L'illustre-NUMERO febbraio 2012

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L’illustre Venezia, idee, stili e storie

Anno 64 Mensile n°2 € 3,90

Poste Italiane s.p.a. spedizione in A.P. – D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27 febbraio 2004 n. 46) art. 1 comma 1, NE/VE

LARGO AI GIOVANI

Gabriella Belli, Musei Civici, Chiara Bertola, Fondazione Querini Stampalia, Martin Bethenod, Fondazione Pinault, Angela Vettese, Bevilacqua La Masa, e ancora la Fondazione Cini, le università Ca’ Foscari, Iuav e Viu A loro abbiamo chiesto chi sono i talenti emergenti di arte e cultura oggi

Calliandro Editore




il sommario cover story

Idee di talento Dopo la nomina di Massimiliano Gioni alla Biennale Arti Visive, 18 storie di giovani emergenti

ABDELLAH KARrOUM, da p. 30 STEFANO COLLICELLI CAGOL, Vincenzo De Bellis, Alberto Craievich, DANIELA ZANGRANDO, Raimundas Malašauskas, Victoria Noorthoorn, EMMA lavigne

p. 27

PIER MATTIA TOMMASINO, da p. 38 LUCIA SARDO, ANNA ALEXANDER, EVA OGLIOTTI, ELENA GISSI, Carlo Populin, Arianna Ronca, Carlo Segato, Andrea Sovilla

il somm


L’illustre Venezia, idee, stili e storie

L’ARRIVO DEL PASTORE Monsignor Francesco Moraglia è il nuovo Patriarca di Venezia viaggio nella laguna d’inverno Il foto-reportage del mese

p. 8

Direttore Editoriale Yuri Calliandro

p. 16

CONTENITORI CREATIVI Il futuro, il lavoro e l’immaginazione

p. 52

SULLE ALI DI FRANCA La signora dagli occhi di Giada (numero uno della Venice Foundation) si racconta

p. 54

L’ARTE DI FARE IL PANE Microcosmi, lavorare a Venezia

p. 58

DUECENTO ANNI DI ATENEO VENETO “Vogliamo continuare ad essere il pungolo della città”

p. 70

CLASSICO E MODERNO, ASSIEME SI PUò? Sperimentazioni all’Ateneo

p. 73

CENTO ANNI DI “SOTTOLAGUNARE” p. 79 Se ne parla da un secolo esatto ma il tunnel sotto la laguna è ancora fantascienza

le rubriche Storie vere di arte e cultura, con un pizzico di Facebook L’editoriale p. 7

Direttore Responsabile Daniele Pajar

eventi Oltre laguna Scatti celebri per Fotografi senza frontiere p. 49

mario Libri&Co. Idee editoriali per la vostra libreria p. 62

Foyer Persone, personaggi, e personalità a San Marco e dintorni p. 13

STORIA E STORIE Le origini di Venezia e altri racconti p. 75

Arts Cultura e affini in città p. 46

Saluti da venezia La città rivista attraverso le sue cartoline p. 80

In redazione Shaula Calliandro Hanno collaborato Pierluigi Tamburrini, Nadia De Lazzari, Lucio Maria D'Alessandro, Andrea Gion, Savino Liuzzi, Federico Moro, Vera Mantengoli, Claudio Dell’Orso, Federico Bosisio, Carlo Sopracordevole Commerciale e Marketing Gianluca Vianello commerciale@calliandroeditore.it Marketing Cristina Andretta In copertina Massimiliano Gioni ritratto da Selva Barni Immagini Manuel Silvestri Nino Esposto Carlo Sopracordevole (collezione personale) Image.net Redazione San Marco 4152, 30124 Venezia Telefono: 041 2413030 Fax: 041 5220391 illustre@calliandroeditore.it Editore Calliandro Editore San Marco 4152, 30124 Venezia Telefono: 041 2413030 Fax: 041 5220391 info@calliandroeditore.it Impaginazione Menta&Liquirizia Tipografia Grafiche Veneziane

Abbonamenti: scrivere a abbonamenti@calliandroeditore.it

Giornale iscritto al Tribunale di Venezia in data 23 agosto 1949 al n. 58 del registro pubblicazioni del ruolo stampa

Periodico iscritto all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana Numero del Repertorio del ROC. 16878



L’ editoriale

Storie vere di arte e cultura, con un pizzico di Facebook di Daniele pajar La nomina di Massimiliano Gioni a Direttore della Biennale Arti Visive del 2013 è uno spartiacque nel modo di intendere la gestione di grandi eventi d’arte. E’ l’annuncio dell’esistenza di un nucleo di giovani talenti che da emergenti stanno diventando maturi e capaci di cominciare a fare la differenza in un mondo dove gli stimoli principali dovrebbero proprio venire dal basso. Sono molti i giovani di talento che stanno crescendo accanto ad istituzioni importanti sia nel mondo dell’arte che in quello della cultura. Nelle pagine che contraddistinguono la cover story di questo numero abbiamo deciso di raccogliere alcuni nomi di ragazzi e ragazze talentuosi che ci sono stati indicati da parte di quei mostri sacri che rendono Venezia una realtà unica nel panorama artistico culturale sia italiano che internazionale. Siccome siamo un giornale, e non l’enciclopedia Britannica, questo insieme di segnalazioni non vuole essere esaustivo: anzi. Il nostro desiderio sa rebb e quello di continuare a raccontare storie di talenti ad ogni livello. Dal curatore allo studioso, dall’appassionato al genio di nascita. In questo mese di lavoro abbiamo cercato di contattare tutti. Qualcuno ha preferito non partecipare (ma confidiamo in un ripensamento) qualcun altro non siamo riusciti a raggiungerlo, di qualcuno è probabile che ci siamo scordati. Anche perchè queste sono le pagine del giornale e raccontare una ventina di nomi ci pare già un buon punto di partenza (sopratutto andare a caccia di ciascuno di loro in mezzo mondo è stato un lavoro estenuante). Ma siamo qui. Pronti per proseguire in questo racconto. La lista dei “raccomandatori” l’abbiamo riportata in copertina con chiarezza. Quando le segnalazioni ci sono arrivate da una persona ben precisa lo abbiamo scritto; quando il nome invece ci è arrivato da un insieme di persone abbiamo segnalato l’istituzione. Sul fronte delle fotografie mi preme una annotazione: a ciascun intervistato, fatto salvo il ritratto di apertura di Massimiliano Gioni e la foto di Emma Lavigne (che non ha mandato nulla perchè in vacanza), abbiamo chiesto di mandarci una sua foto. Liberamente. Questa volta niente fotografi con scatti ufficiali. Ne è venuto fuori un mix divertente di immagini di ogni genere: ci sono scatti professionali, foto fatte con gli amici. Di tutto un po’. Una sorta di Facebook di arte e cultura. Un modo ulteriore per capire con che tipo di persona si ha a che fare.


Monsignor Francesco Moraglia è il nuovo Patriarca di Venezia

L’ARRIVO DEL PASTORE di Nadia De Lazzari

“Sono mandato a voi come vostro Vescovo; non conto su particolari doti e doni personali, non vengo a voi con ricchezza di scienza e intelligenza ma col desiderio e il fermo proposito d’essere il primo servitore della nostra Chiesa che è in Venezia. Sono conscio d’essere mandato a una Chiesa viva, ben presente sul territorio, a una Chiesa che sa esprimere con una fede capace di farsi

cultura ma, soprattutto, a una Chiesa che ha una lunga storia scandita dalla santità, anche ordinaria, di molti suoi figli e figlie”. “Un pensiero di vicinanza amica e fraterna va a quanti appartengono alle differenti confessioni cristiane, alla comunità ebraica, ai credenti di altre religioni, agli uomini e alle donne non credenti, sopr attutto a coloro che sono “in ricerca”.


album xxxxxxxx di famiglia

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In questa pagina alcune foto tratte direttamente dell’album di famiglia del nuovo Patriarca di Venezia Mons. Francesco Moraglia. In alto a sinistra Francesco ritratto nel 1959 con i suoi compagni di scuola elementare (1); maggio 1961 il giorno della Prima Comunione (2); un giovanissimo Francesco ritratto con i fratelli (3); il futuro Patriarca di Venezia posa davanti al fotografo l’anno in cui ha conseguito la maturità (4); il momento dell’ordinazione presbiteriale di Francesco Moraglia (5); il seminario arcivescovile (6) ; è il 1977 l’anno della prima Messa celebrata dal futuro Patriarca di Venezia (7). Nell’ immagine qui accanto foto di gruppo dopo l’ordinazione sacerdotale avvenuta il 29 giugno del 1977


Questi alcuni passaggi del primo saluto del 49esimo patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, vescovo della diocesi di La Spezia-Sarzana-Brugnato, nominato lo scorso 31 gennaio da papa Benedetto XVI. Con il titolo il presule assumerà anche l’ufficio di Gran Cancelliere della facoltà di diritto canonico “S. Pio X” di Venezia e della facoltà teologica del Triveneto. Dalla Riviera ligure alla laguna veneta le voci si rincorrono. E si moltiplicano: “E’ un grande”. “Sorprenderà i veneziani”. Dopo ben cinque mesi di sede vacante – il più lungo dal 1900 – Venezia ha il suo “Pastore”. L’ingresso avverrà il pomeriggio del 24 marzo servendo i poveri della mensa di Ca’ Letizia a Mestre. Poi continuerà il 25, giorno di duplice festa per la città lagunare. La ricorrenza assomma la solennità liturgica dell’Annunciazione alla Vergine Maria e la festa del compleanno di Venezia. Vita e incarichi – Monsignor Moraglia è nato a Genova. Il prossimo 25 maggio compirà 59 anni. Ordinato sacerdote il 29 giugno 1977, è dottore in teologia dogmatica. Tra gli importanti incarichi: consultore della Congregazione vaticana per il clero; presidente del consiglio di amministrazione della fondazione “Comunicazione e Cultura” che sovrintende ai media della Conferenza episcopale italiana (Cei). 2008/2011 – Quattro anni intensi da vescovo nella diocesi spezzina nei quali ha apportato novità: ha inaugurato la pratica dei pellegrinaggi mariani diocesani del primo sabato del mese; ha istituito l’adorazione perpetua nelle parrocchie; ha riempito il seminario di giovani. In campo sociale ha preso posizione in favore degli operai, interessandosi personalmente dei disoccupati dell’ex fabbrica di elettrodomestici San Giorgio. Tra la fine del 2010 e

l’inizio del 2011 si è speso contro il riconoscimento delle coppie di fatto nel nuovo Statuto comunale della Spezia e l’istituzione del registro dei testamenti biologici del comune spezzino. Nei giorni dell’alluvione alle Cinque Terre, ottobre 2011, ha annullato gli impegni dalla sua agenda per essere presente sulle zone del disastro. Con il rettore don Franco Pagano ha chiuso temporaneamente il Seminario vescovile di Sarzana e inviato i seminaristi a collaborare ai soccorsi per aiutare le popolazioni colpite dalla grave calamità. “Queste vicende sono una scuola di vita: aiutano a essere più uomini. Impareranno qualcosa di vero e reale. Anche questo è importante per la loro formazione. Il nostro compito è stare in mezzo alla gente. Stai a sentire le persone, cerchi di tirar fuori quello che hanno dentro, incoraggi, dai una carezza”. Famiglia – I genitori e i tre fratelli abitano a Genova. La madre Elena, 85enne, brianzola, ha una laurea in lettere. Il padre Enrico, 87enne, nato a Bordighera, è avvocato come i tre fratelli: Maria Vittoria, Paolo e Rosangela, detta Rosy. Quest’ultima, sorella maggiore, ha appreso la notizia dal “fratello Francesco”. “Mi ha chiamata al telefono il 30 gennaio, vigilia dell’annuncio. Mi ricordo benissimo, ho guardato l’orologio. Erano le 20. Ho smesso di lavorare e ho appoggiato la testa sulla scrivania. Dopo un attimo di smarrimento una duplice riflessione: un onore grande e un compito importante. Venezia, gioiello mondiale, mi piace, così pure lo spirito dei veneti”. Stemma episcopale – Nella parte superiore, in campo azzurro, è posta una stella a otto punte, in quella inferiore mura merlate. Nel nuovo sarà inserito il leone di San Marco. Testimonianze da La Spezia – Dal monastero be-

l’approfondimento xxxxxxxx

nedettino Santa Maria del Mare madre MariaTeresa elenca “le credenziali più belle” del patriarca Moraglia: “E’ uomo di preghiera, mite, semplice. E’ un grande ma la sua grandezza è relativa in confronto alla bontà del cuore. L’abbiamo conosciuto nel 2008. Subito abbiamo detto: ce lo lasceranno per poco tempo. Infatti”. La religiosa rievoca un episodio: “Al suo ingresso in diocesi bussò da noi come un poverello, ci chiese umilmente ospitalità. “Le mie stanze in Curia non sono ancora pronte. Posso rimanere da voi?”. Ci siamo sentite gratificate. Per cinque mesi ho curato personalmente il vescovo che si alzava all’alba per pregare”. Sandro Borrini vive e lavora a La Spezia. Di professione: fotografo. “Frequento la chiesa per motivi di lavoro. Mi è capitato di fare servizi fotografici in cattedrale per battesimi, cresime, matrimoni ed ascoltare le omelie del vescovo Moraglia. Sorprendenti. Spesso a conclusione delle celebrazioni liturgiche mi sono avvicinato dicendogli “Le sue parole toccano il cuore. Grazie, eminenza”. Dalla parrocchia concattedrale San Pietro, San Lorenzo, San Colombano, don Alberto Albani si rivolge ai veneziani: “Avrete un uomo santo, colto, attivo. Beata Venezia, diocesi che ha dato tanti Pontefici e che presto l’avrà”. A Venezia – Queste le prime parole del sindaco Giorgio Orsoni: “La Città saprà accoglierlo con un caloroso e affettuoso abbraccio. Il nuovo Patriarca troverà una città forte ed orgogliosa, che sta vivendo profonde trasformazioni. Sono sicuro che sapremo affrontare questo importante percorso nella massima collaborazione”. In diocesi è già operativo un apposito Comitato di accoglienza presieduto da monsignor Danilo Barlese, moderatore di Curia, e formato da 13 sacerdoti e 6 laici.

PERCHè SI DICE PATRIARCA Con la bolla dell’8 ottobre 1451 papa Nicolò V sopprime il patriarcato di Grado. E Venezia, sua figlia lagunare, eredita titolo e territori. Tutto inizia nel primo decennio del VII secolo d.C. quando si scinde l’esteso patriarcato di Aquileia: da una parte la chiesa di Grado, filoromana, dall’altra quella di Aquileia, scismatica. Nel 699 lo scisma si ricompone ma il patriarcato di Grado rimane indipendente e riconosce come suffraganee alcune diocesi della Venetia maritima (comprendeva i domini bizantini tra la Laguna veneta e l’Istria). Nel 774 a Venezia in continuo sviluppo socio-economico viene istituita la diocesi di Olivolo/Castello. Poco più di due secoli dopo la sede episcopale di Grado si trasferisce nel cuore della cittadina lagunare. Che abbonda di cariche ecclesiastiche episcopali, ognuna con la propria giurisdizione: il patriarca di Grado trova sede nella chiesa di San Silvestro; il vescovo di Olivolo a San Pietro di Castello; il primicerio, primo canonico della cappella palatina del doge e chiesa di stato della repubblica di Venezia, in basilica di San Marco. E’ da citare anche il titolo di patriarca latino di Costantinopoli creato dopo la conquista crociata (1204) e riservato ai veneziani che lo trasferirono in città dopo la riconquista bizantina del 1246. Con la bolla papale del 1451 Grado si avvia al suo tramonto e la diocesi di Castello diventa il nucleo con sede episcopale a San Pietro. Il 23 dicembre prende possesso della cattedra il primo Patriarca di Venezia, Lorenzo Giustiniani, proclamato santo da papa Alessandro VIII nel 1690. 3 secoli dopo viene soppresso anche il patriarcato di Aquileia. Venezia rimane l’unica a detenere il titolo patriarcale della regione. Nel 1807 un altro riordinamento ecclesiale. Un decreto napoleonico trasferisce la cattedra nella basilica di San Marco e San Pietro di Castello diviene la concattedrale. Per questo i veneziani denominano Patriarca il loro vescovo. Alcuni di essi hanno attinto al soglio pontificio: Pio X, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I.



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Foyer

Persone, personaggi, personalità a San Marco e dintorni 1

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Mille volti al Carnevale di Venezia. Tra di loro il cantante inglese James Blunt impegnato in una esibizione al Ballo della Cavalchina (1); maschere sofisticate per il Ballo del Tiepolo (2); la straordinaria voce di Katia Ricciarelli con il tenore spagnolo Josè Carreras durante i Cavalchina Award (3); la stilista Aghata Ruiz de la Prada, a passeggio per Venezia con un abito decisamente appariscente (4); un’ elegante maschera dona una rosa al nostro fotografo in Piazza San Marco (5); un’ esibizione decisamente sexy durante i folli festeggiamenti al Ballo del Doge a Palazzo Pisani Moretta (6); il momento clou del Ballo della Cavalchina, organizzato da Matteo Corvino, ossia l’ingresso di Patti Pravo a cavallo in platea al Teatro la Fenice (7); un momento della manifestazione contro il passaggio delle grandi navi in laguna: un manifestante ha deciso di travestirsi da Comandante Schettino (8)

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F Carnevale a San Marco: Rocks The Square, Mr Dodds e l’Italia Si chiama Hamish Dodds, ed è il President e Chief Executive Officer, di Hard Rock Corporation, la multinazionale che ingloba il mitico marchio Hard Rock Cafè che, oltre a gestire i celebri locali in 53 paesi nel mondo, ha in capo anche la gestione di hotel e casino’ a marchio Hard Rock. Il manager ha trascorso il Carnevale a Venezia con un intermezzo milanese legato alla ricerca di una location adeguata per il nuovo Hrc meneghino che potrebbe nascere entro un anno. “Vogliamo investire in Italia perchè - spiega Dodds - le persone sono interessate al brand. In Italia pero’ gli investimenti legati al personale sono alti, c’è una certa difficoltà nel trovare i luoghi giusti e poi c’è il problema legato agli accordi legati alla burocrazia”. Per il numero uno del gruppo l’Italia “è un grande mercato, sofisticato e qui la musica piace” ma i dieci anni che sono stati necessari per allestire i due nuovi Hard Rock Cafè italiani, dopo quello di Roma, ossia Firenze (6 anni) e Venezia (4 anni), scoraggerebbero chiunque anche se è vero che “per altri grandi brand la location puo essere meno importante, invece per noi serve il posto giusto”. Il gruppo, il cui cuore operativo è ad Orlando in Florida (Usa), sembra non aver risentito assolutamente della crisi: 3,1 mld di dollari il fatturato del 2011 (riferito a tutta la corporation) con una previsione di crescita del 5% per il 2012; mentre per quanto riguarda solo i mitici caffè, che espongono le Memeorabilia dei gruppi piu famosi del mondo, il fatturato vale 750 mln di dollari per tutto il mondo ed in Italia (3 Hrc) 37 mln di dollari con una crescita stimata per il 2012 tra il 6% ed il 10%. Due le importanti operazione di marketing per il rafforzamento del brand chiuse dal gruppo in Italia: il concerto dei Simple Minds a Firenze e quello dei Modà a Venezia nell’ambito del progetto Rocks The Square (di cui potete vedere il racconto per immagini qui sopra).


aspettando le world series

TORNA A CASA LA BANDIERA DEL MORO Torna a Venezia la bandiera del Moro. Aspettando le regate della Coppa America che si terranno a Venezia dal 12 al 20 maggio. La bandiera era stata donata dal patron dell’imbarcazione Raul Gardini a Bruno Troublè, storico skipper delle imbarcazioni francesi alla Coppa America tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, proprio in occasione della Louis Vuitton Cup vinta dal Moro di Venezia nel 1992. In quell’occasione, dopo il round robin, il girone preliminare, il primo equipaggio sconfitto dal Moro furono proprio i francesi di La Defi Français su FRA27 Ville de Paris. La cavalcata di Paul Cayard e soci proseguì battendo Nippon Challenge e, in finale, New Zealand Challenge conquistando la Louis Vuitton Cup e diventando la prima barca di una nazione non anglofoba a sfidare i detentori dell’America’s Cup. La sfida, poi, finì con un 4 a 1 per America3 che fa comunque del Moro l’unica imbarcazione italiana ad aver vinto finora una regata di America’s Cup, impresa non riuscita nemmeno a Luna Rossa. La storica bandiera è stata riconsegnata da Troublè alla Compagnia della Vela, il circolo velico cui apparteneva il Moro, nelle mani del suo presidente e sindaco di Venezia Giorgio Orsoni in occasione della presentazione, nella sede del circolo velico dell’Isola di San Giorgio, dei due act di Coppa America che si terranno a Venezia, in parte in mare aperto e in parte in laguna, tra poco più di due mesi.

OMEGA & PASSIONI Qualche settimana fa Omega ha organizzato con il forum Orologi & Passioni un’esclusiva serata presso la nuova boutique di Venezia (San Marco 1291 Salizada San Moisè), per mostrare ad un selezionato gruppo di appassionati le novità lanciate sul mercato italiano ed i modelli storici del prestigioso marchio svizzero, esposti presso il Museo Omega di Bienne (Svizzera) e presentati in esclusiva per i forumisti. Gli ospiti hanno potuto vivere l’esperienza unica di un prestigioso brand, che ha raccontato il suo percorso appassionante nel panorama dell’orologeria mondiale attraverso i successi del passato e le conquiste tecnologiche del presente: partendo dai modelli subacquei, che hanno segnato traguardi fondamentali nell’evoluzione degli orologi pensati per le profondità marine, passando per i calibri di manifattura distintivi della casa orologiera, fino all’emozionante presentazione dei Tourbillon, capolavori di stile ed ingegneria orologiera. Una serata unica, che L’illustre vi racconta, dedicata ad ospiti esperti ed appassionati, accolti all’interno di una boutique elegante e prestigiosa: la terza che il brand Omega ha deciso di aprire a Venezia, dopo le aperture di Milano nel 2002 e Roma nel 2010.

Andrea Nunziata, Brand Manager Omega Italia, mostra agli appassionati forumisti di Orologi & Passioni i modelli storici e le novità del brand; a lato la boutique veneziana Omega

orologi


Il foto-reportage del mese

VIAGGIO NELLA LAGUNA D’INVERNO foto di manuel silvestri

Un freddo come quello che si è visto nello strano inverno 2012 non lambiva la città di Venezia da almeno 90 anni. Prima si sono vistE piccole macchioline di ghiaccio che poi sono diventate vere e proprie lingUe gelate capaci di intrappolare sotto di se un’ intera laguna. Qui sopra un aereo, proveniente dai paesi caldi, sembra quasi atterrare sulla cima delle Alpi. In realtà punta diritto verso l’aeroporto Marco Polo. Un gioco surreale di luci ci accompagna in questo viaggio, fatto di immagini, nel freddo inverno della laguna veneziana. E’ L’illustre fotoreportage di questo mese.




E’ l’alba sulla laguna di Venezia; i gabbiani si affollano sull’acqua che stamani, diversamente dal solito, è ghiacciata


Il Campanile di San Marco sorveglia la città ; sulle vie d’acqua, a mattinata inoltrata, a farla da padrona sono ancora le lastre d’acqua gelata


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Venezia nella morsa del gelo anche nel 1929. Nella foto qui sopra una lastra di ghiaccio intrappola le acque della laguna. Sopra una sottile coltre di neve e decine di veneziani che vi passeggiano tranquillamente, stupiti. Chi c’era allora ricorda un freddo terribile: il ghiaccio era talmente spesso e compatto che dava la possibilità di arrivare praticamente a piedi all’isola di Murano. In quell’anno la colonnina di mercurio si fermo’ con una certa costanza attorno ai dieci gradi sotto lo zero rafforzando, giorno dopo giorno, la lastra ghiacciata. Impossibile quindi per le barche transitare: la città dovette inventarsi nuovi metodi per fare arrivare i rifornimenti dalla terraferma. Quest’anno invece, per liberarsi del ghiaccio, si è potuti ricorrere ad un piccolo rompighiaccio: un rimorchiatore baltico,attrezzato ad hoc, che è riuscito a liberare, cosa molto importante, il tratto acqueo di laguna che da Punta San Giuliano consente l’arrivo nella città storica ai mezzi che servono per i rifornimenti di vario genere.

Anno 1929. I veneziani passeggiano incuriositi sulla laguna aggredita dal ghiaccio e ricoperta da una sottile coltre di neve; si tratta di un evento che già allora era straordinario

Il freddo ha poi portato disagi di vario genere e qualche incidente, come quello documentato nella foto qui accanto, dove un uomo è scivolato nelle acque ghiacciate della laguna (subito ripescato senza conseguenze). Ma c’è chi il freddo lo apprezza per consumare anche originali riti: al Lido, ad esempio, il Carnevale lo si è festeggiato in maschera con un tuffo tra i f lutti dell’Adriatico: è il Carnevale degli ibernisti. Il vero appassionato di questa disciplina fa il bagno in mare in un periodo dell’anno ben preciso: dal primo ottobre al 31 marzo; chi volesse cimentarsi in questa disciplina deve superare una sorta di prova dell’acqua da tenersi proprio nel periodo prestabilito.

