L'Illustre - numero Novembre 2011

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L’illustre Anno 63 n°10 € 3,90

Venezia, idee, stili e storie

PattI Smith Poste Italiane s.p.a. spedizione in A.P. – D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27 febbraio 2004 n. 46) art. 1 comma 1, CNS VE

"Io prigioniera di me stessa" (a Venezia)

UN'IDEA DI DESIGN I segreti della VD Week da oggi al 2012

il futuro di venezia Storia, progetti e strategie dell'Unesco

HEMINGWAY GENIO O FOLLIA?

Lo scrittore americano ha lasciato un segno indelebile nella letteratura mondiale. Ma la sua verve creativa a cosa era esattamente dovuta? Il parere degli esperti e di chi lo ha conosciuto. E a cinquant'anni dalla scomparsa una mostra fotografica, made in Venezia, lo celebra a New York

Calliandro Editore

PREZZO LANCIO

€2




il sommario Il futuro di Venezia? L'Unesco ha qualche idea

p. 11

Ritratto di Ernest A cinquant'anni dalla scomparsa, tra immagini, testimonianze e analisi, la vita di uno scrittore straordinario

p. 14

Ai tempi di Ongania Una bottega editoriale raccontata in una mostra

p. 26

Temi&Variazioni, e tre... Alla Guggenheim arriva Luca Massimo Barbero

p. 28

Un'idea di design Elisa Balasso, architetto, Presidente di Voglia D'Arte, inventa la VD Week

p. 36

Io, prigioniera di me Patti Smith, icona dei mitici Settanta, si racconta nel nuovo millennio a L'Illustre

p. 38

I mille volti di Bru Zane Alexandre Dratwicki: "per noi il 2012 sarà l'anno decisivo"

p. 40

il moro di venezia Il caso editoriale di "Venezia in Guerra"

p. 43

attenzione! lavori in corso L'editoriale del Direttore p. 7 Foyer Persone, personaggi, e personalità a San Marco e dintorni p. 8 i-Venezia Brevi dalla città p. 10

Direttore Responsabile Daniele Pajar Direttore Editoriale Yuri Calliandro In redazione Shaula Calliandro Hanno collaborato Engelbert Ruoss, Pierluigi Tamburrini, Lieta Zanatta, Paola De Troia, Lucio Maria D'Alessandro, Federico Bosisio, Letizia Michielon, Carlo Sopracordevole, Gaia Pajar Commerciale e Marketing Gianluca Vianello commerciale@calliandroeditore.it

le rubriche l'inizio di un nuovo viaggio Il messaggio dell'Editore

L’illustre Venezia, idee, stili e storie

Arts Cultura e affini in città p. 24 eventi Oltre laguna Un cappuccino da Tiffany e non solo p. 31 Libri&Co. Idee editoriali per la vostra libreria p. 42 Saluti da venezia La città rivista attraverso le sue cartoline p. 48

Marketing Cristina Andretta Immagini Cover story Archivio Graziano Arici Archivio Borlui dalla mostra "Hemingway's Veneto" Si ringraziano Elsa Marcon Francesco Bardelle Barone Alberto Franchetti Tarsillo Veronese C. P. A. Azienda Agricola di Giuseppe Poja Manuel Silvestri Carlo Sopracordevole (collezione personale) Image.net Redazione San Marco 4152, 30124 Venezia Telefono: 041 2413030 Fax: 041 5220391 illustre@calliandroeditore.it Editore Giuseppe Calliandro Calliandro Editore info@calliandroeditore.it Impaginazione Menta&Liquirizia Tipografia Grafiche Veneziane

Giornale iscritto al Tribunale di Venezia in data 23 agosto 1949 al n. 58 del registro pubblicazioni del ruolo stampa

Periodico iscritto all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana




L'Editore

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L’INIZIO DI UN NUOVO VIAGGIO di GIUSEPPE CALLIANDRO Cari lettori ci eravamo lasciati due mesi fa, con una promessa. Quella che saremmo, molto presto, tornati. Ed eccoci qui dunque, con questa nuova testata, L’Illustre, ed un nuovo progetto editoriale che rappresenta il naturale sviluppo ed evoluzione del Gazzettino Illustrato. Come potete vedere, abbiamo fatto molti passi avanti: più pagine, una carta più pregiata, un formato più maneggevole, e soprattutto una riorganizzazione dei contenuti che ci consente di riprendere il filo di un’avventura già avviata arricchendola con nuovi innesti. L’Illustre è il giornale che, fino ad oggi, Venezia non ha mai avuto. E Venezia, città di eccellenze e portatrice di bellezza e di un suo specifico “stile di vita”, merita un giornale che ne racconti le storie più emblematiche, avvincenti ed emozionanti. Storie di ieri, di oggi e di domani. Non è nostra volontà fare gli snob, ma, che piaccia o no, vivere Venezia (e non solo “vivere a Venezia”) è un’esperienza sensoriale ed emotiva che non trova pari in qualunque altro luogo del mondo. E al di là di ogni polemica, oltre ogni valutazione soggettiva, Venezia è internazionale, unica, straordinaria. E questo non si può discutere. L’Illustre inizia il suo viaggio, dopo alcuni mesi di duro lavoro, senza dimenticare il passato ma rivolgendo uno sguardo al futuro, e non poteva essere altrimenti. Con la stessa squadra, ampl iata ov viamente, ma con un rinnovato orizzonte attraverso il quale si vuole raccontare la Venezia che nessuno racconta, un luogo che richiede una predisposizione diversa della propria anima. Cercheremo di trasmettervi il significato dello “stile Venezia” e ci auguriamo possiate apprezzare questo sforzo. Da parte mia, sono certo che questo sia l’inizio di un viaggio lungo, che ci porterà lontano. Un grande in bocca al lupo e un ringraziamento a tutti i nostri collaboratori e al nostro direttore responsabile Daniele Pajar, che insieme al direttore editoriale Yuri Calliandro ha creduto nella realizzazione di questo progetto. Buona lettura!

Il Direttore

ATTENZIONE! LAVORI IN CORSO

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di Daniele pajar Ore 20.39. Domenica: la sera prima di chiudere questo numero de L'Illustre. Vi siete mai chiesti come nascono gli editoriali che presentano una nuova rivista? Io spesso. Nell'immaginario collettivo credo che le cose possiamo provare ad immaginarle più o meno cosi: il Direttore è chiuso nel suo studio, al giornale, in una stanza grande quanto un appartamento. Sul tavolo, ingombro di giornali, una vecchia Lettera 22 di “montanelliana” memoria ospita un foglio di carta che si riempie di frasi ad effetto. Nell'aria c'è il classico odore del tabacco che si mescola all'odore della carta inchiostrata. La tv è accesa ma riporta la pagina 100 del Televideo, il telefono suona a vuoto: alla scrivania l'entità umana che pigia i tasti, il Direttore, è concentrata sul pezzo. I richiami a esperienze di vita, frasi celebri, di filosofi e personalità del mondo della cultura, si sprecano. Prende forma cosi, di solito di getto, in una atmosfera un po' austera, l'Editoriale. Bhe... Non è il nostro caso. Punto primo perchè questo pezzo, firmato in effetti dal Direttore, nasce nella mia casa di terraferma, in un piccolo studio, scritto sul più classico dei computer portatili (che non è nemmeno mio, l'ho sottratto proditoriamente alla mia dolce metà) accompagnato da mille interrogativi. Uno su tutti: piacerà? Il giornale, dico. Piacerà? Spero di sì ma la cosa in realtà poco mi preoccupa perchè ritengo che una rivista non possa nascere già grande, fatta e finita. Un giornale non è una entità immobile, fissa, definitiva. Piuttosto, volendo usare una terminologia inglese, direi che L'illlustre è, e sarà sempre, un “work in progress”. Una sorta di laboratorio dove raccontare storie, lanciare idee, descrivere fatti, riportare notizie, in un clima di “mutabilità” dichiarata. Chiaramente abbiamo delle direttrici tracciate sulla base di precedenti esperienze: perciò Venezia sarà al centro di ogni ragionamento. Detto questo campo libero a tutti. Abbiamo un sacco di cose per la testa. Le hanno anche i tanti colleghi che scrivono, e scriveranno, per L'illustre. Ma c'è ancora parecchio da inventare. Come lo volete il vostro giornale? Parliamone. Partendo da qui: illustre@calliandroeditore.it. E' l'e-mail della redazione, configurata anche sul mio Blackberry, così possiamo parlarci direttamente tutti assieme. Ogni giorno. Ancora prima di ritrovarci in edicola.


Foyer

Persone, personaggi, personalità a San Marco e dintorni

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Grand soirèe al Caffè Florian di Piazza San Marco per l’azienda Pomellato, che ha scelto Venezia e il suo palcoscenico migliore per presentare la nuova collezione “Nudo”, anelli in oro rosa con incastonata una grande pietra colorata. Per l’occasione, gli invitati hanno anche visto in anteprima il nuovo spot pubblicitario che vede protagonista la famosa attrice inglese Tilda Swinton.


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Serata di gala al Teatro La Fenice per la consegna del Premio Campiello. 1. Emma Marcegaglia, Andrea e Pinuccia Riello e Alessandra Pivato; 2. Luigino e Roberta Rossi; 3. Andrea Camilleri e Serena Autieri; 4. Paolo Mieli; 5. Giorgio Orsoni, Andrea Molesini e Bruno Vespa; 6.Andrea e Paola Tomat con Vittorio RavĂ ; 7. il vincitore del Campiello festeggia dopo la differrita del premio sulla Rai; 8. Matteo e Marta Marzotto con Patrizia Sandretto e Re Rebaudengo; 9. Massimo Calearo e Maria Pia Morelli; 10. Fabio Testi; 11. Philippe ed Elena Daverio; 12. Gianni Zonin; 13.Piergiorgio e Franca Coin

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Acqua alta anche sull'iPhone Una app per sapere se prima di uscire di casa diretti a Venezia dovete infilare gli stivaloni o vanno bene le stringate lucide da cerimonia. Si chiama 'hi!tide' e fornisce in real time il livello di marea in città. I dati sono quelli ufficiali dell'Icpsmv, acronimo che indica l'Istituzione Centro Previsioni e Segnalazioni Maree di Venezia. Inoltre l'app consente di monitorare le varie zone della città al fine di poter capire subito quale percorso fare per non bagnarsi i piedi. Consigliato a turisti benestanti (che non adorano zompettare a San Marco a piedi nudi) e veneziani distratti.

Musica Hard Rock per le tue orECchie Per la prima volta gli spazi di un Hard Rock Cafè diventano luogo per uno show case. Le chitarre Martin&Co. sono state protagoniste di un mini tour partito da Venezia e che poi ha toccato Firenze e Roma. Quattro i testimonial contemporanei vistisi sul palco: Diane Ponzio, cantautrice americana, Marco Poeta, impegnato in una performance unplugged con un particolarissimo modello Signature 12 corde e Massimo Varini, uno dei piu' accreditati chitarristi italiani, produttore e autore, chitarrista di studio di Lucio Dalla, Vasco Rossi, Eros Ramazzotti and many more... Nata nel 1833 in Pennsylvania, Martin&Co. e' la piu' antica manifattura di chitarre acustiche al mondo ed ha dato musica a Elvis Presley, Johnny Cash ed Eric Clapton tanto per citarne qualcuno.

Stesso tetto per Brecht e Goldoni Circa 5000 volumi, tra cui un'ampia bibliografia su William Shakespeare e il teatro elisabettiano, una serie di libri su Carlo Goldoni e Bertolt Brecht, un'intera sezione dedicata a Luigi Pirandello e parecchie rarita' bibliografiche, sono state donate alla Fondazione Cini. Si tratta della collezione, raccolta in quasi 70 anni di carriera dal maestro Luigi Squarzina: i libri della biblioteca personale del regista recentemente scomparso che riempivano lo studio, i corridoi e la cantina della sua casa romana sono stati donati per suo espresso desiderio. Un desiderio diventato realta' con la firma dell'atto di donazione da parte della vedova Silvia Danesi Squarzina al Centro Studi per la ricerca documentale sul teatro e il melodramma europeo della Fondazione Cini, il cui ricco patrimonio raccoglie tra l'altro l'Archivio Eleonora Duse. La Fondazione a breve dovrebbe acquisire anche la biblioteca del giornalista e scrittore Tiziano Terzani. Lo scorso anno Carla Bruni, premiere dame francese, aveva donato, con la madre, la collezione del patrigno Alberto Bruni Tedeschi.

i V e n e z i a Le nostre app-news dalla città

Caccia a Ottobre Blu Edward Lut t wak , econom ista e sag g ista, consu lente del Cent ro i nternaziona le st ud i st rateg ici d i New York , e l'amm i ragl io Giusep pe De Giorg i, celebre per la sua azione d iplomat ica che nel 20 06 lo por to' a rompere i l blocco nava le israel iano verso i l L ibano nel 20 06, du rante la m issione Un if i l, sono stat i gl i ospit i st raord i nar i del la terza ed izione d i "Ot tobre blu", ded icata a "For mazione et ica e Comando", tenutasi a Ch iog g ia ( Venezia). Tra i var i r iconsicment i conseg nat i i l prem io 'Ga lea d'oro' coneg nato a l l'i ngeg ner Pat r izio Cucciolet ta, Presidente del Mag ist rato a l le Acque d i Venezia.

E' sempre un veneziano il numero uno del Mistero Alberto Toso Fei, veneziano doc, anche quest'anno dirige "Veneto: spettacoli di Mistero"; un festival, unico in Italia, che coinvolge cento tra paesi, borghi, castelli e boschi attorno ai quali si e' sviluppata una vera e propria cultura popolare legata alle storie del mistero. Il tutto fino al 4 dicembre prossimo. Il Direttore Toso Fei è ben noto al pubblico per i suoi numerosi libri sui misteri veneziani.

La Serenissima è la città meno inquinata tra le "grandi" Venezia è la città italiane, tra quelle oltre i 200mila abitanti, più vivibile: è il responso di "Ecosistema urbano-La qualità ambientale nei 104 capoluoghi di provincia italiani", il diciottesimo rapporto annuale di Legambiente, Ambiente Italia e Sole 24 Ore. Rispetto alle precedenti, la ricerca di quest'anno suddivide i 104 capoluoghi italiani di provincia in tre categorie: quelli, appunto, sopra i 200.000 abitanti (in totale 15), quelli tra 80.000 e 200.000 (44) e quelli sotto gli 80.000 (45). Venezia primeggia nella sua categoria, ottenendo, sulla base di ben 27 diversi parametri, un punteggio complessivo pari al 62,47%. Una sufficienza piena, insomma, che le consente di precedere Bologna, Genova, Verona e Padova, e di attestarsi, in una classifica virtuale complessiva, al sesto posto assoluto, tra tutte le città italiane.


Il direttore della sede Unesco lagunare ripercorre più di 40 anni di storia

Il futuro di venezia?

L'Unesco ha qualche

idea

di Engelbert RUOSS Era il 4 novembre 1966, quando le avverse condizioni metereologiche provocarono danni inestimabili a due importanti città d’arte: Firenze e Venezia. L’alluvione che colpì le due città viene ancor oggi ricordata in molti memoriali. In quello stesso anno il Governo italiano lanciò un appello in occasione della Conferenza

Generale dell’UNESCO. L’allora direttore generale, René Maheu, accolse la richiesta d’intervento dando inizio alla Campagna Internazionale per la Salvaguardia di Firenze e di Venezia. Data la natura dei problemi che le due città avrebbero dovuto affrontare, la Campagna fu divisa in due differenti azioni.


