Poste italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 2. LO/MI in caso di mancato recapito inviare al CMP Roserio per la restituzione al mittente che si impegna a corrispondere i diritti postali.
Periodico di Mani Tese, organismo contro la fame e per lo sviluppo dei popoli. anno XLVIII | gennaio – febbraio 2012
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S.O.S.tenibilitĂ
dossier
Un impegno di giustizia ambientale
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s.o.s.tenibilità
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manitese 476 | gennaio – febbraio 2012 di luigi idili, presidente di mani tese
La sostenibilità del futuro ! GRABBING DEVELOPMENT Towards new models of North/South relations for fair exploitation of natural resources. – DCI NSA-ED/2011/239-451
Questo periodico è stato prodotto con il contributo finanziario dell’Unione Europea. I suoi contenuti sono unicamente di responsabilità di Mani Tese e in nessun caso si può considerare che riflettano la posizione dell’Unione Europea.
indice 6 Il valore dei beni comuni 8 Recupero della Foresta Mau in Kenya: la sostenibilità ambientale si può insegnare
10 Siamo il 99 per cento! 12 Rio+20 e la sfida della sostenibilità 14 L’inizio o la fine di un’era dossier 15 Un impegno di giustizia ambientale 20 Molto più di un pacchetto regalo 2011 21 FAME 2012: un contro forum per il diritto all’acqua
22 La lotta contro la povertà energetica 24 Dalle risorse ai beni comuni 26 Rispettare il voto popolare, è una questione di Obbedienza Civile
27 Dedicato ai sostenitori di Mani Tese progetti 28 Il cibo degli dei 29 Acqua, un liquido prezioso da centellinare goccia a goccia
30 Contro la desertificazione e per la sicurezza alimentare
Cari amici ben ritrovati in questo nuovo inizio anno 2012, dichiarato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (ONU) come l’Anno Internazionale delle Cooperative. Le cooperative ricordano alla comunità internazionale che è possibile conciliare la produttività economica con la responsabilità sociale. Una via d’uscita per l’economia impazzita di oggi!
Quest’anno uno degli impegni prioritari di Mani Tese è, dunque, il rafforzamento del paradigma dello sviluppo umano sostenibile, mediante un ulteriore ambito di studio e di azione, quello della “giustizia ambientale”. Nella storia di Mani Tese si tratta anche di un arricchimento della propria visione, fondato su “un impegno di giustizia”.
Lo slogan scelto, “Le cooperative costruiscono un mondo migliore” , mette in risalto il contributo che questi particolari soggetti economici forniscono allo sviluppo socioeconomico, riconoscendo anche il loro impatto sulla riduzione della povertà ed in favore dell’occupazione e dell’integrazione sociale. Bisogna dare valore ad un modello economico capace di rispondere adeguatamente ai bisogni delle comunità e dei territori: sono i concetti chiave per costruire una visione dell’economia orientata allo sviluppo umano sostenibile.
Parlare di giustizia ambientale significa portare equità nei rapporti sottostanti l’utilizzo delle risorse naturali: l’acqua, la terra, le foreste, le risorse estrattive come petrolio, metalli e minerali, in modo che non siano più solo le imprese transnazionali o gli investitori finanziari a trarne profitto. La giustizia ambientale richiede invece che siano le comunità locali nei luoghi dove le risorse naturali sono collocate a co-decidere democraticamente, se e come “sfruttare” tali risorse, guardando al loro presente e al futuro comune di tutti.
La componente della “sostenibilità” si riconduce alla riflessione elaborata dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite (1987), ed è sintetizzata dal concetto di solidarietà inter-generazionale: uno sviluppo che – garantendo la rinnovabilità delle risorse naturali – non comprometta quello delle generazioni a venire. La componente “sviluppo umano” si basa sull’approccio del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), portato avanti in 20 anni di “Rapporti sullo sviluppo umano”, integrando gli indici di crescita economica (PIL) con gli indicatori di benessere, in particolare la salute e l’istruzione.
redazione
contributi
stampa
Luigi Idili (dir.) Luca Manes (dir. resp.) Angela Comelli Alberto Corbino Chiara Cecotti Giosuè De Salvo Elias Gerovasi Elena Iannone Giovanni Mozzi Giacomo Petitti Lucy Tattoli
Tommaso Fattori Franca Forzati Giulia Franchi Chiara Pattaro Silvia Rende Bruna Sironi Cristina Sossan Stefano Squarcina Annalisa Stagni Giovanna Tedesco Luca Tommasini
Staff S.r.l. Buccinasco (MI)
grafica
periodico manitese Registrazione al ROC (Registro operatori di comunicazione) al n.154 – Registrazione al Tribunale di Milano n. 6742 del 28 Dicembre 1964.
Riccardo Zanzi
sede P.le Gambara 7/9, 20146 Milano Tel. 02 40 75 165 manitese@manitese.it www.manitese.it
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s.o.s.tenibilitĂ | istantanea di luca tommasini
Gas flaring nella comunitĂ di Ebocha, Delta del Niger. Nigeria. Un pessimo esempio di sostenibilitĂ ambientale.
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s.o.s.tenibilità | approfondimento di stefano rodotà – tratto da “La Repubblica” del 05/01/2012
Il valore dei beni comuni Si può dire che il 2011 sia stato l’anno (anche) dei beni comuni. Espressione, questa, fino a poco tempo fa assente nella discussione pubblica, del tutto priva d’interesse per la politica, anche se il premio Nobel per l’economia era stato assegnato nel 2009 a Elinor Ostrom proprio per i suoi studi in questa materia. Poi, quasi all’improvviso, l’Italia ha cominciato ad essere percorsa da quella che Franco Cassano aveva chiamato la “ragionevole follia dei beni comuni”. E questo è avvenuto perché la forza delle cose ha imposto un mutamento dell’agenda politica con il referendum sull’acqua come “bene comune”. Da quel momento in poi è stato tutto un succedersi di iniziative concrete e di riflessioni teoriche, che hanno portato alla scoperta di un mondo nuovo e all’estensione di quel riferimento ai casi più disparati. Si parla di beni comuni per l’acqua e per la conoscenza, per la Rai e per il teatro Valle occupato, per l’impresa, e via elencando. Nelle pagine culturali di un quotidiano campeggiava qualche mese fa un titolo perentorio: “i poeti sono un bene comune”. L’inflazione non è un pericolo soltanto in economia. Si impone, quindi, un bisogno di distinzione e di chiarimento, proprio per impedire che un uso inflattivo dell’espressione la depotenzi. Se la categoria dei beni comuni rimane nebulosa, e in essa si include tutto e il contrario di tutto, se ad essa viene affidata una sorta di palingenesi sociale, allora può ben accadere che perda la capacità di individuare proprio le situazioni nelle quali la qualità “comune” di un bene può sprigionare tutta la sua forza. E tuttavia è cosa buona che questo continuo germogliare di ipotesi mantenga viva l’attenzione per una questione alla quale è affidato un passaggio d’epoca. Giustamente Roberto Esposito sottolinea come questa sia una via da percorrere per sottrarsi alla tirannia di quella che Walter Benjamin ha chiamato la “teologia economica”. Ciò di cui si parla, infatti, è un nuovo rapporto tra mondo delle persone e mondo dei beni, da tempo sostanzialmente affidato alla logica del mercato, dunque alla mediazione della proprietà, pubblica o privata che fosse. Ora l’accento non è più posto sul soggetto
proprietario, ma sulla funzione che un bene deve svolgere nella società. Partendo da questa premessa, si è data una prima definizione dei beni comuni: sono quelli funzionali all’esercizio di diritti fondamentali e al libero sviluppo della personalità, che devono essere salvaguardati sottraendoli alla logica distruttiva del breve periodo, proiettando la loro tutela nel mondo più lontano, abitato dalle generazioni future. L’aggancio ai diritti fondamentali è essenziale, e ci porta oltre un riferimento generico alla persona. In un bel saggio, Luca Nivarra ha messo in evidenza come la prospettiva dei beni comuni sia quella che consente di contrastare una logica di mercato che vuole “appropriarsi di beni destinati al soddisfacimento di bisogni primarie diffusi, ad una fruizione collettiva”. Proprio la dimensione collettiva scardina la dicotomia pubblico-privato, intorno alla quale si è venuta organizzando nella modernità la dimensione proprietaria. Compare una dimensione diversa, che ci porta al di là dell’individualismo proprietario e della tradizionale gestione pubblica dei beni. Non un’altra forma di proprietà, dunque, ma «l’opposto della proprietà», com’è stato detto icasticamente negli Stati Uniti fin dal 2003. Di questa prospettiva vi è traccia nella nostra Costituzione che, all’articolo 43, prevede la possibilità di affidare, oltre che ad enti pubblici, a “comunità di lavoratori o di utenti” la gestione di servizi essenziali, fonti di energia, situazioni di monopolio. Il punto chiave, di conseguenza, non è più quello dell’“appartenenza” del bene, ma quello della sua gestione, che deve garantire l’accesso al bene e vedere la partecipazione di soggetti interessati. I beni comuni sono “a titolarità diffusa”, appartengono a tutti e a nessuno, nel senso che tutti devono poter accedere ad essi e nessuno può vantare pretese esclusive. Devono essere amministrati muovendo dal principio di solidarietà. Indisponibili per il mercato, i beni comuni si presentano così come strumento essenzia-
Foto sopra: Stefano Rodotà. Foto sotto: Logo di Wikipedia. Pagina a fianco Foto in alto: due immagini dell’occupazione del teatro Valle a Roma. Foto in basso: Un’immagine della festa dopo la vittoria dei sì al referendum sull’acqua.
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le perché i diritti di cittadinanza, quelli che appartengono a tutti in quanto persone, possano essere effettivamente esercitati. Al tempo stesso, però, la costruzione dei beni comuni come categoria autonoma, distinta dalle storiche visioni della proprietà, esige analisi che partano proprio dal collegamento tra specifici beni e specifici diritti, individuando le modalità secondo cui quel “patrimonio comune” si articola e si differenzia al suo interno. Se, ad esempio, si considera la conoscenza in Rete, uno dei temi centrali nella discussione, ci si avvede subito della sua specificità. Luciano Gallino ne ha giustamente parlato come di un bene pubblico globale. Ma proprio questa sua globalità rende problematico, o improponibile, uno schema istituzionale di gestione che faccia capo ad una comunità di utenti, cosa necessaria e possibile in altri casi. Come si estrae questa comunità dai miliardi di soggetti che costituiscono il popolo di Internet? Di nuovo una sfida alle categorie abituali. La tutela della conoscenza in Rete non passa attraverso l’individuazione di un gestore, ma attraverso la definizione delle condizioni d’uso del bene, che deve essere direttamente accessibile da tutti gli interessati, sia pure con i temperamenti minimi resi necessari dalle diverse modalità con cui la conoscenza viene prodotta. Qui, dunque, non opera il modello partecipativo e, al tempo stesso, la possibilità di fruire del bene non esige politiche redistributive di risorse perché le persone possano usarlo. È il modo stesso in cui il bene viene “costruito” a renderlo accessibile a tutti gli interessati. Ben diverso è il caso dell’impresa, di cui pure si discute. Qui è grande il rischio della confusione. Sappiamo da tempo che l’impresa è una “costellazione di interessi” e che sono stati costruiti modelli istituzionali volti a dar voce a tutti. Ma la partecipazione, anche nelle forme più intense di cogestione, non mette tutti i soggetti sullo stesso piano, né elimina il fatto che il punto di partenza è costituito da conflitti, non da convergenza di interessi. Parlare di bene comune è fuorviante. L’opera di distinzione, definizione, costruzione di modelli istituzionali
differenziati anche se unificati dal fine, è dunque solo all’inizio. Ma non rimane nel cielo della teoria. Proprio l’osservazione della realtà italiana ci offre esempi del modo in cui la logica dei beni comuni cominci a produrre effetti istituzionali. Il comune di Napoli ha istituito un assessorato per i beni comuni; la Regione Puglia ha approvato una legge, pur assai controversa, sull’acqua pubblica; la Regione Piemonte ne ha approvata una sugli open data, sull’accesso alle proprie informazioni; in Senato sono stati presentati due disegni di legge sui beni comuni e vi sono proposte regionali, come in Sicilia. Si sta costruendo una rete dei comuni ed una larga coalizione sociale lavora ad una Carta europea. Quel che unifica queste iniziative è la loro origine nell’azione di gruppi e movimenti in grado di mobilitare i cittadini e di dare continuità alla loro presenza. Una novità politica che i partiti soffrono, o avversano. Ancora inconsapevoli, dunque, del fatto che non siamo di fronte ad una questione marginale o settoriale, ma ad una diversa idea della politica e delle sue forme, capace non solo di dare voce alle persone, ma di costruire soggettività politiche, di redistribuire poteri. È un tema “costituzionale”, almeno per tutti quelli che, volgendo lo sguardo sul mondo, colgono l’insostenibilità crescente degli assetti ciecamente affidati alla legge “naturale” dei mercati.