Sopra: un passante finisce drammaticamente nell’acqua gelata sotto gli occhi del nostro fotografo nei giorni del reportage; accanto invece un gruppo di ibernisti, ossia appassionati del bagno decisamente fuori stagione, festeggiano a modo loro il Carnevale gelato nelle acque del Lido



Ad un passo dal Ponte di Rialto i tavolini della movida serale veneziana sono a riposo, assieme a qualche fiocco di neve, creando una atmosfera surreale



Scende la sera sulla laguna: il ghiaccio è ancora lì, imperterrito aggredisce anche una bricola. Per aprire i collegamenti acquei tra la terraferma e la città di Venezia servirà un rompighiaccio



Dopo la nomina di Massimiliano Gioni alla Biennale Arti Visive, 18 storie di giovani emergenti

Idee di talento

di Daniele Pajar, Vera Mantengoli, Pierluigi Tamburrini Niente Facebook. Niente Twitter. La posta elettronica sì. Sempre a portata di mano e zeppa di mail. Un po’ come la valigia. Massimiliano Gioni, il fenomeno 2012 dell’Arte contemporanea, è sempre in viaggio. A soli 38 anni è stato nominato direttore della Biennale Arti Visive. Una cosa da record nel paese dove un ruolo del genere prima dei cinquanta te lo puoi solo sognare. Come detto Gioni si muove da un capo

del mondo all’altro. Se con lui cominci un’ intervista a Milano, magari negli uffici della Fondazione Trussardi, dove è direttore artistico, rischi di finirla tra Doha e New York. E infatti in questo periodo il 38enne di Busto Arisizio (dove è nato nel 1973) è nella Grande Mela dove è al lavoro con il suo mentore, l’artista specializzato in provocazioni, Maurizio Cattelan.


Lì si è inaugurato Family Business, “uno spazio di condivisione gratuito e messo a disposizione delle persone che hanno qualcosa da dire, un modo per conoscere nuove famiglie e nuovi amici”. Il luogo scelto per questo progetto è Chelsea, al civico 520 della 21ma Strada, proprio dove ha sede la galleria di Anna Kustera, che ha siglato con l’italiano un contratto triennale per la locazione di una parte degli spazi. La nuova idea strampalata della coppia Cattelan-Gioni ricorda un altro loro successo: la ‘Wrong Gallery’, uno spazio minuscolo aperto tra il 2002 e 2005, sempre a New York, incastrato tra le oltre 300 gallerie d’arte di Chelsea. Parola di Gioni (di allora) “a New York sembrava che i soldi e le dimensioni delle gallerie fossero indispensabili per poter avere una voce. Abbiamo voluto sfidare le convenzioni aprendo una galleria basata solo sulla partecipazione e l’entusiasmo di artisti, amici, galleristi, fotografi”. Un battito di ciglia a ritroso di una settimana ed eccoci a Doha per la prima mostra di Takashi Murakami in Medio Oriente inaugurata nello spazio espositivo Al Riwaq del Museo di Arte Islamica: “nel realizzare questa mostra ho trovato grande disponibilità e attenzione, devozione verso l’artista’ - spiega Gioni, curatore di questa retrospettiva/introspettiva - ma la sfida più grande nel realizzare questo progetto e’ stato lavorare in un contesto in cui non c’e’ la tradizione artistica tecnica, per esempio non vi sono allestitori qatarini, ma e’ anche la soddisfazione più grande perché sei parte di un processo di apprendimento e insegnamento reciproco: io devo riconsiderare il modo in cui lavoro e dall’altro so che il mio lavoro rappresenta una ricchezza per questo posto’’. Un pupazzo gonfiabile di 6 metri rappresentante Murakami domina l’ingresso degli oltre 2.300 metri quadri di spazio espositivo in cui l’artista si racconta inizialmente in maniera piu’ tradizionale attraverso quadri e sculture con riferimenti a Pollock, Bacon, Warhol e all’arte tradizionale giapponese. Poi con un effetto sorpresa Murakami ricrea l’universo che ha nella sua mente attraverso sequenze infinite di pannelli, una tenda da circo, sculture scintillanti e video, tra cui anche quello che ha fatto per il musicista americano Kanye West. Da questi elementi è chiaro perchè la mostra si chiama “Murakami Ego”. ‘’Lavorare con Takashi - spiega Gioni - e’ un’esperienza incredibile non solo perché e’ un artista straordinario, ma anche perché Takashi e’ al centro di un piccolo impero. Lui lavora con centinaia di collaboratori, assistenti e amici, quindi intorno a lui si forma un’energia potentissima’’. Il protagonista di questa esposizione e’ sicuramente ‘’Arhat’’, un dipinto lungo 100 metri, composto da 100 pannelli in cui viene rappresentata la forza oscura della natura con quattro temi, vento, fuoco, foresta e montagna. Non vi e’ un riferimento diretto al disastro di Fukushima, ma la tragedia vissuta dal Giappone e’ percepibile. E così tra una cosuccia e l’altra Gioni sembra abbia cominciato a lavorare pure per la Biennale; con tutti questi impegni speriamo che quantomeno si sia fatto un’ idea: manterrà invariato il suo stile, ossia “cambiare le regole un po’” o “testare nuovi formati per visualizzare l’arte”? Si vedrà. Le aspettative sono alte. Intanto abbiamo scoperto qual è il suo feticcio portafortuna su Venezia: è il numero tre. “Mi piace – spiega in una intervista ad Artnet.de - sempre sottolineare che vi è una corrispondenza numerologica nelle cose: la mia

prima visita alla Biennale si è svolta nel 1993 (a 20 anni)” allora diretta da Achille Bonito Oliva. Mentre è nel 2003 che Gioni sbarca a Venezia in veste di operatore chiamato dall’allora Direttore della Biennale, Francesco Bonami, dove “ho avuto la fortuna di essere uno dei curatori, insieme a tanti altri come Carlos Basualdo, Catherine David, Hou Hanru, Molly Nesbitt, Hans Ulrich Obrist e Igor Zabel”; quell’anno Gioni lavoro’ alla cosiddetta Zona, il futuro Padiglione Italia. E poi c’è il 2013, l’anno in cui Gioni sarà Direttore: “a curare una mostra, come la storica Biennale di Venezia, si ha sempre un po’ di timore. Però e’ un onore ed una sfida”. Vedremo come andrà. Quel che è certo è che il ragazzo ha contro di sè, se di svantaggio si può parlare, solo l’età anagrafica che lo mette sotto i riflettori in maniera spasmodica. Per il resto Gioni alla Biennale di Venezia ha già lavorato ed ha operato in altre tre biennali mondiali come Manifesta, Berlino e Kwanju. L’essere stato per alcuni anni l’uomo ombra di Maurizio Cattelan gli è servito parecchio: ha imparato come giocare con il personaggio ed ha pure potuto fare pratica con una sorta di alter ego, rilasciando interviste telefoniche, scrivendo comunicati stampa, sempre in veste di portavoce dell’artista di origini padovane. Primo banco di prova sarà sicuramente Documenta 13 l’evento di Kassel sul quale tutti, a Biennale di Venezia finita, prenderanno le misure per giudicare il lavoro del talento di Busto.

Chi è Massimilia no Gioni (Busto Arsizio, 1973) è curatore e critico di arte contemporanea. Nel 2010 ha d i r e t t o 10 . 0 0 0 L i v e s , l ’ot t av a Bien na le d ’A r te di Gwang ju in Sud Corea essendone i l più g iova ne direttore, nonché il primo europeo di questa biennale d ’a rte contempora nea; l’edizione da lui curata ha reg ist rato un a f f lusso d i 500mila visitatori. Ha curato la sezione “La Zona” per la 50. Esposizione Interna ziona le d ’A rte della Bienna le di Venezia. La sua esperienza come direttore artistico di biennali e mostre internazionali include l’organizzazione di Of Mice and Men – la quarta Biennale di Berlino (2006) e la quinta edizione della biennale d’arte itinerante Manifesta (2004). E’ Associate Director del New Museum di New York e Direttore Artistico della Fondazione Nicola Trussardi di Milano. A fine gennaio 2012 è stato nominato a maggioranza dal Consiglio d’Amministrazione della Biennale Direttore del Settore A rti Visive con lo specif ico inca rico di curare la 55. Esposizione Internazionale d’Arte che si terrà nel 2013. Recentemente ci sono state alcune polemiche tra il membro di nomina governativa della Biennale stessa,Fra ncesco Ma ria Ema nuele

Emmanuele, ed il Presidente Paolo Baratta con un rovente scambio epistolare sulla metodologia attuata per le nomine. Per le Arti Visive, dopo avere richiamato il successo dell’edizione di Bice Curiger, “la Biennale ha voluto nominare con congruo anticipo il nuovo Direttore, e fra le possibili soluzioni in campo internazionale ha individuato in Massimiliano Gioni una personalità, giovane, che ha già accumulato importantissimi incarichi che egli ha svolto in modo da conquistare autorevolezza tra gli artisti e i critici di tutto il mondo” è stato il commento di Baratta alla nomina (largamente attesa). Massimiliano Gioni, originario di Busto Arsizio, lavora prevalentemente tra Milano e New York



questioni xxxxxxxx di talento

ABDELLAH KARrOUM

A

Abdellah Karroum è un curatore errante. Esplora da sempre in lungo e in largo le strade del mondo. Non ha una dimora unica. Le sue basi attualmente sono a Cotonou in Benin, a Parigi in Francia e a Rabat in Marocco, dove nasce nel 1970. Si trasferisce presto a Bordeaux dove lavora al CAPC, il Museo di Arte Contemporanea. Dopo qualche anno, nel 2002, inaugura a Rabat uno spazio speciale che diventa un’icona nel mondo dell’arte contemporanea: L’appartment 22. Si tratta di uno spazio che ospita residenze e mostre per favorire lo scambio culturale e artistico (www. appartement22.com). Nel corso degli anni, grazie all’assidua frequentazioni di artisti provenienti da tutto il mondo, lo spazio si è arricchito della nascita di una radio, ascoltabile on line, per dare voce agli artisti e ai simposi sull’arte diffusi nel mondo, superare i confini geografici e conoscere della musica difficilmente raggiungibile (www.radioapartment22.com). Più recentemente Abdellah Karroum è stato curatore associato per diverse Biennali di Arte (Dakar in Senegal nel 2006, Gwangju nella Corea del Sud nel 2008, Marrakech in Marocco nel 2009). La passione per la conoscenza dell’arte nei diversi contesti sociali lo ha portato a fondare il progetto Le Bout du Monde, una serie di spedizioni artistiche in alcuni luoghi ai confini del mondo. Pioniere di iniziative originali Abdellah

Karroum ha dato vita anche alla Délégation artistique, una nuova metodologia per creare progetti artistici. Ha inoltre fondato il laboratorio di ricerca Art, Technologie et Ecologie, definita una micro accademia, in collegamento con L’Appartment 22. In concomitanza della 53. Biennale di Arti Visive 2011 Karroum era in Giudecca allo Spazio Punch (www.spaziopunch.com) con un progetto per un futuro Padiglione del Marocco, intitolato Working for Change. Attualmente è uno dei quattro curatori associati per la prossima Triennale «Intense Proximity», in programma al Palais de Tokyo di Parigi (dal 20 aprile al 26 agosto) e curata da Okwui Enwezor. L’idea ispiratrice è stata quella della «generosità intellettuale» che ha guidato il gruppo dei cinque curatori (incluso Enwezor), ognuno dei quali ha realizzato in seguito un magazine (il suo è Parler Monde, in uscita a marzo). La novità più attesa dell’anno è la seconda edizione della Biennale del Benin, il prossimo novembre sparsa in diverse città dello stato, dove Karroum curerà uno spazio intitolato Inventing World. Prima di allora sarà a Monaco per un’altra iniziativa che svela una sua grande passione: la scrittura. Karroum è art director della Fondazione Prince Pierre di Monaco per la quale ha ripensato il format di un celebre Premio di Arte Internazionale (5000 euro) per un testo che affronti il tema dell’arte con un approccio critico o informativo, ma che comunque dia un contributo all’ambito artistico. (V.M.)

Abdellah Karroum, nato a Rabat, in Marocco, nel 1970, è un curatore; il suo talento ci è stato indicato da Martin Bethenod della Fondazione Pinault che a Venezia significa Palazzo Grassi e Punta della Dogana; nell’ immagine piccola “Working for Change” allestito a Venezia per la Biennale


questioni xxxxxxxx di talento

STEFANO COLLICELLI CAGOL

L

«La mostra è il momento culminante di un dialogo che si è sviluppato ben prima tra l’artista e il curatore. Per me non significa realizzare un progetto intellettuale, ma dare spazio alla possibilità conoscitiva dell’esperienza». Il padovano Stefano Collicelli Cagol, classe 1978, si racconta da Londra, città dove attualmente risiede per ultimare il progetto di dottorato al Curating Contemporary Art Department del Royal College of Art. La sua ricerca contribuisce ad arricchire la conoscenza della figura del curatore nell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, con un approfondimento sulla realtà di Palazzo Grassi sotto la direzione di Paolo Marinotti: «Il progetto di ricerca mi permette di guardare l’Italia globalmente e di riconoscere che in quel periodo Palazzo Grassi è stato particolarmente innovativo se si considera che hanno collaborato personaggi come Willem Sandberg, poi direttore dello Stedelijk Museum di Amsterdam, e Asger Jorn, artista dell’Internazionale Situazionista». Collicelli Cagol coordina dal 2009 il progetto di Residenze per Giovani Curatori organizzato dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino dove è stato Assistente Curatore di Francesco Bonami per la mostra Un’Espressione Geografica, conclusasi lo scorso gennaio: «Invitiamo dei curatori stranieri - spiega - e li aiutiamo a conoscere il nostro

territorio, programmando per quattro mesi delle tappe per comprendere il contesto dove poi lavoreranno. L’idea è quella di favorire lo scambio e il contatto con l’Italia, come infatti avviene». Tra i partecipanti ricordiamo per esempio Fiona Parry della Cubitt Gallery di Londra che, dopo aver conosciuto Giulia Piscitelli durante la residenza, le ha curato una mostra personale alla Cubitt. Nel 2010 ha curato Sette Piccoli Errori / Seven Little Mistakes al Museo Marino Marini di Firenze, chiesa rinascimentale sconsacrata con cripta adibita a spazio espositivo. La mostra è stata l’occasione per esporre una propria idea di scultura, intesa non come opera tridimensionale, ma come forma che mette in crisi i parametri usuali: «Simon Wachsmuth ha portato due video. In uno riflette sulle modalità di costruzione dell’idea dell’Iran operata dagli storici, prendendo come spunto le rovine di Persepolis e il tentativo degli archeologi di ricostruire e giustificare un passato già precedentemente ipotizzato. Nell’altro mostra le attività che si svolgono all’interno dello Zourkhaneh, un luogo la cui antichissima origine militare è testimoniata dagli strumenti utilizzati negli esercizi che oggi vi si praticano. Una serie di immagini di archivio evidenziano l’ambiguità dell’oggetto documento, mettendo in discussione lo statuto scientifico della storia e la sua influenza sulla percezione del presente». In passato il curatore è stato Research Curator presso Villa Manin

– Centro d’Arte Contemporanea, Passariano (UD) e ha collaborato con la rivista Domus. Dal 2004 al 2006 è stato titolare di un assegno di ricerca sulle Biennali di Arti Visive di Venezia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia – Dipartimento di Storia delle Arti e Conservazione dei Beni Artistici, dove aveva precedentemente conseguito la laurea specialistica nel 2002. Attualmente Collicelli Cagol si sta occupando della sesta edizione della residenza dei curatori alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. «Il risultato di una mostra proviene sempre da una ricerca e da uno studio approfondito, arricchito sempre da un dialogo fitto con l’artista. Cerco di bilanciare sempre il lavoro che c’è dietro con l’esposizione dell’opera che è quella che alla fine occupa lo spazio. Quando questo avviene quello che ne emerge è qualcosa di nuovo per entrambi, per l’artista e per il curatore, perché non c’è niente di prestabilito». (V.M.)

Stefano Collicelli Cagol, padovano classe 1978, vive a Londra e sta completando un progetto di dottorato al Curating Contemporary Art Department; il suo talento ci è stato indicato da Chiara Bertola della Fondazione Querini Stampalia


questioni xxxxxxxx di talento

Vincenzo De Bellis

U

«Una buona mostra è quando non si percepisce la presenza del curatore». È con queste parole che Vincenzo De Bellis definisce la professione di curatore «fondamentale, ma fondamentale soprattutto che non si veda». Dopo tre anni trascorsi a New York De Bellis torna a Milano e si rende conto che manca completamente una programmazione di arte contemporanea: «Adesso, con un’amministrazione diversa - afferma sembra che qualcosa stia cambiando, ma fino a qualche anno fa non c’era nessuno spazio che si occupasse di promuovere l’arte contemporanea, neppure il PAC aveva una programmazione adeguata». Nasce così PeepHole, fondato da lui, dalla moglie Bruna Roccasalva e Anna Daneri, con l’idea di supplire a questo vuoto. «È l’unico spazio privato - prosegue - aperto al pubblico». L’esperienza all’estero gli serve per importare un modello che negli USA è diffuso, ovvero quello del recupero fondi attraverso la vendita di opere d’arte: «In America vanno molto le aste - spiega - ma noi abbiamo preferito comunque aprire una mostra per un periodo ed esporre le opere che gli artisti ci hanno donato. Ne facciamo una all’anno seguendo questo schema e poi il ricavato lo utilizziamo per altri progetti». È stata appena inaugurata (il 29 febbraio) una mostra con questo formato, Take the leap, aperta fino al 24 marzo allo spazio Peep-Hole di Milano, in via Panfilo Castaldi

33: «Abbiamo scelto il 29 per l’apertura per diversi motivi. Intanto per esorcizzare chi dice che gli anni bisestili portino male, poi perché in inglese questo giorno è chiamato leapday, letteralmente giorno del salto. A breve dovremmo infatti trasferirci in uno spazio pubblico e, simbolicamente, fare un salto pure noi». Come curatore non ha nessuna preferenza, ma quello che in realtà lo contraddistingue è l’interesse per un formato personale di mostra: «Per me è essenziale che si crei un rapporto di complicità con l’artista». Vincenzo De Bellis sta scrivendo un libro focalizzandosi proprio su questo argomento, il rapporto tra curatore e artista, da Szeeman in poi: «Ci sono sempre stati i curatori. Prima erano i Papi, poi i nobili, in seguito i mercanti con i galleristi. Poi è arrivato un uomo geniale che ha rivoluzionato tutto, Harald Szeemann. Non a caso proveniva dal teatro. Curare una mostra è fare una regia teatrale. Sarebbe un sogno una Biennale con pochissimi artisti, sia all’Arsenale che ai Giardini. Sarebbe meravigliosa». Vincenzo de Bellis è nato a Putignano, in provincia di Bari, nel 1977. Attualmente vive e lavora a Milano. De Bellis è Fondatore, Direttore e Curatore di Peep-Hole, centro di arte contemporanea di Milano (www.peep-hole. org). Tra i progetti espositivi recenti, realizzati presso Peep-Hole, citiamo: Renata Lucas. Third Time; Rosalind Nashashibi. La Visone di Carlo; Francesco Arena. Com’è piccola Milano; Pavel Buchler & Evangelia Spiliopoulou.

Working Title; J. Parker Valentine.Cut-Outs-InterSections; Corrado Levi. Quasi, Autoamori di Johnny e una poesia; Mario Garcia Torres. I Will Be With You Shortly; Ahmet Ogut. Mind the Gap. De Bellis è anche editor del trimestrale di scritti d’artista Peep-Hole Sheet arrivato ora al suo numero 11 con contributi di Liam Gillick, John Miller, Dora Garcia, Jonathan Horowitz, Massimo Grimaldi, Matias Faldbakken, Pavel Buchler, Karl Holmqvist, Giuseppe Gabellone & Diego Perrone, Jimmie Durham e Pedro Barateiro. Nel 2010 è stato guest curator per il Museion di Bolzano dove ha curato la mostra Soft Information in Your Hard Facts di Gabriel Kuri. Come curatore in residenza presso la Fondazione Pastificio Cerere di Roma ha realizzato le mostre personali di Reto Pulfer e Lara Almarcegui. Nel 2008 ha ottenuto il Master of Arts in Curatorial Practice presso il Center For Curatorial Studies, Bard College, Annandale On Hudson, NY. Tra il 2007 e il 2008 ha curato i seguenti progetti: Countdown, Hessel Museum of Art and Center For Curatorial Studies, Bard College, Annandale-on-Hudson, NY (2008); Pietro Roccasalva - Z, Park Avenue Armory, New York (2008); Lost and Found City, Storefront for Art and Architecture, New York (2007). De Bellis collabora regolarmente con riviste specializzate tra cui Artforum. com, Mousse Magazine e Abitare. (V.M.)


questioni di talento xxxxxxxx

Alberto Craievich

A

Alberto Craievich è uno dei più illustri esperti e studiosi di arte veneziana. Attualmente è impegnato, insieme al direttore di Ca’ Rezzonico Filippo Pedrocco, alla realizzazione della mostra «Francesco Guardi (1712-1793)» che si terrà a settembre al Museo Correr. La sua carriera professionale vanta numerose pubblicazioni ed esperienze nel mondo accademico e museale. Specializzato nello studio dell’ambiente artistico veneziano del Seicento e del Settecento, Craievich ha inoltre preso parte alla catalogazione del patrimonio artistico dell’Istria e della Dalmazia, portando alla pubblicazione della collana «Studi e ricerche d’arte veneta in Istria e Dalmazia». Ha contribuito ad approfondire le opere d’arte veneta nelle isole del Quarnero. Ha partecipato con la redazione di saggi e di schede alla realizzazione di molte mostre. Ne citiamo solo alcune: Metamorfosi del Mito. Pittura barocca tra Napoli, Genova e Venezia (Genova - Salerno 2003); Tiepolo. Ironia e comico (2004); I disegni del professore. La raccolta Giuseppe Fiocco della Fondazione Giorgio Cini (2005); Rosalba. Prima pittrice de l’Europa (2007). Assieme a Giuseppe Pavanello ha curato Canaletto, Venezia e i suoi splendori (Treviso 2008). Dal 2000 è docente a contratto presso

l’Università degli Studi di Trieste; dal 2007 insegna Storia della tradizione classica nell’arte europea. Craievich è anche autore della monografia sul pittore veneziano Antonio Molinari (Soncino 2005). Come giovane curatore ed esperto di arte antica, afferma: «Il compito di chi cura delle mostre di arte antica è sensibilmente diverso da quello dei colleghi che si occupano di arte contemporanea. In quest’ultimo caso l’intuito e le scelte personali sono determinanti nel qualificare la mostra, darle un’impronta specifica o caricarla di un messaggio; si tratta di indicare una strada e non di guardarsi indietro. Nel nostro caso si cerca, soprattutto in manifestazioni dal taglio tradizionale di mantenere una certa neutralità: è l’eccellenza che governa le selezione delle opere. Certo, davanti ad artisti con una produzione cospicua le decisioni contano, soprattutto di fronte ad opere provenienti dal mercato, ma quando punti ai capolavori la scelta è quasi obbligata. In questo caso è sempre la conoscenza diretta del dipinto a fare la differenza. Diverso è il caso di mostre a tema, magari destinate a isolare problemi specifici o riassumere un periodo in poche opere eloquenti. Anche qui vale l’esperienza personale e la propria formazione. Una sola considerazione: non sempre la ricerca a tutti i costi dell’originalità è un pregio». (V.M.)

Alberto Craievich esperto e studioso di arte veneziana lavora in qualità di conservatore a Ca’ Rezzonico, museo del Settecento a Venezia; il suo talento ci è stato indicato da Gabriella Belli, direttrice dei Musei Civici veneziani; nell’ immagine piccola il Bucintoro a “San Nicolò del Lido”, Parigi Musée del Louvre


questioni di talento xxxxxxxx

DANIELA ZANGRANDO

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Dura, pura e con grandi ideali. La bambina che sorride nella foto qui sopra, con le alte montagne alle spalle, prosegue dritta per la sua strada, senza voltarsi indietro. È Daniela Zangrando, curatrice attiva nel territorio veneto, ma sempre in movimento tra Milano e il Cadore. È appena stata inaugurata a Vicenza, alla Galleria Monotono Contemporary Art, una mostra curata da lei: Michele Bazzana, Indoor. Il futuro? Una strada piena di progetti. Le abbiamo chiesto qual è la caratteristica delle sua scelte curatoriali per conoscerla un po’ meglio. Ne è scaturita una testimonianza preziosa, direttamente dal fronte: «Credo che l’unica cosa che caratterizza le mie scelte curatoriali e, più in generale e più semplicemente, quello che faccio, sia la resistenza. Un tentativo di resistenza. Quando parlo di resistenza penso a quella un po’ dolente degli arrampicatori. Con le mani piagate, dopo giorni di neve e vento, di mandibole strette e privazioni, fanno un sorriso un po’ ebete e si raccontano. Non è nemmeno detto che abbiano raggiunto la cima, ma hanno resistito. Parlo della resistenza del condottiero. Anche se rimane isolato dal suo esercito, anche nelle avversità più evidenti, anche se i suoi consiglieri sono stati assassinati, non può voltarsi indietro. Parlo della resistenza del sogno, di quella bislacca eppure ferocissima di Don

Chisciotte. Della resistenza ai tempi, alla storia. Di quella degli artisti. Qualche settimana fa mi trovavo nello studio di Wim Delvoye a Gent in Belgio. Mi ha parlato in modo disincantato di questi tempi oscuri, della fatica, del lavorio, del desiderio di migrare, di andare, di lasciarsi tutto alle spalle per scoprire una nuova New York, un nuovo stereotipo di apertura, di possibilità. Siamo rimasti molto in silenzio. I suoi dubbi erano i miei. Non avevo molto da commentare. In modo un po’ affaticato gli ho chiesto perché allora continuava a fare. Mi ha risposto: «Non lo so. So solo che se domani mi dicessero che ho cinque giorni di vita, continuerei a lavorare con questo ritmo». Poi abbiamo cambiato discorso. Sono cose che si ha paura di dire, anche di pensare. Si verrebbe subito tacciati di retorica, di maniera. Eppure, in fondo, non parlano altro che di necessità. Fare». Attenta al paesaggio e alle voci che lo abitano la Zangrando ha curato anche la pubblicazione di alcune fanzine, prodotte dalla Fondazione Buziol, in occasione delle iniziative artistiche organizzate a Perarolo di Cadore dal 2005 in avanti (www.perarolo09.it). Ha curato, sempre nel territorio bellunese, molte mostre tra le quali Ci vediamo a casa, con relativo catalogo. Sua anche la curatela del libro con gli Atti della giornata di studi svoltasi nel Cadore e intitolata «Nimby…non nel mio giardino!», una raccolta di riflessioni su arte, territori, invasioni e intrusioni. «Ultima cosa precisa la Zangrando -

In un carteggio tra Pierre Drieu la Rochelle e Victoria Ocampo, pubblicato da Archinto con un titolo che fa al caso nostro, ovvero Amarti non è stato un errore, a un certo punto Victoria scrive: “In una lettera, affermi quanto segue: «Mi piaci e non mi piaci, come questo lago nel quale nuoto tutte le mattine: un’acqua trasparente, dolce, avvolgente come il tuo spirito, ove posso nuotare, distendere le membra, sputar fuori tutta la mia amarezza». Fermiamoci: in questa letteratura, tre parole sono sincere: distendere le membra.” Forse credo, nonostante sforzi, fatiche e allontanamenti, che l’arte sia un distendimento di membra. Chi potrebbe abbandonarla da un giorno all’altro senza covare un profondo rimpianto? Speriamo solo non sia stato un errore». (V.M.)

