PREMESSA Questo lavoro sull’ulivo, monumento naturale della nostra terra salentina, è stato realizzato dagli alunni della classe 1a A della scuola secondaria di primo grado di San Donato di Lecce. I ragazzi, coordinati dalle docenti Serena Lezzi e Maria Filomena Buffo, hanno dimostrato notevole interesse per l’argomento, ma anche una grande sensibilità. Quest’ultimo aspetto si evidenzia, principalmente, nei lavori “corali” che derivano dalle interviste ai nonni e dalla lettera che i ragazzi hanno immaginato di scrivere all’ulivo, nonché nella capacità di trasformare in immagini le emozioni evocate dalle poesie che sono stati invitati a leggere. Per quanto riguarda la parte più “oggettiva” del lavoro, i ragazzi, divisi in gruppo, hanno ricercato le notizie sul web e ogni gruppo ha curato un aspetto diverso del “pianeta ULIVO”. Anche le immagini che accompagnano il lavoro provengono dal web. Non resta che augurare: Buona lettura.
Maria Filomena Buffo
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INDICE SCHEDA BOTANICA
pag. 3
STORIA DELL’OLIVO
pag. 7
L’OLIVO NEI MITI E NELLE LEGGENDE DEL MEDITERRANEO
pag. 13
LA SIMBOLOGIA DELL’OLIVO NELLE RELIGIONI
pag. 17
L’OLIVO NEI VERSI DEI POETI
pag. 20
L’EXTRAVERGINE DI OLIVA IN CUCINA
pag. 29
IMPIEGHI FITOTERAPICI DELL’OLIVO
pag. 33
L’OLIO D’OLIVA NELLA COSMESI
pag. 35
L’OLIVO NELL’ARTIGIANATO
pag. 38
L’OLIVO E L’OLIO NEL SALENTO
pag. 40
I FRANTOI IPOGEI
pag. 42
I RICORDI DEI NONNI
pag. 44
S.O.S. OLIVI SALENTINI – La Xylella fastidiosa
pag. 51
LETTERA ALL’OLIVO
pag. 53
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Alessio Rollo , Matteo Milanese
OLIVO Scheda Botanica
Nome scientifico: Olea europea sativa Nome italiano: OLIVO Nome locale: “ULIA” Famiglia: OLEACEAE 3
Altezza: variabile da 5 a 10 e anche 15 metri. L’olivo necessita di clima mite, senza forti sbalzi termici e temperature che non scendano al di sotto dei -5°C. Le sue zone ideali sono quelle marittime situate, ad esempio, nel caldo meridione d’Italia. Teme le gelate. L’altitudine massima concessa all’olivo è quella collinare, non superiore agli 800 metri sul livello del mare. L’olivo deve essere esposto a sud ed è importante che il terreno sia ben drenato e senza ristagni d’acqua: l’ideale è un terreno argilloso-calcareo. Diffusione: In Europa lo troviamo, soprattutto, in Spagna, Grecia, Turchia, Portogallo, Italia ecc. In Italia, le regioni maggiormente ricche di olivi sono quelle meridionali: Puglia, Calabria e Sicilia rappresentano la metà dell’intera superficie olivata italiana, ma ricordiamo anche Liguria e Toscana. CARATTERISTICHE FUSTO: spesso contorto, irregolare, solcato da fessure e cavo internamente. CORTECCIA: di colore grigio chiaro. CHIOMA: di forma conica. RAMI: molto flessibili e cadenti. FOGLIE: persistenti, coriacee, di forma ellittica, a margine intero, lunghe 3-8 cm, di colore verde scuro superiormente e argentee inferiormente.
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FIORI: piccoli, con quattro petali bianchi, sono riuniti in infiorescenze a grappolo dette “mignola” e sbocciano da maggio a giugno. L’impollinazione è di solito anemofila, cioè il polline viene trasportato dal vento. FRUTTI: il frutto è una drupa di peso variabile tra 0,5 e 1,5 gr.e presenta EPICARPO (la buccia) che va dal verde al violetto e al nero, MESOCARPO (la polpa) da cui si estrae l’olio, ENDOCARPO (il nocciolo) con dentro il seme. RADICI: le radici della pianta giovane sono a fittone, poi diventano striscianti e, infine, superficiali con rigonfiamenti. È una specie molto longeva: se le condizioni climatiche sono favorevoli, può vivere anche per 800 o 1000 anni, infatti non è raro osservare olivi pluricentenari sui pendii di colline in tutta Italia. L’olivo comincia a fruttificare intorno a 3-4 anni di età ma raggiunge la piena produttività soltanto intorno ai 10 anni. Una pianta si può considerare matura intorno ai 50 anni. Proprio per questo, un antico detto vuole che “si pianti la vite per sé, il noce per i figli e l’olivo per i nipoti”. Si riproduce per seme (innestando poi le piantine) o per talea prelevando in febbraio porzioni di rami vigorosi che si piantano prima in vivaio e si trapiantano nell’oliveto dopo quattro-cinque anni; la riproduzione può avvenire anche per polloni, staccando i
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germogli vigorosi che nascono al piede della pianta madre e interrandoli altrove. STADI FENOLOGICI I principali stadi del ciclo annuale dell’olivo sono legati al clima: - Stadio invernale o di riposo vegetativo (da Novembre a Gennaio) - Risveglio vegetativo (Marzo-Aprile) con comparsa dei germogli - Mignolatura (formazione delle gemme fiorali) e fioritura (Maggio-Giugno) - Impollinazione e allegagione (formazione dei frutti - Ingrossamento dei frutti (Luglio-Agosto) - Invaiatura (cambio di colore del frutto), indurimento del nocciolo e maturazione del frutto (Settembre-Ottobre) Le avversità climatiche, i parassiti, la potatura e le concimazioni sbagliate, portano a un indebolimento della pianta e ad un ritardo della raccolta delle olive.
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Francesco Palmarini, Francesco Taurino
STORIA DELL’OLIVO
La storia dell’olivo ha inizio in epoche antichissime: già dodici milioni di anni fa, molto prima della comparsa dell’uomo sulla Terra, sulle coste del Mediterraneo esistevano molte varietà selvatiche di alberi del genere Olea. La zona di origine dell'olivo va con ogni probabilità ricercata in Asia Minore.