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s.o.s.tenibilità | progetti a cura Di bruna sironi, responsabile progetti east africa mani tese
Fai la differenza
Recupero della Foresta Mau in Kenya: la sostenibilità ambientale si può insegnare
Foto dal progetto di Mani Tese e NECOFA in Kenya.
Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.
Il Kenya è uno dei Paesi africani in cui il degrado ambientale è più rilevante e più influisce sulla vita della popolazione. Il suo manto forestale è ridotto all’1,7% del territorio, una delle percentuali più basse del continente, cosa che ha determinato un importante cambio del clima, del regime delle piogge in particolare, e notevoli processi di inaridimento e desertificazione. Della deforestazione selvaggia degli ultimi anni ha risentito particolarmente la foresta Mau, la più importante foresta di montagna dell’Africa dell’Est. Questa foresta è la culla di una ricca biodiversità, sia per quanto riguarda la flora che la fauna. Costituisce inoltre il più rilevante bacino imbrifero del Paese: accumula acqua durante la stagione delle piogge e la rilascia durante la stagione secca, dando origine ad almeno 12 corsi d’acqua, contribuendo così in modo sostanziale alla stabilizzazione del clima, alla fertilità dei suoli e alla possibilità di una vita dignitosa ed economicamente sostenibile in una vasta area del Paese e dei Paesi limitrofi, in cui la popolazione, pari a circa 30 milioni di persone, vive ancora sostanzialmente di agricoltura di sussistenza. Negli ultimi 15 anni la Foresta Mau ha subito importanti devastazioni, che ne hanno ridotto l’estensione del 25%. Le ragioni sono diverse, quasi tutte legate a politiche speculative dei precedenti governi: trasformazione della foresta in aree di sviluppo agricolo; insediamento di nuovi villaggi; taglio di legname più o meno legale; industria (abusiva) del carbone vegetale. Questo ha avuto rilevanti ripercussioni sul clima e sul territorio circostante, riducendo in modo sostanziale la portata delle acque dei numerosi fiumi che ne sono originati, determinando la riduzione
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anche di numerosi laghi (Turkana, Baringo, Naivasha, Nakuru e Vittoria), influendo sulla portata del Nilo Bianco (che nasce dal lago Vittoria) e in definitiva sulla stabilità di un’intera regione. Importante è stato anche l’influsso negativo sulle attività economiche, soprattutto nel settore agricolo, che sono la principale fonte di reddito della popolazione. A partire dal 2005, con l’adozione del New Forest Act e con la promulgazione, lo scorso anno, della nuova Costituzione, il governo del Kenya ha deciso di intraprendere una politica di salvaguardia e recupero del complesso della foresta Mau, istituendo un segretariato per il coordinamento degli interventi, sotto la diretta responsabilità del Primo Ministro. In questo ambito si inserirà il nuovo programma pluriennale che Mani Tese realizzerà in collaborazione con diversi attori locali (i partner locali e gli attori statali coinvolti). Il programma si svilupperà lungo il bacino del fiume Molo, che nasce dalla foresta Mau e sfocia nel lago Baringo. Particolare beneficiaria del programma sarà la popolazione degli Ogiek della zona di Mariashoni, originaria della foresta, che traeva le sue fonti di sostentamento dalla raccolta e dalla caccia, e che paga le conseguenze più pesanti della progressiva riduzione delle risorse forestali. Con la scomparsa di larghe aree di foresta, e lo stanziamento di nuova popolazione, gli Ogiek si sono trovati espulsi dal proprio habitat naturale, con le tradizionali risorse drasticamente diminuite e senza le conoscenze necessarie a utilizzare in modo efficace e sostenibile risorse diverse, quali quelle derivanti dall’agricoltura e dall’alle-
“Diritti e risorse nel Corno d’Africa”
dossier di approfondimento sul diritto alla terra, all’acqua e al cibo in una delle aree più instabili e a maggior rischio alimentare del pianeta.
Il dossier è scaricabile sul sito www.campagnasudan.it
vamento. Una delle prime azioni di questo programma, che vede la collaborazione di Mani Tese e NECOFA Kenya (Network For Ecofarming in Africa) una Ong locale che opera nella zona ed è parte di un network panafricano, si propone di sviluppare le capacità degli Ogiek di intraprendere e gestire attività generatrici di reddito volte al recupero, alla conservazione e alla valorizzazione della foresta e delle sue risorse, riducendo la povertà della comunità e rafforzando nello stesso tempo l’orgoglio della propria identità. Il programma sarà avviato con attività di formazione professionale e di capacity building. La riforestazione con essenze locali permetterà il recupero di 40 ettari di foresta e la conservazione della sua biodiversità. I gruppi coinvolti potranno sviluppare attività generatrici di reddito quali la produzione di piantine in vivai e l’apicoltura, e avranno dimostrazioni di altre possibili, quali l’agricoltura biologica ed ecosostenibile e la produzione di carbone usando il bamboo. Molto si punterà sull’educazione al rispetto e alla conservazione della foresta e dei suoi abitanti attraverso visite e percorsi guidati degli studenti, di altri gruppi etnici, del territorio circostante.
Se vuoi sostenere i progetti avviati in Kenya n°2253 e 2256: www.manitese.it/progetti La seconda azione avviata prevede il rafforzamento di un’associazione di piccoli produttori, pure di gruppi etnici minoritari, che opera in uno schema irriguo a Eldume, una località sul corso del fiume Molo, un
Presentazione: Martedì 7 febbraio ore 17.30 ISPI via Clerici 5, Milano Intervengono: Giovanni Sartor, responsabile Africa Mani Tese Franca Roiatti, giornalista e autrice del libro “Il Nuovo Colonialismo. Caccia alle Terre coltivabili”
Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.
tempo perenne e ora stagionale, con un regime delle acque imprevedibile. Lo schema irriguo è stato fortemente danneggiato nel 2008 da una piena eccezionale, dovuta proprio al disboscamento a monte, nella foresta Mau, all’erosione dei suoli del bacino e delle rive del fiume, oltre che alla variazione del regime delle piogge nell’area. Le strutture esistenti saranno riabilitate dalla FAO, mentre la cooperazione italiana finanzierà le opere per estendere lo schema irriguo. Mani Tese, con NECOFA e in collaborazione con il Ministero dell’Agricoltura del distretto, invece, lavorerà per migliorare le capacità dei piccoli produttori dello schema, in modo che possano trarre tutto il vantaggio possibile dalla riabilitazione delle strutture. Le prime attività ad essere realizzate saranno: un corso di formazione per formatori in tecniche di agricoltura biologica, formazione sul campo sulla valutazione della fertilità dei terreni e interventi per migliorarla (uso del fertilizzante naturale e del compost), l’organizzazione di campi dimostrativi per la diffusione delle tecniche di agricoltura biologica; la formazione in leadership e governance partecipata per rafforzare l’associazione già esistente. Il programma, partito nei mesi scorsi e che impegnerà l’associazione per alcuni anni, intende chiaramente sostenere il diritto delle popolazioni locali a utilizzare in modo sostenibile le risorse ambientali salvaguardando delicati ecosistemi, preservandone e valorizzandone la biodiversità: un uso dell’ambiente intelligente, rispettoso e giusto che permetta una vita dignitosa alla popolazione e alle generazioni future.
Modera: Prof. Gian Paolo Calchi Novati, ISPI Emanuele Fantini, Dipartimento di Studi politici dell’Università di Torino e autore del libro “Acqua privatizzata? Economia politica e morale” Giosuè De Salvo capo area advocacy e campagne Mani Tese
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s.o.s.tenibilità | rubriche Di giulia franchi, campagna per la riforma della banca mondiale (crbm)
Siamo il 99 per cento! finanza e politica
Le cronache raccontano che tutto ebbe inizio il 17 settembre 2011 a Zuccotti Park, nel cuore del distretto finanziario di Wall Street. All’alba di quel giorno, a New York un primo folto gruppo di qualche centinaia di persone decise di dare concretezza, attribuendole uno spazio fisico simbolico, all’esasperazione, all’insofferenza diffusa per le disuguaglianze sociali ed economiche intrinseche alla società americana ed aggravate dalla drammatica crisi del 2007-2008, all’indignazione per il crescente tasso di disoccupazione, per l’avidità, la corruzione e l’ormai intollerabile ingerenza del settore finanziario sulle scelte del governo. Così nacque l’occupazione di Zuccotti Park, meglio nota come “Liberty Plaza”, e con essa il movimento Occupy Wall Street (OWS), un laboratorio autonomo, auto-organizzato e sostanzialmente destrutturato, in cui voci diverse per età, sesso, appartenenza etnica, background politico ed economico hanno cominciato a convergere per scrivere una nuova pagina della storia degli Usa. Animati dal desiderio di combinare il bisogno di uno spazio simbolico per la protesta, sulla scia di Piazza Tahrir in Egitto, con il metodo decisionale del consenso delle proteste spagnole del 2011, gli indignati newyorkesi rivendicano oggi con fierezza di aver dato impulso all’autunno americano, in logica successione con la “primavera araba” e l’“estate europea”. Quando il 15 novembre 2011 il sindaco di New York diede l’ordine di sgomberare, anche con la forza, Liberty Plaza dalle ormai centinaia di tende che ne avevano preso possesso, dalla cucina e dalla libreria allestita dagli occupanti, dal media center e da ogni altro simbolo dell’autogestione di quello spazio, era ormai troppo tardi per tornare indietro, la miccia era stata innescata, perché “non si può sradicare un’idea se la sua ora è ormai arrivata!”, come recitano da allora tutti i cartelli, striscioni, volantini e lo stesso sito internet del movimento. Sebbene in maniera un po’ enfatica in tanti sottolineino di “aver lasciato il cuore a Zuccotti Park”, l’onda è ormai partita e gruppi più o meno consistenti stanno proliferando ovunque in tutto il Paese.
