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IL DOPO CORONAVIRUS / 3 CONDOMINIO DIMENTICATO

IL DOPO CORONA VIRUS / 3 CONDOMINIO DIMENTICATO

Anche il legislatore dell’emergenza, nei provvedimenti emanati per contrastare la diffusione del coronavirus, ha del tutto sottovalutato l’importanza del condominio, dimentico del fatto che quasi il 60% della popolazione italiana vive in edifici condominiali. Secondo una ricerca pubblicata nel 2019, sono 14,5 milioni gli edifici in Italia, di cui 12,2 milioni sono edifici residenziali: di questi, circa il 10% (oltre 1,2 milioni) sono condomini dove abita, appunto, quasi il 60% della intera popolazione nazionale. Quindi, il condominio è un settore strategico dal punto di vista sociale, edilizio-urbanistico e ambientale, ma del tutto trascurato dal legislatore anche nella attuale fase di emergenza sanitaria che, tra l’altro, a seguito del lockdown ha costretto tutti gli italiani a rimanere nelle loro case, cioè nei condomini. L’ultima considerazione avrebbe dovuto indurre il Governo a emanare norme ad hoc per consentire, da un lato, all’amministratore di condominio di proseguire nella sua attività di gestione della cosa comune, e dall’altro il funzionamento dell’organo condominiale per eccellenza, cioè dell’assemblea, anche in un periodo in cui, per motivi sanitari, l’assembramento delle persone è vietato.

Amnesia

E invece le norme emanate hanno ignorato l’istituto del condominio, determinando una situazione di incertezza interpretativa nella quale gli amministratori sono chiamati ad effettuare scelte rischiando in proprio anche se agiscono nell’interesse dei loro amministrati. Quindi, conside rate le norme in vigore, l’attività di amministratore di condominio deve ritenersi sospesa o può essere proseguita ? «Posso uscire per andare a lavorare?» è stato l’interrogativo più ricorrente da quando, alle 23 di sabato 21 marzo, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha annuncia to il lockdown delle attività economiche in tutto il Paese a causa dell’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del covid-19. Nella misura, contenuta nel decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 22 marzo e in vigore fino al 3 maggio 2020, è stato considerato l’andamento del contagio, passibile o di ulteriore proroga oppure di mitigazione, secondo il calendario per la gestione della cosiddetta Fase 2. In ogni caso, il 26 marzo sono state sospese tutte le attività produttive

Le misure di emergenza per il contenimento del contagio hanno trascurato di precisare ruoli e prerogative degli amministratori condominiali. Lasciando dubbi su assemblee e sanificazione. Colpevole numero 1: il codice Ateco

Pietro Maria di Giovanni

industriali e commerciali, a eccezione di alcune. La norma, inoltre, specifica che le attività professionali non sono sospese, ma potranno proseguire nel rispetto delle disposizioni dettate dall’articolo 1 del decreto dell’11 marzo che, ricordiamo, raccomanda il massimo utilizzo dello smart working per i dipendenti, l’incentivazione delle ferie e dei congedi retribuiti, nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva, e per tutti l’adozione dei protocolli di sicurezza anti contagio (meglio specificati nel protocollo sottoscritto da sindacati e Confindustria in data 14 marzo 2020) e la sanificazione dei luoghi e degli strumenti di lavoro.

Zone grigie

Dove nasce l’incertezza ? Dal fatto che scorrendo l’elenco pubblicato all’Alle gato 1, si scopre che sono stati compresi i codici Ateco di diverse categorie di professionisti (attività finanziarie, assicurative, legali e contabili, direzione aziendale e di consulenza gestionale, degli studi di architettura e d’inge gneria, di ricerca scientifica e sviluppo e finanche servizi veterinari) ma non è stato compreso il codice 68.32.00, che è quello relativo all’attività degli amministratori di condominio. È chiaro a tutti, tranne al legislatore, che dopo l’emanazione della legge 4/2013 l’attività di amministrazione condominiale è da considerarsi una professione a tutti gli effetti e che, quindi, indipendentemente dall’inclusione o meno del codice Ateco nell’elenco, l’amministratore condominiale ha diritto di recarsi al suo studio per svolgere l’attività lavorativa o procedere a un sopralluogo in un con dominio amministrato.