Daniela Zangrando, in moto perpetuo tra il suo Cadore e Milano, è una curatrice; il suo talento ci è stato indicato da Angela Vettese della Fondazione Bevilacqua La Masa


questioni di talento xxxxxxxx

Raimundas Malašauskas

C

«Che bella sorpresa essere stato scelto da Bethenod! Siamo sicuri che non ci sia un errore?». Per avere un’idea di chi sia veramente Raimundas Malašauskas bisogna andare a vedere le sue esposizioni. Dire che la critica lo definisce brillante è ridurre un cocktail di complessità a un solo ingrediente. Provare a spiegare quali sono i parametri che utilizza per costruire una mostra non gli renderebbe giustizia. Curatore e scrittore, nasce a Vilnius, in Lituania. Il suo lato visionario emerge già quando lavora presso il Centro di Arte Contemporanea della capitale, dove si fa notare scrivendo le prime due stagioni di uno show televisivo settimanale chiamato CAC TV. Il programma, del tutto sperimentale, unisce l’arte contemporanea con la televisione commerciale e ha come slogan: «Every program is a pilot, every program is the final episode». Per il CAC

cura Black Market Worlds e la «IX Baltic Triennal» nel 2005. In seguito, dal 2007 al 2008 è visiting curator al College of Arts di San Francisco, California e dell’Artists Space di New York. La scrittura torna in primo piano quando compone un libretto come co-autore su Cellar Door, opera esposta al Palais de Tokyo dell’artista Loris Gréaud. Viene richiesto come curatore alla David Roberts Art Foundation di Londra per Sculpture of the Space Age, nel 2009. In questa occasione Malašauskas mostra il suo lato più surreale, chiamando un gruppo di artisti a mettere in scena un racconto dello scrittore di fantascienza J. G. Ballard, The Object of the Attack del 1984; il progetto indaga gli aspetti della memoria e della visualizzazione nella letteratura e nelle arti visive. L’anno dopo approda al di là dell’Oceano, a Città del Messico, con Into the Belly of a Dove al Museo Rufino Tamayo. Torna a Parigi al Centre Georges Pompidou con Repetition Island.

Recentemente ha curato al Jeu de Paume Museum di Parigi Satellite 4 series. Attualmente sono in corso la realizzazione di Hypnotic Show e Clifford Irving Show. Collabora come agente, curatore e scrittore per Documenta 13, in programma dal 9 giugno al 16 settembre a Kassel, in Germania. Vederlo per…crederlo! (V.M.) Raimundas Malašauskas, nato a Vilnius in

Lituania, è un curatore e scrittore: un cocktail di talenti; ci è stato indicato da Martin Bethenod della Fondazione Pinault; nell’ immagine in alto il Museum Fridericianum sede dell’ importante evento Documenta 13 in programma a Kassel (Germania) dal 9 giugno al 16 settembre 2012


questioni xxxxxxxx di talento

Victoria Noorthoorn

S

Solare, entusiasta e piena di vitalità l’argentina Victoria Noorthoorn si è definitivamente affermata nel panorama artistico internazionale l’anno scorso come curatrice della 11. Biennale di Lione, «Une terribile beauté est née», riscuotendo successi ovunque e riempiendo la stampa di critiche positive. Il posto se l’è guadagnato facendosi conoscere in tutto il mondo: prima coordinatrice del Programma Internazionale al MoMA, poi assistente curatore delle mostre d’arte contemporanea al Drawing Center, sempre a New York e, in seguito, curatrice del Malba-Fundación Costantini a Buenos Aires. Ha collaborato alla presentazione dell’artista argentino León Ferrari alla 52. Biennale di Venezia (2007) e ha vinto il concorso internazionale per la Direzione Artistica della 7. Biennale del Mercosul (Porto Alegre, 2009) insieme a Camilo Yañez. Audace, immediata e molto comunicativa Victoria si racconta: «ho fiducia nel potere dell’arte e credo sinceramente che un’opera d’arte possa cambiare il mondo. Sono interessata al rischio, a mettermi in discussione e a lavorare con artisti che continuamente si mettono in gioco ponendo i limiti delle loro pratiche al servizio di territori sconosciuti. Per quanto posso tendo a supportare artisti meno noti che si meritano un maggior riconoscimento cercando di inserirli in un dialogo provocatorio tra loro e quelli già riconosciuti a livello internazionale. Credo sia importante viaggiare e

andare fisicamente alla ricerca degli artisti, passarci del tempo insieme per cercare di cogliere il più possibile la struttura del loro pensiero. Credo insomma che il dialogo sia davvero importante e anche nell’assumere committenti personali. Cerco di lavorare con artisti di ogni età, che abbiano un background poetico e interessante. Sono convinta della forza di un progetto che scaturisce da una conversazione. Per quanto riguarda lo spazio espositivo mi interessa esplorare il potere dell’immagine, quella misteriosa e complessa entità che ha la capacità di cambiare e scuotere uno status quo. Credo sul serio nell’utopia e quindi sono davvero interessata a tutte quelle ricerche che sono articolate, concettualmente e finanziariamente, indipendentemente dal mercato dell’arte. Mi interessano anche quelle esposizioni che incorporano idee e metodologie che emergono da un dialogo tra le arti visive e altre discipline come il teatro e la letteratura. Credo nel potere dell’immaginazione». Il 17 marzo inaugura un’esposizione alla Fundación Proa di Buenos Aires, intitolata Air de Lyon, allestita appositamente per il pubblico argentino che è stato colpito dalla Biennale di Lione. In parallelo lavora per alcune istituzioni internazionali per curare le retrospettive di Marta Minujín e Edgardo Antonio Vigo. Attualmente, il progetto che la coinvolge di più, è quello di portare avanti con il direttore teatrale Alejandro Tantanian e lo scrittore Rubén Mira, la creazione di un nuovo spazio multidisciplinare di arte sperimentale a Buenos Aires. (V.M.)

Victoria Noorthoorn, vive in Argentina

a Buenos Aires ed è un curatore; il suo talento ci è stato indicato da Martin Bethenod della Fondazione Pinault; nell’ immagine piccola “the ravaged library” di Robert Kusmirowski


questioni di talento xxxxxxxx

EMMA LAVIGNE

L

L’arte a tempo di musica. Emma Lavigne sta spopolando in Francia, ma non si fatica a crederci. Nel 2008 cura l’esposizione al Centre Georges Pompidou Les Archipels réinventés. È un successo e il Museo francese se la tiene ben stretta. Emma Lavigne era già conosciuta molto prima in Francia per il suo animo rock. Per otto anni ha curato infatti il programma alla Città della Musica dove ha realizzato numerose esposizioni sulla musica rock e contemporanea come Jimi

Hendrix Backstage, Pink FloyD Interstellar, Jimi Hendrix, Gyorg y Ligeti Espace Odyssée. A lcune esposizioni si sono focalizzate sulla risonanza tra il mondo dell’arte e quello dei pentagrammi: Electric Body, Saadane Afif Power Chords, Christian Marclay Replay, Pianos années Zéro o Chen Zhen. È stata commissario indipendente al Warhol Live (Musée des beaux Arts di Montréal, De Young Museum di San Francisco, Warhol Museum di Pittsburg) e per I am a cliché, échos de l’esthétique punk al Rencontres

Photographiques d’Arles e al Centro Cultural Banco do Brasil (CCBB) a Rio. Ha scritto e collaborato alla realizzazione di molti libri su John Lennon e sull’opera di Andy Warhol. Fino al 2 aprile è ancora possibile visitare la mostra in corso, firmata da lei e da Christine Macel: Danser sa vie sull’interazione tra la danza e altre discipline. Attualmente sta preparando una retrospettiva su Pierre Huyghe al Centre Pompidou per settembre 2013. (V.M.)


questioni di talento xxxxxxxx

PIER MATTIA TOMMASINO

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Ha riscoperto un libro censurato per secoli, addirittura dallo stesso autore, con una ricerca che sa di indagine poliziesca svolgendo le sue ricerche prevalentemente al Centro Internazionale di Studi della Civiltà Italiana “Vittore Branca”, il polo internazionale di studi umanistici della Fondazione Cini inaugurato appena due anni fa, nel giugno 2010, sull’Isola di San Giorgio, proprio per ospitare ricercatori provenienti da tutto il mondo. Come Pier Mattia Tommasino, nato 35 anni fa a Roma, città di cui conserva un marcato accento. Da studente ha un curriculum di tutto rispetto: laurea in lettere alla Normale di Pisa, specializzandosi in storia della lingua italiana, corsi a Villa I Tatti, il centro di storia del Rinascimento dell’Università di Harvard, con sede a Firenze. Da ricercatore si è appassionato di arabistica studiando questa difficile lingua a Tunisi e al Cairo. E poi iniziando a cercare connessioni tra l’Europa e il mondo arabo nel Rinascimento. E, giunto a Venezia alla Fondazione Cini, oltre a collaborare all’allestimento della mostra Venezia e l’Egitto, sui rapporti tra la Serenissima e una delle nazioni più importanti del mondo arabo, si è imbattuto in un vero e proprio giallo letterario. Una misteriosa copia del Corano tradotta in italiano. O meglio, dell’Alcorano di Macometto,

come recita il frontespizio del testo conservato alla Biblioteca Marciana, stampata anonima a Venezia nel 1547. «Avevo capito che si trattava di una traduzione che ai suoi tempi ebbe un enorme successo in tutta Europa, sulla quale si erano basate le versioni tedesca, olandese e spagnola, tradotta quest’ultima dagli ebrei sefarditi di Anversa - spiega – Era stata letta anche da Montesquieu ed era stata alla base dell’immagine dell’Islam per un paio di secoli, tanto che ne ho identificate 75 copie superstiti sparse in giro per l’Europa». La copia della Marciana è stata esposta alla mostra “Venezia e l’Egitto” a Palazzo Ducale. Ma del suo autore, nessuna traccia. «L’unica spiegazione per l’assoluta assenza di informazioni era che pochi anni dopo la pubblicazione di quella traduzione il Corano era stato messo all’indice dei libri proibiti, nel 1564 – aggiunge Tommasino – Il suo autore aveva preferito quindi restare anonimo e far perdere ogni traccia di sè». Ma, preparando una edizione critica di quel testo, Pier Mattia ha notato una minuscola traccia. Un minuscolo riferimento a sé stesso che l’autore aveva lasciato, forse involontariamente, forse per cercare di sfuggire all’oblio del tempo. «Al testo era aggiunta una annotazione che diceva “queste cose le ho sapute da mio zio Pietro Aleardo”» ricorda. Una traccia che portava verso Belluno, luogo da dove era originaria la famiglia Aleardo. E, incrociando in-

finiti alberi genealogici ripescati dal loro riposo in archivi e biblioteche, saltava fuori chi fosse il nipote di questo Pietro Aleardo. «Si trattava di un sacerdote, e questo spiega le sue difficoltà a farsi identificare come autore di una traduzione del testo sacro dell’Islam – esulta Pier Mattia – un canonico bellunese di nome Giovanni Battista Castrodardo, vissuto tra il 1517 e il 1588, che aveva passato 4 anni a Venezia a metà Cinquecento, quando aveva tradotto il Corano» Per poi ritirarsi sulle montagne bellunesi e cercare di farsi dimenticare per evitare rogne con l’Inquisizione. Riuscendoci piuttosto bene perchè già pochi anni dalla sua morte non c’è più traccia di alcun riferimento al suo nome. E invece, spulciando tra archivi e cataloghi, salta fuori che il buon canonico non era affatto un nome da poco. «Sempre a Venezia aveva tradotto alcuni testi storici e scritto anche un commento dantesco, al momento disperso – snocciola Pier Mattia – Dopo il ritorno Belluno, invece, aveva scritto una Cronaca dei vescovi di Belluno, che si riteneva scomparsa». Ma di cui Pier Mattia è riuscito a ritrovarne un frammento nella biblioteca dell’Università di Dresda, in Germania, che verrà pubblicato sul prossimo numero di Studi Veneziani, la rivista della Fondazione Cini. (Pl.T.)


questioni di talento

LUCIA SARDO

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A 39 anni coordina uno staff di una ventina di persone e gestisce un patrimonio librario di oltre 300mila volumi. E recentemente è stata nominata presidente veneto dell’Associazione Italiana Biblioteche. Lombarda, laureata in beni culturali a Udine dove ha svolto il dottorato in bibliografia, Lucia Sardo dal settembre 2005 dirige le biblioteche della Fondazione Cini. Dove si trova, tra l’altro, la più grande raccolta microfilmata al mondo di dispacci degli ambasciatori veneziani conservati in archivi esteri. «Sono circa un milione di fotogrammi e rappresentano, se così si può dire, il negativo di quanto conservato all’Archivio di Stato – spiega – Ai Frari è custodito il dispaccio che giungeva a Venezia, alla Fondazione Cini la copia del dispaccio che partiva da Venezia, permettendo allo studioso di fruirne senza essere obbligato a girare l’Europa». Altro pezzo forte conservato a San Giorgio la raccolta di circa 3mila libri illustrati risalenti al

Quattrocento e al Cinquecento veneziano. I primi vagiti della stampa, insomma. Ma anche una sezione di orientalistica «ancora poco studiata ma di altissimo livello», come la definisce Lucia. Può semmai sorgere il dubbio che, rispetto al numero di fruitori, le biblioteche siano anche troppe. «La domanda è provocatoria ma sottintende qualcosa di reale – risponde Lucia Sardo nel suo ruolo di presidente veneto dei bibliotecari – Certo, se parliamo di centri di eccellenza, come la Cini o l’Ateneo Veneto o altre istituzioni di questo livello, le biblioteche allora sono anche poche». Diverso è il discorso per quanto riguarda le biblioteche di quartiere. Quelle dove si smette di andare quando si compiono dodici anni e si ricominciano a frequentare non prima della pensione. «Il sistema delle biblioteche pubbliche è certamente da valorizzare, in termini di orari ma anche di attrattiva – dice – Esperienze positive vengono da centri minori dove la biblioteca è divenuta il contraltare della piazza cittadina, dove anche chi lavora

trova dei motivi per andarci, organizzando corsi, mostre, attività». Primo ostacolo a tale recupero di appeal da parte delle case dei libri è, come sempre, la carenza di fondi. Ma non solo. «Bisognerebbe ripartire dalle biblioteche scolastiche, che spesso o sono praticamente inesistenti oppure si riducono a una stanzetta gestita da qualche insegnante di buona volontà – conclude Lucia Sardo – Se il primo impatto con la biblioteca è quello di un luogo polveroso e piuttosto noioso è difficile che, da adulti, lo si possa immaginare come un luogo dove trascorrere il proprio tempo libero». (Pl.T.)

Lucia Sardo, 39 anni, custodisce un patrimonio di oltre 300mila volumi; il suo talento ci è stato indicato dalla Fondazione Cini; nell’ immagine grande la cosiddetta “Manica Lunga” antico dormitorio dei Benedettini alla Cini


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ANNA ALEXANDER

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Applica modelli matematici all’economia delle istituzioni culturali. Perchè anche per la “triste scienza”, come il filosofo Thomas Carlyle definì l’economia, la cultura è divenuta un settore produttivo fondamentale. Basti pensare alla ventina di milioni di turisti che ogni hanno scelgono per le loro vacanze Venezia per il suo rilievo artistico. O i visitatori dei soli musei statali veneziani, passati da meno di 550mila nel 1996 a oltre 830mila l’anno scorso. E se si va a ben guardare è proprio il turismo, l’attività più connessa allo sfruttamento economico della cultura, l’unico settore in crescita, almeno sul nostro territorio, nonostante la crisi. O alla candidatura di Venezia insieme al Nordest come capitale europea della cultura per il 2019, quando questo ruolo toccherà a una città italiana. Candidate anche Torino, Ravenna, Perugia e Assisi, Bari, Matera, Palermo, per gli enormi vantaggi che porta il riconoscimento. Tutto ciò non poteva sfuggire alla facoltà di economia di Ca’ Foscari. «I consumi culturali sono in crescita per varie ragioni, tra le quali la capacità di offrire, in periodi di crisi, una risposta identitaria, un riparo dal disorientamento, un riferimento che appaia finalmente stabile e sottratto alle stressanti dinamiche della competizione – scrive Bruno Bernardi, uno dei guru tra gli economisti di Ca’ Foscari - I prodotti, per effetto della globalizzazione, hanno una vita utile più breve, tendono a perdere il riferimento al territorio di origine e diventano più facilmente imitabili, con le ovvie ricadute negative sul tessuto economico e sociale nel quale erano stati ideati». Intendendo quindi che la cultura può addirittura fare molto per

il manufatturiero. Tra i giovani leoncini della scuderia degli economisti di Ca’ Foscari, svolge il suo primo anno di dottorato in economia aziendale Anna Alexander, 30 anni, anglo-trevigiana-napoletana. Scuole superiori in Inghilterra, triennio all’Egart, biennio specialistico alla Bocconi «dove l’impronta aziendalistica è più marcata» rileva. «Ha interpretato bene il dottorato – dice di lei Bernardi - non solo come inserimento in ambito universitario ma come specializzazione per una carriera aziendale o professionale, come dovrebbe essere». Lei, come è ovvio che sia, mette meno paletti.«Il dottorato è necessario in ambito accademico – si schermisce - a Venezia è prestigioso e si studia come matti, ma il futuro è tutto da pianificare». E da anche voce a quello che è un atteggiamento abbastanza costante nelle giovani leve: «Siamo una generazione disillusa. Niente sogni nel cassetto. Lavorare, darci dentro, e poi si vedrà». Intanto però un discreto curriculum professionale l’ha già messo nel carniere. «Ho collaborato uno studio per il Parco della Laguna con un piano di marketing territoriale per l’isola di Torcello – elenca – poi ho collaborato agli stati generali dell’economia per il Comune di Chioggia e , con il professor Giorgio Brunetti, ho collaborato a un’importante consulenza per la Fenice». E una delle principali lezioni che ha tratto dalle sue esperienze è che l’economia ha un lato umano che conta quanto e più dei numeri, dei modelli matematici, delle statistiche. «Venendo dall’ambiente accademico il rischio è essere troppo teorici anche se con il professor Bernardi l’impostazione e i ritmi sono quelli dell’impresa - spiega – Certo, un conto sono i modelli all’università, i parametri di riferimento ideali, un altro la realtà». E snocciola qualche esempio. «Nel caso del

lavoro per il Parco della Laguna, ad esempio, si è giustamente dovuto tenere in grande considerazione l’opinione dei residenti di Torcello - chiarisce – sono poche persone ma la loro voce è molto forte per considerazioni storiche e geografiche che i numeri non possono, da soli considerare». Qualcosa del genere ha riguardato anche il lavoro per la Fenice. «In quel caso abbiamo dovuto realizzare una struttura delle attività da svolgere e un’analisi dei costi specifica per la produzione - aggiunge – Ora, i modelli teorici specifici per i teatri chiedono di ridurre i costi ma quando, quando si analizza il caso concreto non è possibile farlo perchè ogni realtà ha una sua linea di fondo senza la quale verrebbe snaturata. Per fare un esempio più concreto un teatro ha delle persone che si occupano del cambio d’abito dei cantanti. Sono persone che lavorano per tutta la durata della rappresentazione ma operano effettivamente per pochi rapidissimi minuti tra un sipario e l’altro. Ma il loro ruolo è fondamentale, in quanto un errore nel cambio d’abito potrebbe essere fatale all’intera rappresentazione». Insomma, accanto a un lato freddo e razionale dell’economia, «legato a un approccio più tradizionale, c’è un aspetto umano che viene considerato sempre di più dalle aziende» è la massima che se ne può trarre. Ma c’è anche qualcos’altro che i sacri testi di economia non dicono. «Nell’applicazione dell’economia alle aziende - conclude - il novanta per cento del lavoro è risolvere l’imprevisto». Anche se forse proprio la crisi dimostra che non sempre si riesce a risolverlo, quel novanta per cento di imprevisto. (Pl.T.)


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EVA OGLIOTTI

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Da lla Sapienza di Roma a Venezia già per concludere l’università. Perchè ritiene il biennio specialistico in design allo Iuav è molto più valido anche di quello proposto dall’ateneo più grande in Italia. Ed è uno dei pochi luoghi dove si studia l’argomento di studio di Eva Ogliotti, romana, 30 anni: la moda. Sì, perchè nonostante la moda sia la più fortunata delle invenzioni dall’Ottocento a oggi, e nonostante già tre secoli fa il marchese di Condorcet ritenesse che «il vestito è il segno che separa l’uomo dall’animale», non sono moltissimi gli studi che l’hanno riguardata. Eppure la sua importa nza va ben a l di là dell’eff imero se, addirittura, è stata ritenuta meritevole di tutela in una dichiarazione sui diritti fondamentali dell’uomo. «Nessuna persona dell’uno o dell’altro sesso potrà costringere un cittadino a vestirsi in modo particolare, senza essere considerata e trattata come sospetta e perturbatrice dell’ordine pubblico» recitava infatti un decreto del 1793, figlio della Rivoluzione Francese. A sottolineare come anche la libertà di vestirci come ci pare sia una conquista della modernità. Figlia dei concetti di libertè, egalitè, fraternitè dei padri giacobini. Tanto per ricordare che non c’è niente di più falso di quel «sotto il vestito niente» che a lungo ha condannato il fashion system. Eva Ogliotti, segnalata dallo stesso Iuav tra i giovani talenti passati per l’ateneo di Santa Marta, la sociologia della moda ora la insegna per un’università telematica. Dopo il dottorato

conseguito allo Iuav in Teorie e Storia delle Arti e da lei commentato sulla sua pagina Facebook con un ironico «è un poco come dire: studia l’arte e mettila da parte». La sua tesi di dottorato è stata su “Semantica delle arti e semantica della moda”. La moda non solo come sistema complesso con una propria economia, ma come insieme simbolico, segno del tempo passato e misura delle contraddizioni di quello presente. «Possono anche cambiare le interpretazioni di certe tendenze della moda, vedendole a distanza di anni – commenta Eva – ad esempio nella mia tesi sottolineavo come la moda parigina degli anni Venti, quella à la garçonne, non voleva essere così dirompente sul piano dell’identità di genere, non si basava non solo sull’adattamento del vestito maschile alle donne, ma riprendeva il nome stesso dal titolo di un romanzo». A Venezia Eva ha collaborato all’organizzazione di alcuni convegni, di cui un paio alla Bevilacqua La Masa. E ha al suo attivo sei pubblicazioni, la metà sulla prestigiosa Revista de Occidente spagnola, fondata dal filosofo Ortega y Gasset. Con una tendenza ad analizzare la «ridefinizione del corpo e della sua geografia, non solo in base a quello che rappresenta ma correlato alle trasformazioni estetiche - spiega – Le analisi sociologiche per definire delle tendenze non possono prendere quindi in considerazione solo la moda ma anche le arti, sia le arti visive ma soprattutto la musica, da sempre l’arte che più dà l’immagine di un periodo». Nonostante ciò anche per lei non è semplice def inire le tendenze della moda dell’ultimo decennio. «Siamo in

una fase di neutralizzazione della moda da una ventina d’anni - sintetizza - Quella fino agli anni Ottanta era facilmente identificabile, dagli anni Trenta, quando iniziò l’imitazione delle star di Hollywood, ai montgomery, gli eskimo e le minigonne anni Sessanta, ai pantaloni a zampa degli anni Settanta. Oggi le tendenze non sono più decennali ma cambiano molto più rapidamente». Quale ragazza, in fondo, indosserebbe oggi le scarpe a punta che fanno il piede di tre numeri più grande? Eppure nei primi cinque anni dello scorso decennio spopolavano. Insieme ai pantaloni a pinocchietto, altrettanto dimenticati O chi avrebbe mai detto che sarebbero tornati in voga i fuseaux anni Ottanta? Certo, si chiamano leggins, ma se fossero stati proposti non più di tre anni fa sarebbero stati rifiutati con orrore. Volendo proprio cercare di dare una quadra salta fuori, come tendenza di lungo periodo «la caduta del tabù nel mostrare la biancheria intima, sia la griffe dei boxer che fa capolino dai pantaloni a vita bassa come non coprire le bretelline del reggiseno» ipotizza Eva Ogliotti. Segno di un’epoca che «tende maggiormente ad ostentare o, d’altra parte, a normalizzare l’ostentazione» conclude. Rimanendo però, anche nella moda, un’epoca ancora indecifrabile. (Pl.T.)