L’attraente slogan coniato dal movimento “siamo il 99 per cento” ha l’obiettivo esplicito di riferirsi alle disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza negli Stati Uniti tra l’un per cento più ricco e il resto della popolazione. I redditi sempre crescenti dell’elite finanziaria sono sul banco degli imputati, condannati da quella maggioranza schiacciante che paga le tasse senza ottenere servizi, che vive del salario minimo e che non può permettersi l’assicurazione sanitaria. Quella maggioranza bloccata in un immobilismo sociale più simile a un sistema basato sulle caste che a una sedicente democrazia, e che oggi rivendica, con gioia genuina e fiera determinazione, il bisogno di un risveglio profondo, tradotto in assunzione di responsabilità e voglia di partecipazione. Ascoltando da vicino le persone che animano l’esperienza newyorkese, ci si accorge sempre più chiaramente che OWS non è soltanto un movimento, quanto un contenitore che sta avendo il merito di amplificare le diverse istanze e vertenze già presenti nella società americana, un veicolo che permette di fare da cassa di risonanza a voci preesistenti ma latenti, che dà spazio di partecipazione a chi da tempo auspica un cambiamento, ma solo ora si rende conto di potervi contribuire concretamente, uscendo così dall’isolamento. È, come dice il filosofo statunitense Noam Chomsky, un movimento senza precedenti, perché è l’era che viviamo a essere senza precedenti. Ma le sfide di OWS non sono semplici, in certi casi non facilmente prevedibili e neppure tanto nascoste. Dallo sgombero di Zuccotti Park, OWS si è necessariamente dovuto dotare di un’altra forma organizzativa e di una nuova base logistica, trovata
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Immagini dall’occupazione dello Zuccotti Park di New York . A destra e sotto: foto CRBM. Nel cerchio: foto di Debra M. Gaines – licenza Creative Commons.
al n. 60 di Wall Street, in un atrio “privato a uso pubblico”. Un luogo situato simbolicamente tra la New York Stock Exchange, con i suoi brokers in cravatta rosa in pausa sigaretta, e l’American Museum of Finance, poco prima della sede della Deutsche Bank. Anche in questa fase di ristrutturazione, “dare priorità al processo più che ai risultati” continua ad essere la parola d’ordine che guida il movimento, e che si applica a tutti i momenti di scambio, dalle riunioni dei gruppi di lavoro, a quelle del comitato portavoce, alle assemblee generali in piazza. Dare priorità al processo significa impiegare tempo, risorse ed energie alla costruzione del movimento stesso, alla valorizzazione delle anime così diversificate, alla ricerca di un terreno comune su cui convergere. Convergenza tutt’altro che scontata, soprattutto in un contesto come quello americano, in cui le conflittualità e le profonde disuguaglianze etniche, sociali ed economiche sono latenti e mai risolte. Sorprendentemente infatti, le parole più ricorrenti che si ascoltano aggirandosi per le riunioni dei diversi gruppi di lavoro, non sono né finanza, né banche, né tantomeno crisi economica, come ci si aspetterebbe da un movimento che ha deciso di chiamarsi Occupy Wall Street. Razza, razzismo e inclusione interrazziale sono invece le parole sulla bocca di molti e probabilmente nei pensieri di tutti. “La diversità non è necessariamente garanzia di equità e giustizia nel movimento” fa notare una giovane donna afroamericana rappresentante del gruppo di affinità
‘persone di colore’, “e dare per scontato che il fatto che persone diverse per sesso, religione, gruppo etnico, lingua, estrazione sociale siano presenti alle iniziative sia di per sé sufficiente a definire il movimento inclusivo è una interpretazione sbagliata della realtà”. È questa la mina vagante su cui rischia di saltare il movimento, che ora più che mai si porta addosso tutto il peso della storia americana e delle sue contraddizioni, che sono alla base anche della partecipazione ancora minoritaria dei “people of color”, dei non-bianchi, all’interno del movimento. Decostruire secoli di discriminazioni, costruire un dialogo interrazziale ed interclassista alla luce della storia attuale, in nome di obiettivi comuni tutti da verificare è un esercizio affatto facile, che in più di un’occasione sembra far inceppare il processo, anche a scapito dei risultati. Eppure in questo sforzo epocale risiede l’elemento di forza, novità ed opportunità reale di OWS, che getta indiscutibilmente le basi per una rivoluzione socio-culturale che potrebbe intaccare non solo il modo di intendere la vita pubblica nella società americana, ma anche la struttura e la qualità delle relazioni etno-socio-economiche nella società stessa. Se innescare questo processo, come in parte sta già avvenendo, fosse anche l’unico risultato di questo movimento, tutto il 99 per cento da cui OWS ha preso vita potrebbe andarne veramente fiero.
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s.o.s.tenibilità | rubriche Di giosuè de salvo, capo area advocacy mani tese
campagne
Rio+20 e la sfida della sostenibilità Contrariamente a quanto si pensi, il termine “sviluppo sostenibile” non esprime un concetto nuovo. Coniato nel 1987 in occasione della pubblicazione di “Our Common Future” (il cosiddetto rapporto Bruntland della Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo), affonda le sue radici ideali nella Conferenza ONU sull’Ambiente umano del 1972 a Stoccolma. È nel corso di quel vertice che, per la prima volta, la “tutela e la gestione razionale del capitale naturale” vennero identificate come “basi essenziali dello sviluppo sociale ed economico”, allora imperioso. La storia
Sono dunque quarant’anni che ci interroghiamo sulla sostenibilità del modello di produzione e consumo delle società industriali. Quarant’anni da quando abbiamo fondato l’UNEP, il programma ambientale delle Nazioni Unite, e da quando 113 Paesi si dichiararono convinti che “non è possibile affrontare e risolvere i problemi ambientali senza un’azione comune”. Dopo Stoccolma, lo sviluppo sostenibile – nel frattempo definito come “lo sviluppo che risponde alle necessità delle generazioni presenti, senza compromettere le capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie esigenze” – ha avuto nella Conferenza su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992 il suo momento di massima visibilità e riconoscibilità. I contenuti del rapporto Bruntland, l’aggravarsi dell’inquinamento ambientale, il panorama geo-politico determinatosi dopo la caduta del Muro di Berlino e la conclusione del processo di decolonizzazione, avevano generato aspettative importanti sui risultati del vertice che, anche grazie al ruolo giocato dalle Ong, non vennero deluse. Furono approvate e avviate alla ratifica le tre convenzioni ambientali principali: la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, la Convenzione sulla protezione della biodiversità e la Convenzione sulla lotta alla desertificazione e alla siccità. Venne istituita la Commissione Sviluppo Sostenibile sotto l’egida del Consiglio Economico e Sociale dell’Onu (ECOSOC) e lanciato Agenda 21, un programma articolato di azione “glocale” che
tuttora costituirebbe un valido manuale per lo sviluppo sostenibile se adeguatamente coordinato. Con Rio 1992, la strumentazione giuridicolegale per vincere la sfida della sostenibilità era dunque completata. Non restava che metterla in pratica. Le “magnifiche sorti e progressive” del sistema capitalista sembravano offrire il contesto ottimale ma dieci anni dopo, nel 2002 in Sudafrica, la macchina era già inceppata. Al Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg infatti ci si limitò a ribadire l’impegno a promuovere i principi e le azioni per la sostenibilità. Nessun nuovo accordo vincolante, nessun obiettivo misurato o misurabile. Sorprendente? Non direi, se si considera che il summit di Johannesburg arrivava tre anni dopo il fallimento del WTO a Seattle, due anni dopo lo scoppio della bolla New Economy, un anno dopo il default dell’Argentina e l’attacco alle Torri Gemelle. Tutt’altro clima rispetto al 1972 quando, poco prima dei grandi shock petroliferi, si godeva ancora appieno del boom economico degli anni ’50 e ‘60, la Comunità Economica Europea (CEE) acquisiva Danimarca, Gran Bretagna, Irlanda e Norvegia come nuovi membri e gli Stati Uniti di Nixon riavviavano le relazioni diplomatiche con la Cina. Ma anche rispetto al 1992 quando Bill Clinton saliva alla Casa Bianca, in Sudafrica finiva l’apartheid e il dogma del “libero commercio che sconfigge la povertà” conquistava destra e sinistra a livello mondiale.
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A destra: Sala dell’assemblea delle Nazioni Unite a New York. Sotto: Logo della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile.
La conferenza
Il 2012 dovrebbe quindi essere l’anno del riscatto. L’Assemblea generale ONU ha deciso, con la risoluzione 64/236 del 23 dicembre 2009, di indire la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile (UNCSD), ormai nota come “Rio+20”, anche se, per quanto detto sopra, la si dovrebbe chiamare “Stoccolma+40”. La Conferenza si svolgerà dal 20 al 22 giugno 2012 a Rio de Janeiro a livello di Capi di Stato e di Governo. Al fine di rendere finalmente concreti gli impegni assunti negli ultimi decenni sull’integrazione dei tre pilastri dello sviluppo sostenibile (economico, sociale e ambientale), la Conferenza si focalizzerà su due temi: l’attuazione su scala globale della Green Economy e la riforma della Governance mondiale dello sviluppo sostenibile. Il primo testo negoziale reso pubblico il 10 gennaio scorso porta un titolo evocativo e coinvolgente, “Il futuro che vogliamo”, ma le reazioni da parte della comunità scientifica e dal mondo delle Ong esprimono un mix di delusione e preoccupazione. Delusione per la cautela diplomatica degli estensori del documento che non sembrano aver colto l’eccezionalità del momento storico e tanto meno le indicazioni loro pervenute ufficialmente dalla società civile nella lunga fase istruttoria condotta dal 2010 in avanti. Preoccupazione per l’idea di Green Economy che traspare e per le condizioni in cui si tenterà di razionalizzare il “quadro istituzionale di riferimento”.
I temi, le criticità
Tra le decine di possibili concettualizzazioni di Economia Verde quella che sembra imporsi è ben rappresentata nel “Green Economy Report” presentato dall’UNEP, con il supporto di Banca mondiale e Organizzazione mondiale del commercio, nel febbraio 2011, e dallo studio “The Economics of Ecosystems and Biodiversity”, sempre targato UNEP, di fine 2010. In essi, pur considerando come accoglibili e condivisibili le proposte di eliminare i sussidi perversi nei settori energia, agricoltura, infrastrutture e investire i fondi risparmiati in nuove tecnologie, non sono accettabili né l’enfasi che si continua a porre sulla crescita materiale dell’economia, né – e direi soprattutto – l’idea di dare un valore di mercato alla natura per i servizi che essa fornisce (depurazione delle acque, assorbimento di carbonio, ecc.). Rispetto alla riforma della Governance, si evidenziano due considerazioni. Se parliamo di regole per governi e imprese, appare difficile prevedere che in una situazione di incertezza globale circa gli esiti della crisi economico-finanziaria in corso, gli Stati membri delle Nazioni Unite possano accordarsi nel 2012 su un programma di lavoro con obiettivi, tempi e strumenti vincolanti. Non è successo a Cancun (16° COP – Conferenza delle Parti sul Cambio Climatico), non è successo a Durban (17° COP), non è successo in sede di G20 negli innumerevoli summit svolti negli ultimi tre anni. Tutto si sta rimandando alla fatidica data del 2015. Se ci riferiamo all’architettura istituzionale, quello che preoccupa è
il fatto che oggi giorno le maggiori imprese multinazionali, praticando a loro uso e consumo le partnership pubblico-private, registrano dai cinque ai dieci partenariati milionari in corso con il sistema ONU (Shell e UNEP sulla biodiversità, Coca Cola e UNDP sulla protezione della risorsa acqua, Nestle e UNDP sul rafforzamento delle comunità locali, ecc.) e ciò rende oggettivamente complicato per le Nazioni Unite criticare l’operato dei suoi “business partner” e adempiere al proprio ruolo di vigilanza e normazione in favore della pace, della giustizia e dell’equità. Mani Tese, dopo aver partecipato nel mese di gennaio al Forum “L’Italia verso Rio+20”, organizzato a Roma dal Ministero dell’Ambiente, continuerà a seguire e informarvi sul processo preparatorio sia del vertice ufficiale sia dei numerosi appuntamenti auto-organizzati delle Ong e dei movimenti sociali che ovviamente non mancheranno di far sentire la loro voce in occasione di una scadenza così importante per il destino dell’umanità.