La distribuzione geografica è determinata dalle caratteristiche del terreno, dalla latitudine, e, soprattutto, dal clima. 7
L’olivo è stato forse il primo albero “addomesticato” dall’uomo: la sua storia e quella delle civiltà affacciate sul Mediterraneo si intrecciano da almeno settemila anni, tanto che costituisce una delle colture più importanti e caratteristiche della regione mediterranea. Settemila anni fa, dopo la creazione dei primi villaggi di agricoltori, l’uomo inizia a selezionare le piante di olivo, a potarle ed innestarle. La coltivazione dell’olivo è una importante conquista economica e culturale: richiede, infatti, dettagliate conoscenze botaniche e una struttura sociale organizzata e solida, poiché ci vogliono molti anni prima di raccoglierne i frutti. Sulle coste dell’attuale Israele sono state rinvenute tracce dell’olio più antico che si conosca, estratto oltre seimila anni fa dai frutti di olivi selvatici. Cinquemila anni fa, quando gli uomini inventano la scrittura, l’olio di oliva è già un prodotto prezioso e i mercanti attraversano il deserto ed il mare per portarlo in Mesopotamia e in Egitto. L’olio viene trasportato in preziosissimi vasetti o in robuste anfore in ceramica la cui stretta imboccatura può essere sigillata con tappi di legno o cera. Navigatori Fenici, commerciano l’olio d’oliva e gli unguenti profumati. Grazie a questi contatti, le antiche popolazioni delle
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attuali Grecia, Tunisia, Italia, Francia e Penisola Iberica scoprono le straordinarie virtù dell’olio d’oliva e imparano le tecniche di coltivazione dell’olivo. Nell’Atene classica l’olivo gode di una considerazione eccezionale, è un albero sacro e le leggi ateniesi lo proteggono (chi sradica gli olivi può essere esiliato o addirittura messo a morte!) e ne regolano la coltura. Tanta è l’importanza di questa pianta, che i cittadini vincitori dei giochi che si svolgono in onore della dea Atena ricevono in premio olio e una corona di fronde d’olivo intrecciate. L’olivo compare per la prima volta in Italia circa tremilacinquecento anni fa e si diffonde ad opera dei mercanti fenici, cartaginesi e dei coloni greci soprattutto a partire dal VII secolo avanti Cristo. Etruschi e Italici acquistano l’olio dai mercanti greci e fenici e iniziano ad apprendere le tecniche di coltivazione dell’olivo e di produzione dell’olio: in breve tempo le popolazioni di molte regioni italiane impiantano oliveti e producono olio d’oliva che dà origine ad un commercio interno sempre crescente. Autori latini come Catone e Columella scrivono volumi per spiegare come si devono coltivare gli olivi e come si produce l’olio migliore. A Roma, capitale dell’Impero, ogni anno giungono 321000 anfore contenenti 224000 quintali di olio. L’olio d’oliva e l’olivo arrivano sulla costa mediterranea ed atlantica della Penisola Iberica nell’VIII secolo avanti Cristo.
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Durante i primi secoli dell’Impero Romano, la Spagna diviene la principale provincia olearia mediterranea. Duemila anni fa, all’inizio dell’Era Cristiana, l’olivo è ormai una delle principali colture agricole del Mediterraneo e l’olio diventa indispensabile in molti aspetti della vita quotidiana: alimentazione, cosmesi, medicamenti, illuminazione. Così, milioni di anfore olearie vengono trasportate dal Mediterraneo alle più remote province dell’Impero Romano. Secondo i più illustri naturalisti romani, esistevano ben dieci varietà diverse di olivi e l’olio prodotto era classificato in cinque categorie. Il più pregiato era l’Oleum ex albis ulivis, ottenuto da olive verde chiaro, cui seguivano l’Oleum Viride, ottenuto da olive che stanno annerendosi, l’Oleum Maturum, frutto della spremitura di olive mature, l’Oleum Caducum, ottenuto da olive raccolte da terra, e l’Oleum Cibarium, prodotto con olive bacate e destinato solo agli schiavi. Frammenti di anfore olearie usate per il trasporto dell’olio proveniente dalla Penisola Iberica e dall’Africa hanno formato, a Roma, una collina artificiale chiamata «Monte Testaccio». È un monumento unico al mondo: situato nella parte più meridionale della pianura compresa fra il fiume Tevere e il colle Aventino, il Monte Testaccio è alto 49 metri, con una circonferenza di un chilometro ed una superficie di 22000 metri quadrati. Il monte è il risultato di un accumulo di
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anfore contenenti olio che, scaricate nel vicino porto sul Tevere, venivano svuotate e poi ridotte in frammenti prima di essere trasportate e depositate in un’area adibita a discarica. Diversamente dalle anfore destinate al trasporto di prodotti quali vino, miele ed olive, le anfore olearie, infatti, non erano riutilizzabili a causa della facile e rapida alterazione dei residui d’olio. Nell’antichità i commerci oleari si svolgono soprattutto via mare o lungo i fiumi navigabili e sono sotto il controllo diretto dello Stato, che interviene quando gli armatori non riescono a soddisfare le esigenze del mercato, ma nel V secolo l’olivo viene travolto dalla crisi politica, economica e militare dell’Impero Romano d’Occidente. Alberi di olivo continuano ad essere coltivati solo attorno ai monasteri o ai centri urbani più importanti. Dopo la fine del mondo antico, l’olio di oliva è di nuovo raro e prezioso in Europa ed è riservato ai riti religiosi o a pochi privilegiati. La sua coltivazione riprenderà solo a partire dall’XI secolo, grazie alle leggi che obbligavano coloni ed affittuari ad impiantare ogni anno un certo numero di olivi. Grande importanza per la diffusione dell’olio italiano oltre i confini del Mediterraneo ha avuto la Liguria. In questa terra, quando si impianta un oliveto, a protezione dello stesso viene
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innalzata un’edicola, che ospita un’immagine o una statuetta di un Santo o della Madonna. In età medievale, l’olio prodotto in Liguria è trasportato via terra con otri caricati su muli che risalgono le valli alpine in lunghe carovane; tuttavia la maggior parte dell’olio lascia la costa ligure e viaggia per mare dentro barili di legno diretto in Francia, Inghilterra e Germania; poi, accompagnando gli Italiani all’estero, varca gli oceani e conquista i mercati di Nord e Sud America, e dell’Australia. Oggi, l’olivo è uno degli elementi più importanti del paesaggio e della cultura del Mediterraneo. Dal Medioevo, attraverso i secoli, sono nate e si sono consolidate le tradizioni delle grandi zone olivicole di oggi: Grecia, Italia, Spagna. L’olivo e l’olio sono una presenza indispensabile al nostro benessere quotidiano, oltre che un richiamo alla nostra storia più antica e più vera.
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Bisconti Matteo, Andrea De Blasi
L’OLIVO NEI MITI E NELLE LEGGENDE DEL MEDITERRANEO L’olivo, come sappiamo, è ed è sempre stato simbolo di pace e pianta tipicamente mediterranea. La certezza della sua presenza nell’antichità, ci giunge anche attraverso miti e leggende appartenenti a popoli, culture, ed epoche diverse. Ne troviamo tracce, per esempio, nelle civiltà ebraica (l’olivo viene citato circa settanta volte nella Bibbia: se ne parla già nel libro della Genesi), greca (nel mito di “Atena e l’olivo” e nell’Odissea”, romana (riguardo la nascita di Romolo e Remo), cristiana.
CIVILTÀ EBRAICA Secondo la leggenda, citata nella Genesi, un Angelo diede a Seth, il figlio di Adamo, tre semi dell’albero della Conoscenza del Bene e del Male da mettere fra le labbra del padre dopo la sua morte. Dalle ceneri di Adamo germogliarono così un cedro, un cipresso e un olivo”.
CIVILTÀ GRECA Atena e l’olivo Secondo l’antica mitologia l’olivo, ci fu donato dalla dea Atena: ricordiamo questo nel mito che riporta uno scontro tra Atena e Poseidone. 13
Atena e Poseidone si contendevano il dominio sull’Attica e chiesero a Zeus di stabilire a chi attribuire quella regione. Zeus decise che il possesso dell’Attica sarebbe toccato a chi avesse fatto agli abitanti il dono più utile. Poseidone, allora, colpì col suo formidabile tridente una roccia e ne balzò fuori un focoso cavallo: era il primo cavallo che nascesse sulla terra. Atena percosse il suolo con la lancia, e subito in quello stesso punto crebbe una pianta nuova: l’olivo che dà l’olio e i cui rami simboleggiano la pace, mentre il cavallo era destinato a trainare i carri di guerra. Cosi gli uomini vennero in possesso dell’olivo, Zeus decise che quello era il dono più utile (per illuminare la notte, per medicare le ferite e per offrire nutrimento alla popolazione) e disse: "la città sarà chiamata Atene; tu donasti agli uomini l'olivo e con esso tu hai donato luce, alimento ed un eterno simbolo di pace". Quindi l’Attica fu assegnata ad Atena e, in suo onore, la capitale di quella regione venne chiamata Atene.