Eva Ogliotti, romana di origini, ha una grande passione per la moda; il suo talento ci è stato indicato dall’univerità Iuav


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ELENA GISSI

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Lo Iuav, inserito in un ambiente particolarissimo quale è la laguna di Venezia, come sede di eccellenza per la ricerca sulla pianificazione urbanistica sostenibile. Ma la cronica anoressia di fondi per la ricerca si fa sentire anche in questo settore, e per sopperire si deve ricorrere ai bandi europei. Ed essere più bravi degli altri nel vincerli. È, in estrema sintesi, il giudizio sullo Iuav visto dall’interno. Da Elena Gissi, 32enne, ingegnere laureata ad Ancona, la sua città, dottorato in parte sotto il Conero e in parte nei Paesi Bassi, nazione all’avanguardia per la sintesi tra sviluppo dell’architettura e sostenibilità ambientale. E ora ricercatrice in ecologia del paesaggio e pianificazione alla facoltà di urbanistica dello Iuav. Recentemente, lo scorso agosto, ha partecipato al congresso mondiale a Pechino dell’Associazione internazionale dell’ecologia del paesaggio, dove ha collaborato all’organizzazione di un convegno sull’approccio europeo su questi temi. Ed è considerata tra i giovani talenti dell’ateneo di Santa Marta. Forse per la sua età, più bassa della media degli assegnisti. O forse «per una presenza costante all’interno dell’istituzione, una partecipazione al lavoro dell’Università, insomma spero per l’impegno, ma non saprei dire con precisione il motivo» risponde con modestia. La sua ricerca, dietro il titolo come sempre tecnicissimo “Rischio di resilienze nei paesaggi e strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici”, verte sulla pianificazione urbanistica e ambientale del paesaggio retrolagunare. Quello che c’è oltre la gronda lagunare, insomma. Tema probabilmente un po’ meno studiato di quanto le ricerche abbiano setacciato lo spazio della laguna all’interno della sua conterminazione. «Nello spazio retrolagunare le dinamiche sono molto

articolate e inf luenzate dai cambiamenti climatici degli ultimi anni, ad esempio le variazioni di intensità delle piogge - riassume – Dal 2007 aumentati eventi eccezionali ma la pianificazione territoriale spesso è stata costituita tenendo conto di dinamiche ambientali diverse». Insomma, i mutamenti ambientali talvolta viaggiano più veloci dei tempi della pianificazione. Perciò la ricerca punta a soluzioni più f lessibili. «Non si può certamente abdicare all’ipotesi di piano, ma l’obiettivo è trovare soluzioni valide a prescindere dallo scenario che si presenta – spiega Elena - Il mutamento dei fenomeni, ad esempio, deve portare a considerare non solo il range medio o il massimo e il minimo, ma l’incertezza, l’evento eccezionale». E le strategie di mitigazione dei cambiamenti climatici, ovvero, per i comuni mortali, le soluzioni su cui verte la ricerca per fronteggiare la meteofollia, hanno un nome decisamente diretto. «Si punta alle cosiddette “azioni robuste”, cioè interventi che non prevedono investimento finanziario iniziale molto elevato e che possono adattarsi alle varie situazioni - aggiunge - Ad esempio gli olandesi, famosi per le loro dighe, le stanno dismettendo per politiche più efficaci, come ad esempio la creazione di aree di piena, per il controllo idraulico, semplicemente concedendo sussidi agli agricoltori che mettono a disposizione i loro terreni». Questioni estremamente delicate, sulle quali si lavora a stretto contatto con le istituzioni pubbliche e che «non possono essere considerate in maniera tranchant – precisa Elena Gissi – In termini generali possiamo dire che la ricerca oggi valuta il paesaggio non solo come struttura o come funzioni, ma soprattutto tenendo conto degli attori del suo mutamento. È un approccio che deriva direttamente dalla «Convenzione europea del paesaggio del 2000, che prevede un equilibrio tra il sistema ambientale e la

cultura dell’abitare». Ma sono soprattutto gli studi di tipo tecnicoscientifico a risentire di fondi per la ricerca centellinati col contagocce. «Si lavora molto su progetti internazionali, generalmente con fondi europei per la ricerca ricerca – dice Elena – Anche una semplice campagna di interviste ha dei costi, e le risorse vere per la ricerca vengono soprattutto dalla partecipazione a bandi». Ed il ricercatore che deve anche essere abile nel fund raising, è uno dei numerosi elementi che vanno a costituire un organismo estremamente complesso come è oggi un’università che voglia fare ricerca. «Amalgamare le diverse anime dello Iuav è piuttosto complesso» riconosce Elena. E poi il ricercatore si scontra quotidianamente con le difficoltà del vivere a Venezia. Anche quando ne è affascinato. «Venezia è bella, poco da dire, e anche sentendo i miei colleghi siamo in molti ad avere voglia di viverci, di sceglierla definitivamente come la nostra città, ma le condizioni non sono sempre semplici - racconta – Intanto gli affitti alti non facilitano l’inserimento. Poi, visto che la maggior parte dei ricercatori hanno contratti annuali, è difficile che trasferiscano la propria residenza a Venezia rimanendo a fare parte di quella zona grigia della popolazione di questa città che ufficialmente è come non ci fosse. Sono in molti, con la presenza di poli universitari così importanti, a vivere queste situazioni, ed è un peccato perché Venezia avrebbe da guadagnare nell’attirare ricercatori». Insomma, conquistare giovani ricercatori per Venezia è facile. Sia perché è Venezia. Sia perché «allo Iuav ci sono certamente nicchie molto valide», come conclude Elena. Il difficile, una volta conquistati, è riuscire a tenerseli. (Pl.T.)


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Carlo Populin, Arianna Ronca, Carlo Segato, Andrea Sovilla

V

Valutare seriamente un futuro professionale in uno stato in guerra come Israele. O provare a vendere caffè italiano in India. O vino in Cina. Sono alcuni dei progetti dei ragazzi della Viu, la Venice International University, centro di ricerca internazionale fondato nel 1995 sull’Isola di San Servolo da Ca’ Foscari e Iuav e al quale oggi aderiscono una dozzina di università di tutto il mondo. Proponendo, al termine di corsi semestrali, un certo numero di borse di studio per formarsi con esperienze all’estero. Insomma,

una fucina di talenti per una generazione sempre più cosmopolita. «I fondi per l’Erasmus sono quelli meglio spesi dall’Unione Europea» ripeteva spesso l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. E non è un caso che Ciampi sia stato, fino al 1999, quando appunto salì al Quirinale, il primo presidente della Viu. O meglio, della Vi-ai-iu, come la pronunciano i suoi studenti, all’inglese. E i cui programmi di scambio tra università, peraltro, vanno ben al di là dei confini dell’Europa proposti

dall’Erasmus. Cina, soprattutto. Ma la meta forse più singolare è uno stato più vicino a noi geograficamente ma diviso dalla nostra realtà dalla situazione di permanente conflitto che vive da oltre mezzo secolo: Israele. Ne fa un ritratto a tinte forti un laureando 24enne di Ca’ Foscari, Andrea Sovilla, di Casale sul Sile, che ha passato tre mesi a Tel Aviv. «Ci sono andato perché è sede di un centro molto importante per gli studi sull’ambiente e la mia tesi è sui meccanismi di promozione del fotovoltaico, settore in cui Israele è

(segue)


questioni di talento xxxxxxxx all’avanguardia - racconta – Ho avuto la fortuna di conoscere sia israeliani che palestinesi, anzi, il mio compagno di stanza era palestinese». Una rarità un palestinese che studia in un ateneo israeliano. Nel campus frequentato da Andrea su un migliaio di studenti, tra cui numerosi arabi israeliani, di palestinesi ce n’erano solo due, giunti con una borsa di studio privata. E tra i ricordi più belli di Andrea c’è l’orgoglio di essere riuscito a far fare loro amicizia con alcuni ragazzi israeliani. Cosa non certo facile. «Da una parte Israele è una nazione internazionale, dove tutti parlano inglese, anche le persone anziane che ci scherzano su e dicono che è la lingua più utile in caso di fuga - spiega - D’altra parte nonostante arabi e israeliani spesso lavorano o studiano negli stessi luoghi tra di loro c’è assoluta incomunicabilità». E i rapporti tra questi ragazzi sono sorti di fronte a un piatto di spaghetti e una bottiglia di vino proprio quando la conversazione era arrivata a toccare l’argomento più delicato: la guerra. «Avevo invitato a cena alcuni ragazzi e ragazze di entrambe le comunità e a un certo punto uno dei ragazzi israeliani ricordò che aveva fatto il militare nella città palestinese di Ramallah - ricorda – Uno dei palestinesi disse di essere proprio di Ramallah e iniziò a ricordare la guerra come l’aveva vissuta dall’altra parte. Alla fine erano diventati amici e riuscivano a prendersi in giro anche su questioni molto serie». E forse quei due popoli non sono così diversi come potrebbe sembrare. «I palestinesi considerano gli italiani come gli arabi d’Europa, riferendosi alla gestualità molto simile, al modo di parlare magari alzando la voce senza motivo, all’esuberanza – dice – Ma anche gli israeliani, oltre ad avere la stessa stima per l’Italia, sono molto socievoli, estrosi, aperti. Insomma, c’è un tratto mediterraneo comune anche tra di loro». Ma restano pesanti le limitazioni ai rapporti tra i due popoli, anche nell’ottica di un gruppo di studenti. «Mentre io ho potuto visitare molti luoghi sia in Israele come in Palestina, per i locali è molto più difficile aggiunge – Andare dalla Palestina verso Israele è per loro molto difficile, le autorità israeliane richiedono permessi molto difficili da ottenere. Per un israeliano, poi, rientrare in patria dalla Palestina può costare un paio di notti dentro: i militari, infatti, considerano un folle un israeliano che va a visitare la Palestina, e si comportano di conseguenza». Esperienze di vita che contano forse di più della semplice preparazione professionale. E non è un caso che Andrea valuti seriamente Israele come un possibile luogo dove lavorare. «Voglio assolutamente iniziare a lavorare con un’esperienza all’estero, Israele è all’avanguardia nel fotovoltaico - conclude – e Tel Aviv è cosmopolita, stimolante, aperta e piena di opportunità. Insomma, al di là dei pregiudizi mediatici, un ottimo posto dove vivere». Anche trovarsi a passare un Natale nella lontana Cina, però, forma il carattere. «É un’esperienza che fa squadra – ricorda Arianna Ronca, laureanda in economia aziendale con uno stage a Shanghai – La mia tesi è sul mercato asiatico per i prodotti artigianali di lusso italiani e per questo ho scelto, per lo stage, la filiale cinese di un’azienda di questo settore». Luogo pieno di contraddizioni anche la Cina dove «ero sorpresa dei molti giovani che potevano permettersi di acquistare prodotti di lusso mentre alcune zone della

città erano davvero povere» aggiunge. E in Cina non ci si scontra solo con la lingua ma anche «con una realtà dinamica dove tutto è veloce, ma proprio per questo stimolante, e sono state esperienze, fondamentali per un giovane studente, possibili solo grazie all’opportunità offerta da Viu». Anche perché i programmi della Venice University sono molto generosi. «La Viu è uno dei migliori progetti cui aderisce Ca’ Foscari – secondo Carlo Segato, padovano, laureando in economia, anche lui stagista in Cina – Altri programmi di scambio, come l’Erasmus, coprono si e no la metà delle spese che si sostengono andando all’estero, con la Viu ho coperto le spese del viaggio e del soggiorno per tre mesi in Cina per oltre il 70 per cento». Dove Carlo ha avuto la possibilità di avere a che fare con l’Istituto italiano per il commercio estero per completare la sua tesi, sul mercato del caffè italiano all’estero, e soprattutto farsi conoscere per eventuali future opportunità professionali. Percorso analogo a quello di un altro ragazzo padovano, Carlo Populin. Anche lui, nonostante economia e commercio sia presente anche a Padova, ha preferito frequentarla a Ca’ Foscari e, tramite la Viu, è andato a valutare le possibilità di vendere vino italiano in Cina. «É questo l’argomento della mia tesi e il settore in cui vorrei lavorare in futuro - dice – Sul mercato cinese, che per il vino vale circa 4,8 miliardi di euro, siamo arrivati un po’ tardi, tanto che la nostra quota di mercato è stabile sul 5,5 – 6 per cento, contro una quota dei vini francesi del 46 per cento». Ci battono anche argentini, cileni e australiani. E forse siamo un po’ in ritardo anche sull’altro grande mercato asiatico, l’India, altra nazione dove Carlo Populin ha studiato. «Ho fatto uno stage alla Camera di Commercio italiana di Bangalore, c’è un buon movimento di aziende italiane ma si va molto con i piedi di piombo prima di investire - dice – I motivi, forse, non sono strettamente economici ma anche culturali: tra le nazioni asiatiche in questo momento è di moda la Cina e l’India viene meno considerata». E forse influiscono anche le differenze culturali tra le due nazioni. «A Shanghai l’unico motore sono i soldi, in maniera ossessiva, e il business lo si fa ancora con un’economia dirigista, in cui conta molto il potere politico - aggiunge – L’India si presenta molto più sfaccettata, è una democrazia ed è ricchissima di aspetti religiosi, culturali, ma paradossalmente proprio per questo sviluppare investimenti richiede tempi più lunghi». Al di là delle singole esperienze, un po’ tutti i giovani leoncini di San Servolo concordano sul fatto che, senza le possibilità offerte dalla Viu, alla loro formazione sarebbe mancato qualcosa di davvero importante. (Pl.T.)

un professore internazionale

Tutti i borsisti della Viu che hanno vissuto un’esperienza all’estero hanno un tratto in comune. La riconoscenza, ai limiti del peccato di idolatria, per il direttore del Tedis, il centro di ricerca della Venice International, il prof. Stefano Micelli. Ragione di tale affetto: il suo insistere sull’ importanza di esperienze estere. «Per la formazione di uno studente non è importante solo una buona conoscenza delle lingue ma anche vivere esperienze all’estero – è il suo pensiero – E bisogna guardare oltre l’Europa, alla quale già ci pensa il programma Erasmus e che poi è diventata anch’essa un confine abbastanza angusto, per scoprire nuove realtà». Cina, innanzitutto, che sta divenendo sempre più un’opportunità di lavoro per chi, all’università, vi ha passato un periodo di stage o di studio. «Sono numerosi i casi di studenti che, una volta laureati, sono tornati in Cina per lavorare, e più in generale coloro che con il periodo di studio all’estero hanno costruito rapporti ed esperienze che gli hanno permesso di continuare a lavorare con l’estero anche dall’Italia - conclude – Ora cerchiamo anche di andare al di là della Cina, nazione emergente per eccellenza, per diversificare le opportunità per i nostri studenti». E se l’Italia spesso ha scontato ritardi nell’ inserirsi sui mercati emergenti, almeno non è questo il caso.


R&S ENGINEERING

e-mail: res@studiores.it - www.studiores.it

PROGETTI DI RESTAURO


Arts cultura e affini in città

Spirito Klimtiano: Vittorio Zecchin e Galileo Chini e la grande decorazione a Venezia

Diana Vreeland. After Diana Vreeland

Tessuto non tessuto

Quattro artisti contemporanei, Franco Costalonga, Nadia Costantini, Gea D’Este e Claudia Steiner, sono il fulcro della mostra di Palazzo Mocenigo, curata da Dino Marangon. Diversi per età e tendenza, essi interagiranno tra storia e nuove esperienze. Il tema stesso della mostra fornisce loro il pretesto di un affascinante indagine delle forme contemporanee, forme che l’avvento di nuove tecnologie ha aperto a esperienze sorprendenti, grazie appunto all’uso di materiali di assoluta novità, capaci di rispondere con identica qualità alle funzioni comunemente attribuite al tessuto, pur senza possederne l’essenziale caratteristica di intreccio di fibre. Quando: fino al 31 ottobre 2012

Venezia Unforgettable

In occasione del grande evento espositivo dedicato a Gustav Klimt per il 150esimo anniversario della sua nascita la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro presenta una mostra dedicata all’influenza del grande pittore austriaco sull’arte italiana del primissimo ‘900, a culminare con quel 1910, in cui Klimt fu presente in una straordinaria sala alla Biennale di Venezia. L’esposizione di Ca’ Pesaro, dove proprio dal 1910 è possibile ammirare uno dei capolavori massimi di Klimt, la ben nota tela intitolata Giuditta, è focalizzata sulla presentazione di due importanti cicli decorativi, che molto furono influenzati dal passaggio veneziano del maestro austriaco alla Biennale del 1910: “Le mille e una notte” di Vittorio Zecchin e “la Primavera” di Galileo Chini; le tele dell’artista muranese vennero realizzate nel 1914 per decorare la sala da pranzo del veneziano Hotel Terminus. Il ciclo, in seguito smembrato, è oggi considerato uno massimi capolavori del Liberty a Venezia; sei tele delle dodici scene conosciute sono conservate proprio a Ca’ Pesaro e vengono esposte per l’occasione. Quando: fino all’ 8 Luglio 2012

Palazzo Fortuny dedica una grande mostra alla complessa figura di Diana Vreeland (Parigi,1903New York,1989). Un’esposizione capace di approfondire i molteplici aspetti del lavoro della Vreeland offrendo inedite chiavi interpretative della grammatica del suo stile e del suo pensiero. Diana Vreeland ha attraversato la moda del ‘900, prima negli anni di “Harper’s Bazaar” e “Vogue”, poi nel suo ruolo di Special Consultant per il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York. Si potranno ammirare abiti che appartengono alla storia della moda e che per la prima volta arrivano in Italia: i capi di Yves Saint Laurent e Givenchy indossati da Diana Vreeland, provenienti dal Metropolitan Museum of Art di New York, alcuni straordinari pezzi di Balenciaga di proprietà del Cristóbal Balenciaga Museum, le creazioni più iconiche di Saint Laurent della Fondation Pierre Bergé-Yves Saint Laurent, e, infine, abiti preziosi che hanno segnato la moda del secolo appena passato, provenienti da prestigiose collezioni private e archivi aziendali, fra cui capi di Chanel, Schiaparelli, Missoni, Pucci e costumi dei Ballets. Quando: fino al 25 Giugno 2012

L’Isola di San Servolo ospita “Venezia Unforgettable” un evento che rende omaggio alla città e all’universo femminile con “Venezia. Una donna senza tempo” (opera a tre mani di Alberto Lisi, Massimiliano Simotti e Marcello Rapallino), un viaggio straordinario e sensuale nell’anima rosa di una città unica al mondo; c’è poi “Shibari” by Hikari Kesho alias Alberto Lisi: una serie di scatti in cui la donna si trasforma in una scultura vivente dove la luce crea suggestioni magiche, facendo prevalere l’aspetto poetico, quasi meditativo. A completare il tutto Venezia Unforgettable propone anche il lavoro di altri giovani artisti che reinterpretano il mondo del fashion attraverso il segno grafico, la body art e il bozzetto di modo. Quando: fino al 25 Marzo 2012


Porcellane del Settecento

Doppio gioco. L’ambiguità dell’immagine fotografica

In esposizione a Palazzo Ducale le preziose stampe disegnate da Canaletto, e incise da Giambattista Brustolon. Si tratta di opere molto note anche al grande pubblico i cui soggetti, in gran parte ambientati proprio a Palazzo Ducale, potranno essere letti anche attraverso le originali matrici realizzate in rame (oggi conservate al Museo Correr). Proprio grazie a queste preziose matrici furono stampate, a far data dal 1768 (anno della prima edizione curata da Lodovico Furlanetto e fino alla metà dell’ 800) le straordinarie opere grafiche che ben raccontano la vita istituzionale veneziana e che ebbero enorme diffusione in tutta Europa.

Espressione e spirito del rococò, la mostra di Porcellane del Settecento, esposta nella Sala del Clavicembalo di Ca’Rezzonico a Venezia, espone opere e manufatti prodotti in Europa nel XVIII Secolo dc. Il museo del Settecento veneziano di Ca’ Rezzonico conserva un importante selezione di oggetti in porcellana che offre una panoramica di quasi tutte le manifatture europee. Da quella celebre di Meissen a Sèvres e Vienna. Il nucleo più importante riguarda ovviamente le produzioni locali: Vezzi e Cozzi a Venezia, Antonibon a Bassano. Quando: fino al 31 Dicembre 2012

Quando: fino al 6 Maggio 2012

Nella stanza di Eleonora Duse. Intrecci e analogie tra vita e teatro d’arte

Emozioni d’acqua

Le “Emozioni d’Acqua” sono parte di una mostra fotografica realizzata con gli scatti della veneziana Mirella La Rosa, a cura di Etta Lisa Basaldella, negli spazi del nuovo Querinicaffè presso la Fondazione Querini Stampalia. Si tratta di ventiquattro immagini che ritraggono in gran parte Venezia, raccontando il rapporto tra la città e l’acqua: un legame contradditorio, non sempre equilibrato. L’acqua viene interpretata e raffigurata come elemento devastante nella sua forza incontrollabile; ma viene anche descritto, allo stesso tempo, come elemento vitale, in perfetto equilibrio con la città, le sue opere d’arte ed i suoi palazzi. Quando: fino al 29 Marzo 2012

Affascinanti Feste Ducali

Una mostra, “doppio Gioco. l’ambiguità dell’immagine fotografica”, che raccoglie una selezione delle opere di artisti internazionali della collezione della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. Spunti di riflessione su argomenti difficili come la manipolazione dell’informazione o la disillusione delle giovani generazioni. In esposizione 49 fotografie, 9 video e un’installazione degli artisti internazionali come Anetta Mona Chisa & Lucia Tkacova (Romania e Slovacchia), Philip Kwame Apagya (Ghana), Fikret Atay (Turchia), Cao Fei (Cina), Wong Hoi Cheong (Malesia), Priyanka Dasgupta (India), Samuel Fosso (Camerun), Hung-Chih Peng (Taiwan), Iosif Kiraly (Romania), Julius Koller (Slovacchia), Godd Leye (Camerun), Zbignew Libera (Polonia), Yasumasa Morimura (Giappone), Ivan Moudov (Bulgaria), Marco Pando (Perù), Mladen Stilinovic (Croazia), Tabaimo (Giappone), Yang Zhenzhong (Cina), David Zink Yi (Perù). Quando: dal 3 Aprile al 24 Giugno 2012

Nell’ambito delle manifestazioni dedicate alla Stanza Duse, l’attrice Maria Pia Colonello renderà omaggio allíarte di Eleonora Duse con letture di alcuni brani tratti dalle lettere di Eleonora Duse alla figlia e dalla corrispondenza tra líattrice e Luigi Pirandello. Ad ospitare la bella iniziativa la fondazione Giorgio Cini sull’isola di San Giorgio. Quando: il 5 Aprile 2012


Fashioning Opera and Musical Theatre: Stage Costumes in Europe from the Late Renaissance to 1900

che visse a Palazzo Venier dei Leoni dal 1949 al 1979, e che, nonostante l’abbandono di New York, fulcro della nuova avanguardia artistica, nel 1947, continuò la sua attività di collezionista e mecenate. A chiudere l’esposizione un omaggio a Marion Richardson Taylor (scomparsa nel 2010), artista versatile ed eclettica, che si è sempre cimentata in un’ampia gamma di stili e tecniche, passando da murales di evidente matrice espressionista-astratta a nature morte cubiste, da ritratti non-figurativi a piccoli disegni intimisti, tutti lavori la cui traccia distintiva è il colore. La sua costante ricerca di un linguaggio artistico innovativo, l’ha spinta ad aprirsi a nuove sperimentazioni e a ripensare in continuo la propria arte, portandola a viaggiare tra Spagna, Egitto, Giappone e Provenza, luoghi che hanno inciso fortemente sulle sue opere. Grazie al lascito dell’artista alla Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York nel 1998, il museo veneziano le dedica la sua prima monografica.

ma usa l’immagine come soggetto e ne afferra l’humor possibile già contenuto dal motivo stesso per cui è stato creato, da cui ha preso forma. Così ne rivela anche la funzione politica/ sociale/economica. Ci fa sentire responsabili dei nostri gesti quotidiani, dettati dal soddisfacimento dei nostri bisogni. Quando: fino al 31 marzo 2012

ARMENIA. IMPRONTE DI UNA CIVILTà

Quando: fino al 6 Maggio 2012

Convegno internazionale di studi dedicato alla storia e al ruolo del costume nel teatro musicale, promosso dal Centro Studi per la Ricerca Documentale sul Teatro e Melodramma Europeo della Fondazione Giorgio Cini, in collaborazione con l’University of Southampton e l’Archivio storico della Rubelli Historical Textile Collection. I costumi, i tessuti e gli accessori hanno un ruolo essenziale in uno spettacolo di teatro musicale. Questo incontro intende raccogliere esperti di varia provenienza per discutere questioni storiche, economiche ed estetiche intorno all’uso e alla funzione di costumi teatrali nell’opera e nell’intrattenimento musicale nell’Europa dal tardo Rinascimento fino al 1900.