La solidarietà internazionale di cui l’Unesco si fece portavoce diede avvio alla Campagna Internazionale per la Salvaguardia di Venezia con lo scopo di restaurarne il patrimonio storico-artistico e di affrontare i problemi relativi alla manutenzione di una città minacciata dalle acque. L’ Unesco mise a disposizione le proprie risorse offrendo mezzi e consigli pratici alle autorità italiane a livello locale, regionale e nazionale. Vennero eseguiti studi tecnico-scientifici con lo scopo di definire un piano di salvaguardia per il centro storico e la laguna e rivitalizzare il futuro della città sul piano culturale, economico e sociale. Parallelamente, fu istituita una rete di 50 organizzazioni private in 14 paesi, al fine di raccogliere fondi per restaurare i monumenti, le opere d’arte e per la formazione di figure professionali utili alla conservazione del patrimonio artistico della città. Questa prima fase si concluse con la proposta di una Legge Speciale per Venezia, (no. 171 del 16 Aprile 1973). L’impegno dei Comitati Privati per la Salvaguardia di Venezia nell’ambito del Programma Unesco La seconda fase della Campagna fu dedicata a mettere in pratica le diverse misure previste dalla Legge Speciale. Fu istituito un Comitato Consultivo Internazionale, d’ausilio al Governo italiano e all’Unesco. L’Ufficio Unesco per la Campagna di Salvaguardia inizialmente a Roma, fu trasferito nel 1973 a Venezia presso Palazzo Reale in Piazza San Marco, diventando il Liaison Office for the Safeguarding of Venice per il coordinamento di

tutte le attività previste. Come auspicato dall’Unesco fu manifestata la necessità di creare una speciale struttura legale e istituzionale a livello nazionale, e vennero quindi approvate due Leggi Speciali, la 171/1973, la 798/1984 e successive implementazioni. In più di quarant’anni di attività i Comitati Privati, oggi 25 e rappresentanti 11 paesi, sono stati realizzati circa 1500 interventi di restauro e spesi quasi 50 milioni di euro. Sono stati organizzati workshop internazionali ed, in collaborazione, con l’Iccrom diversi laboratori per il restauro. L’Unesco ed i Comitati Privati realizzarono inoltre diverse pubblicazioni: il Rapporto su Venezia del 1969; due edizioni di Venice Restored (1973 e 1978) e Venezia Restaurata 1966-1986 pubblicato in lingua italiana e successivamente in lingua inglese. La laguna di Venezia in pericolo Nel tempo è stato sviluppato un approccio scientifico relativo ai problemi della laguna, e con l’ausilio di esperti di diversi istituti scientifici internazionali, sono state affrontate le problematiche relative alla protezione fisica e ambientale della città, quali il fenomeno della subsidenza, dell’acqua alta e delle diverse forme di inquinamento. Dal 1981 l’Unesco ha finanziato Tavole Rotonde di rilievo internazionale sulla salvaguardia di Venezia e la sua laguna dando avvio a numerosi progetti di ricerca. Nel 1991 il Ministero per la Ricerca Scientifica e Tecnologica ha approvato il progetto ‘‘The Venice Lagoon Project’’ eseguito dall’Unesco, il Cnr-Isdgm, lo Iuav e le Università di Venezia e Padova. Dal 1990 al 1999 l’Ufficio Regionale per la Scienza

e la Tecnologia in Europa (Roste), ha coordinato e realizzato diversi progetti. Tra questi, The Venice Lagoon Ecosystem Project sull’analisi dell’ecosistema lagunare e The Venice Inner Canals Project. Quest’ultimo ha fornito un primo modello sulla qualità delle acque dei canali interni della città, i cui risultati sono stati di riferimento per gli interventi di manutenzione che la città ha svolto e continua a svolgere per risolvere i problemi che la affliggono (sedimenti, moto ondoso e danni alle fondazioni). Dal 1999 è stato sviluppato un Sistema Geografico Informativo (Gis) di supporto decisionale alla pianificazione urbana e alla gestione della città. Il sistema è stato realizzato con la partecipazione attiva di diversi istituti nazionali e internazionali, con l’Ufficio Urbanistica Settore Sviluppo del Territorio e Mobilità del Comune di Venezia, la Soprintendenza dei Beni Artistici e Architettonici e la Commissione di Salvaguardia di cui l’Unesco e il Cnr fanno parte. In campo culturale l’Unesco è sempre stato attivo nel collaborare con la Soprintendenza dei Beni Architettonici di Venezia, patrocinando studi sui monumenti, sul loro restauro e reimpiego. Non meno rilevante è stato l’apporto dell’Unesco allo sviluppo della città quale attivo centro culturale, promuovendo attività culturali internazionali, come ad esempio il Festival Internazionale di Danza nel 1975, e di Fotografia nel 1979 e continuando ad organizzare numerosi meeting culturali e scientifici. Nel tempo, la salvaguardia del ricco patrimonio culturale della città ha quindi acquisito un maggiore rilievo grazie anche all’Unesco, il quale tutt’oggi continua a fornire servizi tecnico-amministrativi agli organi pubblici e privati coinvolti nei progetti di con-


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L'appuntamento L'ufficio veneziano dell'Unesco, in collaborazione con la Venice International University, organizza un convegno internazionale dal titolo "Il futuro di Venezia e della sua laguna nel contesto del cambiamento globale", che si terrà sull'isola di San Servolo dal 13 al 15 novembre. Il convegno ospiterà esperti di fama internazionale che discuteranno delle sfide scientifiche, culturali e socioeconomiche, legate al mutamento climatico, che Venezia e la sua laguna dovranno affrontare. Si partirà dalla valutazione della situazione attuale del territorio, per pervenire a una visione condivisa del suo futuro, al fine di contribuire a orientare le decisioni future e di favorire una gestione sostenibile di questo sistema urbano costiero e lagunare che costituisce un patrimonio mondiale unico. Ad aprire l'evento il Direttore dell'Unesco a Venezia Engelbert Ruoss. servazione e di restauro, e a promuovere la vitalità culturale della città. Assieme alla salvaguardia del patrimonio artistico della città, particolare attenzione viene data alla vita quotidiana dei suoi abitanti mediante la rivitalizzazione del centro storico. L’ Unesco e il futuro di Venezia Dal 1966 è stato avviato un processo dinamico che sembra essere irreversibile, gettando le basi per il raggiungimento del suo principale obiettivo: la protezione del patrimonio monumentale e artistico di Venezia. L’Unesco ha anche affrontato il problema dell’esodo della popolazione veneziana, contribuendo a conservare il tessuto urbano per migliorare la capacità residenziale nel centro storico, e a promuovere nella città attività di interesse scientifico culturale. La Campagna Internazionale di cui l’Unesco si è reso portavoce ha avuto soprattutto il merito di aver promosso una rete di solidarietà in tutto il mondo che continua fino ai nostri giorni. Dal 2010, l’Ufficio Unesco di Venezia si è offerto di collaborare con il Comune di Venezia per elaborare di un Piano di Gestione del sito Venezia e la sua Laguna dichiarato patrimonio dell’umanità nel 1987. Questo processo di partecipazione e di dibatto pubblico è stato avviato allo scopo di delineare possibili scenari per il futuro di Venezia. Una serie di worshop e seminari sono stati organizzati nel corso dell’ultimo anno i cui risultati verranno discussi nel corso della Conferenza Internazionale “The future of Venice and its Lagoon in the Context of Global Change” che si terrà a Venezia il 13 – 15 novembre. Durante la conferenza istituzioni locali ed internazionali ed esperti discuteranno delle future opportunità per uno sviluppo sostenibile, in un contesto di cambiamenti globali, come i cambiamenti climatici, l’innalzamento del livello del mare e il processo di trasformazione socio-economico. L’Unesco ha il compito di creare una piattaforma

per il dibattito tra le autorità locali, gli stakeholder e il pubblico in generale, per definire una visione comune e spianare la strada al processo decisionale per la creazione di una strategia per il futuro di Venezia. La conservazione e la rivitalizzazione del patrimonio culturale e naturale, la protezione dell’ecosistema lagunare, e lo sviluppo economico nel rispetto del tessuto sociale saranno la struttura del Piano di Gestione da presentare all’Unesco entro il 2012. Questo processo è facilitato dal fatto che la città ospita l’Ufficio Regionale per la Scienza e la Cultura, unico in Europa e in un paese sviluppato, con l’obiettivo di favorire la pace e lo sviluppo nei paesi del Sud-Est Europa e nel Mediterraneo. L’Ufficio Unesco di Venezia in collaborazione con altre Agenzie delle Nazioni Unite, è impegnato nel sostenere i paesi in fase di transizione, salvaguardandone il patrimonio nel contesto nazionale e regionale, assistendoli nel raggiungere standard internazionali e nell’applicazione delle convenzioni internazionali. Venezia ha sempre svolto un ruolo strategico come polo culturale in Italia aprendo la via a nuove rotte, come quelle che dalla Serenissima arrivarono con Marco Polo alla Cina sulle Vie della Seta. Sulla base del riconoscimento universale che le è dato alla città di Venezia, il modo in cui essa reagirà e risponderà ai processi di trasformazione globale, potrà rappresentare un modello applicabile in altri contesti. In questa prospettiva, l’Ufficio Unesco di Venezia, assieme alle istituzioni locali, dedicherà anche in futuro le proprie energie e risorse alla salvaguardia del patrimonio culturale e scientifico per favorire uno sviluppo sostenibile della città e delle sue storiche rotte verso il Mediterraneo e l’Asia centrale. Auspicando che l’unicità e la particolarità di Venezia siano in futuro, come in passato, simboli di prosperità, di benessere, di identità culturale e di dialogo in Europa, l’Unesco continuerà ad impegnarsi affinché la città diventi un modello di riferimento per affrontare le sfide del futuro.

L'Unesco continuerà ad impegnarsi affinchè la città diventi un modello di riferimento per affrontare le sfide del futuro


A cinquant'anni dalla scomparsa, tra immagini, testimonianze e analisi, la vita di uno scrittore straordinario

RITRATTO DI ERNEST di DANIELE PAJAR, PIERLUIGI TAMBURRINI, LIETA ZANATTA, GAIA PAJAR

Di Ernest Hemingway s'è detto molto. E s'è pure inventato parecchio. Perciò cercare di farne un ritratto non è cosa semplice. Ed infatti non lo faremo. In questo caso L'illustre ha raccolto una serie di testimonianze di persone che hanno co-

nosciuto lo scrittore di Oak Park a cinquant'anni dalla sua scomparsa. Un Hemingway che abbiamo voluto raccontare anche attraverso numerose fotografie veneziane che a breve andranno a comporre una mostra fotografica a New York.


A sinistra Ernest Hemingway a Venezia scende da una gondola; sopra: la ricostruzione della stanza che utilizzò lo scrittore a Torcello nella locanda Cipriani

Ho una vita interessante, ma devo scrivere perché se non passo una parte della mia vita a scrivere non riesco a godermi il resto. E. Hemingway (da "Verdi colline d’Africa")

La domanda che ci ha assalito, dopo aver letto i racconti che troverete nelle pagine seguenti, è: ma è indispensabile dare l'impressione di avere almeno una rotella fuori posto per assurgere al ruolo di grande artista? Detta in termini più professionali è possibile creare un'associazione tra arte, genio e follia? Una serie di studi condotti su artisti, scrittori e musicisti hanno rilevato, nei soggetti esaminati, una maggiore presenza del cosiddetto disturbo bipolare: la sindrome maniaco-depressiva; perciò, che vi sia una correlazione scientifica tra genio e follia “è possibile dato che la malattia – ci spiega Kay Radfiled Jamison, americana come Hemingway, professoressa di Psichiatria alla Johns Hopkins University School di Baltimora, ritenuta un vero e proprio guru nel suo campo – può portare allo sviluppo di pensieri veloci e particolarmente fluidi capaci di generare associazioni che altri non farebbero. Spesso si tratta di correlazioni che possono non avere senso ma quando lo hanno risultano essere molto originali”. La professoressa Radfiled ha esaminato casi eclatanti, incluso quello di Hemingway ma anche altri come Van Gogh e Lord Byron. Il professor Pietro Pietrini, ordinario di Biochimica clinica e Biologia molecolare clinica a Pisa, presidente del Comitato scientifico della Organizzzazione internazionale per la mappatura del cervello umano e tra i consulenti del delitto di Cogne, traccia il modello mentale di Ernest Hemingway a partire dai suoi stessi romanzi: “il percorso letterario di Hemingway presenta forti differenze dai primi romanzi agli ultimi.I primi romanzi sono scorrevoli, avvincenti. L’Hemingway degli inizi è il trionfo di una creatività avvolgente. Leggendo il romanzo sembra di essere lì e si fa fatica a staccarsi dalla pagina. Quelli di epoca più tarda sono più lenti, più complessi. Sembra che la creatività senza briglie non ci sia più”. Effetto dell’alcolismo e di una mente ormai poco lucida? Probabile. Per Pietrini “creatività e disturbo mentale spesso vanno mano nella mano. Uscire dalla normalità vuol dire anche vedere cose che gli altri non vedono. In fondo anche da giovane Hemingway rientrava pienamente nella tipologia del sensation seeker, l’annoiato dalla quotidianità che aveva bisogno costantemente di emozioni forti”. Pietrini racconta un episodio: “si narra che Hemingway da giovane andasse nei bar sempre con una banconota da cento dollari, un po’ come oggi ci si presentasse con cinquecento euro in mano, prendeva qualcosa da bere e andava

via. Poi aggiungeva a quanto gli era rimasto i pochi spiccioli che mancavano ai cento dollari, li cambiava per presentarsi il giorno dopo di nuovo con la stessa banconota, dando l’impressione di essere un riccone e potersi permettere di scialare una banconota al giorno”. Che dire? Roba da matti? Secondo il giornalista e scrittore Paolo Di Mizio, da sempre appassionato tanto di Hemingway quanto di Venezia (a breve uscirà un suo nuovo libro proprio ambientato nella città lagunare), “Ernest aveva la necessità di esorcizzare la morte” e da qui una vita “all'insegna del vitalismo e del nichilismo”. Lo scrittore la morte l'ha sfidata in mille modi: prima andando in mille, tra guerre e guerriglie (dalla Grande Guerra alle ribellioni in Spagna contro i franchisti), e poi mantenendo la passione per la caccia grossa, in Africa contro elefanti e leoni, e la pesca d'altura che ispiro' il Vecchio e il Mare”. E anche alla fine Hemingway è rimasto assolutamente coerente con questo stile di vita “decidendo lui stesso quando morire”. “Trovo pero' difficile stabilire – dice Di Mizio una linea di separazione tra cio' che è normale e cio' che è folle: probabilmente tutti coloro che hanno avuto grandi ispirazioni possono essre considerati folli”. Chissà quanti geni incompresi popolano l'Italia, il mondo e pure qualche ex-manicomio. Un caso curioso, legato a Venezia, è quello che racconta lo psichiatra Vittorino Andreoli: la nascita artistica del pittore Carlo Zinelli. "Ho potuto assistere – scrive Andreoli su Vanity Fair - alla metamorfosi di Carlo Zinelli, uno dei tanti schizofrenici senza nome del quinto padiglione del San Giacomo della Tomba, il manicomio di Verona. L'ho visto entrare nelle gallerie piu significative per l'arte contemporanea; ricordo il giorno in cui mi sono recato al Guggenheim di Venezia, che esponeva le sue opere, e la commozione che ho provato quando al botteghino ho pagato il biglietto di 5mila lire per entrare". A questo punto ha senso definire una persona, scrittore o pittore che sia, malata di mente? O è un modo per etichettare, dentro una cornice, un tale che vive in modo diverso dalla maggior parte delle altre forse perchè trova delle "sue" soluzioni ai "suoi" problemi e che come risultato di questo conflitto ci lascia delle opere letterarie di indiscutibile valore? La malattia mentale può in certi casi essere una nostra costruzione fatta per dare un nome al diverso? Ma forse, questo diverso, ci e' suffciente definirlo con la parola artista. Forse.


Elsa Marcon

Francesco Bardelle

CARTUCCE E POLVERE DA SPARO

"IL SUO ITALIANO SEMPLICE"

Simpatico, gioviale, emozionante. Elsa Marcon di Mestre ricorda così lo scrittore americano che ebbe occasione di incontrare più volte a Mestre, nell’”Armeria Piave” del papà Pietro, in Via Piave al numero 130, a pochi passi dalla stazione. Ne parla sorridendo e divertita. «Mio padre aveva quest’armeria dove vendeva articoli per la caccia e la pesca. Lo aiutavo spesso in negozio anche se ero molto giovane. Il mio compito era quello di riempire i bossoli con la polvere da sparo: una volta era così. Rifornivamo di fucili e cartucce quasi tutta la nobiltà veneziana appassionata di caccia. Da noi venivano il sabato come in un ritrovo: “Andiamo da Marcon” dicevano. All’epoca, tra il 1950 e ‘51, ricevevamo spesso visita del barone Nanouk Franchetti che veniva con i suoi ospiti a fare rifornimento di cartucce per le sue già famose battute di caccia. Era una persona squisita, invitò diverse volte mio padre a caccia con lui. Mi ricordo che veniva con il conte Brandolin e Guja Guarienti, figlia della principessa Jolanda di Savoia. Quest’ultima era nota per essere una bravissima cacciatrice, mio marito ha fatto una battuta con lei e altri nelle valli di Chioggia: in barena cacciava con i sandali. Con Hemingway il barone Franchetti venne spesso, mi ricordo di averlo visto in negozio almeno sei - sette volte. Era uno scrittore già famoso all’epoca, e tutti sapevano chi fosse. Anche perché si vociferava che avesse una certa simpatia per la sorella del barone, Afdera. Mi sembra di ricordare che avesse 50 anni all’epoca, se non sbaglio, io ne avevo sedici. Non si vestiva in maniera particolare, indossava un loden o la tenuta da caccia, ma a quei tempi tutti quelli che venivano in negozio si vestivano così. Si fermava spesso a parlare, chiacchierava volentieri con mia madre. Un giorno l’abbiamo invitato dentro casa, che era sopra il negozio. Mia madre gli disse: “Signor Hemingway, le posso offrire un whisky?”, “Oh certo, grazie!” disse quell’ omone grande e grosso. Ai miei occhi era enorme, mastodontico. Allora si usavano i bicchierini da whisky molto piccoli e mia madre ne riempì uno e glielo offrì. Hemingway guardò il bicchierino e scoppiò in una grandissima risata. Ce l’ho ancora nelle orecchie. “Io non bevo questo! - disse - Bottiglia signora, bottiglia”. Si fece dare un gran bicchiere e bevve da quello. Dopodiché io e mia sorella gli chiedemmo se ci poteva fare l’autografo nei suoi libri. La volta dopo infatti, un sabato, ritornò con il barone Franchetti e così ci fece l’autografo su “Verdi Colline d’Africa” per me e su “Addio alle armi” per mia sorella. Eccolo». Elsa mostra il libro. Sopra il primo capitolo, una dedica: “For Elsa with all good wishes from her friend Ernesto Hemingway. Mestre 14/1/50”. (L. Z.)