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L’Odissea Anche Omero nomina l’olivo nell’Odissea. Dopo la guerra di Troia, Ulisse, re di Itaca, non riesce a tornare subito in patria e vaga per ben 10 anni. Durante il suo viaggio incontra, sull’ isola delle capre, il ciclope Polifemo, un gigante con un solo occhio che mangiò sei compagni di Ulisse. Per riuscire a salvarsi, l’eroe e i compagni rimasti appuntirono un lungo tronco d’olivo e, con quello, accecarono Polifemo. Inoltre, il re di Itaca costruì il letto nuziale per sè e per Penelope, scavandolo nel tronco stesso di una possente pianta d’olivo, simbolo di un’unione salda e duratura.
CIVILTÀ ROMANA Si narra che Romolo e Remo, discendenti degli Dei e fondatori di Roma, videro la luce sotto i rami di un albero di olivo e sotto la stessa pianta furono allattati dalla lupa.
IN ETÀ CRISTIANA Secondo la leggenda, quando Gesù Cristo fu condannato alla crocefissione, alcuni soldati vennero inviati in un grande oliveto a
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cercare l’albero che sarebbe servito a fare la croce sulla quale Gesù sarebbe stato crocefisso. Nessun albero voleva essere scelto per un compito così atroce e così gli olivi iniziarono a contorcersi, come scossi da un vento fortissimo. Si piegarono e torsero talmente tanto, che i rami si spezzarono, il tronco si piegò, spaccando la corteccia e i soldati non riuscirono a trovare un solo tronco utilizzabile. Perciò si diressero altrove a cercare un altro tipo di albero. Da quel giorno gli olivi continuarono a crescere contorti e spaccati per ricordare a tutti l’orrore evitato.
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Amodio Lara, Grande Valentina, Quarta Desirè
LA SIMBOLOGIA DELL’OLIVO NELLE RELIGIONI Fin dalle origini, l’olivo è considerato sacro da più religioni. Grazie alla sua utilità conquistò subito un ruolo di primo piano all'interno del culto degli alberi. La pianta, perciò, era venerata e protetta; inoltre l'olio d'oliva veniva usato nella cerimonia dell'unzione dei re e dei sacerdoti ed era spesso offerto in dono agli dei. Le religioni in cui la presenza dell’olivo è più forte sono la religione islamica, la religione ebraica e la religione cristiana.
NELLA RELIGIONE ISLAMICA Nell'Islam l’olivo, l'Albero Benedetto, è considerato, per l’olio che ci dona, la fonte della luce. Secondo Maometto (Sura della Luce, XXIV del Corano), “Dio è la luce dei cieli e della terra. La sua luce è come quella di una lampada, collocata in una nicchia entro un vaso di cristallo simile a una scintillante stella e accesa grazie a un albero benedetto, un olivo che non sta a oriente né a occidente, il cui olio illuminerebbe anche se non toccasse fuoco”.
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NELLA RELIGIONE EBRAICA Tanta è la considerazione in cui l’olivo è tenuto, che nell’Antico Testamento, il profeta Osea paragona il Dio d’Israele alla magnificenza dell’olivo. Nelle Sacre Scritture, l’olivo e l’olio che da esso si ricava sono simbolo dell’alleanza tra Dio e il genere umano: Noè passati i quaranta giorni del diluvio universale, per accertarsi che le acque si fossero ritirate liberò prima un corvo e poi una colomba, ma entrambi, dopo poco tempo, ritornarono all’Arca, perché non avevano trovato nemmeno un lembo di terra dove posarsi. Dopo una settimana liberò di nuovo la colomba e questa volta essa ritornò con un ramoscello d’olivo nel becco. Da quel momento l’olivo divenne il simbolo della rigenerazione, perché, dopo la distruzione operata dal diluvio, la terra tornava a fiorire; diventò anche simbolo di pace, perché testimoniava la fine del castigo e la riconciliazione di Dio con gli uomini.
NEL CRISTIANESIMO L’olivo per i cristiani ha sempre rappresentato uno dei simboli più comuni e importanti, sia nelle celebrazioni liturgiche che come simbolo di pace. Anche nel Vangelo l’olivo ha una parte importante, come per esempio nell’arrivo glorioso di Gesù a Gerusalemme, salutato dalla popolazione festante che porta in mano rametti d’olivo e di
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palme, evento che ancora oggi i cristiani ricordano con il dono dei rametti d’olivo nel giorno della domenica delle Palme, che ricorda proprio quell’episodio del Vangelo. Oltre all’olivo, anche l’olio fa parte di diversi momenti importanti delle celebrazioni del cristianesimo. Esso, infatti, è il simbolo costante con cui si impartiscono i sacramenti, segno della presenza dell'amore di Dio"; con gli oli, benedetti durante la Messa Crismale del Giovedì Santo, vengono somministrati i sacramenti della Cresima, della Consacrazione sacerdotale e dell’Unzione degli infermi. L’uso dell’olio d’oliva per la religione cristiana trova origine nel Nuovo Testamento: il Samaritano versa sulle ferite dell’uomo che soffre un unguento a base di olio. E sarà proprio in un campo di olivi, il Getsemani, poco distante dalla città vecchia di Gerusalemme, luogo che esiste ancora oggi e che è meta di molti pellegrinaggi, che Gesù passerà le sue ultime ore da libero prima del tradimento di Giuda.
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Alunni 1a A
L’OLIVO NEI VERSI DEI POETI VENTO SULL'ULIVETO Il campo di ulivi s'apre e si chiude come un ventaglio. […] Tremano giunco e penombra sulla riva del fiume. […] Gli ulivi son carichi di gridi. Uno stormo d'uccelli prigionieri agitano lunghissime code nel buio. Federico Garcia Lorca
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LA CANZONE DELL'ULIVO A’ piedi del vecchio maniero che ingombrano l’edera e il rovo; […] piantiamo l’ulivo! l’ulivo che a gli uomini appresti la bacca ch’è cibo e ch’è luce, […] l’ulivo che dia le vermene pel figlio dell’uomo, che viene sul mite asinello. […] Qui radichi e cresca! Non vuole, per crescere, ch’aria, che sole, che tempo, l’ulivo! Nei massi le barbe, e nel cielo le piccole foglie d’argento! Serbate a più gracile stelo più soffici zolle! Tra i massi s’avvinchia, e non cede, se i massi non cedono, al vento. […] Per sé, c’è chi semina i biondi solleciti grani […] Per sé, c’è chi pianta l’alloro che presto l’ombreggi […] Noi mèsse pei figli, noi, ombra pei figli de’ figli, piantiamo l’ulivo! […] Tu, placido e pallido ulivo, non dare a noi nulla; ma resta! ma cresci, sicuro e tardivo, nel tempo che tace! ma nutri il lumino soletto che, dopo, ci brilli sul letto dell’ultima pace! Giovanni Pascoli
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L'ALBERO D'OLIVO Ma quanto sei bello, albero d'olivo, con quelle foglie lucide, che sembrano d'argento, che brillano al sole e cantano al vento. Mi sembri un gigante, in mezzo a tante piante di peschi e di meli, ciliegi, fichi, peri, che soltanto a guardarti, mi sento rinascere. Tutto tu ci dai: il legno per la culla, il pollone al pastore, le palme per la pace, il legno per la croce. Possono passare secoli E tu non muori mai, sempre in campagna, dentro il verde stai. Quando poi è tempo Di raccogliere le olive, è una festa grande, giovani e contadini arrivano da tutte le parti. Dalle olive nere Si spreme olio fino, serve per l'olio santo, ad accendere un lumino, per condire le frise con origano e pomodori, ti viene un sospiro
proprio da dentro al cuore, ti senti molto contento, ti senti un signore, che quell'olio di oro è proprio un tesoro. autore sconosciuto (originale in vernacolo)
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L'OLIVO BENEDETTO
Oh, i bei rami d’olivo! chi ne vuole? Son benedetti, li ha baciati il sole. In queste foglioline tenerelle vi sono scritte tante cose belle.