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s.o.s.tenibilità | rubriche Di elias gerovasi, capo area cooperazione mani tese
L’inizio o la fine di un’era la cooperazione del futuro
Nel mese di dicembre a Busan, in Corea del Sud, le diplomazie internazionali si sono incontrate al 4° Forum di Alto Livello sull’efficacia degli aiuti (HLF4), il più grande forum mondiale sull’aiuto pubblico allo sviluppo mai tenutosi. È la quarta tappa di un lungo percorso iniziato nel 2003 quando l’OCSE e i governi dei Paesi donatori hanno avviato un percorso di ridefinizione delle strategie in materia di aiuto allo sviluppo. Obiettivo principale, quello di migliorarne l’efficacia. Roma, Parigi e Accra hanno ospitato i Forum precedenti, in questi 8 anni tanti discorsi sono stati affrontati e molteplici documenti sono stati sottoscritti. Ma dove porta questo processo? Cosa è cambiato o cambierà nell’attitudine dei grandi donatori governativi dell’aiuto pubblico allo sviluppo? Gli entusiasti lo hanno definito l’inizio di una nuova era, uno spartiacque nelle politiche di cooperazione con nuovi protagonisti, nuovi strumenti e nuove dinamiche. Per i critici invece a Busan si è celebrato il funerale dell’industria degli aiuti allo sviluppo concepiti dal club dei Paesi ricchi (o ex ricchi) dell’OCSE. Yash Tandon, vecchia conoscenza di Mani Tese (*), ci aiuta a capire la distanza tra i punti di vista del nord e sud (dei donatori e dei riceventi) attraverso l’analisi dei discorsi di due leader che hanno preso parte al forum, Hilary Clinton (Segretario di Stato degli Stati Uniti) e Paul Kagame (Presidente del Rwanda).
*Yash Tandon è uno scrittore esperto di politiche di sviluppo, presiede SEATINI (Southern and Eastern African Trade Information and Negotiations Institute) e collabora con il South Centre. Ha partecipato al Convegno Internazionale di Mani Tese del 2008 (Gli equilibri della Fame: la cooperazione è la risposta?)
Questi i punti centrali del discorso di Hilary Clinton: NON SOLO AIUTO – la Clinton premette che oggi l’aiuto pubblico allo sviluppo costituisce solo il 13% dei flussi finanziari nord-sud, negli anni 60 era il 70%. CHI GUIDA GLI AIUTI – gli aiuti sono ancora indirizzati principalmente dagli stessi donatori, da tempo si chiede un forte coinvolgimento dei Paesi partner (Paesi riceventi) che li guidino secondo la loro agenda assumendosi mutua responsabilità rispetto ai donatori. GIÙ LE MANI DAGLI AIUTI – le elite governative dei Paesi riceventi dovranno rinunciare ai loro privilegi e destinare davvero gli aiuti alle popolazioni bisognose. ABBIAMO GIÀ FALLITO – Hilary Clinton rivela infine che solo uno dei 13 obiettivi fissati nel precedente forum di Parigi è stato raggiunto. Come a dire: abbiamo già fallito?
I punti deboli del documento di Busan
La cosa che sicuramente scomparirà dopo Busan è l’aiuto, o meglio il termine aiuto. Già nella dichiarazione finale il termine Aid (aiuto) è sostituito abilmente con Development (sviluppo). Non sentiremo più parlare di efficacia dell’aiuto ma di efficacia dello sviluppo. Questa una delle richieste (esaudite) della società civile che ha avuto una forte rappresentanza a questo incontro (oltre 300 partecipanti coinvolti nelle discussioni e nel processo dei negoziati). Il presidente Ruandese ribalta la prospetRimane però il fatto che i nuovi Paesi tiva: donatori come Cina, India e Brasile, pur I CONTI NON TORNANO – la forte cresci- riconoscendo i principi comuni del forum, ta del Pil di diversi Paesi africani non porta hanno chiaramente affermato che, gli automaticamente un aumento del reddito impegni indicati nel documento finale di pro-capite (anzi). Nessun Paese africano Busan sono volontari e che la Cooperazioraggiungerà gli obiettivi del Millennio. ne Sud – Sud è retta da modalità diverse da PIÙ INVESTIMENTI MENO AIUTI – quelle che reggono la cooperazione Nord l’enorme industria degli aiuti condiziona – Sud. Queste concessioni sono state il troppo i rapporti nord-sud e sta minando le prezzo da pagare per avere la Cina al tavolo potenzialità di investimenti e commercio. dei negoziati. CHI GUIDA GLI AIUTI (2) – non è possiL’efficacia dello sviluppo rimarrà quindi un bile chiedere ai Paesi riceventi una mutua affare tra Paesi ricchi donatori del nord e responsabilità sull’efficacia degli aiuti se la Paesi poveri riceventi del sud, i BRIC e gli gestione degli stessi non viene realmente altri Paesi emergenti preferiscono chiamaraffidata ai governi locali. si fuori da queste dinamiche impostando le PIÙ FIDUCIA – i donatori parlano di loro relazioni su altre basi. canalizzare gli aiuti attraverso i sistemi Paese ma pretendono che sia fatto con le In più il documento finale non esplicita loro regole, di fatto rifiutano i sistemi Paese quali siano gli impegni concreti e come esistenti. e a chi verranno applicati. C’è spazio per RIPENSARE IL SISTEMA – il presidente l’interpretazione del testo finale che probaconclude con l’esortazione ad un ripensabilmente occuperà diversi uffici governativi mento profondo del sistema degli aiuti allo per diversi mesi. Solo allora potremmo sviluppo. vedere il topolino partorito dall’elefante.
manitese 476 | gennaio – febbraio 2012 di annalisa stagni, area advocacy mani tese
Un impegno di giustizia
ambientale
restituire loro la possibilità di autodetermiViviamo in un mondo che è attraversato narsi e di vivere nel loro ambiente naturale, sempre più frequentemente da crisi di ogni facendo cessare la predazione e l’accaparratipo, come quella dei prezzi del cibo, quella mento – grabbing in inglese – delle risorse economica e finanziaria, quelle ambientali naturali da parte delle multinazionali e conseguenti ai cambiamenti climatici, la dei grandi investitori e l’inquinamento e il crisi della democrazia rappresentativa. Ognuna è il sintomo di un unico male e cioè degrado ambientale che ne deriva. È importante anche riappropriarci del significato un sistema economico che sta cannibalizdelle parole: elementi come l’acqua, la terra, zando gli stessi elementi che l’hanno fatto prosperare sinora, innanzitutto le persone e l’energia, l’aria, non sono semplicemente l’ambiente naturale – la terra – che ci ospita “risorse” utili per far funzionare il sistema, e fornisce le materie prime per far funziona- bensì beni comuni che permettono la vita sul nostro pianeta e come tali vanno re il sistema. tutelati e gestiti. Mani Tese da sempre si impegna per proRiflettere sulla giustizia ambientale signifimuovere la giustizia sociale: combatte gli squilibri tra Nord e Sud del mondo attraver- ca anche interrogarci sulla nostra responsaso progetti di cooperazione internazionale e bilità di abitanti di un Nord ricco. Infatti orla sperimentazione di stili di vita sostenibili. mai tutti sappiamo che i nostri stili di vita e il nostro modello economico per essere Sin dalla sua nascita la nostra associazione mantenuti richiedono un ipersfruttamenriflette sull’intreccio e l’interdipendenza fra to della natura. In altre parole gli elementi le nazioni, e di come le nostre abitudini e naturali, che appunto comprendono beni comportamenti abbiano un impatto sugli comuni essenziali, vengono sfruttati senza altri: la campagna sulla sovranità alimentarispettare il loro ciclo di rigenerazione re è l’esempio più recente. oppure attraverso modalità inquinanti, A partire da quest’anno, l’impegno di giufacendo ricadere sulla popolazione locale stizia di Mani Tese si vuole arricchire di un (cioè quella che abita quel territorio) e/o ulteriore ambito, la giustizia ambientale. indigena (cioè la popolazione originaria, Attraverso di essa non solo si vuole tutelare presente da prima delle colonizzazioni) le l’ambiente naturale, nella consapevolezza esternalità derivanti dallo sfruttamento. E di vivere in un pianeta finito che quindi sino a ora abbiamo assistito all’accaparranon può essere sfruttato all’infinito, ma si mento degli elementi naturali in quanto vogliono tutelare anche le comunità che materie prime per produrre beni materiali, vivono nei diversi territori, in particolare in destinati al nostro consumo sempre più quelli ricchi di risorse naturali: ad esempio veloce e forsennato. Le cosiddette ‘risorse il delta del Niger, le montagne del Perù ricnaturali’ hanno così finito per perdere la loche di oro e rame, le coste del Bangladesh ro essenza: non sono più parte della natura, devastate per far posto agli allevamenti di ma sono diventate semplicemente input gamberetti. per la produzione, merci al pari delle altre, a Parlare di giustizia ambientale significa disposizione del più veloce a prendersele, e riportare equità nello sfruttamento delle per cui è necessario creare dei mercati. La risorse naturali (l’acqua, la terra, le foreste, mercificazione della natura sta aprendo la le risorse estrattive come petrolio, metalli e porta alla sua finanziarizzazione, cioè la minerali), in modo che non siano più solo creazione di una sovrastruttura di prodotti le multinazionali e i grandi investitori a finanziari costruiti sull’elemento naturale, guadagnarci, ma siano invece le comunità la quale fa sì che si concretizzi la totale perlocali, cioè quelle che vivono laddove sono dita del legame fisico e culturale tra l’uomo le risorse, a decidere democraticamente e quell’elemento. se, come e quanto sfruttarle. Si vuole
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s.o.s.tenibilità | dossier
dossier
terra
acqua ed energia
acqua
mare Ecuador Colombia terra e agrocarburanti Uruguay
Guinea Bissau
ORO Liberia
Il piano di lavoro
Sono numerose e diverse le attività che Mani Tese intraprenderà nel prossimo futuro per promuovere la giustizia ambientale. Si comincerà con una ricca raccolta di documentazione attraverso la redazione di numerosi casi studio, realizzati assieme a CRBM e ad altri partner, che analizzano casi di accaparramento in giro per il mondo. Alcuni di questi casi li trovate segnalati nel planisfero, con l’indicazione dell’elemento naturale che viene ingiustamente sfruttato. Sarà realizzato anche un documentario che racconterà visivamente agli spettatori cos’è l’ingiustizia ambientale e l’accaparramento delle risorse. Ai volontari di Mani Tese e agli attivisti saranno proposte numerose iniziative, come la parteci-
pazione a due workshop internazionali, l’organizzazione di attività di sensibilizzazione sul territorio, il lancio di un bando per il finanziamento di piccoli progetti che sostengono modelli di consumo responsabile, un concorso per le scuole. Mani Tese sarà impegnata anche in attività di pressione verso le istituzioni Europee e internazionali e il settore privato, affinché adottino politiche coerenti e promuovano la transizione verso un sistema economico e di sviluppo che sia genuinamente sostenibile. Questi temi saranno approfonditi anche attraverso una pubblicazione e una conferenza internazionale che arricchirà la nostra analisi con il contributo di esperti e delle comunità impattate.
manitese 476 | gennaio – febbraio 2012
Workshop internazionale in India
In aprile un manipolo di volontari e attivisti di Mani Tese partiranno alla volta dell’India per partecipare al workshop internazionale, organizzato per approfondire le tematiche di cui stiamo parlando in queste pagine. Grazie al contributo di esperti e dei nostri partner locali, i volontari dibatteranno sul tema e si prepareranno per realizzare le visite sul campo: faranno esperienza di cosa e come vivono le comunità locali impattate. E al ritorno racconteranno all’associazione tutte le cose viste, le testimonianze ascoltate e le impressioni avute. Fra qualche numero vi racconteremo come è andata!
acqua e grandi dighe acqua e attività produttive India Kirghizistan PETROLIO Georgia
Sud Sudan
acqua ed energia
Nigeria
I compagni di viaggio
Mani Tese non sarà sola nel suo impegno di giustizia ambientale, in particolare l’equipe di lavoro è composta da partner italiani e internazionali che da anni si occupano di risorse naturali e della loro gestione. CRBM, che non necessita di presentazione, è il primo compagno di lavoro a cui è affidata, tra le altre cose, la redazione di tre casi studio. CEVI, ong di Udine, e il CICMA – Comitato Italiano Contratto Mondiale sull’Acqua, apporteranno la loro expertise sul tema dell’acqua. Valore Sociale da sempre si occupa di responsabilità sociale d’impresa e del settore privato. Bankwatch Network, consorzio di ong dell’Europa dell’Est con sede a Praga, si occupa del monitoraggio delle istituzioni finanziarie internazionali, proponendo alternative sociali ed ambientali ai progetti di sfruttamento da loro proposte. Les Amis de la Terre, partner francese, è una storica ong ambientalista, molto attenta agli impatti ambientali e sociali dell’attuale sistema economico, promuove pratiche sostenibili.
