusivamente dietro l’autorizzazione delle Autorità di Vigilanza e, insieme alle SICAV, sono gli organismi ai quali è riservata l’attività di gestione collettiva del risparmio. La normativa che disciplina le società di gestione è identificata nel Testo Unico della Finanza, istituito tramite il D. lgs. n. 58 del 1998. L’art. 34 TUF subordina l’esercizio dell’attività di gestione collettiva del risparmio alla concessione di un’autorizzazione da parte di Banca d’Italia, sentita la Consob. Per richiedere l’autorizzazione, è necessario il rispetto delle seguenti condizioni: la SGR deve adottare la forma di società per azioni; la sede legale e la direzione generale della società devono trovarsi in territorio italiano; il capitale sociale versato deve essere di un ammontare non inferiore a quello determinato in via generale da Banca d’Italia3; i soggetti con funzioni di amministrazione, direzione e controllo devono
possedere
i
requisiti
soggettivi
di
professionalità,
indipendenza e onorabilità stabiliti dall’art. 13 TUF4; i soci della società di gestione del risparmio devono avere i requisiti di onorabilità stabiliti dall’art. 14 TUF5;
3
Si veda il provvedimento di Banca d’Italia del 14 aprile 2005. Modificato dall’art. 9.50 del D.Lgs. n. 37 del 2004. 5 Modificato dall’art. 9.51 del D.Lgs. n. 37 del 2004. 4
27
la struttura del gruppo a cui la SGR appartiene non deve essere tale da pregiudicare l’effettivo esercizio della vigilanza sulla società stessa; le partecipazioni qualificate in grado di esercitare un’influenza rilevante devono essere comunicate nei modi e nei tempi stabiliti da Banca d’Italia6; la società deve presentare, insieme all’atto costitutivo e allo statuto, un programma riguardo l’attività iniziale e una relazione sulla struttura organizzativa; la denominazione sociale deve contenere la dicitura “società di gestione del risparmio. Una volta ottenuta l’autorizzazione, la SGR può costituirsi e iscriversi in un apposito albo tenuto da Banca d’Italia. Un elenco speciale allegato a tale albo contiene le iscrizioni delle società di gestione armonizzate7. Il D.Lgs. n. 77/1983 stabiliva che l’unica attività esercitabile dalle SGR fosse la gestione dei fondi comuni di investimento8. Il TUF invece amplia lo spettro delle attività esercitabili dalla SGR, includendo, oltre alla gestione dei fondi comuni, anche le seguenti attività: prestare il servizio di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi; istituire e gestire fondi pensione; svolgere le attività connesse o strumentali;
6
Art. 15 comma 5 TUF. Le SGR armonizzate investono nei beni previsti dalle direttive comunitarie in materia, nel rispetto dei limiti e dei criteri imposti dal D.M. 228/1999 e dal Regolamento di Banca d’Italia sulla gestione collettiva del risparmio. Le SGR non armonizzate investono invece nei beni individuati dall’art. 4 comma 2 lett. a), b) e c) del D.M. 28/1999, nei limiti e criteri stabiliti dal Regolamento di Banca d’Italia. 8 L’art. 1 del D. Lgs. n. 77/1983 recitava infatti “Le società per azioni con capitale sociale versato non inferiore a due miliardi di lire, aventi per oggetto esclusivo la gestione di fondi comuni, sono autorizzate dal ministro del Tesoro, sentita la Banca d’Italia, ad istituire fondi comuni d’investimento mobiliare aperti”. 7
28
prestare servizi di custodia e amministrazione di strumenti finanziari, limitatamente alle quote di OICR di propria istituzione; prestare il servizio di consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari. È importante non confondere la SGR con il fondo che essa gestisce: infatti la SGR è la società promotrice e/o gerente, ma il suo patrimonio è autonomo da quello del fondo. Il patrimonio di quest’ultimo è infatti costituito dai conferimenti effettuati dagli investitori e rimane proprietà di questi ultimi. La SGR assume quindi il ruolo di mandatario9 e deve gestire le risorse del fondo nell’interesse degli investitori10. Riguardo a quest’ultimo punto, il legislatore introduce degli obblighi di correttezza che i gestori devono seguire per rendere il rapporto con i sottoscrittori il più trasparente possibile. In particolare i gestori devono: tenere un comportamento diligente, corretto e trasparente, operando sempre nell’interesse dei risparmiatori11; fornire ai clienti tutte le informazioni previste dalla legge e dal regolamento; dotarsi di una struttura organizzativa, di procedure e di personale che consentano di operare al massimo dell’efficienza12; operare in maniera indipendente, soprattutto al di fuori di eventuali politiche di gruppo, per evitare potenziali conflitti di interessi a danno degli investitori.
9
Art. 36 comma 5 TUF. Art. 36 comma 4 TUF. 11 Art. 40 comma 1 lett. a) TUF. 12 Art. 40 comma 1 lett. c) TUF. 10
29
In ultimo, il TUF fa esplicito riferimento alle cosiddette SGR armonizzate, cioè le società di gestione del risparmio che non hanno la sede legale e la direzione generale in Italia, bensì in uno Stato estero membro dell’Unione Europea. Le SGR armonizzate sono autorizzate ai sensi della direttiva in materia di organismi di investimento collettivo a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio e pertanto possono operare stabilendo o meno delle succursali sul territorio italiano, previa comunicazione alla Banca d’Italia e alla Consob da parte dell’Autorità di vigilanza dello Stato di origine della SGR. Le SGR armonizzate, così come le SGR di diritto italiano, sottostanno alle norme comportamentali stabilite dall’art. 40 TUF.
2.4.2 La disciplina del fondo Il fondo comune di investimento è, nella pratica, un patrimonio collettivo formato dai conferimenti degli investitori, senza alcuna personalità giuridica. Esso costituisce un’entità distinta dai partecipanti e dalla SGR e possiede un’autonomia patrimoniale, la quale fa si che il patrimonio costituito è distinto dal patrimonio della società di gestione e dal patrimonio dei partecipanti. Il fondo non è aggredibile dai creditori della società di gestione del risparmio, mentre i creditori dei partecipanti possono rivalersi esclusivamente sulle quote detenute da essi13. I titoli acquistati con le risorse del fondo appartengono al fondo e i partecipanti non possono vantare alcun diritto su di essi. Inoltre questi ultimi non possono né partecipare alla gestione dei beni né chiedere lo
13
Art. 36 comma 6 TUF.
30
scioglimento del fondo. I diritti di voto derivanti dai titoli acquistati dal fondo devono essere esercitati dalla società di gestione14. In quanto privo di personalità giuridica, il fondo comune viene gestito dalla SGR15; gli strumenti finanziari acquistati e le disponibilità liquide vengono custodite da una banca depositaria16. L’art. 39 TUF obbliga la società di gestione a redigere, prima della costituzione del fondo, un regolamento che definisca le caratteristiche del fondo e ne disciplini il funzionamento. Tale regolamento deve essere sottoposto all’approvazione di Banca d’Italia. In particolare, il regolamento deve: indicare la società promotrice del fondo, ossia la società che intende costituirlo; indicare la società di gestione del fondo, se diversa dalla società promotrice; indicare la banca depositaria; definire i compiti e la ripartizione degli stessi tra gestore e banca depositaria; regolare i rapporti tra gestore, banca depositaria e i partecipanti; dare una denominazione al fondo; fissare la scadenza del fondo; definire le modalità di partecipazione al fondo, i termini e le modalità dell’emissione ed estinzione dei certificati e della sottoscrizione e del rimborso delle quote; definire le modalità di liquidazione del fondo; 14
Art. 40 comma 2 – 3 TUF. Art. 36 comma 1 TUF. 16 Art. 36 comma 2 TUF. 15
31
indicare gli organi competenti per la scelta degli investimenti e i criteri di ripartizione degli investimenti stessi; stabilire la tipologia di beni, strumenti finanziari e altre attività in cui è possibile investire il patrimonio del fondo; definire i criteri con i quali vengono determinati i proventi e i risultati della gestione, nonché le modalità con la quale essi vengono ripartiti e distribuiti; indicare le spese a carico del fondo e quelle a carico della SGR; definire i criteri tramite i quali vengono stabilite le provvigioni spettanti alla SGR e gli oneri a carico dei partecipanti indicare le modalità con le quali vengono pubblicizzati i valori delle quote di partecipazione.
2.4.3 La vigilanza e i controlli sui fondi comuni Uno dei principali vantaggi del fondo comune d’investimento è la tutela che la normativa offre agli investitori: infatti il fondo rappresenta una delle forme di impiego del risparmio che offre le maggiori garanzie sotto il profilo del controllo pubblico e dell’informativa assicurata agli investitori. Le Autorità preposte alla vigilanza sui fondi sono: la Banca d’Italia, che è l’ente a cui è affidato il compito di concedere l’autorizzazione per la costituzione delle SGR. Essa deve controllare che siano rispettati i requisiti soggettivi e oggettivi previsti dall’art. 34 TUF, necessari per la costituzione della SGR. Banca d’Italia ha la facoltà di fissare i criteri generali per la redazione del regolamento dei fondi, stabilendone anche i contenuti minimi obbligatori. L’attività di 32
controllo inoltre riguarda anche l’operatività della SGR, in particolare per quanto attiene l’organizzazione amministrativa e contabile, i controlli interni, le relazioni con gli intermediari, i quali sono soggetti sia a obblighi di specifiche comunicazioni periodiche alla Banca d’Italia sia ad eventuali ispezioni; la Consob, la quale ha la funzione di vigilare il collocamento delle quote dei fondi sui mercati finanziari, in modo che le operazioni di collocamento e di rimborso rispettino le normative vigenti. In particolare è demandato alla Consob il compito di approvare i prospetti informativi che la SGR deve consegnare ai risparmiatori. Alle Autorità si affiancano inoltre un’altra serie di soggetti preposti a controllare che la SGR operi conformemente alla legge e nell’interesse degli investitori: la banca depositaria, che come da art. 38 comma 1 TUF è tenuta ad accertare o la legittimità delle operazioni di emissione e rimborso delle quote, nonché la destinazione dei redditi del fondo; o la correttezza del calcolo del valore delle quote del fondo; o le irregolarità e comunicarle prontamente a Banca d’Italia e a Consob. la società di revisione, la quale controlla la regolarità e la correttezza delle scritture contabili della società di gestione e del fondo di investimento; il collegio sindacale della SGR, il cui compito è quello di un generico controllo sulle attività della società e sulla regolare tenuta dei libri contabili.
33
Infine, per rafforzare ulteriormente il controllo, la società di gestione del risparmio deve adottare uno specifico sistema di corporate governance, che prevede la presenza di: un sistema di internal auditing, che o verifichi il rispetto della normativa applicabile ai servizi prestati dalla SGR; o valuti l’adeguatezza e l’efficacia dei sistemi, dei processi, delle procedure e dei meccanismi di controllo della società; o eserciti il controllo in merito al buon funzionamento dei flussi informativi tra la società e tutti i soggetti coinvolti nell’attività di gestione del risparmio; o verifichi la corretta applicazione del principio della separatezza patrimoniale e la regolare tenuta delle scritture contabili; o valuti l’adeguatezza complessiva della prestazione del servizio di gestione collettiva; o presenti ai vari organi aziendali una relazione periodica sulle questioni relative alla revisione interna; o collabori con la funzione di risk management per la valutazione dei rischi operativi; gli amministratori indipendenti, che hanno il compito di monitorare e controllare l’andamento della società, anche se spesso il requisito di indipendenza è solo formale e non sostanziale; una funzione di compliance, alla quale sono affidati i compiti di: o controllare e valutare l’adeguatezza e l’efficacia delle procedure interne della società e delle misure adottate per rimediare ad
34
eventuali carenze nell’adempimento degli obblighi da parte della SGR; o fornire consulenza ed assistenza ai fini dell’adempimento degli obblighi posti in essere dalle disposizioni di legge e dai regolamenti applicabili alla società; o gestire le potenziali situazioni di conflitto di interesse; o presentare agli organi sociali una relazione periodica sull’attività svolta e sui risultati emersi. Il sistema misto di controllo esterno ed interno sembra dunque essere la soluzione adottata dagli organi di vigilanza per garantire e tutelare gli interessi dei sottoscrittori.
2.4.4 Gli obblighi informativi Per offrire un miglior grado di tutela nei confronti degli investitori e per rendere più trasparenti i fondi, le varie disposizioni di legge e i regolamenti Consob hanno istituito dei rigidi obblighi informativi che la società di gestione e il fondo devono rispettare, in modo che i soggetti interessati possano disporre, in via preventiva e in via consuntiva, di tutte le informazioni e notizie rilevanti. I due documenti più importanti a disposizione del risparmiatore sono il prospetto informativo e il regolamento di gestione. Il prospetto informativo è il principale documento conoscitivo che il risparmiatore consulta prima di aderire al fondo. Ogni fondo ha il proprio prospetto informativo, redatto dalla società di gestione del risparmio e sottoposto alla preventiva approvazione della Consob. A causa della sua
35
importanza, la Consob ha stabilito degli schemi che la SGR deve seguire per la redazione del prospetto, per consentire ai potenziali sottoscrittori un facile e rapido confronto tra le varie alternative proposte. Il prospetto deve essere obbligatoriamente consegnato agli investitori prima della sottoscrizione, in modo che egli possa consultarlo prima di aderire al fondo. Lo schema proposto da Consob articola il prospetto in due parti principali: la prima riporta le informazioni di carattere generale, come le caratteristiche dei singoli fondi e le modalità di sottoscrizione, rimborso e trasferimento, mentre la seconda parte contiene i risultati storici e i costi effettivamente sostenuti da ciascun fondo. Inoltre, insieme al prospetto informativo vengono consegnati altri due documenti: il modulo di sottoscrizione che contiene tutte le indicazioni che il sottoscrittore deve fornire per l’acquisto delle quote del fondo oltre alle modalità di pagamento utilizzabili per la sottoscrizione; il documento sui soggetti che partecipano all’operazione, che integra il contenuto del prospetto in quanto fornisce informazioni più approfondite per l’investitore “evoluto”. La consegna di tale documento non è obbligatorio, ma avviene solo su richiesta del sottoscrittore. La tavola 9 riporta sinteticamente i contenuti obbligatori del prospetto informativo, mentre la tavola 10 elenca il contenuto del documento sui soggetti partecipanti all’operazione.
36
Tav. 9 – Il contenuto obbligatorio del prospetto informativo. Parte I A) Informazioni generali Compiti dei soggetti che intervengono nell'operazione Caratteristiche e finalità dello strumento "fondo comune" Rischi generali connessi all'investimento in fondi B) Informazioni sull'investimento Politica di investimento adottata, in particolare la valuta di denominazione del fondo la finalità l'orizzonte temporale dell'investitore il grado di rischio gli obiettivi di investimento lo stile gestionale la destinazione dei proventi Benchmark di riferimento C) Informazioni economiche (costi, agevolazioni, regime fiscale) Costi che il sottoscrittore è chiamato a sostenere Agevolazioni finanziarie connesse alla partecipazione al fondo (eventuale) Altri prodotti abbinati al fondo Regime fiscale D) Informazioni sulle modalità di sottoscrizione e rimborso Modalità di sottoscrizione Modalità di rimborso Operazioni successive alla prima Utilizzazione dei canali alternativi E) Informazioni aggiuntive Valorizzazione delle quote Informazioni da rendere ai partecipanti Informazioni a richiesta Parte II F) Illustrazione dei dati storici di rischio e rendimento dei fondi Categoria di appartenenza Grafico riportante i rendimenti annuali ottenuti negli ultimi 10 anni Grafico riportante l'andamento della quota nell'ultimo anno
37
Rendimento medio annuo negli ultimi 3 e 5 anni Data inizio collocamento e durata del fondo Patrimonio netto del fondo e valore della quota G) Costi dei fondi Valore del total expenses ratio negli ultimi tre anni H) I recapiti della SGR cui inoltrare richieste di informazioni e chiarimenti o di invio della documentazione a disposizione
Tav. 10 – Il documento sui soggetti che partecipano all’operazione Parte I - Società di gestione del risparmio Informazioni anagrafiche (denominazione, sede, durata, capitale, azionisti ecc…) Sintesi storica sull'operatività della società e del gruppo di appartenenza Informazioni sulle persone fisiche che compongono gli organi societari Componenti consiglio di amministrazione Componenti collegio sindacale Componenti organo direttivo Elenco degli altri fondi gestiti Parte II – Il fondo Politica di investimento e variazioni subite nel tempo Benchmark e modalità di costruzione Struttura di gestione Parte III - I soggetti collocatori Elenco dei soggetti incaricati di collocare le quote Parte IV - Banca depositaria Informazioni anagrafiche della banca depositaria Parte V - Soggetti che procedono alla negoziazione Elenco dei negoziatori (eventuale) Elementi di potenziale conflitto di interessi Parte VI - Società di revisione Denominazione della società di revisione Estremi della delibera di conferimento dell'incarico Oneri a carico del fondo Parte VII - Situazioni di conflitto di interessi Limiti ulteriori, rispetto a quelli normativamente previsti, in materia di conflitto di interessi
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Il regolamento di gestione è il documento mediante il quale l’assemblea ordinaria della SGR delibera la costituzione del fondo. Questo documento, che deve essere consegnato ai potenziali sottoscrittori prima dell’adesione al fondo, deve essere approvato dalla Banca d’Italia17 e contiene le seguenti informazioni: la denominazione e la durata del fondo; lo scopo e le caratteristiche del fondo; i compiti e le responsabilità della società promotrice e del gestore; i compiti e le responsabilità della banca depositaria e le condizioni per la sua sostituzione; le caratteristiche dei certificati di partecipazione; le modalità di partecipazione al fondo, le caratteristiche dei certificati di partecipazione, i termini e le modalità di emissione ed estinzione dei certificati e della sottoscrizione e del rimborso delle quote; le modalità di trasferimento da un fondo all’altro, gestiti dalla stessa SGR; i criteri di determinazione del valore complessivo netto del fondo; le spese a carico dei sottoscrittori, del fondo e della SGR; le scritture contabili e i documenti informativi del fondo; le modalità di liquidazione del fondo. Insieme ai due documenti principali, gli obblighi informativi prevedono la redazione di altri documenti, quali: il libro giornale, in cui vengono annotate giornalmente le operazioni di emissione e di rimborso delle quote e le operazioni relative alla gestione; 17
Banca d’Italia si riserva il potere di approvare anche le eventuali modifiche al regolamento di gestione.
39
il prospetto di calcolo, che indica il valore unitario delle quote di partecipazione e il valore complessivo netto del fondo comune; la relazione semestrale, da redigersi entro 30 giorni dalla fine del semestre, che elenca nel dettaglio tutti i titoli nel quale il fondo ha investito e contiene la relazione degli amministratori sull’andamento della gestione; il rendiconto annuale, da redigersi entro 60 giorni dalla fine dell’esercizio, che rappresenta il bilancio del fondo, corredato da anali e commenti sulle operazioni effettuate nel corso dell’esercizio.
2.4.5 Il trattamento fiscale Un ulteriore vantaggio dei fondi comuni di investimento è rappresentato dal favorevole trattamento fiscale che essi ricevono. Prima dell’introduzione del D.Lgs. n. 461 del 1997, il regime fiscale in vigore imponeva un’imposta patrimoniale da applicarsi al valore del fondo, indipendentemente dai risultati conseguiti, con le seguenti aliquote: 0,05% per la parte investita in titoli obbligazionari; 0,10% per la parte investita in titoli azionari di società industriali; 0,25% per la parte investita in titoli azionari di società non industriali. L’entrata in vigore del D.Lgs. 461/1997, che ha riformato il regime tributario dei redditi da capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria, ha modificato profondamente il trattamento fiscale degli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR), tra cui i fondi comuni di investimento,
40
introducendo il regime del risparmio gestito18: in virtù del nuovo regime, l’imposta patrimoniale applicata al valore patrimoniale del fondo è stata sostituita dall’imposta sostitutiva con aliquota del 12,5% da applicarsi al risultato di gestione maturato19 nel periodo d’imposta ad opera del gestore. Il risultato di gestione viene determinato nel modo che segue: Patrimonio netto finale + Rimborsi + Proventi distribuiti -
Sottoscrizioni
-
Patrimonio netto iniziale
-
Altri proventi
= Risultato di gestione
La SGR provvede a determinare giorno per giorno il risultato maturato della gestione e accantona il rateo dell’imposta sostitutiva corrispondente all’eventuale incremento del patrimonio del fondo. Alla fine del periodo d’imposta, l’ammontare totale dell’imposta sostitutiva che la SGR aveva accantonato tra le passività del fondo costituisce un debito d’imposta da versare all’erario entro il 28 febbraio di ogni anno. Qualora il risultato della gestione del fondo fosse negativo, ossia il valore del patrimonio è sceso 18
Il regime opzionale del risparmio gestito è un regime di tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria e dei redditi di capitale che si fonda sul criterio della maturazione. Optando per tale regime, l’imposta sostitutiva non viene applicata sulle singole plusvalenze e altri redditi diversi realizzati nell’ambito della gestione, ma sul risultato di gestione maturato al termine di ciascun periodo d’imposta, ad opera di un intermediario abilitato al quale il contribuente abbia conferito l’incarico di gestire le proprie masse patrimoniali non relative all’impresa. Tale regime non può trovare applicazione per le plusvalenze realizzate tramite la cessione di partecipazioni, titoli o diritti che rappresentano una partecipazione qualificata. Infatti, per queste operazioni la legge prevede l’assolvimento delle imposte mediante la dichiarazione annuale dei redditi. 19 A differenza del regime ordinario e amministrato, l’imposta sostitutiva si applica sul risultato maturato, anche se non realizzato. Infatti il risultato maturato non si è tramutato in utili effettivi per l’investitore, in quanto i titoli sono ancora nel portafoglio del fondo. Questo potrebbe creare problemi di liquidità per il pagamento delle imposte. Qualora non vi siano le disponibilità liquide necessarie per il versamento dell’imposta, la SGR può effettuare disinvestimenti di strumenti finanziati presenti nel patrimonio gestito, salvo che il partecipante non fornisca le somme necessarie.
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rispetto a quello rilevato all’inizio del periodo d’imposta, è possibile computare tale importo in riduzione dei risultati di gestione positivi successivamente conseguiti dal fondo. In pratica il fondo acquisisce degli sconti sull’ammontare delle imposte relative ai successivi incrementi patrimoniali: tale risparmio d’imposta corrisponde al 12,5% del risultato negativo. Al fondo viene riconosciuta la natura di soggetto “lordista”, per cui i redditi di capitale derivanti dai titoli in portafoglio vengono percepiti al lordo delle ritenute o delle imposte sostitutive che trovano applicazione in via ordinaria. Pertanto non vengono applicate: la ritenuta del 27% sugli interessi e sugli altri proventi derivanti dai conti correnti se la giacenza media annua risulta non superiore al 5% dell’attivo medio gestito; la ritenuta del 12,5% sui proventi delle operazioni di prestito titoli e di pronti contro termine; la ritenuta del 12,50% sugli interessi e sugli altri proventi delle obbligazioni e dei titoli emessi all’estero con scadenza non inferiore ai 18 mesi, nonché dei titoli emessi all’estero ai sensi dell’art. 31 del DPR n. 601 del 197320, indipendentemente dalla scadenza; la ritenuta del 12,50% sui proventi da partecipazione a OICR aperti di tipo armonizzati di diritto estero; la ritenuta del 12,50% sugli utili in qualunque forma corrisposti, poiché concorrono a formare il risultato di gestione; 20
L’art. 31 DPR 601/73 recita “Sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche, dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche e dall’imposta locale sui redditi gli interessi, i premi e gli altri frutti dei titoli del debito pubblico, dei buoni postali di risparmio, delle cartelle di credito comunale e provinciale emesse dalla Cassa depositi e prestiti e delle altre obbligazioni e titoli similari emessi da amministrazioni statali, anche con ordinamento autonomo, da regioni, provincie e comuni e da enti pubblici istituiti esclusivamente per l’adempimento di funzioni statali o per l’esercizio diretto di servizi pubblici in regime di monopolio”.