Sull’uscio, alla finestra, accanto al letto metteteci l’ulivo benedetto!
Come la luce e le stelle serene: un po’ di pace ci fa tanto bene.
Giovanni Pascoli
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L’ULIVO E L’OLIO Si erge verso il cielo un ulivo maestoso col tronco nodoso, estesi al cielo i suoi rami a cercare la luce Verdi gioielli pendenti appesi ad ornare le fronde, olive nere e verdi.
Spremitura a pietra e l’olio dall’acre profumo, denso il colore, forte il sapore. Un filo che scende, il colore dell’oro, un semplice pasto di pane raffermo, la mensa del tempo che tempo non ha. Maristella Angeli (In: cantiere poesia.wordpress.com)
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ADORAZIONE Curva nera di tempo genuflessa intorno al Dio dell’olio nell’ora dell’adorazione. Donne rotonde come il mondo raccolgono olive per la luce dei morti e il pane dei vivi. Antonio C. (in “cosechedimentico.blogspot.it”)
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ULIVO Braccia nodose vestite di un sussurro verde argento accarezzano il cielo senza tempo. Lo stormire delle foglie Racconta degli uomini, della fatica, del lavoro mentre fili di perle ondeggiano al vento, ricca promessa di oro verde. All’ombra della casa siede la donna. Taglia il pane con gesto lento, versa un filo d’olio, un po’ di sale e mangia guardando lontano, verso quel mare azzurro, che è solo una striscia di colore all’orizzonte. Annamaria Folchini Stabile (www.raccontioltre.it/4362/ulivo/)
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TEMPO DI OLIVE Quando tutto tremava per il freddo, pure le foglie degli ulivi, all'alba mi ordinavano di aprire gli occhi e di andare con le donne a raccogliere le olive. A raccogliere olive ad una ad una erano necessarie due mani di pietra; inginocchiate come in chiesa, una schiena robusta come quella di un cavallo. E quando suonava mezzogiorno un albero diventava una casa; sedevamo in cerchio, in mezzo un po' di fuoco e mangiavamo pane, olive e cipolla. In nessun tempo, passato e presente è stata cosÏ buona l'acqua e cosÏ dolce il cibo e la terra incolta cosÏ soffice... I cesti si riempiono piano piano, ne svuotiamo cento fino a sera, a terra non resta neppure un'oliva... A casa ci attende la cena di legumi. Lina Colella (originale in griko)
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… e ora, una filastrocca, ma, prima … Il segreto delle 5 "S" Chi se ne intende dice che il segreto Per ottenere un buon olio extra vergine di oliva è racchiuso nella "Regola delle 5 S" Sole Il sole fa bene a tutte le piante, ed è vita per gli olivi. Quindi è ottimale un'esposizione a sole pieno. Più ce n'è meglio è! Sasso L’olivo richiede un terreno argilloso-calcareo arricchito di sostanza organica. Necessita anche di una buona dose di calcio, per questo vanno esclusi terreni con pH inferiore a 5. Siccità Il terreno deve essere ben drenato e non provocare ristagno d'acqua. Silenzio Non è strano che l'olivo prediliga pace e tranquillità per crescere bene. Solitudine E’ necessario che il terreno sia libero da altra vegetazione, pietre ed è da evitare che altri cespugli o alberi siano così vicini da fare ombra. Il poeta Bruno Tognolini, nella sua filastrocca l’oliva muore, ma l’olio vive…, cambia un po’ le cose e così racconta ai bambini: “I contadini del sud dicono che per gli ulivi ci vogliono cinque esse: Sole, Sale, Sassi, Solco, Scure (il Sole del Mediterraneo scalda e fa maturare, il Sale del terreno salmastro addolcisce l’oliva, i Sassi fanno respirare il terreno, il Solco lo rivolta e lo rinnova, la Scure pota e alleggerisce la pianta).
L’OLIVA MUORE, MA L’OLIO VIVE… Nonno dell’olio, sonno dell’oro Sugo dorato del nostro lavoro Brillano e colano come promesse In cinque gocce le tue cinque ESSE SOLE del cielo che ti dà calore SALE del mare che ti dà sapore SASSI nel suolo che dolce ti avvolge SOLCO d’aratro che lo capovolge SCURE dell’uomo che taglia e che toglie Cascano olive, cascano foglie Cascano foglie, cascano olive L’oliva muore, ma l’olio vive Bruno Tognolini (da Le Filastrocche della Melevisione)
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Chiara Lenti, Chiara De Blasi
L’EXTRAVERGINE DI OLIVA IN CUCINA
Mettiamo subito in evidenza che l’olio d’oliva è l’unico olio che si ottiene dalla spremitura di un frutto. Tutti gli altri oli vengono estratti da semi ed utilizzando, per l’estrazione, degli agenti chimici. L’olio d’oliva rappresenta nella tradizione mediterranea un prezioso alimento dai valori nutrizionali notevolissimi. Da sempre l’olio d’oliva è considerato, soprattutto, un grasso da aggiungere alle pietanze e utilizzato sia in cottura che per condire i cibi crudi. Oggi, però, l’olio acquista un ruolo diverso, non più semplice grasso per condire, ma anche “alimento in grado di dare sensazioni”. Infatti, negli ultimi anni la qualità delle produzioni è notevolmente cresciuta grazie a nuove tecnologie e alla conoscenza delle proprietà delle diverse varietà di olive. Questa nuova consapevolezza ha spinto i grandi chef a usare l’olio extravergine di oliva in modo
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da esaltarne le diverse caratteristiche organolettiche (oli fruttati o speziati, dolci o amari, piccanti o delicati). Ciò ha favorito il diffondersi di una maggiore fantasia nell’utilizzo gastronomico dell’olio extravergine in abbinamento alle più svariate situazioni. Ancora lo si predilige per i condimenti di cibi crudi (come le varie insalate) o per la marinatura dei pesci, perché le sue peculiarità di gusto e profumo riescono a rendere il cibo meno pastoso e meno grasso mettendo in rilievo la freschezza del prodotto utilizzato. Nella cucina mediterranea è ancora la base di tutte le salse che accompagnano la pasta asciutta ed i secondi di pesce o di carne. Lo si consiglia anche per le fritture, in quanto la sua elevata resistenza al calore permette di migliorare le pietanze senza degradarne il valore nutrizionale, soddisfacendo i palati più esigenti. Le ultime evoluzioni, però, lo vedono protagonista anche in pasticceria. Alcuni dolci sono stati fatti sostituendo la margarina con l’olio extravergine d’oliva. Il risultato è stato quello di avere dolci dai gusti intensissimi, ma con il vantaggio di essere molto digeribili e leggeri. In conclusione, si può affermare che l’olio d’oliva è stato e sempre più sarà protagonista in cucina, dal momento che con le
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sue spiccate proprietà si adatta alle varie forme gastronomiche, siano esse tradizionali o innovative, esaltando le pietanze in mille sfumature di gusto e profumo.