Pigeon Soup di straulino al Vizietto

Quando: dal 29 Marzo all’ 1 Aprile 2012

Arte Europea 1949-1979 - Marion R. Taylor: dipinti, 1966 - 2001 La Collezione Peggy Guggenheim presenta una serie di opere del secondo dopoguerra, collezionate da Peggy e raramente esposte. I dipinti e le sculture in mostra intendono ripercorrere gli anni “veneziani” della mecenate americana,

Il nome, specialmente a Venezia, è tutto un programma: Pigeon Soup (di Venanzio Straulino). Si tratta di una curiosa iniziativa ospitata in una sede altrettanto alternativa a cura di ‘Al-bunduqiyya’ nello spazio de ‘Il Vizietto’ music bar exhibition room, di Campo S.Stin, Venezia. La ricerca dell’artista usa un ironico e sovversivo linguaggio minimale, asciutto per la sua tensione. Gioca con la funzione dell’oggetto, senza ribaltarla o stravolgerla,

In occasione del V Centenario della stampa a Venezia del primo libro in lingua armena, avvenuta nel 1512, il Museo Correr, il Museo Archeologico Nazionale e le Sale Monumentali della Biblioteca Nazionale Marciana, ospitano una grande mostra dedicata alla civiltà armena. La mostra curata da Gabriella Uluhogian, Boghos Levon Zekiyan e Vartan Karapetian, presenta, attraverso un percorso integrato, suddiviso cronologicamente e tematicamente, oltre duecento opere provenienti dai principali musei e biblioteche dell’Armenia e dell’Europa, tra cui alcuni rarissimi manoscritti e miniature, straordinariamente ricongiunti proprio per l’occasione, che daranno conto dei più alti traguardi raggiunti dalla civiltà armena nel campo spirituale, artistico, architettonico, economico e del pensiero. Le antiche stele con croce incisa, le miniature dai vividi colori, l’architettura sacra e i preziosi reliquari custoditi per secoli nella Santa Sede della Chiesa Armena Apostolica a Echmiadzin, si uniranno ai suoni antichi delle terre armene, proposti attraverso installazioni sonore a guidare il visitatore lungo il percorso dedicato alla civiltà armena medievale a partire dagli albori del cristianesimo. Quando: fino al 10 Aprile 2012


Auction4Action

SCATTI CELEBRI PER Fotografi Senza Frontiere

Il 21 Marzo vengono battute all’asta da Sotheby’s settanta opere dei più celebri fotografi italiani e stranieri e di molti giovani autori a sostegno della onlus FotografiSenzaFrontiere, organizzazione indipendente che dal 1997 è impegnata nella creazione di laboratori permanenti di fotografia in aree critiche del mondo. Attraverso l’insegnamento della fotografia, bambini e adolescenti trovano non solo la possibilità di apprendere le basi di un mestiere ma anche l’accesso a un efficace e competitivo mezzo di auto-rappresentazione della propria realtà e ad un utile strumento per la ricostruzione di una solida identità culturale. L’intero ricavato dell’asta sarà investito da FotografiSenzaFrontiereonlus nella creazione di nuovi laboratori permanenti di fotografia (progetti in via di attuazione nella comarca di Kuna Yala, in Afghanistan e in Argentina) e nell’organizzazione di iniziative presso i laboratori già attivi in Nicaragua, Striscia di Gaza, Algeria e Uganda. Nel 2012 FotografiSenzaFrontiere festeggia i primi 15 anni di progetti della onlus. (L.D.A.) Auction4Action Palazzo Broggi, Via Broggi 19, Milano Casa d’aste Sotheby’s mercoledì 21 marzo 2012 alle ore 19.00

Nella foto grande uno scatto di Douglas Kirkland (intervistato da L’ illustre di recente - vedi il numero “Il Club dei Fotografi”) di Marilyn Monroe (courtesy Douglas and Françoise Kirkland); sopra Wendy Bevan, foto di Camera 16 “Untitled 1 (fashion)”


CRISTIAN CHIRONI “ECO”: una mostraesibizione

“Eco” interpreta il sentimento di attrazione e di spaesamento dell’uomo verso la maestosità e la potenza della natura. Quasi un’allucinata versione contemporanea del senso del sublime. Visibile dal basso e dai balconi limitrofi, l’artista - moderno stilobate - siede l’intera giornata sul muretto esterno della terrazza del Museo, all’ultimo piano dell’edificio. Chironi guarda il Vesuvio e indossa abiti borghesi, ha un libro sulle Dolomiti sotto il braccio, e una spiazzante attrezzatura tecnica da scalatore. Alla stregua di un “alpinista metropolitano”, l’artista instaura un rapporto personale ed empatico con il territorio che circonda il museo e la città stessa. La ricerca di Cristian Chironi mira a mettere in relazione una pluralità di livelli: realtà e finzione, memoria e contemporaneità, conflitto e integrazione, materiale e immateriale attraverso una pluralità di linguaggi in cui il corpo in maniera diretta o indiretta è il principale protagonista. Tratto distintivo è la volontà di creare un ponte reale tra immagine e immaginazione. Cristian Chironi “Eco” a cura di Adriana Rispoli, Eugenio Viola Museo Madre - Napoli Fino a mercoledì 28 Marzo 2012

SILENT REVOLUTIONS: Design contemporaneo in Slovenia

Una selezione di prodotti di design appartenenti ai primi due dinamici decenni della Slovenia. La mostra verte non solo sull’eccellenza dei singoli prodotti, ma anche sul loro ruolo nel più ampio contesto del design sloveno contemporaneo. Sono presentati non solo prodotti e designer straordinari, ma anche clienti, produttori e aziende che hanno svolto un ruolo cruciale nella realizzazione dei progetti. Particolare attenzione è dedicata ad approcci innovativi e importanti strategie, che ispirano visioni e nuovi modi di concepire il design nell’attuale panorama economico in rapida evoluzione. La selezione mette in luce sia prodotti delle grandi industrie nello sviluppo del proprio marchio sia speciali oggetti in edizione limitata direttamente realizzati dai designer stessi. L’esposizione è il frutto di una collaborazione tra l’Ufficio Comunicazione del Governo della Repubblica di Slovenia e il Triennale Design Museum.

“Azerbaigian. La terra di fuochi sulla via della seta” è un viaggio indimenticabile lungo le antiche vie carovaniere alla scoperta di nuovi tesori del territorio azerbaigiano. È la nuova esposizione nell’ambito della Biennale Internazionale di Cultura Vie della Seta, un evento realizzato grazie alla sinergia tra il Ministero degli Affari Esteri, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Roma Capitale, è promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali, andrà avanti fino al 15 aprile. Sono oltre sessanta gli oggetti tra cui l’antichissima pietra dipinta con figure umane risalente al 3000 avanti Cristo e alcuni preziosissimi tappeti artigianali risalenti al diciannovesimo secolo.

Silent Revolutions: Design contemporaneo in Slovenia Triennale di Milano - Milano Aperta fino al 1 Aprile 2012

KEITH HARING: IL MURALE DI MILWAUKEE

LA MAGIA DELL’AZERBAIGIAN AL MUSEO DELLA CIVILTÁ ROMANA

Azerbaigian. La terra dei fuochi sulla via della seta Museo della Civiltà Romana - Roma Fino al 15 aprile 2012

I suggestivi spazi del Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo - La Civitella di Chieti ospiteranno fino al 22 aprile una delle più significative tra le opere pubbliche di Keith Haring: il murale di Milwaukee. Il murale è costituito da 24 pannelli in legno realizzati nell’aprile del 1983 dall’artista, invitato dall’Università Marquette di Milwaukee a creare un gigantesco murale sul luogo in cui sarebbe sorto il nuovo museo Haggerty. L’iconografia rappresentata nell’opera di Keith Haring è esemplificativa infatti del suo vocabolario d’immagini che celebrano la vita, divenendo un segno distintivo del suo approccio alla pittura. Haring riteneva che bambini e cani fossero tra le immagini più amate e riconoscibili; per questo, all’inizio della sua carriera, scelse queste figure proprio come firma (tag), per rendere la sua arte facilmente identificabile in mezzo a quella di altri che, come lui, avevano scelto la strada come luogo in cui liberare la creatività. Keith Haring: Il murale di Milwaukee Chieti, Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo La Civitella Aperta fino al 22 aprile 2012



Il futuro, il lavoro e l’immaginazione

CONTENITORI CREATIVI di Federico Bosisio* Era il 2000, un anno simbolico per la mia vita e per quella di molti altri, un momento di svolta e di speranza: nuovi orizzonti si stagliavano oltre il temuto millenium bug. Erano passati undici anni dalla caduta del muro di Berlino e si percepiva nell’aria l’odore di una nuova Unione Europea, più forte e coesa. Nel 1989 un coraggioso ‘burocrate’ russo aveva lanciato un boomerang politico che avrebbe liberato il futuro destino di milioni di persone in tutto il continente e non solo. Undici anni dopo il 2000 molti giovani si sono dimenticati di quei giorni concitati, delle immagini al telegiornale, di Paolo Frajese che commentava emozionato ciò che stava accadendo. 1989-2011: ventidue anni in tutto, l’età media di un giovane che a quel punto ha compiuto un percorso accademico, capace di aprirgli le porte del mondo del lavoro, perlomeno nel resto d’Europa, in Germania, in Francia, in Olanda, in Belgio, nei Paesi Scandinavi, laddove le regole sono più forti degli arbitri che le fanno rispettare. Lavoro...parola ricca di significati: richiama sogni e successi, incubi e disfatte. In un tempo non lontano il lavoro, qui, è stato pane e riscatto. L’Europa, devastata dalla Seconda Guerra Mondiale, è ripartita da lì, dal lavoro, dallo spirito di sacrificio, da quella tradizione antica, orgogliosa di creatività, che neppure un orrore tanto grande era riuscito a spegnere del tutto. Quelle irriducibili risorse culturali, quello slancio d’inventiva e intraprendenza hanno espresso per decenni una produzione artistica, artigianale, industriale di livello altissimo, in cui spicca il primato italiano nel design come nel progresso tecnico. Confidando in questo vantaggio storico, da allora avevamo continuato a guardare al futuro con ottimismo: “ Ce la faremo, perché abbiamo i numeri e l’esperienza...”. L’Occidente se lo ripete anche oggi, in un periodo buio, nell’illusione che bastino a proteggerlo dalla concorrenza le tecnologie, la rete. Incapace di leggersi in profondità, mimetizza le radici antiche nella venerazione delle apparenze, ma resta caparbio nell’iniziativa, innova e promuove. Proprio in questi anni grazie a strumenti tanto globali, rapidi ed estremi, moltissimi profili interessanti si sono lanciati in avventure progettuali e creative internazionali, ideando e sviluppando non solo nuovi prodotti, ma anche nuovi sistemi sociali, nuovi strumenti di lettura antropologica, nuove frontiere del sapere come dell’ignoranza. Uno dei paladini di questo cambiamento è il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg. Ha immaginato un network, cioè una rete attiva, viva, che si autoalimenta e rigenera.

A ventidue anni è l’icona onnipresente della ricerca di giovani capaci di intercettare i bisogni del nostro tempo e di concepire progetti che, nel bene e nel male, disegnano nuovi equilibri. Seguendo l’origine semantica del verbo to design, possiamo intuire come il percorso di una progettazione sia molto più importante del punto d’arrivo. Potendo contare anche sulla sponsorizzazione della cabala, il successo verrà alimentato dai fruitori stessi, con l’uso. Entrando in siti web interessanti come coolhunting.com, yankodesign. com, curisma.com o coroflot.com ci renderemo subito conto che i contenitori sono diventati importanti come i contenuti, se non di più. Fenomeno quasi ordinario per quest’epoca anestetizzata e assuefatta a mutamenti di una rapidità inimmaginabile solo pochi anni fa. Sarebbero moltissimi i nomi da citare di designer e creativi che si affacciano alla scena internazionale. Basterebbe sfogliare una rivista o “surfare” in rete, per apprezzarne il valore. Vanno incoraggiati e sostenuti con i mezzi necessari, per poter sviluppare le proprie competenze. “Il peggior nemico della creatività è il buon gusto”: nella provocazione di Pablo Picasso dovrebbero riconoscersi, oggi, i giovani designer. L’estetica non dev’essere, da sola, il motore di un progetto di design, ma combinarsi con altri elementi non meno indispensabili. Ergonomia, valore tecnologico, adattabilità e fattibilità sono soci alla pari dell’impresa, concorrono tutti al risultato. Ezra Pound diceva che “Il genio è la capacità di vedere dieci cose, dove l’uomo comune ne vede solo una e dove l’uomo di talento ne vede due o tre.” Non si batte la crisi, sperando in un genio salvifico che vede dieci cose contro una, forse neppure in quei giovani talentuosi in grado di intuirne due o tre. Occorre puntare su una formazione che sappia coltivare l’attitudine a cogliere anche solo una sfumatura e a innamorarsene, come si dovrebbe fare di un bel sogno. * Direttore IED Venezia

al Metropole

cinque idee di design Cinque artisti–designer veneziani espongono i loro lavori fino a giugno 2012, nell’ambito del progetto Fashion Design Made in Venice, all’hotel Metropole, negli spazi dell’Oriental Bar. Oggetti che fondono in essi un connubio tra arte, tecnica, moda e ispirazione. Si tratta di nomi noti in città in quanto rappresentanti di una moda sofisticata e di grande fascino. Si tratta di Giuliana Longo, Cappelli di alta qualità: nuovi materiali e modelli innovativi alla base di una produzione di cappelli unica, in cui l’eccellenza del Made in Italy si fonde con un originalissimo Made in Venice. Giovanna Zanella, scarpe esclusive da uomo e da donna: fatte

All’hotel Metropole (nella foto sopra) una serie di esposizioni di oggetti che intrecciano design ed arte con la vita di tutti i giorni nell’iniziativa Fashion Design Made in Venice a mano su misura, ognuna con un proprio carattere irripetibile. La decorazione nasce dal “corpo” stesso della calzatura, in un risultato pieno e tridimensionale (fino al 31 marzo). Arnoldo&Battois, borse d’autore: borse che nascono da contaminazioni tra mondi differenti. In ogni dettaglio si ritrova la qualità: pregiati materiali, preziosi ottoni e sofisticate lavorazioni artigianali (6 aprile – 30 aprile). Marina e Susanna Sent, glass art: cascate di bolle di vetro soffiato si trasformano in raffinate collane e in tessuti che legano in trame e orditi evidenti le originalissime perle biomorfe (4 maggio – 31 maggio). Attombri, gioielli-scultura: straordinarie manifatture, dall’assoluta originalità formale e dimensionale, in cui si fondono ascendenze veneziane, etniche e liberty (1 giugno – 30 giugno).



La signora dagli occhi di Giada (numero uno della Venice Foundation) si racconta

SULLE ALI DI FRANCA di vera mantengoli

Vola solo chi osa far lo, scrive Luis Sepulveda. È del tutto simile a un elegante volo la storia di Franca Coin Mancino, presidente della Venice Foundation. Per tutta la vita la signor a dagli occhi color giada si è lasciata tr asportare con fiducia dal vento dell’intr aprendenza, anticipandone poi le correnti. Il segreto sta tutto nel-

la passione per la creatività unita alla capacità di am are un’idea a tal punto da concretizzarla facendola respir are di vita propria. L’ultima cr eatur a è appunto l a V enice Foundation, associazione che si occupa di r accoglier e fondi dai privati per finanziare il recupero di opere pubbliche.


I beni da restaurare vengono indicati dai Musei Civici Veneziani, contribuendo alla valorizzazione di un patrimonio artistico collettivo: «A volte si usa il termine micro mecenatismo racconta nella sede della Venice Foundation, a pochi passi da Ca’ Rezzonico - ma io preferisco mecenatismo condiviso. La mia personale utopia è infatti quella di trasmettere alle persone quanto sia importante la condivisione». Il seme di questo ideale ha radici profonde che si manifestano fin da bambina nell’entusiasmo che prova per tutto ciò che riguarda la comunicazione: «Odilia prosegue facendo un tuffo nel passato - era il nome di una signora che si occupava di me e di mio fratello Rocco. A un certo punto si trasferì a Londra. Mi ricordo che ci spediva sempre riviste e giornali. Io li sfogliavo e facevo finta di leggerli anche se non conoscevo la lingua». Crescendo decide quindi di studiare inglese, perfezionando lo studio anche all’estero. Trova poi lavoro come traduttrice in un’azienda americana (con base a Parma) che si occupa di seguire l’intero sviluppo di alcuni prodotti dietetici: «Ero molto interessata al rapporto tra cibo e ambiente. Mi chiamavano la fatina - ricorda sorridendo - perché portavo l’acqua ai raccoglitori di pomodori che stavano ore e ore sotto il sole». L’impiego in questa e in altre imprese le permette di apprendere come nasce e cresce un prodotto: «Ho imparato in questo modo - afferma - ad apprezzare il rispetto per questo Paese meraviglioso che purtroppo oggi non è valorizzato». Negli anni Settanta il fiuto per l’innovazione la porta ad aprire con un amico due gallerie di arte a Milano. Azzardano proponendo artisti concettuali. È il primo audace investimento imprenditoriale: «Ho sempre cercato di essere attuale - spiega - e al passo coi tempi». Conoscenza della lingua inglese, entusiasmo per il lavoro e naturale propensione alle sfide per molti impossibili: un cocktail di qualità che non è sfuggito a una società appartenente alle Condotte d’Acqua che le propone di lavorare a Bandar Abbas, il porto sul Golfo Persico: «Mi occupavo dei dipendenti italiani, dialogavo con loro per assicurarmi che tutto procedesse. Inoltre facevo l’auditrice alle riunioni dell’azienda - racconta ripensando all’Iran - e spesso partecipavo a meeting con la NIOC - (National Iranian Oil Company, ndr) precisa, leggendo la sigla al contrario…destino? - Per me è stato un periodo bellissimo: giravo da sola, compravo le stoffe del luogo e poi me le cucivo. Le donne avevano una maschera particolare sul volto chiamata burqué dalla quale risaltavano soltanto gli occhi, truccati e affascinanti. Le storie popolari dicevano che le aveva introdotte Marco Polo perché assomigliavano alle maschere veneziane». La sua vita procede per anni divisa tra una parte del globo e l’altra, volando tra Oriente e Occidente. Quando torna va diretta a Milano da suo fratello Rocco, fotografo di punta. Nella città dei navigli sta esplodendo il boom della moda. Rocco immortala gli astri nascenti del mondo fashion. Franca segue i servizi fotografici, partecipa alle sfilate, diventa perfino responsabile per Vogue Francia Sport in Italia. Conosce in questo modo gli stilisti più all’avanguardia che, di lì a poco, faranno brillare il marchio «Made in Italy»: «Ho visto sbocciare Armani, Versace, Marzotto, Zegna e molti altri. È con loro che è nato l’Italian Style». Arriva l’ora del

tramonto anche in Oriente, mentre a Milano si preannuncia un’alba di fuoco. Torna infatti in Italia per dedicarsi finalmente a un progetto tutto suo, mostrando l’ampiezza della sua apertura alare. L’exploit avviene grazie a Snoopy e alla sua sorellina Belle (Rocco e sua sorella?). Negli anni Ottanta viene infatti incaricata da Connie Boucher, fondatrice della Determined Production e licenziataria del marchio Snoopy, di promuovere una linea di abiti per bambini con il simpatico cagnolino come protagonista. Oggi le vignette di Charles Schultz sulla maglietta sono un classico, ma chi ha lanciato l’idea? Ebbene sì. È stata lei, ovviamente con l’originalità che la contraddistingue. «Snoopy non è un cane, ma un filosofo». E per omaggiarlo ci vuole un vestito fatto ad hoc per ogni occasione. Propone agli stilisti più famosi del mondo di confezionare un vestito speciale, fatto su misura per i due simpatici fratelli. Sono anni d’oro per la moda. Creare un vestito è fare in tutto e per tutto filosofia. Arrivano circa duecento modelli di pupazzi da tutto il mondo. L’armadio di Snoopy straripa di completi occupando le passerelle di Firenze con una mostra personale da Pitti. Qui conosce il futuro marito Piergiorgio Coin ed è amore a prima vista. Franca approda a Venezia e si ritrova in un mondo completamente diverso: «Andavo al mercato e la gente parlava e parlava. Non avevo mai vissuto una dimensione del tempo come quella veneziana, era diversa dal modo di vivere milanese. Poi mi sono abituata». Non le manca in quegli anni il lavoro. L’amore inonda la sua vita e lei lo accoglie con passione e dedizione. Si prende cura della casa e si ambienta in una nuova città che diventa molto presto la sua città. Fa la casalinga per quasi dieci anni fino a quando si ritrova coinvolta in un progetto che fiuta all’avanguardia, risvegliando quella scintilla di sfida che non l’aveva mai abbandonata. Nel 1996 Gianfranco Mossetto, allora assessore alla Cultura del Comune di Venezia, riunisce un gruppo di persone per fondare un’associazione volta al recupero di fondi privati destinati a finanziare opere pubbliche. L’Associazione si chiama Venice Foundation e vede tra i primi partecipanti Franca Coin, Larry Lovet, Giovanni Alliata di Montereale, Francesco Molinari, Barbara Valmarana, Luigi Moscheri, Enrico Chiari, Girolamo Marcello, Gianni Milner, Marina Gregotti, Emilio Ambasz, Aldo Bassetti, Maria Laura Boselli, Luigino Rossi, Gianfranco Zoppas, Vittorio Tabacchi, Frances Clarke, Ugo Camerino e molti altri. I soci la eleggono subito presidente. Da quel giorno la Venice Foundation ha recuperato fondi per un totale di circa cinque milioni di euro finanziando il restauro di settantacinque opere: «Non mi occupo solo di trovare fondi per un restauro - racconta spiegando lo spirito dell’associazione - ma di seguirlo, di comunicarlo e di farlo vivere tra le persone prima, durante e dopo la realizzazione». Il progetto si è ingrandito tanto da coinvolgere chiunque voglia partecipare, con l’offerta che può e che desidera; c’è bisogno infatti della partecipazione di ognuno affinché il patrimonio culturale possa essere sentito dall’intera comunità. La signora dagli occhi di giada non si è mica fermata. Ha in cantiere un altro progetto all’insegna della tecnologia. Si vola ancora più in alto. Le sorprese sono appena iniziate.

Lavorare in Iran per me è stato bellissimo: giravo da sola, compravo le stoffe del luogo e poi me le cucivo. Le donne avevano una maschera particolare sul volto chiamata burqué dalla quale risaltavano soltanto gli occhi, truccati e affascinanti.


The Venice International Foundation

OPERE D’ARTE e cultura, questa è la fondazione Dal 1996 a oggi l’associazione Venice Internaional Foundation ha finanziato settantacinque interventi di restauri di opere d’arte, raccogliendo una somma totale di circa cinque milioni di euro. Ecco una sintesi delle attività svolte (che non include le numerose attività didattiche e il ciclo di conferenze «Notturni d’arte»). Per conoscere tutte le iniziative e scaricare la News Letter realizzata dalla VIF consultare www.venicefoundation.org. Restauro di opere d’arte 1998 Affresco Mondo Novo di Giandomenico Tiepolo 2000 Oltre sessanta affreschi di G. Tiepolo conservati a Ca’ Rezzonico 2002 Tela del Tiepolo La Nobiltà e la Virtù abbattono l’Ignoranza 2002 Due tele della Scuola del Longhi: La dichiarazione e La partita a carte del Museo Correr 2004 Affresco Il trionfo della Poesia di G. Diziani a Ca’ Rezzonico. 2006 Ritensionamento cornice di Giuditta II di G. Klimt, Ca’ Pesaro 2008 Affreschi di Antonio Guardi: Minerva, Apollo, Venere e Amore e Il Trionfo di Diana, Ca’ Rezzonico. 2009 Dorature del soffitto della Sala Maggior Consiglio di Palazzo Ducale. 2011 Modello del Teatro delle Feste di Mariano Fortuny, dipinti dell’Atelier Fortuny, realizzati da Mariano Fortuna, Museo di Palazzo Fortuny 2011 Mosaico della Cupola della Creazione nel nartece della Basilica di San Marco. Restauri in corso e di prossimo inizio • Modello del Teatro di Bayreuth, dell’album Disegni Teatro di Mariano Fortuny, Museo di Palazzo Fortuny. • Porta laccata settecentesca della sala degli Arazzi di Ca’ Rezzonico. Campagne di raccolta fondi 1999 Progetto Tiepolo a favore agli affreschi di Villa Zianigo, a Ca’ Rezzonico 2006 Sulle Ali degli Angeli per il restauro della Cupola della Creazione in Basilica di San Marco 2008 Progetto Gleam Team per il restauro delle dorature della Sala del Maggior Consiglio a Palazzo Ducale attraverso l’acquisizione di un metro quadrato virtuale del soffitto personalizzato col nome del donatore. 2010 Progetto Missione Fortuny per il finanziamento di opere di Mariano Fortuny, Museo Fortuny. Mostre 1998 Ca’ Rezzonico: La porcellana di Venezia nel ’700. Vezzi, Hewelcke, Cozzi. 1999 Palazzo Ducale: L’orologio della Torre. 2000 Museo Correr: Satiri, centauri e pulcinelli. Gli affreschi restaurati di Giandomenico Tiepolo conservati a Ca’ Rezzonico. 2002 Ca’ Rezzonico: Luce di Taglio. Preziosi momenti di una nobildonna veneziana. Una giornata di Faustina Savorgnan Rezzonico. 2003 Museo Correr: Canova/Rainer. 2004 Ca’ Pesaro: Lello Esposito. Pulcinelli.