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l’imposta sostitutiva sugli interessi, premi e altri frutti delle obbligazioni pubbliche e private di cui al D.Lgs. n. 239 del 199621. Il valore delle quote viene pubblicato già al netto dell’imposta sostitutiva dovuta dal fondo: sui soggetti partecipanti non gravano altre imposizioni fiscali. Tuttavia è necessario evidenziare il differente trattamento ricevuto a seconda della natura del soggetto partecipante. Infatti i proventi derivanti dalla partecipazione agli OICR non concorrono a formare il reddito complessivo dei partecipanti, a meno che non siano percepiti nell’esercizio di imprese commerciali22. Di conseguenza: se il partecipante è una persona fisica che non agisce nell’esercizio di attività d’impresa, l’imposta sostitutiva è a titolo d’imposta; se il partecipante è una persona fisica che agisce nell’esercizio di attività d’impresa, una società di persone o una società di capitali residenti in Italia, l’imposta sostitutiva è a titolo d’acconto e i proventi derivanti dall’investimento in quote di fondi comuni di investimento concorrono a formare il reddito d’impresa dell’anno fiscale in cui essi vengono percepiti. Il soggetto passivo ha comunque diritto ad un credito d’imposta pari al 15% dei proventi percepiti, al fine di neutralizzare gli effetti della tassazione a monte che il contribuente subisce a causa dell’applicazione dell’imposta sostitutiva da parte della società di gestione; se il partecipante è un soggetto non residente, in possesso dei requisiti di cui all’art. 6 del D.Lgs. 239/199623 , può conseguire i proventi dei 21
D.Lgs. 239/1996 “Modificazioni al regime fiscale degli interessi, premi e altri frutti delle obbligazioni e titoli similari, pubblici*…+”. 22 Si vedano art. 9 comma 3 D.Lgs. 77/1983, art. 1 comma 2 D.Lgs. 84/1992, art. 11 comma 4 D.Lgs. 344/1993 e art. 11 – bis comma 4 D.Lgs. 512/1983. 23 L’art. 6 del D.Lgs. 239/1996 recita “Regime fiscale per i soggetti non residenti.
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fondi comuni al lordo dell’imposta, al fine di evitare la doppia imposizione fiscale: o se conseguono dal fondo i proventi al netto dell’imposta sostitutiva dovuta dal fondo e ricevono una somma pari al 15% dei proventi erogati dal fondo che ha pagato l’imposta sostitutiva; o se sottoscrivono fondi italiani specificamente dedicati a soggetti non residenti che non sono sottoposti ad imposta sostitutiva sul risultato della gestione. I fondi di diritto estero ricevono un trattamento fiscale leggermente diverso da quanto esposto prima, valido per i fondi comuni di diritto italiano. A seconda del trattamento, i fondi esteri si dividono in tre categorie: fondi armonizzati le cui quote sono collocate in Italia. L’art. 10 – ter commi 1 e 3 D.Lgs. 77/1983 dispone che i proventi derivanti dalla partecipazione a OICR di diritto estero, situati negli Stati membri dell’Unione Europea e conformi alle direttive comunitarie e le cui quote sono collocate nel territorio italiano, siano assoggettati ad una ritenuta del 12,50%. Per proventi si intendono i proventi distribuiti in quanto partecipanti all’OICR e quelli derivanti dalla differenza tra il valore di riscatto delle quote e il valore medio ponderato di sottoscrizione. La ritenuta è a titolo d’acconto se il percipiente è un 1) Non sono soggetti ad imposizione gli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari di cui all’art. 1 percepiti da soggetti residenti in Stati con i quali siano in vigore convenzioni per evitare la doppia imposizione sul reddito stipulate dalla Repubblica Italiana, sempreché tali convenzioni consentano all’amministrazione finanziaria di acquisire le informazioni necessarie ed accertare la sussistenza dei requisiti da parte degli aventi diritto. Ai fini della sussistenza del requisito della residenza si applicano le norme previste dalle singole convenzioni. 2) L’imposta sostitutiva di cui all’art. 2 si applica comunque, secondo le modalità di cui all’art 3 nei confronti di: soggetti non residenti diversi da quelli di cui al comma 1 soggetti residenti negli Stati o territori di cui all’art. 76 comma 7 – bis TUIR
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soggetto esercitante attività d’impresa commerciale o una società commerciale, mentre a titolo d’imposta in qualunque altro caso; fondi armonizzati le cui quote non sono collocate in Italia. L’art. 10 – ter comma 4 D.Lgs. 77/1983 prevede che il soggetto che acquisti all’estero delle quote di fondi armonizzati deve indicarne i proventi nella dichiarazione dei redditi e assoggettarli al pagamento dell’imposta sostitutiva con aliquota del 12,50%. La peculiarità di questo caso è il fatto che la tassazione avviene all’atto dell’effettiva realizzazione, seguendo il principio di cassa; fondi non armonizzati. Per tali fondi l’art. 10 – ter commi 5 e 6 D.Lgs. 77/1983 dispone che l’intermediario versi un’imposta a titolo d’acconto e non sostitutiva con aliquota del 12,50%. Successivamente, il sottoscrittore deve indicare l’importo dei proventi ottenuti e l’acconto pagato in sede di dichiarazione dei redditi. Cosi come per i fondi armonizzati, anche per quelli non armonizzati la tassazione avviene secondo il principio di cassa, ossia al momento dell’effettiva realizzazione dei proventi.
2.5 I costi di un fondo comune L’investimento in un fondo comune richiede il sostenimento di costi e commissioni. È molto importante valutare l’impatto di questi voci onerose in quanto essi incidono sia sull’ammontare del capitale investito sia sulle performance realizzate. Le commissioni possono essere distinte in: commissioni pagate dall’investitore; commissioni pagate dal fondo. 45
Le commissioni che l’investitore è chiamato a pagare sono le cosiddette commissioni di sottoscrizione, di rimborso e di switch. Le commissioni di sottoscrizione sono quelle che l’investitore deve pagare per poter acquistare delle quote del fondo comune di investimento. Poiché vengono sostenute una sola volta, ossia al momento dell’entrata in un fondo comune, i costi di sottoscrizione possono essere ammortizzati nel corso dell’investimento: ad esempio una commissione di sottoscrizione pari al 3% del capitale investito potrebbe sembrare a prima vista molto alta, ma se si considera un orizzonte di investimento di 5 anni essa si riduce ad un 0,60% annuo. Le commissioni di sottoscrizione possono essere applicate anche secondo una percentuale non fissa, solitamente decrescente all’aumentare del capitale investito. Le commissioni di rimborso invece sono le commissioni che si devono sostenere per poter chiedere il riscatto delle proprie quote. Le commissioni vengono applicate soprattutto nei casi di richiesta di rimborsi anticipati o poco dopo la sottoscrizione, per cercare di disincentivare il disinvestimento dei capitali da parte dei sottoscrittori prima di una certa scadenza. Infine le commissioni di switch sono quelle che l’investitore deve affrontare per poter tramutare le proprie quote in quote di un altro fondo, gestito dalla stessa SGR. A seconda delle commissioni applicate, si distinguono diversi fondi: fondi no load, ossia fondi in cui non vengono applicate le commissioni per le sottoscrizioni in un’unica soluzione. Tuttavia tale vantaggio viene compensato dal fatto che sono previste alte commissioni di rimborso per gli investitori che intendono disinvestire prima di
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una certa scadenza (solitamente 3 anni) e commissioni di gestione più elevate rispetto agli altri fondi; fondi con commissioni per la sottoscrizione in un’unica soluzione, che prevedono il pagamento di una commissione al momento dell’adesione al fondo, ma nessuna commissione di uscita e costi di gestione più ridotti; fondi che permettono di accumulare il capitale investito attraverso un piano di accumulo, ossia per mezzo di versamenti successivi al primo. In questo caso viene applicata una commissione del 20% - 25% sul primo versamento e percentuali decrescenti per i successivi conferimenti. Le commissioni che il fondo paga alla società di gestione invece si distinguono in due tipologie: le commissioni di gestione, che costituiscono una forma di remunerazione che il fondo corrisponde alla SGR per la sua attività di gestione. Tali commissioni vengono applicate indipendentemente dall’andamento della gestione e sono misurate in percentuale di patrimonio del fondo. Tale percentuale solitamente è commisurata con il grado di attivismo che il gestore dichiara di assumere nella gestione del fondo: maggiore è il grado di attivismo, più elevate saranno le commissioni di gestione; le
commissioni di performance, che costituiscono una forma di
incentivo che il fondo corrisponde alla SGR in caso di andamento positivo della gestione o di raggiungimento di determinati obiettivi di performance. Le commissioni di performance rappresentano una remunerazione aggiuntiva a favore della SGR e possono ritenersi
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giustificate per i gestori che si definiscono attivi che riescono ad apportare extra rendimenti rispetto all’indice di riferimento. Tuttavia le modalità di applicazione prestano il fianco a delle critiche, come ad esempio: o la commissione di performance può rappresentare una duplicazione degli oneri a carico degli investitori. Infatti questi devono già sostenere le commissioni di gestione, che aumentano con il crescere del rendimento del fondo in quanto commisurate al patrimonio del fondo stesso. Da questo punto di vista, le commissioni di performance rappresenterebbero un onere aggiuntivo ingiustificato; o il parametro che “attiva” il pagamento delle commissioni di performance non necessariamente coincide con il benchmark e può risultare poco significativo in relazione alla tipologia del fondo oppure troppo facile da battere; o le modalità di determinazione delle commissioni di performance e la scelta del periodo di riferimento non sono uniformi e vengono affidate al gestore. Ciò rende questa voce di costo assai imprevedibile e poco trasparente. Per avere un’immediata percezione del livello dei costi da sostenere si ricorre all’indice di spesa medio (o total expenses ratio – TER), che valuta i costi sostenuti dal fondo, escluse le commissioni di sottoscrizione e di rimborso che sono a carico del sottoscrittore. Il TER rapporta quindi il totale degli oneri a carico del fondo con il patrimonio medio del fondo stesso. Il dato viene espresso in percentuale per consentire all’investitore un’agevole
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valutazione della quota del proprio capitale investito che viene assorbita dai costi. Il TER è un indicatore che deve essere comunicato nella seconda parte del prospetto informativo dei fondi comuni e può essere usato per confrontare più fondi dal punto di vista dei costi che essi comportano. La tavola 11 riporta i TER rilevati per alcuni fondi azionari Italia al 31 dicembre 2008.
Tav. 11 – I TER di alcuni fondi Italia.
Fondo
TER
Arca Azioni Italia
1,91%
Bim Azionario Italia
1,63%
Bipiemme Italia
2,01%
Bnl Azioni Italia
2,02%
BPVi Azionario Italia
2,66%
Ducato Geo Italia
2,48%
Euromobiliare Azioni Italiane
2,22%
Fondersel Italia
1,61%
Imi Italy
1,98%
Optima Azionario Italia
1,66%
Pioneer Azionario Crescita
1,95%
Symphonia Azionario Italia
1,81%
Ubi Pramerica Azioni Italia
2,00%
Vegagest Azionario Italia
2,07%
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50
Capitolo 3
Il processo di asset allocation
3.1 Definizione L’asset allocation è il processo di analisi di investimento tramite cui l’investitore giunge alla composizione di un portafoglio desiderabile per effetto dell’individuazione del mix ottimale di titoli e attività rischiose sulla base di due elementi essenziali: l’holding period, che individua l’orizzonte temporale dell’investimenti; il profilo rischio – rendimento, che individua la propensione al rischio dell’investitore. L’obiettivo dell’asset allocation è quindi costruire un portafoglio sulla base delle caratteristiche e delle preferenze dell’investitore, che sia in grado di offrire la migliore combinazione rischio – rendimento nell’holding period desiderato dall’investitore. La fase di costruzione del portafoglio durante il processo di asset allocation richiede: l’identificazione delle esigenze e delle preferenze degli investitori; la stima dell’andamento futuro dei mercati finanziari e di determinate asset class; l’ottimizzazione del portafoglio sulla base dei due punti sopra citati. 51
3.2 L’identificazione delle caratteristiche e delle preferenze degli investitori La prima fase del processo di asset allocation prevede l’identificazione delle preferenze
e
delle
caratteristiche
dell’investitore,
prendendo
in
considerazione una pluralità di informazioni ad egli relative. La categoria degli investitori è molto eterogenea al proprio interno: i soggetti si differenziano tra di loro e hanno proprie caratteristiche, esigenze, bisogni e preferenze ed è molto importante esplicitarle al fine di poter effettuare una corretta allocazione delle risorse. Ad esempio, un investitore con una elevata avversione al rischio
non dovrebbe investire in attività
eccessivamente rischiose, quali le azioni o i derivati. Se questa caratteristica non venisse rilevata nella fase preliminare di asset allocation, l’investitore si esporrebbe al rischio di un portafoglio la cui composizione non rispecchia il grado di rischio che egli intende sostenere. Le informazioni principali da raccogliere riguardano: l’età, la professione e il nucleo familiare dell’investitore; il reddito attuale dell’investitore e la sua possibile evoluzione nel futuro; l’orizzonte temporale di riferimento, ossia l’holding period. Gli investitori possono avere un orizzonte temporale di breve periodo oppure di medio – lungo termine e questo influenza la scelta dei titoli da includere in portafoglio. È naturale infatti che se un investitore esprime un obiettivo di breve termine, il suo portafoglio deve contenere titoli facilmente liquidabili alla scadenza e duration ridotte; 52
l’obiettivo dell’investimento, come ad esempio o conseguire una rendita stabile nel tempo; o preservare il capitale e difendere il valore monetario dell’investimento; o la crescita del capitale a lungo termine, ossia conseguire un rendimento superiore a quello di un indice di riferimento, accettando però possibili risultati negativi di breve periodo; o la minimizzazione del rischio nel breve termine; o la massima remunerazione possibile attraverso una politica attiva ed aggressiva finalizzata a massimizzare il rendimento; le preferenze in termini di rischio e di rendimento. Ciascun individuo ha una personale propensione al rischio, che deriva dalle proprie caratteristiche emotive, psichiche e psicologiche, nonché dalle esperienze passate. Ogni strumento finanziario è caratterizzato da un certo grado di rischiosità e da un livello di rendimento atteso che possono più o meno adeguarsi alle caratteristiche dell’investitore. Il portafoglio di un investitore avverso al rischio dovrà essere composto da strumenti e attività finanziarie caratterizzate un basso livello di rischio (e di conseguenza un ridotto rendimento), mentre gli investitori più propensi al rischio opteranno per titoli e attività più rischiose e quindi più remunerative.
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3.3 La stima dell’andamento futuro del mercato e delle asset class La fase successiva all’identificazione delle caratteristiche soggettive dell’investitore consiste nello stimare il possibile andamento futuro del mercato e delle asset class in cui si intende investire. L’asset manager deve quindi effettuare analisi di tipo macroeconomico, riguardante il mercato in generale, e di tipo fondamentale, relative alle emittenti degli strumenti finanziari considerati interessanti. L’analisi macroeconomica è finalizzato a conoscere il probabile scenario economico e finanziario che si verificherà nel prossimo futuro, attraverso lo studio della situazione attuale dell’economia attuale e della sua probabile evoluzione futura. L’analisi prende in considerazione numerose variabili economiche, tra le quali:  il prodotto interno lordo, ossia l’indicatore che misura la ricchezza prodotta all’interno di un sistema economico. Il PIL è ricavato come la somma dei consumi, degli investimenti, della spesa pubblica e del saldo della bilancia commerciale1 ;  il tasso di occupazione e di disoccupazione;  la produzione industriale;  le vendite al dettaglio;  la fiducia dei consumatori;  la bilancia commerciale;  le politiche fiscali e monetarie;  il tasso di inflazione.
1
L’equazione di base del PIL è dato da đ?‘Œ = đ??ś + đ??ź + đ??ş + đ??¸đ?‘‹đ?‘ƒ − đ??źđ?‘€đ?‘ƒ.
54
Successivamente, l’asset manager deve effettuare un’analisi fondamentale dei titoli candidati ad entrare nel portafoglio, al fine di giungere ad una valutazione del valore intrinseco delle società e degli emittenti dei titoli e ad una previsione riguardo il possibile andamento futuro del prezzo. La fase di stima è cruciale in quanto la valutazione del rischio e del rendimento atteso dei titoli è complementare alla fase di identificazione delle preferenze degli investitori e conduce alla costruzione di un portafoglio che rispecchi le caratteristiche di questi ultimi. Inoltre stimare l’andamento futuro del mercato significa analizzare come i potenziali scenari futuri possono influenzare le caratteristiche di rischio e di rendimento degli strumenti finanziari. Se l’asset manager conduce una corretta analisi fondamentale dei titoli, riesce a costruire un portafoglio il cui rendimento effettivo sarà pari al rendimento atteso e il grado di rischio coerente con il profilo dell’investitore. Al contrario, se l’analisi dei titoli si rivelasse errata, si incorre nel rischio che il portafoglio consegua un rendimento non soddisfacente per le esigenze dell’investitore.
3.4 L’ottimizzazione del portafoglio La costruzione del portafoglio deve essere preceduta dalle fasi di individuazione delle preferenze dell’investitore e di stima della possibile evoluzione del mercato e delle asset class. Solo quando si hanno a disposizione
queste
informazioni,
l’asset
manager
può
procedere
all’ottimizzazione del portafoglio, ossia alla fase di asset allocation vera e propria.
55
Questa fase è solitamente distinta in tre momenti differenti: l’asset allocation strategica; l’asset allocation tattica; l’asset allocation dinamica. Ciascuno di questi tre momenti individua uno specifico aspetto del processo di asset allocation.
3.4.1 L’asset allocation strategica L’asset allocation strategica, definita anche come policy asset allocation, è l’attività di selezione e costruzione del portafoglio in un’ottica di medio – lungo periodo, indipendentemente dalla congiuntura economica corrente e dal timing delle operazioni. Una volta fissati gli obiettivi in termini di rendimento atteso e massimo grado di rischio sostenibile, l’asset allocation strategica procede ad individuare il giusto mix di asset class che dovrà essere mantenuto in portafoglio al fine di poter conseguire gli obiettivi prefissati, assegnando un peso a ciascuna asset class. Infatti, secondo le analisi e le stime su cui si poggia l’asset allocation strategica, il mix di attività scelte è quello che ha la probabilità più elevata di dare la giusta remunerazione per un determinato livello di rischio accettato. Il mix desiderabile è fortemente correlato con le caratteristiche e le preferenze degli investitori. Infatti è essenziale precisare che non esiste un portafoglio ideale in assoluto: ciascun investitore troverà desiderabile un determinato portafoglio, la cui composizione risulterà a lui ottimale in quanto rispondente alle proprie esigenze e caratteristiche. L’asset allocation strategica si basa su quattro fattori: 56
la scelta delle asset class da considerare. Alcuni investitori istituzionali, come ad esempio le SGR dei fondi comuni di investimento, sono tenute al rispetto di alcuni vincoli statutari che limitano le asset class in cui essi possono investire; il peso da assegnare a ciascuna asset class, ossia la quota di risorse da ripartire in ciascuna classe di attività; la flessibilità e il grado di libertà assegnati nella fase di ribilanciamento, che dipende dal range entro cui l’allocazione può essere variata nel tempo; la selezione dei titoli per ogni singola asset class. Agendo su queste leve, l’asset manager cerca di arrivare: alla riduzione del rischio del portafoglio per effetto di un’efficace diversificazione nella composizione dello stesso; ad un portafoglio che includa gli asset che presentano le migliori potenzialità di rendimento, tenuto conto del rischio relativo ad essi; alla riduzione dell’effetto derivante dalla composizione emozionale sulle scelte di investimento. Il contributo dell’asset allocation strategica alla performance del portafoglio cresce con l’aumentare dell’orizzonte temporale di investimento. Sebbene un investitore che persegue obiettivi di breve periodo possa trovare maggiormente remunerativa l’attività di stock picking e di market timing, l’ottica di medio – lungo periodo riduce la sensibilità del portafoglio alle variazioni di mercato di breve termine, con la conseguente possibilità di ottenere dei rendimenti superiori a quelli conseguibili con politiche di investimento di breve periodo. Numerose prove empiriche hanno inoltre dimostrato che l’asset allocation strategica contribuisce per un buon 90% 57
alla performance effettivamente conseguita dal portafoglio di investimento; in particolare alcuni studi relativi al mercato azionario americano hanno evidenziato che su un orizzonte temporale di 10 anni il contributo dell’asset allocation strategica è stato pari al 91,5%, mentre le attività di stock picking e market timing hanno concorso rispettivamente per il 4,6% e 1,8%. Ciò rafforza l’importanza che riveste la struttura iniziale del portafoglio. Riguardo alla misurazione della performance, l’asset manager fissa un indice di riferimento (benchmark), rappresentato da un portafoglio il cui asset mix è molto simile a quello del portafoglio gestito, in modo da poter effettuare dei confronti tra i rendimenti conseguiti. Il tema del benchmark verrà approfondito successivamente. La figura 1 riporta alcuni esempi di asset allocation di portafoglio a seconda della strategia desiderata.
Fig. 1 – Portafogli tipo.
40% 60%
liquidità obblig. a breve termine
58
Strategia a breve termine
20%
azioni
Strategia difensiva
liquidità 55%
25%
45%
40%
obbligazioni
azioni
Strategia equilibrata
liquidità obbligazioni 15%
30%
azioni
Strategia moderatamente aggressiva
liquidità 60%
10%
obbligazioni
5%
Strategia aggressiva
azioni liquidità 95%
59
3.4.2 L’asset allocation tattica Una volta pianificata la strategia di investimento ed effettuate le scelte di composizione del portafoglio, possono rivelarsi necessarie alcune modifiche e revisioni che tengano conto della corrente congiuntura economica, al fine di mantenere il profilo di rischio – rendimento coerente con gli obiettivi prefissati. L’asset allocation tattica può essere identificata come l’allocazione basata su un orizzonte temporale di breve termine e su una visione del mercato differente da quella strategica, in cui l’asset manager può deviare dalla composizione strategica del portafoglio. L’ampiezza di queste deviazioni dalla linea strategica devono essere fissate in fase di asset allocation strategica. La scelta di modificare la composizione del portafoglio d’investimento fissata a livello strategico dipende dalla presenza di valutazioni che assegnano alle varie asset class e singole attività finanziarie incluse nel portafoglio dei premi per il rischio diversi da quelli scontati correntemente sul mercato. L’asset allocation tattica è finalizzata a cogliere e sfruttare questi scostamenti e i movimenti di breve e medio periodo che si verificano nei mercato finanziari, in modo da conseguire una sovraperformance rispetto ad una strategia buy and hold (compra e tieni). L’asset allocation tattica si esplica in tre tipologie di attività: stock selection, market timing e sector selection. La stock selection è la fase di selezione dei titoli e delle attività idonee ad essere inserite in portafoglio. Le caratteristiche delle attività selezionate devono risultare compatibili con le esigenze dell’investitore, soprattutto in
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termini di liquidità, rischio, rendimento e scadenza. La stock selection conduce ad una composizione del portafoglio in cui i pesi delle singole asset class variano da quelli assunti nel portafoglio di benchmark. Infatti il gestore provvederà a sovrapesare i titoli considerati sottovalutati dal mercato e a sottopesare i titoli considerati sopravvalutati. Nel modello CAPM i titoli sottovalutati si collocano sopra la security market line, mentre i titoli sopravvalutati si situano sotto tale retta. Il mercato quindi non è in equilibrio e il rendimento offerto da tali titoli non rispecchia il rendimento che si avrebbe in una situazione di equilibrio. Acquistando titoli sottovalutati, il gestore includerà nel portafoglio dei titoli che, a parità di rischio sopportato, offrono un rendimento superiore rispetto a quello medio di mercato. Vendendo i titoli sottovalutati, il gestore si libera dei titoli che, a parità di rischio sopportato, offrono un rendimento inferiore a quello medio di mercato. Il market timing invece si riferisce alla capacità del gestore di anticipare i movimenti (sia rialzisti sia ribassisti) del mercato. Infatti non è sufficiente selezionare gli asset in cui investire, ma è fondamentale sapere quando effettuarli, ossia quando acquistare e vendere determinati asset. Ciò evidenzia l’importanza di anticipare i movimenti del mercato, ossia stimare l’andamento del mercato e tradurli in operazioni di ribilanciamento, in modo da considerare le nuove aspettative. I gestori implementano tale strategia variando, secondo le previsioni sull’andamento del mercato, la posizione nelle diverse asset class per amplificare un rialzo del mercato o per attenuarne un ribasso. Ad esempio il gestore potrebbe aumentare la propria esposizione verso titoli azionari con un beta superiore in modo da sfruttare una previsione al rialzo dei mercati. Solitamente, quando l’asset manager si
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concentra sul market timing, si ha una concentrazione degli investimenti verso un limitato numero di titoli, di cui si ha a disposizione delle stime e delle analisi approfondite. L’obiettivo è quello di sovraperformare rispetto al benchmark di riferimento, ma si rischia di ridurre eccessivamente il grado di diversificazione del portafoglio e di esporsi troppo alla volatilità di mercato. La sector selection è molto simile alla stock selection eccetto per il fatto che la selezione non riguarda un titolo ma un settore specifico. I gestori che praticano questo tipo di strategia, sulla base delle previsioni effettuate sull’andamento dell’economia in generale e sul settore in particolare, sottopesano o sovrapesano i titoli rappresentativi dei diversi settori presenti in portafoglio. Alcuni gestori inoltre non ruotano i settori (sector rotation) ma selezionano sempre i titoli di società facenti parte di uno stesso settore, in quanto ritengono che un particolare settore sia sempre sottovalutato e che la specializzazione in un determinato settore permetta di acquisire una maggiore
competenza
nell’individuazione
dei
titoli
sottovalutati
e
sopravvalutati nell’ambito del settore stesso.