Cacciatore appassionato dal grande temperamento, grande osservatore ma amante soprattutto dello scrivere. Così lo ricorda Francesco Bardelle, lavorante e cacciatore del barone Raimondo Franchetti. «All’epoca vivevo a San Gaetano, e lavoravo per il barone Franchetti, come tutti quelli che vivevano là. Facevo il meccanico, aggiustavo di tutto, ma in autunno nei fine settimana, il barone organizzava le battute di caccia in valle con i suoi amici e chiamava tanti suoi lavoranti per accompagnarli e cacciare assieme. Anche quando veniva Hemingway. Dormivamo tutti quanti nel casone di caccia in laguna per uscire presto la mattina. Hemingway dormiva poco. Aveva un libretto, ci scriveva sempre. Una volta mi alzai nel pieno della notte per andare in bagno. “Carlo! Carlo!” sentii chiamare. Era Hemingway, seduto con le spalle al muro, con il quaderno in mano. Carlo era un altro lavorante che di solito lo portava in barca. Io mi chiamo Checco, probabilmente si confondeva. “Carlo! - chiamò ancora - A che ora volano anatre in valle?”. Chiedeva a tutti informazioni sui movimenti degli uccelli, sul tempo. Con i signori parlava in inglese, con noi in un italiano semplice, ma si faceva capire. Quando poi partiva la battuta, si faceva mettere nella botte, ma stava ad osservare tanto, fotografava e scriveva. Sparava poco. E quando la mattina tardi tutti rientravano con i carnieri pieni, lui prendeva il fucile e aspettava le anatre. Ma tutti aspettavano lui per andare a mangiare assieme, e Hemingway non ne voleva sapere. “Aspetto anatre che vengono dal mare” diceva. Quella volta ero con Popi, un altro lavorante, che mi strizzò l’occhio e disse: “Desso ghe penso mi”. E si mise dietro i canneti, a qualche distanza, con un ombrellone. Uno stormo di anatre venne dal mare per calarsi sull’acqua davanti la botte, dove c’erano i richiami di Nane Cristo (famoso cacciatore di Torcello che faceva gli zimbelli da caccia in sughero. Ndr). Hemingway era in posizione per sparare, ma Popi si mise ad aprire e chiudere l’ombrellone per disturbare, così le anatre spaventate volarono altrove. Hemingway ci restò male, non capiva. “Pope! Pope! Ci sono richiami ma non vengono giù!” esclamava deluso. Penso che non fosse la prima volta che Pope faceva questo scherzo. Così potevamo ritornare in casone dove Florindo Silotto, il cuoco, aveva preparato da mangiare. Una volta i signori presero in giro Hemingway perché tornava sempre con poca cacciagione. Gli dicevano che non sapeva sparare perché beveva troppo. E lui si arrabbiò. Si mise in mezzo al piazzale, su un ginocchio, e con un fucile Bernardelli a ripetizione caricò e sparò una raffica di cinque cartucce in direzioni diverse. Fosse stato ubriaco, sarebbe sicuramente caduto all’indietro. Poi prese il fucile e lo gettò verso i piedi degli uomini, sfiorandomi il volto. I signori zittirono e non gli dissero più niente». (L. Z.)

Dall'alto: la dedica fatta da Hemingway a Elsa Marcon; Elsa con al sorella in una foto; a seguire una cartolina dell'antica Armeria Piave dove Hemingway si riforniva; sotto il cacciatore Francesco Bardelle


Adriana e Gianfranco Ivancich, due tra le figure cardine della vita di Hemingway

QUELL' INCONTRO AL GRITTI

I

“Il più grande scrittore vivente”, come lo definiva il New York Times in ogni articolo che gli dedicava, aveva affascinato con la sua personalità chiunque lo avesse conosciuto. Ma qualcuno riuscì ad affascinare Hemingway come nessuno altro. Furono i due fratelli Ivancich, Adriana e Gianfranco, discendenti di una nobile famiglia di origine dalmata fatta di possidenti, viaggiatori, intellettuali cosmopoliti e mondani. Insomma, naturalmente hemingwayana. Di Adriana, all’epoca una ragazzina di 18 anni, il cinquantenne Hemingway, al quarto matrimonio, si innamorò, vivendo una relazione platonica fatta di lettere e soggiorni nella villa cubana dello scrittore. E scandalizzando la Venezia dell’epoca, bigotta nonostante la disinvoltura che sfoggiava alle feste del Gritti e all’Harry’s Bar, che massacrò Adriana solo per sospetto. Per Gianfranco provò un’ammirazione profonda, riconosciuta anche dal principale biografo di Hemingway, Carlos Baker, che scrive: «Ivancich aveva 28 anni e un passato militare che lo rese subito simpatico a Ernest». Era stato ferito a El Alamein dove era ufficiale di un reggimento blindato agli ordini di Rommel. Trascorsa la convalescenza era diventato un comandante partigiano. Catturato dalle SS era riuscito

a fuggire ed era stato impiegato dal servizio segreto americano. «Finchè, al rientro – conclude Baker - aveva trovato il padre assassinato e la casa di campagna bombardata». Un vissuto pieno di coraggio, vitalismo e tragedia tanto da sembrare uscita da un romanzo di Hemingway. A presentarli, la sorella Adriana, al bar dell’Hotel Gritti nel febbraio del ’49, in una Venezia avvolta dalla nebbia. «Mia sorella si sedette al bar a chiacchierare con la moglie di Hemingway, Ernest e io ci appartammo su alcune poltroncine – ricorda Ivancich – Fu subito facile e piacevole ascoltarlo, perché raccontava con passione le sue avventure. Una particolare coincidenza mi sorprese: anch’io, durante la guerra, fui ferito a una gamba, come lui sul Piave, e per questo ci sentivamo compagni d’armi». Nonostante avessero combattuto l’uno nella Prima e l’altro nella Seconda Guerra Mondiale. «Però Ernst era deluso del fatto che gli mancava un’esperienza di cui parlare, ossia quella della prigionia e di come ci si sente rinchiusi in una cella - aggiunge – Dopo alcuni Negroni fui invitato a mangiare al ristorante dell’albergo, insieme a mia sorella e alla moglie di Hemingway». Ivancich non fece nemmeno in tempo ad accennare ad un lavoro che avrebbe

dovuto iniziare nella sede dell’Avana della Compagnia di Navigazione Cini che lo scrittore lo invitò nella sua villa cubana, Finca Vigia. Ivancich frequentò spesso Hemingway a Cuba e per tre mesi vi soggiornò la sorella Adriana, che ispirò allo scrittore il personaggio di Renata in “Al di là del fiume, tra gli alberi”. In realtà pare che Hemingway avesse conosciuto davvero una Renata negli anni Venti a Cortina. E, per una incredibile coincidenza, ne rivide il ritratto proprio in casa degli Ivancich. Ma è indubbio che all’elaborazione del personaggio contribuì la sfortunata Adriana che nel 1983, a 53 anni, si toglierà la vita. Come aveva fatto Hemingway trentadue anni prima. Un episodio di cui il fratello non parla volentieri. «Chiunque abbia vissuto accanto a loro due, volendo bene a entrambi, sa che quello di lui per lei era idillio cerebrale, platonismo sentimentale. E lei lo vedeva come un padre, e basta – è il ricordo che aveva affidato a un’intervista rilasciata qualche anno fa al Corriere della Sera - Era la piu’ bella ragazza d’Italia. Affascinante. Spontanea. L’unica che osasse contraddire o criticare Ernest, mentre tutte lo adulavano. Poteva lui non restarne toccato?». (Pl.T.)


Hemingway ha reso famosi i locali che frequentava, ma anche dato lustro a due cocktail (più uno)

QUESTIONE DI DRINK!

«My mojito in La Bodeguita, my daiquiri in El Floridita». Così recita la scritta autogr afa di Hemingway appesa ancora tra le bottiglie dietro il banco del locale cubano dell’Avana “La Bodeguita del Medio”, uno dei locali più famosi al mondo, dove lo scrittore usava recarsi a bere il Mojito, cocktail a base di rum e lime, che qui nacque nel 1942. Ancor

oggi lo servono così come lo beveva l’americano. L’altro famosissimo locale dell’Avana dove si recavano Hemingway e tante altre celebrità - i muri sono letteralmente coperti delle loro foto e firme - è il “Floridita”, patria del “Daiquiri”, l’altro cocktail preferito dallo scrittore di cui esiste addirittura una versione che personalizzò, il “Papa’s”.

Mojito In un bicchiere grande diluire zucchero bianco e il succo di due lime, aggiungere delle foglie di menta e pestare il tutto. Versare sopra rum bianco e ghiaccio spezzettato. A piacere mettere qualche goccia di angostura. Va servito con un rametto di menta fresca.

Daiquiri In uno shaker miscelare assieme per 30 secondi zucchero bianco, pezzetti di ghiaccio, succo di due lime, cinque gocce di maraschino e rum bianco. Versare il tutto in una coppa da cocktail.

Papa’s In uno shaker miscelare assieme per 30 secondi del rum bianco, succo di pompelmo, succo di limone o lime, qualche goccia di maraschino, ghiaccio a pezzetti. Versare in un bicchiere grande da acqua.

Erano i suoi drink preferiti che si faceva servire all’Harry’s Bar di Venezia. Lo vedeva spesso lì davanti Silvano D’Este, classe 1938, il gondoliere veneziano che ora vive sulle sponde del lago di Tarzo dove voga ancora sulla sua fedele gondola, che ricorda lo scrittore così. «Si sedeva per terra con un bicchiere in mano sulla riva delle fondamenta di Calle Vallaresso che danno davanti la Basilica della Madonna della Salute, da dove partono le gondole. Non era neanche l’unico a godersi un drink così. Era una persona alla mano, semplice, che parlava con chiunque. All’epoca avevo 16 - 17 anni, e

facevo già il sostituto gondoliere quando potevo, anche se non avevo ancora 18 anni. Stavo sotto il pergolato dello stazio gondole di Santa Maria del Giglio, dove c’era l’Hotel Gritti. Lì passavano tutte le celebrità, e noi gondolieri sapevamo prima di tutti chi era il VIP che arrivava là. Mi ricordo bene Paolo Poli e Walter Chiari che venivano spesso a scherzare e fare battute con noi. Hemingway era famoso, lo conoscevano bene tutti. Di solito dal Gritti lui andava a piedi fino all’Harry’s Bar in Calle Vallaresso. Per strada si fermava da Guerrino, l’osteria che c’era sulla destra,

dopo il Ponte dele Ostreghe. Era un locale praticato dai gondolieri, che all’epoca non prendevano tanti soldi e avevano tanto tempo libero. Una volta con noi c’era Bruno Scarabellin, veneziano anche lui, campione italiano dei pesi massimi nel 1959 e 1960. Qualcuno disse a Hemingway che Bruno era un grande campione. E per vedere se era vero lo scrittore, di scatto, gli assestò un destro da vero boxer che Scarabellin schivò per un pelo. Lo guardammo tutti sorpresi, un gancio da professionista! Si vedeva che aveva tirato di boxe». (L. Z.)


Arrigo Cipriani

"Al di la dal fiume, tra gli alberi... un attento osservatore"

A

Aveva 18 a n n i qua ndo ha conosciuto Heming way. Ancora non era l’oste più famoso d’Italia ma uno studentello spedito alla Locanda di famiglia a Torcello per avere la concentrazione per preparare il primo esame di Giurisprudenza e, contemporaneamente, farsi le ossa sul lavoro. E Arrigo Cipriani ricorda bene, tra i pochi clienti della Locanda in quel lontano 1950, Ernest Heming way al lavoro sul romanzo ambientato proprio tra la Laguna e il Basso Piave, “Al di là del fiume, tra gli alberi”. E talmente zeppo di riferimenti autobiografici, a partire dalla relazione tra il cinquantenne Heming way e la diciannovenne Adriana Ivancich, che l’autore ne vietò la pubblicazione per un periodo in Italia. Dove il romanzo uscì solo nel 1965, quindici anni dopo la sua redazione e 4 anni dopo la morte d i Hem ing way. Ma a l momento della sua stesura, il lavoro di Heming way a Torcello non poteva passare inosservato. « La presenza dello scrittore era tangibile in tutta la Locanda – annota Cirpiani - Ricordo che mia zia Gabriella, che era l’anima f loreale del ristorante, ogni tanto riprendeva i camerieri a bassa voce per non svegliare lo

scrittore». Soprattutto perché Heming way, quando non andava a caccia di anatre, dormiva f ino a tardi dopo aver scritto f ino a tardi. «E doveva aver scritto davvero tutta la notte se le bottiglie vuote di Valpolicella che lasciava fuori della porta della stanza erano più di tre» ricorda Cipriani che, finalmente, riesce anche a vedere lo scrittore, dopo averne percepito l’aleggiare. «Una mattina di sole ero in giardino a far finta di studiare, quando la finestra che dava sul balcone di legno di una stanza si aprì e lui uscì - racconta - R icordo molto bene il suo sorriso da dietro la barba bianca. Mi fece un cenno di saluto con la mano che ricambiai. Non ci parlammo anche perché all’epoca non parlavo ancora inglese». Un attimo, insomma, ma di quelli che restano per la vita. « L’impressione fu quella di aver incontrato una personalità, che espresse con quel gesto amichevole rivolto ad uno sconosciuto – conclude l’oste più famoso d’Italia - E proprio questo ci è rimasto di lui. Amava la vita e osservava le cose e le persone con grande curiosità. Così come tutti lo conosciamo dai suoi libri». (Pl. T.)

In alto: Arrigo Cipriani seduto ad un tavolo del suo Harry's Bar; sopra la Locanda Cipriani; nella pagina a lato un Mojito, cocktail reso famoso dalla letteratura di Hemingway, assieme al Daiquiri; nella pagina precedente Gianfranco Ivancic con Hemingway, al Floridita a Cuba, sorseggiano un Daiquiri


Il barone Alberto Franchetti

E'

"lui e IL MITO DELLA CACCIA"

E’ un Hemingway tenero e affettuoso quello che ricorda il barone Alberto Franchetti, figlio di Raimondo detto “Nanouk”, che lo conobbe a otto anni a San Gaetano, unico bambino ammesso alle battute di caccia in valle organizzate dal padre. «Hemingway venne ufficialmente in Veneto un paio di volte, nel 1948 e ‘53-’54 mi sembra. In realtà venne un sacco di volte, con Mary (Welsh, quarta moglie ndr), e tantissime in Valle a San Gaetano da noi, soprattutto in autunno quando si cacciava. Me lo ricordo molto bene dagli otto ai dodici anni, sono del ‘47, quindi tra il ‘55 e il ‘59. Si è spesso discusso sul fatto che fosse un bravo cacciatore o meno. Era un intellettuale, e nella botte di caccia in laguna ci andava, oltre che con il fucile, con un libro, il notes e una bottiglia di whisky per scaldarsi. La caccia per lui era importantissima, ma ne prevaleva l’aspetto mitico e letterario. Mi ricordo che le battute in valle si tenevano il sabato e la domenica, e si dormiva nel casone ai bordi della laguna per uscire poi all’alba. Tutti uomini, ero l’unico bambino ammesso: avevo otto anni, ero la mascotte del gruppo. La sera prima delle battute si stava tutti assieme, si chiacchierava, si beveva. Hemingway partecipava moltissimo, la vigilia della caccia lo emozionava, lo eccitava tantissimo. Per lui era una passione fortissima. E mentre tutti andavamo a dormire presto, perché ci si alzava con il buio, lui invece vegliava, scriveva, e andava a svegliare i cacciatori chiedendo: “Tempo bello? Tanto vento?”. Era una cosa buffa, disturbava tutti. Era geniale nel vestire. Metteva le giacche col piumino, le casacche mimetiche canadesi, giubbotti da pilota o giacche militari. Non si vedeva nessuno così vestito all’epoca, eppure, dieci anni dopo, a metà degli anni ‘60, tutti i

ragazzi si sarebbero vestiti così come lui. Ne anticipò i tempi, divenne poi una moda. Girava vestito così mentre le persone che frequentava indossavano giacca e cravatta. Era una persona burbera, fredda con gli altri. Eppure con me aveva dei gesti teneri, era molto affettuoso. Quando veniva a San Gaetano, arrivava con un’enorme limousine e autista. Immaginarsi il passaggio di questa macchina nelle strade

e tra i campi di allora. Tutti uscivano fuori dalle case per guardare. Una volta Hemingway fece una cosa sciocca. Portò con sé un sacco di caramelle e dolcetti, ed entrando nella tenuta si fermava davanti le case per darle ai tantissimi bambini che uscivano a vedere. Cominciarono a correre di casa in casa passandosi la voce, e prima ancora che lo scrittore arrivasse a casa mia, mio padre venne a sapere della cosa. Lo aspettò sull’uscio arrabbiatissimo e gli fece una scenata. Gli disse: “Non permetterti più di fare una cosa del genere! Non è dignitoso! Qui non siamo in Africa! Fallo ancora e non metterai

più piede qui!”. Quella volta veramente Hemingway rischiò di rompere l’amicizia con mio padre. Mio papà era un tipo paternalista. I miei avi vennero da queste parti quando ci fu il plebiscito per l’annessione del Veneto all’Italia, e acquistarono dei terreni. Ne bonificarono una parte, costruirono centinaia di case dove vivevano fino a qualche migliaio di persone. C’era la scuola, il medico, e la gente che vi abitava stava bene, aveva un reddito molto alto rispetto a tutti quelli che vivevano fuori la tenuta. Mio padre aveva un modo di pensar e fare molto ottocentesco, ci teneva molto alla gente che lavorava per lui. Erano altri tempi». (L. Z.)