Centro di volontariato internazionale
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dossier
Gli attori che agiscono l’ipersfruttamento sono innanzitutto le aziende private – di solito multinazionali – a cui lo stato nazionale dà in concessione i diritti d’uso delle risorse naturali; oppure partnership pubblico-private che possono coinvolgere grandi istituzioni finanziarie (come la Banca Europea per gli Investimenti, la Banca Mondiale, ecc.); o anche gli stessi statinazione che abusano delle risorse presenti sul loro stesso territorio. Ma qualsiasi siano gli attori coinvolti, quello che succede presenta un copione che, pur con le differenze del caso, è tristemente replicato ovunque. Le multinazionali e gli altri investitori si trovano in una posizione dominante che crea tra loro e le comunità locali una forte ineguaglianza nell’accesso, controllo e gestione della natura. A queste ultime viene negata la partecipazione al processo istruttorio e decisionale sulla fattibilità dei grandi progetti di sfruttamento. Esempi di questi progetti sono la costruzione di dighe per impianti idroelettrici, la realizzazione di impianti estrattivi di petrolio, minerali e altre risorse del sottosuolo, oppure il disboscamento o sfruttamento delle foreste, ecc. ma anche la cessione di ampie fette di terreno fertile agli investitori – l’ormai tristemente famoso fenomeno del land grabbing, che è solo un aspetto del problema.
Foto in alto: laboratorio chimico per la realizzazione di biocarburanti. Foto sopra: piantagioni intensive di canna da zucchero per la realizzazione di biocarburanti
Si può parlare infatti di accaparramento dello sviluppo (grabbing development), poiché alle comunità locali si toglie la base, economica innanzitutto ma anche culturale, su cui si fonda il loro autosviluppo: viene loro negata la possibilità di usufruire di quelle risorse che da sempre sono il fondamento dei loro sistemi di sussistenza e che hanno contribuito a presidiare e mantenere nel tempo. Attorno al controllo delle risorse contese spesso si creano o si esacerbano conflitti, ulteriore contributo al consolidamento dello lo stato di povertà in cui sono state gettate le comunità locali. L’arrivo di capitali per lo sfruttamento delle risorse spesso favorisce e aumenta il fenomeno della corruzione e del malgoverno; l’economia da cui dipendono le comunità subisce profondi cambiamenti e viene destabilizzata: ad esempio, lo stesso territorio che prima bastava alla sussistenza dell’intera comunità ora è sufficiente solo per una parte di essa, costringendo l’altra all’indigenza o all’emigrazione verso le città. Viene imposto un modello economico che anziché promuovere il benessere delle popolazioni coinvolte, ne acuisce le
debolezze. Infine, va da sé che l’ambiente e la biodiversità in cui vivono le comunità locali oggetto dei fenomeni di accaparramento subiscono un forte degrado perché solitamente gli investitori approfittano dei bassi livelli di tutela ambientale da parte dello stato che ospita le risorse naturali. L’ingiustizia ambientale, come quella sociale, non è una condizione che ci è data. È una condizione creata dall’uomo e come tale può essere mutata. Come? Attraverso l’azione di pressione affinché si affermino sistemi di governance mondiale che siano realmente democratici e che promuovano l’adozione di vere soluzioni alle crisi in corso. Facendo pressione affinché nazioni e organismi sovranazionali (come ad esempio l’Unione Europea) agiscano con coerenza, senza promuovere la sostenibilità e la cooperazione internazionale con una mano per poi adottare con l’altra politiche energetiche, commerciali e di gestione delle risorse che vanno in direzione opposta. Promuovendo la consapevolezza dei cittadini di essere parte in causa del sistema e poter scegliere un modo diverso di contribuirvi, a partire dalle pratiche di vita quotidiana e degli stili di vita adottati. Questo è solo una parte dell’impegno di giustizia ambientale di Mani Tese per i prossimi anni.
GRAZIE!
ANCHE QUEST’ANNO I VOSTRI REGALI SONO ARRIVATI LONTANO!
Oltre 3000 volontari di Mani Tese nel mese di dicembre sono stati presenti in 54 punti vendita la Feltrinelli di tutta Italia, raccogliendo 302.035,98 Euro per il diritto all’istruzione in America Latina.
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s.o.s.tenibilità | approfondimento
VOLontariato
Molto più di un pacchetto regalo 2011 di silvia renda
Ancona
Coinvolgente, gratificante, solidale: ecco i tre aggettivi che meglio descrivono l’esperienza di raccolta fondi presso la Feltrinelli di Ancona. Coinvolgente, perché molti sono stati i volontari che hanno aderito all’iniziativa. Il loro supporto è stato fondamentale e hanno sparso la voce tra gli amici, spronandoli a partecipare. Si è creato un vero e proprio spirito di squadra, in cui ognuno faceva del suo meglio per raggiungere l’obiettivo comune. Gratificante, perché molti clienti Feltrinelli hanno chiesto informazioni sui progetti di Mani Tese in Brasile e in Guatemala e ci hanno fatto i complimenti per l’iniziativa. Il nostro pacchetto per loro aveva davvero un valore aggiunto, ben oltre il regalo che veniva confezionato. Solidale, perché ci siamo aiutati a vicenda e perché Mani Tese ci ha dato un’occasione speciale per vivere il Natale. Come mi ha detto un giorno un cliente: “Siamo al mondo insieme, non per ignorarci o litigare, ma per darci una mano. Ognuno di noi, con le sue azioni quotidiane, può contribuire a creare un mondo più equo e sereno…e non dimenticatevi mai che molte formiche divorano un leone. In bocca al lupo ragazzi!”
Immagini scattate dai volontari attivi nella libreria la Feltrinelli di Monza per l’iniziativa “Molto più di un pacchetto regalo”.
di chiara pattaro e franca forzati
Esperienza Mani Tese a Latina in 6 parole: allegria, disponibilità, collaborazione, accoglienza, scambio e stupore
L’allegria ci ha pervasi fin dall’inizio della nostra esperienza, nel gruppo di volontari, con il personale Feltrinelli e con i clienti. Tutto è accaduto spontaneamente e ha trovato terreno fertile: una signora nel farsi impacchettare un libro ci ha raccontato che bisogna iniziare una giornata con una bella risata, e per farci capire il senso di quel che diceva ha chiesto se avevo letto il libro che stavo chiudendo: “Tutto quello che gli uomini sanno delle donne”, mi sono giustificata dicendo: “non è il mio genere”. Mi ha invitata ad aprirlo e leggere. Ho sfogliato: tutte pagine bianche e a quel vuoto siamo scoppiate a ridere; Disponibilità, come la spontanea voglia di aiutare e contribuire a questa raccolta fondi, momento di solidarietà, sicuramente verso i ragazzi in America Latina, come verso il prossimo più vicino. Come i giovanissimi Alessia e Alessandro: sono passati come clienti e in uno scambio di poche parole li abbiamo ritrovati volontari; Accoglienza è la parola d’ordine del direttore e dei dipendenti la Feltrinelli: per un mese siamo state coccolate da sorrisi, gesti di incoraggiamento e sostegno nell’affrontare la prima esperienza di responsabili Mani Tese… un continuo ed arricchente scambio. Racconti di volontarie “fuori porta” come Barbara ed Ilaria (toscana e veneta in giro per il mondo), curiosità di clienti con il “callo” del volontariato, volontari di tutte le età che hanno condiviso le loro esperienze di vita con noi e con chi riceveva il “bel pacchetto”; Stupore: farsi sorprendere ogni giorno di più dalla disponibilità di volontarie come Patrizia ed Eleonora che si son trovate di passaggio e son rimaste ad aiutare; dalla generosità dei più giovani nel donare quel poco che avevano; dall’entusiasmo dei volontari che, dal voler fare il minimo indispensabile, son rimasti fino alla vigilia ad aiutarci, commuovendosi insieme a noi perché l’esperienza stava finendo.