3.4.3 L’asset allocation dinamica L’asset allocation dinamica è la fase dell’asset allocation orientata all’operatività di brevissimo periodo, finalizzata a cogliere le variazioni nei prezzi delle attività finanziarie che si possono verificare sui mercati finanziari. L’asset allocation dinamica deve fronteggiare le brusche variazioni del mercato e ribilanciare il portafoglio in modo da sfruttare al meglio le opportunità che derivano da queste variazioni, rispettando però le linee guida stabilite dall’asset allocation strategica. In questa fase il market timing
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assume un’importanza ancora maggiore rispetto a quella assunta nell’asset allocation tattica, in quanto l’asset manager deve essere in grado di investire e disinvestire al momento giusto. L’asset allocation dinamica è complementare all’asset allocation tattica è ha la finalità di garantire nel tempo il mantenimento dell’asset mix prefissato a livello strategico.
3.4.4 Alcuni esempi di operatività Una volta pianificata l’asset allocation strategica, il gestore può intervenire nel breve e nel brevissimo periodo per effettuare dei ribilanciamenti dei pesi assunti dalle varie asset class, sulla base dell’andamento del mercato. I prezzi delle attività finanziarie non sono infatti stabili nel tempo, per cui le scelte di investimento effettuate precedentemente possono modificarsi nel tempo, perché i prezzi si sono mossi in modo diverso. Ipotizziamo un portafoglio del valore di 1000 euro composto da azioni per il 50% e da obbligazioni per l’altro 50%. Supponiamo che durante l’anno le azioni abbiano reso il 18%, mentre le obbligazioni abbiano conseguito un rendimento del 6%. Alla fine del periodo, il portafoglio non sarà più suddiviso equamente in azioni e obbligazioni, in quanto l’incremento del valore delle azioni è stata maggiore di quello dei titoli obbligazionari. La tavola 1 riporta la situazione del portafoglio a inizio e a fine anno.
63
Tav. 1 – Valore del portafoglio e quote percentuali.
inizio
quota iniziale
incremento
finale
quota finale
azioni
500
50,00%
90
590
52,68%
obbligazioni
500
50,00%
30
530
47,32%
totale
1000
1120
Alla fine del periodo, il peso assunto dalla quota azionaria è salita a 52,68%, mentre il peso della quota obbligazionaria è scesa a 47,32%. A questo punto l’asset manager ha due possibilità: non fare nulla e quindi adottare la strategia del buy and hold; ribilanciare i pesi, riportando le quote percentuali ai valori iniziali e adottando la strategia del constant mix. Per riportare la quota investita delle azioni e delle obbligazioni, l’asset manager dovrebbe vendere azioni per un valore di 30 e utilizzare il ricavato per comprare obbligazioni. La tavola 2 mostra le conseguenze derivanti dall’adozione delle due strategie.
Tav. 2 – Valore del portafoglio e quote percentuali.
Buy and hold valore
quota
Constant mix valore
quota
azioni
590
52,68%
560
50,00%
obbligazioni
530
47,32%
560
50,00%
1120
100,00%
1120
100,00%
totale
La scelta di una strategia rispetto all’altra genera delle implicazioni sul valore del patrimonio del periodo successivo.
64
Se il mercato azionario continuasse a salire, la scelta di aver venduto una parte delle azioni si dimostrerebbe un errore, mentre si rivelerebbe una buona decisione in caso di un’inversione di tendenza. Di conseguenza, se il mercato ha una tendenza ben definita al rialzo, è preferibile adottare una strategia buy and hold, cioè non effettuare nessun ribilanciamento. Nel lungo termine la suddivisione percentuale del portafoglio tra le due asset class sarà variata rispetto all’inizio: l’asset class che ha fatto meglio in termini relativi si vedrà aumentare il proprio peso percentuale all’interno del portafoglio, mentre quella che ha reso meno si vedrà ridurre il proprio peso percentuale. Se invece il mercato ha un andamento volatile ed imprevedibile, intervallando periodi al rialzo e periodi al ribasso, è possibile ottenere rendimenti migliori con una strategia constant mix, ribilanciando periodicamente i pesi. Le tavole che seguono riportano il valore del portafoglio in un arco temporale di investimento di 5 anni e permettono di confrontare il rendimento conseguito dalle due strategie a seconda dell’andamento di mercato.
Tav. 3 – Valore del portafoglio in caso di trend rialzista (strategia buy and hold e strategia constant mix).
periodo
azioni
obblig.
totale
quota az.
quota obb.
0
500,00
500,00
1000,00
50,00%
50,00%
1
590,00
530,00
1120,00
52,68%
47,32%
2
696,20
561,80
1258,00
55,34%
44,66%
3
821,52
595,51
1417,02
57,97%
42,03%
4
969,39
631,24
1600,63
60,56%
39,44%
5
1143,88
669,11
1812,99
63,09%
36,91%
65
periodo
azioni
obblig.
totale
quota az.
quota obb.
ribilanciamento azioni
obblig.
0
500,00
500,00
1000,00
50,00%
50,00%
1
590,00
530,00
1120,00
52,68%
47,32%
560,00
560,00
2
660,80
593,60
1254,40
52,68%
47,32%
627,20
627,20
3
740,10
664,83
1404,93
52,68%
47,32%
702,46
702,46
4
828,91
744,61
1573,52
52,68%
47,32%
786,76
786,76
5
928,38
833,97
1762,34
52,68%
47,32%
881,17
881,17
Si è ipotizzato un andamento rialzista del mercato, tale che il rendimento delle azioni è del 18% annuo e quello delle obbligazioni pari al 6% annuo.
Tav. 4 – Valore del portafoglio in caso di trend ribassista (strategia buy and hold e strategia constant mix).
periodo
periodo
azioni
obblig.
totale
quota az.
quota obb.
0
500,00
500,00
1000,00
50,00%
50,00%
1
460,00
530,00
990,00
46,46%
53,54%
2
423,20
561,80
985,00
42,96%
57,04%
3
389,34
595,51
984,85
39,53%
60,47%
4
358,20
631,24
989,43
36,20%
63,80%
5
329,54
669,11
998,65
33,00%
67,00%
azioni
obblig.
totale
quota az.
quota obb.
ribilanciamento azioni
obblig.
0
500,00
500,00
1000,00
50,00%
50,00%
1
460,00
530,00
990,00
46,46%
53,54%
495,00
495,00
2
455,40
524,70
980,10
46,46%
53,54%
490,05
490,05
3
450,85
519,45
970,30
46,46%
53,54%
485,15
485,15
4
446,34
514,26
960,60
46,46%
53,54%
480,30
480,30
5
441,87
509,12
950,99
46,46%
53,54%
475,50
475,50
Si è ipotizzato un andamento ribassista del mercato, in cui il rendimento delle azioni è stato negativo e pari al -8% annuo, mentre le obbligazioni hanno reso il 6% annuo.
66
Tav. 5 – Valore del portafoglio in caso di andamento altalenante del mercato (strategia buy and hold e strategia constant mix).
periodo
periodo
azioni
obblig.
totale
quota az.
quota obb.
0
500,00
500,00
1000,00
50,00%
50,00%
1
590,00
530,00
1120,00
52,68%
47,32%
2
542,80
561,80
1104,60
49,14%
50,86%
3
640,50
595,51
1236,01
51,82%
48,18%
4
589,26
631,24
1220,50
48,28%
51,72%
5
695,33
669,11
1364,44
50,96%
49,04%
quota az.
quota obb.
azioni
obblig.
totale
ribilanciamento azioni
obblig.
0
500,00
500,00
1000,00
50,00%
50,00%
1
590,00
530,00
1120,00
52,68%
47,32%
560,00
560,00
2
515,20
593,60
1108,80
46,46%
53,54%
554,40
554,40
3
654,19
587,66
1241,86
52,68%
47,32%
620,93
620,93
4
571,25
658,18
1229,44
46,46%
53,54%
614,72
614,72
5
725,37
651,60
1376,97
52,68%
47,32%
688,48
688,48
Si è ipotizzato un andamento altalenante del mercato. Nelle fasi rialziste le azioni hanno guadagnato il 18% annuo, mentre nelle fasi ribassiste hanno perso l’8% annuo. Le obbligazioni invece hanno sempre reso il 6%.
Le tavole 3 e 4 dimostrano che in caso di un netto trend del mercato (rialzista o ribassista), una strategia buy and hold permette di conseguire un rendimento più elevato o di limitare le perdite. Infatti, nel caso di andamento rialzista l’incremento del valore di un portafoglio buy and hold è stato di 812,99 contro i 762,34 del portafoglio constant mix, mentre nel caso di trend ribassista, il decremento del portafoglio buy and hold è stato di 1,35 contro i 49,01 del portafoglio constant mix. La tavola 5 invece mostra che in caso di andamento di mercato altalenante, dove le fasi al rialzo sono seguite da quelle al ribasso, una strategia constant
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mix è più remunerativa di una strategia buy and hold: l’incremento di valore nel primo caso è stato di 376,97 contro il 364,44 del secondo caso.
3.5 Le asset class Con il termine asset class si definiscono le diverse classi di attività finanziarie scelte per essere utilizzate nel processo di asset allocation di un portafoglio. Ciascuna asset class si caratterizza per un determinato grado di rendimento atteso, di rischio e di duration. I rendimenti attesi delle singole asset class possono essere stimati utilizzando i diversi modelli del CAPM, dell’APT, del market model, del building block approach, ecc… Il punto in comune di questi modelli è la base di partenza, il tasso di rendimento risk free che caratterizza i titoli considerati privi di rischio, cui si aggiungeranno i premi di rendimento che ciascuna asset class può apportare al portafoglio 2 . Tali premi saranno tanto maggiori quanto maggiori sono i rischi che l’investitore deve assumere. Genericamente, le asset class sono distinte in quattro classi, a loro volta suddivise in ulteriori sottoclassi: la liquidità, che include tutti gli strumenti liquidi del mercato monetario e strumenti equivalenti come i titoli obbligazionari con una scadenza inferiore ai 6 mesi o 1 anno; le azioni, che comprendono gli strumenti finanziari rappresentanti il capitale di rischio (equity) delle società. L’investimento azionario viene successivamente classificato a seconda dell’area geografica di
2
Ad esempio, nel CAPM il premio al rischio dipende dal beta dei titoli.
68
appartenenza o del settore economico in cui opera la società oggetto di investimento; le obbligazioni, che comprendono gli strumenti finanziari che corrispondono all’investitore interessi periodici di importo fisso o variabile. Le obbligazioni si suddividono, a loro volta, a seconda o dell’emittente (governative o corporate); o della scadenza (breve termine, medio termine o lungo termine); o del rating (investment grade e high yield); o della valuta (euro, dollaro, yen o altra valuta); la classe residua, che include gli strumenti non classificabili nelle altre categorie, quali ad esempio le azioni privilegiate, le obbligazioni convertibili e gli strumenti derivati. La classificazione delle asset class proposta sopra non è l’unica, in quanto ciascun asset manager può catalogare gli strumenti finanziari oggetto dell’investimento in più sottoclassi, in modo da rendere la classificazione maggiormente analitica. Per esempio, W. Sharpe ha proposto in un suo articolo3 una classificazione che prevede dodici diverse asset class in cui un generico gestore di fondi potrebbe investire. Queste dodici asset class sono: contanti e titoli equivalenti come i titoli governativi a breve termine (3 mesi); obbligazioni governative a medio termine, con scadenza inferiore ai 10 anni; obbligazioni governative a lungo termine, con scadenza superiore ai 10 anni;
3
William F. Sharpe, “Asset allocation: management style and performance measurement”, Journal of Portfolio Management 1992.
69
obbligazioni corporate con rating investment grade, pari almeno a Baa (Moody’s) o BBB (Standard&Poor’s); titoli cartolarizzati sui mutui; azioni value a larga capitalizzazione (large cap), inseriti nell’indice azionario S&P500 con un elevato book to price ratio; azioni growth a larga capitalizzazione (large cap), inseriti nell’indice azionario S&P500 con un ridotto book to price ratio; azioni a media capitalizzazione (mid cap), rappresentanti l’80% delle azioni nella parte alta della classifica di capitalizzazione del mercato azionario USA, escludendo le azioni inserite nel S&P500; azioni a ridotta capitalizzazione (small cap), rappresentanti il 20% delle azioni nella parte bassa della classifica di capitalizzazione del mercato azionario USA, escludendo le azioni inserite nel S&P500; obbligazioni di emittenti non USA e Canada; azioni europee, le quali includono, oltre alle azioni di società europee, anche le società dell’area del Pacifico, escludendo le società giapponesi; azioni giapponesi, relative a società nipponiche.
70
3.6 Lo stile di gestione Dopo aver definito la strategia di investimento di lungo periodo e aver selezionato i titoli in cui allocare le risorse, l’asset manager deve individuare la modalità di gestione del portafoglio che gli permette di conseguire gli obiettivi di rendimento precedentemente prefissati. La scelta dello stile gestionale è solitamente limitata tra un approccio passivo e un approccio attivo. In linea di massima, un approccio attivo è identificabile in una strategia di portafoglio attraverso il quale l’asset manager mira al conseguimento di un rendimento superiore a quello di un benchmark predeterminato. Il gestore procede alla valutazione dei titoli e si affida alle proprie capacità per ottenere risultati migliori della media. Il grado di libertà attribuito al gestore è molto elevato, in quanto egli potrà cambiare i pesi assunti dalle varie asset class a seconda delle condizioni contingenti di mercato. L’approccio passivo invece è una strategia di portafoglio che mira a replicare il rendimento di un portafoglio benchmark. Solitamente, il gestore passivo effettua le scelte di asset allocation strategica di lungo termine sulla base della composizione del portafoglio benchmark e raramente interviene con delle operazioni di ribilanciamento. Sebbene venisse utilizzato in passato per distinguere la gestione attiva dalla gestione passiva, l’analisi dei rendimenti differenziali del fondo rispetto al benchmark come criterio di definizione dello stile di gestione presenta dei limiti. Infatti lo sviluppo e la diffusione di nuovi strumenti finanziari, quali i derivati, e di tecniche di gestione hanno contribuito a rendere la linea di demarcazione sempre più sfumata. Correntemente si tende a distinguere
71
una gestione passiva da una gestione attiva attraverso due criteri di classificazione: un criterio estensivo, che definisce come passiva qualunque gestione consistente nella semplice indicizzazione del portafoglio ad un benchmark di riferimento attraverso una completa replica del portafoglio dell’indice o una sua campionatura. Le gestioni residue, che non rispettano questo criterio, sono considerate attive; un criterio restrittivo, che definisce come passivi i gestori che costruiscono e ribilanciano il proprio portafoglio sulla base di automatismi o regole di mercato. Sarebbero quindi considerati passivi ad esempio i gestori che selezionano i titoli sulla base dei multipli di mercato o ribilanciano i propri portafogli tramite una strategia constant mix, mentre i gestori che fondano le proprie scelte esclusivamente in funzione delle proprie previsioni ed aspettative riguardo l’andamento dei prezzi e delle altre variabili di mercato sono considerati attivi. La scelta tra uno stile di gestione attivo ed uno passivo dipende da diversi fattori, tra i quali: la filosofia del gestore e il suo pensiero in relazione all’efficienza del mercato; il profilo di rischio della gestione; le caratteristiche del mercato di riferimento, quali i costi di transazione e la volatilità. Sono diverse e numerose le teorie a supporto di uno o dell’altro stile di gestione. La teoria dei mercati efficienti, secondo la quale i mercati sono pienamente efficienti ed in equilibrio in quanto la presenza di investitori
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razionali fa si che i prezzi dei titoli rispecchi appieno tutte le informazioni disponibili, ritiene che le gestioni passive siano premianti rispetto alle gestioni attive. Infatti, l’ipotesi di efficienza dei mercati non permetterebbe il conseguimento di extra rendimenti e di conseguenza l’impossibilità per le gestioni attive di superare il rendimento di mercato. Per approfondire quest’ultimo punto si può ricorrere all’analisi che Sharpe ha effettuato riguardo gli operatori che costituiscono il mercato finanziario, secondo cui essi possono essere suddivisi in due categorie: gli investitori passivi, che detengono il cosiddetto “portafoglio di mercato”, ossia l’insieme dei titoli negoziati sul mercato ponderato per la loro capitalizzazione; gli investitori attivi, che agiscono sulla base delle proprie aspettative e sfruttano eventuali inefficienze per realizzare performance superiori a quelle di mercato. Ipotizzando che il rendimento lordo (al netto dei costi di transazione) conseguito dagli investitori passivi sia pari al rendimento di mercato, si può giungere alle seguenti considerazioni: il rendimento medio al lordo dei costi di transazione degli investitori attivi coincide con il rendimento medio lordo degli investitori passivi. Tale relazione è presto spiegata. Infatti il rendimento complessivo del mercato coincide con la media ponderata dei rendimenti dei titoli che lo compongono e di conseguenza come media ponderata dei rendimenti degli investitore passivi e dei rendimenti degli investitori attivi. Poiché il rendimento di mercato coincide con il rendimento degli investitori passivi, si avrà che anche il rendimento degli investitori
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attivi è pari e non superiore al rendimento di mercato e degli investitori passivi; il rendimento medio al netto dei costi degli investitori attivi è inferiore al rendimento medio al netto dei costi degli investitori passivi. Infatti una gestione attiva del proprio portafoglio richiede costi e commissioni di importo più elevato a causa dell’attività di analisi e di ricerca delle opportunità di investimento, per cui se è valida la considerazione esposta al primo punto, il rendimento netto ottenuto dagli investitori attivi è inferiore al rendimento netto conseguito dagli investitori passivi. Le due considerazioni sopra esposte sembrano mostrare la superiorità della gestione passiva rispetto ad una attiva. Tuttavia si stanno diffondendo sempre più gestori che si dichiarano attivi. Questo fenomeno comunque non va contro le considerazioni appena fatte. Infatti esso può essere spiegato dal fatto che, sebbene il rendimento medio di una gestione attiva debba essere pari al rendimento di mercato, vi è all’interno della categoria dei gestori attivi una quota di essi capaci di battere il mercato e di conseguire extra rendimenti rispetto ad esso. Tali sovra rendimenti devono però essere compensati dalle under – performance conseguite dalla residuale quota di gestori attivi. Di conseguenza vi saranno alcuni gestori attivi in grado di sovraperformare e altri gestori attivi che invece non riusciranno a conseguire extra rendimenti rispetto al mercato4. All’opposto si attesta il punto di vista dei sostenitori della gestione attiva. Essi infatti considerano la gestione attiva come un metodo di investimento efficace che può portare ad un rendimento migliore rispetto a quello del 4
Ethan Etzioni, nel suo articolo “Indexing can be beat”, Journal of Portfolio Management 1992, dimostra come una gestione attiva, nel suo complesso, possa battere una gestione indicizzata.
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mercato mediante lo sfruttamento delle sue inefficienze. Persino la stessa teoria dei mercati efficienti ipotizza la presenza di un gruppo di investitori non razionali che non sono in grado di sfruttare le informazioni disponibili per valutare correttamente il prezzo di un titolo. Di conseguenza il prezzo non risulterebbe in equilibrio, permettendo le operazioni di arbitraggio. Gli arbitraggisti (gestori attivi) sfruttando queste inefficienze, riportano il mercato in efficienza. Pertanto, affinché il mercato si mostri efficiente, è necessaria la presenza degli investitori attivi che, sfruttando le opportunità di arbitraggio, conseguono rendimenti superiori. I sostenitori della gestione attiva inoltre assumono l’ipotesi che la capacità di realizzare gli extra return abbia una relazione inversa con le dimensioni del portafoglio gestito: maggiori sono le dimensioni, minore è la capacità di generare differenziali di rendimento positivi. Si supponga ad esempio la presenza di n gestori attivi sul mercato. Gli investitori li classificherebbero a seconda degli extra rendimenti che essi hanno conseguito in passato e tenderebbero ad aumentare la quota di capitale investita nel portafoglio gestito dal gestore attivo più capace. Tuttavia, l’aumentare della dimensione del portafoglio compromette le capacità del gestore di conseguire extra rendimenti. I rendimenti differenziali cominceranno a diminuire di valore fino a che egli perderà la sua posizione di best performer a favore del secondo gestore. A questo punto gli investitori si rivolgeranno a quest’ultimo, convogliando in esso i propri capitali, fino a che anche questi perderà la capacità di generare sovra rendimenti a favore del terzo gestore. Proseguendo il ciclo fino ad esaurire il numero di gestori attivi in grado di realizzare differenziali di rendimenti positivi al netto dei costi, si avrà al termine un riallineamento dei rendimenti della gestione attiva a quelli di
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mercato e una prevalenza di gestioni passive, in quanto gli investitori reputeranno non più convenienti le gestioni attive, che comportano commissioni più elevate. Tuttavia l’assenza in questa situazione di gestori attivi produce un innalzamento della illiquidità del mercato ed un conseguente aumento della volatilità. Infatti gli investitori non si preoccuperebbero di valutare razionalmente i titoli in cui investire, ma si limiterebbero a verificare se esso appartiene o meno ad un portafoglio indice. Questa situazione comporta inefficienze di mercato che causano mispricing dei titoli e rende efficace il ricorso a gestioni attive che, sfruttando queste momentanee inefficienze, riportano il mercato all’equilibrio iniziale. Da questo punto di vista la gestione attiva si configura quindi come una “forza stabilizzatrice” che rimuove le inefficienze di mercato e consente ad esso di tornare alle condizioni di equilibrio.
3.6.1 La gestione passiva L’approccio passivo nella gestione del portafoglio ha origine nella teoria dei mercati efficienti, secondo cui i mercati sono efficienti e non è possibile ottenere dei rendimenti superiori alla media del mercato. In un mercato efficiente non vi sono titoli sopravvalutati o sottovalutati, poiché il prezzo incorpora tutte le informazioni disponibili. Pertanto non sarà possibile battere il mercato in quanto non è possibile sfruttarne le inefficienze. Tuttavia, l’efficienza dei mercati non sempre è il motivo per cui un gestore opta per un approccio passivo nella gestione. Ad esempio il gestore potrebbe scegliere una gestione passiva a causa degli elevati costi di informazione e di
76
transazione tipici di una gestione attiva, che potrebbero essere tali da annullare l’extra rendimento derivante da una gestione attiva. La gestione passiva consiste nel replicare un portafoglio benchmark, che può essere individuato in un indice o in un insieme di indici. L’attenzione dei gestori non è quindi rivolta verso la selezione di titoli ritenuti interessanti, in quanto l’obiettivo è la costruzione di un portafoglio che replichi esattamente le caratteristiche di rischio e rendimento del benchmark con limitati scostamenti, al fine di ottenere un rendimento uguale o molto simile. L’asset manager che predilige una strategia passiva presta maggior attenzione verso la fase di asset allocation strategica, in quanto successivamente le operazioni di ribilanciamento saranno limitate. È assai importante infatti che la composizione iniziale del portafoglio venga pianificata in modo da replicare l’asset mix del portafoglio di benchmark. Di conseguenza l’asset allocation tattica e dinamica ricoprono un ruolo marginale nella gestione del fondo. Un fondo di investimento che viene gestito passivamente presenta generalmente delle commissioni di gestione più basse rispetto ai fondi gestiti attivamente, in quanto il gestore non deve sostenere dei costi di informazione e transazione che giustificano commissioni più elevate. I fondi a gestione passiva si limitano a replicare la composizione del portafoglio benchmark e l’asset mix viene modificato solo se si verificano variazioni nel portafoglio dell’indice di riferimento. La gestione passiva può essere identificata in due classiche strategie di indicizzazione del portafoglio di benchmark: la completa replicazione; la replicazione a campione.