Tarsillo Veronese autista del Barone Franchetti

"INDIGNATO PER LA FINE DEL PADRE"

Un Hemingway «indignato con suo padre perché si era ucciso» e che aveva vissuto la notizia del suicidio del genitore come qualcosa di «incredibile». Nonostante poi egli stesso avesse concluso la sua vita allo stesso modo. È la contraddizione nella personalità dello scrittore di Oak Park che emerge dai ricordi di Tarsillo Veronese («Dio solo sa perché i miei genitori mi hanno dato questo nome» commenta), per 42 anni autista del barone Franchetti, il proprietario delle tenute di caccia di San Gaetano di Caorle dove Hemingway era spesso ospite. Tarsillo aveva 15 anni quando incontrò per la prima volta l’autore di Al di là del fiume, tra gli alberi in quella villa, guarda caso, «circondata da platani secolari e attaccata al fiume» sottolinea. Tarsillo conserva un magazzino pieno di cimeli hemingwayani e parla di quegli incontri tra il ’48 e il ‘53 come se il suo mito lo avesse salutato un paio di ore fa. «Arrivò la prima volta a San Gaetano il 14 novembre del ’48 con una limousine nera enorme con autista - ricorda - Scaricammo 8 valige, 4 sue e della moglie Mary, tre fucili, due Remington e una doppietta Beretta con il calcio in madreperla, 4 cassette militari con le cartucce e una valigia piena di bottiglie di whisky». E citandone con precisione le frasi con cui aveva stigmatizzato il suicidio del padre Clarence e delineandone un rapporto ambiguo con la morte. «Parlava poco dei suoi ricordi della Prima Guerra Mondiale sul Piave perché, diceva,

erano dolorosi - ricorda – e diceva che quando sparava agli uccelli giù in Valle, pregava di mancarli. Quando li beccava e li raccoglieva, li accarezzava prima di metterli in carniere». La memoria di questo ragazzino del ’33 è quella di «un uomo buono, grande e grosso, generoso» che non disdegnava di mangiare con la servitù ed era incuriosito dalla vita quotidiana di un borgo all’epoca poverissimo. «La prima volta che venne, nel ’48, prima di andare via venne a salutarci nelle cucine della tenuta - ricorda – Mia zia, che era la cuoca del barone, aveva una gallina di 4 chili sul fuoco e gli offrì del brodo. Ne accettò una tazza, chiese un uovo che ci mescolò dentro crudo. Mi lasciò una mancia di 300 lire, molto di più di un mese di stipendio di mio padre». Le volte successive Hemingway si premunì di arrivare con una scorta di sigari e ne offriva in giro. «Chiedeva ai contadini come li trattasse il barone Franchetti e regalò mille lire alla mamma di un bimbo di 9 mesi che gli sorrise per farlo studiare» aggiunge Tarsillo che da un’altra immagine sorprendente di Hemingway. Cioè di non averlo mai visto sbronzo. «Vestiva un giubbino dell’esercito americano da cui ogni tanto tirava fuori una fiaschetta e beveva un sorso di whiskey – ribadisce Tarsillo – ma non si è mai ubriacato». Per la verità ricorda anche che alle 2 di una notte di neve di novembre aveva svegliato il capocaccia per chiedergli se il giorno dopo sarebbero volate le anatre. Non

proprio un comportamento da astemio, completato peraltro da un sorso di quelli buoni per consolarsi che il capocaccia lo aveva mandato a remengo. Insomma, qualcosa forse quel vecchio ragazzo di 15 anni lo avrà mitizzato. Ma non certo l’affetto per questo americano che trattava gli umili contadini veneti del dopoguerra come suoi pari. (Pl. T.) Sopra: Tarsillo Veronese, per molti anni autista del Barone Franchetti, ha raccolto una serie di cimeli legati ad Hemingway; nella foto spiccano una macchina da scrivere, una fotocamera e un paio di zoccoli appartenuti allo scrittore; a sinistra una vista della tenuta di San Gaetano; a destra la celebre New York University e la casa italiana Zerilli Marimò

L'anteprima

LE FOTO DI HEMINGWAY A NEW YORK

Da Venezia a Manhattan. La mostra fotografica “Il Veneto di Hemingway”, che ha celebrato nel 2011 a Venezia il 50esimo anniversario della scomparsa dello scrittore di Oak Park è piaciuta agli americani e dal 9 novembre al 15 dicembre debutta in chiave rinnovata nella Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University. Si tratta di una delle maggiori istituzioni culturali tricolori nel Nuovo Mondo. «É l’unica mostra fotografica organizzata in America per ricordare quest’anniversario - sottolinea con orgoglio il curatore della mostra, Gianni Moriani, docente a Ca’ Foscari - É un risultato importantissimo anche dal punto di vista della ricerca perchè la mostra vuole porre l’importanza per Hemingway dell’esperienza veneta all’attenzione della critica americana che finora l’ha sottovalutata». La mostra, peraltro, si arrichisce di alcune immagini che, al momento dell’esposizione all’Istituto Veneto, non erano disponibili. Il giudizio di Moriani è importante anche per fare la tara ai ricordi di alcuni testimoni delle esperienze venete di Hemingway. A partire dal ruolo della moglie Mary, perennemente intenta a prendere appunti tanto da far pensare che avesse avuto un rilievo nell’elaborazione dei romanzi del marito. «In realtà Mary ha fatto solo pasticci, addirittura modificando i romanzi postumi del marito» taglia corto il docente che conferma anche l’alcolismo dello scrittore «Era sempre bevuto e anche per questo motivo è certo che la sua relazione con Adriana Ivancich fu assolutamente platonica. A causa dell’alcol...». (Pl. T.)


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HEMINGWAY life GALLERY Una carrellata di immagini che raccontano la vita di Ernest Hemingway. Alcune di queste foto faranno parte, in anteprima, della mostra italiana dedicata allo scrittore che è in fase di allestimento a New York. A centro pagina l'attrice Linda Christian assieme alla contessa Adriana Ivancich al Gran Teatro La Fenice posano per il fotografo (4); A seguire: Ernest Hemingway in Piazza San Marco siede al Caffè Florian (1); i coniugi Hemingway chiacchierano assieme all'allora direttore dell'Hotel Gritti (2); la nipote dello scrittore Margaux Hemingway sorpresa dal fotografo (3); Hemingway a passeggio nell'isola di Torcello nel cuore della laguna veneziana (5); lo scrittore americano fotografato all'Harry's Bar mentra acquista una scatola di caviale da 1 chilo: fronte a lui lo storico barman Ruggero Caumo con Giuseppe Cipriani (6); Hemingway intento a leggere la prima pagina del Gazzettino Sera all’edicola di San Marco (7); l'americano sopravvisse ad un incidente aereo in Africa e, da li, si recò direttamente in Italia (8).; lo scrittore immortalato al mercato di Rialto mentre curiosa tra i banchetti di pesce fresco (9).

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Arts

Visite guidate a Ca’ Giustinian

cultura e affini in città

L’Arte possibile attraverso il videogame

GRATIS AL MUSEO MA SOLO SE è STATALE Dalle 19.00 alle 23.00 aprono gratuitamente i principali Musei statali, tra cui le Gallerie dell’Accademia e la Galleria Giorgio Franchetti a Venezia. Il Ministero per i beni e le attività culturali ripropone i “Martedì in Arte” per portare, in orari inconsueti, i cittadini nei luoghi d’arte, affinché anche chi lavora possa comunque visitare luoghi straordinari. Quando: 29 novembre 2011

Elogio del dubbio “L’arte è un gioco tra tutti gli uomini”: lo diceva Marcel Duchamp. Ma, rovesciando le carte, possiamo dire che i videogiochi di ieri e di oggi sono oramai un’arte? La domanda ha un senso dato che oramai le consolle hanno un fortissimo impatto sociale. Neoludica, evento organizzato alla Scuola dei Laneri a Venezia, indaga proprio questo aspetto del videogame. L’evento, esclusivo ed in prima mondiale, intende promuovere l’opera scientifica del progetto GameArtGallery, scandagliando coraggiosamente le connessioni tra videogiochi-arti visive-musica-cinema.

Ca' Giustinian è la rinnovata sede della Biennale di Venezia. Si tratta di un palazzo molto bello: spicca il restauro sontuoso della Sala delle Colonne, al primo piano. E’ visitabile contattando la Biennale di Venezia (www.labiennale.org). Al piano terra la grande reception, la terrazza che da su bacino San Marco. Tutto bellissimo. Quando: www.biennale.org

A PALAZZO ZENOBIO si celebra l'arte di crocetti

Il punto di partenza è sempre la Collezione del magnate François Pinault. L’elogio del dubbio è un percorso che narra della forza e della fragilità della condizione umana. La mostra vuol celebrare il dubbio nei suoi aspetti più dinamici, ovvero la sua forza nello sfidare i pregiudizi. La mostra è curata da Caroline Bourgeoise. 
Data: per vedere questa mostra c’è tempo, è aperta Quando: fino al 31 dicembre 2012

Quando: 27 novembre 2011

ULTIMI GIORNI PER LE ILLUMINAZIONI La 54. Esposizione Internazionale d’Arte, dal titolo, ILLUMInazioni, diretta da Bice Curiger, si svolge fino al 27 novembre ai Giardini e all’Arsenale (orario 10-18, chiuso il lunedì), nonché in vari luoghi di Venezia, delineando cosi un unico straordinario percorso espositivo. E’ senza dubbio la piu importante mostra d’Arte di tutto il globo; in attesa dell'edizione del 2013 vale la pena affrettarsi per visitarla prima della chiusura Quando: fino al 27 novembre 2011

Palazzo Zenobio per l'Arte e Collegio Armeno Moorat-Raphael ospitano fino al 27 novembre, nell'avvicinarsi del centenario della nascita, l'opera del grande Maestro Venanzo Crocetti, che proprio a Venezia ebbe tra i suoi più grandi successi e forse i maggiori riconoscimenti artistici internazionali. Un’importante antologica, dallo straordinario valore artistico e culturale, sintetizza tutto il percorso dell'artista, dagli esordi dei primi anni trenta, fino alle sculture degli ultimi anni del secolo scorso. A cura di Marco Agostinelli. Quando: fino al 27 dicembre 2012


Artisti per Noto e altrove Vittorio Sgarbi continua a fare il curatore a Venezia con la mostra “Artisti per Noto” allestita nel “suo” Palazzo Grimani. Il percorso espositivo inizia con Francesco Mori e Roberto Altmann, Giuseppe Bergomi, Tullio Cattaneo, Vito Cipolla, Bruno d’Arcevia, Gaspare da Brescia, Stefano Di Stasio, Filippo Dobrilla, Giuseppe Ducrot, Roberto Ferri, Cesare Inzerillo, Ottavio Mazzonis, Rocco Normanno, Livio Scarpella, Demetrio Spina, Oleg Supereco, Croce Taravella, Giovanni Tommasi Ferroni. Per ogni artista saranno esposti alcuni dei bozzetti eseguiti in previsione della realizzazione delle pale d’altare, vetrate, sculture e catino absidale per la Cattedrale di Noto, la grandiosa Basilica barocca del Settecento che, dopo alcuni primi danni alla struttura dovuti al terremoto di Santa Lucia nel 1990, subì il crollo della cupola, avvenuto nel 1996, della navata maggiore e di quella orientale anche a causa di un difetto costruttivo. Subito dopo la Chiesa fu definitivamente chiusa al culto. Quando: fino al 27 Nov 2011

L'EGITTO che stregò la potente serenissima IDEE PER UN AUTUNNO ANCHE IN TERRAFERMA 
Un ricco calendario di tantissimi eventi musicali, teatrali, sportivi, letterari, enogoastronomici. Appuntamenti legati anche alla fotografia, all’ambiente, alla storia, spettacoli di strada, animazioni per bambini, in tutta l’area della terraferma veneziana. Info: http://www.autunnomestrino.it Quando: fino al 6 gennaio 2012

UN PIANOFORTE PER QUATTRO MANI 
Marco Rapetti e Aldo Orvieto pianoforte a quattro mani suonano Gustav Mahler in una trascrizione per pianoforte a quattro mani di Alfredo Casella. Un prodigio sulla tastiera del pianoforte da vedere nelle sale Apolinee della Fenice. Per informazioni e biglietteria www.exnovoensemble.it Quando: 4 dicembre 2011

Un evento intrigante. E, come Cleopatra sedusse prima Cesare e poi, fatalmente, Marco Antonio, così il fascino dell’Egitto seppe conquistare prima Roma e poi, nel tempo, l’intero Occidente e così pure Venezia. La mostra che si tiene a Venezia, fino al 22 gennaio 2012, nella spettacolare Sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale – cuore e simbolo della Serenissima – illustra i rapporti tra “Venezia e l’Egitto” nel corso di quasi due millenni: dai ritrovamenti archeologici che documentano relazioni in età classica, fino all’apertura del canale di Suez, un’iniziativa proposta dal governo marciano già nel primo ‘500 e realizzata solo nel 1869 su progetto dell’ingegnere trentino Negrelli all’epoca capo delle ferrovie del Lombardo-Veneto. Nel mezzo stanno figure ed eventi spesso eccezionali , lungo un filo rosso storico finora mai dipanato nel suo insieme. Dalla traslazione del corpo di San Marco da Alessandria nell’828, alle avventure ottocentesche di esploratori come Giambattista Belzoni, uno dei padri dell’archeologia italiana, e Giovanni Miani; dalle peripezie di mercanti e diplomatici all’inseguimento di merci, tesori e terre, alle curiosità di umanisti e scienziati alle prese con i misteri dei geroglifici, delle piramidi e dell’antica scienza dei faraoni. Il tutto accompagnato da reperti prezio-

si, testi inediti e da opere d’arte che mostrano come i grandi maestri veneziani – da Giorgione a Tiziano, da Tintoretto a Tiepolo, da Amigoni a Strozzi, da Piranesi a Caffi – immaginarono l’Egitto. Quello che emerge dalle nove sezioni in cui è articolata la mostra è un quadro vivido di contiguità, di famigliarità, di rapporti tra mondi diversi: paesi “lontani” per lingue, tradizioni, costumi e religioni che pure furono capaci di dar vita, grazie a relazioni protrattisi per secoli, a quella che può essere definita una “civiltà mediterranea”. Relazioni fortissime, se è vero che Venezia è l’unica città europea che sin dall’anno Mille ha un nome arabo distinto da quello originale: “al-bunduqiyya”. Una vicenda culturale dunque complessa e articolata raccontata in una mostra che saprà sorprendere, per i risultati delle ricerche condotte e per l’eccezionalità di molte delle oltre 300 opere riunite in questa occasione. Il progetto scientifico, curato da Enrico Maria Dal Pozzolo dell’Università degli Studi di Verona, e da Rosella Dorigo e Maria Pia Pedani dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, con progetto allestitivo di Michelangelo Lupo, ha visto infatti coinvolti quasi 70 specialisti tra comitato scientifico, schedatori ed esperti impegnati nell’analisi dei materiali e nelle indagini relative.