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Di tommaso fattori, Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua
L’EAU SOURCE DE VIE, PAS DE PROFIT
S Z-VOU NS MEESFCIEONTREFAÇO D
DU 14 AU 17 MARS 2012 AU DOCK DES SUDS I MARSEILLE ET DU 9 AU 17 MARS
SPECTACLESIEXPOSICONFÉRENCESIMANIFESTATION MARSEILLE&ALENTOURS
www.maxminniti.com/news
FORUMALTERNATIF MONDIALDE L’EAU
www.fame2012.org/fr
Dal 12 al 17 Marzo la città di Marsiglia ospiterà il sesto Forum Mondiale dell’Acqua. A dispetto del nome tranquillizzante –che richiama il Forum Sociale Mondiale e gli spazi pubblici creati dai movimenti della società civile globale– il Forum dell’Acqua è un limpido esempio di cosa sia in concreto la governance postdemocratica. Il Forum è organizzato, ogni tre anni, dal Consiglio Mondiale dell’Acqua, un organismo privo di qualsiasi legittimazione democratica che vede fra i suoi fondatori rappresentanti di alcune fra le più grandi multinazionali del mondo. Non è un caso se a presiedere il Consiglio è Loïc Fauchon in persona, presidente della Société des Eaux de Marseille, una società controllata dai due colossi privati dell’acqua, Veolia e Suez. Il prossimo Forum si svolgerà nel quartier generale del Consiglio, che si trova appunto a Marsiglia. Del Consiglio fanno parte lobbisti di tutto il pianeta, rappresentanti dei grandi poteri economici ma anche la stessa Banca Mondiale. Da anni il Consiglio tenta di accrescere la propria legittimità e il proprio potere integrando al
proprio interno Agenzie delle Nazioni Unite e rappresentanti dei governi disponibili a farsi cooptare. Sta così prendendo forma una vera e propria istituzione postdemocratica sopranazionale, il cui fine è produrre politiche e “soluzioni” di mercato al problema globale dell’acqua, attraverso la progressiva commercializzazione del bene e la privatizzazione dei servizi idrici. Ma l’obiettivo reale è ben più ambizioso del solo servizio idrico integrato: Consiglio e Forum si stanno occupando della grande partita dell’energia (dall’idroelettrico al nucleare), del cibo, nonché della finanziarizzazione dell’acqua. Attraverso un organismo “privato” come il Consiglio ed un grande evento triennale quale il Forum Mondiale (al quale sono invitati governi e amministratori locali di tutto il mondo) viene svuotata la democrazia nelle sue forme tradizionali ed allontanata ogni possibile partecipazione dei cittadini al governo dei beni comuni: le nuove politiche pubbliche nazionali e globali sono definite in questi spazi privati intermedi, all’interno di queste nuove istituzioni opache, prive d’investitura democratica, in cui si sovrappongono e s’incontrano rappresentanti dei governi e rappresentanti dei grandi poteri economici. Lobby, imprese economiche, tecnocrati e burocrazie acquistano un peso sempre maggiore nel governo dei beni comuni ed il potere si struttura in forme oligarchiche non trasparenti, cercando ora d’utilizzare anche la crisi, lo “stato d’eccezione” e l’“emergenza” causata dalle stesse politiche neoliberiste come occasione per rilanciare globalmente un nuovo ciclo di privatizzazioni e di accumulazione di ricchezza privata a danno del patrimonio collettivo e dei beni di tutti. In effetti Consiglio e Forum sono alla ricerca di un riscatto dopo che i movimenti, nel corso degli ultimi anni, hanno assestato colpi ferali alla mercificazione dell’acqua e al pensiero unico privatista: costituzio-
nalizzazione del diritto all’acqua in molti Paesi dell’America latina, ripubblicizzazione del servizio in città simbolo come Parigi, referendum popolari vinti a Berlino o in Italia, che segnano un mutamento del senso comune nel Nord del mondo, oltre allo storico voto dell’Assemblea Generale Onu che nel 2010 ha riconosciuto l’acqua come diritto umano universale. Un voto che è il frutto di un percorso iniziato al Forum Mondiale Alternativo dell’Acqua (Fame) di Istanbul, nel 2009, quando la pressione dei movimenti spinse 26 governi a non firmare la dichiarazione ministeriale finale del Forum delle multinazionali, dichiarando al contrario che l’acqua è un diritto e che è necessario avviare un processo di governo dell’acqua sotto l’egida dell’Onu, negando in tal modo legittimità al Forum e al Consiglio. È in questa crisi di legittimità che le multinazionali cercheranno a Marsiglia di risollevarsi, proponendosi come paladine del diritto all’acqua grazie al sempreverde meccanismo di “partenariato pubblicoprivato”: soldi pubblici e profitti privati come soluzione ai problemi idrici globali. Davanti a sé troveranno un movimento globale forte, sempre più strutturato, come dimostra la nascita di una rete europea per l’acqua bene comune, che sarà battezzata proprio al Fame di Marsiglia. Reti, movimenti, associazioni, sindacati, Ong di tutto il mondo si sono dati appuntamento dal 14 al 17 marzo al contro-Forum, un luogo in cui le soluzioni alla crisi idrica globale non passano attraverso l’ideologia mercatista, la massimizzazione dei profitti di pochi e la valorizzazione dei grandi capitali privati ma al contrario attraverso il governo democraticamente partecipato dell’acqua, nell’interesse collettivo, per il diritto alla vita in tutto il pianeta. www.fame2012.org
campagne
FAME 2012: un contro forum per il diritto all’acqua
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s.o.s.tenibilità | rubriche Di stefano squarcina, Gruppo Gue/NgL del Parlamento Europeo
osservatorio europeo
La lotta contro la povertà energetica Chiudiamo gli occhi tutti insieme e immaginiamo, anche per un solo istante, che cosa diverrebbero le nostre società e vite quotidiane senza energia… Niente più elettricità, al buio completo; assenza di petrolio o gas, con la conseguente mancanza di trasporti o possibilità di cucinare normalmente, per non parlare dell’arresto immediato di ogni catena produttiva. Con un po’ d’immaginazione si può facilmente indovinare l’incubo in cui ci troveremmo a vivere, il quale –in realtà– è la condizione di normalità per miliardi di persone nei Paesi della periferia del mondo. Si chiama povertà energetica, è la mancanza totale o di accesso insufficiente all’energia, elemento che pregiudica pesantemente ogni possibilità di sviluppo economico ordinato per la maggioranza dei Paesi nel pianeta.
Combattere le ineguaglianze create dalla povertà energetica è determinante per il raggiungimento degli “Obiettivi del Millennio per lo Sviluppo”, che entro il 2015 vogliono in sostanza dimezzare il numero di poveri nel mondo. Per rispettare gli impegni bisognerebbe che almeno quattrocentomilioni di persone potessero avere accesso all’energia elettrica entro tre anni, e che un miliardo di altre potesse avere accesso a metodi sani di cottura. Un obiettivo facilmente raggiungibile, almeno in teoria: secondo l’ONU basterebbero 32 miliardi di euro entro il 2015, lo 0,06% del PIL mondiale. È solo una questione di volontà politica, nient’altro: in tre anni (periodo 2008/11) sono stati trovati 4.600 miliardi di euro per salvare le banche europee, non ci si venga a dire che non ci sono i soldi…
L’accesso all’energia sostenibile sul piano sociale ed ambientale è determinante per ridurre la povertà nel mondo. Oltre un miliardo e mezzo di persone vivono senza elettricità; due miliardi e mezzo usano combustibili solidi come legno, carbone o letame essicato (“biomassa”) per cucinare o scaldarsi, con la conseguenza che almeno due milioni di persone all’anno, soprattutto donne e bambini, muoiono di enfisema o altre malattie respiratorie legate ai fumi tossici prodotti da tali materiali (dati Banca Mondiale): per il 2030 si parla di almeno quattromila morti al giorno, stime superiori alle morti premature per malaria, tubercolosi o HIV/AIDS (dati ONU). L’Africa, ad esempio, è il continente con i più acuti problemi di accesso all’energia: solo il 29% delle case degli africani sono fornite di elettricità; il 75% della popolazione dell’Africa Sub-Sahariana –ovvero 550 milioni di persone– non ha accesso alla luce elettrica. Nell’Asia del sud il problema riguarda almeno 700 milioni di persone, il 90% delle quali abita in zone rurali.
La piaga della povertà energetica è così forte che le Nazioni Unite hanno dichiarato il 2012 “Anno internazionale dell’energia sostenibile per tutti”. “Vabbé!”, diremmo noi, “si tratta di una commemorazione come tante altre, i vari obiettivi verranno traditi per l’ennesima volta”. La decisione ONU, però, ha almeno il vantaggio di riportare i Paesi più ricchi alle loro responsabilità e di aprire un dibattito profondamente politico, che riguarda la giustizia e la democrazia energetiche. E di ragionare sui gravissimi errori sin qui compiuti con il finanziamento di strategie “macro” (grandi dighe, enormi centrali, inutili progetti transfrontalieri, sotto accusa è soprattutto la Banca Mondiale), che hanno comportato distruzione ambientale, stravolgimento degli equilibri politico-sociali, un modello di sviluppo energivoro per nulla efficiente in termini energetici, semplicemente antieconomico e antidemocratico. Le disastrose esperienze del passato, legate anche agli effetti del cambiamento climatico, comportano la rivalutazione della dimensione “micro” della lotta alla
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manitese 476 | gennaio – febbraio 2012
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povertà energetica: in termini di sviluppo umano, hanno fatto di più le migliaia di pannelli solari distribuiti in sperduti villaggi dalla cooperazione olandese o danese che le numerose centrali idroelettriche costruite in Africa, anche se ovviamente ciò non risolve tutti i problemi. L’accento va dunque messo sulla sostenibilità e rinnovabilità delle fonti, cosa che –secondo il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC), quello che per intenderci sta lavorando per il rinnovo del Protocollo di Kyoto– non comporterà ulteriori emissioni significative di gas ed effetto serra e sarà in grado di promuovere la democrazia energetica. L’IPCC ci dice anche che il potenziale rappresentato dalle tecnologie per le energie rinnovabili supera di gran lunga la domanda corrente di energia, e che solo il 3% di questo potenziale è stato sinora usato: basti pensare che l’energia solare irradiata nel nostro Pianeta in un solo giorno è pari a quella attualmente consumata a livello mondiale in un anno. Per quanto riguarda l’Unione Europea, il suo impegno nella lotta alla povertà energetica è sostanzialmente recente: il primo, vero riferimento al problema risale al 2007, quando durante un vertice UE - Unione Africana è stato approvato un “Partenariato Africa-UE per l’Energia”. Ma solo nel settembre 2010 si è tenuta la “Prima Conferenza di Alto Livello” del partenariato, che ha adottato un “Piano strategico all’orizzonte 2020” in materia di accesso all’energia, di sicurezza energetica, di energie rinnovabili e di efficienza energetica, da cui ha preso spunto anche l’approvazione di un “Programma di cooperazione AfricaUE nel settore delle energie rinnovabili” (RECP), che intende rafforzare la cooperazione industriale e commerciale tra i due continenti in questo settore strategico. Tra gli obiettivi fissati in vista del 2020 ci sono l’accesso ai servizi energetici per almeno 100 milioni di africani; il raddoppio del
volume di utilizzazione di gas naturale in Africa; la costruzione di centrali idroelettriche per almeno diecimila megawatt, e di centrali eoliche per cinquecento megawatt, con l’obiettivo di moltiplicare anche l’utilizzo dell’energia solare; nonché il miglioramento dell’efficienza energetica in Africa. Al momento, però, siamo agli albori di tale cooperazione: solo a metà del 2011 sono state approvate le “linee direttrici” per la selezione dei progetti da finanziare, qualcosa di concreto è previsto per il 2012. È evidente che l’UE ha usato il periodo 20072011 per dotarsi di tutti i regolamenti necessari per “esser pronta” per l’Anno ONU dell’energia sostenibile per tutti. Qualcosa di più strutturato si trova nell’ambito della cooperazione UE-ACP (Africa, Caraibi e Pacifico), con l’approvazione per il periodo 2009-13 di una seconda “facility ACP-UE” in campo energetico, dotata di 200 milioni di euro con cui finanziare 65 progetti già selezionati, tutti però ancora in attesa. Ciò permetterà all’Unione Europea di dire che è impegnata anche in questo settore, della serie “meglio tardi che mai!”. Molto debole –ma almeno ha il vantaggio di esistere– anche l’impegno UE sul sostegno alle energie rinnovabili in Africa: il programma RECP è operativo per il periodo 2010-2020, ma non si capisce come uno striminzito contributo iniziale di cinque milioni di euro per i primi tre anni possa davvero far decollare un programma politicamente e culturalmente così ambizioso.
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s.o.s.tenibilità | approfondimento Di giacomo petitti, Responsabile ECM e formazione volontari mani tese
Dalle risorse ai beni comuni Un gioco – percorso a tappe per educare alla sostenibilità Che le risorse del pianeta siano sfruttate oltre le loro capacità non è una notizia tanto sconvolgente. Da qualche anno nessuno osa più mettere in discussione una questione che, in effetti, era stata evidenziata dall’economista Kenneth Boulding fin dagli anni ‘60. Chi crede possibile una crescita infinita su un pianeta dalle risorse limitate è un pazzo, diceva, oppure un economista. Tale argomentazione, autoironica e perfettamente razionale, viene colta immediatamente dagli studenti durante i percorsi di educazione alla cittadinanza mondiale che svolgiamo nelle classi. D’altronde il concetto di fondo è intuitivo. Fin dalle elementari i bambini capiscono in fretta che non è possibile continuare costruire all’infinito una casa sempre più alta se il materiale che abbiamo a disposizione non è altrettanto infinito. Ma cosa succede dopo? I ragazzi scelgono davvero di modificare i propri comportamenti in funzione di un più giusto e corretto utilizzo delle risorse? La risposta è univoca e non certo incoraggiante. Cinque minuti di pubblicità esercitano un potere seduttivo molto maggiore di tre ore di percorso didattico e riescono spesso, con due slogan ben riusciti, a fare a pezzi le dissertazioni più intelligenti. Per quanto possa sembrare frustrante, questo dato di fatto pone però una questione molto interessante.
risorse non prendiamo seri provvedimenti? Alla radice ci sono due legami che si sono spezzati e che impediscono ai cittadini del Nord del mondo, studenti, insegnanti o animatori che siano ma soprattutto consumatori ormai per vocazione, di saper guardare oltre i codici a barre dei prodotti che acquistano continuamente.