Solo per le urgenze

La circostanza che il codice Ateco non sia stato compreso nell’elenco ha espo sto, comunque, gli amministratori che sono stati fermati dalle pattuglie in strada alla difficoltà di giustificare il loro diritto alla mobilità per svolgere la propria professione. Tanto ciò è vero, che la presidenza del Consiglio dei ministri ha ritenuto la necessità di chiarire, nelle proprie Faq, che l’attività di amministratore di condominio, anche se svolta in forma di impresa, è sempre consentita precisando che «la chiara dizione del Dpcm 22 marzo 2020 non può trovare ostacolo nell’eventuale lacuna del suo allegato». Nonostante tale precisazione,

il Governo ha reiterato l’errore. Infatti, neppure il Dpcm del 10 aprile 2020, che ha prorogato le eccezionali misure anticontagio fino al 3 maggio 2020, ha incluso tra le attività professionali normalmente espletabili quella dell’amministratore di condominio: ancora una volta nell’elenco allegato sub 3 a tale decreto, il codice Ateco 68.32.00 è stato omesso. Devono, comunque, ritenersi valide le considerazioni sopra svolte e, pertanto, all’interrogativo si deve dare risposta po sitiva: l’amministratore di condominio continua a svolgere la propria professione potendosi recare nel proprio ufficio o presso i condomini per eventuali sopralluoghi, ovviamente motivati da reale urgenza, anche per la tutela della salute dell’amministratore stesso.

Come comportarsi

La prosecuzione delle attività dovrà, nel rispetto delle disposizioni dettate dall’articolo 1, punto 7 del Dpcm dell’11 marzo 2020, privilegiare, laddove adottabile, la

forma dello smart working o del telela voro, e dove sia necessaria la presenza del personale dipendente all’interno dell’ufficio, deve essere garantito il rispetto delle disposizioni condivise da sindacati e Confindustria in data 14 marzo 2020 sulla salubrità degli ambienti, il rispetto delle misure di sicurezza anti contagio, l’obbligo di informazione e formazione dei dipendenti ai quali il datore di lavoro dovrà distribuire i Dpi, oltre ad aggior nare il Documento di valutazione dei rischi della propria attività professionale aggiungendo il rischio di contagio da covid-19. C’è, poi, un altro interrogativo al quale la normativa emergenziale non sembra dare risposta: come posso svolgere un’assemblea di condominio, visto che le ordinarie modalità del suo svolgimento sono state precluse? Infatti l’articolo 2, comma 1 del Dpcm dell’8 marzo 2020, le cui disposi zioni originariamente emanate per le cosiddette «zone rosse» sono poi state estese all’intero territorio nazionale, ha disposto la sospensione degli eventi di qualsiasi natura svolti in ogni luogo sia pubblico che privato: nella nozione di eventi vanno ricomprese anche le assemblee di condo minio, tanto ciò è vero che la presidenza del Consiglio dei ministri, il 13 marzo, ha precisato che «le assemblee condominiali sono vietate, a meno che non si svolgano con modalità a distanza, assicurando comunque il rispetto della normativa in materia di convocazioni e delibere» (la modalità di svolgimento da remoto è, in fatti, prevista dal citato Dpcm all’articolo 1 comma 1 lettera q come unica possibile per lo svolgimento di riunioni nella fase emergenziale).