Una bottega editoriale raccontata in una mostra fatta per i maniaci della carta

AI TEMPI DI ONGANIA

L

di SHAULA CALLIANDRO

La prestigiosa sede del Museo di San Marco rende omaggio a Ferdinando Ongania, uno dei personaggi più rappresentativi nel campo dell’editoria veneziana: in occasione del centenario della sua morte, ospita la mostra "Ferdinando Ongania – La Basilica di San Marco 1881 -1893", fino al 27 novembre. A cura di Irene Favaretto ed Ettore Vio, è promossa dalla Regione del Veneto, dal Comitato Regionale Celebrazioni Centenario Ferdinando Ongania (1911-2011) e dalla Procuratoria di San Marco. L’esposizione comprende preziosi originali scelti tra il materiale prodotto a fine Ottocento dall’editore per la sua monumentale impresa La Basilica di San Marco in Venezia: una straordinaria galleria di immagini che pone in dialogo l’opera editoriale e artistica di Ongania, voluta per documentare lo stato del monumento e salvaguardarlo, il percorso del Museo e la Basilica di oggi. Edita tra il 1881 e il 1893, l’opera nacque in un clima culturale che vide tra i protagonisti cultori dell’arte, della sua tutela e del suo restauro, come John Ruskin, Pompeo Gherardo Molmenti, Pietro Selvatico, Alvise Zorzi, Camillo Boito, tutti frequentatori

della “bottega” Ongania, sotto i portici delle Procuratie in piazza San Marco. Pubblicata in 18 volumi, di cui tre copie ora sono conservate dalla Procuratoria, l’opera è frutto di un lavoro durato 13 anni che coinvolse storici, archeologi e architetti, e che produsse un eccezionale apparato illustrativo di fotografie, eliotipie, eliografie, cromolitografie e incisioni, con il contributo di pittori, disegnatori e fotografi. Ogni dettaglio della Basilica venne documentato. Questi straordinari originali vengono riprodotti anche nel catalogo della mostra. Un’opera ed un lavoro monumentale realizzati con tecniche innovative nel campo editoriale, ancora ai sui esordi in Italia, facendo di Ongania e della sua libreria un punto di riferimento per scrittori, artisti e studiosi italiani e stranieri, che partecipavano attivamente al dibattito sulla conservazione dei monumenti veneziani. Tutto questo in nome non solo della passione per una professione, ma anche e soprattutto dell’amore per Venezia. Oltre a La Basilica di San Marco in Venezia, infatti, tra le opere di indiscusso valore artistico della sua attività editoriale relativa alla città lagunare meritano di essere ricordati la "Raccolta delle vere da pozzo in Venezia del 1889", "Calli e canali in Vene-

zia" e "L’architettura e la scultura del Rinascimento in Venezia" pubblicati nel 1893. Non solo i turisti, ma anche i veneziani potranno cogliere l’occasione per approfondire la propria conoscenza della storia di Venezia. E per agevolare la cittadinanza la Procuratoria propone facilitazioni d’ingresso e visite guidate con i curatori durante i mesi di ottobre e novembre. In particolare è previsto un prezzo d’ingresso ridotto di 2,50 euro nei giorni martedì, giovedì e sabato alle ore 11 e alle ore 15.30. Le visite guidate con i curatori si terranno il 5 novembre alle 10.30 e il 12 novembre alle 10.30. L’accesso alla mostra è diretto dalla Piazzetta dei Leoncini. La prenotazione è obbligatoria.


IMPARA A SUONARE IL DUDUK ARMENO

ASSAGGI LETTERARI AUTUNNO 2011 La verità è che volevamo invitarvi all’incontro sugli “Sciroppi dal gusto unico: lavorare il frutto per ottener l’aroma”, ma l’incontro con Marco Beltrami, amministratore delegato e direttore di produzione Cedral Tassoni Spa, si è tenuto ai primi di ottobre e percio’ niente da fare (ma di quella chiacchierata ve ne daremo conto...). Adesso ci concentriamo, sempre nell’ambito degli assaggi letterari, sul “matrimonio tra noce e vino novello” con la partecipazione di Giancarlo Potente Presidente della Coop Agricola Noceto. Interessante e curioso alla Bcm acronimo trendy per indicare la Biblioteca Civica di Mestre, in terraferma. Attenzione: si entra solo prenotando: basta una chiamata allo 041 2392082 Quando: 29 novembre 2011

La prima domanda che sorge spontanea è: cos’è il Duduk? Si tratta di uno strumento a fiato a doppia ancia, costruito in legno d’albicocco e simbolo della tradizione musicale armena. Il duduk (considerato convenzionalmente come l’oboe armeno) è uno strumento popolare dal timbro caldo, leggermente nasale e dalla sonorità fortemente evocativa, che accompagna i canti e le danze di tutte le regioni dell’Armenia. E a Venezia c’è pure la possibilità di imparare a suonarlo. Quando: dall’11 al 13 novembre 2011

SCOPRI COSì SE TUO FIGLIO è UN CREATIVO Biennale: gli Atelier creativi per le famiglie dove sono protagonisti bambini (dai 4 ai 10 anni), i genitori e i nonni. Tutti al lavoro ai Giardini della Biennale o all’Arsenale per quasi due ore e scoprirsi artisti. L’iniziativa è aperta a tutti i nuclei familiari (l’importante è che ci sia un bambino insomma...) ma ricordate che la prenotazione è obbligatoria e che il biglietto di ingresso all’Esposizione non è incluso con l’accesso all’Atelier creativo. Per saperne di piu basta telefonare allo 041 5218828 (dal lunedi al venerdi dalle 10.00 alle 17.00 e il sabato dalle 10.00 alle 13.00) oppure scrivere a promozione@labiennale. org. Da provare, se avete i requisiti d’età. Altrimenti leggete la prossima “Thumbnail” (ovvero le nostre notizie in miniatura). Quando: 6, 13, 20, 27 novembre 2011


Alla Guggenheim arriva Luca Massimo Barbero

TEMI&VARIaZIONI, E TRE... di PAOLA DE TROIA La terza edizione della mostra “Temi&Variazioni” allestita alla Peggy Guggenheim Collection fino al 1 gennaio 2012 segna il ritorno di Luca Massimo Barbero nella città lagunare. Dopo due anni di direzione al Macro, e a soli sei mesi dall’apertura del

La mostra, al centro della stagione autunnoinvernale del museo Guggenheim, riprendendo per la terza volta una formula curatoriale originale e intelligente ideata dallo stesso Barbero, mette in relazione le opere storiche della collezione con creazioni di artisti più contemporanei. Dal dialogo tra le avanguardie ormai storicizzate e le nuove forme espressive nascono stimoli e chiavi interpretative diverse che contribuiscono a portare uno sguardo “ingenuo” anche su quelle opere che abbiamo visto, ammirato e studiato a più riprese. I collegamenti e gli accostamenti formali e non solo tra opere che conosciamo e creazioni più recenti, consentono di accantonare, almeno per una volta, i canoni interpretativi consueti per guardare con occhi nuovi e, se possibile, più spontanei, quello che abbiamo di fronte. La mostra ci offre così l’occasione di rinnovare l’interesse per una collezione strepitosa come quella del Museo Guggenheim di Venezia. Nel percorso volto all’evoluzione dei temi e dei segni in nuove forme espressive attraverso

Museo romano, il reputato curatore ritorna con questa mostra a Venezia, lasciandosi alle spalle fiumi di inchiostro e polemiche circa la sua dipartita romana, come sempre più spesso accade nel panorama culturale (e purtroppo non solo) d’Italia.

il Novecento, in questa edizione della mostra viene posto l’accento sul tema della scrittura. La scrittura come linguaggio e segno, la scrittura attraverso la materia e la pittura, attraverso i segni che suggeriscono immagini, ma anche la scrittura che approda al carattere tipografico. Nel dialogo fitto tra contrasti e assonanze, ogni sala del museo si fa narratrice di un tema, una vicenda o una curiosità tenendo desta l’attenzione del visitatore. Tanti i nomi degli artisti esposti che spaziano dai più celebri quali Pablo Picasso, Jackson Pollock, Francis Bacon o Piet Mondrian, per citarne solo alcuni, a quelli più contemporanei come, ad esempio, Lawrence Weiner, Gianni Colombo o Riccardo De Marchi. La mostra prende avvio con contrasti forti e ironici tra quello che è stato e quello che è il rapporto con il segno, suggerendo via via accostamenti originali e a volte stridenti. Conclude l’esposizione la mostra “Gastone Novelli e Venezia”, articolata secondo la medesima chiave di lettura e legata al concetto

sopra: Sol LeWitt - Irregular Grid 1999 Collezione Artiaco, Pozzuoli nella pagina accanto, in grande: Pablo Picasso Pipe, verre, bouteille de Vieux Marc Pegg y Guggenheim Collection, Venezia nella pagina accanto, in alto a destra: Francis Bacon Studio per scimpanzè - Marzo 1957 Pegg y Guggenheim Collection, Venezia


Il curatore Luca Massimo Barbero ha deciso di portare alla "casa di Peggy" anche una serie di lavori inediti di Gastone Novelli

di segno. Realizzata in collaborazione con l’Archivio Gastone Novelli di Roma, questa mostra nella mostra è un omaggio all’artista Gastone Novelli e in particolare al suo rapporto con la città lagunare. Accanto ad alcune delle opere con cui Novelli partecipò alla Biennale del ’68, Barbero ha deciso di portare al Guggenheim una serie di lavori inediti e mai esposti prima che ripercorrono il rapporto che l’artista instaurò con Venezia. La sua scrittura poetica, le sue tele equilibrate e vibranti, animate da segni, colori e parole, sono accostate ai preziosi taccuini degli anni ’60 in cui Novelli raffigurò Venezia, sua costante fonte di ispirazione, e alle opere realizzate tra il ’64 e il ’68, alcune delle quali dedicate alla città o create nello studio veneziano alla Giudecca. R ipercorrendo la biografia di Gastone Novelli salta all’occhio una vita intensa e travagliata, punteggiata di momenti forti, viaggi, incontri e spostamenti che sicuramente hanno tutti contribuito a fare di lui quell’artista che oggi conosciamo e

apprezziamo, stratificandosi nella sua tecnica artistica e rendendola unica. Tra i passaggi della vita di Novelli non è sempre chiaro il ruolo di Venezia, e il rapporto dell’artista con la città è spesso relegato alle partecipazioni alle Biennali del ’64 e del’68. In particolare si ricorda la Biennale del’68 per quel suo famoso gesto per cui, aderendo all’intervento contro la polizia all’interno dei Giardini, Novelli si rifiutò di esporre le proprie opere voltandole contro il muro. In merito a questo episod io, lo stesso Novelli scrisse a Vittorio Corrain, proprietario del ristorante All’Angelo, importante collezionista, nonché suo caro amico: «Ci sono momenti, per fortuna rari, nella vita in cui è necessario pagare un contributo alla propria dignità umana. So bene che oramai, tenendo anche conto del fatto che non sono per nulla un vero rivoluzionario, ma che amo una certa mia mondanità, il mio gesto rischia di essere Don Chisciottesco. […] Ma adesso, onestamente, gli unici motivi per cui si può tornare

ad appiccicare le cose al muro, a quel muro, sono motivi chiaramente fragili: l’esempio degli altri, la vendita di un quadro, una recensione sul giornale. Io sono già andato al di là di questa Biennale». La mostra allestita al Guggenheim ha il pregio di ricordare come Venezia coincida anche con un rinnovato momento creativo del lavoro di Gastone Novelli sottolineando come i momenti veneziani siano, al di là delle partecipazioni alle Biennali, densi di significato. È qui che l’artista approfondisce la sua ricerca sulle origini culturali della nostra civiltà, e la sua pittura si colora di rosso, quasi una lontana eco sognatrice dei maestri veneti del Cinquecento. È proprio a Venezia che le suggestioni dell’antico si mescolano con le immagini del mondo della natura, con i conflitti del mondo moderno e le grandi ideologie politiche, intensificando la sua già incredibile vocazione narrativa in segni sempre più incisivi e immagini complesse.


I CRISTALLI INFINITI DI CURTO Migliaia di cristalli impenetrabili, pietre che rimandano i bagliori dell’infinito, minerali iridescenti che raccontano storie lontane si dispongono per comporre l’opera di Stefano Curto. Attraverso questa originale tecnica espressiva, il giovane artista veneto, fino al 27 novembre in mostra a Villa Contarini di Piazzola sul Brenta nell’ambito della Biennale di Venezia, dispiega i contenuti della sua indagine, fortemente incentrata sulla necessità di ricongiungersi all’armonia della natura e del cosmo. Quando: fino al 27 novembre 2011

L'ESSERE UMANI DI GIOVANI A TEATRO E’ “Essere Umani” il titolo-guida e il tema conduttore dell’edizione 2011-12 (la nona) di Giovani a Teatro, piattaforma progettuale sulla cultura delle arti dal vivo proposta da Fondazione di Venezia/Euterpe Venezia alle nuove generazioni e agli adulti, educatori, cittadini del territorio dell’area provinciale veneziana, con l’intento di stimolare a riflettere sull’essenza del genere umano. Spettacoli, progetti, laboratori, in diverse location della città. Quando: fino al maggio del 2012

TORNA A VENEZIA IL SALONE DEI BENI CULTURALI Torna protagonista a Venezia il Salone dei Beni Culturali: si tratta della quindicesima edizione. Al bbcc expo vengono presentate le più interessanti novità del panorama nazionale ed internazionale della cultura. Il bbcc expo, dove si puo' assistere anche a Restaura, permette di aderire alla Borsa della Cultura dove i protagonisti della filiera si incontrano per discutere le strategie d’intervento e concordare proficue sinergie nel campo del restauro e della valorizzazione. A corollario della fiera un intenso programma di iniziative, dibattiti, seminari ed eventi sui temi più attuali, con il contributo di illustri relatori del panorama culturale italiano ed estero e con la collaborazione del Metadistretto Veneto dei beni culturali. Il salone sarà ospitato al porto di Venezia nell'area della Vtp. Quando: dall'1 al 3 dicembre


Le proposte da vedere oltre laguna

CAPPUCCINO DA TIFFANY

I

di LUCIO MARIA D'ALESSANDRO

In occasione del 50° anniversario di Colazione da Tiffany e in contemporanea con il Festival Internazionale del Film di Roma, per la prima volta la capitale celebra Audrey Hepburn, attraverso una mostra-omaggio. Un tributo alla grande star nella “sua” Roma che servirà a raccogliere fondi per il progetto di lotta alla malnutrizione infantile sostenuto dal Club Amici di Audrey per Unicef, a cui la stessa Audrey ha dedicato una parte importantissima della sua vita in qualità di Ambasciatrice di buona volontà. L’integrazione nel prez-

zo del biglietto, infatti, sarà interamente devoluta in beneficenza all’Unicef. Considerando il legame tra la vita di Audrey e la storia della moda, le immagini saranno accompagnate da alcuni abiti e accessori. Creazioni di Givenchy, Valentino, e tanti altri che rappresentano anche il modo di vestire di quel periodo, con abiti indossati da Audrey nella vita di tutti i giorni. Audrey a Roma Mostra-omaggio a Audrey Hepburn a sostegno dell’Unicef Museo dell’Ara Pacis, Roma Fino al 4 dicembre 2011 www.arapacis.it


INTER/VALLUM

LA MERAVIGLIA DELLA NATURA... MORTA A partire dal 2001 la Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona ha messo a disposizione del pubblico la sua collezione d’arte che, grazie ad una serie di selezionate acquisizioni, rappresenta oggi un qualificato polo di studio e valorizzazione della pittura italiana tra Ottocento e Novecento, con particolare riferimento alle figure di maggiore rilievo del Divisionismo. Con una grande rassegna, curata dalla storica dell’arte Giovanna Ginex e intitolata “La meraviglia della natura morta. 1830-1910. Dall’Accademia ai maestri del Divisionismo”, quest’inverno sarà possibile ammirare con una veduta ampia le più belle opere dei maestri Hayez, Talloni, Longoni, Scrosati, Segantini, Pellizza da Volpedo, Carcano. L’esposizione, che si propone come una mostra di studio in particolare del fenomeno del collezionismo d’epoca, presenta una serie di nature morte tra le più affascinanti della pittura italiana dell’Ottocento, di cui un cospicuo nucleo - diciassette opere - sedici delle quali oggetto di un attento restauro finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona - proviene dalla Galleria d’Arte Moderna di Milano, con la quale è stato siglato in occasione della rassegna uno specifico accordo di collaborazione. La meraviglia della natura morta. 1830 -1910 Dall’Accademia ai maestri del Divisionismo Palazzetto medievale - Pinacoteca Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona , a Tortona (Al) Fino al 19 febbraio 2012 Catalogo: Skira Editore