Il problema, infatti, non è tanto dimostrare l’insostenibilità del sistema in cui viviamo, quanto piuttosto aiutare gli studenti (e noi stessi, non certo arbitri imparziali nel gioco dei consumi) a comprendere come può essere possibile che, anche messi di fronte all’evidenza dei fatti, tutti continuino a comportarsi come se nulla fosse e a consumare come se la questione non li riguardasse per davvero. Il vero nodo da risolvere, quello che ha radici più profonde, è proprio questo: perché anche se siamo ormai tutti consapevoli che continuando su questa strada condanneremo noi stessi e le future generazioni a fare i conti con una scarsità strutturale di
Di fronte a tanta complessità non è sufficiente spiegare ai ragazzi ciò che sospettano già, ovvero che stiamo consumando troppo e in modo profondamente diseguale. Se l’obiettivo è riscoprire i legami perduti è necessario raccontare una storia diversa, andando più in profondità.
Il primo è il legame tra l’uomo e la natura, che si perde nel momento in cui le stagioni non incidono più sulle nostre abitudini, le città non respirano e ciò che la natura ci regala senza chiedere niente in cambio da millenni viene privatizzato, mercificato e venduto. Emblematico di questa ratio è l’utilizzo del termine risorse naturali (risorsa = fonte di ricchezza) per indicare terra, sole, acqua, aria, ovvero gli elementi che garantiscono l’esistenza di tutti e che dovrebbero essere preservati in quanto tali. Il secondo, altrettanto importante, è il legame tra l’uomo e gli altri uomini. Il consumatore contemporaneo è fondamentalmente un uomo solo davanti ad un prodotto, che rischia di perdere progressivamente quella cultura della partecipazione, della mutualità e del sostegno reciproco che è stata base storica ed imprescindibile del tessuto sociale costitutivo delle democrazie europee.
Per provare a raggiungerlo abbiamo progettato un gioco-percorso a tappe, che abbiamo chiamato: “Dalle risorse ai beni comuni”. Vorremmo costruirlo nel giardino che circonda la sede nazionale di Mani Tese in piazza Gambara a Milano, se troveremo i fondi per realizzarlo.
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Immaginate di essere inviati nientemeno che da Madre Natura a superare delle prove. In ogni tappa si giocherà a collegare gli elementi naturali con uno dei cinque sensi: l’acqua si dovrà degustare (qual è quella in bottiglia e quale del rubinetto?), l’aria si dovrà annusare e respirare dandole un voto, il fuoco (ovvero l’energia) si potrà toccare. I ragazzi avranno l’opportunità di interagire tra loro e sperimentarsi attraverso i sensi. Da Gaia (Madre Natura) tutto parte e tutto torna. È lei che racconta dei legami perduti tra l’uomo e il suo pianeta, lei propone agli studenti di partire in un viaggio alla scoperta degli elementi, di fronte a lei si rifletterà sulle possibili soluzioni personali e collettive. La proposta di ridurre i consumi e ricercare l’armonia con Madre Natura non sarà quindi posta come un’imposizione, ma verrà da loro stessi individuata come possibile soluzione al gioco. In questo senso “l’esperienza del limite”, con cui gli adolescenti in particolare si confrontano quotidianamente, perderà naturalmente la valenza negativa assegnata dalla società dei consumi per trasformarsi in un valore positivo, che permette di vivere meglio con sé stessi e con gli altri nei limiti, appunto, di un solo pianeta. Il gioco-percorso a tappe sarà fortemente esperienziale, volto a facilitare una presa di coscienza personale dell’impatto dei consumi quotidiani e di ciò che ognuno di noi può fare per rispettare l’ambiente e garantirne l’integrità per le generazioni future. Useremo giochi di ruolo, planisferi giganti, statue a grandezza naturale e impronte ecologiche da bigfoot. Al termine del viaggio, quando gli studenti si ritroveranno davanti a Gaia dopo aver superato le prove insieme, sarà più facile percepire le risorse non più come regali che la natura ci fa all’infinito e incondizionatamente ma come beni comuni da preservare collettivamente. Per saperne di più: www.manitese.it/blog-educazione
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s.o.s.tenibilità | rubriche Di cristina sossan, comitato italiano contratto mondiale sull’acqua – Cicma
campagne
Rispettare il voto popolare, è una questione di Obbedienza Civile Che l’acqua non fosse un bene come gli altri, un servizio come gli altri e soprattutto una merce come le altre sembrava chiaro e lampante a giugno 2011, dopo il risultato referendario che ha portato più di 26 milioni di italiani a dire NO alla privatizzazione e mercificazione dei servizi e in particolare dell’acqua. Sembrava ovvio che i votanti avessero indicato una strada alternativa per la gestione dei beni comuni più importanti, l’acqua in primis, e ciò che avremmo voluto vedere era una svolta nella nuovo politica di governo e gestione del servizio idrico in particolare. Sfortunatamente ciò non è avvenuto e anzi, spinti dalla situazione economica italiana deprimente e da quella politica altrettanto altalenante, ad oggi non si è ancora data attuazione a quelle che erano le richieste dei quesiti referendari. Dopo il 20 luglio, data in cui è stata ufficialmente sancita la vittoria referendaria, il movimento dell’acqua aveva già iniziato la prima mobilitazione per garantire la corretta attuazione del secondo quesito sull’acqua, l’abrogazione della norma che consentiva ai gestori di caricare in bolletta la quota di remunerazione del capitale investito. La campagna di “Obbedienza Civile – il mio voto va rispettato”, così chiamata perché non si tratta di “disubbidire” ad una legge ingiusta, ma di “obbedire” alle leggi in vigore, così come modificate dagli esiti referendari, prende piede in diverse città italiane, attraverso l’organizzazione capillare di punti di informazione presso i quali i cittadini possono sottoscrivere la richiesta al gestore di eliminare il 7% dalla bolletta ma anche di azioni di pressione sui Sindaci ed ATO. Dopo il voto infatti, con vari rimpalli di competenze, non sono state avviate adeguate procedure per la revisione delle tariffe in funzione della riduzione del 7% previsto per la remunerazione del
capitale investito. La mobilitazione proposta dal Forum Italiano dei Movimenti dell’acqua si propone anche di dare una risposta all’evidente crisi della democrazia rappresentativa dei partiti, ormai diventata impermeabile non solo alle istanze della società, ma persino ai formali esiti delle consultazioni codificate nella nostra Carta Costituzionale, come appunto i referendum abrogativi. Nonostante il voto abbia posto i beni comuni e la partecipazione democratica come base fondamentale di un possibile nuovo modello sociale capace di rispondere alle crisi economico-finanziarie, il prossimo decreto sulle liberalizzazioni in approvazione in questi giorni, potrebbe annullare in vari modi le richieste del referendum, facendo rientrare la gestione dell’acqua tra i servizi da delegare al mercato. Il movimento dell’acqua non si ferma, e per contrastare questo rischio, il 18 e 19 gennaio si sono svolte azioni e mobilitazioni di piazza in tutta Italia per chiedere che il voto venga rispettato, per ribadire che l’acqua non è una merce e per chiedere che il governo Monti cambi la strada intrapresa. L’acqua non è una merce, ma un bene comune che appartiene a tutti gli esseri viventi e a nessuno in maniera esclusiva e i beni comuni in quanto tali, non possono essere soggetti alle nuove speculazioni finanziarie poiché essi costituiscono le fondamenta del legame sociale nelle comunità. Sembrava che il referendum ci avesse portati più vicini alla concretizzazione del diritto all’acqua, ma forse la strada è più lunga di quanto avevamo pensato.
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Di giovanna tedesco, responsabile relazioni con i donatori mani tese
Cari Amici di Mani Tese, buon anno! Sono molto lieta di presentarvi un’importante novità nel nostro periodico bimestrale che vuole coinvolgervi direttamente: la rubrica dedicata ai sostenitori di Mani Tese! Una finestra di dialogo aperta a tutti voi che ci seguite e ci sostenete con costanza e generosità, uno spazio utile per fornire aggiornamenti su progetti e campagne, un’opportunità per informarvi delle iniziative, per illustrarvi le collaborazioni avviate con aziende e Istituzioni, per dare vita a un momento di confronto sulle attività di Mani Tese. In questo numero desidero raccontarvi la collaborazione nata nel 2010 con il Piccolo Teatro di Milano. L’occasione ci è stata offerta da “Magie Noire”, spettacolo messo in scena dai ragazzi di strada di Recife coinvolti nel progetto di Mani Tese “Dalla strada alla scuola” (n. 2244 Brasile) e dalla Compagnia francese Ophelia. Il tour europeo prevedeva delle tappe italiane e immediatamente ci siamo attivati per trovare un teatro disposto ad ospitarci gratuitamente. Il Piccolo ci ha accolto proponendoci l’adesione a MasterClass 2010, un’iniziativa rivolta a studenti provenienti da varie parVi lascio con un augurio speciale giunto da un nostro ti del Mondo al fine di favorire non solo la formazione, affezionato donatore, il signor Roberto, che ringrazio ma lo scambio di conoscenze e l’incontro tra culture e per il pensiero e per la fiducia nel nostro operato: tradizioni differenti. “Grazie per il semplice ma significativo dono del seIl 5 giugno 2010 è andato in scena lo spettacolo e da gnalibro. Vi confesso che tanti grazie mi hanno un po’ subito questa collaborazione si è rivelata un succesimbarazzato, perché ritengo che si possa fare ancora so: oltre a raccogliere fondi per il progetto educativo di più, soprattutto per le persone più indifese come i avviato da Mani Tese in collaborazione con il partner bambini che credo debbano essere in testa a questa locale Pe no Chao, è stata offerta ai ragazzi un’occaclassifica. Vi sostengo e continuerò a farlo e concludo sione unica per esibirsi in Italia, davanti a un pubblico con un abbraccio da nonno a tutti i piccoli a cui auguro impegnato da anni a sostenere le loro attività. La collaborazione tra Mani Tese e il Piccolo è prosegui- un futuro radioso e dignitoso, perché gli è dovuto da ta attraverso la promozione, rivolta ai nostri volontari e tutti noi.” sostenitori, di alcuni spettacoli selezionati, l’organizzazione di conferenze su temi sociali vicini alla mission di Mani Tese in apertura di importanti spettacoli quali “La Compagnia degli uomini” di Luca Ronconi e “Gnam attenzione! Gnam, grunf grunf, slap slap, tic tic”, spettacolo dedicaVi ricordiamo che tutte le donazioni effettuate a favore di Mani to ai più piccoli sui “cibi sensibili” dell’artista Antonio Tese, da privati e da imprese, godono dei benefici fiscali previsti Catalano. dalle normative vigenti e dalla legge n° 80/2005 denominata “+ Dai – Versi”. L’ultimo appuntamento con il Piccolo Teatro si è svolto Per poter ottenere la detrazione o la deduzione è necessario mercoledì 11 gennaio con lo spettacolo di Luca Ronconi conservare le ricevute delle vostre donazioni (tagliando di conto “La Modestia”. corrente postale, ricevuta di avvenuto bonifico, ricevuta della carta Durante la serata i nostri volontari hanno allestito un di credito…) e allegarle alla dichiarazione dei redditi. Questi sono banchetto informativo e molti sostenitori hanno accolgli unici documenti fiscalmente validi. to il nostro invito aderendo alla promozione. Grazie a coloro che hanno partecipato! Per chi volesse ricevere l’estratto delle donazioni dell’anno 2011 è Vi invitiamo a seguire le future iniziative in collaborapregato di comunicarlo via mail all’indirizzo: zione con il Piccolo Teatro di Milano sul nostro sito inraccoltafondi@manitese.it o al numero di telefono 02 40 75 165. ternet www.manitese.it o sulla nostra pagina facebook Sarà nostra premura inviare la ricevuta in formato pdf. www.facebook.com/ManiTese .
spazio donatori
Dedicato ai sostenitori di Mani Tese
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s.o.s.tenibilità | progetti
Fai la differenza
Il cibo degli dei a cura di giovanni mozzi, mani tese
Il progetto coinvolgerà circa 1.000 famiglie contadine ed è il proseguimento e la conclusione di un precedente intervento (n. 2224). L’obiettivo è la promozione della Sovranità alimentare e il miglioramento della qualità della vita della popolazione rurale.