The Venice International Foundation / Fondamenta Rezzonico, Dorsoduro 3144/ 30123 Venezia. Tel. & Fax 041 2774840 o veniceinter@tin.it

Riconoscimenti assegnati a Franca Coin per l’impegno nella conservazione del patrimonio storico e artistico di Venezia: Laurea Honoris Causa in «Strategie, gestione e comunicazione dei beni e degli eventi culturali» dall’Università IULM di Feltre nel 2007 Premio Excellent, oscar italiano al turismo, nel 2007 Premio Firenze Donna nella categoria «Premio Speciale della presidenza» nel 2003 Premio Montblanc Arts Patronage Award nel 2002 Premio Una Mela d’Oro della Fondazione Marisa Bellisario per l’impegno e la solidarietà nel 2002


La rinascita della straordinaria Cupola della Creazione

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Qualche anno fa, passeggiando per Manhattan, Franca Coin si accorge di un libro che viene pubblicizzato come un best seller. Si tratta di The city of Fallings Angels di John Berendt e il luogo in questione è proprio Venezia. Non le piace l’ idea che la sua città venga associata alla caduta degli angeli. Così, quando tra le varie proposte le si presenta la possibilità di finanziare il restauro del mosaico della Cupola della Creazione, nel narcete della Basilica di San Marco, non ha dubbi. Tra i soggetti raffigurati sono presenti infatti molte creature celesti che necessitano di un aiuto per ritornare a volare. Per questo il progetto viene battezzato con un titolo speciale: «Sulle ali degli Angeli». La raccolta dei fondi dura qualche anno e avviene grazie a quattro concerti di musica organizzati all’ interno della Basilica (2006, 2007, 2009, 2012). L’ultima esecuzione, avvenuta a fine gennaio, ha visto in scena il celebre violoncellista Mario Brunello con un repertorio di brani tratti da Johann Sebastian Bach, Giovanni Sollima e John Tavener. Il restauro è stato condotto dalle maestranze della Procuratoria di San Marco sotto la direzione del Proto della Basilica Ettore Vio. Si tratta di ventisei scene disposte in tre fasce concentriche che raffigurano il racconto della Genesi (la creazione del mondo con piante e animali, l’Eden con Adamo ed Eva, il peccato delle origini e la cacciata dal Paradiso). L’ intero mosaico è caratterizzato da figure angeliche coronato dalla presenza di quattro cherubini. In ogni fascia viene anche riportato in latino il racconto della creazione nella versione di San Girolamo, detta Vulgata. Il mosaico è originario del XIII secolo. Il restauro ha riportato ai soggetti luce e colore. Una volta luminosa dove gli angeli sono finalmente tornati a volare.



Microcosmi, lavorare a Venezia

L’ARTE DI FARE IL PANE di Andrea Gion e savino liuzzi Calle della Regina. Sono le tre e siamo in ritar do. Nel silenzio della notte e delle str ade deserte, cerchia mo “l’officina del pane”, che, in effet ti, dovr ebbe esser e da queste parti. Ci lasciamo guidare da un filo di musica la cui matassa termina dietro un gr ande portone. Bussiamo ripetutamente, finché il Sig. Mauro Albonico, sorridendo sotto i baffoni grigi, ci invita calorosamente ad entrare: siamo arrivati a destinazione. “Prego ragazzi, stavo giusto infornando i mignon con l’uvetta.”


Taccuino alla mano, schiviamo ciuffi di lievito nell’aria e carrelli di pane appena nato. Mauro è molto disponibile: “Che ne dite, potremmo cominciare dall’abc. Allora, questa è la prima macchina....” Sotto il nostro sguardo attento, l’impastatrice mescola il lievito agli altri componenti e predispone la materia prima, pronta ad essere sgrezzata nella raffinatrice, il cui compito è di rendere l’impasto più liscio e compatto. E’ il turno della trancia, dalla quale si ricavano dei piccoli blocchi d’impasto, tutti dello stesso peso e dimensione. La modellazione e le tipologie di pane sono affidate alla formatrice, che arrotola o schiaccia il pane (“baguette” o “schiacciatine”), oppure alle mani esperte del Sig. Albonico (abile scultore di “struzze”, “mantovane”, “cuscinetti”, “rosette”, etc). Lo fissiamo ipnotizzati, mentre solca la superficie dell’impasto con un taglierino, a decorazione delle future pagnotte. Pochi metri più in là, aspettano le celle frigorifera e di lievitazione: rispettivamente, guardiane del pane che può attendere fino all’indomani e di quello avvolto dal vapore, destinato alla cottura immediata. “Il pane, per essere buono, ha bisogno di umidità e calore.” Mauro ha ragione e lo constatiamo di persona assaggiando un morso a testa. In quel preciso istante spunta Anatoli (in arte Toli), diventato un aiuto ormai indispensabile per velocizzare il lavoro. “Affrontiamo dei ritmi molto serrati e decisamente anomali rispetto alle abitudini di vita delle altre persone.” Infatti, Mauro arriva puntuale nel suo laboratorio non più tardi delle 2 e 30 del mattino, alle 6 è raggiunto dal fratello Michele (che lo supporta nella composizione dei dolci) e ci resta almeno fino a mezzogiorno. Un pranzo veloce, qualche ora di riposo al pomeriggio e dopo le 9 di sera già a letto. Sette giorni su sette. “Tra di noi – continua Mauro – si crea ogni notte una perfetta catena di montaggio, precisa, frenetica, ma nella quale, dopo anni di esperienza, ognuno conosce il proprio ruolo.” Scriviamo rannicchiati in un angolo per non intralciare Mauro e Toli. La radio è sempre accesa e sembra quasi di vederli danzare in un’appassionata coreografia di sorrisi e farina, nonostante l’andatura incalzante e l’evidente carico di fatica. L’aroma del pane appena sfornato e l’atmosfera conviviale che si respira, spiegano perché questo mestiere non pesi affatto sulle spalle di chi lo pratica. “Se non tenessimo questi ritmi, non riusciremmo a soddisfare le richieste dei vari fornitori. E pensate, negli anni d’oro mio padre doveva gestire un carico di lavoro cinque volte superiore al mio. Spesso si addormentava, sfinito, sui sacchi di farina.” Il panificio non ha soltanto una clientela affezionata. Supermercati, ristoranti e negozi di alimentari trovano, nel forno di Mauro, una garanzia assoluta. Persino la comunità ebraica si rifornisce qui da anni, poiché il pane di Albonico, preparato senza additivi, coincide pienamente con i parametri del cibo kasher. Che gli ordini siano tanti, lo conferma una rapida occhiata agli appunti con gli ordini del giorno, appesi al muro. Ve r r e b b e d a c h i e d e r s i d o v e t r o vi tutta quest’energia. “Sono contento di essere un fornaio, perché preparo da mangiare alla gente cibo sano e fatto con amore.”

Come nasce una pagnotta

Ore tre del mattino ed al forno sono già tutti al lavoro; “affrontiamo dei ritmi molto serrati e decisamente anomali rispetto alle abitudini di vita delle altre persone.” Mauro arriva puntuale nel suo laboratorio non più tardi delle 2 e 30 del mattino, alle 6 è raggiunto dal fratello Michele e ci resta almeno fino a mezzogiorno. Tanto a Venezia, come in tutti i forni del mondo, il procedimento per la lavorazione del pane è sempre uguale: a far la differenza la mano del fornaio, la scelta delle farine e una grande passione per un mestiere che in laguna ha qualche complicazione in più.

Lo speaker della radio annuncia l’orario imminente: le 5 del mattino. Crediamo sia il momento ideale per togliere il disturbo, quando Mauro, guardandoci sorpreso, ci rimprovera bonariamente. “Dove pensate di andare? Nello stanzino di là ci sono due grembiuli. Adesso è il vostro turno.” In realtà, aspettavamo solo che ce lo chiedesse.



Ero come quei gatti che vedevo a Venezia: occhi chiusi, zampe gesticolanti nei sogni, se ne stavano lunghi distesi in mezzo ai campielli, pance a contatto con la terra per assorbirne iL calore rubato a un sole invernale Silvia Mazzola La miniaturista

LIBRI &co. LIBRI LIBRI pagine a cura di SHAULA CALLIANDRO Per segnalazioni editoriali scrivere a shaula@calliandroeditore.it

questo mese parliamo di: ricette con chef e personaggi famosi, metodi per ricordarsi tutto, le novità dal mondo dell’editoria, i nostri consigli per gli acquisti giusti in libreria e l’immancabile “selezione venezia”


Personaggi famosi e chef rinomati si sfidano con le ricette di tutti i giorni

LA CUCINA DEI VIP Gwyneth Paltrow Appunti dalla mia cucina. 150 ricette sane e semplici da un’icona del nostro tempo Salani Pagine 288 Prezzo € 29,00 Nigella Lawson Nigella Express. Cucina espressa: buona, salutare, veloce Luxury Books Pagine 392 Prezzo € 42,00 Jamie Oliver I miei menù da 30 minuti Tea Pagine 288 Prezzo € 29,00

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Piatti veloci, facili ed alla portata di tutti. Questa è l’idea che rende lo sposalizio tra cucina e tv particolarmente apprezzato, tanto da riversarsi anche nel mercato dei libri. Ma non ci sono solo le regine della tv italiana Benedetta Parodi, Tessa Gelisio ed Antonella Clerici. Anche all’estero il genere culinario-televisivo spopola. Ci sono i personaggi famosi che fanno della loro passione una professione, e chi invece diventa famoso grazie alla sua cucina. Ne è un esempio l’attrice Gwyneth Paltrow, ormai ospite fissa di diverse trasmissioni tv all’estero. Ha ereditato la passione per la cucina dal padre, e da allora ha fatto molta strada, sperimentando con inventiva, ma con uno sguardo alla tradizione e ai cibi sani. Nel libro “Appunti dalla mia cucina. 150 ricette sane e semplici da un’icona del nostro tempo”, edito da Salani, sono raccolti piatti pratici, deliziosi ma soprattutto sanissimi; tanti consigli per avere sempre una dispensa ben fornita; piatti vegetariani e versioni vegane adatte a ogni tipo di palato e regime alimentare; un viaggio culinario fra le migliori cucine del mondo. Un’altra star è Nigella Lawson: giornalista inglese e cuoca provetta, decide di cimentarsi ai fornelli per professione. E diventa

famosissima: tra programmi tv (trasmessi anche nei canali satellitari italiani) ed articoli di giornale, pubblica diversi libri. In Italia, “Nigella Express. Cucina espressa: buona, salutare, veloce”, edito da Luxury Books, racchiude ricette e segreti per chi ha poco tempo ma vuole comunque fare bella figura. Minimo stress, massimo risultato: questa è la frase che meglio interpreta lo stile di Nigella. E poi, un altro personaggio inglese: Jamie Oliver, il cui volto è diventato famoso grazie a una serie di show televisivi, trasmessi in 50 Paesi, Italia compresa, dal Gambero Rosso Channel. Spiega così il suo libro “I miei menù da 30 minuti”, edito da Tea: “Vi insegnerò a mettere in tavola un pasto completo in 30 minuti spaccati. Non un piatto unico, proprio un intero menu! Rimarrete sbalorditi da quello che riuscirete a fare in 30 minuti – per me è stata una scoperta folgorante”. Voglia di qualcosa di alternativo? C’è sempre Andrew Zimmern con i suoi “Orrori da gustare”, in onda sul canale satellitare Discovery Travel & Living, i cui libri, in inglese, possono essere acquistati su www.amazon.it. A vostro rischio e pericolo…

Piatti pratici deliziosi e sani contraddistinti dalla semplicità nella realizzazione: è questo il trend che ritroviamo nei libri di cucina del nostro tempo


Lo scrittore americano incontra L’illustre

la memoria fotografica, non esiste di SHAULA CALLIANDRO

Quaranta giorni. È il tempo che ciascuno di noi impiega in media ogni anno per rimediare a ciò che dimentica: recuperare il cellulare lasciato chissà dove, cercare le chiavi di casa o rintracciare informazioni importanti. Il giornalista americano Joshua Foer rientrava a pieno titolo in questa media, ma dopo un anno di allenamento si è ritrovato alla finale del Campionato statunitense della memoria. Ripercorrendo la storia della mnemotecnica dall’antica Grecia ai giorni nostri e illustrando metodi concreti grazie ai quali possiamo tenere a mente le informazioni che ci interessano, l’autore nel suo saggio-romanzo “L’arte di ricordare tutto”, edito da Longanesi, ci dimostra che è davvero possibile migliorare la nostra memoria, un dono che tutti possediamo ma di cui spesso ignoriamo le potenzialità. A Venezia per la presentazione del volume presso la Scuola Per Librai Umberto e Elisabetta Mauri all’interno della Fondazione Cini a S. Giorgio, l’autore ne parla con L’illustre. Nel libro descrive la sua esperienza come una sorta di esperimento sulle reali capacità della mente umana. Che genere di approccio ha utilizzato: giornalistico o scientifico? E’ cominciato tutto come curiosità giornalistica: non riuscivo a credere che esistessero persone in grado di ricordare una tale quantità di dati. Per questo motivo ho voluto provarci anche io. In seguito, però, da semplice curio-

sità personale si è trasformata in studio più scientifico. Lo sviluppo tecnologico ci ha resi mentalmente pigri? Tutti ci fidiamo molto delle nuove tecnologie, e di conseguenza ci affidiamo sempre meno alla nostra memoria. Non conosciamo più le nostre capacità reali, alcune latenti e che non sospettiamo neppure di avere.

Joshua Foer L’arte di ricordare tutto Longanesi Pagine 343 Prezzo € 19,90


editoria Quaranta giorni. È il tempo che ciascuno di noi spreca in media ogni anno per rimediare a ciò che dimentica. Joshua Foer rientrava a pieno titolo in questa media, ma...

Al di là del caso limite di persone dalla memoria eccezionale, dote vista dai più come qualcosa di inconsueto, è possibile che manchi la volontà di sfruttare le nostre abilità mentali? Se decidiamo di voler migliorare la nostra memoria, possiamo farlo. E’ tutta una questione di volontà: io stesso sono rimasto molto sorpreso da quante ripercussioni abbia sulle nostre capacità. Nelle sue pagine viene sfatato il mito della memoria fotografica come metodo di apprendimento. Ma le resta un ruolo alternativo? Per me è stato uno shock scoprire che non esiste la memoria fotografica. Nonostante questo, noi siamo innanzitutto personaggi visivi e quando vogliamo memorizzare qualcosa tendiamo ad associarlo ad immagini. In questo modo riusciamo a sfruttare al meglio il nostro cervello. A proposito dei nostri ricordi quotidiani, è possibile scegliere, anche in modo inconsapevole, cosa ricordare e cosa no? Ciò che vogliamo ricordare e dimenticare è da mettere in relazione col momento in cui i fatti avvengono. Possiamo decidere semplicemente prestandovi la giusta attenzione. Scenari futuristici disegnano una società in cui potrebbe essere possibile scaricare in una memoria esterna il contenuto di dati del nostro cervello. Cosa ne pensa? Penso che sia una tendenza in qualche modo già presente. Nel mio Iphone memorizzo tutti gli appuntamenti ed i contatti: non potrei più farne a meno. E’ come se già esistesse una nostra memoria esterna. Ma alla fine è davvero così dannoso dimenticare? Abbiamo tutti bisogno di dimenticare: se ricordassimo tutto, saremmo sicuramente dei nevrotici. Speriamo di non diventarlo mai.

L’UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI SI DÀ AL DIGITAL PUBLISHING Con un omaggio all’Unità d’Italia, aprono la loro attività le Edizioni Ca’ Foscari – Digital Publishing, la prima casa editrice interamente digitale dell’ateneo veneziano. “Leggere l’unità d’Italia” inaugura la serie “I libri di Ca’ Foscari”: curato da Alessandro Casellato e Simon Sullam, raccoglie trentasette esercizi di lettura, dei più diversi testi sull’Italia di ieri e di oggi. Il volume è la raccolta dei testi letti il 6 giugno scorso durante la giornata «Per una Biblioteca del 150° dell’Unità d’Italia», che si è tenuta negli spazi della biblioteca umanistica di Ca’ Foscari. Nei prossimi mesi vedranno la luce altre otto pubblicazioni approvate dal comitato scientifico: 5 periodici, 3 collane editoriali di ambito umanistico, linguistico e giuridico. I volumi saranno consultabili online e chiunque potrà accedervi liberamente e senza alcun costo.

MONDADORI VOLA CON LA COLLANA LIBELLULE Si chiama “Libellule” la nuova collana letteraria di Mondadori, che propone racconti lunghi e romanzi brevi di autori italiani e stranieri, affermati ed esordienti. I primi quattro titoli sono disponibili al prezzo di 10,00 euro: Andrea Camilleri, già da settimane ai primi posti della classifica delle vendite con il suo “Il diavolo, certamente”, Chiara Gamberale con il toccante racconto “L’amore quando c’era”, Raffaele La Capria con ‘’Esercizi superficiali’’ e Arnaud Ryknercon con ‘’Il vagone’’. Nel mese di febbraio la serie è stata arricchita con la pubblicazione dei racconti di Francesco Guccini, William Vollmann e Alberto Cavanna.

READMELIBRI la biblioteca INFINITA

Dal connubio tra cultura e tecnologia è nata Readmelibri, la biblioteca digitale che consente ai suoi utenti di consultare online migliaia di titoli e di riviste. Abbonarsi ai suoi cataloghi, in costante aggiornamento, significa avere libero accesso, in qualsiasi momento e senza limiti di tempo, alle opere di narrativa, saggistica, politica e molto altro messe a disposizione dagli editori. C’è la Biblioteca digitale read-me, che raccoglie i titoli più accattivanti e gli editori più qualitativi del panorama italiano; e poi, la versione digitale di E-Il mensile, la rivista diretta per Emergency da Gianni Mura e Maso Notarianni. Infine, circa duecento titoli imperdibili del catalogo Liber Liber. Con un contributo quasi simbolico, è possibile sostenere l’associazione di volontari che si occupa di mettere sul mercato i libri senza diritti d’autore: dalla Bibbia a “Mastro Don Gesualdo”, “dall’Eneide” ad “Alice nel paese delle meraviglie”.

GRADO GIALLO NUOVO PREMIO LETTERARIO PER AUTORI SPECIALIZZATI IN THRILLER, POLIZIESCHI E NOIR Grado Giallo, festival letterario della città balneare in provincia di Gorizia giunto alla sua IV edizione, in collaborazione con l’editrice Mondadori lancia il nuovo Premio letterario nazionale Grado Giallo, dedicato ad autori di thriller, polizieschi e noir, che si terrà in concomitanza con la prossima rassegna, dal 5 al 7 ottobre. Aperto a tutti i cittadini italiani ed europei, il premio è riservato ad opere inedite scritte in lingua italiana. Ciascun autore può partecipare con quanti elaborati desidera, senza alcuna limitazione, rispettando il termine ultimo del 31 marzo. Sarà poi una super-giuria finale, il cui presidente sarà Franco Forte, direttore editoriale del Giallo Mondadori, a decretare il vincitore. L’opera scelta sarà pubblicata in uno dei volumi della collana Il Giallo Mondadori in edicola a ottobre. www.gradogiallo.it.


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Idee dalla laguna

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I ONE

SELEZIONE VENEZIA Paolo Sorcinelli, Mihran Tchaprassian L’Alluvione. Il Polesine e l’Italia nel 1951 Utet Pagine 256 Prezzo € 18,00

Marco Sitran, Maurizio Cerruti Venice All Seasons Heliar Books Pagine 144 Prezzo € 19,90

“Venice All Seasons” è una novità tra le pubblicazioni su Venezia. Le foto di Marco Sitran si fondono con i racconti di Maurizio Cerruti in un’unica trama suggestiva. Atmosfere, colori e geometrie della città e della laguna trovano in Sitran un sensibile interprete dell’anima dei luoghi. I racconti a

sorpresa di Cerruti colgono sette personaggi in un attimo di intimità con Venezia: da Hemingway a Mozart, da Mitterrand a San Francesco. Introduzione e conclusioni sono una riflessione sul presente e sul futuro della città più bella e fragile del mondo. Nelle accurate didascalie c’è una mini-guida dei luoghi.

Sessant’anni fa, nel 1951, l’Italia andava sott’acqua in un susseguirsi di frane e di nubifragi. Dopo il Ferrarese e la Valtellina, il Comasco e il Trentino, il Piemonte e l’Umbria, agli inizi di ottobre un afflusso d’aria fredda di origine atlantica si scontrò con un fronte caldo proveniente dalla Tunisia. Una forte perturbazione interessò la Sardegna,

Espedita Grandesso Fiabe onte (non de òio, ma de lengua) Editoriale Programma Pagine 152 Prezzo € 10,00

Una raccolta illustrata di dieci fiabe in dialetto veneto e traduzione in italiano con la prefazione dei comici veneziani Carlo e Giorgio, scritte dalla nota autrice veneta Espedita Grandesso, la cui caratteristica, oltre al fatto di appartenere tutte alla nostra tradizione locale, è quella di essere appunto “onte”. Se non volgari quantomeno “scivolose”

e senz’altro assai divertenti. Perché, come si vede leggendo i racconti, il passato, in quanto a virtù, non era diverso dal presente, malgrado i sottanoni lunghi fino ai piedi e l’uso, in epoca vittoriana, di fornire ai tavoli tovaglie tanto vaste da coprire le gambe.

Venezia, 1756. A teatro qualcuno ha allestito una macabra rappresentazione: un giovane e brillante attore è stato ucciso, inchiodato a una croce. Sul suo petto, alcuni versi inquietanti. Il Doge vi legge il segno di un potere occulto che mira a distruggere la Repubblica. E’

la Sicilia e la Calabria, provocando 110 morti, 10 mila senzatetto e l’abbandono di quattro paesi. Infine, a novembre, la piena del Po, le rotte di Occhiobello e la “grande alluvione” del Polesine, un territorio che qualcuno definiva un angolo d’Africa a pochi chilometri da Bologna e da Venezia. Gli autori ricostruiscono la storia delle alluvioni del periodo.

Enrico Calenda Acqua Alta Un giallo a Venezia Arduino Sacco Editore Pagine 232 Prezzo € 18,00

“Bisogna assolutamente scoprire chi l’ha uccisa, Caterina. Lo dobbiamo a lei, per rendere giustizia alla sua memoria, ma anche per proseguire nel processo di sviluppo positivo di un istituto come questo. La scuola coincide con l’educazione di tanti giovani. A migliaia me ne sono passati. Ciò

che si fa in una scuola non ha l’eguale in nessun tipo di attività umana”. Un dramma che si svolge in una Venezia dal fascino inquieto, dove silenziosa dilaga l’acqua alta, scritto da Enrico Calenda, docente di lettere veneziano doc e grande conoscitore della nostra città dal punto di vista culturale ed educativo.

Arnaud Delalande La trappola di Dante Editrice Nord Pagine 410 Prezzo € 18,60

Silvia Mazzola La miniaturista Fazi Editore Pagine 442 Prezzo € 17,50

deciso a svelare il mistero Pietro Viravolta: spia, giocatore, spadaccino, sa muoversi come pochi altri nei meandri della raffinata e libertina società veneziana. Si trova imprigionato ai Piombi, accanto a Giacomo Casanova, ed è disposto a tutto pur di riconquistare la libertà. Ben presto comprende l’agghiacciante verità: l’assassino sta punendo le sue vittime con gli stessi tormenti infernali descritti da Dante nella Divina Commedia.

cose: l’innocenza, l’amore, la libertà. Inizierà a viaggiare tra le capitali d’Europa in lotta con i ricordi, ma sempre con il coraggio di vivere fino in fondo la sua condizione di donna e di artista. Silvia Mazzola descrive una Venezia sontuosa ma anche crudele in un romanzo coinvolgente ed appassionante, dando vita ad una protagonista che ricorda una delle più grandi artiste veneziane: Rosalba Carriera.

Venezia, 1700. Aurora Zanon, giovane veneziana, scopre la sua vocazione artistica: in poco tempo diventa una delle più apprezzate e richieste miniaturiste e pastelliste della sua epoca. Sempre alla ricerca dell’approvazione del padre, la ragazza si dedicherà totalmente al lavoro, rinunciando a molte


Il libro del mese

L’ALBA DEI LIBRI, LA LAGUNA E L’EDITORIA

Venezia: una culla per l’arte, la cultura e la storia nel corso dei secoli, che l’hanno resa e la rendono ancora oggi grande agli occhi del mondo intero. L’editoria rappresenta l’unione di questi tre campi di eccellenza: l’arte della creazione dei libri scrive la storia del nostro patrimonio culturale. Infatti, dall’invenzione della stampa a caratteri mobili di Gutenberg nel 1455, la città lagunare si impone come il fulcro dello sviluppo dell’editoria. Innanzitutto, grazie alla presenza delle più importanti librerie del mondo, vere e proprie “officine del libro”, le cui tipografie sono in grado di stampare in qualsiasi lingua la metà dei volumi pubblicati e diffusi nell’intera Europa. Inoltre proprio in questo

contesto nasce la figura dell’editore moderno. Un nome fra tutti: Aldo Manuzio. Prima di lui gli stampatori erano solo artigiani attenti al guadagno immediato. Ma Manuzio si lancia in progetti innovativi: pubblica tutti i grandi classici greci e latini, ma usa l’italiano per stampare i libri a maggiore diffusione; inventa un nuovo carattere a stampa, il corsivo; importa dal greco al volgare la punteggiatura che utilizziamo ancora oggi, la virgola uncinata, il punto e virgola, gli apostrofi e gli accenti. Fino ad arrivare, tra il XIX e il XX secolo, all’importante figura di Ferdinando Ongania, uno dei primi editori ad utilizzare la fotografia nel libro d’arte nella sua monu-

mentale opera “La Basilica di San Marco in Venezia”. Il racconto di Alessandro Marzo Magno parte dall’inizio: da quando nel Cinquecento veneziano si inventa tutto ciò che conosciamo del libro e dell’editoria.