L’esposizione monografica di Roberto Ciaccio “Inter/vallum” segue due importanti eventi espositivi e costituisce il terzo momento di un percorso che mette a confronto l’opera di Ciaccio con l’architettura (Milano 2011 Palazzo Reale Sala delle Cariatidi), con la filosofia (Berlino 2006 Kulturforum Kupferstichkabinett Musei Statali) e con la musica (Roma 2008 Istituto Nazionale per la Grafica Palazzo della Fontana di Trevi). Il carattere di temporalità sospesa della Sala delle Cariatidi e il ritmato scandirsi a “intervalli” delle Cariatidi rendono il luogo quanto mai appropriato alla poetica del tempo, della traccia e della “revenance” espressa dall’opera artistica. Le grandi lastre di metalli diversi - ferro, rame, ottone, zinco - e le grandi opere su carta, così come la serie dei piccoli fogli di papier japon, aprono spazi illusori tridimensionali al proprio interno attraverso le molteplici stratificazioni dei piani e dei valori cromatici. Inter/vallum Palazzo Reale Milano - Sala delle Cariatidi Fino al 20 novembre 2011 Ingresso gratuito

Il tema portante dell’esposizione riguarda l’attività di Cézanne in Provenza, con perno ad Aix e nei celebri atéliers. Cézanne e les atéliers du Midi Milano Palazzo Reale Fino al 26 febbraio 2012 Catalogo: Skira Editore

LA PADOVA INFORMALE DI PAOLO COLTRO Padova Informale è la prima mostra fotografica del giornalista Paolo Coltro (Nuova Venezia, Mattino di Padova, Tribuna di Treviso). Le sue fotografie raccontano di spazi della città di Padova che ci sono ben noti, da Via Venezia ai palazzi e agli edifici più celebri, dal Portello alle piazze. Ma nonostante alcuni indizi ci facciano capire che "ci troviamo qui", esse ci traducono in uno spazio altro, decontestualizzato, stravolto e illuminato dalla magia di un click. La mostra è visitabile presso il centro culturale Altinate-San Gaetano. Padova Informale - Fino al 20 novembre 2011

SUSPENSE

CÉZANNE E LES ATÉLIERS DU MIDI La mostra aperta a Palazzo Reale dal 20 ottobre vuole essere un omaggio al grande maestro originario di Aix-en-Provence e alla sua straordinaria e personalissima maniera pittorica, che ebbe grande influenza sugli artisti dei movimenti successivi come il Cubismo e il Surrealismo.

Un viaggio solitario alla ricerca della smarrita auto-identificazione dei giovani di oggi, dove ogni sosta e ogni incontro con la realtà sono una forma di suspense. Questo il cuore del progetto di Tim Parchikov “Suspense”, promosso dal Comune di Roma in collaborazione con Fotografia Festival Internazionale di Roma. La mostra - a cura di Olga Strada, sarà ospitata dal Museo di Roma in Trastevere - raccoglie circa cinquanta scatti ed è il risultato delle ricerche che il fotografo, operatore e regista moscovita, ha condotto nel suo lavoro. In essa sono raccolti gli scatti realizzati negli ultimi tre anni in varie città dell’Europa e del mondo. Suspense - Museo di Roma in Trastevere Fino al 13 novembre 2011





Elisa Balasso, architetto, Presidente di Voglia D'Arte, inventa la VD Week

UN' IDEA DI DESIGN

V enice D esign W ee k : capit o l o sec o nd o. Dieci giorni dedicati alla creatività e alle sue interazioni con la storia e il territorio veneziano. Una iniziativa tenutasi ai primi di Ottobre organizz ata dall’A ssocia zione Vogliada rte . un'idea r icca di contaminazioni da parte del

mondo produttivo, dall’artigianato e dalle arti visive con la straordinaria storia della città di Venezia. Un m i x potente i deato da Lisa Balasso, architetto, presidente di Vogliadarte. E’ lei che abbiamo incontr ato per farci r accontar e com’è andata.


Arte, design, artigianato e industria si incontrano a Venezia. Perché una design week in Laguna? Per colmare un vuoto. Ogni capitale con rilevanza culturale ha la sua design week, a Venezia mancava. Venezia è propositiva con le Biennali d’arte e di architettura ma non ha eventi specifici che leghino arte e artigianato con la produzione industriale caratteristica della campagna veneta. L’artigianato di qualità a Venezia è sempre esistito ed è sempre stato apprezzato: pensiamo a Fortuny, Venini, Rubelli, Dalla Pietà, per citare alcuni nomi, e non dimentichiamo l’occhialeria e l’oreficeria. Il design è quel processo che porta le aziende artigianali e industriali a crescere in quanto capace di iniettare un nuovo spirito e nuova capacità a competere. Quali sono i tratti distintivi della Desing Week in salsa veneziana? Rispetto ad altre Design Week a Venezia crediamo sia importante mantenere un’aderenza al tessuto sociale che ci circonda per questo abbiamo coinvolto i non addetti ai lavori in esperienze che potessero avvicinarli al design contemporaneo tramite la sperimentazione e la conoscenza della nostra storia. Sono state organizzate con gli amici dei musei e dei monumenti veneziani una serie di visite alla scoperta del “protodesign” alla ricerca dell’artigianato di qualità che è racchiuso negli oggetti di uso quotidiano. Inoltre i più piccoli hanno giocato nei laboratori “Ri-ciclone il design che campione!” per riflettere sul ciclo di vita di un oggetto che viene pensato costruito e poi va o riciclato o distrutto. I laboratori che si sono svolti per due domeniche hanno permesso di giocare con bottiglie, tappi e altri oggetti di scarto per arrivare a costruire oggetti ornamentali o lampade o gioielli dai colori vivaci. La Venice Design Week inoltre ha selezionato una serie di progetti che sviluppano il tema LIQUIdiSEGNI per porre l’attenzione sul rapporto con l’elemento acqua quale elemento fonte di vita, di rinnovamento, di continuo mutamento arrivando a costruire un’esposizione di oggetti apparentemente eterogenei ma che dialogano in maniera forte con la città e il nostro vivere quotidiano. Affianca l’iniziativa un concorso internazionale per giovani creativi. Da chi è composta la giuria? Chi sono i premiati 2011? In che modo la partecipazione può incoraggiare la loro crescita professionale? La giuria è composta dai rappresentanti delle scuole di Design: Eugenio Farina direttore didattico della Scuola Italiana di Design, Federico Bosisio direttore Istituto Europeo di Design di Venezia, Dörte Schultze-Seehof direttore della Design Akademie di Berlino, Massimo Martignoni storico dell’arte e docente presso il NABA di Milano, Christian Campagnaro del Politecnico di Torino e Giorgio Tartaro giornalista e autore televisivo. Il primo premio pero’ non è stato assegnato: nessun progetto rispondeva completamente a tutti i requisiti richiesti dal bando; secondi, pari merito, Edith Kollath, provieniente dalla Germania, con l’opera Sigh: si tratta di una “scultura accartocciata ad arte” che diviene poltrona, tavolo, porta-oggetti, quasi a trasmettere la tensione del progettista nella fase progettuale di realizzazione e distruzione e rigenerazione del proprio pensiero progettuale; e poi Marco Vidoni,

SAPERE E SAPER FARE di Federico Bosisio*

Perché il colore delle Design week è il fucsia? Il Magenta è stato scelto insieme al Ciano dall’agenzia AD3 comunicazione durante la progettazione grafica della prima edizione perché ha una carica energetica unica, non è associato a stati d’animo particolari ed è kitsch. Inoltre fino al 2010 non era stato abusato. Posso anticipare che il colore dell’edizione 2012 sarà il Ciano e dal 2013 partirà un nuovo concorso grafico che rinnoverà completamente tutta l’immagine della Venice Design Week.

Venezia, cittá d’arte, cultura e turismo, raffinata erede di un patrimonio architettonico e ambientale unico al mondo, tra il 1º ed il 9 di Ottobre 2011, ha ospitato la seconda edizione della Venice Design week, una manifestazione giovane e dinamica, che fa della diffusione e del fomento del design il suo principale obiettivo. Non appena Lisa Balasso lo scorso anno mi propose la possibilitá di partecipare e di sviluppare nuove attivitá congiunte, provai un grande piacere nell’immaginare che la cittá potesse ospitare nel suo centro storico una serie di Workshops, conferenze ed esposizioni legate al mondo della creativitá applicata e della progettazione industriale. Credo fermamente che l’opportunitá di dar voce al gran numero di designer e creativi presenti sul territorio, considerando il Nord Est una regione ricchissima di opportunitá e genio, sia stata vissuta dal pubblico in maniera assolutamente positiva. Di fatto alla Design week é abbinato un concorso, stimolo e motore dell’evento, che ha raccolto una cinquantina di progetti provenienti da tutta Europa, e che ha evidenziato come il design sia ormai divenuto un richiamo irresistibile per moltissime categorie professionali, dagli architetti ai commercianti. “ Fabbricare cose” il suo tema e moltissimi i progetti capaci di interpretare queste due anime della creativitá applicata e della progettazione: l’ideazione e la realizzazione. Viviamo infatti un momento storico molto particolare che ha visto sovrapporsi e confondersi con un‘ eccezionale rapiditá filosofie e strumenti progettuali che si sono passati il testimone con un chiaro sguardo al futuro. Al tecnigrafo e al rapidograf si é sostituito un personal computer provvisto di mouse, al Pantone ed ai suoi preziosi refill si é sostituito il catalogo virtuale di colori dell’Adobe suite. In questa fase i giovani che si avvicinano al mondo della creativitá desiderano risposte sempre piú immediate e percorsi sempre piú personalizzati nei settori del prodotto, della moda, della comunicazione visiva e del management. Gli interlocutori sono in costante evoluzione ed ai libri si stanno sostituendo le ricerche online, dall’autoritá docente, un tempo riferimento di una vita, si sta passando alla trasversalitá esperienziale, quello strumento in grado di offrire al nuovo creativo un ‘apparente conoscenza generale, che in realtá purtroppo spesso si tramuta in spocchiosa superficialitá, la stessa che senza un ripensamento dei nostri fondamenti formativi, rischia di compromettere il valore del nostro “Made in Italy”. Come spesso ribadito sono estremamente convinto che lo strumento principe per accedere ad una corretta progettazione e per ampliare i confini della creativitá sia la cultura, condita da una buona dose di curiositá. Il sapere é preventivo e complementare al saper fare, le nostre mani infatti si muovono guidate dal nostro cervello e dai nostri pensieri, figli delle nostre esperienze personali. Mi auguro che la prossima Venice Design Week 2012 sia foriera di nuovi talenti e di uno spirito in grado di racchiudere esperienze creative ed competenze industriali ed artigianali, coinvolgendo non solo la cittá ed il suo centro storico, ma anche il territorio circostante ed il suo tessuto produttivo. Sarebbe per Venezia tutta, dal Lido fino a Carpenedo, una grandissima conquista.

(S. B.)

*Direttore IED Venezia

con Concrete Desk, un set da scrivania in cemento. Il terzo premio è andato all’architetto Sandra Faggiano, con Bricable, un set di complementi per la tavola realizzati con laterizi di diverse forme e proporzioni rielaborati e riprogettati per essere utilizzati come oggetti di uso quotidiano. I progetti che hanno partecipato al concorso internazionale “FABBRICARE COSE | art | handcraft | industry sono stati esposti per nove giorni, sono tutti firmati da designer giovani o emergenti provenienti da Europa, Asia e America Latina. Giunta alla seconda edizione, che risonanza ha avuto la Venice DW fra le imprese più innovative del territorio? Che prospettive di sviluppo? Le imprese del territorio si sono rese disponibili a collaborare alla prossima edizione aderendo all’iniziativa che verrà promossa per la terza edizione di “porte aperte a dialogo con i designer”. L’esposizione dei progetti del concorso e LIQUIdiSEGNI è stata richiesta da associazioni di imprese per animare il dialogo sulla creatività, le potenzialità di sviluppo del confronto sui temi affrontati in questa settimana sono ampie. Localmente nel centro storico tra le altre iniziative abbiamo promosso una mappa online dalla città di Venezia disponibile su tutti i device mobili con connessione ad internet per selezionare realtà artigianali particolari: un primo passo per poter dare visibilità alla creatività locale a fianco alle esposizioni di designer internazionali. La Biennale veneta del Design è stata affidata dalla Regione alla Triennale di Milano. Cosa ne pensa? Ottimo se il tutto viene seguito e portato avanti in maniera accurata coinvolgendo aziende associazioni e creativi in un programma curatoriale di spessore. Venice Design Week è una realtà pronta a collaborare in progetti di respiro internazionale con tutte le realtà che sono operative nel territorio per la promozione del dialogo sul “Design” inteso come processo capace di dare risposte alle esigenze reali.


Patti Smith, icona dei mitici Settanta, si racconta nel nuovo millennio a L'Illustre

IO, PRIGIONIERA DI ME Ossuta e minuta, treccine da squaw pellerossa, anfibi slacciati, anelli etnici, giacca nera stazzonata. I capelli sono più bianchi che rossi e gli occhi, cerchiati da una ragnatela di rughe su un viso spigoloso che porta i segni di una vita turbolenta, sono meno spiritati di un tempo. Ma, anni che passano a parte, Patti Smith, giunta alla Biennale di Venezia

per un reading poetico su Rimbaud, vecchio amore della giovinezza, è esattamente come te la aspetteresti. Come se si fosse appena svegliata da una notte passata su una panchina del Central Park insieme a Robert Mapplethorpe, il geniale fotografo che fu il suo primo amore, e fosse capitata, chissà come, ai Giardini. E tutto ciò non mi piace molto.


Generalmente non apprezzo i personaggi che, al momento dell’intervista, non ti sorprendono ma si rivelano esattamente come li immagini. E Patti Smith non fa eccezione. Anche perché su tutto aleggia un’impressione di costruito. Dai jeans sdruciti infilati in calzettoni militari che faranno tanto “maudit”, ma sono griffati. Alla giacca, che sarà anche roba da mercatino delle pulci, ma dal taschino interno salta fuori spesso un Iphone molto manageriale e poco proletario. Come ogni cantante americano di passaggio nel Bel Paese ne tesse le lodi («Sono nata a Chicago, cresciuta a Philadelphia, e ho passato molto tempo in Italia, una terra cui sono molto legata» sottolinea). Ma in questo caso non è la solita frase fatta, perché l’Italia è davvero importante per Patti. E non perché da anni la sua “Because the night”, associata alle immagini dell’Atalante di Jean Vigo è la sigla di Fuori Orario. Quanto perché proprio in Italia, a Bologna e Firenze nel settembre ‘79, tenne i suoi ultimi due concerti prima di una pausa di sedici anni. Due eventi da 70mila persone, quando Patti Smith ne faceva in media 5mila, vuoi per la fame di rock del Belpaese, evitato da un decennio dalle grandi band perché troppo pericoloso per gli incidenti di matrice politica che segnavano i concerti, vuoi perché Patti viene vista come la “guerriera anarchica” nonostante da quel palco, dove salì scortata da autonomi con le pistole in pugno, citasse papa Luciani. «Dopo quei concerti non feci più nulla. Mi sono limitata a fare foto, cucinare, pelare patate, pulire casa, fare la mamma. Non ho fatto niente, insomma», scherza. Quegli ultimi due concerti però furono una leggenda per un’intera generazione di italiani... C’eri? Avrei voluto, ma avevo solo 5 anni... Beh, ti ringrazio che avresti voluto esserci. È come ci fossi stato.

Si, iniziai con Lanny Kaye, che è stato per anni il mio chitarrista. Fu davvero difficile per Lanny trovare un posto dove suonare. Lo ricordo bene. Il posto era in pessime condizioni. É un pezzo di architettura di New York che ora non c’è più. New York è molto cambiata nel frattempo. Anche lei è cambiata? Lo spero! Ho sessantacinque anni e ci sono arrivata apposta per cambiare. Come mai questa passione per Rimbaud? Perché era inquieto, intelligente e curioso. Esplorava territori e scriveva bellissime lettere. Era un genio e parlava venti lingue. Io in italiano so dire solo “supermarcato” e “acqua calda parte”. Scusi? Si, quello che dici quando prendi un caffè... Ah, ok! E a sessantacinque anni cosa vorrebbe invece comunicare Patti Smith? Vorrei comunicare la libertà che sento di vivere. Ha trovato anche serenità? La sua immagine era quella di un’anima inquieta... Non sono granché nervosa e nemmeno emotiva. Sai, in fondo sono le persone che ti danno le energie e l’emozione. Poco tempo fa ho vissuto un episodio davvero felice cavalcando un pony irlandese galoppando tra le colline. Era un momento di felicità perché riuscivo a fare qualcosa di cui ho paura, come cavalcare. Ti amo, mi fido di te, ti affido la mia vita, gli ripetevo. Se gli mostri che hai paura gli trasmetti paura. E sono stata capace di non trasmettergli paura. O meglio, forse gliel’ho trasmessa per un attimo, ma gli ho dato il mio amore puro, fidandomi di lui. Per me sono queste cose molto piccole che possono darti la felicità.