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La prima strategia, detta anche full replication, prevede che il gestore del fondo acquisti tutti i titoli facenti parte del portafoglio identificato come benchmark, rispettando i pesi e le percentuali che questi assumono all’interno di quest’ultimo. La replicazione a campione, o sampling replication, prevede invece che il gestore acquisti non tutti i titoli, bensì un campione rappresentativo dell’asset allocation del portafoglio benchmark. Tuttavia nella realtà operativa una strategia di indexing o di benchmarking non è semplice da realizzare, in quanto non è sufficiente acquistare gli stessi titoli che compongono il paniere del benchmark per poterne replicare l’andamento. Infatti vi sono diversi fattori da considerare, che possono influenzare e differenziare il rendimento del portafoglio del fondo rispetto a quello del benchmark. Queste variabili sono: i costi e le commissioni da pagare per le transazioni. I benchmark sono dei portafogli virtuali che non sono influenzati dai costi di gestione, mentre i portafogli reali devono sostenere il pagamento delle commissioni per le negoziazioni, per il collocamento, per la distribuzione, per la gestione ecc… le quali incidono sul rendimento del portafoglio e lo riducono rispetto a quello conseguito dal benchmark; lo spread esistente tra i prezzi alle quali è possibile acquistare e vendere i titoli interessati (bid ask spread); l’impossibilità di mantenere la stessa composizione e gli stessi pesi assunti dai diversi titoli facenti parte del portafoglio del benchmark, a causa di afflussi e deflussi di liquidità dovuti ai conferimenti, ai riscatti
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e ai limiti imposti dal regolamento come i vincoli di concentrazione in determinate asset class, di rischiosità ecc…; l’effetto fiscale, cioè le imposte che gravano sui rendimenti conseguiti dal portafoglio e che riducono la performance effettiva rispetto a quella del benchmark5; l’effetto dei dividendi nel caso dei fondi azionari. L’indice di riferimenti dei portafogli azionari è solitamente un indice prezzo, che trascura l’effetto dei dividendi. In questo caso i fondi azionari che incassano i dividendi hanno un evidente vantaggio rispetto al benchmark; la quota che il fondo deve necessariamente investire in liquidità per far fronte alle richieste di riscatto. Gli indici non necessitano di tale quota e il rendimento complessivo del benchmark può quindi discostarsi a seconda dell’andamento del mercato. Ad esempio, nel caso di un andamento positivo del mercato azionario, il benchmark conseguirà un rendimento maggiore del fondo, mentre un andamento negativo consente al fondo di attenuare la caduta dei prezzi. Una strategia passiva può prevedere inoltre la possibilità, per il gestore, di discostarsi limitatamente dal portafoglio benchmark, al fine di conseguire una performance di poco superiore all’indice di riferimento. Si parla infatti di strategie semipassive (o semiattive, dette anche enhanced indexing) che permettono di incrementare la libertà del gestore e di sfruttare le momentanee imperfezioni del mercato. Una strategia di questo tipo prevede la separazione del portafoglio in due componenti distinte:
5
L’effetto fiscale può anche giocare a favore del gestore, in caso di regime del risparmio gestito. Infatti, nel caso dei fondi comuni di investimento, il deprezzamento delle quote attribuisce al fondo un credito d’imposta sulla perdita che compensa l’imposta a debito.
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una parte core che viene gestita passivamente tramite una politica di constant mix; una parte swing che viene gestita in chiave dinamica per approfittare delle aspettative di mercato. Un approccio passivo può essere adottato anche per i fondi di natura obbligazionaria. In particolare si citano la strategia di semplice benchmarking e la strategia di immunizzazione. La strategia di benchmarking ha l’obiettivo, come visto per i fondi azionari, di conseguire un rendimento pari a quello del benchmark di riferimento. Molti fattori tuttavia ostacolano l’allineamento dei rendimenti del fondo e dell’indice, tra il quale si cita l’elevato turnover che rende la composizione del benchmark assai poco stabile: infatti la composizione del portafoglio obbligazionario di benchmark cambia ogni qualvolta un titolo incluso giunge a scadenza oppure in occasione di una nuova emissione obbligazionaria. Le variazioni nella composizione di portafoglio comportano frequenti operazioni di ribilanciamento e di conseguenza il sostenimento delle relative commissioni. Una possibile soluzione a questo problema è quella di far coincidere continuamente la duration modificata del portafoglio con quella del benchmark, senza necessariamente replicarne la composizione. Infatti, poiché la duration modificata del portafoglio è pari alla media ponderata delle singole duration dei titoli, il gestore è in grado di far coincidere le duration dei due portafogli senza necessariamente acquistare tutti i titoli del benchmark: in questo modo è possibile replicare indici composti da titoli dispersi su un ampio spettro di scadenze. Tuttavia la replicazione risulta imperfetta anche in questo caso: infatti nonostante la duration modificata
80
coincida, il fatto che il portafoglio è composto da titoli che hanno scadenze differenti da quelli inclusi nel benchmark fa si che l’impatto di eventuali variazioni dei tassi sia differente, con conseguenti ripercussioni sul grado di indicizzazione della gestione. La strategia di immunizzazione permette di conseguire, se verificate certe ipotesi, un rendimento di periodo certo su un dato orizzonte temporale costruendo un portafoglio in grado di minimizzare o annullare i rischi gravanti sullo stesso. Infatti, se il gestore costruisce un portafoglio con una duration di portafoglio pari all’holding period, riesce a neutralizzare il rischio di una variazione dei tassi di interesse ed eliminare: il rischio prezzo, ossia il rischio di variazioni di prezzo che il titolo subisce a causa delle fluttuazioni dei tassi di interesse; il rischio reinvestimento, derivante dal rischio di non poter reinvestire le cedole e i frutti intermedi incassati dall’investimento allo stesso tasso di rendimento iniziale. Tuttavia, affinché si possa ottenere un rendimento ex post pari a quello preventivato ex ante, devono verificarsi alcune condizioni: la curva dei tassi di interesse deve essere piatta; gli eventuali spostamenti della curva dei tassi di interesse devono essere paralleli: non devono esistere costi di transazione per il ribilanciamento del portafoglio. Nella realtà tali ipotesi non si verificano facilmente. La curva dei tassi di interesse, cioè il livello dei tassi corrispondente alle diverse scadenze temporali, raramente è piatta, ossia presenta lo stesso tasso di rendimento per gli impieghi a breve termine e per quelli a lungo
81
termine. Infatti la curva dei tassi è solitamente inclinata positivamente: man mano che aumenta la scadenza, aumentano anche i tassi. Un investitore che immobilizza il proprio capitale per un lungo periodo chiede dei rendimenti più elevati rispetto ad un investitore che impiega le proprie risorse a breve termine, in quanto deve assumersi un grado di rischio maggiore. A volte può succedere che l’inclinazione della curva sia negativa, cioè la curva si inverte: gli investitori chiedono per gli impieghi a breve termine un rendimento maggiore degli impieghi a lungo termine. Questa circostanza può essere spiegata dal fatto che gli investitori si aspettano, in futuro, una certa difficoltà del sistema economico che porterà ad una riduzione dei tassi di interesse. Anche se i tassi correnti a lungo termine risultano così più bassi di quelli a breve, gli investitori li accettano perché reputano questi tassi più elevati di quelli che potranno chiedere in futuro sullo stesso arco temporale. Di conseguenza, i tassi a breve più elevati sono considerati esclusivamente momentanei, in quanto l’Autorità monetaria6 provvederà ad abbassarli per fronteggiare la crisi economica. In relazione alla seconda ipotesi, gli spostamenti paralleli della curva degli interessi comportano delle variazioni dei tassi uguali per tutte le scadenze. Quando si ha uno spostamento parallelo della curva, i tassi a breve termine e quelli a lungo termine subiscono la stessa variazione. Tuttavia a livello operativo si possono avere anche spostamenti non paralleli nella curva dei tassi, nel senso che lo shock dei tassi può intervenire diversamente e non necessariamente nella stessa direzione per ciascuna scadenza. Nei casi più estremi si può avere:
6
L’Autorità monetaria dipende dall’area geografica: nell’area Euro l’Autorità è la BCE, negli Stati Uniti è la FED, in Giappone la Bank of Japan ecc…
82
 un aumento dei tassi di interesse a breve ed una contemporanea riduzione dei tassi di interesse a lungo termine (floating);  una riduzione dei tassi di interesse a breve termine ed un contemporaneo aumento dei tassi di interesse a lungo termine (steepening). Le figure 2 e 3 mostrano rispettivamente i possibili andamenti di una curva dei tassi di interesse e gli spostamenti che essa può subire.
Fig. 2 – Curva dei tassi di interesse piatta, inclinata positivamente e inclinata
rendimento
negativamente.
Curva dei tassi di interesse piatta
rendimento
scadenza
Curva dei tassi di interesse inclinata positivamente
scadenza
83
rendimento
Curva dei tassi di interesse inclinata negativamente
scadenza
rendimento
Fig. 3 – Gli spostamenti della curva dei tassi di interesse.
Spostamento parallelo della curva dei tassi di interesse
rendimento
scadenza
Spostamento non parallelo della curva dei tassi di interesse
scadenza
84
rendimento
Floating della curva dei tassi di interesse
rendimento
scadenza
Steepening della curva dei tassi di interesse
scadenza
Le tre condizioni necessarie per attuare una strategia di immunizzazione si verificano raramente nella realtà operativa. Di conseguenza il rendimento effettivamente conseguito dal gestore con una strategia di immunizzazione differisce molto frequentemente dal rendimento – obiettivo prefissato.
85
3.6.2 La gestione attiva La gestione attiva è finalizzata a conseguire dei differenziali di rendimento positivi rispetto al proprio indice di riferimento. La scelta dell’approccio attivo nella gestione di un portafoglio di investimento si basa sull’ipotesi di inefficienza del mercato. Questo conduce all’idea che il prezzo di un titolo sui mercati non rispecchia tutte le informazioni a disposizione, a causa di asimmetrie informative. La gestione attiva presuppone che il gestore sia dotato delle necessarie capacità e competenze per l’analisi dell’andamento delle principali variabili di mercato che possono influire sulle quotazioni dei titoli. Tali analisi devono condurre il gestore verso previsioni di carattere generale e specifico più accurate e valide rispetto all’informazione correntemente disponibile sul mercato, che gli permettano di individuare i titoli sopravvalutati e sottovalutati che determinano un rendimento aggiuntivo rispetto a quello ottenuto dal portafoglio di mercato. Nell’approccio attivo l’asset allocation strategica ricopre un ruolo meno importante di quello che assume nell’approccio passivo. Sicuramente l’importanza di una corretta strategia di asset allocation di medio – lungo termine non deve essere trascurata, ma è innegabile il fondamentale apporto dell’asset allocation tattica di breve termine volta a sfruttare le inefficienze di mercato attraverso le attività di stock selection, sector selection e market timing. Il grado di libertà di un gestore attivo è molto più elevato di un gestore passivo. Infatti egli ha meno vincoli imposti dal regolamento in termini di concentrazione dell’investimento nelle diverse asset class, di rischiosità ecc… Attraverso una gestione attiva l’asset manager può:
86
massimizzare il rendimento assoluto di periodo, dato un vincolo di rischio; massimizzare il differenziale di rendimento rispetto ad un benchmark, dato un vincolo di rischio. Il gestore non si limita a replicare la performance di un benchmark, bensì si prefigge di conseguire un rendimento aggiuntivo. Il benchmark rappresenta solamente il primo termine di paragone per valutare il risultato della gestione ed è utile per analizzare il contributo dato dal gestore: infatti, poiché il rendimento del benchmark costituisce il risultato ottenibile dal gestore in caso di gestione passiva, il fatto di riuscire a conseguire un rendimento superiore al benchmark è un indice di buona gestione attiva. Per giustificare la sua adozione, una strategia attiva deve determinare una redditività addizionale tale almeno da riuscire a coprire i costi più elevati che derivano dalla maggiore operatività del gestore. Infatti l’elevato numero di operazioni di compravendita e di negoziazione necessarie per sfruttare le opportunità di mercato e i costi per il personale addetto alla raccolta e produzione delle informazioni, alle analisi di mercato e alla formulazione delle previsioni sull’andamento dei mercati comportano delle commissioni molto più elevate rispetto ad una gestione passiva. Tra le strategie attive si distinguono in particolare due particolari approcci: l’approccio top – down che parte dal quadro macroeconomico generale e successivamente prevede la selezione dei settori e dei titoli in cui allocare le risorse; l’approccio bottom – up che parte dall’analisi fondamentale dei singoli titoli ritenuti interessanti in base alle aspettative di crescita, bontà dei progetti presentati e qualità del management.
87
3.6.3 La scelta del benchmark L’uso dei benchmark nell’attività di asset management si è progressivamente diffuso negli ultimi tempi, grazie soprattutto alla pratica delle gestioni patrimoniali e dei fondi comuni di investimento di individuare un parametro con cui confrontare l’andamento della gestione e la performance conseguita. Nati come semplici indicatori per misurare ex post la performance di un fondo, i benchmark sono diventati il punto di riferimento per analizzare e valutare lo stile e le strategie di investimento adottate dall’asset manager e di conseguenza la qualità di gestione dei fondi comuni di investimento. Il
benchmark
è
un
portafoglio
di
riferimento
che
rappresenta
approssimativamente il portafoglio di mercato. Nel CAPM il benchmark rappresenta il portafoglio che replica il più possibile l’andamento dell’intero mercato. Esso deve quindi includere tutti i titoli e strumenti negoziabili sul mercato. Nella pratica tuttavia non ci si affida quasi mai ad un indice rappresentante l’intero portafoglio di mercato (indice di mercato), ma a dei benchmark che considerano gli specifici obiettivi e le particolari caratteristiche della gestione in esame (si trattano infatti di indici di categoria). La scelta di quale parametro utilizzare come benchmark non è semplice. In particolare, la definizione del benchmark deve rispettare i seguenti requisiti: la coerenza con l’asset allocation di portafoglio e gli obiettivi perseguiti dal gestore. Un gestore deve selezionare un benchmark di riferimento che sia in grado di tracciare oggettivamente le linee guida dell’investimento e che rispecchi il portafoglio offerto agli investitori.
88
Ad esempio, i gestori di un fondo obbligazionario sceglieranno come benchmark un portafoglio che contenga uno o più indici obbligazionari; la replicabilità, ossia l’asset manager deve essere in grado di costruire un portafoglio con le medesime caratteristiche del portafoglio benchmark. Di conseguenza quest’ultimo deve essere strutturato in modo da includere gli strumenti e le attività finanziarie effettivamente disponibili, negoziabili e liquidabili sul mercato; la credibilità del portafoglio benchmark come alternativa al portafoglio effettivamente gestito. Nella realtà il portafoglio del fondo e il portafoglio
benchmark
non
costituiscono
due
investimenti
effettivamente alternativi, essenzialmente perché: o il fondo è gravato da commissioni di sottoscrizione e di gestione che il portafoglio benchmark non è tenuto a sostenere. Pertanto il rendimento del fondo sarà penalizzato rispetto a quello del benchmark; o il fondo deve necessariamente investire una quota delle proprie risorse in liquidità, per poter far fronte ad eventuali richieste di rimborso delle quote, mentre il benchmark non è obbligato ad allocare una parte delle proprie risorse in tale asset class; la relativa stabilità nella composizione del portafoglio, ossia il paniere non deve presentare un eccessivo turnover dei titoli. Infatti, se così non fosse, il benchmark non rappresenterebbe più un parametro di riferimento realmente neutrale per la gestione, ma condizionerebbe le scelte di investimento e disinvestimento tanto più quanto più frequenti sono le ricomposizioni del portafoglio di benchmark;
89
la rilevanza e la rappresentatività dei titoli e dei mercati inclusi nel paniere del benchmark; la trasparenza nella modalità di costruzione, per evitare al gestore ogni ambiguità e incertezza in merito alla composizione iniziale del benchmark e alle sue successive ed eventuali revisioni. I criteri con cui vengono selezionati i titoli da includere nel paniere devono essere chiari e comprensibili, in quanto carenze dal punto di vista informativo potrebbero condurre l’investitore ad assumere un livello di rischio maggiore di quanto disposto ad accettare; la misurabilità del parametro di riferimento. Le stime e le misurazioni del benchmark devono essere fruibili in modo continuo e senza ritardi. Se così non fosse, vi sarebbero conseguenze negative traducibili in scelte errate in termini di timing degli interventi sul mercato; l’oggettività del procedimento di calcolo, ossia l’algoritmo utilizzato per la misurazione periodica del benchmark deve essere formalizzato e reso pubblico, in modo che vi sia maggiore trasparenza riguardo alle modalità con cui si giunge a determinare il valore del benchmark e in modo da permettere agli utenti di comprendere i meccanismi e le logiche sottostanti al processo di calcolo. L’introduzione del benchmark nella gestione dei fondi comuni di investimento e nelle gestioni patrimoniali ha sicuramente contribuito a rendere questi strumenti di investimento più trasparenti. La maggior trasparenza rappresenta un vantaggio per il pubblico degli investitori, in quanto essi possono valutare l’abilità dei gestori utilizzando un indicatore esterno rappresentativo dell’andamento medio del mercato o di un suo
90
settore specifico e avere un esatto profilo del rischio – rendimento che caratterizza l’investimento. Una volta selezionato il benchmark di riferimento, il gestore del fondo può: costruire un portafoglio che rispecchi, nel tempo, la composizione e l’asset mix del portafoglio benchmark, in modo da replicarne l’andamento; costruire un portafoglio che si differenzia in termini di selezione dei titoli e dei pesi che essi assumono dal portafoglio benchmark, al fine di ottenere un rendimento superiore. La scelta tra una o l’altra possibilità individua lo stile di gestione che l’asset manager intende adottare: è chiaro che il primo punto identifica una strategia di gestione passiva volta a ottenere una performance in linea con quella del benchmark, mentre il secondo punto individua uno stile gestionale attivo finalizzato ad ottenere una performance superiore al mercato.
3.6.4 La tracking error volatility L’effettivo grado di attivismo di un gestore non può essere accertato dal suo dichiararsi “attivo” o dall’applicazione di commissioni elevate incompatibili con una gestione passiva. È necessario costruire un indicatore che ci consenta di misurare il grado di attivismo in maniera oggettiva e trasparente. La tracking error volatility è uno degli indicatori che gli economisti riconoscono come lo strumento per la valutazione del grado di attivismo della gestione dei fondi.
91
Dal punto di vista statistico, la TEV misura il grado di dispersione degli extra – rendimenti conseguiti dal fondo rispetto al benchmark intorno al loro valore medio, ossia la deviazione standard degli tracking error conseguiti dal fondo. Traducendo in formule si ottiene: đ?‘‡đ??¸đ?‘‰ = đ?œŽ đ?‘‡đ??¸ =
1 đ?‘‡âˆ’1
� �=1
đ?‘‡đ??¸đ?‘Ą − đ?‘‡đ??¸
2
(1)
dove:  đ?‘‡đ??¸đ?‘Ą = đ?‘&#x;đ?‘“đ?‘œđ?‘›đ?‘‘đ?‘œ − đ?‘&#x;đ?‘?đ?‘’đ?‘›đ?‘? â„Žđ?‘šđ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘˜ indica i tracking error del fondo, ossia l’excess return conseguito dal fondo rispetto al portafoglio benchmark;  đ?‘‡đ??¸ =
1 �
đ?‘‡ đ?‘Ą=1 đ?‘&#x;đ?‘“đ?‘œđ?‘›đ?‘‘đ?‘œ ,đ?‘Ą
− đ?‘&#x;đ?‘?đ?‘’đ?‘›đ?‘? â„Žđ?‘šđ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘˜ ,đ?‘Ą indica il valore medio degli
scostamenti tra i rendimenti del fondo e i rendimenti del benchmark. L’indicatore TEV permette di valutare la fedeltà con la quale il gestore ha tentato di replicare il portafoglio benchmark di riferimento. Una gestione passiva finalizzata a conseguire lo stesso rendimento del benchmark dovrebbe avere un tracking error nullo e di conseguenza una TEV prossima allo zero. Una gestione attiva invece dovrebbe cercare di massimizzare il valore del tracking error e della TEV. La tracking error volatility non deve comunque essere confusa con la volatilità del fondo, cioè la dispersione dei rendimenti del fondo attorno al loro valore medio. Infatti un’alta TEV non implica necessariamente che il fondo sia stato necessariamente caratterizzato da un’elevata deviazione standard, ma significa semplicemente che l’andamento del fondo si è discostato molto dall’andamento del benchmark. La tavola 6 riporta i rendimenti mensili (da giugno 2004 a maggio 2009) conseguiti dal fondo comune Greater China, gestito da Credit Agricole Asset Management, e dal suo benchmark, costituito al 100% dall’indice Hang Seng,
92
e i valori assunti dal tracking error. Un TE positivo indica che il fondo ha conseguito una performance superiore al proprio benchmark, mentre un TE negativo significa che il benchmark ha battuto il fondo. PoichĂŠ il valore medio del TE è pari a 0,98%, la deviazione standard risulterĂ : đ?‘‡đ??¸đ?‘‰ =
1 60
60 đ?‘Ą=1
đ?‘‡đ??¸đ?‘Ą − 0,98%
2
= 4,0049%
Il valore della TEV indica che il fondo in questione è stato caratterizzato da una gestione a rischio controllato, ossia una gestione tendenzialmente semi attiva.
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Tav. 6 – I rendimenti mensili del fondo Greater China e dell’indice Hang Seng.
Periodo
Fondo
Benchmark
TE
Periodo
Fondo
Benchmark
TE
giu-04
0,12%
0,72%
-0,60%
dic-06
15,77%
5,30% 10,47%
lug-04
-0,81%
-0,39%
-0,42%
gen-07
-0,82%
0,71%
-1,53%
ago-04
5,24%
5,00%
0,24%
feb-07
-2,80%
-2,26%
-0,54%
set-04
3,21%
2,10%
1,11%
mar-07
3,28%
0,76%
2,52%
ott-04
2,47%
-0,50%
2,97%
apr-07
3,23%
2,62%
0,61%
nov-04
8,17%
7,70%
0,47%
mag-07
6,39%
1,55%
4,84%
dic-04
3,19%
1,21%
1,98%
giu-07
7,59%
5,52%
2,07%
gen-05
-4,50%
-3,57%
-0,93%
lug-07
6,85%
6,49%
0,36%
feb-05
5,50%
3,45%
2,05%
ago-07
8,85%
3,45%
5,40%
mar-05
-4,19%
-4,78%
0,59%
set-07
20,75%
13,17%
7,58%
apr-05
0,97%
2,90%
-1,93%
ott-07
10,57%
15,51%
-4,95%
mag-05
-1,44%
-0,30%
-1,14%
nov-07
-8,48%
-8,64%
0,16%
giu-05
2,73%
2,41%
0,33%
dic-07
-2,61%
-2,90%
0,29%
lug-05
5,42%
4,79%
0,63%
gen-08
-17,35%
-15,67%
-1,68%
ago-05
1,44%
0,15%
1,29%
feb-08
1,00%
3,73%
-2,74%
set-05
3,38%
3,52%
-0,14%
mar-08
-8,57%
-6,09%
-2,48%
ott-05
-5,93%
-6,75%
0,82%
apr-08
12,39%
12,72%
-0,33%
nov-05
4,57%
3,83%
0,74%
mag-08
-6,70%
-4,75%
-1,95%
dic-05
1,57%
-0,41%
1,98%
giu-08
-14,28%
-9,91%
-4,37%
gen-06
11,19%
5,89%
5,29%
lug-08
0,17%
2,85%
-2,67%
feb-06
0,08%
1,05%
-0,97%
ago-08
-8,40%
-6,46%
-1,94%
mar-06
7,58%
-0,71%
8,29%
set-08
-16,75%
-15,27%
-1,49%
apr-06
5,46%
5,42%
0,05%
ott-08
-22,03%
-22,47%
0,43%
mag-06
-7,16%
-4,82%
-2,34%
nov-08
0,65%
-0,58%
1,22%
giu-06
2,72%
2,58%
0,13%
dic-08
10,67%
3,59%
7,08%
lug-06
0,93%
4,33%
-3,40%
gen-09
-14,69%
-7,71%
-6,98%
ago-06
6,87%
2,48%
4,39%
feb-09
-5,31%
-3,51%
-1,80%
set-06
4,04%
0,87%
3,18%
mar-09
23,32%
ott-06
7,20%
4,45%
2,74%
apr-09
22,42%
14,33%
8,09%
nov-06
7,01%
3,47%
3,54%
mag-09
11,94%
17,07%
-5,13%
94
5,97% 17,35%
3.7 L’analisi dello stile di gestione L’analisi dello stile di gestione non si limita a definire quanto attiva o passiva è la conduzione di un fondo da parte del gestore, ma può essere esteso anche alle preferenze del gestore verso una particolare tipologia di classe di strumenti finanziari. Lo stile infatti può essere individuato anche osservando le caratteristiche del portafoglio del fondo stesso, in particolare i pesi assunti da determinate categorie di strumenti finanziari. Lo stile di gestione può essere analizzato attraverso la style analysis, proposta da Sharpe nel 1992. Il modello di analisi di Sharpe ha un approccio return based, ossia determina lo stile di un investimento confrontando i rendimenti conseguiti con i rendimenti di determinati indici. Attraverso l’assegnazione di uno stile è possibile distinguere, all’interno del rendimento complessivo, la quota attribuibile allo stile gestionale adottato e la quota riconducibile all’abilità dell’investitore all’interno di quello stile. Quest’ultima quota può essere interpretata anche come il grado di attivismo che il gestore ha assunto nella gestione del fondo. A partire dagli anni ’70 molti gestori patrimoniali si sono accorti della presenza di cluster o gruppi di portafogli con caratteristiche e performance simili. Ciascuno di questi gruppi rispondeva a logiche e strategie di investimento differenti tra loro, soprattutto per quanto riguardava l’utilizzo degli indicatori che spiegano le oscillazioni dei prezzi azionari. Tuttavia una determinata strategia d’investimento non costituisce automaticamente uno stile di investimento: per essere considerata tale, la strategia deve essere condivisa da molti investitori che, seppur applicandola in maniera differente, concordano sulle principali cause di oscillazione dei titoli azionari.