Alessandro Marzo Magno L’alba dei libri Quando Venezia ha fatto leggere il mondo Collezione Storica Garzanti Pagine 220 Prezzo € 22,00


La nostra libreria Idea n. 1

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Eric-Emmanuel Schmitt La donna allo specchio Edizioni e/o Pagine 352 Prezzo € 19,50

Eric-Emmanuel Schmitt, autore di “Odette Toulemonde” e “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano”, racconta la storia di Anne, Hanna e Anny: tre ragazze unite dal loro nome e dalla loro indole di spirito libero, ma divise dall’epoca nella quale vivono. Anne, nelle Fiandre del XVI secolo, è una mistica che parla con gli animali; Hanna, nella Vienna d’inizio Novecento, è una giovane aristocratica alla ricerca di se stessa; Anny è una star di Hollywood dei nostri tempi, drogata di celebrità e di sostanze stupefacenti. Un intreccio curioso, sempre più appassionante, in un crescendo di rivelazioni porta le tre vicende a una conclusione congiunta.

James M. Cain Mildred Pierce Adelphi Pagine 308 Prezzo € 12,00

James M. Cain (18921977), autore di romanzi di successo come “Il postino suona sempre due volte”, nel 1941 rivoluziona il genere noir con “Mildred Pierce”, creando un personaggio femminile con il carattere ed il carisma necessario per trasformare la propria vita. Niente sembrerebbe poter fermare l’ascesa imprenditoriale di Mildred, se non sua figlia Veda, la creatura forse più demoniaca di tutta la narrativa nera. Il romanzo è stato portato per la prima volta sullo schermo nel 1945. La HBO ha prodotto una serie tv interpretata magistralmente da Kate Winslet, ed andata in onda lo scorso autunno in Italia su Sky Cinema 1.

L I ATO

Idea n.2 Eva Gabrielsson Stieg e io Marsilio Pagine 152 - Prezzo € 16,00 Idea n.3 Kerstin Gier Green Corbaccio Pagine 430 - Prezzo € 16,60 Idea n.4

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LI SIG

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Idea n.5 Penelope Lively Amori imprevisti di un rispettabile biografo Guanda Pagine 250 - Prezzo € 17,00 Idea n.6 Daniel Glattauer In città zero gradi Feltrinelli Pagine 224 - Prezzo € 16,00 Idea n.7

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Idea n.8 Varujan Vosganian Il libro dei sussurri Keller Editore Pagine 480 - Prezzo € 18,50 Idea n.9

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L I ATO

Idea n.10 Alessandro Aresu Generazione Bim Bum Bam Mondadori Pagine 204 - Prezzo € 17,00

John Underwood Il libro segreto di Shakespeare Newton Compton Editori Pagine 432 Prezzo € 9,90

Desmond Lewis, un professore universitario inglese molto discusso, scompare mentre è diretto a Berkeley, in California, per una conferenza. Con lui sparisce anche un manoscritto segretissimo, che conterrebbe la verità sull’identità di uno degli autori più importanti nella storia della letteratura mondiale, William Shakespeare. Secondo voci insistenti, non sarebbe lui il vero autore di “Romeo e Giulietta”, “Amleto” e degli altri capolavori: una teoria sconvolgente che molti scrittori, fra cui Mark Twain, hanno già sostenuto in passato. Jake Fleming, giornalista, decide di indagare: chi desidera mantenere il segreto su William Shakespeare?

Walter Pistarini Il libro del mondo Le storie dietro le canzoni di Fabrizio De André Giunti Pagine 320 Prezzo € 22,00

Come si chiamava la vera Marinella? Chi è la Dolcenera dell’omonima canzone? Dov’è, se esiste, la stazione di Sant’Ilario? Queste sono solo alcune delle tante domande che si pongono i fan di Fabrizio De André, scomparso 13 anni fa, ed alle quali Walter Pistarini fornisce dettagliate risposte. Nel suo libro, infatti, analizza ogni album del cantautore genovese, canzone per canzone, descrivendone il contesto, le idee di fondo che l’hanno ispirato, ma anche i testi e le riletture da parte di altri artisti.Un volume indispensabile per gli appassionati di musica e per chi si avvicina per la prima volta al grande cantautore.



“Vogliamo continuare ad essere il pungolo della città”

DUECENTO ANNI DI ATENEO VENETO di Pierluigi Tamburrini Duecento anni per la promozione e la «divulgazione delle scienze, delle lettere, delle arti e della cultura, in ogni loro manifestazione», nell’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale, come recita il primo articolo del suo Statuto. A celebrare l’anniversario è l’Ateneo Veneto di Scienze, Lettere e Arti, sorto il 12 gen-

naio 1812. Ma che festeggerà davvero le duecento candeline il 30 marzo, con un concerto alla Fenice, che come l’Ateneo si affaccia su Campo San Fantin. E poi, nel corso dell’anno, un convegno internazionale sul ruolo delle accademie, un volume e una mostra per ripercorrere una storia che ha conosciuto passaggi esaltanti.


E che, dopo qualche decennio piuttosto sonnolento, a partire dal secondo dopoguerra «quando la città e le istituzioni erano ingessate», come ricorda l’attuale presidente Michele Gottardi, sta conoscendo negli ultimi venticinque anni una seconda giovinezza. «Iniziata a metà degli anni Ottanta – prosegue Gottardi - quando Carlo Rubbia, fresco di Nobel, accettò la presidenza dell’antica istituzione per rilanciarne la centralità cittadina ed etica». Missione perfettamente riuscita, quella iniziata da Rubbia, goriziano ma legato a Venezia dove aveva frequentato il liceo. E proseguita con la ristrutturazione della sede iniziata sotto la presidenza di Gianantonio Paladini, con il ringiovanimento dei soci voluto dall’avvocato Alfredo Bianchini, presidente una decina di anni fa, e con le innovazioni nella programmazione promosse da Antonio Alberto Semi. Portando l’Ateneo a divenire luogo di confronto tra la cultura accademica e quella delle professioni, secondo la disamina di Giovanni Castellani, che lo ha presieduto all’inizio degli anni Novanta. Scommettendo sul coinvolgimento dei giovani. «L’Ateneo Veneto è la coscienza civile della città, il luogo della riflessione e del dibattito a fronte di una grande richiesta, da parte della società, di luoghi di discussione e di democrazia partecipata – aggiunge Gottardi - Se a un giovane fai capire che l’Ateneo non è un ambiente paludato dove si parla solo di storia di Venezia, prima o poi viene e partecipa alle nostre attività. Come dimostrano i pienoni in aula magna quando si dibatte e ci si interroga sul presente». Mentre il filo rosso con la tradizione è tenuto ben saldo dalla biblioteca, ricca di oltre 50mila opere, di cui 20mila di materia veneziana e triveneta. Con un fondo antico di oltre 3mila volumi. In principio l’Ateneo era stato, secondo Bianchini «il luogo di riconoscimento e di identità di Venezia, orfana della Serenissima». Era un’altra Italia, ancora non unita. Nel frattempo è cambiato tutto. Quella che non è cambiata in due secoli è la sede, sempre in Campo San Fantin, nella Scuola dei Picai, gli impiccati. Perché lo stato sociale della Repubblica Veneta prevedeva un’istituzione caritatevole anche per i condannati a morte e soprattutto per le loro famiglie. A rincuorarli i dossali in marmo dell’austera sala grande, restaurati alla fine dello scorso anno grazie a donazioni dei Comitati privati dell’Unesco. E soprattutto il Ciclo del Purgatorio di Jacopo Palma il Giovane, sotto un soffitto in legno e oro. O un ampio ciclo di opere sulla vita del Cristo di Paolo Veronese in quella che oggi è la sala di lettura. O anche, nonostante le spoliazioni napoleoniche, opere di Jacopo Tintoretto ad aggiungersi ad una importante collezione d’arte che fa della stessa sede dell’Ateneo, con la facciata barocca firmata da Alessandro Vittoria, un buon motivo per una visita. Dopo la morte della Repubblica Veneta l’edificio venne assegnato all’Accademia Veneta di Medicina. Poi, il giorno di Natale del 1810, un editto napoleonico estendeva all’Italia la razionalizzazione degli istituti culturali già introdotta in Francia, prevedendo la riunificazione di tutte le accademie presenti in ciascuna città in una sola, da chiamarsi Ateneo. Nonostante qualche resistenza, soprattutto da parte dei medici, il 12 gennaio 1812, si fondevano tra loro la Società Veneta di Medicina, l’Accademia dei Filareti e l’Accademia Veneta Letteraria. Primo presidente lo storico dell’arte Leopoldo Cicognara, morto a

Venezia nel 1834. «Con la caduta di Napoleone molte istituzioni tornarono alle vecchie denominazioni – racconta Gottardi – ma a Venezia l’Ateneo di Scienze, Lettere e Arti rimase, perché frutto di una fusione dalla quale nessuno voleva tornare indietro». Nasceva una delle grandi istituzioni culturali veneziane, palestra di pensiero per personaggi storici di primo piano. A partire da Daniele Manin e Niccolò Tommaseo. E insieme a loro all’Ateneo c’era lo spirito liberale e eroico del Quarantotto. Che, oltre a produrre una serie di riunioni e conferenze che prepararono la città all’insurrezione contro l’occupante austriaco del 22 marzo del 1848, ebbe un ampio riflesso nell’attività editoriale dell’Ateneo. Portando le sue pubblicazioni ottocentesche ad un ruolo informativo di rilievo in un’epoca in cui i mass media erano ben pochi. L’editoria rimane cruciale tra le attività dell’Ateneo Veneto e non solo con l’omonima rivista, centrale nel panorama culturale veneziano e pubblicata ogni anno da due secoli a questa parte. Vanno almeno citate, tra le altre iniziative editoriali, almeno le pubblicazioni relative al premio Torta che dal 1974 viene assegnato per onorare chi si sia particolarmente distinto nel progettare o realizzare opere di restauro a Venezia. Con l’annessione di Venezia al regno d’Italia, prosegue Bianchini, «l’Ateneo vive una seconda fase della sua storia, divenendo sede degli eventi cruciali per la vita della città, a partire dall’annuncio della nascita di Ca’ Foscari». Poi si piegherà al fascismo «ma rimase comunque un luogo più libero di altri» sottolinea Gottardi. Per rinascere alla libertà col dopoguerra e vivere oggi uno dei suoi momenti più significativi. Con tutte le difficoltà delle istituzioni culturali italiane, a partire da un bilancio chiuso comunque in pareggio nonostante un calo dei finanziamenti del 30 per cento negli ultimi dieci anni. «L’Ateneo Veneto vuole essere il luogo dove esprimere un’idea di città partendo dalle sue peculiarità storiche che vada al di là della monocoltura turistica – conclude Gottardi – Insomma, per dirla con Kierkegaard, vogliamo continuare a essere il pungolo nelle carni della città».

L’Ateneo Veneto è la coscienza civile della città, il luogo della riflessione e del dibattito a fronte di una grande richiesta, da parte della società, di luoghi di discussione e di democrazia partecipata

A sinistra: la splendida Aula Magna dell’Ateneo Veneto; in alto: l’Ateneo visto da Campo San Fantin; sopra: l’attuale Presidente dell’Ateneo Veneto, Michele Gottardi


200 anni di Ateneo Veneto

SOCI ILLUSTRI CHE HANNO FATTO STORIA

Oltre a un certo numero di soci onorari, il cui elenco è zeppo di nomi famosi, da Massimo Cacciari agli ultimi patriarchi Marco Cè e Angelo Scola fino a Lino Toffolo, l’Ateneo Veneto conta 300 soci residenti in Provincia di Venezia e un numero variabile di non residenti o stranieri. E tra di essi, nella bicentenaria storia dell’ istituzione, ci sono stati molti nomi celebri. Francesco Leopoldo Cicognara fu il primo presidente dell’Ateneo Veneto dal 1812 al 1817. Eclettica figura di storico dell’arte, con saggi sui cavalli della Basilica di San Marco e sulle architetture di Venezia, oltre ad una Storia della Scultura in tre tomi. Biografo e mecenate di Canova, ma anche pittore e poeta. Fu uno dei primi autori di un saggio sulla stampa, specificatamente dedicato alla tecnica della calcografia. Era nato a Ferrara nel 1767 e morì a Venezia nel 1834. Alessandro Manzoni. Tra i soci più illustri dell’Ateneo Veneto ci fu Manzoni la cui prima tragedia, il Conte di Carmagnola del 1816, è di ambiente veneziano. Niccolò Tommaseo. Il patriota veneziano, dopo il suo rientro dal lungo esilio parigino, fu socio dell’Ateneo Veneto dove si fece notare per il suo pessimo carattere e per la sua vita ascetica. E dove, soprattutto, presentò nel dicembre 1847 un brillante attacco alla censura degli occupanti austriaci, ricordando loro una promessa che avevano fatto nel 1815, cioè di consentire a ogni cittadino di indicare al governo i suoi errori. Daniele Manin nel 1847 presentò all’Ateneo di cui era socio una petizione che segnò l’apice della «lotta legale» a Venezia contro gli austriaci. In essa chiedeva che il Regno Lombardo-Veneto fosse «veramente nazionale e indipendente» che le sue finanze venissero separate da quelle del resto dell’Impero d’Austria, che l’esercito e la marina fossero completamente italiani e venissero utilizzate solo in Italia; che venisse concessa libertà di parola, che gli ebrei venissero emancipati, che si procedesse a una riforma del diritto. Proprio questi interventi portarono all’arresto di Manin e Tommaseo nel gennaio 1848 e ad innescare l’insurrezione di Venezia nel marzo di quell’anno. Giovanni Querini Stampalia, ultimo discendente dei Querini del ramo Stampalia, nato nel 1799, presidente dell’Ateneo Veneto dal 1853 al 1857. Scapolo e senza figli, alla sua morte nel 1869 lasciò alla sua città tutti i suoi averi legandoli alla Fondazione che porta il suo nome. Fu lui ad affidargli l’innovativo ma impegnativo mandato di aprire al pubblico il più possibile, soprattutto nelle ore e nei giorni in cui le altre istituzioni sono chiuse. Antonio Fogazzaro. L’autore di Malombra e Piccolo mondo antico, nonché rettore dell’Università di Padova, intervenne spesso all’Ateneo Veneto di cui era socio. Nel 1892, soprattutto, vi tenne una ponderosa conferenza, intitolata Per la bellezza d’un idea, su un argomento singolare che appassionò molto lo scrittore: sostenne la validità delle teorie evoluzionistiche di Darwin cercando di conciliarle con il suo profondo cattolicesimo.

CesareMusatti, vicepresidente dell’Ateneo dal 1898 al 1902, fu uno dei primi pediatri italiani e prozio del celebre psicoanalista dallo stesso nome, fondatore della psicoanalisi italiana. Il suo lavoro e il suo interesse per la lingua veneziana lo portarono nel 1886 a redigere il volumetto Amor materno nel dialetto veneziano, una collezione dei vari modi di dire con cui le madri veneziane erano solite vezzeggiare i propri figlioletti. Fu autore inoltre di altre pubblicazioni sulle tradizioni popolari veneziane.. Giuseppe Jona. Primo presidente ebreo dell’Ateneo Veneto, fu in carica dal 1921 al 1925, periodo che segnò la ripresa dell’attività dell’istituzione dopo la crisi della prima guerra mondiale. Eminente clinico cui oggi è dedicato un padiglione del Civile, venne chiamato il “medico dei poveri” per l’umanità con cui trattò gli strati più umili della popolazione. Ormai anziano, da presidente della Comunità Israelitica, dopo l’invasione delle truppe naziste in Italia scelse di suicidarsi piuttosto che consegnare loro l’elenco degli ebrei veneziani. Diego Valeri, tra i più importanti poeti del Novecento italiano, è stato a lungo socio dell’Ateneo Veneto. Oltre ad essere autore di importanti raccolte poetiche, Valeri è stato un fine saggista di letteratura italiana e francese. Grande successo ebbe inoltre una sua raccolta di poesie per bambini che risale al 1928 dal titolo Il campanellino. È stato anche sovrintendente alle Belle Arti di Venezia. CarloRubbia. Dopo aver conseguito il premio Nobel per la fisica nel 1984, accettò la presidenza dell’Ateneo Veneto, carica che ricoprì dal 1988 al 1993, per ridare lustro all’antica istituzione. La sua presidenza segnò la rinascita dell’Ateneo, proseguita con le innovazioni dei successivi presidenti Giovanni Castellani, Gianantonio Paladini, Alfredo Bianchini, Antonio Alberto Semi, fino all’attuale, Michele Gottardi. Rubbia è attualmente socio onorario dell’Ateneo. Frances Clark. È la dolce lady di ferro del sostegno internazionale alla città lagunare, ambasciatrice di Venice in Peril e dei comitati internazionali. Veneziano dell’anno nel 2006, non a caso nel quarantennale dell’acqua granda del 1966, è socio estero dell’Ateneo Veneto. Sergio Romano. Tra i soci illustri anche l’ex ambasciatore a Mosca e notista di politica estera Sergio Romano, nato a Vicenza. Rientra tra i pochi non laureati soci dell’Ateneo in quando abbandonò la facoltà di Scienze Politiche poco prima di concludere gli esami. Nonostante ciò ha svolto una brillante carriera diplomatica. Fabrizio Plessi. Nato a Reggio Emilia, Plessi come artista si è formato a Venezia dove ha studiato sin dal Liceo Artistico. Non poteva mancare tra i soci dell’Ateneo Veneto. Vittorio Gregotti. Socio dell’Ateneo Veneto anche il noto architetto, sposato ad una veneziana, che ha mostrato sempre particolare amore per la città lagunare. Giorgio Orsoni. Molti gli avvocati membri dell’Ateneo. Tra di essi un socio storico è Giorgio Orsoni, attuale sindaco di Venezia.


Sperimentazioni all’Ateneo

CLASSICO E MODERNO, ASSIEME SI PUò?

Piccolo gioco. Provate a elencare i nomi di quattro o cinque artisti contemporanei ancora in attività. Facilissimo vero? Un po’ a tutti potranno venire in mente i nomi di un Maurizio Cattelan o di un Fabrizio Plessi. O di Jeff Koons, non foss’altro per il suo burrascoso matrimonio con l’onorevole Ilona Staller, alias Cicciolina. O di Christo, per i pacchettoni con cui imballa parlamenti e monumenti nazionali, di Damien Hirst, con i suoi teschi o di Jan Fabre per la sua macabra Pietà. Bene. Ora provate a pensare a cin-

que nomi di musicisti classici contemporanei, a cinque nomi di autori di musica colta in attività. Nulla? Forse qualcuno si starà anche chiedendo se ancora ne esistono. Ma non ci si era fermati a Mozart o Beethoven? Al massimo si arriva a Luciano Berio o Luigi Nono, entrambi scomparsi. Oppure ci si deve aggrappare ai compositori noti per le musiche dei film, da Morricone in giù. Che, tornando all’esempio delle arti visuali, è come sapere che sono esistiti Tintoretto o Canova ma ignorare Pollock o De Chirico.


La musica si evolve ed il progetto Pas, Production of Art and Sound, ne è un esempio; oggi i suoni classici di strumenti come piano ed arpa, incontrano i computer per creare nuove armonie Invece una musica colta la si produce ogni giorno. E come la musica popolare è passata dai mandolini e i tamburelli degli stornelli ottocenteschi al basso elettrico e ai sintetizzatori, anche la musica classica ha conosciuto una evoluzione tecnologico-creativa. Avvicinando il violoncello al Mac, il pianista alla videoarte. Singolari commistioni promosse dalla neonata associazione Pas – Ensemble, gruppo di giovani musicisti coordinati dal compositore Michele Del Prete. In cui Pas sta per Production of Art and Sound, con un utilizzo dell’inglese nel nome che la avvicina, appunto, più a un gruppo pop o a un collettivo di artisti visuali che alla tradizione del quartetto d’archi. Battesimo del fuoco un concerto all’Ateneo Veneto. Obiettivo ultimo, «far sorgere a Venezia un centro di ricerca e produzione per la musica contemporanea di rilevo internazionale, tramite produzioni di nuova musica, workshop e conferenze» come recita il manifesto di presentazione del gruppo. «Ci interessa concentrarci su un repertorio di ricerca contemporanea che per noi non è una categoria solo storica – spiega Del Prete – Ci sono pezzi di cinquanta anni fa che erano sperimentali allora e lo sono ancora oggi, brani di dieci anni fa che magari non risultano particolarmente innovativi». Tra i più innovativi compositori di musica colta elettronica almeno un veneziano, Claudio Ambrosini, fondatore della Ex Novo Emsemble e vincitore lo scorso anno del Premio Abbiati con un melodramma in due atti, “Il killer di parole”, di cui è stato autore anche del libretto, tratto da uno spunto di Daniel Pennac. Andato in scena in prima mondiale alla Fenice nel dicembre 2010, presenta un tema, trattandosi appunto di un melodramma: quello del linguaggio e della comunicazione, delle lingue che spariscono perché fagocitate dagli idiomi più potenti. Ad Ambrosini, Pennac aveva parlato della figura di redattore delle case editrici di dizionari incaricato, nelle revisioni annuali, di togliere le parole desuete e introdurre quelle nuove entrate nell’uso. Tema cui il compositore, laureato in lingue e letterature straniere, è particolarmente sensibile tanto da considerare il linguaggio parlato «la grande opera d’arte collettiva dell’umanità». Un legame forte, quello di Ambrosini con la scrittura, tanto che all’Ateneo Veneto, di cui è socio recente, il maestro ha eseguito invece le prime assolute di due opere tratte da Andrea Zanzotto, il poeta di Pieve di Soligo recente-

mente scomparso, e Luigi Meneghello, l’autore di Libera nos a Malo. Le opere, rispettivamente, sono “Dai Filò di Zanzotto”, del 2003, trittico per quattro voci di donna e pianoforte e “Ur, Malo”, del 2008, polittico per quattro voci di donna, pianoforte e cose. Tra gli altri compositori ritenuti innovativi Del Prete cita almeno un altro italiano, «Pierluigi Billone, che vive in Austria dove insegna composizione a Graz». Innovazione nella musica elettronica, però, non vuol dire feticismo tecnologico. «Non ci interessa l’elettronica quando viene usata in modo inerziale – dice Del Prete - quando ci si limita a rincorrere l’ultimo software, l’ultimo gadget». Insomma, mescolare sembra la frontiera della musica colta, proponendo associazioni singolari. Contemporaneamente anche il pop ogni tanto riceve singolari commistioni dalla musica classica. L’esempio forse più pregnante tocca direttamente la città lagunare trattandosi del Rondò Veneziano del geniale maestro Gian Piero Reverberi. Che fece suonare musiche decisamente ispirate al barocco veneziano da archi e fiati affiancati a chitarre elettriche e batteria, vendendo all’inizio degli anni Ottanta oltre venti milioni di dischi. «La mescolanza di classica e pop ha portato ad esperienze difficili da classificare – chiosa Del Prete - Sono risultati notevoli per la musica nel suo complesso ma a volte è difficile demarcare una linea tra ciò che parte dalla tradizione classica e ciò che parte dalla tradizione dell’informatica». Un rapporto che però oggi, secondo i puristi, forse langue un po’ almeno sotto il profilo qualitativo. «Negli anni Settanta, soprattutto in ambito inglese, si erano raggiunti punti di contatto tra il pop e la classica più interessanti» conclude Del Prete. (Pl.T.)

Nelle foto di queste pagine alcuni dettagli dell’esibizione del gruppo Pas, Production of Arte and Sound all’Ateneo Veneto: il Mac incontra strumenti musicali tradizionali come il piano e l’arpa


STORIA E STORIE Noi tutti abbiamo in mente una certa idea della laguna, qualcuno anche alcune delle trasformazioni che l’hanno modificata in modo radicale, un numero con ogni probabilità esiguo, però, discuterebbe sul fatto sia sempre esistita. Invece… In questa prima volta della rubrica Storia e Storie raccontiamo Venezia dalle sue origini. Mentre sul fronte delle Storie vi proponiamo un Midnight in Venice, liberamente ispirato al pluricelebrato Midnight in Paris, e un curioso centenario legato alla famosa, quanto fantomatica, sublagunare.