Gli ostacoli

Il rispetto della normativa in materia di convocazioni e delibere costituisce il principale ostacolo all’organizzazione e allo svolgimento delle assemblee con dominiali con modalità telematiche. Infatti, se è vero che l’articolo 1136 del Codice civile richiede, in prima o secon-

da convocazione, l’intervento di tanti condòmini in modo da integrare il quorum costitutivo dell’assemblea, non precisa se l’intervento debba essere con una presenza fisica oppure anche «remoto o virtuale». E l’articolo 66 disposizioni attuative del Codice civile stabilisce che l’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale deve indicare espressamente il luogo ove si svolge la riunione, facendo intendere che deve essere un «luogo fisico», come ha confermato anche la giurisprudenza di legittimità. Tale norma è inderogabile, ma l’inderogabilità dell’indicazione di un luogo fisico va rispettata a beneficio di chi vuole partecipare fisicamente all’assemblea senza escludere la possibilità per gli altri condòmini di sfruttare le nuove tecnologie. La giurisprudenza di legittimità ha precisato che l’amministratore, in mancanza di indicazioni contenute all’interno del regolamento di condominio, deve fissare l’assemblea in un luogo che sia idoneo, per ragioni fisiche e morali, a consentire la partecipazione di tutti i condòmini e a svolgere la discussione ordinatamente (cfr. Cass. Civ., sez. II, 22 dicembre 1999 n. 14461).

Gap tecnologico

La scelta dello strumento telematico, quindi, dovrà consentire la partecipazione di tutti i condòmini, compatibilmente con il gap tecnologico che alcu

Sarebbe stato molto semplice risolvere il problema, autorizzando lo svolgimento delle assemblee in via telematica

ne generazioni possono manifestare e che costituisce un vero e proprio ostacolo alla diffusione dell’assemblea tenuta con videoconferenza. Ovviamente, non ci sarà alcun problema dove la possibilità di utilizzare lo strumento telematico sia già prevista dal regola mento condominiale: diversamente, l’amministratore sarà costretto ad acquisire preventivamente il consenso di tutti i condòmini allo svolgimento dell’assemblea in via telematica, prima di inviare la convocazione. Eppure sarebbe stato molto semplice risolvere il problema, autorizzando lo svolgimento delle assemblee di condominio in via telematica, in deroga alla vigente normativa, così come è stato fatto per le società di capitali e le associazioni, anche non riconosciute, e per le fondazioni. Infatti, l’articolo 106 del decreto legge 18/2020, Cura Italia, ha espressamente previsto che con l’avviso di convocazione di assemblea ordinaria o straordinaria, le diverse tipologie di società, le cooperative e mutue assicuratrici possono prevedere, anche in deroga alle diverse disposi zioni statutarie, l’espressione del voto in via elettronica o per corrispondenza e l’intervento all’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione.

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Sì al televoto

Tali società possono altresì prevedere che l’assemblea si svolga, anche esclusivamente, mediante mezzi di telecomunicazione che garantiscano l’identificazione dei partecipanti, la loro partecipazione e l’esercizio del diritto di voto, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 2370, comma 4, 2479-bis, comma 4, e 2538, comma 6, del Codice civile senza in ogni caso la necessità che si trovino nel medesimo luogo, ove previsti, il presidente, il segretario o il notaio. Mentre l’articolo 73 del decreto Cura Italia ha previsto che per tutta la durata del periodo di emergenza sanitaria è consentita la possibilità di svolgere sedute di consigli comunali, consigli provinciali, giunte comunali in videoconferenza an che se tale modalità non è stata preventivamente regolamentata. E la stessa possibilità è concessa alle associazioni private, anche non riconosciute e alle fondazioni che non abbiano regolamentato modalità di svolgimento delle sedute in videoconferenza, nel rispetto di criteri di trasparenza e tracciabilità previamente fissati, purché siano individuati sistemi che consentano di identificare con certezza i partecipanti nonché adeguata pubblicità delle sedute, ove previsto, secondo le modalità individuate da ciascun ente.