95
I gestori che adottano le stesse linee guida per l’individuazione dei titoli potranno trovarsi a gestire un portafoglio composto da titoli diversi ma con caratteristiche analoghe; verosimilmente essi conseguiranno rendimenti molto simili. Di conseguenza, se vi è sufficiente analogia tra le filosofie dei manager, le caratteristiche del portafoglio e le performance conseguite, tale modalità d’investimento viene denominata stile. L’esistenza di uno stile è confermata se la relazione tra le caratteristiche del portafoglio e i relativi rendimenti persiste, ad eccezione del rischio specifico di ogni singola azione. Lo stile è quindi basato sullo stretto legame esistente tra i rendimenti passati, le caratteristiche del portafoglio e i rendimenti futuri7. Inoltre, affinché si possa parlare di stile, è necessario che i rendimenti dei portafogli “di stile” siano significativamente diversi sia con i rendimenti del mercato nel complesso sia con i rendimenti degli altri style portfolio. Riprendendo le teorie della finanza secondo le quali i prezzi dei titoli finanziari dipendono dalla loro esposizione ad uno o più fattori di rischio, è possibile giungere alla considerazione che gli style portfolio devono avere anche un’esposizione al rischio significativamente diversa dal mercato e tra loro. Questa diversificazione nei rendimenti e nell’esposizione al rischio dei diversi style portfolio permette un’ulteriore segmentazione del mercato in diversi profili rischio – rendimento. Le principali tipologie di stile attualmente utilizzate sono: growth (crescita), che si concentra sui titoli con una elevata potenzialità di generare reddito in futuro. Le società growth presentano un ridotto valore del dividend yield (rapporto utili prezzo) 7
Il legame tra i rendimenti passati, le caratteristiche del portafoglio e i rendimenti futuri è il motivo che rende lo stile degno di considerazione. Infatti style is of interest not because we are concerned with observed past returns, but because we want to anticipate future returns. (Christopherson 1995).
96
in quanto gli utili correnti sono solitamente bassi e gli investitori devono pagare un prezzo abbastanza elevato per poter ottenere i potenzialmente elevati utili futuri. Il growth manager predilige le società di elevata qualità che operano nei settori con alti tassi di crescita; value (valore), che si concentra essenzialmente sul prezzo di mercato dei titoli come fattore discriminante nella selection. Il value manager predilige titoli di società capaci di produrre utili correnti in maniera continua, con un elevato dividend yield e price to book ratio; large cap (alta capitalizzazione), che si concentra sui titoli di società largamente capitalizzazione e di grande dimensione. Solitamente le large cap sono le società predilette dagli investitori istituzionali, in quanto sono in grado di generare redditi costanti nel tempo e sono caratterizzate da un’elevata solidità finanziaria; small cap (bassa capitalizzazione), che si concentra sui titoli a bassa capitalizzazione, caratterizzati da un rischio sistematico maggiore della media. Solitamente le società a bassa capitalizzazione sono snobbate dagli investitori istituzionali e per questo motivo molti small cap manager ritengono che questo stile riservi maggiori opportunità di aggiungere valore all’investimento attraverso la ricerca delle società interessanti. All’interno degli stili large cap e small cap è possibile individuare gli investitori che seguono una strategia growth o una strategia value, combinando in questo modo due criteri di selezione, ossia la capitalizzazione delle società e le caratteristiche delle azioni.
97
La style analysis ha per obiettivo l’individuazione dei risultati gestionali dovuti allo stile e di scorporarli dal risultato complessivo. Una volta individuato, lo stile viene utilizzato come benchmark per mettere in luce il contributo della gestione attiva all’interno dello stile. In questo modo si introduce la scelta dello stile nel processo di investimento azionario, posizionato ad un livello intermedio tra l’asset allocation e la stock selection. Per i gestori di portafogli e di fondi la style analysis trova applicazioni sia in campo commerciale, per quanto riguarda il calcolo della performance, sia in campo gestionale, nel controllo della diversificazione e del grado di rischio del portafoglio.
3.7.1 La style analysis di Sharpe La return based equity style analysis, sviluppato da Sharpe e pubblicato nel 1992, è una delle tecniche piĂš note per l’assegnazione di uno stile azionario agli investitori. Secondo tale modello, lo stile d’investimento di un gestore può essere determinato confrontando i rendimenti ottenuti dal gestore con i rendimenti di un determinato numero di indici. I portafogli dei gestori vengono poi classificati tra i diversi stili di gestione sulla base del grado di correlazione tra i rendimenti del gestore e i rendimenti del set di indici. Il modello di Sharpe utilizza i rendimenti mensili o trimestrali dell’investitore e si sviluppa partendo da un modello multifattoriale, che Sharpe definisce asset class factor model: đ?‘&#x;đ?‘– = đ?‘?đ?‘–1 đ??š1 + đ?‘?đ?‘–2 đ??š2 + â‹Ż + đ?‘?đ?‘–đ?‘› đ??šđ?‘› + đ?œ€đ?‘– dove:  đ?‘&#x;đ?‘– è il rendimento dell’attivitĂ i – esima; 98
(2)
 đ??š1 , đ??š2 , ‌ , đ??šđ?‘› rappresentano il rendimento delle classi di attivitĂ ;  đ?‘?đ?‘–1 , đ?‘?đ?‘–2 , ‌ , đ?‘?đ?‘–đ?‘› sono i coefficienti che esprimono la sensibilitĂ di đ?‘&#x;đ?‘– ai fattori, che devono rispettare le seguenti condizioni: o đ?‘?đ?‘–đ?‘— > 0 o
đ?‘› đ?‘— =1 đ?‘?đ?‘–đ?‘—
=1
 đ?œ€đ?‘– è la parte del rendimento non attribuibile ai fattori. L’assunzione principale del modello di Sharpe è la non correlazione e indipendenza tra i residui delle diverse attivitĂ . Ciò significa che i fattori devono essere l’unica fonte di correlazione tra i rendimenti. Secondo l’asset class factor model il rendimento dell’attivitĂ finanziaria i può essere rappresentato dal rendimento di un portafoglio investito nelle n classi di attivitĂ piĂš una componente residua đ?œ€đ?‘– . La prima parte del modello inclusa tra le parentesi quadre definisce l’effective mix e il rendimento attribuibile allo stile, mentre la parte residua rappresenta la performance dovuta alla selection. I fattori đ??šđ?‘– sono i rendimenti delle singole asset class e possono essere approssimate da appositi indici. Per questioni pratiche si ipotizza che ciascuna classe di attivitĂ rappresenti una strategia passiva che può essere realizzata attraverso un index fund. L’obiettivo finale dell’analisi è di individuare l’esposizione del portafoglio completo di un investitore alle classi di attivitĂ considerate, ossia l’asset allocation del portafoglio. Questa è funzione dell’ammontare del portafoglio investito nei diversi fondi e dell’esposizione di ciascun fondo alle classi di attivitĂ . A sua volta l’esposizione dei fondi alle classi di attivitĂ dipende dall’ammontare del fondo investito nei diversi titoli e dall’esposizione dei titoli alle classi (fattori). 99
La style analysis utilizza un programma di ottimizzazione quadratica per determinare l’esposizione del fondo alle variazioni nei rendimenti delle classi di attivitĂ . Lo scopo è quello di ottenere un set di coefficienti đ?‘?đ?‘–1 , đ?‘?đ?‘–2 , ‌ , đ?‘?đ?‘–đ?‘› che siano in grado di spiegare la politica d’investimento e di minimizzare la varianza della componente residuale đ?œ€đ?‘– . Rielaborando la (2) si può ottenere: đ?œ€đ?‘– = đ?‘&#x;đ?‘– − đ?‘?đ?‘–1 đ??š1 + đ?‘?đ?‘–2 đ??š2 + â‹Ż + đ?‘?đ?‘–đ?‘› đ??šđ?‘›
(3)
La componente residua đ?œ€đ?‘– può essere vista come la differenza tra il rendimento del fondo e quello di un portafoglio a strategia passiva con lo stesso stile, ossia come il tracking error del fondo rispetto al benchmark. Il differenziale di rendimento è quindi dovuto alle scelte prese dal gestore riguardo la selection dei titoli. Nel confronto tra gli stili di gestione attiva e passiva si osserverĂ che il valore residuo đ?œ€đ?‘– tenderĂ ad avere valori diversi. Nei fondi gestiti in maniera attiva đ?œ€đ?‘– tenderĂ ad assumere un valore positivo significativamente diverso da zero, mentre nei fondi gestiti passivamente đ?œ€đ?‘– tenderĂ ad essere vicino a zero. Un’altra misura significativa per individuare lo stile gestionale è đ?‘…2 (R – quadro), compreso tra 0 e 100%. Statisticamente đ?‘…2 indica quanto il modello statistico (nel caso della style analysis si tratta di un modello di regressione lineare) si adatta ai dati che compongono la statistica e quindi quanto il modello è in grado di spiegare la relazione esistente tra la variabile dipendente (il rendimento del portafoglio) e le variabili indipendenti (i rendimenti degli indici di stile). Di conseguenza un valore di đ?‘…2 vicino a 100% indica che la quasi totalitĂ del rendimento del portafoglio è spiegato dai rendimenti degli indici di stile e quindi l’apporto della gestione attiva dell’asset manager è molto ridotta. Al contrario, un valore di đ?‘…2 basso
100
significa che buona parte del rendimento del portafoglio non è spiegabile dai rendimenti del set di indici e quindi l’apporto del gestore è stato un contributo significativo. Nonostante la notevole diffusione, la style analysis ha subito diverse critiche. Il primo problema è rappresentato dal fatto che la correlazione tra i rendimenti del fondo e degli indici viene calcolata su un periodo di 3 – 5 anni. In tale arco temporale tutte le osservazioni hanno la stessa rilevanza e questo causa problemi qualora il gestore decidesse di cambiare il proprio stile. Infatti eventuali cambiamenti di stile si riflettono esclusivamente sulle osservazioni più recenti. Gradualmente sempre più osservazioni rifletteranno il nuovo stile, mentre la quota di osservazioni riguardanti il vecchio stile diviene più piccola fino a sparire. La metodologia quindi richiede parecchio tempo per eliminare gli effetti sui rendimenti del vecchio stile e incorporare esclusivamente i rendimenti relativi al nuovo stile. Ciò potrebbe danneggiare gli investitori che si affidano alla rotazione tra gli stili per aggiungere valore al proprio portafoglio. Il secondo problema invece è dovuto alla suscettibilità che i rendimenti azionari hanno verso i dati anomali, i noisy data. Il modello fattoriale si basa sull’assunzione che i rendimenti riflettano una determinata esposizione ai fattori di rischio, ma spesso i modelli statistici stimati con i rendimenti storici presentano un carattere di instabilità. Il rischio specifico dei titoli con un determinato stile può portare il rendimento di questi titoli ad avere un’elevata correlazione con il rendimento di titoli che rappresentano uno stile completamente diverso e quindi trascina la style analysis ad un’errata specificazione dei fattori di rischio, in quanto si rivela incapace di distinguere il disturbo anomalo e la reale esposizione ai fattori.
101
Comunque, nonostante vi siano questi limiti, il modello di style analysis è largamente diffuso nel mondo finanziario in quanto è semplice e veloce da adottare e conduce a risultati sufficientemente accurati. Inoltre i dati di input che vengono utilizzati sono i rendimenti mensili o trimestrali, che sono facilmente reperibili anche da un “esterno”. Un approccio alternativo alla style analysis return based è la cosiddetta style analysis portfolio based. In questo caso i dati utilizzati per determinare lo stile del portafoglio non sono più i rendimenti dello stesso e di un set di indici, ma riguardano le caratteristiche specifiche del portafoglio. L’analista che segue questo approccio deve effettuare un esame intensivo del portafoglio dell’investitore e della procedura che utilizza per la selezione dei titoli, pertanto sono necessarie informazioni particolareggiate e non sempre disponibili. Per questo motivo tale approccio è definito “interno”, in contrasto con l’approccio “esterno” della return based di Sharpe. Nel presente lavoro si è proceduto ad effettuare una style analysis dei fondi per individuare il grado di “aderenza” della gestione dei fondi ai benchmark di riferimento e quindi misurare il grado di attivismo. Per ulteriori approfondimenti si rinvia al capitolo 4.
3.7.2 La rolling style analysis Nella valutazione dello stile può risultate utile analizzare l’evoluzione nel tempo delle strategie di investimento adottate. A tal proposito è necessario ricorrere ad un particolare tipo di style analysis, detta dinamica o rolling, che può essere effettuata suddividendo il periodo in più sottoperiodi di stima sovrapposti. L’analisi rolling consente di ricostruire la dinamica e le variazioni
102
dell’asset allocation dei fondi in un dato intervallo di tempo, permettendo quindi di cogliere le modifiche di stile adottate dal gestore. Per ricostruire le variazioni avvenute nell’asset allocation del portafoglio si determinano n stime dei coefficienti di sensibilitĂ đ?‘?đ?‘–đ?‘Ą , ottenute spostando la stima del modello avanti nel tempo di un intervallo costante. In sostanza si avranno n sottoequazioni della (2): đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘˜ = đ?‘?đ?‘–1đ?‘˜ đ??š1 + đ?‘?đ?‘–2đ?‘˜ đ??š2 + â‹Ż + đ?‘?đ?‘–đ?‘›đ?‘˜ đ??šđ?‘› + đ?œ€đ?‘–đ?‘˜
(4)
con đ?‘˜ = 1, ‌ , đ?‘Ą ; đ?‘˜ = 2, ‌ , đ?‘Ą + 1 ;‌; đ?‘˜ = đ?‘‡ − đ?‘¤ + 1, ‌ , đ?‘‡ e đ?‘¤ indicante il numero fisso di osservazioni per il periodo di tempo T. Per esempio, se il periodo di tempo considerato è di 6 anni e ciascun sottoperiodo è composto da 3 anni, si otterranno: đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘˜ = đ?‘?đ?‘–1đ?‘˜ đ??š1 + đ?‘?đ?‘–2đ?‘˜ đ??š2 + â‹Ż + đ?‘?đ?‘–đ?‘›đ?‘˜ đ??šđ?‘› + đ?œ€đ?‘–đ?‘˜
con đ?‘˜ = 1,3
đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘˜ = đ?‘?đ?‘–1đ?‘˜ đ??š1 + đ?‘?đ?‘–2đ?‘˜ đ??š2 + â‹Ż + đ?‘?đ?‘–đ?‘›đ?‘˜ đ??šđ?‘› + đ?œ€đ?‘–đ?‘˜
con đ?‘˜ = 2,4
đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘˜ = đ?‘?đ?‘–1đ?‘˜ đ??š1 + đ?‘?đ?‘–2đ?‘˜ đ??š2 + â‹Ż + đ?‘?đ?‘–đ?‘›đ?‘˜ đ??šđ?‘› + đ?œ€đ?‘–đ?‘˜
con đ?‘˜ = 3,5
đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘˜ = đ?‘?đ?‘–1đ?‘˜ đ??š1 + đ?‘?đ?‘–2đ?‘˜ đ??š2 + â‹Ż + đ?‘?đ?‘–đ?‘›đ?‘˜ đ??šđ?‘› + đ?œ€đ?‘–đ?‘˜
con đ?‘˜ = 4,6
Tra due periodi successivi stimati ci saranno solo 2 osservazioni non in comune, ossia la prima che sarĂ sostituita nella seconda stima con la precedente seconda e l’ultima che nella seconda stima sarĂ una nuova osservazione rispetto alla precedente. Tutte le altre stime comprese tra queste saranno invece in comune. La differenza tra i valori dei coefficienti đ?‘?đ?‘–đ?‘Ą stimati in un sottoperiodo con quelli stimati nel sottoperiodo successivo indica la variazione dell’esposizione del fondo rispetto al fattore cui il coefficiente è associato. L’analisi quindi permette di valutare come l’esposizione che il fondo ha verso gli indici di riferimento varia nel tempo.
103
3.8 L’attribuzione della performance Nell’ambito della misurazione e della valutazione della performance dei fondi comuni di investimento vi è anche il processo di performance attribution. La performance attribution si distingue in:  assoluta, se misura il contributo che ogni attivitĂ finanziaria e asset class ha avuto sulla performance complessiva;  relativa, se misura il contributo che ciascuna attivitĂ finanziaria e asset class ha avuto sull’excess return. L’attribuzione relativa si concentra sull’excess return conseguito dal fondo rispetto al benchmark di riferimento ed è finalizzato a ricercare la natura di questo rendimento aggiuntivo nelle scelte di allocation e di selection. Gli effetti delle scelte di allocazione possono essere misurate facendo la differenza tra il peso assegnato ad un settore, comparto economico o area geografica, nel portafoglio e nell’indice di benchmark e successivamente moltiplicarla per il rendimento che il settore, comparto economico o area geografica ha conseguito nell’indice benchmark. In altri termini si ha: đ?‘Žđ?‘™đ?‘™đ?‘œđ?‘?đ?‘Žđ?‘Ąđ?‘–đ?‘œđ?‘› = đ?‘¤đ?‘–,đ?‘ƒ − đ?‘¤đ?‘–,đ??ľ ∙ đ?‘&#x;đ?‘–,đ??ľ
(5)
dove:  đ?‘¤đ?‘–,đ?‘ƒ è il peso assunto dal generico settore i all’interno del portafoglio;  đ?‘¤đ?‘–,đ??ľ è il peso assunto dal generico settore i all’interno del benchmark;  đ?‘&#x;đ?‘–,đ??ľ è il rendimento conseguito dal settore 
i nel benchmark.
Gli effetti delle scelte di selection possono invece essere misurate moltiplicando semplicemente la differenza tra il rendimento conseguito dal 104
settore nel portafoglio e il rendimento conseguito dallo stesso nel benchmark con il peso assunto dal settore all’interno del portafoglio. Formulando si ottiene: đ?‘ đ?‘’đ?‘™đ?‘’đ?‘?đ?‘Ąđ?‘–đ?‘œđ?‘› = đ?‘&#x;đ?‘–,đ?‘ƒ − đ?‘&#x;đ?‘–,đ??ľ ∙ đ?‘¤đ?‘–,đ?‘ƒ
(6)
dove:  đ?‘&#x;đ?‘–,đ?‘ƒ è il rendimento conseguito dal settore i nel portafoglio;  đ?‘&#x;đ?‘–,đ??ľ è il rendimento conseguito dal settore i nel benchmark;  đ?‘¤đ?‘–,đ?‘ƒ è il peso assunto dal settore i all’interno del portafoglio. Le tavole 7 e 8 riportano un esempio di performance attribution.
Tav. 7 – Performance attribution assoluta e relativa.
Settore
Rendimento Rendimento benchmark
portafoglio
Peso
Peso
benchmark
portafoglio
Energia
0,50
0,65
0,08
0,10
Materiali
5,62
7,00
0,10
0,08
Industriali
3,07
3,25
0,18
0,20
beni voluttuari
1,59
1,20
0,06
0,05
beni prima necessitĂ
0,85
0,90
0,04
0,06
Salute
2,34
3,50
0,22
0,20
Finanza
1,78
1,80
0,03
0,04
IT
-0,24
-0,20
0,08
0,10
telecomunicazioni
-1,12
-1,20
0,08
0,10
1,94
2,00
0,13
0,07
Utilities
105
Tav. 8 – Performance attribution assoluta e relativa.
Settore
Performance attribution
Performance attribution
assoluta
relativa
contributo
contributo
benchmark
portafoglio
Energia
0,04
Materiali
allocation
selection
0,07
0,010
0,015
0,56
0,56
-0,112
0,110
Industriali
0,55
0,65
0,061
0,036
beni voluttuari
0,10
0,06
-0,016
-0,020
beni prima necessità
0,03
0,05
0,017
0,003
Salute
0,51
0,70
-0,047
0,232
Finanza
0,05
0,07
0,018
0,001
IT
-0,02
-0,02
-0,005
0,004
telecomunicazioni
-0,09
-0,12
-0,022
-0,008
Utilities
0,25
0,14
-0,116
0,004
1,996
2,161
-0,213
0,378
Excess return
0,165
0,165
La performance attribution assoluta evidenzia quanto ciascuna classe di attività ha contribuito alla performance complessiva generata da benchmark e il portafoglio del fondo. Quest’ultimo ha conseguito un excess return pari a 0,165% e tramite la performance attribution relativa è possibile attribuirne il contributo a ciascuna delle asset class in esame.
106
Capitolo 4 L’analisi di stile dei fondi comuni
4.1 Introduzione all’analisi Il presente capitolo si occuperà di analizzare un campione di fondi comuni azionari d’investimento di diritto italiano. La classificazione di Assogestioni identifica come fondi azionari i fondi comuni che investono le proprie risorse principalmente in titoli azionari (almeno il 70% del portafoglio). Residualmente, i fondi azionari possono investire anche in titoli obbligazionari e in liquidità, per un importo massimo pari al 30% del portafoglio. Il campione che prenderemo in considerazione è formato da 99 fondi comuni di investimento azionari ed è a sua volta suddiviso in sette sotto – categorie: 17 fondi azionari classificati Azionari America; 4 fondi azionari classificati Azionari Area Euro; 19 fondi azionari classificati Azionari Europa; 13 fondi azionari classificati Azionari Internazionale; 22 fondi azionari classificati Azionari Italia; 16 fondi azionari classificati Azionari Pacifico; 8 fondi azionari classificati Azionari Paesi Emergenti. La tavola 1 riporta i fondi inseriti nel campione, ripartiti per area geografica.