Ringrazio lei. Comunque in quelle occasioni lei divenne la sacerdotessa “maudit” del rock. Eppure ancora oggi porta una croce al collo e ai tempi stendeva una bandiera americana sul palco... Esporre la bandiera americana non era per me un gesto politico ma di appartenenza, e quella volta non lo feci perché mi dissero che poteva essere pericoloso. Poi, sai, a volte non è importante ciò che dici ma come lo dici. Penso a quando io leggevo poesie italiane o francesi. Non capivo nulla, ma mi davano comunque un’emozione che supera il linguaggio. A dieci anni ho iniziato a leggere Rimbaud. Non avevo idea di cosa dicesse, ma apprezzavo la musicalità del linguaggio. Si tratta di astrazioni che comunicano emozioni. Mi fa piacere se sono riuscita a comunicare emozioni a così tanti italiani.

Di cosa altro ha paura, oltre che di cavalcare? Ho paura dell’iperprotezione. Mi sento iperprotetta dalla sicurezza nazionale. I nostri governi spendono troppo in sicurezza quando invece dobbiamo fidarci l’uno dell’altro. Mi sento talmente iperprotetta da non sentirmi sicura. Non vorrei perdere la libertà per l’ossessione della sicurezza.

Un simbolo, insomma, più che una realtà... Quando scrivi non è essenziale pensare alla gente, a chi lo leggerà, ma questo è importante quando sei in scena, quando ti esibisci. L’esibizione, il concerto, la performance è una forma di comunicazione. Non lo è quando scrivi. Ma la cosa più importante è la comunicazione. Puoi fare cose complicate, ma poi quando le presenti la gente rischia di prendere sonno.

Scusi, ma sembra un po’ una frase che si può permettere chi i soldi e la celebrità ormai li ha... Forse. Ma se ricordo nel ’67, Robert Mapplethorpe e io...beh... non ci conosceva nessuno eppure eravamo forse al massimo della nostra creatività. Guardi, se devo dormire su una panchina in un parco o mangiare pizza fredda lo faccio. Non c’è problema. L’illuminazione non arriva dalla stampa, dai soldi, dalle vendite. Non si può comprare. Viene da te stesso.

Ha iniziato la sua carriera con reading poetici ispirati a Rimbaud, come oggi in Biennale. A Rimbaud fu ispirato anche il suo primo concerto mi sembra.

Lei si è esibita Venezia per Emergency l’anno scorso. Piazza San Marco generalmente viene concessa solo ai miti assoluti del rock, non ai comuni mortali... Sai, in fondo la cosa più importante in quello che fai, che sia poesia, musica, arte, è l’opera che realizzi. Tutto il resto, marketing, celebrità, sono al massimo cose divertenti. Ma quello che conta è l’opera, e delle mie sono soddisfatta.

(Pl.T.)

Sono appassionata di Rimbaud perché era inquieto, intelligente e curioso. Esplorava territori e scriveva bellissime lettere. Era un genio e parlava venti lingue. Io in italiano so dire solo “supermarcato” e “acqua calda a parte”... Quello che dici quando prendi un caffè...

Sotto: la copertina del celebre album di Patti Smith "Horses"; nella pagina a sinistra la cantante fotografata di recente a Venezia


Alexandre Dratwicki, direttore scientifico del Palazzetto: "per noi il 2012 sarà l'anno decisivo"

I MILLE VOLTI DI BRU ZANE di LETIZIA MICHIELON Con due concerti che hanno avuto come protagoniste Véronique Gens, diretta nella Scuola Grande di San Rocco da Christophe Rousset, e Julie Fuchs, accompagnata al Palazzetto Bru dal pianista Alphonse Cemin, si è inaugurato a Venezia il terzo anno di attività del Palazzetto Bru Zane.

La stagione 2011-12 rappresenta un momento decisivo all’interno della produzione dell’Istituto presieduto da Nicole Bru. Si intensifica infatti non solo la produzione concertistica ma anche il settore della ricerca musicologica.

« In primavera - sottolinea A lexandre Dratwicki, direttore scientifico del Centro dedicheremo un festival a Théodore Dubois. Scientificamente si tratta di un esperimento importante perché partiamo da un autore noto per i suoi trattati ma quasi totalmente ignorato come artista. Alla fine produrremo ben diciassette incisioni che documenteranno le principali opere da camera e sinfoniche, oltre all’Oratorio “Il Paradiso perduto”. Al termine di questa operazione culturale potremo distinguere chiaramente una prima maniera compositiva, accademica, dedicata principalmente alla musica sacra, e una seconda, più libera, caratteristica del repertorio cameristico e sinfonico, intensamente cromatica, ricca di modulazioni e dalla strumentazione quasi wagneriana». Ne l l’a mbit o de l Fe st i v a l aut u n n a le “Virtuosismi”, omaggio al genio lisztiano e all’estetica dell’eroismo romantica, spiccano per

originalità gli appuntamenti di apertura, dedicati a due diverse forme di vocalità (di “coloritura”, da un lato, e “canto di forza” alla francese, dall’altro), e l’inaugurazione della stagione da camera del Teatro Toniolo che ha avuto come protagonisti il Concerto Köln, organico specializzato nell’uso di strumenti originali, e il violinista Kuba Jakowicz, diretti da Christopher Moulds in opere di Paganini, Méhul e Reber. Accanto ai grandi compositori e virtuosi del tempo, da Liszt a Paganini e Chopin, la programmazione del Festival propone lavori meno noti di Alkan e Thalberg, artisti che collaborarono in modo decisivo alla creazione di una nuova scuola strumentale. Nell’anno del centocinquantesimo anniversario della nascita di Debussy non mancheranno naturalmente gli omaggi alla musica impressionistica francese, ma nel 2012 cade un’altra ricorrenza importante, i cent’anni della morte di Jules Massenet, che verrà celebrato con numerosi concerti e pubblicazioni. L’ampiezza


Nell’anno del centocinquantesimo anniversario della nascita di Debussy non mancheranno gli omaggi alla musica impressionistica francese, ma nel 2012 cade un’altra ricorrenza importante: i cent’anni della morte di Jules Massenet

di respiro che nutre il festival si può cogliere dall’intensa produzione che coinvolgerà artisti internazionali impegnati nei vari teatri e sale concertistiche d’Europa, Canada, Stati Uniti, Russia, Cina e Singapore, ove verranno affrontati i generi più diversi, dalla musica da camera al genere sinfonico, per giungere all’opera e al balletto. A rendere possibile questa prodigiosa fioritura è la rete di connessioni con partner di prestigio che valorizzano ogni aspetto della poliedrica attività svolta dalla Fondazione. Tale capillare intreccio fra sponsor, strutture concertistiche e agenzie formative rappresenta un esempio illuminante di come la creazione di eventi possa andare di pari passo con il marketing e la diffusione di un prodotto culturale non scontato. Via che appare l’unica in grado di garantire sostegno alla ricerca e a progetti di ampio respiro che lascino un segno tangibile, scientifico, nella storia dell’interpretazione e che siano in grado di arricchirla di un nuovo importante tassello. In Italia si stringono i rapporti con il Parco della Musica e Intesa SanPaolo mentre nuove sinergie coinvolgono il Consolato Francese di Firenze, la Filarmonica Toscanini, Villa Medici per il progetto Prix de Rome. Un’attenzione particolare è dedicata alle università e strutture educative, come il Conservatorio Superiore di Parigi e quello di Ginevra che verranno coinvolte in importanti progetti interpretativi. «Il nostro desiderio - continua Dratwicki - è quello di risvegliare nelle nuove generazioni la passione e la curiosità per il repertorio romantico francese. A tale scopo cerchiamo non solo di valorizzare nuovi interpreti ma abbiamo creato anche dei collegamenti con prestigiosi concorsi internazionali, tra cui quelli di Bordeaux, Lione e d’Orléans, che hanno inserito all’interno del bando un prova con brani d’obbligo della musica romantica francese. Le stesse giurie hanno ritenuto felice questa scelta perché ha permesso di evidenziare l’originalità delle diverse compagini, alle prese con opere di cui non si trova incisione discografica. Inoltre la conoscenza di questi brani affidata a gruppi di valore consente di alimentare la ricer-

Sopra: un concerto a palazzetto Bru Zane (foto di Michele Crosera); nella pagina a lato; da sinistra a destra Veronique Gens, Natalia Morozova, Duo Atyopsis Couleur, David Violi, Geoffroy Couteau, Madame Bru, Alexandre Dratwicki

ca su repertori meno tradizionali e suggerire ai giovani nuovi stimoli di approfondimento». Cospicua anche la produzione discografica che vanta, tra le nuove uscite per la EMI, un gioiello come il “Guglielmo Tell” di Rossini diretto da Antonio Pappano alla guida dell’Accademia di S. Cecilia; nuove produzioni coinvolgeranno etichette famose coma la Virgin mentre prosegue la collana dedicata agli autori che si sono aggiudicati il Prix de Rome: dopo Debussy e Saint –Saëns sarà la volta di Marc Antoine Charpentier, cui seguiranno gli omaggi alla famiglia Boulanger. «Nadia è l’esponente più nota di questa straordinaria famiglia, ma anche la sorella Lily, che vinse un secondo premio al Prix , era un’ eccellente compositrice; entrambe hanno ereditato la loro vocazione musicale dal padre. Per la prima volta sarà dunque possibile ascoltare raccolte in un solo cofanetto le principali opere della celebre famiglia francese». Tra le pubblicazioni ricordiamo l’ultimo imponente saggio su “Le concours du Prix de Rome de musique (1803-1968)”, edito da Symetrie, frutto del lavoro di ben trentasette musicologi internazionali, coordinati da Julia Lu e dallo stesso Dratwicki. Una collana di agile fruibilità è invece quella dei tascabili, che sta riscuotendo notevole diffusione grazie all’originalità dei testi e dei temi trattati. Si passa infatti dalle “Memories” e dal saggio sul grottesco di Berlioz alle autobiografie di violinisti famosi per giungere ai saggi sui cantanti dell’opera comique. Completano il quadro numerosi convegni, in cui si raccolgono le fila del lavoro musicologico e si stagliano le nuove prospettive di ricerca che verranno a sostenere le proposte concertistiche.


Editoria digitale o editoria cartacea? A noi piacciono i fogli fruscianti ma disdegnare oggetTi come il kindle, ed i suoi fratellini, compresa la rivoluzione dell'iPad, non ha molto senso. In queste pagine troverete alcune idee da leggere sopratutto su carta, ma qualcosa potete trovarlo anche da scaricare. Anche perchè se compriamo tutto in formato bit e byte con cosa riempiamo gli scaffali delle nostre librerie?

LIBRI &co. LIBRI LIBRI LIBRI pagine a cura di SHAULA CALLIANDRO

Kim Edwards UN GIORNO MI TROVERAI Garzanti Pagine 432 Prezzo € 18,60

Dopo il grandissimo successo di "Figlia del silenzio", Kim Edwards torna con un romanzo maturo e ricco di temi cari alla narrativa: un amore perso e poi ritrovato, misteri e segreti nascosti dietro un’apparente normalità. La protagonista Lucy è tormentata dal ricordo della morte del padre, avvenuta anni prima. La scoperta di alcune lettere e la presenza di una donna misteriosa la condurranno verso la verità. Attesissimo dai lettori, il romanzo non ha deluso le aspettative in Usa e Inghilterra, scalando immediatamente le classifiche.

W. Bruce Cameron Dalla parte di Bailey Giunti Pagine 320 Prezzo € 16,00

Bailey è un cane speciale: si è reincarnato in tante vite, ha conosciuto, amato e salvato tante persone. Ma qual è il vero scopo della sua esistenza? Bailey se lo chiede fin dalla sua prima vita. Osserva il mondo degli umani con una sensibilità ed un’ingenuità fuori dal comune: ogni cosa è stupore ed il lettore non resterà indifferente all’amicizia che lega il cane ai suoi padroni. Ma è Ethan, bambino leale ed affettuoso, che resterà per sempre nel suo cuore, e renderlo felice sarà per Bailey la gioia più grande. Un romanzo che diventerà presto un film prodotto dalla Dreamworks di Steven Spielberg.

Haley Tanner Cose da salvare in caso di incendio Longanesi Pagine 336 Prezzo € 16,60

Due bambini russi, Vaclav, figlio di emigrati in America, e Lena, orfana fin dalla tenera età. Una grande amicizia ed una passione comune li tiene uniti: la magia. Perchè Vaclav sogna di passare alla storia come Houdini e Copperfield in compagnia di Lena, la sua futura incantevole assistente. Ma un inconfessabile segreto della bambina li separerà per molti anni. Nonostante la lontananza, nel suo cuore Vaclav non avrebbe dubbi su cosa salvare in caso di incendio, perchè l’amicizia e l’amore non si dimenticano. Un romanzo delicato ma dai temi forti, che non mancherà di toccare la sensibilità dei lettori.


Venezia in guerra, 14 secoli di storia e tre edizioni in cinque anni

IL MORO DI VENEZIA

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“E dei prigionieri ghemo fato becarìa” recitano le cronache veneziane della battaglia di Lepanto. E’ una Repubblica tutt’altro che mite e diversa dalla storiografia ufficiale quella che traspare dalle pagine di “Venezia in guerra. Quattordici secoli di storia, politica e battaglie” (StudioLT2). Federico Moro, lo storico veneziano che vive nel cuore di Venezia, a pochi passi da San Marco, parla del suo libro che in cinque anni è arrivato alla terza edizione riveduta e ampliata. Un ottimo risultato, se si pensa che è un saggio storico con taglio di Storia Militare, argomento certo di nicchia. Un successo che sta raggiungendo anche la sua fatica successiva, “Labirinto Ducale” (Elzeviro), tratto dallo spettacolo teatrale “Giganti, viaggio in utopia”, scritto dallo stesso Moro. Federico, perché “Venezia in guerra” ha avuto questo successo? Penso dipenda dal modo in cui è scritto. Nonostante sia un argomento estremamente serioso, è strutturato con note ben evidenziate a margine secondo i canoni degli storici anglosassoni, poco usati in Italia. Parto dall’idea che chiunque possa leggere il testo con piacere. Qual è l’idea di fondo di questo lavoro? Che Venezia è una Repubblica fondata sulla guerra, anche quando sembra in pace. Se prendiamo in esame gli anni della Serenissima, e contiamo gli anni di guerra, scopriamo che sono molti di più di quelli di pace. Anche nel ‘700, famoso per la neutralità. All’epoca Angelo Emo e Jacopo Nani bombardarono Tunisi e Tripoli, come oggi bombardiamo la Libia. Dalle navi a vela agli aerei l’approccio è esattamente lo stesso. Studiare il passato è capire il presente per evitare gli errori in futuro. Capiremmo che questo sistema di oggi in realtà non funziona.

Andrea Tarabbia Il demone a Beslan Mondadori Pagine 360 Prezzo € 18,50

Scuola numero 1 di Beslan, Ossezia, 1 settembre 2004. In questa data si tenne uno dei fatti di cronaca più sanguinosi dei nostri anni: il sequestro ed il massacro di più di 300 persone, tra cui 186 bambini, ad opera dei separatisti ceceni. Marat Bazarev è un nome fittizio scelto dall’autore per dare voce all’unico terrorista sopravvissuto al blitz della polizia. In questo romanzo, l’autore, con una delicatezza e una profondità che lascia senza fiato, racconta, con una scrittura matura e innovativa, il viaggio dentro il male nella sua forma più umana e disperata.

Yehuda Berg La kabbalah e il potere di cambiare ogni cosa Tea Pagine 188 Prezzo € 10,00

Mai come oggi ci troviamo di fronte a un bivio. Accettare che il mondo che ci circonda precipiti sempre più in basso, oppure attivarci e darci da fare per crearne uno migliore. "La Kabbalah e il potere di cambiare ogni cosa" ci guida giorno dopo giorno in un percorso di rinnovamento personale, per realizzare un cambiamento non solo sul piano individuale, ma anche su quello globale. Prendendo in esame problemi attuali, che coinvolgono ambiti quali la politica, l’economia, l’ambiente e la religione, Yehuda Berg dimostra come tutti noi possiamo contribuire a trasformazioni importanti e positive.