J’accuse

Il legislatore dell’emergenza, quindi, non ha perso occasione per dimostrare, ancora una volta, la propria volontà di ignorare la realtà condominiale, lasciandola ancorata, anche in questo periodo particolare, alle previsioni dei regolamenti condominiali che avrebbero necessità di adeguarsi prevedendo la possibilità di svolgere l’assemblea in via telematica. Ma per l’adeguamento occorre un’assemblea che allo stato è impossibile tenere. Ed ecco che il condominio è rimasto intrappolato nel loop dell’immutabilità delle sue regole interne, rischiando, tra l’altro, la paralisi economica con siderato che, generalmente, entro il primo semestre dell’anno, nel rispetto della previsione di cui all’articolo 1130 ultimo comma n. 10 del Codice civile, si tengono le assemblee necessarie per l’approvazione dei rendiconti, consuntivo e preventivo, in forza dei quali l’amministratore può richiedere ai condòmini le somme necessarie per la gestione della cosa comune.

Norme di comportamento

Nell’emergenza, però, c’è qualcuno che non si è dimenticato del condo minio, ma soltanto per aggravare gli oneri a carico dell’amministratore. Senza però contribuire in alcun modo a rispondere al terzo e ultimo interrogativo che la condizione particolare che stiamo vivendo pone: l’amministratore deve agire per contenere la diffusione del virus nel condominio? Le note generali emanate dal ministero della Salute contengono le linee guida per il trattamento dei casi, con le indicazioni per la pulizia degli ambienti non sanitari dove abbiano soggiornato casi confermati di covid-19, ma nulla dispongono circa la sanificazione di spazi ove non sia stata accertata la presenza di malati. Ciononostante, i sindaci di molte città italiane hanno ordinato la sanificazione degli ambienti comuni, anche in assenza di casi confermati di covid-19, con evidente aggravio di costi per i condomini e di oneri e responsabilità per l’amministratore. Quest’ultimo dovrà selezionare, svolgendo una appropriata verifica tecnico professionale, un’impresa abilitata per l’esecuzione di tale specifica attività, diversa dalla semplice attività di pulizia, secondo le previsioni della L. 25 gennaio 1994 n. 82 e del decreto

del 7 luglio 1997 n. 274, dovrà vigilare sull’operato di tale impresa facendosi rilasciare una dichiarazione relativa ai prodotti utilizzati, con relative specifiche tecniche, una dichiarazione relativa all’avvenuta informazione e formazione dei dipendenti ai sensi del Protocollo sottoscritto dalle parti sociali al fine di consentire lo svolgimento delle attività lavorative in tutta sicurezza. Dovrà informare i condòmini dei modi e dei tempi in cui si svolgerà l’attività di sanificazione per evitare che gli amministrati possano subire danni durante tali attività.

Operazione scale pulite

In assenza di una specifica ordinanza sindacale che imponga la sanificazione, e sempre che quest’ultima non venga richiesta dai condòmini, si ritiene che l’amministratore, quale custode della cosa comune, debba ricordare ai condòmini di evitare gli incontri ravvicinati in atri e pianerottoli, di non utilizzare l’ascensore se non uno alla volta, nonché richiamare i generali avvertimenti delle Autorità sanitarie come: lavarsi le mani, non toccarsi naso occhi e bocca, mantenere la distanza interpersonale almeno di 1 metro, utilizzare guanti di protezione, affiggendo nell’androne condominiale apposita informativa (utilizzando, per esempio, quelle predisposte dal ministero della Salute reperibili sul web). Insomma, dalla legislazione emergenziale zero considerazione e maggiori oneri per i condomini: allora è vero che sono figli di un Dio minore.

Pietro Maria dI Giovanni

Avvocato cassazionista, giurista d'impresa, opera da più di 20 anni nei settori del diritto civile, penale e consulenza alle aziende. Fin dagli studi universitari ha coltivato la passione per l'informatica giuridica ed il right to privacy.

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