107
Tav. 1 – I fondi del campione
Azionari America
Azionari Italia
Anima America
Arca Azioni Italia
Arca Azioni America
Bim Azionario Italia
Bim Azionario USA
Bim Azionario Small Cap Italia
Bipiemme Americhe
Bipiemme Italia
Carige Azionario America
BNL Azioni Italia
Ducato Geo America
BPVi Azionario Italia
Eurizon Azioni PMI America
Carige Azionario Italia
Eurizon Focus Azioni America
Ducato Geo Italia
Fondersel America
Eurizon Azioni Italia 130/30
Gestielle America
Eurizon Azioni PMI Italia
Gestnord Azioni America
Eurizon Focus Azioni Italia
Mediolanum America 2000
Euromobiliare Azioni Italiane
Mediolanum Cristoforo Colombo
Fondersel Italia
Optima Azionario America
Gestielle Italia
Pioneer Azionario America
Gestnord Azioni Italia
Ubi Pramerica Azioni USA
Imi Italy
Vegagest Azionario America
Mediolanum Risparmio Italia Crescita Optima Azionario Italia
Azionari Area Euro
Optima Small Caps Italia Pioneer Azionario Crescita
Ducato Geo Euro Blue Chips
Ubi Pramerica Azioni Italia
Eurizon Focus Azioni Euro
Vegagest Azionario Italia
Ubi Pramerica Azioni Euro Vegagest Azionario Area Euro
Azionari Pacifico
Azionari Europa
Anima Asia Arca Azioni Far East
Anima Europa
Bipiemme Pacifico
Arca Azioni Europa
Ducato Geo Asia
Bim Azionario Europa
Ducato Geo Giappone
Bipiemme Europa
Eurizon Azioni Asia Nuove Economie
Bipiemme Iniziativa Europa
Eurizon Focus Azioni Pacifico
Carige Azionario Europa
Fondersel Oriente
Ducato Geo Europa
Gestielle Pacifico
Ducato Geo Europa PMI
Gestnord Azioni Pacifico
Eurizon Azioni PMI Europa
Mediolanum Ferdinando Magellano
Eurizon Focus Azioni Europa
Mediolanum Oriente 2000
Fondersel Europa
Optima Azionario Far East
Gestielle Europa
Pioneer Azionario Area Pacifico
108
Gestnord Azioni Europa
Ubi Pramerica Azioni Pacifico
Mediolanum Amerigo Vespucci
Vegagest Azionario Asia
Mediolanum Europa 2000 Optima Azionario Europa
Azionari Internazionali
Pioneer Azionario Europa Ubi Pramerica Azioni Europa
Anima Fondo Trading
Vegagest Azionario Europa
Arca Azioni Estere Bim Azionario Globale
Azionari Paesi Emergenti
Carige Azionario Internazionale Ducato Geo Globale
Anima Emerging Markets
Eurizon Focus Azioni Internazionali
Arca Azioni Paesi Emergenti
Euromobiliare Megatrend
Ducato Geo Paesi Emergenti
Gestielle Internazionale
Eurizon Focus Azioni Paesi Emergenti
Gestnord Azioni Trend Settoriali
Gestielle Emerging Markets
Mediolanum Azionario Top 100
Gestnord Azioni Paesi Emergenti
Mediolanum Borse Internazionali
Pioneer Azionario Paesi Emergenti
Optima Azionario Internazionale
Ubi Pramerica Azioni Mercati Emergenti
Ubi Pramerica Azioni Globali
La totalità dei fondi contemplati, gestiti da società di gestione di diritto italiano autorizzate da Banca d’Italia, dichiara nel prospetto informativo: di non replicare l’asset allocation del benchmark; di essere a gestione attiva. L’obiettivo del lavoro è quello di analizzare l’effettivo grado di attivismo della gestione di questo campione di fondi comuni. Per verificare ciò, si utilizzeranno due metodologie: si utilizzerà un modello bifattoriale1, secondo la quale l’andamento di un fondo è correlato con l’andamento di due particolari indici. Si effettuerà quindi una regressione lineare per individuare quanto e come i rendimenti dei benchmark spiegano i rendimenti ottenuti dal fondo e si utilizzerà il parametro R - quadro per valutare la 1
Il modello potrà essere unifattoriale o a tre fattori a seconda del numero di sotto – indici dichiarato nel prospetto.
109
correlazione tra il fondo e i benchmark. La scelta di utilizzare un modello bifattoriale è spiegato dal fatto che la quasi totalità dei fondi analizzati dichiara un benchmark composto da due diversi indici, uno riferito allo stile di investimento e il secondo relativo alla quota di risorse investita in liquidità ;  si provvederà a determinare i valori di Tracking Error e Tracking Error Volatility, al fine di determinare la dispersione dei differenziali di rendimento tra il fondo e il benchmark. A seconda del valore assunto dalla TEV del fondo si potrà definire lo stile di gestione adottato. Il periodo di analisi corrisponde al quinquennio che inizia nel gennaio 2004 e termina nel dicembre 2008.
4.2 L’analisi dello stile di gestione tramite modello di regressione La prima metodologia utilizzata per valutare il grado di attivismo dei gestori di fondi comuni prevede l’utilizzo di un modello bifattoriale che deriva dal modello asset factor utilizzato da Sharpe nella sua style analysis2. Il modello bifattoriale per la regressione dei rendimenti è del tipo: đ?‘&#x;đ?‘“đ?‘œđ?‘›đ?‘‘đ?‘œ = đ?‘?1 ∙ đ?‘&#x;đ?‘?đ?‘’đ?‘›đ?‘? đ?‘•đ?‘šđ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘˜ 1 + đ?‘?2 ∙ đ?‘&#x;đ?‘?đ?‘’đ?‘›đ?‘? đ?‘•đ?‘šđ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘˜ 2 + đ?œ€
(1)
dove đ?‘&#x;đ?‘“đ?‘œđ?‘›đ?‘‘đ?‘œ e đ?‘&#x;đ?‘?đ?‘’đ?‘›đ?‘? đ?‘•đ?‘šđ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘˜ sono i rendimenti conseguiti rispettivamente dal fondo e dai benchmark, đ?‘?1 e đ?‘?2 i coefficiente di regressione che esprimono l’esposizione del fondo ai due benchmark e đ?œ€ la componente residua. Per effettuare le regressioni necessarie all’analisi è stato utilizzato il programma Eviews. 2
William F. Sharpe, “Asset allocation: management style and performance measurement�, Journal of Portfolio Management, 1992.
110
I rendimenti del fondo e dei benchmark rappresentano i dati di input per il modello. I dati si riferiscono ai rendimenti mensili ottenuti dal fondo e dai benchmark nel periodo gennaio 2004 – dicembre 2008. Per la precisione, si è optato per l’utilizzo dei rendimenti relativi, determinati tramite la seguente formula: đ?‘&#x;đ?‘Ą =
đ?‘ đ??´đ?‘‰đ?‘Ą đ?‘ đ??´đ?‘‰đ?‘Ąâˆ’1
−1
(2)
dove đ?‘ đ??´đ?‘‰đ?‘Ą e đ?‘ đ??´đ?‘‰đ?‘Ąâˆ’1 rappresentano i valori assunti dalle quote del fondo nel tempo t e nel tempo precedente t – 1. Come esempio proponiamo la regressione del fondo Gestnord Azioni Italia, un fondo comune di diritto italiano gestito da Sella Gestioni SGR e classificato come Azionario Italia. Il gestore dichiara nel prospetto informativo di utilizzare come benchmark l’indice Comit Performance R, rappresentativo dell’andamento del mercato azionario italiano, e l’indice MTS Monetario. La tavola 2 riporta i rendimenti storici conseguiti dal fondo e dai suoi benchmark.
Tav. 2 – I rendimenti storici del fondo e del benchmark. Mese gen-04 feb-04 mar-04 apr-04 mag-04 giu-04 lug-04 ago-04 set-04 ott-04 nov-04 dic-04
Gestnord Azioni Comit Perf R Italia 2.43% 3,12% 0.46% 1,14% -2.15% -2,13% 3.04% 3,58% 0.04% -0,05% 2.94% 3,84% -1.76% -1,73% -1.68% -1,78% 2.35% 3,30% 2.55% 3,18% 2.46% 3,09% 4.51% 5,17%
111
MTS Monetario 0,16% 0,16% 0,18% 0,17% 0,17% 0,18% 0,17% 0,17% 0,18% 0,17% 0,18% 0,18%
gen-05 feb-05 mar-05 apr-05 mag-05 giu-05 lug-05 ago-05 set-05 ott-05 nov-05 dic-05 gen-06 feb-06 mar-06 apr-06 mag-06 giu-06 lug-06 ago-06 set-06 ott-06 nov-06 dic-06 gen-07 feb-07 mar-07 apr-07 mag-07 giu-07 lug-07 ago-07 set-07 ott-07 nov-07 dic-07 gen-08 feb-08 mar-08 apr-08 mag-08 giu-08 lug-08 ago-08
1.62% 0.57% 0.48% -3.26% 2.97% 2.01% 3.23% -0.65% 3.61% -5.57% 3.07% 2.91% 3.19% 2.96% 1.36% 0.57% -3.60% 0.59% 0.22% 2.75% 1.34% 3.24% 2.01% 2.42% 1.52% -1.40% 1.67% 4.30% 1.09% -1.58% -3.26% -1.33% -0.70% 1.89% -4.17% -1.36% -9.82% -1.26% -4.87% 5.42% 1.67% -9.28% -2.91% 1.82%
2,37% 1,11% 1,16% -3,23% 4,11% 2,94% 4,13% -0,35% 4,56% -6,80% 3,48% 3,64% 3,86% 3,48% 1,80% 1,21% -3,79% 0,88% 0,74% 3,45% 1,21% 3,65% 2,30% 2,83% 1,88% -1,84% 1,95% 4,96% 1,12% -1,90% -3,98% -0,96% -0,84% 2,06% -4,95% -1,43% -11,64% -1,19% -5,54% 6,80% 1,54% -10,90% -4,10% 2,10%
112
0,16% 0,16% 0,19% 0,17% 0,17% 0,18% 0,17% 0,19% 0,18% 0,16% 0,18% 0,19% 0,19% 0,18% 0,23% 0,21% 0,23% 0,24% 0,23% 0,27% 0,24% 0,27% 0,30% 0,28% 0,31% 0,28% 0,32% 0,33% 0,35% 0,32% 0,34% 0,38% 0,31% 0,35% 0,36% 0,33% 0,36% 0,33% 0,33% 0,37% 0,34% 0,34% 0,39% 0,35%
set-08 ott-08 nov-08 dic-08
-9.78% -12.15% -4.26% -2.29%
-11,79% -15,33% -5,42% -2,88%
0,48% 0,28% 0,24% 0,25%
Una volta ottenuti i dati di input, si pongono i rendimenti del fondo come variabile dipendente e i rendimenti dei benchmark come variabili indipendenti o esplicative del modello di regressione. Impostando questa analisi utilizzando Eviews si ottiene che la funzione di regressione del fondo è: đ?‘&#x;đ?‘”đ?‘’đ?‘ đ?‘Ąđ?‘›đ?‘œđ?‘&#x;đ?‘‘
������
= 0,8312 ∙ đ?‘&#x;đ?‘?đ?‘œđ?‘šđ?‘–đ?‘Ą
đ?‘?đ?‘’đ?‘&#x;đ?‘“ đ?‘&#x;
+ 1,1705 ∙ đ?‘&#x;đ?‘šđ?‘Ąđ?‘ đ?‘šđ?‘œđ?‘› đ?‘’đ?‘Ąđ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘–đ?‘œ − 0,0038
Per verificare la bontĂ del modello di regressione si può ricorrere all’indicatore R – quadro (đ?‘…2 ). Nel caso in esame, tale indicatore assume il valore đ?‘…2 = 0,9954. Il valore di R – quadro è molto elevato e, dal punto di vista statistico, indica che il modello di regressione è molto buono: infatti il 99,54% dei rendimenti conseguiti dal fondo sono spiegati dai rendimenti ottenuti dai benchmark. Riprendendo Sharpe e la style analysis, il valore di R – quadro può essere interpretato come il grado di “aderenzaâ€? dello stile gestionale adottato dalla SGR per la conduzione del fondo con il benchmark. Un valore elevato di R – quadro indica che il fondo ha avuto un andamento molto simile a quello del benchmark di riferimento: la conclusione che è possibile trarre è che il gestore ha di fatto replicato l’andamento (e di conseguenza la composizione o asset allocation) del benchmark, contribuendo in minima parte ai differenziali di rendimento. Tanto maggiore è il valore di R – quadro, tanto maggiore è l’aderenza del fondo al benchmark e di conseguenza tanto minore è il contributo del gestore al rendimento del fondo.
113
Il complemento a 1 di R – quadro (ossia 1 − đ?‘…2 ) rappresenta quella porzione dei rendimenti che non è spiegata dall’andamento dei benchmark e che quindi può essere direttamente attribuibile al gestore. Esso quindi può essere assunto come indicatore per misurare il grado di attivismo del gestore e il contributo che la sua attivitĂ di analisi e selezione dei titoli apporta alla performance del fondo.
4.3 Gli indici Prima di effettuare l’analisi di regressione per tutti i fondi inclusi nel campione consideriamo la grande varietà di benchmark che verranno presi come riferimento. Gli indici finanziari utilizzati come benchmark dai gestori di fondi di tutto il mondo sono molto numerosi e variegati. Essi vengono elaborati dalle principali banche d’investimento o da società di analisi dei mercati finanziari e si distinguono sia per il mercato che essi rappresentano sia per le modalità con le quali vengono costruiti. Nel presente lavoro vengono considerati gli indici di benchmark dichiarati dai gestori3 nel prospetto informativo dei fondi da essi gestiti. Tuttavia non è stato possibile rilevare i rendimenti relativi ad alcuni di questi benchmark, per cui si è scelto di utilizzare in loro vece un altro indice. In particolare:  gli indici geografici Standard&Poor’s All World sono stati sostituiti dagli indici geografici Morgan Stanley Capital International;  gli indici obbligazionari Merrill Lynch relativi al rendimento delle obbligazioni emesse nell’area Euro e in Italia sono stati sostituiti rispettivamente da EuroMTS Index e MTS Bot lordo. 3
Vi sono alcune eccezioni dovute a problemi relativi al reperimento dei dati.
114
Inoltre alcuni fondi dichiarano esclusivamente l’indice azionario di riferimento, senza includere un benchmark relativo alla quota di portafoglio investita in liquidità. Per questi fondi si è pertanto ricorso ad un modello unifattoriale. Altri fondi, precisamente quelli che investono in azioni di società a media o piccola capitalizzazione (mid – small cap), individuano invece un benchmark composto da tre diversi indici. Nella tavola 3 sono riportate le caratteristiche degli indici utilizzati dai gestori come benchmark dei fondi da essi gestiti.
Tav. 3 – Gli indici di benchmark.
Indici azionari Standard&Poor's 500 MSCI North America MSCI USA Russell 2000 MSCI EMU DJ Eurostoxx 50 DJ Eurostoxx MSCI Europe MSCI Europe Small Caps DJ Stoxx 600 MSCI World Standard&Poor's Global 100 Comit Performance R MSCI Italy Mib R FTSE Italia All Share Midex FTSE Italia All Star FTSE Italia Mid Cap MSCI Pacific MSCI Pacific ex Japan MSCI Japan MSCI Emerging Markets Indici obbligazionari Merrill Lynch Euro Government Bill Index EuroMTS MTS Bot lordo MTS Monetario
115
4.4 I risultati della regressione La tavola 4 riporta i risultati ottenuti tramite il modello di regressione. I fondi sono stati classificati a seconda del grado di aderenza al proprio benchmark, ossia per valore di R – quadro ottenuto tramite la regressione.
Tav. 4 – I valori di R – quadro dei fondi.
Fondo Arca Azioni Italia Optima Azionario Italia Gestnord Azioni Italia Fondersel Europa Arca Azioni Paesi Emergenti Eurizon Focus Azioni America Imi Italy Arca Azioni Europa Ubi Pramerica Azioni Mercati Emergenti Eurizon Focus Azioni Italia Optima Azionario Europa Gestielle Emerging Markets Gestnord Azioni Paesi Emergenti Ducato Geo Paesi Emergenti Ducato Geo Asia Eurizon Focus Azioni Internazionali Gestnord Azioni Europa Eurizon Focus Azioni Paesi Emergenti Ducato Geo Italia Eurizon Focus Azioni Europa Gestielle Pacifico Vegagest Azionario America Arca Azioni Estere BPVi Azionario Italia Optima Azionario Internazionale Eurizon Azioni PMI Europa Bipiemme Europa Ubi Pramerica Azioni Globali Eurizon Azioni Italia 130/30 Eurizon Focus Azioni Euro Euromobiliare Azioni Italiane Arca Azioni America Gestnord Azioni America Ducato Geo Europa PMI Arca Azioni Far East
Classificazione Az. Italia Az. Italia Az. Italia Az. Europa Az. Paesi Emerg Az. America Az. Italia Az. Europa Az. Paesi Emerg Az. Italia Az. Europa Az. Paesi Emerg Az. Paesi Emerg Az. Paesi Emerg Az. Pacifico Az. Internazionale Az. Europa Az. Paesi Emerg Az. Italia Az. Europa Az. Pacifico Az. America Az. Internazionale Az. Italia Az. Internazionale Az. Europa Az. Europa Az. Internazionale Az. Italia Az. Area Euro Az. Italia Az. America Az. America Az. Europa Az. Pacifico
116
R - quadro 0,997464 0,996120 0,995455 0,993841 0,993773 0,993417 0,993382 0,991995 0,991687 0,990885 0,990253 0,989697 0,988934 0,987879 0,987144 0,986235 0,986035 0,985125 0,985118 0,984552 0,984368 0,983770 0,983717 0,982589 0,982358 0,981362 0,981261 0,980493 0,979986 0,979685 0,979206 0,979194 0,978552 0,977786 0,977763
Carige Azionario Europa Mediolanum Europa 2000 Mediolanum Amerigo Vespucci Optima Small Caps Italia Ducato Geo America Vegagest Azionario Area Euro Ducato Geo Euro Blue Chips Ducato Geo Europa Optima Azionario America Mediolanum Risparmio Italia Crescita Optima Azionario Far East Pioneer Azionario Paesi Emergenti Gestielle Europa Mediolanum America 2000 Ducato Geo Giappone Vegagest Azionario Italia Pioneer Azionario Europa Gestielle Internazionale Vegagest Azionario Europa Ubi Pramerica Azioni Italia Fondersel Italia Bipiemme Pacifico Bim Azionario Italia Gestnord Azioni Trend Settoriali Gestielle Italia Gestnord Azioni Pacifico Mediolanum Borse Internazionali Bipiemme Italia Carige Azionario Italia BNL Azioni Italia Eurizon Azioni PMI Italia Mediolanum Cristoforo Colombo Mediolanum Oriente 2000 Ubi Pramerica Azioni Pacifico Bipiemme Americhe Ubi Pramerica Azioni USA Ducato Geo Globale Mediolanum Ferdinando Magellano Gestielle America Pioneer Azionario Crescita Anima Europa Ubi Pramerica Azioni Euro Carige Azionario America Mediolanum Azionario Top 100 Bim Azionario Europa Bim Azionario Small Cap Italia Anima Fondo Trading Anima Emerging Markets Pioneer Azionario Area Pacifico Bim Azionario Globale Bim Azionario USA Eurizon Focus Azioni Pacifico
Az. Europa Az. Europa Az. Europa Az. Italia Az. America Az. Area Euro Az. Area Euro Az. Europa Az. America Az. Italia Az. Pacifico Az. Paesi Emerg Az. Europa Az. America Az. Pacifico Az. Italia Az. Europa Az. Internazionale Az. Europa Az. Italia Az. Italia Az. Pacifico Az. Italia Az. Internazionale Az. Italia Az. Pacifico Az. Internazionale Az. Italia Az. Italia Az. Italia Az. Italia Az. America Az. Pacifico Az. Pacifico Az. America Az. America Az. Internazionale Az. Pacifico Az. America Az. Italia Az. Europa Az. Area Euro Az. America Az. Internazionale Az. Europa Az. Italia Az. Internazionale Az. Paesi Emerg Az. Pacifico Az. Internazionale Az. America Az. Pacifico
117
0,976705 0,976445 0,975192 0,973131 0,972231 0,971358 0,969987 0,968922 0,968185 0,968061 0,967903 0,966101 0,965885 0,965640 0,961987 0,961826 0,960485 0,956313 0,955518 0,955308 0,953335 0,951321 0,949168 0,947676 0,946857 0,942525 0,940464 0,939250 0,938058 0,933541 0,933170 0,930423 0,928657 0,927997 0,923980 0,920987 0,919649 0,919543 0,918797 0,918752 0,915982 0,914626 0,913762 0,912291 0,905064 0,904468 0,902228 0,901362 0,881835 0,875834 0,868842 0,857956
Eurizon Azioni Asia Nuove Economie Vegagest Azionario Asia Anima Asia Bipiemme Iniziativa Europa Fondersel Oriente Fondersel America Carige Azionario Internazionale Pioneer Azionario America Ubi Pramerica Azioni Europa Anima America Eurizon Azioni PMI America Euromobiliare Megatrend
Az. Pacifico Az. Pacifico Az. Pacifico Az. Europa Az. Pacifico Az. America Az. Internazionale Az. America Az. Europa Az. America Az. America Az. Internazionale
0,852552 0,850711 0,846048 0,843971 0,837934 0,832459 0,830854 0,811725 0,786543 0,785218 0,782780 0,710844
Precedentemente si è evidenziata l’importanza del valore assunto dall’indicatore R – quadro come indice del grado di attivismo dei gestori. A tal proposito è possibile ripartire i fondi a seconda di questo valore individuando quattro diversi intervalli di valore a cui corrisponde un particolare stile gestionale:  i fondi che hanno assunto un valore di R – quadro inferiore a 0,80 (tale che �2 ≤ 0,799 ) possono essere definiti come fondi a gestione decisamente attiva, in quanto il gestore, pur dichiarando un certo benchmark, ha conseguito dei rendimenti significativamente differenti da esso;  i fondi che hanno assunto un valore di R – quadro compreso tra 0,80 e 0,899 (tale che 0,80 ≤ �2 ≤ 0,899 ) sono definiti come fondi a gestione attiva, nei quali il gestore si è discostato in maniera rilevante dall’allocazione del benchmark di riferimento;  i fondi che hanno assunto un valore di R – quadro compreso tra 0,90 e 0,949 (tale che 0,90 ≤ �2 ≤ 0,949 ) sono definiti come fondi a gestione semiattiva o parzialmente indicizzata, in cui i gestori hanno
118
replicato parzialmente l’allocazione del benchmark discostandosene in maniera non significativa;  i fondi che hanno assunto un valore di R – quadro compreso tra 0,95 e 0,99 (tale che 0,95 ≤ �2 ≤ 0,99) sono definiti come fondi a gestione passiva, poichÊ hanno replicato significativamente l’asset allocation del benchmark di riferimento e conseguito un rendimento molto simile. La tavola 5 mostra la ripartizione dei fondi sulla base dei quattro intervalli di R – quadro.
Tav. 5 – La ripartizione dei fondi in base a R – quadro.
R - quadro N. fondi 0,000 0,799 4 0,800 0,899 12 0,900 0,949 26 0,950 0,999 57 99
% 4,04% 12,12% 26,26% 57,58% 100,00%
Appare evidente che la maggior parte dei fondi, nonostante sia dichiaratamente a gestione attiva, si è rivelata a gestione passiva o semiattiva. Infatti ben 83 fondi su 99 (pari a 83,84%) hanno replicato piÚ o meno significativamente l’allocazione del benchmark, discostandosene poco o nulla. Solo 16 fondi invece sono risultati effettivamente a gestione attiva: in particolare per 4 di essi lo stile gestionale è risultato decisamente attivo in quanto i gestori di sono discostati in maniera significativa dall’allocazione di portafoglio.
119
4.4.1 Gli azionari America Il sotto – campione relativo ai fondi azionari classificati America è composto da 17 fondi. I dati relativi a R – quadro sono quelli riportati in tavola 6.
Tav. 6 – I fondi azionari America.
Fondo
R - Quadro 0,78522 Anima America 0,97919 Arca Azioni America 0,86884 Bim Azionario USA 0,92398 Bipiemme Americhe 0,91376 Carige Azionario America 0,97223 Ducato Geo America 0,78278 Eurizon Azioni PMI America 0,99342 Eurizon Focus Azioni America 0,83246 Fondersel America 0,91880 Gestielle America 0,97855 Gestnord Azioni America 0,96564 Mediolanum America 2000 0,93042 Mediolanum Cristoforo Colombo 0,96819 Optima Azionario America 0,81173 Pioneer Azionario America 0,92099 Ubi Pramerica Azioni USA 0,98377 Vegagest Azionario America 0,91353
Media
Il valore medio di R – quadro assunto all’interno della categoria è stato di 0,91353. Di conseguenza i benchmark di riferimento spiegano in media il 91,353% dei rendimenti conseguiti dai gestori dei fondi America. Il dato è significativo, in quanto è molto prossimo al valore che discrimina una gestione semiattiva da una gestione attiva. La conclusione alla quale si può giungere è che i fondi America sono stati gestiti mediamente con un grado di 120
attivismo medio - basso. A conferma del dato si osserva infatti che solo 7 fondi su 17 (pari al 41,18%) si sono limitati a replicare passivamente l’andamento del proprio benchmark, mentre i rimanenti 10 si sono discostati più o meno dall’allocazione proposta dall’indice.
4.4.2 Gli azionari Area Euro Il campione degli azionari Area Euro comprende solamente 4 fondi. I risultati di R – quadro ottenuti dalle regressioni dei fondi in questione sono riportati nella tavola 7.
Tav. 7 – I fondi azionari Area Euro.
Fondo Ducato Geo Euro Blue Chips Eurizon Focus Azioni Euro Ubi Pramerica Azioni Euro Vegagest Azionario Area Euro Media
R - quadro 0,96999 0,97969 0,91463 0,97136 0,95891
Diversamente dai fondi azionari America, i fondi Area Euro sono molto omogenei al loro interno per quanto riguarda il valore di R – quadro. Infatti nessuno dei fondi considerati può essere definito a gestione attiva in quanto hanno tutti un valore di R – quadro superiore a 0,90, mentre sono uno può essere definito semiattivo. Inoltre il valore medio di 0,95891 indica che i fondi Area Euro sono stati più “aderenti” ai propri benchmark rispetto ai fondi America.