I TIPI DI OLIO Molti, per abitudine, non riconoscono l’esistenza di oli di qualità migliore di quelli del proprio territorio. NULLA DI PIÙ SBAGLIATO. Si tratta, invece, di sfruttare al meglio le doti caratteristiche di ciascun olio: fondere insieme gusti e sapori o aggiungere aromi particolari per arricchire e amalgamare. Olio e cibo devono esaltarsi a vicenda. Pietanze tipicamente regionali si accompagnano, tradizionalmente, a oli (e vini) locali: un’abitudine secolare che fonde profumi e sapori ben identificati e caratteristici. Ma la piacevolezza viene talvolta dal contrasto e, in tutti i casi, assaggiare e usare prodotti delle diverse zone d’Italia è un comportamento che favorisce il benessere fisico. Infatti, oggi le virtù dietetiche dell’olio di oliva sono note: ricchezza in acidi grassi monoinsaturi (che incidono positivamente sulla regolazione del livello di colesterolo nel sangue), digeribilità, aiuto nell’assimilazione di vitamine e minerali, potere antiossidante che agisce anche sul metabolismo umano contribuendo a migliorare e mantenere l’efficienza dell’organismo. Ovviamente, usare olio proveniente da diverse
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regioni, e, quindi, con diversa composizione in principi nutritivi, può garantire un apporto più completo di sostanze utili all’organismo. Per chiudere, un esempio di abbinamenti tra cibo e olio di diverse qualità: OLIO FRUTTATO LEGGERO: Maionese Pesci bolliti Insalate di gusto delicato (lattuga, valeriana…) OLIO FRUTTATO MEDIO: Minestre di verdura Carpaccio di carne o pesce Pesci grigliati o al forno Verdure lesse (spinaci, zucchine …) Finocchi crudi Melanzane grigliate OLIO FRUTTATO INTENSO: Zuppe dal gusto deciso (ribollita, farro …) Insalate miste (cicoria di campo, rucola …) Verdure cotte dal gusto deciso (rape, cavolo nero …) Ceci e fagioli Carciofi crudi
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Cafaro Manolo, Cillo Matteo
IMPIEGHI FITOTERAPICI DELL’OLIVO
Di questa pianta, siamo abituati a utilizzare l’olio, estratto dal frutto, ma, in realtà, se parliamo di rimedi fitoterapici, anche altre parti dell’olivo sono utili e preziose, specialmente le foglie. L’olivo è presente nella storia della medicina e dell’erboristeria mediterranea da diversi millenni. Il profeta Ezechiele ne parla dicendo che “Sulle rive del Giordano crescono degli alberi che non perdono mai le foglie, i cui frutti sono cibo e le foglie medicina (Ezechiele 47.12)”. Esistono infinite testimonianze che documentano l’uso delle foglie d’olivo nella cultura greca, araba, egiziana, romana. Tuttavia, il gusto “terribilmente amaro e sgradevole” dell’infuso di foglie d’olivo ha portato al progressivo abbandono di questo tipo di rimedio. In tempi abbastanza recenti, però, si è manifestata una ripresa d’interesse per il possibile uso terapeutico dei preparati erboristici ricavati dalle foglie di questo splendido albero. Le sostanze contenute nelle foglie d’olivo sono l'ideale per tenere sotto controllo il colesterolo, senza influire negativamente sui grassi Hdl, il cosiddetto "colesterolo buono" che ha invece una funzione protettiva per il cuore e le arterie. Non solo: hanno
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anche una importante funzione ipotensiva, utile a chi soffre di pressione alta. Abbassano i livelli di glucosio nel sangue (azione ipoglicemizzante), curano gli stati febbrili, hanno proprietà antiossidanti e, quindi proteggono le cellule dall’invecchiamento.
Anche l'olio, però, ha un'importante funzione curativa: La medicina contadina lo usava per disintossicare il fegato e nelle infiammazioni dello stomaco.
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Daria Mangia, Giada Maglio
L’OLIO D’OLIVA NELLA COSMESI
L’olio che si ricava dalle olive può essere impiegato in tanti modi diversi, anche per fini cosmetici ed è un autentico toccasana. Fin dall’antichità abbiamo delle testimonianze dell’utilizzo dell’olio in questo campo. Per esempio, in un antico papiro egiziano è riportata la ricetta di una crema antirughe a base di olio di oliva, latte, bacche di cipresso e grani di incenso. L’olio d’oliva è ricco di vitamine (vitamina E e vitamina A), minerali, acidi grassi insaturi che prevengono disturbi della pelle come l’acne e la pelle secca; acidi e alcoli triterpenici che sono cicatrizzanti; polifenoli che sono molecole antiossidanti e, quindi, contrastano ed eliminano i radicali liberi che fanno invecchiare e deteriorare le cellule. L’olio d’oliva è inoltre un cattivo conduttore termico e un sottile strato sulla pelle consente di ottenere protezione dai raggi del Sole e, d’inverno, dalle basse temperature. La composizione, in grassi, dell’olio d’oliva è molto simile a quella del sebo umano, di conseguenza aiuta a mantenere la 35
pelle morbida, idratata, elastica e a ridurre le rughe. L’azione antinfiammatoria dell’olio lo rende perfetto per le pelli sensibili e per la cura della pelle dei neonati. Ci sono delle differenze tra i vari oli, perché, a seconda della qualità, possono garantire una presenza maggiore di antiossidanti. I popoli antichi ne erano consapevoli; per questo i Romani utilizzavano le olive ancora verdi, non del tutto mature. I frutti appena staccati dall’albero sul finire di agosto venivano prontamente spremuti nei frantoi per ricavare l’olio. È l’oliva non ancora matura, infatti, ad avere la massima concentrazione di sostanze utili. L’olio di oliva può essere utilizzato anche sui capelli: se questi vengono trattati con un impacco d’olio prima di fare lo shampoo, risultano, dopo, morbidi, nutriti e protetti dallo smog e dall’inquinamento.
L’olio può essere usato come struccante e come idratante (applicato la sera prima di andare a dormire).
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Può inoltre servire per le manicure: ammorbidisce le cuticole e, insieme a succo di limone, può rinforzare le unghie. Insieme a dello zucchero può essere utilizzato per uno scrub. Nell’acqua del bagno si può aggiungere qualche cucchiaio di olio d’oliva per ottenere un’ottima idratazione della pelle. L’olio di oliva viene anche usato per eseguire dei massaggi e, frequentemente, entra nella composizione di saponi, detergenti, maschere, creme, stick per labbra.
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Emma Dell’Anna, Sofia Forcignanò
L’OLIVO NELL’ARTIGIANATO Anche se il legno di olivo ha caratteristiche pregiate, è poco utilizzato per i mobili di alto valore artistico. È molto usato, però, nella realizzazione dei parquet. I parquet realizzati in legno d’olivo hanno colori che sfumano da chiaro a scuro. Negli ultimi tempi il parquet d’olivo viene utilizzato per le roulotte e i caravan. Il legno d’olivo si usa anche per fabbricare imbarcazioni da diporto Nonostante questo tipo di legno sia difficile da lavorare, da esso si ricavano prodotti di particolare bellezza e resistenza. Tale resistenza è dovuta alla particolare venatura del legno d’olivo. Per la sua durezza viene usato per la produzione di oggetti artistici come: sculture, cornici, tagliacarte, utensili da cucina e molti altri tra cui, in particolare, strumenti musicali. Nel
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Meridione d’Italia con esso vengono realizzate le zampogne e le ciaramelle, poiché è un legno di risonanza. La ciaramella è uno strumento popolare aerofono della famiglia degli oboi. La
zampogna,
invece, è uno strumento dalla struttura complessa e per realizzarla vengono utilizzati almeno due tipi di legno. Per i fusi, il migliore è ritenuto proprio quello di olivo. L’olivo viene preferito per diversi motivi: perché molto durevole, per la bellezza delle sue venature, per la sonorità e la durezza.