La storia della Serenissima - Prima puntata

ALLE ORIGINI DI VENEZIA

C

Cercare di raccontare Venezia significa scontrarsi subito con una domanda: quando inizia la sua storia? Ognuno ha proprie convinzioni e preferenze in materia, a volte fondate altre meno, l’interrogativo però resta. C’è poco da fare, le origini della città rimangono incerte, confuse e quindi argomento di discussione. Bisogna ammetterlo, sicurezze ce ne sono poche. A cominciare dall’ambiente fisico. Noi tutti abbiamo in mente una certa idea della laguna, qualcuno anche alcune delle trasformazioni che l’hanno modificata in modo radicale, un numero con ogni probabilità esiguo, però, discuterebbe sul fatto sia sempre esistita. Invece… Incrociando fonti, specie antiche, ed evidenze archeologiche il presupposto che

di federico moro la laguna sia un ecosistema naturale da tutelare e difendere per come appare, infatti, si rivela infondato. Al contrario, la laguna di Venezia rappresenta il tipico caso di realtà forgiata dall’uomo, quindi artificiale. L’antropizzazione sin dalle origini dell’ambiente lacustre è un dato di fatto, non solo, ma addirittura la sua morfologia è sempre stata in continuo divenire per opera delle stesse forze fisiche. Negli studi più attenti ancora si discute se una qualche laguna addirittura esistesse in epoca storica relativamente vicina, e si parla del periodo romano, oppure se si debba invece pensare a una sorta di dimensione costiera per così dire “umida”, che una serie di eventi atmosferici, alluvioni e altro, uniti ad altri umani, abbandono

delle manutenzioni idrauliche a seguito del crollo politico-economico dell’impero, abbiano prodotto, in forma estesa, a partire dalla Tarda Antichità/Alto Medioevo. Una volta formata, comunque, la laguna è stata sottoposta dai suoi abitanti, che chiamarono se stessi veneziani, a ogni sorta di esperimenti e interventi. Con palesi conseguenze sull’ambiente. Basti pensare alla comparsa della zanzara malarica, sconosciuta nell’antichità, dovuta all’impaludamento conseguenza, innanzitutto, delle deviazioni dei fiumi, Medoacus/Brenta e Plavis/ Piave per esempio formavano due grandi delta che sfociavano all’interno dell’attuale laguna, e in seconda battuta all’alterazione del regime delle


correnti. Causa scavo di canali, realizzazione di arginature, imbonimenti vari. La prova più evidente è la scomparsa dell’arcipelago di Torcello, primo grande centro lagunare. Posto di fronte ad Altino, ne diventa il naturale erede urbano e politico. Più in generale, il risultato è la decadenza dell’intera laguna nord, dove storicamente nasce Venezia. Spinta sino allo spopolamento… La politica idraulica dei veneziani, dunque, è all’insegna dell’interventismo. Non esita a scavare, spostare, tagliare, modificare tutto quanto possibile, utilizzando ogni tecnica e infiniti mezzi finanziari. Arriva a deviare il corso del Po nel Seicento realizzando il Taglio di Porto Viro: e questo per tentare di fermare il loro incubo, l’interramento. Un processo inevitabile, come dimostra la sorte della gemella laguna di Ravenna, se lasciato al libero corso delle forze naturali. Conoscere significa sgombrare il campo da false credenze e pregiudizi derivanti da un’approssimativa conoscenza della Storia. La cui utilità, come diceva Basil Henry Liddell Hart consiste nel “proiettare il film del passato sullo schermo del futuro” al fine, si spera, di non ripetere gli errori. Perché, ecco l’insegnamento, ragionando in termini di “com’era dov’era” si commette un tragico errore… sempre e ovunque ma in particolare a Venezia dove non c’è mai stato nessun “com’era dov’era”. La Serenissima è stata maestra: al suo posto ha sempre seguito “quanto serve dove serve”… tenendo conto che la città è un essere vivente e non è uno strano animaletto da tenere sotto una teca di cristallo. Del resto, se un tempo non si fosse seguito questo principio ispiratore, oggi non avremmo del tutto Venezia, a cominciare dalla Basilica e da Palazzo Ducale: perfetti esempi di caotici “assemblaggi” prodotti da epoche, circostanze e uomini diversi e lontani tra loro. Davvero non impariamo nulla dalla Storia? L’unico dato sicuro è che Venezia “nasce” e si sviluppa in un ambiente forgiato da lei stessa secondo necessità e/o utilità. La domanda, quando?, però resta avvolta nella nebbia. Da un lato, abbiamo una laguna che, probabilmente, prima non c’era… assieme alla certezza di un popolamento antico quanto la terra stessa. Limitandoci al tempo storico, però, si può affermare che insediamenti umani nella zona della futura laguna sono databili con certezza all’epoca micenea e riguardano tanto le stazioni mercantili greche quanto i primi centri della civiltà anticoVeneta o Paleoveneta. Parlando di Venezia ci si dimentica con sorprendente facilità di queste radici che per quanto oggi ridotte a labili tracce, causa l’intrinseca debolezza delle infrastrutture e il sovrapporsi continuo di nuovi venuti, hanno lasciato segni ancora visibili. A nord Altino, per esempio, che di Venezia è l’indiscussa città-matrice ha origini antico-Venete e così pure Lova, comune di Campagnalupia e quindi gronda centro-meridionale, alla foce del Medoacus Minor, con ogni probabilità uno dei porti di un altro grande centro dell’interno, Padova. Antico-veneta è la struttura viaria di base e così pure la rete di canali che collega i fiumi tra di loro e l’entroterra con il mare ottenendo un triplice risultato: creare un sistema di collegamenti sicuro e veloce, dare sistemazione efficace all’idraulica dell’area e, non ultimo, mantenere in costante movimento le acque. La ragione per cui nell’Antichità qui è sconosciuta la malaria che diventerà devastante nel Medio Evo.

Un’articolazione di vie terrestri e d’acqua che si allunga ben oltre i confini, sempre labili comunque, delle zone popolate dagli antichi-Veneti. L’area dove si formerà la laguna, infatti, si trova incastonata al vertice dell’Adriatico. Questo mare rappresenta l’autostrada liquida che incunea il Mediterraneo nel cuore dell’Europa. Canali, fiumi e strade portano da qui fino al Mar Baltico. Usando un’espressione tipica di oggi, si può parlare di un vero e proprio corridoio 1, Nord-Sud. Esattamente come la via di Eracle, secondo il Mito il percorso seguito dall’eroe ellenico dalla Grecia all’Iberia, prefigura con tremila anni di anticipo il corridoio 5, Est-Ovest. I due antichi assi di comunicazione dove s’incrociano? Ad Altino. La geografia, dunque, e la naturale tendenza degli uomini al movimento e al commercio forniscono molte risposte sulle vicende storiche di questi territori. Spiegano come mai per i micenei, prima, per gli altri greci, poi, sarà naturale spingersi fin quassù per stabilire basi quasi permanenti e perché gli antichi-Veneti stabiliscano con tutti i vicini una rete di rapporti così fitti da far nascere proprio ad Atene la leggenda della loro origine troiana… solo Mito oppure racconto intessuto nelle profondità misteriose della Storia? E non solo Greci. La città che finisce per dare il proprio nome al mare su cui allora si affaccia, Adria, è fondata da un altro popolo di navigatori: gli Etruschi. Audaci, progrediti, pirati e mercanti, su cui aleggiano segreti custoditi dalle pagine perdute degli autori del passato. Per alcuni sono tra i fondatori di Atene stessa, per altri hanno un’origine orientale. E una versione del Mito di Dardano, capostipite della gente troiana, riporta all’italica Corito cioè… Tarquinia. Sarebbe in fondo questa la ragione per cui Enea deve venire in Italia, alle foci del Tevere. La sua missione è riportare “a casa” i Penati e la gente sopravvissuta all’annientamento acheo nella notte in cui Troia è caduta. L’altro grande superstite, il saggio Antenore, prende invece un’altra strada e risale un fiume con più rami: il Medoacus/Brenta. Fonderà Padova. Quando i Romani arrivano nella Venetia, dunque, trovano non solo un popolo dalla lunga e articolata vicenda, che vive da molto tempo in una zona ricca di storia e di storie, ma si confrontano con una civiltà per molti versi affine alla loro. A cominciare dalla lingua, quanto di più vicino esista al latino, per finire con la capacità d’intervenire sulla natura per piegarla alle proprie necessità. Un popolo, tra l’altro, che si è battuto al loro fianco in molte guerre e non si è mai schierato “dall’altra parte”, risultando spesso decisivo per la vittoria. Antichi-Veneti e Romani alleati e amici, quasi fosse da doversi prendere sul serio la leggenda della comune origine da una città consegnata all’eternità dalla poesia, Troia. Venezia Serenissima è ancora lontana eppure abbiamo già in mano tutti gli elementi per rispondere alla nostra domanda di partenza, quale inizio allora? Perché le fondamenta della futura metropoli lagunare sono già state sistemate. E non sono solo quelle metaforiche volute dalla geografia e dalla Storia, bensì letteralmente i muri e i selciati di Adria, Padova, Lova, Altino e così via… destinati a diventare “cave” di materiali da costruzione per gli edifici della nuova Utopia, quella della pietra sull’acqua di una nuova civiltà anfibia: Venezia appunto. Alla prossima puntata… (la storia di Venezia continua nel prossimo numero)

L’unico dato sicuro è che Venezia “nasce” e si sviluppa in un ambiente forgiato da lei stessa secondo necessità e utilità. La domanda, “quando” nasce, però resta avvolta nella nebbia.

a sinistra, nella foto grande: uno scorcio dell’ isola di Torcello nel cuore della laguna veneziana


Le storie de L’ illustre

Midnight in Venice di claudio dell’orso Lasciati gli spocchiosi futuri suoceri e la fidanzata nell’albergo extra lusso alla Giudecca, il giovane americano Allen preferì trovarsi solo, una sera d’estate, seduto sugli scalini del Ponte di Rialto, ad osservare le barche passare in Canal Grande. Sotto il cielo stellato, pareva vivere dentro un quadro del Canaletto. Gli venne da pensare come sarebbe stato emozionante conoscere la gaudente epoca del Settecento e certi suoi protagonisti. Lontano, batté la mezzanotte al Campanile di San Marco. Aguzzò lo sguardo nelle tenebre vedendo passare una gondola mai vista prima, dotata di cabina al centro. Ne uscì un gentiluomo alto, elegante, l‘età matura. La parrucca bianca sotto il tricorno ne metteva in risalto la pelle ambrata, lo sguardo sornione brillava alla luce proveniente dall’interno. Ordinato al rematore di fermarsi, invitò Allen a salire mentre alcune risate femminili ed un tintinnar di bicchieri lo accolsero appena imbarcato. Aveva già visto il ritratto di quel signore dal naso aquilino, che gli mise addosso il mantello quasi a proteggerlo dal freddo improvviso. Le due damine sedute sul divanetto all’interno, guance paffute, labbra a cuoricino, le chiome sparse sulle spalle nude e i seni colmi di finti nèi, parevano ignorare ogni spiffero. «Andiamo al Carnevale in Piazza. Vuole unirsi alla nostra compagnia?» lo invitò con voce suadente. Allen lo guardò, le prorompenti beltà fecero l’occhiolino lasciando tintinnare i lunghi orecchini quando ingenuamente disse: «Mi sembra di conoscerla, signore, sono le Chevalier de Seingalt, Giacomo Casanova, per servirla». Le due fanciulle tornarono a ridere, alzando i calici contenenti un vino dolce che Allen bevve, senza chiedersi dove si trovasse. Sempre a Venezia, comunque. Anche se la riconosceva poco, giunti sul Molo di Piazza San Marco illuminata dalla torce e piena di gente che doveva aversi dato appuntamento lì. Scesi, andarono verso una chiesa, lato opposto della Basilica, che nella sua precedente visita s’era lasciata sfuggire. Davanti avevano acceso un piccolo falò e fanciulle in costume da baccanti, la bautta sul volto, ballavano in circolo. Lanciavano sguardi sensuali mentre i musicisti sistemati su un palchetto ci davano dentro con pifferi e cembali. Per terra alcuni chiacchieravano, altri ridevano o mangiavano frittelle bevendo rosolio. Casanova seguì lo sguardo interessato di Allen e indicandole col capo sentenziò: «Non si lasci incantare, jeune homme. Sono mercenarie!» e preso sottobraccio le compagne sparì tra la folla di gaudenti mascherati che giravano lanciando manate di coriandoli. «Monsieur Casanova!- urlò Allen - meglio perderlo che trovarlo, quello. Fa la spia per il Consiglio dei X». A parlare un anziano signore in palandrana, forse l’unico senza maschera sul viso. Allen capì subito trattarsi d’un pittore. In una mano teneva un libro di schizzi, le pagine ricolme di scorci, paesaggi, figure umane, nell‘altra un carboncino. «Le piacciono i miei lavori?» chiese lusingato dall’interessamento di Allen. «Tenga, in regalo» e staccata una pagina gliela mise in mano. «Scusi ma lei come si chiama?». Prima di rispondere, l’anziano colse al

a destra: un particolare della locandina del noto film di Woody Allen “Midnight in Paris” volo dal piatto che qualcuno trascinava sul carretto un dolce e se lo mise in bocca, infarinandosi. Si asciugò con la manica del vestito. «Canal Antonio ma tutti mi dicono Canaletto». Allen lo fissò stupito: «ah, lei è il celebre vedutista? Vedo che…» lo osservò perplesso l’artista prima di andarsene nella calca. Sentito un tocco leggero sulla spalla, si girò. Alta, ben fatta, la parrucca candida di traverso, addosso un afrore di cipria mista a sudore e vino, lo guatava una ragazzona, le labbra dipinte di rosso. Ma più che la bocca sfacciata, Allen osservava le tette che sembravano da un istante all’altro saltarle fuori dal corsetto, una collana dorata che s’inabissava dentro lo scollo. «Vien bel biondin. I me ciama la Romana anca se so tuta venexiana. Ti vol che andemo far sporcarie soto le Procuratie Nove?» e indicò gli archi scuri dove si ammassavano seduti o distesi gruppi di maschere. Allen rimasto incerto, la Romana alzò le spalle, mise l’indice all’orecchio destro sbattendolo contro e se ne andò seccata. «Ha fatto bene, caro sìor. Mai dar confidenza a ‘ste femene pubbliche!» sussurrò un tizio nasuto, l’abito talare nero che contrastava con i capelli rossi, il viso pieno di efelidi sotto la mascherina. Teneva stretta una fanciulla, pur reggendo un grosso spartito. «È una mia allieva, alla Chiesa della Pietà!» intese quasi giustificarsi. «Ma, lei, è… Antonio Vivaldi?». «Vedo che mi conosce, sior!» «La stima il mondo intero, maestro. Soprattutto per le Quattro Stagioni». Vivaldi alzò la mano spalancata. «Lei intende, suppongo, il Cimento dell’Armonia e dell’Invenzione. Mi stupisce. Lo ricordano in pochi, mi creda…». E se ne andò, con la sculettante alunna, convinto di essere stato preso in giro. Una mano intrecciò quella di Allen. Voltatosi, riconobbe l’amica di Casanova che lo trascinò via fendendo un gruppo indossante il lugubre domino, qualche bacio sulla guancia nel vederlo smarrito. Entrarono nella sala del Ridotto dietro la Piazza. Gente vociante sostava al lume di centinaia di candele attorno a gruppo di parrucconi seduti a tavoli oblunghi ed intenti a distribuire mazzi di carte. Allen imparò in fretta il gioco della bassetta. Glielo insegnò Casanova passandogli alcune monete d’oro e rifiutando in cambio degli strani pezzi di carta oblunga con sopra dei ritratti ed una S intrecciata a due sbarre. Allen vinse un paio di zecchini, bevette ancora del rosolio e s’addormentò sul tavolo mentre Casanova scuoteva il

capo. Chiamati un paio di lacchè, venne trascinato di peso sulla gondola. Lo risvegliarono, appoggiato alla balaustra di Rialto, gli spintoni della fidanzata. Sotto l’occhio severo dei genitori accorsi, lo rimproverava ad alta voce di essersi smarrito di notte per le calli e di aver dovuto allertare la polizia. Era stato visto addormentato disteso sui gradini, in mano alcuni fogli con dei disegni. «Oddio, li ho persi!» gridò allarmato Allen. Lei rispose severa: «Quegli sgorbi che tenevi in mano? Li ho buttati in acqua… Ma, adesso che ti osservo, hai una traccia di rossetto sulla guancia». Allen si strusciò la parte incriminata. «Colpa di Casanova, è stato lui che…». Tacque guardando la faccia costernata di chi gli stava intorno. Chiamato un taxi, tornarono all’albergo in silenzio. Ma prima della mezzanotte di quel giorno, Allen era sgusciato fuori della sua camera ed elusa la sorveglianza della fidanzata, si presentò sulla gradinata di Rialto. Batterono i dodici colpi quando passò una strana gondola arabescata su cui pigramente distesa appariva una doviziosa signora in abito cinquecentesco. Allen ebbe una folgorazione. Scese gli scalini e le gridò: «Veronica Franco!». La celebre cortigiana sorrise maliziosa, dandogli un cenno di benvenuto. Ma - si dice così? - questa è un’altra storia di Carnevale.


Se ne parla da un secolo esatto ma il tunnel sotto la laguna è ancora fantascienza

CENTO ANNI DI “SOTTOLAGUNARE”

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L’inizio del lavori per la sublagunare? Questione di «pochissimi giorni» almeno per ciò che riguarda la «fase di studio e dell’esperimento: il sondaggio del Bacino di San Marco». No, non è un progetto improvvisamente emerso su quello che è uno dei punti più controversi del Pat, il piano di assetto territoriale, ex piano regolatore, discusso a Ca’ Farsetti. È la certezza che aveva esattamente un secolo fa l’autore di un articolo, intitolato “Per un tunnel sottolagunare Venezia-Lido” e siglato “R.T.”. Una certezza maturata nell’Italia giolittiana della bella epoque, che vantava una lira fortissima ed era proprio in quel periodo impegnata ad emergere come potenza coloniale con la conquista della Libia. A pubblicare l’articolo uno dei giornali più autorevoli del tempo, “L’illustrazione italiana”, storica rivista fondata nel 1873 che all’epoca annoverava tra le sue firme Gabriele D’Annunzio e Antonio Fogazzaro. E che, nel numero 42 pubblicato il 20 ottobre 1912, dava praticamente come realizzato «un tunnel sottolagunare [che] si stacca dal Giardinetto reale, tocca la punta estrema della Giudecca, giunge alle Quattro Fontane al Lido». Un tracciato quindi decisamente diverso da quello accreditato attualmente, che si svilupperebbe per otto chilometri tra Tessera e l’Arsenale, per un costo stimato in 430 milioni di euro, prevedendo comunque la possibilità di estensione sino al Lido. Di

quel tunnel era già stato steso un articolato progetto dall’ingegnere Nicolò Spada, geniale protagonista dell’urbanizzazione del Lido dove dal nulla aveva realizzato quella che all’epoca era la cittadina balneare più elegante d’Europa. Soprattutto, a sostegno del progetto, si era costituito un comitato presieduto da un senatore del Regno e di cui faceva parte anche Giovanni Stucky, il potente industriale di origine svizzera fondatore dell’omonimo molino oggi sede dell’hotel Hilton. E proprio dalla Svizzera avrebbero dovuto arrivare i fondi per la realizzazione del tunnel. «Posso assicurarvi che il progetto è oggi in mano di una grande impresa svizzera – si legge nell’articolo dell’Illustrazione italiana – e posso anche nello stesso tempo accertarvi che fra pochissimi giorni i Veneziani, anche i più increduli, sapranno e vedranno che nel bel mezzo del bacino di San Marco si lavora, nientemeno che pel tunnel Venezia-Lido». Poi sarà l’impegno bellico nella Grande Guerra a far svanire i sogni di gloria. Il problema che avrebbe dovuto risolvere la grande opera, secondo quel vecchio articolo, era però molto distante dalle attuali motivazioni dei suoi sostenitori: la sovrappopolazione della città lagunare cui si poteva trovare sfogo verso il Lido. Il censimento dell’anno precedente aveva infatti censito i residenti del Centro Storico in 154.891. Il triplo dei 59.621 alla data del 31 di-

cembre scorso. Ma altre questioni sono in qualche maniera giunte fino ad oggi come «il problema edilizio ed il problema igienico» aggravati da quelle che la rivista definiva «basse speculazioni di proprietari ingordi», aggiungendo «Venezia si espande nei confini più naturali della città – il Lido – che oggi dista quindici minuti di percorso in vaporino e col tunnel soltanto quattro minuti e mezzo». Che l’autore dell’articolo sia stato pessimo profeta è confermato, poi, dal fatto che scarta «l’idea assurda di gettare un ponte attraverso la laguna per congiungere Venezia alla terra ferma» che «troverebbe oggi oppositori fieri e convinti, altrettanto avversari al progetto di tramutamento di Sant’Elena, meravigliosa zona verde interclusa nella laguna, che costituirebbe, come ebbe a dire il senatore Molmenti, la peggior onta per Venezia». Ironie della storia. Il verde a Sant’Elena almeno in parte è rimasto ma il collegamento con la Terraferma venne realizzato già negli anni Trenta, attraverso il ponte del Littorio, poi della Libertà. Singolarmente fu proprio il progettista del ponte, Eugenio Mozzi, ad elaborare una cinquantina di anni fa un visionario progetto di collegamento sublagunare tra Venezia e la Terraferma che fece rinascere il dibattito su questa controversa opera. Un dibattito che, dopo cent’anni, non si è ancora sopito. (Pl.T.)


Saluti da Venezia

L’IMMAGINE DEL DOGE

4 di Carlo sopracordevole Se ci si dedica, anche in modo superficiale, alle vicende storiche di Venezia, non può sfuggire il gr ande rilievo che ebbero i reggitori di questo stato eccezionale, dur ato nel tempo per oltre un millennio: i Dogi. Solo a nominare nomi spesso circonfusi dalla leggenda dei tempi in cui vissero come Paoluccio Anafesto, Orso Ipato, Angelo

Partecipazio, Pietro Candiano, Pietro Orseolo, la fantasia ci tr asporta in epoche lontane, in un mondo e in una Venezia tanto diversi da quelli successivi e sopr at t ut to da quel li at t ua li. Essi, comunque, rappresentarono una continuità che nessuno stato europeo può vantare neppure vagamente.


Sintetizzando, possiamo affermare come l’origine dell’istituzione dogale sia stata bizantina. Il primo “dux” storicamente riconosciuto è stato Paolo Lucio (Paoluccio) Anafesto, eletto nel 697, per svolgere funzioni di governatore militare per conto dell’Esarca di Ravenna. Ma già a partire da 742 Venezia si sottrasse a Ravenna ed elesse in loco i propri reggitori, sancendo l’inizio di una specie di monarchia ducale che durò, con alterne vicende, fino al nono secolo. E se nei secoli fra il nono e il dodicesimo alcuni dogi avevano tentato di trasformare il potere elettivo in ereditario o provato a rendere il doge una figura al di sopra degli altri nobili, già dal 1032 si avviò un inarrestabile processo di limitazione e sottrazione di potere ducale da parte della nascente aristocrazia mercantile, durato in pratica sino alla fine della Repubblica avvenuta nel 1797. L’aristocrazia veneziana riuscì infatti a limitare di molto il potere dogale e rendere il doge un supremo magistrato, un “primo servitore della Repubblica”, anticipando con lungimiranza e di parecchi secoli la moderna figura di Capo dello Stato. La carica di doge era ambita soprattutto per il valore simbolico che donava alle famiglie aristocratiche; lo sfarzo e la pompa che circondavano le cerimonie dogali rendevano tale funzione desiderata da tutti coloro che aspiravano ad essere qualcosa di più di semplici nobili. Peraltro, i dogi stessi dovevano contribuire pesantemente al proprio mantenimento, e questo ne faceva una carica molto costosa e di fatto appannaggio dell’aristocrazia facoltosa. A seconda dei tempi e delle situazioni, il doge agiva da condottiero o da supremo notaio. Vi erano una serie di disposizioni che ne limitavano pesantemente le prerogative e perfino la sua stessa vita quotidiana ne veniva condizionata. La funzione era principalmente quella di rappresentante ufficiale di Venezia nelle cerimonie pubbliche e nelle relazioni diplomatiche con gli altri stati e di esibire la regalità pur senza regnare. L’unico potere effettivo che non fu mai sottratto al doge fu quello di comandante della flotta e di guida dell’armata in tempo di guerra. Per il resto, egli si limitava a sedere a capo della “Serenissima Signoria” e presiedere con essa a tutti i consigli della Repubblica, nei quali però il suo voto non aveva maggior valore di quello di qualunque altro membro. Dipanatosi su un periodo storico di mille e cento anni l’istituto ducale veneziano annovera centoventi dogi e questo numero rotondo consente di raggrupparli e suddividerli con facilità nelle rappresentazioni iconografiche. E’ quello che fecero alcuni produttori di cartoline già pochi anni dopo la loro regolamentazione in campo postale a fine Ottocento, producendo serie complete o parziali. Facciamone una rapida e sintetica panoramica e citiamo per prima la serie più lunga, edita nel 1897 in occasione del 200simo anniversario della caduta della Repubblica Serenissima di Venezia. La serie si componeva di 12 cartoline che riportavano 10 immaginette di dogi per ciascuna. Per vendere più esemplari ai numerosi collezionisti dell’epoca i produttori Vendrasco e Fiecchi pensarono di stampare 5 serie diverse, differenti fra loro per la lingua del testo descrittivo, espressa in italiano, in francese, in inglese e in tedesco, con in più una serie senza testi descrittivi (fig.1). E’ anche l’edizione più pregiata perché ricevette la bollatura preventiva da parte

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delle Poste e rientra così nel campo degli interi postali. La serie più bella è però quella dell’editore Gobbato, del primo Novecento: 24 cartoline con 5 dogi ciascuna per un totale di 24 esemplari (fig.2). Caratteristica di queste cartoline è la presenza sullo sfondo di uno scorcio di Venezia e una breve dicitura con diretto riferimento a uno dei dogi riprodotti. Altra bella serie, ma assai parziale, è quella della litografia Pellizzato che presenta un solo doge per cartolina (fig.3). Così come quelle di Giovanni Zanetti, di cui presentiamo un esempio alla figura 4. Due parole anche sulla “Dogaressa”, il titolo spettante alla consorte del Doge. Benché ad essa fosse preclusa qualsiasi forma di esercizio del potere, riservato ai maschi, la consorte del Doge rivestiva un pubblico ruolo nella manifestazione esteriore della maestà dello Stato veneziano, circondata dello stesso ampio apparato di magnificenza e onori riservato al Doge. Insegne del suo rango erano il manto ed il velo dorati, quest’ultimo spesso recante una piccola corona in foggia simile a quella del Doge, il Corno Ducale. Nondimeno, come al marito, anche le attività e le libertà personali della Dogaressa erano soggette alla rigida sorveglianza della Repubblica. Ne presentiamo due cartoline: una con una dogaressa raffigurata in un esemplare edito nel 1897 da Schneider & Lux di Vienna in ricordo dell’Esposizione d’Arte di Venezia (fig.5) e uno che rappresenta Morosina Morosini, sposa di Marino Grimani, incoronata con una fastosa cerimonia nel 1597, la cui immagine fu utilizzata per la promozione di un albergo veneziano di fine 800 (fig.6).

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L’illustre Venezia, idee, stili e storie

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