121
4.4.3 Gli azionari Paesi emergenti L’analisi di regressione degli 8 fondi d’investimento classificati come azionari Paesi Emergenti ha condotto a risultati molto simili a quelli visti per gli azionari Area Euro. La tavola 8 riporta infatti i dati relativi ai valori di R – quadro di questa sotto – categoria e risulta evidente che l’aderenza dei gestori dei fondi azionari Paesi emergenti è stata molto elevata. Il valore medio assunto da R – quadro all’interno della categoria è infatti molto elevato. Pertanto anche per questa categoria di fondi si può affermare che la totalità dei gestori inclusi nel campione ha adottato una strategia passiva rispetto ai benchmark di riferimento. L’unico valore “anomalo” di R – quadro è relativo al fondo Anima Emerging Markets, dove esso risulta pari a 0,90136. Tuttavia non è certo che tale fondo si sia discostato effettivamente dal proprio benchmark in quanto si è utilizzato per la regressione un indice diverso da quello dichiarato nel prospetto4.
4
Il fondo Anima Emerging Markets indica infatti l’indice S&P’s All World Emerging Markets come benchmark della propria gestione. Tuttavia, a causa dell’irreperibilità dei dati relativi a tale indice, si è utilizzato l’indice MSCI Emerging Markets, che dovrebbe rappresentare una buona proxy dell’andamento dell’indice S&P’s.
122
Tav. 8 – I fondi azionari Paesi Emergenti.
Fondo
R - quadro 0,90136 Anima Emerging Markets 0,99377 Arca Azioni Paesi Emergenti 0,98788 Ducato Geo Paesi Emergenti 0,98513 Eurizon Focus Azioni Paesi Emergenti 0,98970 Gestielle Emerging Markets 0,98893 Gestnord Azioni Paesi Emergenti 0,96610 Pioneer Azionario Paesi Emergenti 0,99169 Ubi Pramerica Azioni Mercati Emergenti 0,97557
Media
4.4.4 Gli azionari Italia Gli azionari Italia rappresentano il sotto – campione più numeroso e di conseguenza
tale
categoria
Assogestioni
è
quella
maggiormente
rappresentata nel presente lavoro. La tavola 9 riporta i risultati ottenuti grazie alla regressione dei rendimenti dei fondi azionari Italia presi in esame.
Tav. 9 – I fondi azionari Italia.
Fondo Arca Azioni Italia Bim Azionario Italia Bim Azionario Small Cap Italia Bipiemme Italia BNL Azioni Italia BPVi Azionario Italia Carige Azionario Italia Ducato Geo Italia Eurizon Azioni Italia 130/30 Eurizon Azioni PMI Italia
123
R - quadro 0,99746 0,94917 0,90447 0,93925 0,93354 0,98259 0,93806 0,98512 0,97999 0,93317
Vegagest Azionario Italia
0,99089 0,97921 0,95334 0,94686 0,99546 0,99338 0,96806 0,99612 0,97313 0,91875 0,95531 0,96183
Media
0,96251
Eurizon Focus Azioni Italia Euromobiliare Azioni Italiane Fondersel Italia Gestielle Italia Gestnord Azioni Italia Imi Italy Mediolanum Risparmio Italia Crescita Optima Azionario Italia Optima Small Caps Italia Pioneer Azionario Crescita Ubi Pramerica Azioni Italia
È immediatamente osservabile che i gestori dei fondi Italia hanno preferito replicare passivamente l’allocazione e l’andamento dei benchmark di riferimento. Infatti il valore medio di R – quadro è elevato (pari a 0,96251) e 14 fondi su 22 hanno presentato un andamento molto simile ai benchmark. inoltre è curioso evidenziare che nessuno di essi può dichiararsi effettivamente attivo, in quanto i rimanenti 8 fondi Italia sono stati a gestione semiattiva, discostandosi dal benchmark in maniera non significativa.
4.4.5 Gli azionari Europa Gli azionari Europa si differenziano dai fondi Area Euro per il fatto che i secondi, per regolamento, possono investire unicamente nelle azioni di società appartenenti all’area Euro, mentre gli azionari Europa possono allocare le proprie risorse anche in società di nazioni europee che non hanno adottato la moneta unica europea. Tuttavia la differenza tra queste classi di
124
fondi è minima, in quanto per i fondi Europa la quota di portafoglio investita in azioni non denominate in euro rappresenta una parte minoritaria rispetto a quella allocata in azioni denominate in euro. Per questo motivo i risultati ottenuti per i fondi Europa sono molto simili a quelli ricavati per i fondi Area Euro. Infatti all’interno del sotto – campione è stato rilevato un valore medio di R – quadro pari a 0,9535 che equivale al valore soglia tra una gestione rigorosamente passiva e una gestione semiattiva. La stragrande maggioranza dei fondi analizzati infatti è stata a gestione semiattiva e passiva, mentre solo 2 dei 19 fondi analizzati (corrispondente al 10,5% del gruppo) può definirsi a gestione attiva. La tavola 10 riporta i risultati della regressione per il gruppo dei fondi Europa.
Tav. 10 – I fondi Europa.
Fondo Anima Europa Arca Azioni Europa Bim Azionario Europa Bipiemme Europa Bipiemme Iniziativa Europa Carige Azionario Europa Ducato Geo Europa Ducato Geo Europa PMI Eurizon Azioni PMI Europa Eurizon Focus Azioni Europa Fondersel Europa Gestielle Europa Gestnord Azioni Europa Mediolanum Amerigo Vespucci Mediolanum Europa 2000 Optima Azionario Europa Pioneer Azionario Europa Ubi Pramerica Azioni Europa Vegagest Azionario Europa
125
R - quadro 0,91598 0,99199 0,90506 0,98126 0,84397 0,97670 0,96892 0,97779 0,98136 0,98455 0,99384 0,96588 0,98603 0,97519 0,97644 0,99025 0,96048 0,78654 0,95552
0,95357
Media
4.4.6 Gli azionari Pacifico Il mercato corrispondente all’area del Pacifico include una grande varietà di mercati azionari di grande importanza, come ad esempio le diverse Borse cinesi, giapponesi, del Sud Est asiatico e dell’Oceania. A causa della sua rilevanza mondiale, il mercato azionario giapponese viene considerato spesso a sé stante, separatamente dalle altre piazze asiatiche e del Pacifico. Tuttavia in questo gruppo sono stati inseriti sia fondi che investono nell’area Pacifico nel suo complesso sia fondi che investono nell’area Pacifico a esclusione del Giappone. Inoltre è stato inserito un fondo classificato come azionario Pacifico che investe esclusivamente sul mercato azionario giapponese. I risultati dell’analisi sono quelli riportati in tavola 11.
Tav. 11 – I fondi Pacifico.
Fondo
R - quadro 0,84605 Anima Asia 0,97776 Arca Azioni Far East 0,95132 Bipiemme Pacifico 0,98714 Ducato Geo Asia 0,96199 Ducato Geo Giappone 0,85255 Eurizon Azioni Asia Nuove Economie 0,85796 Eurizon Focus Azioni Pacifico 0,83793 Fondersel Oriente 0,98437 Gestielle Pacifico 0,94252 Gestnord Azioni Pacifico 0,91954 Mediolanum Ferdinando Magellano 0,92866 Mediolanum Oriente 2000
126
Vegagest Azionario Asia
0,96790 0,88183 0,92799 0,85071
Media
0,91726
Optima Azionario Far East Pioneer Azionario Area Pacifico Ubi Pramerica Azioni Pacifico
Il valore medio di R – quadro all’interno di questa categoria è relativamente basso rispetto alle altre categorie azionarie. Questo è dovuto al fatto che all’interno del campione osservato vi sono numerosi fondi che si sono rivelati a gestione attiva: infatti ben 6 fondi su 16 (pari al 37,5% del gruppo) presenta un valore di R – quadro inferiore a 0,90.
4.4.7 Gli azionari Internazionali
Gli azionari Internazionali sono una categoria di fondi mobiliari che possono investire in azioni di qualunque emittente. Sono considerati quindi dei fondi globali in quanto non hanno preferenze settoriali o geografiche. I risultati della regressione per questo sotto – campione di fondi sono mostrati nella tavola 12.
Tav. 12 – I fondi Internazionali.
Fondo Anima Fondo Trading Arca Azioni Estere Bim Azionario Globale Carige Azionario Internazionale Ducato Geo Globale
127
R - quadro 0,90223 0,98372 0,87583 0,83085 0,91965
Ubi Pramerica Azioni Globali
0,98623 0,71084 0,95631 0,94768 0,91229 0,94046 0,98236 0,98049
Media
0,91761
Eurizon Focus Azioni Internazionali Euromobiliare Megatrend Gestielle Internazionale Gestnord Azioni Trend Settoriali Mediolanum Azionario Top 100 Mediolanum Borse Internazionali Optima Azionario Internazionale
Il valore medio di R – quadro, pari a 0,9176, indica che la gestione dei fondi è stata mediamente semiattiva, con limitati scostamenti operati dai gestori. All’interno del campione si possono comunque individuare 3 fondi a gestione spiccatamente attiva e altri 3 fondi che invece si collocano tra una gestione attiva ed una semiattiva.
128
4.4.8 Considerazioni conclusive La tavola 13 riporta in sintesi il valore medio che R – quadro ha assunto nei vari sottocampioni.
Tav. 13 – I valori medi di R – quadro.
Categoria America Area Euro Europa Internazionali Italia Pacifico Paesi Emergenti Totale
R - quadro medio 0,91353 0,95891 0,95357 0,91761 0,96251 0,91726 0,97557 0,94008
La categoria di fondi che sembra sia stato gestito in maniera maggiormente passiva è l’azionario Paesi Emergenti, il quale registra un valore medio di R – quadro pari a 0,97557, mentre le categorie che hanno segnato il valore medio di R – quadro più ridotto sono stati l’azionario America (R – quadro pari a 0,91353), l’azionario Internazionali (R – quadro pari a 0,91761) e l’azionario Pacifico (0,91726). Le residue classi azionarie registrano un valore medio di R – quadro che si attesta intorno a 0,95 – 0,96. I risultati ottenuti indicano che in media la gestione dei fondi è stata prevalentemente passiva oppure semiattiva. Anche la categoria dei fondi America, Pacifico e Internazionali, pur avendo un valore di R – quadro inferiore alle altre categorie, non sono stati gestiti attivamente. I gestori si sono quindi limitati nella maggior parte dei casi a replicare i portafogli dei
129
benchmark dichiarati, con limitati e poco frequenti scostamenti da esso. Solo una piccola parte dei fondi può invece definirsi a gestione attiva. Le tavole 14 e 15 riportano la ripartizione dei fondi a seconda della classificazione geografica e del grado di attivismo della gestione.
Tav. 14 – Ripartizione dei fondi a seconda della classificazione e dello stile.
classificazione
stile di gestione Passiva
Semiattiva
Attiva
Decis. attiva
Totale
America
7
5
3
2
17
Area Euro
3
1
0
0
4
Europa
15
2
1
1
19
Internazionali
5
5
2
1
13
Italia
14
8
0
0
22
Pacifico
6
4
6
0
16
Paesi Emergenti
7
1
0
0
8
Totale
57
26
12
4
99
Tav. 15 – Ripartizione dei fondi a seconda della classificazione e dello stile (in %).
stile di gestione
classificazione
Passiva
Semiattiva
Attiva
Decis. attiva
Totale
America
7,07%
5,05%
3,03%
2,02%
17,17%
Area Euro
3,03%
1,01%
0,00%
0,00%
4,04%
15,15%
2,02%
1,01%
1,01%
19,19%
5,05%
5,05%
2,02%
1,01%
13,13%
14,14%
8,08%
0,00%
0,00%
22,22%
Pacifico
6,06%
4,04%
6,06%
0,00%
16,16%
Paesi Emergenti
7,07%
1,01%
0,00%
0,00%
8,08%
57,58%
26,26%
12,12%
4,04%
100,00%
Europa Internazionali Italia
Totale
130
Come si poteva facilmente prevedibile, i fondi a gestione attiva e decisamente attiva si concentrano nelle classi azionarie che hanno registrato il valore medio di R – quadro minore: 5 America, 3 Internazionali e 6 Pacifico. A questi 14 fondi si aggiungono i 2 fondi Europa. L’analisi dei fondi azionari tramite il modello di regressione presentato ha permesso di definire il grado di attivismo che il gestore ha effettivamente tenuto. Solo una minima parte di essi si è rivelata a gestione attiva, mentre si è scoperto che la grande maggioranza dei fondi è stata a gestione passiva.
4.5 L’analisi tramite Tracking Error Volatility (TEV) La seconda parte del capitolo si occupa di verificare il grado di aderenza della gestione del fondo con quella del benchmark e di conseguenza l’attivismo del gestore ricorrendo ai tracking error dei rendimenti e alla loro deviazione standard, definita come tracking error volatility. I tracking error di un fondo sono i differenziali tra i rendimenti del fondo e i rendimenti del benchmark. Valori positivi del tracking error indicano la capacitĂ del gestore di conseguire degli extra return rispetto al benchmark, mentre valori negativi evidenziano che il fondo sottoperforma rispetto al benchmark. Per effettuare l’analisi del grado di attivismo si è provveduto innanzitutto a determinare i valori dei tracking error mensili dei fondi nel campione, tramite la seguente formula: đ?‘‡đ??¸đ?‘Ą = đ?‘&#x;đ?‘“đ?‘œđ?‘›đ?‘‘đ?‘œ ,đ?‘Ą − đ?‘&#x;đ?‘?đ?‘’đ?‘›đ?‘? đ?‘•đ?‘šđ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘˜ ,đ?‘Ą
(3)
L’orizzonte temporale preso in esame è il medesimo visto per l’analisi tramite regressione: in totale per ciascun fondo si ha una serie storica dei 131
tracking error che comprende 60 osservazioni e che copre il periodo gennaio 2004 – dicembre 2008. Inoltre, per quanto riguarda i rendimenti dei benchmark, si è provveduto a costruire l’indice di riferimento utilizzando i pesi dichiarati dal gestore nel prospetto informativo. La quasi totalitĂ dei fondi infatti ha come benchmark un indice composto da due o piĂš sotto – indici, che tengono conto sia dell’andamento del mercato azionario di riferimento sia dell’andamento del mercato obbligazionario / monetario. Pertanto i rendimenti del benchmark sono stati determinati nel seguente modo: đ?‘&#x;đ?‘?đ?‘’đ?‘›đ?‘? đ?‘•đ?‘šđ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘˜ ,đ?‘Ą =
đ?‘› đ?‘–=1 đ?‘¤đ?‘– đ?‘&#x;đ?‘–,đ?‘Ą
(4)
dove:  đ?‘&#x;đ?‘?đ?‘’đ?‘›đ?‘? đ?‘•đ?‘šđ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘˜ ,đ?‘Ą è il rendimento del benchmark al tempo t valido ai fini del calcolo dei tracking error;  đ?‘&#x;đ?‘–,đ?‘Ą è il rendimento dell’indice i al tempo t;  đ?‘¤đ?‘– è il peso assunto dall’indice i all’interno del benchmark del fondo. Nella quasi totalitĂ dei casi esaminati il benchmark di riferimento è composto da due sotto – indici, per cui la formula per calcolare i rendimenti di riferimento risulta: đ?‘&#x;đ?‘?đ?‘’đ?‘›đ?‘? đ?‘•đ?‘šđ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘˜ ,đ?‘Ą = đ?‘¤đ?‘–đ?‘›đ?‘‘đ?‘–đ?‘?đ?‘’ 1 ∙ đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘›đ?‘‘ đ?‘–đ?‘?đ?‘’ 1,đ?‘Ą + đ?‘¤đ?‘–đ?‘›đ?‘‘đ?‘–đ?‘?đ?‘’ 2 ∙ đ?‘&#x;đ?‘–đ?‘›đ?‘‘đ?‘–đ?‘?đ?‘’ 2,đ?‘Ą
(5)
Una volta a disposizione la serie storica dei tracking error si è proceduto a calcolare la deviazione standard di essi, per ottenere il valore della tracking error volatility. Quest’ultima risulta pari a: đ?‘‡đ??¸đ?‘‰ = đ?œŽ đ?‘‡đ??¸đ?‘Ą =
1 �
132
� �=1
đ?‘‡đ??¸đ?‘Ą − đ?‘‡đ??¸
2
(6)
Il valore della tracking error volatility cosĂŹ ricavato è relativo alla volatilitĂ dei tracking error mensili e viene successivamente annualizzato tramite la seguente formula: đ?‘‡đ??¸đ?‘‰đ?‘Žđ?‘›đ?‘›đ?‘˘đ?‘Žđ?‘™đ?‘–đ?‘§đ?‘§đ?‘Žđ?‘Ąđ?‘œ = đ?‘‡đ??¸đ?‘‰ ∙ 12
(7)
In seguito, se non indicato diversamente, con il termine TEV ci si riferirĂ alla tracking error volatility annualizzata. L’indicatore TEV viene sovente utilizzato per determinare il grado di fedeltĂ con il quale il gestore ha tentato di replicare il benchmark di riferimento. Intuitivamente, un gestore passivo cercherĂ di ridurre al minimo gli scostamenti dal benchmark (in modo che đ?‘‡đ??¸đ?‘Ą = 0 ) e ottenere dei rendimenti in linea con quest’ultimo. Di conseguenza, un fondo gestito passivamente avrĂ una tracking error volatility tendente a zero. Per rendere piĂš chiara la metodologia utilizzata, si propone come esempio il fondo azionario Arca Azioni Italia. La tavola 16 riporta i rendimenti mensili conseguiti dal fondo, dal benchmark (composto secondo il prospetto al 95% dall’indice Comit Performance R e al 5% dall’indice Merrill Lynch Euro Government Bills Index5)
Tav. 16 – I tracking error del fondo Arca Azioni Italia.
Mese
Fondo
Benchmark
Tracking Error
gen-04
2,33%
2,98%
-0,65%
feb-04
0,81%
1,11%
-0,30%
mar-04
-1,82%
-2,00%
0,19%
apr-04
2,75%
3,38%
-0,63%
mag-04
-0,07%
-0,04%
-0,03%
giu-04
3,01%
3,65%
-0,65%
lug-04
-1,75%
-1,62%
-0,13%
5
A causa dell’irreperibilità dei dati relativi all’indice Merrill Lynch Euro Government Bills Index, si è optato per un indice proxy individuato in EuroMTS Index,
133
ago-04
-1,78%
-1,66%
-0,11%
set-04
2,46%
3,14%
-0,68%
ott-04
2,41%
3,05%
-0,64%
nov-04
2,37%
2,95%
-0,58%
dic-04
4,08%
4,92%
-0,84%
gen-05
1,80%
2,27%
-0,47%
feb-05
0,73%
1,06%
-0,33%
mar-05
0,75%
1,12%
-0,36%
apr-05
-3,03%
-3,03%
0,00%
mag-05
3,03%
3,93%
-0,89%
giu-05
2,13%
2,82%
-0,69%
lug-05
3,05%
3,89%
-0,84%
ago-05
-0,54%
-0,33%
-0,21%
set-05
3,57%
4,36%
-0,79%
ott-05
-5,37%
-6,49%
1,11%
nov-05
3,05%
3,32%
-0,27%
dic-05
3,13%
3,47%
-0,34%
gen-06
3,01%
3,67%
-0,66%
feb-06
2,75%
3,31%
-0,56%
mar-06
1,32%
1,70%
-0,38%
apr-06
0,80%
1,15%
-0,35%
mag-06
-3,36%
-3,58%
0,21%
giu-06
0,76%
0,83%
-0,06%
lug-06
0,48%
0,72%
-0,24%
ago-06
2,77%
3,29%
-0,52%
set-06
0,91%
1,15%
-0,24%
ott-06
2,96%
3,48%
-0,52%
nov-06
1,63%
2,20%
-0,57%
dic-06
2,28%
2,65%
-0,37%
gen-07
1,72%
1,83%
-0,11%
feb-07
-1,56%
-1,73%
0,17%
mar-07
1,51%
1,86%
-0,35%
apr-07
4,21%
4,71%
-0,50%
mag-07
0,84%
1,06%
-0,22%
giu-07
-1,24%
-1,80%
0,56%
lug-07
-3,10%
-3,75%
0,65%
ago-07
-1,07%
-0,87%
-0,20%
set-07
-0,61%
-0,78%
0,17%
ott-07
1,58%
1,98%
-0,40%
nov-07
-4,26%
-4,67%
0,40%
dic-07
-1,55%
-1,39%
-0,16%
gen-08
-9,83%
-10,96%
1,13%
feb-08
-1,20%
-1,09%
-0,11%
mar-08
-4,50%
-5,28%
0,78%
134
apr-08
5,38%
6,45%
-1,07%
mag-08
1,59%
1,43%
0,17%
giu-08
-9,00%
-10,35%
1,36%
lug-08
-3,48%
-3,86%
0,38%
ago-08
1,48%
2,04%
-0,55%
set-08
-9,70%
-11,14%
1,43%
ott-08
-13,19%
-14,49%
1,29%
nov-08
-3,96%
-5,12%
1,16%
dic-08
-2,41%
-2,71%
0,30%
La deviazione standard dei tracking error mensili è pari a 0,60%, di conseguenza la TEV annualizzata è 2,08%. A seconda del valore assunto dalla propria TEV, un fondo può essere definito a gestione passiva, semiattiva e attiva. A tal proposito si è elaborato uno schema di classificazione proposto da Vannucci6. Nello specifico: i fondi aventi una TEV inferiore a 3,5% possono essere definiti a gestione passiva; i fondi aventi una TEV compresa tra 3,5% e 5,5% possono essere definiti a gestione semiattiva o indicizzata; i fondi aventi una TEV superiore a 5,5% possono essere definiti a gestione attiva. Il fondo Arca Azioni Italia, che presenta una TEV pari a 2,08%, è quindi classificabile come un fondo a gestione passiva. Si sottolinea inoltre che il risultato al quale si è giunto tramite quest’analisi è il medesimo di quello ricavato tramite l’analisi di regressione.
6
Claudia Vannucci, “Gestione attiva e passiva nei fondi mobiliari italiani. Un’indagine empirica”, Rivista Bancaria 4/4.
135
4.5.1 I risultati dell’analisi La tavola 17 riporta i dati relativi alle tracking error volatility annualizzate dei fondi relativi al periodo gennaio 2004 – dicembre 2008.
Tav. 17 – Tracking error volatility dei fondi esaminati.