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Alunni 1a A
L’OLIVO E L’OLIO NEL SALENTO
In Puglia, la coltura degli olivi è già presente in epoca romana, anche se in misura molto marginale: l’olio che se ne ricava, infatti, non viene utilizzato come alimento, bensì come “aroma”, come unguento e nella cosmesi. Dopo un lungo periodo di declino, dovuto alla caduta dell’impero romano e alle invasioni barbariche, la coltura dell’olivo, sopravvissuta nei monasteri, riacquista importanza, dall’XI - XII secolo in poi, grazie ai monaci Basiliani che, per ben quattro secoli, insegnano alle popolazioni locali l’arte olivicola. In Terra d’Otranto, il peggioramento delle condizioni climatiche e il lungo periodo di basse temperature che investe l'Europa dopo il 1600 determinano crisi dei raccolti ed eccezionali carestie. Per fortuna, già verso gli anni Ottanta del Seicento si ha una forte ripresa dell'economia agricola, con l'olivo che, ancora una volta, s'impone nel quadro generale del paesaggio agrario. Da allora la terra d’Otranto si trasforma in un immenso oliveto e dà forza all’economia delle terre meridionali. Essendo aumentata la superficie adibita ad oliveto, si ha un incremento nella produzione di olio, esportato in Europa fin dai primi anni del 1900 con partenza dai porti locali; tra questi è molto importante quello di Gallipoli,
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tanto che la piazza locale gode addirittura del diritto di stabilire il prezzo dell’olio. Quindi, a parte il periodo di crisi registrato con la caduta dell’Impero Romano, in Terra d’Otranto, la coltura dell'olivo ha conosciuto solo periodi di espansione e le tecniche di coltivazione sono state caratterizzate da un costante progresso. L’olivo è, ormai, elemento caratterizzante del paesaggio del Salento e sono state le abili mani di generazioni di "potatori" e "innestatori" pugliesi ad “addomesticare” la iniziale forma selvatica dell'olivo, per trasformare le zone boscose in coltivazioni ben curate e regolari, allo scopo di esaltare la funzione produttiva delle piante. Un lavoro paziente durato secoli, che ha dato anche origine ad un grande patrimonio naturale di incomparabile bellezza, caratteristico di ogni angolo del Salento. Questa terra perderebbe ogni identità se venisse a mancare l’olivo dal suo splendido panorama.
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Chiara Lenti, Chiara De Blasi
I FRANTOI IPOGEI
Dopo essere state raccolte, le olive arrivano al frantoio (Trappitu). Qui vengono lavorate per ricavarne l’olio. I vecchi frantoi salentini sono ipogei (sotterranei, ricavati all’interno della roccia, scavati a mano da cavamonti chiamati “foggiari”), solitamente posti nei pressi di ambienti rupestri o grotte. Essi sono tra i tanti muti testimoni di una civiltà millenaria. Sono elementi caratterizzanti del paesaggio del Salento, strutture di particolare interesse storico, economico e sociale, luoghi dove tanti uomini hanno passato intere stagioni invernali lavorando, spesso a ritmi insostenibili, per ottenere, dopo un lungo processo di lavorazione l’“oro liquido”, l’olio.
Perché Ipogei? I frantoi ipogei garantiscono una temperatura costante tra 18°C e 20°C, necessaria durante la lavorazione delle olive. Tale temperatura fa sì che l’olio (che solidifica a 6°C) rimanga più fluido e scorra meglio quando la pasta ottenuta dalla macinazione delle olive viene torchiata. Il calore certamente non manca all’interno di questi locali sotterranei, perché generato da lumi che ardono giorno e notte,
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dalla fermentazione delle olive e dal calore prodotto da uomini ed animali. Tra le motivazioni della scelta dei frantoi ipogei, c’è anche una questione economica: il frantoio ipogeo necessita infatti di manodopera non specializzata, non è richiesta un’opera edilizia, non necessita di spese e trasporto di materiali. Inoltre, anche lo smaltimento dei residui della lavorazione olivicola avviene facilmente attraverso le fenditure naturali delle rocce. All’interno del frantoio, i trappitari (operai frantoiani) lavorano sotto la guida del nachiru e con l’ausilio di uno o due cavalli o muli, che fanno girare le macine e la vite del torchio. La parola nachiru deriva da nocchiero: come il nocchiero governa la nave e il destino dell’equipaggio dipende dalla sua abilità, così la buona riuscita dell’olio nel frantoio ipogeo dipende dall’abilità del nachiru alla guida dei suoi trappitari. Prima della molitura, le olive sono conservate in locali detti “camini”, dove restano, a volte, per settimane, alterandosi e ammuffendo. In quei casi, l’olio che si ottiene è di pessima qualità e si usa solo per l’illuminazione.
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Alunni 1a A
I RICORDI DEI NONNI Abbiamo chiesto ai nostri nonni di raccontarci cosa ricordano di quando, bambini, accompagnavano e aiutavano i loro genitori nell’oliveto, oppure, già grandi, si interessavano loro stessi della cura degli alberi e della raccolta delle olive. Ci hanno raccontato una storia affascinante di fatica, di collaborazione, di allegria. Per piantare gli olivi si scavava, innanzitutto, una larga fossa della profondità di un metro. Poi si provvedeva a tenere il terreno libero dalle erbacce, per far sì che all’albero arrivasse abbondante nutrimento, ma anche perché d’estate, con i frequenti incendi, le erbacce potevano prendere fuoco facilmente e dar fuoco anche agli alberi. Un’altra buona pratica consisteva nel togliere, nelle piante più vecchie, le parti marce del tronco, perché queste non infettassero la parte sana. Il terreno sotto l’albero veniva arato per rimescolare la terra e arieggiare le radici; poi si concimava, utilizzando un concime organico chiamato stallatico. L’annaffiatura era riservata
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solo agli alberi giovani. La pratica fondamentale nella cura dell’olivo è la rimonda che consiste nell’eliminazione dei succhioni, dei rami secchi e di quelli che non portano più frutto per dare spazio ai nuovi rami con le gemme fruttifere. Le piante d’olivo si potavano prima che arrivasse il frutto. La potatura veniva effettuata ogni due anni in circolo, cioè tagliando i rami dal centro, in modo da permettere alla luce del sole di raggiungere l’intera chioma dell’albero. I nostri nonni curavano gli olivi e li proteggevano dai parassiti con la cenere, ma anche con calce e solfato di rame (poltiglia bordolese). La malattia più diffusa era la cocciniglia (Lichtensia viburni) che si curava con calce viva e solfato di rame sciolti in acqua. Con questa “medicina” si irroravano gli alberi, soprattutto per prevenire il successivo attacco dei funghi. La cocciniglia è presente in tutte le zone olivicole italiane. Le parti infestate dall’insetto sono la pagina inferiore della foglia e i germogli. Il danno consiste nella produzione di “melata” sostanza zuccherina che richiama le formiche e rappresenta il “terreno” ideale per l'insediamento dei funghi della fumaggine: a causa di questi funghi, le foglie appaiono nere. La fumaggine impedisce la fotosintesi e porta, quindi, a scarsa produzione e al deperimento delle piante.