Parli dei bombardamenti? Sì. Questi sono più devastanti laddove la società è più avanzata. O meglio, tecnologizzata. Basta pensare alla guerra del Kosovo nel 1999. I bombardamenti su Belgrado hanno funzionato perché i Serbi non hanno sacrificato le loro città. In Vietnam successe il contrario. La guerra si vince o si perde nel momento in cui una delle parti non vuole pagare il prezzo più alto. E la Serenissima finì per lo stesso motivo. Napoleone aveva paura dei veneziani, che potevano venire aiutati dalla flotta inglese. Ma i patrimoni dei patrizi erano tutti in Terraferma, occupata dai francesi. E gli aristocratici veneti sacrificarono lo Stato per cercare di salvare le loro proprietà. Sbagliando, perché persero l’uno e le altre. Fu un mero calcolo di interessi. Nel momento in cui l’interesse pende da una parte, o fai la guerra o fai la pace. Questa è la filosofia del libro. E su “Labirinto Ducale”? Anche qui c’è un po’ di questa filosofia. Il palazzo dei Dogi esiste prima della città e civiltà veneziana perché fu una fortificazione romana, e prima ancora insediamento degli antichi veneti. Sul fondo della laguna vengono piantati i pali che il caranto rende più duri del cemento, e sui quali avvengono le costruzioni: la pietra sull’acqua, il mito di Venezia. Una sfida continua nel tempo, che vive finché si rigenera e si rinnova. Alla fine del ‘700 Venezia ha problemi demografici di ricambio anche istituzionale che ne provocano l’asfissia sociale e la morte della repubblica. (L.Z.)


Nel dettaglio, a sinistra e sotto, alcuni particolari del volume "De Divina Proportione": dalla rilegatura, ai fermagli in oro, fino ad un particolare della miniatura interna; in basso l'antologia allegata alla pregevole opera

La nuova tendenza editoriale di produrre fac-simili di libri antichi

IL VOLUME OPERA D'ARTE La riproduzione di volumi antichi sotto forma di fac simile permette di recuperare opere altrimenti sconosciute al pubblico, in modo tale da poterne fruire liberamente. L’obiettivo è quello di diffondere cultura, storia, arte non solo tra gli studiosi esperti di determinati settori, ma anche semplice-

mente tra gli appassionati, i curiosi, tutti coloro che vogliono saperne di più sull’evoluzione del sapere nel corso dei secoli. Molte le case editrici e le istituzioni che si dedicano al recupero della memoria storica ed alla salvaguardia del nostro patrimonio culturale.

Tra le opere riprodotte recentemente, ricordiamo il Breviario Grimani, edito da Salerno Editrice, oppure uno dei più antichi manoscritti della Divina Commedia, conservato presso la Biblioteca Marciana di Venezia ed edito da Utet Cultura. Volumi unici, da collezione, che richiedono un accurato lavoro e per questo riprodotti in esemplari numerati. Il contributo più recente è dato da Aboca Museum Edizioni, casa editrice della famosa azienda toscana di prodotti di erboristeria e piante medicinali per la salute. Oltre a pubblicare libri di settore, conservati anche presso la sua Bibliotheca Antiqua, si dedica anche all’editoria pregiata, recuperando opere di autori soprattutto toscani, rafforzando così il legame tra l’azienda ed il suo territorio. Copie perfette degli originali, ottime per arricchire le più sontuose ed importanti biblioteche; ma anche versioni ad uso professionale, con saggi ed esplicazioni dei curatori. L’ultimo intervento in tal senso è costituito dalla riproduzio-

Ginevra. L’originale ginevrino, il più importante in quanto preparato per il duca Ludovico il Moro, non era mai stato riprodotto in facsimile a causa di evidenti danni da microrganismi; un sapiente lavoro di restauro virtuale ha permesso una fedele ricostruzione del testo, dei poliedri disegnati da Leonardo da Vinci e delle splendide miniature esclusive, che potranno così essere ammirate nella loro bellezza originale. Il trattato nasce dalla volontà dell’autore di diffondere, raccogliere e spiegare la conoscenza della matematica, delle nuove esperienze algebriche e geometriche dell’epoca, tenendo in gran considerazione le lezioni di Piero della Francesca. Il cofanetto contiene la riproduzione dell’opera insieme al suo commentario, l’Antologia della De Divina Proportione di Luca Pacioli, Piero della Francesca e Leonardo Da Vinci. La proporzione divina è il tema dell’Antologia, un argomento affascinante che ha coinvolto i più importanti protagonisti

ne in fac simile dell’opera De Divina Proportione di Luca Pacioli, studioso matematico di Sansepolcro che ebbe una notevole influenza su molti artisti e studiosi rinascimentali. Esistono solo due esemplari originali al mondo dell’opera: il primo è conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, il secondo nella Biblioteca Universitaria di

del Rinascimento, e che tutt’oggi stupisce. Essenzialmente geometrica e matematica, ad essa rispondono sia le parti del corpo umano, che opere dell’ingegno come i megaliti di Stonehenge, la pianta del Partenone, la cattedrale di Notre Dame, le sinfonie di Beethoven, la Primavera di Botticelli e la Gioconda di Leonardo: perfetti rapporti nelle forme, nelle collocazioni spaziali, nell’equilibrio fra i colori e nelle cadenze musicali. Nel libro la rilettura attuale della figura di Luca Pacioli e un inquadramento dei suoi interessi scientifici sono stati redatti da Piergiorgio Odifreddi, matematico, scrittore impegnato nella divulgazione scientifica; Duilio Contin, bibliologo, direttore della Bibliotheca Antiqua di Aboca Museum; Antonio Pieretti, filosofo, esperto in linguaggio e comunicazione. Un’opera di gran pregio, nelle versioni da collezione e ad uso professionale, che sicuramente arricchirà le più sontuose biblioteche di sapere matematico. (S. C.)




Non tutti i bastardi sono di Vienna Villa Spada, dimora signorile di un paesino a pochi chilometri dal Piave, nei giorni compresi tra il 9 novembre 1917 e il 30 ottobre 1918: siamo nell’area geografica e nell’arco temporale della disfatta di Caporetto e della conquista austriaca. Nella villa vivono i signori: il nonno Guglielmo Spada, un originale, e la nonna Nancy, colta e ardita; la zia Maria, che tiene in pugno l’andamento della casa; il giovane Paolo, diciassettenne orfano; la giovane Giulia, procace e un po’ folle. La storia, che il giovane Paolo racconta, inizia con l’insediamento nella grande casa del comando militare nemico. Un crudo episodio di violenza su fanciulle contadine e di dileggio del parroco del villaggio accende il desiderio di rivalsa. Un conflitto in cui tutto si perde, una cospirazione patriottica in cui si insinua lo scontro di psicologie, reso degno o misero dall’impossibilità di perdonare, e di separare amore e odio, rispetto e vittoria.

AAA Venezia cercasi L’ottavo volume della collana VeneziaStory, pubblicata dalla casa editrice Supernova, è un piccolo dizionario dei ricordi di un veneziano che ha vissuto e vive appassionatamente la propria città. Il libro ripercorre ad una ad una le lettere dell’alfabeto trovando per ciascuna voce definizioni e immagini legate al tempo della fanciullezza, così particolare se vissuta a Venezia, e rappresenta una tappa importante e non secondaria nel recupero della memoria di oggi. Ed è proprio vivendo la città che è possibile coglierne i lati più nascosti, affascinanti e particolari che rendono Venezia unica al mondo. Non solo acqua alta, ma anche gli innumerevoli campi e i giochi che vi si facevano da bambini, come il campanon, ma anche personaggi illustri e modi di dire in dialetto.

Andrea Molesini è nato e vive a Venezia. Ha curato e tradotto opere di poeti americani: Ezra Pound, Charles Simic, Derek Walcott. "Non tutti i bastardi sono di Vienna" è il suo primo romanzo e ha vinto il Premio Campiello 2011. Sellerio - Pagine 376 - € 14,00

Gianfranco Spinazzi, veneziano, ha scritto diversi libri tra cui "Foghera a Venezia - C’erano una volta i cinematografi" ( finalista premio “Calvino”) e "Le Fototette". Supernova - Pagine 104 - € 10,00

Il mito veneziano Questo libro parla di Venezia, delle sue pietre e dell’acqua con la quale da sempre fa i conti, delle sue storie e dei suoi protagonisti. Viene ribaltato uno stereotipo: la stagione d’oro della Serenissima non va cercata nel Settecento, bensì alla fine dell’Ottocento, nella Venezia di D’Annunzio che nel suo discorso di chiusura per la prima edizione della Biennale d’Arte proclamò la nuova formula vincente della città: Venezia non più centro-cuore dei commerci di gemme e sete come al tempo del Milione, bensì luogo ideale per lo scambio delle idee. La Venezia centro di networking internazionale prende ispirazione proprio da quell’intuizione, rafforzata poi dal 1932 dalla Mostra del Cinema nata per volontà del conte Volpi di Misurata. Con uno sguardo anche alle ambiziose sfide per il futuro di una città unica al mondo: la costruzione del Mose e la candidatura della città come capitale della cultura per il 2019.

Rosso Il nuovo volume della collana Le Meleagrine della casa editrice Il Prato, che si propone di scoprire nuove voci nel campo del romanzo e del racconto, offre ai lettori una nuova indagine del commissario Flavio Renzi, personaggio che appare per la prima volta nel romanzo di Esposito “La notizia nera” e che diventa protagonista del successivo, “Il silenzio del pesce Luna”, entrambi pubblicati dallo stesso editore. Anche in questo caso tutto inizia e si svolge a Venezia, precisamente tra il centro storico ed il Lido: con lo scorrere delle pagine il racconto prende strade impreviste, si incrociano situazioni affettive, ricordi, fantasmi del passato. Il “giallo” si concluderà a Berlino, durante un concerto. Un testo per tutti, incalzante, appassionante e di piacevole lettura.

Enrica Roddolo, giornalista e scrittrice, è caposervizio del settimanale “Il Mondo”. Profonda conoscitrice della nobiltà d’Europa e dei temi di attualità ed economia internazionale, è autrice di diversi libri. Vallardi - Pagine 208 - € 16,80

Valter Esposito, veneziano, è giornalista pubblicista. Collabora assiduamente dal 1985 con il quotidiano "La Nuova Venezia". Ha collaborato per diversi anni anche con la "Gazzetta dello Sport" e altri periodici sportivi nazionali. Attualmente lavora presso la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto, come responsabile dell’ufficio stampa e comunicazione. Il Prato - Pagine 96 - € 13,00

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IL LIBRO DEL MESE

Durante il suo soggiorno veneziano del 2007 in occasione dell’allestimento della sua mostra personale “Mnemosine per Venezia” nella chiesa di San Stae, l’artista Pierre Casè ha avuto modo di scoprire una Venezia a dimensione d’uomo, lontano dai circuiti turistici. Rimasto particolarmente affascinato dai “sotoportego” veneziani (passaggi coperti, porticati, aperti per comodità sotto costruzioni private che permettono di accorciare i tragitti), luoghi tanto insoliti quanto misteriosi e veramente intrisi di essenza veneziana, Casè ne ha individuati ben 240, ciascuno con la propria storia e la propria simbologia, realizzandone poi una selezione artistica che è possibile ammirare presso la Scuola Grande della Misericordia a Venezia fino al 31 ottobre. Si tratta di venti opere di grandi dimensioni e cento variazioni sul tema del Sotoportego del Cristo di piccolo formato. Le parti laterali sono composte da lamiere di metallo ossidato di modo che ognuna sia differente di colorazione. La sezione centrale dell’opera tratta il tema scelto. Le tre parti sono percorse da un architrave modulare che le sostiene visivamente. La composizione dell’architrave è a ritmo sinuoso, a onda, quale riferimento all’acqua. Nella parte centrale, oltre alla ricerca di forma e colore, c’è - assoluta novità nel dire artistico di Casè - l’inserimento di un oggetto realistico che, iconograficamente, fa pensare al soggetto del sotoportego. Il volume che presenta questo originale ciclo di opere di Pierre Casè è completato da un intervento narrativo dello scrittore veneziano Alberto Toso Fei, che propone dieci aneddoti fantastici su dieci dei venti sotoportego trattati. Pierre Casè Misteri del sotoportego Skira Pagine 248 Prezzo € 45,00 Per segnalazioni editoriali scrivere a shaula@calliandroeditore.it


Saluti da Venezia, la città rivista attraverso le sue cartoline

UN PONTE A RIVO ALTO di Carlo sopracordevole

1 Necessità di manutenzione per il celebre manufatto veneziano La documentazione storica non è sicura ma dovrebbe essere stato il 1175, o poco dopo, quando fu costruito il primo collegamento sul Canal Grande. Era un ponte di barche, edificato da Nicolò Barattieri e fu chiamato Ponte della Moneta, verosimilmente per via della Zecca che era ubicata

là vicino, benché vi sia chi sostiene che il riferimento alla Moneta vada fatto per la riva e non per il ponte. Ma c’è chi ipotizza che servisse una moneta per transitarvi. In ogni caso, esso sostituiva un regolare servizio di trasporto acqueo fra le due sponde e segna dunque un indiscutibile momento cruciale per lo sviluppo urbanistico di Venezia.


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2 La documentazione storica non è sicura ma dovrebbe essere stato il 1175, o poco dopo, quando fu costruito il primo collegamento sul Canal Grande. Era un ponte di barche, edificato da Nicolò Barattieri, e sostituiva il regolare servizio di trasporto acqueo fra le due sponde segnando dunque un indiscutibile momento cruciale per lo sviluppo urbanistico di Venezia. In seguito, verso il 1265, le burchielle sulle quali posava il ponte, furono sostituite con pali che sostenevano due rampe che si congiungevano con una sezione centrale mobile che poteva essere sollevata al fine di consentire il passaggio alle navi: fu allora che il suo nome cambiò in Ponte di Rialto. Da quella data, il ponte assunse la fisionomia che mantenne per oltre due secoli. Nel 1310 il manufatto fu interrotto e in parte bruciato, durante la ritirata dei rivoltosi guidati da Bajamonte Tiepolo che avevano invaso Piazza San Marco, ma erano stati respinti dal Doge Pietro Gradenigo e dai Cavalieri di San Marco. Nel 1432 fecero la comparsa spalliere laterali che rendevano il ponte un luogo prediletto per incontri, specialmente di forestieri, per godere dello spettacolo che si poteva ammirare dall’alto, specie in occasione di festività e ricevimento di ospiti illustri. Proprio in una di queste circostanze, la festa organizzata per la sposa del Marchese di Ferrara, si era radunata una folla strabocchevole il cui peso provocò il cedimento della struttura causando, secondo il Galliccioli, la morte di una ventina di persone. A cavallo del ‘500 il ponte era nuovamente in condizioni precarie ed il 14 agosto 1524 cadde tutta la metà dalla parte della Riva del Ferro del manufatto. Si decise allora per la realizzazione di un ponte di pietra. A seguito di un bando di gara, nel 1551, pervennero progetti da illustri architetti come il Sansovino, il Palladio, il Vignola, lo Scamozzi e lo stesso Michelangelo. Alla fine si decise per il progetto di Antonio dal Ponte – nomen omen - e la direzione dei lavori era affidata allo stesso Dal Ponte. Il ponte fu terminato alla fine del 1591 dopo che furono risolti i non facili problemi tecnici: fu per contrastare l’enorme spinta dell’arco, sia in verticale sulle fondazioni, sia in orizzontale sugli edifici circostanti, che dal lato di S. Bartolomeo si eressero i due alti fabbricati che tuttora esistono ed esaltano, in uno stretto canale ottico, la continuità delle botteghe fra i due lati del canale. Nonostante le fosche previsioni di crollo, a causa di quella che era stata ritenuta troppa audacia ingegneristica, il nuovo ponte è al suo posto da oltre quattro secoli. Come è logico il ponte ha sempre avuto necessità di restauri e cura. E questo accade anche oggi con la Confartigianato di Venezia che, tramite il consorzio dei Tajapiera Restauratori Veneziani, si sta occupando della manutenzione dello storico manufatto. Anche il Cavaliere Renzo Rosso, patron della Diesel, si è detto interessato a prodigarsi per il restauro del ponte ma cavilli burocratici sembrano rallentare il progetto.

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6 Nella fig. 1 il ponte fa da sfondo a un visitatore con una valigia; in fig.2, il famoso “miracolo della Croce” del Carpaccio; nella 3, ecco “Un saluto da Venezia” in una cartolina litografica di fine ‘800; nella fig.4 una bomba austriaca della Grande Guerra ha sfiorato il ponte e causato danni visibili; nella 5 vediamo ia parte interna verso San Bartolomeo; nella 6, il ponte è accostato a Pasquale Cicogna, sotto il cui dogado fu costruito l’attuale manufatto in pietra



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