Fondo
TEV
Eurizon Focus Azioni Internazionali
1,63%
Vegagest Azionario America
1,77%
Ubi Pramerica Azioni Globali
1,80%
Imi Italy
1,87%
Eurizon Focus Azioni Italia
1,87%
Eurizon Focus Azioni America
1,91%
Mediolanum Europa 2000
1,91%
Gestnord Azioni Europa
2,04%
Bipiemme Europa
2,04%
Arca Azioni Estere
2,04%
Optima Azionario Internazionale
2,04%
Arca Azioni Italia
2,08%
Euromobiliare Azioni Italiane
2,08%
Eurizon Azioni Italia 130/30
2,15%
Arca Azioni America
2,18%
Arca Azioni Europa
2,18%
Carige Azionario Europa
2,18%
Mediolanum Amerigo Vespucci
2,18%
Optima Azionario Italia
2,18%
Gestnord Azioni Italia
2,18%
BPVi Azionario Italia
2,25%
Eurizon Focus Azioni Euro
2,29%
Mediolanum America 2000
2,32%
Optima Azionario Europa
2,32%
Ubi Pramerica Azioni Mercati Emergenti
2,36%
Optima Azionario America
2,39%
Ducato Geo Italia
2,39%
Fondersel Europa
2,42%
Mediolanum Risparmio Italia Crescita
2,46%
Ducato Geo Asia
2,49%
Arca Azioni Far East
2,56%
Vegagest Azionario Area Euro
2,60%
136
Eurizon Focus Azioni Europa
2,63%
Gestielle Europa
2,67%
Gestielle Pacifico
2,74%
Ducato Geo America
2,77%
Ducato Geo Europa
2,81%
Optima Azionario Far East
2,81%
Gestnord Azioni America
2,84%
Vegagest Azionario Europa
2,84%
Mediolanum Borse Internazionali
2,94%
Optima Small Caps Italia
3,04%
Vegagest Azionario Italia
3,05%
Gestnord Azioni Trend Settoriali
3,08%
Bipiemme Pacifico
3,08%
Ducato Geo Euro Blue Chips
3,12%
Eurizon Focus Azioni Paesi Emergenti
3,12%
Ducato Geo Giappone
3,15%
Gestnord Azioni Paesi Emergenti
3,15%
Gestielle Internazionale
3,19%
Bim Azionario Italia
3,19%
Arca Azioni Paesi Emergenti
3,22%
Mediolanum Cristoforo Colombo
3,29%
Bipiemme Americhe
3,29%
Ubi Pramerica Azioni Italia
3,29%
Mediolanum Azionario Top 100
3,33%
Gestielle Italia
3,33%
Gestielle Emerging Markets
3,39%
Fondersel Italia
3,43%
Ducato Geo Europa PMI
3,50%
Bipiemme Italia
3,50%
Gestnord Azioni Pacifico
3,50%
Gestielle America
3,60%
Carige Azionario America
3,60%
Ducato Geo Paesi Emergenti
3,60%
Pioneer Azionario Europa
3,64%
Ducato Geo Globale
3,64%
Ubi Pramerica Azioni USA
3,78%
Carige Azionario Italia
3,78%
Mediolanum Oriente 2000
3,91%
Anima Fondo Trading
4,02%
Ubi Pramerica Azioni Pacifico
4,02%
Pioneer Azionario Paesi Emergenti
4,05%
Bim Azionario Europa
4,23%
Anima Europa
4,26%
BNL Azioni Italia
4,30%
137
Ubi Pramerica Azioni Euro
4,33%
Eurizon Azioni PMI Europa
4,43%
Mediolanum Ferdinando Magellano
4,47%
Pioneer Azionario Crescita
4,50%
Bim Azionario Globale
4,57%
Bim Azionario USA
4,71%
Bipiemme Iniziativa Europa
4,75%
Eurizon Azioni PMI Italia
4,82%
Carige Azionario Internazionale
5,20%
Pioneer Azionario Area Pacifico
5,47%
Vegagest Azionario Asia
5,54%
Fondersel America
5,58%
Bim Azionario Small Cap Italia
5,96%
Eurizon Focus Azioni Pacifico
5,99%
Pioneer Azionario America
6,10%
Anima Asia
6,10%
Euromobiliare Megatrend
6,72%
Anima America
6,86%
Eurizon Azioni Asia Nuove Economie
6,93%
Eurizon Azioni PMI America
7,00%
Fondersel Oriente
7,38%
Ubi Pramerica Azioni Europa
7,90%
Anima Emerging Markets
8,69%
Facendo riferimento alla classificazione precedentemente proposta, si ottengono i seguenti risultati: 59 fondi su 99 si sono rivelati a gestione passiva, con una TEV inferiore a 3,5%; 27 fondi su 99 si sono dimostrati a gestione semiattiva, con una TEV compresa tra 3,5% e 5,5%; 13 fondi su 99 si sono mostrati a gestione attiva, con una TEV superiore a 5,5%. La figura 1 mostra graficamente la ripartizione dei fondi a seconda della gestione. È evidente la netta preponderanza dei fondi che nel periodo in esame si sono rivelati a gestione passiva o semiattiva. 138
Fig. 1 - La ripartizione del campione a seconda dello stile gestionale.
attivi 13%
semiattivi 27%
passivi 60%
Inoltre, se si pone il valore 5,5% come discriminante tra una gestione passiva ed una gestione attiva, risulta che 86 fondi su 99 possono essere considerati passivi, mentre attivi possono essere definiti i rimanenti 13.
Il passo successivo dell’analisi consiste osservare lo stile di gestione a seconda della classe azionaria considerata. Così come è stato fatto per l’analisi di regressione, vengono riportati i risultati dell’analisi della TEV per ciascuna classe azionaria. Le tavole da 18 a 24 mostrano i valori della TEV per i singoli fondi appartenenti a ciascuna delle categorie Assogestioni, mentre le tavole 25 e 26 riportano la ripartizione del campione per stile di gestione a seconda della TEV.
139
Tav. 18 – La TEV dei fondi America.
Fondo Anima America Arca Azioni America Bim Azionario USA Bipiemme Americhe Carige Azionario America Ducato Geo America Eurizon Azioni PMI America Eurizon Focus Azioni America Fondersel America Gestielle America Gestnord Azioni America Mediolanum America 2000 Mediolanum Cristoforo Colombo Optima Azionario America Pioneer Azionario America Ubi Pramerica Azioni USA Vegagest Azionario America Media
TEV 6,86% 2,18% 4,71% 3,29% 3,60% 2,77% 7,00% 1,91% 5,58% 3,60% 2,84% 2,32% 3,29% 2,39% 6,10% 3,78% 1,77% 3,76%
Tav. 19 – La TEV dei fondi Area Euro.
Fondo Eurizon Focus Azioni Euro Vegagest Azionario Area Euro Ducato Geo Euro Blue Chips Ubi Pramerica Azioni Euro Media
TEV 2,29% 2,60% 3,12% 4,33% 3,08%
140
Tav. 20 – La TEV dei fondi Europa.
Fondo Anima Europa Arca Azioni Europa Bim Azionario Europa Bipiemme Europa Bipiemme Iniziativa Europa Carige Azionario Europa Ducato Geo Europa Ducato Geo Europa PMI Eurizon Azioni PMI Europa Eurizon Focus Azioni Europa Fondersel Europa Gestielle Europa Gestnord Azioni Europa Mediolanum Amerigo Vespucci Mediolanum Europa 2000 Optima Azionario Europa Pioneer Azionario Europa Ubi Pramerica Azioni Europa Vegagest Azionario Europa Media
TEV 4,26% 2,18% 4,23% 2,04% 4,75% 2,18% 2,81% 3,50% 4,43% 2,63% 2,42% 2,67% 2,04% 2,18% 1,91% 2,32% 3,64% 7,90% 2,84% 3,21%
Tav. 21 – La TEV dei fondi Internazionali.
Fondo Anima Fondo Trading Arca Azioni Estere Bim Azionario Globale Carige Azionario Internazionale Ducato Geo Globale Eurizon Focus Azioni Internazionali Euromobiliare Megatrend Gestielle Internazionale Gestnord Azioni Trend Settoriali Mediolanum Azionario Top 100 Mediolanum Borse Internazionali Optima Azionario Internazionale Ubi Pramerica Azioni Globali Media
TEV 4,02% 2,04% 4,57% 5,20% 3,64% 1,63% 6,72% 3,19% 3,08% 3,33% 2,94% 2,04% 1,80% 3,40%
141
Tav. 22 – La TEV dei fondi Italia.
Fondo Arca Azioni Italia Bim Azionario Italia Bim Azionario Small Cap Italia Bipiemme Italia BNL Azioni Italia BPVi Azionario Italia Carige Azionario Italia Ducato Geo Italia Eurizon Azioni Italia 130/30 Eurizon Azioni PMI Italia Eurizon Focus Azioni Italia Euromobiliare Azioni Italiane Fondersel Italia Gestielle Italia Gestnord Azioni Italia Imi Italy Mediolanum Risparmio Italia Crescita Optima Azionario Italia Optima Small Caps Italia Pioneer Azionario Crescita Ubi Pramerica Azioni Italia Vegagest Azionario Italia Media
TEV 2,08% 3,19% 5,96% 3,50% 4,30% 2,25% 3,78% 2,39% 2,15% 4,82% 1,87% 2,08% 3,43% 3,33% 2,18% 1,87% 2,46% 2,18% 3,04% 4,50% 3,29% 3,05% 3,08%
Tav. 23 – La TEV dei fondi Pacifico.
Fondo Anima Asia Arca Azioni Far East Bipiemme Pacifico Ducato Geo Asia Ducato Geo Giappone Eurizon Azioni Asia Nuove Econ. Eurizon Focus Azioni Pacifico Fondersel Oriente Gestielle Pacifico Gestnord Azioni Pacifico Mediolanum Ferdinando Magellano Mediolanum Oriente 2000 Optima Azionario Far East Pioneer Azionario Area Pacifico Ubi Pramerica Azioni Pacifico Vegagest Azionario Asia
142
TEV 6,10% 2,56% 3,08% 2,49% 3,15% 6,93% 5,99% 7,38% 2,74% 3,50% 4,47% 3,91% 2,81% 5,47% 4,02% 5,54%
Media
4,38%
Tav. 24 – La TEV dei fondi Paesi Emergenti.
Fondo Anima Emerging Markets Arca Azioni Paesi Emergenti Ducato Geo Paesi Emergenti Eurizon Focus Azioni Paesi Emergenti Gestielle Emerging Markets Gestnord Azioni Paesi Emergenti Pioneer Azionario Paesi Emergenti Ubi Pramerica Azioni Mercati Emerg. Media
TEV 8,69% 3,22% 3,60% 3,12% 3,39% 3,15% 4,05% 2,36% 3,95%
Tav. 25 – La ripartizione del campione a seconda dello stile gestionale e della classificazione Assogestioni.
classificazione
stile di gestione Passiva
Semiattiva
Attiva
Totale
America
9
4
4
17
Area Euro
3
1
0
4
Europa
12
6
1
19
Internazionali
8
4
1
13
Italia
16
5
1
22
Pacifico
6
5
5
16
Paesi Emergenti
5
2
1
8
Totale
59
27
13
99
143
Tav. 26 – La ripartizione del campione a seconda dello stile gestionale e della classificazione Assogestioni.
classificazione
stile di gestione Passiva
Semiattiva
Attiva
Totale
America
9,09%
4,04%
4,04%
17,17%
Area Euro
3,03%
1,01%
0,00%
4,04%
Europa
12,12%
6,06%
1,01%
19,19%
Internazionali
8,08%
4,04%
1,01%
13,13%
Italia
16,16%
5,05%
1,01%
22,22%
Pacifico
6,06%
5,05%
5,05%
16,16%
Paesi Emergenti
5,05%
2,02%
1,01%
8,08%
Totale
59,60%
27,27%
13,13%
100,00%
4.6 Un confronto tra i risultati delle due metodologie I risultati ottenuti tramite l’analisi delle TEV sono molto simili a quelli che si sono ricavati mediante la regressione dei rendimenti dei fondi. La tavola 27 mostra un confronto tra i risultati delle due analisi.
Tav. 27 – Il confronto tra i risultati.
Fondo Anima America Anima Asia Anima Emerging Markets Anima Europa Anima Fondo Trading Arca Azioni America Arca Azioni Estere Arca Azioni Europa Arca Azioni Far East Arca Azioni Italia Arca Azioni Paesi Emergenti Bim Azionario Europa Bim Azionario Globale Bim Azionario Italia
R - quadro 0,785218 0,846048 0,901362 0,915982 0,902228 0,979194 0,983717 0,991995 0,977763 0,997464 0,993773 0,905064 0,875834 0,949168
144
TEV Esito R - quadro 6,86% attivo 6,10% attivo 8,69% semiattivo 4,26% semiattivo 4,02% semiattivo 2,18% passivo 2,04% passivo 2,18% passivo 2,56% passivo 2,08% passivo 3,22% passivo 4,23% semiattivo 4,57% attivo 3,19% semiattivo
Esito TEV attivo attivo attivo semiattivo semiattivo passivo passivo passivo passivo passivo passivo semiattivo semiattivo passivo
Bim Azionario Small Cap Italia Bim Azionario USA Bipiemme Americhe Bipiemme Europa Bipiemme Iniziativa Europa Bipiemme Italia Bipiemme Pacifico BNL Azioni Italia BPVi Azionario Italia Carige Azionario America Carige Azionario Europa Carige Azionario Internazionale Carige Azionario Italia Ducato Geo America Ducato Geo Asia Ducato Geo Euro Blue Chips Ducato Geo Europa Ducato Geo Europa PMI Ducato Geo Giappone Ducato Geo Globale Ducato Geo Italia Ducato Geo Paesi Emergenti Eurizon Azioni Asia Nuove Economie Eurizon Azioni Italia 130/30 Eurizon Azioni PMI America Eurizon Azioni PMI Europa Eurizon Azioni PMI Italia Eurizon Focus Azioni America Eurizon Focus Azioni Euro Eurizon Focus Azioni Europa Eurizon Focus Azioni Internazionali Eurizon Focus Azioni Italia Eurizon Focus Azioni Pacifico Eurizon Focus Azioni Paesi Emergenti Euromobiliare Azioni Italiane Euromobiliare Megatrend Fondersel America Fondersel Europa Fondersel Italia Fondersel Oriente Gestielle America Gestielle Emerging Markets Gestielle Europa Gestielle Internazionale Gestielle Italia Gestielle Pacifico Gestnord Azioni America Gestnord Azioni Europa Gestnord Azioni Italia Gestnord Azioni Pacifico Gestnord Azioni Paesi Emergenti Gestnord Azioni Trend Settoriali
0,904468 0,868842 0,92398 0,981261 0,843971 0,93925 0,951321 0,933541 0,982589 0,913762 0,976705 0,830854 0,938058 0,972231 0,987144 0,969987 0,968922 0,977786 0,961987 0,919649 0,985118 0,987879 0,852552 0,979986 0,78278 0,981362 0,93317 0,993417 0,979685 0,984552 0,986235 0,990885 0,857956 0,985125 0,979206 0,710844 0,832459 0,993841 0,953335 0,837934 0,918797 0,989697 0,965885 0,956313 0,946857 0,984368 0,978552 0,986035 0,995455 0,942525 0,988934 0,947676
145
5,96% 4,71% 3,29% 2,04% 4,75% 3,50% 3,08% 4,30% 2,25% 3,60% 2,18% 5,20% 3,78% 2,77% 2,49% 3,12% 2,81% 3,50% 3,15% 3,64% 2,39% 3,60% 6,93% 2,15% 7,00% 4,43% 4,82% 1,91% 2,29% 2,63% 1,63% 1,87% 5,99% 3,12% 2,08% 6,72% 5,58% 2,42% 3,43% 7,38% 3,60% 3,39% 2,67% 3,19% 3,33% 2,74% 2,84% 2,04% 2,18% 3,50% 3,15% 3,08%
semiattivo attivo semiattivo passivo attivo semiattivo passivo semiattivo passivo semiattivo passivo attivo semiattivo passivo passivo passivo passivo passivo passivo semiattivo passivo passivo attivo passivo attivo passivo semiattivo passivo passivo passivo passivo passivo attivo passivo passivo attivo attivo passivo passivo attivo semiattivo passivo passivo passivo semiattivo passivo passivo passivo passivo semiattivo passivo semiattivo
attivo semiattivo passivo passivo semiattivo semiattivo passivo semiattivo passivo semiattivo passivo semiattivo semiattivo passivo passivo passivo passivo semiattivo passivo semiattivo passivo semiattivo attivo passivo attivo semiattivo semiattivo passivo passivo passivo passivo passivo attivo passivo passivo attivo attivo passivo passivo attivo semiattivo passivo passivo passivo passivo passivo passivo passivo passivo semiattivo passivo passivo
Imi Italy Mediolanum America 2000 Mediolanum Amerigo Vespucci Mediolanum Azionario Top 100 Mediolanum Borse Internazionali Mediolanum Cristoforo Colombo Mediolanum Europa 2000 Mediolanum Ferdinando Magellano Mediolanum Oriente 2000 Mediolanum Risparmio Italia Crescita Optima Azionario America Optima Azionario Europa Optima Azionario Far East Optima Azionario Internazionale Optima Azionario Italia Optima Small Caps Italia Pioneer Azionario America Pioneer Azionario Area Pacifico Pioneer Azionario Crescita Pioneer Azionario Europa Pioneer Azionario Paesi Emergenti Ubi Pramerica Azioni Euro Ubi Pramerica Azioni Europa Ubi Pramerica Azioni Globali Ubi Pramerica Azioni Italia Ubi Pramerica Azioni Mercati Emergenti Ubi Pramerica Azioni Pacifico Ubi Pramerica Azioni USA Vegagest Azionario America Vegagest Azionario Area Euro Vegagest Azionario Asia Vegagest Azionario Europa Vegagest Azionario Italia
0,993382 0,965640 0,975192 0,912291 0,940464 0,930423 0,976445 0,919543 0,928657 0,968061 0,968185 0,990253 0,967903 0,982358 0,996120 0,973131 0,811725 0,881835 0,918752 0,960485 0,966101 0,914626 0,786543 0,980493 0,955308 0,991687 0,927997 0,920987 0,983770 0,971358 0,850711 0,955518 0,961826
1,87% 2,32% 2,18% 3,33% 2,94% 3,29% 1,91% 4,47% 3,91% 2,46% 2,39% 2,32% 2,81% 2,04% 2,18% 3,04% 6,10% 5,47% 4,50% 3,64% 4,05% 4,33% 7,90% 1,80% 3,29% 2,36% 4,02% 3,78% 1,77% 2,60% 5,54% 2,84% 3,05%
passivo passivo passivo semiattivo semiattivo semiattivo passivo semiattivo semiattivo passivo passivo passivo passivo passivo passivo passivo attivo attivo semiattivo passivo passivo semiattivo attivo passivo passivo passivo semiattivo semiattivo passivo passivo attivo passivo passivo
passivo passivo passivo passivo passivo passivo passivo semiattivo semiattivo passivo passivo passivo passivo passivo passivo passivo attivo semiattivo semiattivo semiattivo semiattivo semiattivo attivo passivo passivo passivo semiattivo semiattivo passivo passivo attivo passivo passivo
In 80 casi su 99 entrambe le analisi hanno condotto allo stesso risultato: se un fondo è stato giudicato passivo secondo il modello di regressione, lo è stato anche per l’analisi TEV. I due metodi di analisi comunque si poggiano su ipotesi differenti e valutano lo stile di gestione basandosi sul valore assunto da due indicatori completamente
differenti.
Pertanto
possono
condurre
a
risultati
leggermente differenti, che comunque non inficiano la validità di entrambe le metodologie. 146
Nel campione analizzato vi sono 19 fondi per i quali le metodologie utilizzate hanno portato a risultati diversi; tuttavia in nessun caso si è avuto un “ribaltamento” del risultato delle due analisi, ossia che un fondo sia risultato passivo per l’analisi di regressione e attivo per la TEV o viceversa. Infatti: 4 fondi definiti a gestione attiva secondo l’analisi di regressione sono risultati a gestione semiattiva; 3 fondi definiti a gestione passiva secondo l’analisi di regressione sono risultati a gestione semiattiva; 5 fondi definiti a gestione semiattiva secondo l’analisi di regressione sono risultati a gestione passiva; 2 fondi definiti a gestione semiattiva secondo l’analisi di regressione sono risultati a gestione attiva. La tavola 28 riporta in sintesi i risultati dell’analisi del presente lavoro.
Tav. 28 – I risultati delle analisi.
Analisi di regressione N. di fondi a gestione attiva N. di fondi a gestione passiva N. di fondi a gestione semiattiva Analisi della tracking error volatility N. di fondi a gestione attiva N. di fondi a gestione passiva N. di fondi a gestione semiattiva
147
16 26 57 13 27 59
4.7 Conclusioni Il presente lavoro si è posto come obiettivo l’analisi del grado di attivismo che ha caratterizzato la gestione del campione di fondi preso in esame. Sono molto numerosi gli studi condotti per la valutazione dello stile gestionale perseguito dai fondi ma che a causa delle metodologie differenti hanno portato a risultati diversi e non definitivi. Questa tesi si inserisce all’interno di questi lavori e propone la valutazione dello stile gestione mediante due determinate modalità di analisi, ossia il modello di regressione e la tracking error volatility. Le analisi hanno condotto al risultato che la maggior parte dei fondi azionari di diritto italiano sono stati a gestione passiva, nonostante nel prospetto informativo sia stata dichiarata l’intenzione di discostarsi, anche significativamente, dal portafoglio del benchmark. Infatti quasi il 60% dei fondi analizzati si è mostrato molto fedele al proprio benchmark e ciò indica che l’attività di gestione da parte della SGR si è limitata a replicare l’asset allocation e l’andamento del portafoglio di riferimento. Solo nel 13%-16% circa dei fondi analizzati si è evidenziato un grado di attivismo significativo da parte dei gestori tale da poter considerare quei fondi come fondi a gestione attiva. Nel rimanente 26%-27% dei fondi in esame si è invece registrato un grado di attivismo non sufficientemente significativo da poter considerare tali fondi come fondi a gestione attiva: infatti i gestori sono intervenuti limitatamente
nell’asset
allocation
del
portafoglio,
discostandolo
leggermente da quello del benchmark. Inoltre lo stile di gestione varia a seconda della classe azionaria dei fondi analizzata. Il campione preso in esame non vuole sicuramente essere
148
esaustivo, ma è rappresentativo dell’offerta delle diverse classi di fondi di investimento sul mercato italiano. L’analisi ha condotto alla conclusione che vi sono alcune categorie di fondi che risultano maggiormente attive rispetto alle altre. Come mostrato nella tavola 29, che riporta i valori medi assunti da R – quadro e TEV per ciascuna delle classi azionarie.
Tav. 29 – I valori medi di R – quadro e TEV delle classi Assogestioni. Media America Area Euro Europa Internazionali Italia Pacifico Paesi Emergenti
R - quadro 0,91353 0,95891 0,95357 0,91761 0,96251 0,91726 0,97557
TEV 3,76% 3,08% 3,21% 3,40% 3,08% 4,38% 3,95%
I risultati evidenziano che i fondi azionari America, Internazionali e Pacifico sono stati gestiti in maniera più attiva rispetto alle altre classi. È inoltre da rilevare che la classe di fondi Paesi Emergenti è risultata in media a gestione passiva per l’analisi di regressione e a gestione semiattiva per l’analisi TEV. Tale stranezza è spiegato dalla presenza di un fondo all’interno di tale categoria che presenta una tracking error volatility molto elevata che contribuisce ad innalzare il valore medio della TEV della categoria. Le conclusioni che emergono dal lavoro evidenziano come, nell’ambito dell’offerta dei fondi comuni, le SGR adottino differenti strategie di gestione dei portafogli; precisamente, la scelta ricade tra una gestione attiva e una passiva, ma nell’analisi si è voluto inserire anche l’alternativa della gestione semiattiva o indicizzata, che viene spesso definita come gestione a rischio 149
controllato. Le differenti strategie adottabili fanno si che la scelta di un fondo rispetto ad un altro assuma una grande importanza, soprattutto in termini di rischio assunto e rendimento conseguito. Infine, per quanto riguarda l’utilità pratica, la valutazione del grado di attivismo del gestore permette di verificare se le commissioni applicate sono congrue o meno. Infatti si ricorda che i gestori che si dichiarano attivi richiedono il pagamento di commissioni più elevate, al fine di coprire i costi più alti dovuti alle attività di analisi del mercato, di stock selection e di market timing. Le commissioni sono giustificate nel caso dell’effettiva presenza di queste attività, mentre risultato incongrue qualora il gestore abbia adottato uno stile gestionale passivo. In quest’ultimo caso l’investitore potrebbe trovare più conveniente impiegare il proprio capitale in fondi dichiaratamente a gestione passiva, in modo tale da pagare commissioni più basse.
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D.Lgs. n. 83/1992 Attuazione delle direttive n. 85/611/CEE e n. 88/220/CEE relative a taluni organismi di investimento collettivo in valori mobiliari, con modifiche alla legge n. 77/1983, operanti come fondi comuni aperti di diritto nazionale e per l’emanazione di disposizioni sulla commercializzazione in Italia di quote di organismi situati in altri Paesi della Comunità Europea. D.Lgs. n. 344/1993 Istituzione e disciplina dei fondi comuni di investimento mobiliare chiusi. D.Lgs. n. 86/1994 Istituzione e disciplina dei fondi comuni di investimento immobiliare chiusi. D.Lgs. n. 58/1998 Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria. D.Lgs. n. 37/2004 Modifiche ed integrazione … al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo n. 385/1993 e al testo unico dell’intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo n. 58/1998. D.Lgs. n. 917/1986 Testo unico delle imposte sui redditi e successive modifiche. Provvedimento della Banca d’Italia del 14 aprile 2005 Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio.
153
Di seguito si elencano i siti internet risultati particolarmente preziosi per il reperimento di informazioni, notizie e dati. http://www.mscibarra.com http://www.borsaitaliana.it http://www.bancaditalia.it http://www.bloomberg.com http://new.bluerating.com http://finance.google.com/finance http://www.ilsole24ore.com http://www.morningstar.it http://it.finance.yahoo.com http://www.milanofinanza.it http://assogestioni.it http://www.mtsdata.com http://www2.standardandpoors.com http://www.euroinvestor.it http://www.performancetrading.it http://it.reuters.com http://www.consob.it
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http://group.intesasanpaolo.com/scriptIsir0/isInvestor/ita/studi/ita_indiciCo mit_globali.jsp Inoltre si ringrazia IPB – Indipendent Private Bankers, nella persona di Nicola Mosca, per l’utilizzo e il reperimento dei dati attinenti all’andamento storico dei fondi esaminati nel presente lavoro.
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