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Nel periodo tra ottobre e novembre, in quasi tutte le famiglie salentine arrivava Il momento più emozionante, ma anche il più faticoso: iniziava il rito della raccolta delle olive. Intorno all’albero, livellando e compattando il terreno, si otteneva un’aiuola circolare, l’aiera, che si teneva sempre molto pulita, perché lì sarebbero cadute le olive da raccogliere, magari ammucchiandole prima con le scope ricavate dai succhioni degli stessi alberi o, più recentemente, con le scope in plastica. Ai bordi dell’aiuola si faceva un rialzo perché le olive non potessero andare lontano. C’erano diversi modi per raccogliere le olive: si potevano raccogliere da terra una a una man mano che cadevano spontaneamente, oppure si facevano cadere dall’albero scuotendo i rami (in dialetto salentino “scotulare le ulie”), o, ancora, battendo i rami con una canna (abbacchiatura) per provocare la caduta di quelle più mature nelle apposite reti; infine si potevano raccogliere (spruare) a mano direttamente dai rami (brucatura) per non rovinare i frutti. Per arrivare ai rami più alti si usavano le scale “leatizze". Queste potevano essere più o meno lunghe. Le scale venivano legate ai rami perché non scivolassero trascinandosi dietro il contadino. Le scale
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più piccole erano usate dagli anziani, mentre i giovani utilizzavano quelle più lunghe che permettevano di salire fino ai rami più alti. La raccolta delle olive era lunga e faticosa: durava dall’alba al tramonto con una breve interruzione a mezzogiorno. Mentre i nonni raccontano si capisce quanto era importante il lavoro di squadra. Della raccolta da terra si occupavano le donne, che i datori di lavoro pagavano poco. Esse si disponevano in cerchio intorno all’albero e raccoglievano le olive con le mani, mettendole in cesti di giunco (panàri). Gli uomini provvedevano a sollevare i cesti pieni e a svuotarli in ceste più grandi. Il lavoro più difficile veniva affidato alle donne esperte che dovevano raccogliere le “cijare” cioè le olive poste sui rami più esterni e, quindi, più distanti dal tronco e più sparpagliate dopo la caduta. Le donne con meno esperienza raccoglievano, invece, le “fitte”, cioè le olive cadute più vicine al tronco e, quindi, più concentrate. Di questa consuetudine si parla anche in un canto popolare salentino, Fimmene Fimmene, che ad un certo punto dice: “fimmene fimmene ca sciati alle ulie, ccujitine le fitte e le cijare”. Non era un lavoro piacevole: faceva freddo, la terra era dura. A volte, a furia di raccogliere le olive da terra e tra le pietre, le unghie si consumavano e le dita sanguinavano. Le mani erano sempre fredde. Allora, si prendeva una pietra da vicino al fuoco, la si metteva in tasca e, ogni tanto la si toccava per riscaldarsi.
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Nella pausa di mezzogiorno, distrutti dal lavoro, finalmente si rilassavano pranzando in aperta campagna, seduti sui “cuti” (banchi di roccia affiorante) sotto gli alberi.Era il momento più bello, ma si aveva giusto il tempo per consumare un pezzo di pane casareccio e olio o una frisa, spesso di orzo, condita con pomodoro e accompagnata da olive in salamoia, peperoni o cicorie selvatiche, fave e piselli, olive arrostite, fichi secchi. Ma c’era anche chi si accontentava di mangiare solo un po’ di pane, perché non aveva altro. E, da bere, vino o acqua direttamente da “lu ‘mbile” recipiente di creta portato da casa. Nel momento di pausa i nonni “assaporavano” con gioia anche il pensiero che dopo qualche giorno avrebbero avuto sulla loro tavola una bella bottiglia di olio nuovo. Terminato il pranzo, si riprendeva il lavoro. Durante la giornata si cantava sempre (di solito, canti popolari) sia quando si lavorava nel fondo del padrone che quando si lavorava nel proprio oliveto. Per far divertire i più piccoli, spesso si raccontavano storie o si improvvisavano giochi, sempre legati alla raccolta delle olive. Nel proprio fondo non si lavorava mai da soli: le famiglie usavano aiutarsi l'una con l'altra. Ognuno si sentiva più sicuro, più protetto dalla vicinanza degli altri ed era sereno e la serenità portava a cantare.
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Una volta raccolte, le olive venivano setacciate (per ripulirle da foglie e pietre) e poi portate al frantoio (lu trappitu) che, di solito, era sotterraneo (frantoio ipogeo). Questo tipo di frantoio garantiva una temperatura costante, importante per la lavorazione delle olive. Nel frantoio si procedeva al lavaggio delle olive e alla loro molitura in una grande vasca con due ruote in pietra spinte da un mulo. Le ruote, girando nella vasca schiacciavano le olive. In seguito, la pasta delle olive era messa dentro dei contenitori circolari fatti in giunco chiamati "fisculi". I "fisculi", disposti uno sopra l'altro, erano poi messi sotto il torchio che li pressava e così usciva l'olio che finiva in una vasca di legno. L'olio ricavato, veniva separato dall'acqua sporca, cioè la "sentina", da "lu nachiru"."Lu nachiru" era il capo dei “trappitari” un operaio specializzato che con "lu nappu”, imbuto senza collo, separava l'olio affiorato in superficie, dalla sentina che rimaneva sul fondo. L'olio pulito veniva, poi, versato nelle damigiane. Questo processo poteva durare anche più di 12 ore. Il lavoro nei frantoi era molto duro, estenuante, andava avanti per mesi (si iniziava a novembre e si finiva a marzo) senza che i “trappitari”, cioè gli operai del frantoio (frantoiani) potessero tornare a casa. Si capisce bene che anche le condizioni igieniche erano pessime.
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I racconti dei nonni sull’olivo e i suoi frutti ci hanno fatto capire quanto questi preziosi alberi siano stati, per secoli, fonte di ricchezza, permettendo loro, come ai loro avi e alle future generazioni, di produrre l’olio, l’oro verde. La tavola semplice dei nonni si arricchiva di sapore grazie all’olio presente nei condimenti, ma anche oggi esso è grande protagonista della nostra tavola. Non vi è pasto, crudo o cotto, che non abbia come compon ente l’olio. Si utilizza come condimento di verdure, frise, legumi, insalate, pasta e per la preparazione di sugo, uova, carne … È anche usato per conservare cibi come carciofi, melanzane, pomodori secchi … Inoltre, rappresenta un’importante risorsa economica per la nostra terra: è l’oro del Salento. PROVERBI cu l’acqua e cu la nie se ccojene le ulie (le olive si raccolgono qualsiasi siano le condizioni meteorologiche) cchiù mpenne cchiù renne (più i rami pendono verso il basso, maggiore sarà la resa del raccolto)
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Daria Mangia, desirè Quarta, Chiara Lenti
S.O.S OLIVI SALENTINI La Xylella fastidiosa (Regno: Monere) In Puglia, l’olio è oro e gli oliveti sono le miniere dalle quali si ricava. Nel Salento l’olivo è paesaggio, storia, cultura, turismo. Purtroppo, però, l’olio e l’olivo sono, ormai, in grave pericolo. Infatti, a seguito del manifestarsi, in alcune zone sempre più estese, del disseccamento degli olivi, nella Provincia di Lecce, è stata attivata un’indagine territoriale che ha evidenziato la presenza di tre diversi agenti causali associati al grave fenomeno: - l’insetto Zeuzera pyrina; - i funghi Phaeoacremonium e Phaeomoniella; - il batterio Xylella fastidiosa. La Zeuzera pyrina (detta anche Rodilegno Giallo o Falena Leopardo) è un lepidottero diffuso in Europa, nel Nord Africa, nell’Asia Settentrionale. Le larve, scavando nella zona midollare del tronco e dei rami, sono particolarmente dannose per l’olivo. I funghi si insinuano nei tronchi provocando dei tagli di una strana tonalità di nero che causano lentamente la morte della pianta partendo dal fogliame per poi diffondersi all’interno del tronco.
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La Xylella fastidiosa è un batterio noto per essere un microrganismo dannoso per le coltivazioni agricole, in quanto provoca varie malattie: la malattia di Pierce della vite, la clorosi variegata degli agrumi e il disseccamento degli olivi. Inoltre è dannosa per il pesco, l’oleandro il prugno, il ciliegio e il mandorlo. Il sintomo tipico e più frequente della infezione da Xylella è il disseccamento che, dapprima, interessa solo alcuni rami, per poi diffondersi a tutta la chioma e al tronco, sul quale provoca degli imbrunimenti interni. Il batterio, diffuso da una cicala, agisce sull’albero, ostruendo dei vasi, detti vasi xilematici, e bloccando lo scorrere della linfa che nutre la pianta. L’intera provincia di Lecce è infetta, ma la malattia può diffondersi, superando il Salento e arrivando a minacciare altri territori. Fin’ora non si è trovata una cura per salvare i nostri oliveti e perciò si stanno già cominciando ad utilizzare metodi molto drastici come sradicare gli alberi, affinché il batterio non contagi altre zone. La speranza di tutti è che si trovi presto un’altra strada da seguire per proteggere gli olivi, una strada che non passi attraverso la distruzione di un patrimonio insostituibile del nostro territorio.
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Alunni 1a A
Lettera all'Ulivo Caro Ulivo, simbolo di vita e di saggezza, ti scriviamo perché siamo molto curiosi di avere notizie sulla tua origine, sulla tua rapida diffusione e sull’amore che hai suscitato nei nostri antenati. Dicci un po’: nel tempo, come ti hanno trattato? Ti hanno sottratto le olive con gentilezza, aspettando che cadessero delicatamente o ti hanno maltrattato, battendoti e scuotendoti perché le lasciassi andare? Tu che hai visto per intere generazioni, le persone nascere e invecchiare, parlaci di chi ti ha curato e assistito, per poterlo ringraziare. Sei una delle cose più importanti che abbiamo: ci rinfreschi nelle giornate afose coprendoci con la tua ombra e doni frutto alla nostra tavola. Sei la base della nostra economia, ma sei anche un amico che ci protegge e ci fa del bene. Quante storie ci potresti raccontare! Ci diresti che, all’epoca dei nostri nonni, le olive si raccoglievano con le mani, si mettevano in una cesta e si portavano al frantoio dove non c’erano i macchinari moderni e le persone attendevano con gioia l’arrivo delle ceste. Narraci dei raccolti abbondanti, descrivici i volti soddisfatti dei contadini, cantaci le loro canzoni allegre, la vita delle persone anziane nell’uliveto.
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A quanti pic-nic di Pasquetta hai assistito? Raccontaci dei ragazzini che si sono arrampicati sui tuoi rami, dei tanti uccelli che hanno costruito il nido su di te, o dei tanti animali che hai sottratto alla minaccia dei cacciatori. Sei come un monumento degno di complimenti e meraviglia. Anche se nei nostri giardini sei solo, ci pensiamo noi a farti compagnia. Però, non ti arrabbiare se, a volte, Argo, o qualcun’altro dei nostri cani, ti lascia vicino qualche ricordino maleodorante o se qualcuno di noi è allergico alla tua fioritura. Ti ringraziamo per i ramoscelli che ci hai donato ogni anno, poi benedetti in chiesa il giorno delle Palme. Pensiamo a tutti i pranzi di famiglia sotto la tua chioma, alle cadute e ai voli inciampando nelle tue radici che, abbiamo scoperto a scuola, sono importanti per impedire che si formino le frane. Un nostro compagno dice che per lui, quando era piccolo, tu eri il Big Ben di Londra, ma non aveva paura e per questo ti scalava fino ad arrivare in cima e lì, con occhi stupiti, poteva ammirare tutto il paese; ha anche una foto; ha detto che, poi, te la mostra. Molti di noi si incantano a osservare quelle fantastiche foglioline che cadono dolcemente a terra permettendo a tante altre di crescere. Quando eravamo nella scuola primaria, ci hanno fatto assaggiare delle fette di pane con olio e zucchero, la merenda con cui si nutrivano i nostri nonni quando erano bambini, un'esperienza davvero golosa! Possiamo ritenerci fortunati di viverti accanto: sei così importante da essere considerato patrimonio culturale, coltivato e amato da tantissime generazioni fino ad oggi. 54
Fino a poco tempo fa, ci sembravi un gigante, un omone forte, indistruttibile; ora ci sembra di vedere una persona vecchia, debole, caduta nella trappola mortale della “ Xylella” e per questo molti tuoi fratelli verranno abbattuti. Per la nostra Puglia, soprattutto per il nostro Salento, sei un elemento fondamentale e ora che minacciano di distruggerti, nelle nostre famiglie è come se si stesse per verificare un lutto. Qualche volta ci chiediamo come sarebbe la Puglia senza di te e se vuoi sapere ciò che pensiamo, immaginala vuota e senza olive, né olio. Le campagne salentine senza di te sarebbero come la Città del Vaticano senza la Basilica di San Pietro: perderemmo la nostra identità perché tu sei l’immagine di tutti noi, simbolo salentino al 100%. Sei uno specchio dove la nostra civiltà, le nostre virtù, i nostri valori si riflettono. Senza di te saremmo come immagini sbiadite, DVD difettosi. Con che cosa verrebbero battezzati i bambini? Con che cosa condiremmo i nostri piatti? Con olio di semi di girasole? Non farci venire il voltastomaco! Sei come un padre per noi tutti: hai visto generazioni succedersi, amori sbocciare, litigi scoppiare, esperienze compiersi … Tu e noi ci completiamo a vicenda, siamo una cosa sola, un’unione forte, indissolubile. Sei sempre stato un grande punto di riferimento per noi Salentini: rappresenti l’orgoglio di essere arrivati fin qui e di continuare ad evolverci. 55
Ci hai sempre supportati e aiutati e ora tocca a noi proteggerti per ricambiare il favore: ti dobbiamo aiutare, perché insieme possiamo farcela. Noi, ma anche tutte le altre persone che non vogliono perderti, ti difenderemo sempre, perché tu sei le nostre radici e non permetteremo a nessuno di danneggiarti! Se pensiamo a te, pensiamo alla libertà e alla forza. Tu puoi simboleggiare la resistenza alle avversità. Per capire cosa ti sta succedendo e come fare a proteggerti, una nostra compagna ha partecipato ad una manifestazione e proprio lì hanno spiegato che la resistenza è la migliore arma per abbattere il nemico. Dopo ogni caduta ci si può rialzare. Resisti ancora un po’, fino a che non si troverà una cura. Se fosse possibile moriremmo con te, perché con te siamo nati e perché con te svanirebbero i nostri ricordi e i nostri pensieri più belli. Siamo cresciuti tra le tue braccia e vogliamo restarci. Gli alunni della classe IA scuola secondaria di primo grado San Donato di Lecce
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