Qualcosa di speciale
È un albero tropicale alto dai 4 ai 10 metri, i suoi fiori crescono lungo il tronco e sono bianchi e rosati, il suo nome scientifico significa “cibo degli dei” e i Maya impiegavano i suoi semi come moneta (10 semi per un coniglio, 100 per uno schiavo). Parliamo della pianta del cacao (Theobroma cacao).
Se poi è fine di aroma…
Tanta delizia per il palato male si accorda con le condizioni economiche dei suoi produttori nella provincia di Manabì, una delle più povere dell’Ecuador, dove il 45% dei bambini al di sotto di 5 anni soffre di malnutrizione cronica. È questa una zona di massiccia produzione di cacao, con il 14% del totale nazionale. Quantità e qualità del cacao locale vanno però progressivamente scemando a causa delle limitate conoscenze tecniche dei piccoli produttori e per l’inadeguatezza dei sistemi di raccolta e post raccolta. Inoltre i produttori sono disorganizzati e incapaci di connettersi efficacemente con gli altri attori della filiera, specialmente esportatori ed acquirenti stranieri. Nel contempo la domanda di cacao sui mercati internazionali è in continua crescita e in grado di assorbire anche un incremento del 100% della produzione ecuadoriana.
Come fare per migliorare radicalmente
Verranno acquistate 100.000 piantine di cacao fine di aroma e si provvederà alla semina di circa 50.000 tra piante e alberi da frutto in modo da diversificare la produzione e promuovere la sovranità alimentare delle famiglie produttrici, sempre con l’assistenza tecnica da parte degli agronomi di CEDERENA. L’accesso al mercato sarà naturalmente facilitato dal miglioramento qualitativo del cacao prodotto. Per raggiungere tale obiettivo si provvederà a incrementare le capacità dei produttori locali in fase di selezione, essiccatura, tostatura e miscela del cacao. Verranno acquistate 2 serre per facilitare l’essiccazione del cacao, evitando le conseguenze di inverni troppo rigidi e piovosi. Un esperto di marketing accompagnerà le associazioni di produttori in fase di promozione del prodotto e ricerca dei mercati locali e internazionali. La riduzione degli intermediari sarà garantita anche dalle fiere locali, che saranno organizzate direttamente dalle associazioni di contadini e che permetteranno la vendita diretta dal produttore al consumatore. In tal modo si consentirà un maggior guadagno al produttore ed un minor prezzo al consumatore.
Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.
PER SOSTENERE I PROGETTI di mani tese • Conto Corrente Postale n° 291278 intestato a Mani Tese P.le Gambara 7/9, 20146 Milano • Assegno bancario • Bonifico Bancario Banca Popolare Etica, codice IBAN: IT 58 W 05018 01600 000000000040 • Domiciliazione bancaria tramite RID • Carta di Credito sul sito www.manitese.it • Destinazione del 5x1000 della dichiarazione dei redditi codice fiscale 02343800153 • Lascito Testamentario
BENEFICI FISCALI
Tutte le donazioni effettuate a nome di Mani Tese godono dei benefici fiscali previsti dalla legge. Ricordati di conservare la ricevuta di versamento!
progetto 2250, ecuador
Località Provincia di Manabì Partner CEDERENA Importo € 24.860
Sostieni anche tu la sovranità alimentare delle popolazioni rurali dell’Ecuador! Con 10 Euro copri il costo di 1.000 piantine di cacao. Con 50 Euro finanzi uno dei 40 incontri di formazione sulla commercializzazione del cacao. Con 150 Euro partecipi all’acquisto di una macchina potatrice (costo totale € 1.500).
manitese 476 | gennaio – febbraio 2012
Acqua, un liquido prezioso da centellinare goccia a goccia a cura di giovanni mozzi, mani tese
progetto 2247, India
L’abbandono delle campagne
Località Distretto di Virudhunagar, stato del Tamil Nadu Partner ASSEFA Importo € 56.500
Nel Tamil Nadu l’abbandono delle campagne da parte degli agricoltori trova una causa nella legge sull’eredità che continua a suddividere i loro appezzamenti in lotti sempre più piccoli e per questo meno produttivi. Inoltre in molti di questi terreni sono pressoché inesistenti o malfunzionanti i sistemi d’irrigazione, tanto che la maggior parte dei contadini dipende ancora dai monsoni. Di fronte a queste difficoltà gli agricoltori lasciano le campagne alla ricerca di migliori opportunità di lavoro nelle periferie delle città, andando in realtà ad incrementare il numero di coloro che vivono negli slums senza alcun futuro. Obiettivo del processo è contrastare l’esodo dalle campagne mediante un programma di sviluppo rurale.
Le azioni
Dopo gli ottimi risultati del processo iniziato nel 2009 (progetto n° 2184) altre 1.500 famiglie hanno chiesto di intervenire in 5 villaggi confinanti. Per contrastare l’eccessiva parcellizzazione delle terre si intende riunire gli appezzamenti con una forma di accordo tra i contadini, in modo che la proprietà rimanga ai singoli, mentre la gestione passi a livello comunitario. È prevista poi la realizzazione di canali che trattengano l’acqua piovana, onde fermare l’erosione del suolo, conservarne l’umidità, facilitare la rigenerazione delle acque sotterranee, incrementandone la quantità presente all’interno dei pozzi. Si conta inoltre di scavare più in profondità i pozzi esistenti, di riparare quelli malfunzionanti e di incentivare l’irrigazione goccia a goccia. Verranno introdotte tecnologie adeguate a incrementare la produttività e l’uso di biofertilizzanti e di pesticidi naturali per promuovere l’agricoltura biologica, mentre 125 agricoltori riceveranno sementi di qualità migliorata. Per prevenire l’erosione del terreno e per generare un’ulteriore fonte di reddito saranno inoltre piantati 1.000 alberi da legno e da frutto in aree non coltivate, mentre due centri di agricoltura dimostrativa di ASSEFA favoriranno le attività di formazione degli agricoltori e consentiranno di promuovere sementi di qualità, biofertilizzanti e pesticidi naturali. Verrà infine incentivato con fondi a credito l’allevamento di pecore, capre e vacche, accompagnandolo con formazione specifica, servizi veterinari e facilitazioni per la vendita del latte.
La sicurezza sociale
Ogni volta che una calamità naturale colpisce l’agricoltura o l’allevamento, si riducono drasticamente le entrate degli agricoltori con risultati drammatici in un sistema economico fragile. È stato quindi pianificato un programma di sicurezza sociale che compensi almeno in parte questi rischi. Il programma, tutt’altro che comune in India, prevede l’adesione volontaria degli interessati ed il versamento di una quota annuale.
Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.
Sostieni anche tu le famiglie del distretto di Virudhunagar! Con 20 Euro finanzi la formazione per i contadini. Con 55 Euro contribuisci all’acquisto di 100 alberi. Con 104 Euro fornisci sementi migliorate ad un agricoltore.
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s.o.s.tenibilità | progetti
Fai la differenza
Contro la desertificazione e per la sicurezza alimentare Cari Sostenitori, il progetto 2211 avviato da Mani Tese in Burkina Faso ha chiuso la sua prima annualità! Il vostro contributo è stato fondamentale per sostenere le attività volte al miglioramento della sicurezza alimentare. Vi invitiamo a leggere i risultati raggiunti attraverso il rapporto di avanzamento dei lavori che trovate di seguito e a proseguire nel sostegno di questo importante intervento. Continuate a seguirci sul sito www.manitese .it/progetti. Grazie! a cura di giovanni mozzi, mani tese
progetto 2211, burkina faso
A metà strada
Località Provincia di Boulkiemdé Partner Association Inter-Africaine Pour le Devélopement Solidaire (AI-ADS) KIBARÈ Importo € 1.187.280 Contributi Ministero degli Affari Esteri Regione Lombardia
Sì, siamo quasi a metà strada di questa impresa impegnativa e ci fermiamo un attimo per raccontarvi che già 10 villaggi sono stati raggiunti (circa 32.000 persone), fornendo ai contadini le nozioni relative alle tecniche di conservazione e restaurazione della fertilità dei suoli, fondamentali in un ambiente difficile e soggetto a progressiva desertificazione come gran parte del territorio del Burkina Faso. Il primo risultato è stato il fiorire di barriere antierosive, cioè di piccole dighette di terra e sassi che, seguendo le linee di livello del terreno, riducono il ruscellamento superficiale delle acque e ne smorzano l’azione erosiva, favorendo l’infiltrazione dell’acqua piovana e dunque migliorando le rese del terreno. La riuscita dell’opera è avvalorata da uno studio del Dipartimento di Geografia dell’Università degli Studi di Milano, che ha rilevato e cartografato mediante GPS i risultati ottenuti (vedi Mani Tese di settembre-ottobre 2011).
Un arbusto curioso
Per rafforzere queste piccole dighe si usano di solito degli arbusti che con le loro radici legano i manufatti. In questo caso si è sperimentata con ottimi risultati la Jathropha curcas, di cui sono state messe a dimora 253.500 piantine, derivate dai 310 kg di sementi fornite dal progetto e messe a coltura in apposito vivaio. Questa pianticella ha due caratteristiche interessanti: è sgradita agli animali che altrimenti in poco tempo vanificherebbero gran parte del lavoro e i suoi semi producono un olio che parrebbe idoneo all’impiego come combustibile nei motori a scoppio, come alcune sperimentazioni in corso stanno dimostrando. Un impiego del genere sarebbe particolarmente apprezzato, perché il progetto ha previsto e già fornito 5 mulini per cereali azionati da motori a scoppio. Ma torniamo ai campi. Il compost è il concime più economico oltre che molto efficace: non costa nulla perché derivante da scarti organici ed è di facile realizzazione. Ora nei 10 villaggi raggiunti dal progetto (che diverranno 30 prima della fine) si contano già 1.000 fosse di compostaggio da 3 t di concime ciascuna. Inoltre sono stati scavati 3 pozzi artesiani e sono state distribuite 3.000 piante di mango (il progetto ne prevede in tutto 9.000) per incrementare l’alimentazione ed il reddito familiare e per contrastare la desertificazione.
Risparmiare la legna
È questo un altro obiettivo di punta del programma avviato. L’uso della legna da ardere, unico combustibile domestico nelle campagne, è una delle ragioni della desertificazione dei luoghi, oltre che causa di grande fatica per le donne che a ciò sono delegate. 1.000 forni migliorati in cemento sono stati distribuiti a 500 donne che ne sono entusiaste: consumano meno della metà della legna e cucinano meglio. Tanto entusiaste che altre 474 non hanno faticato a farsi convincere a costruire, opportunamente istruite, forni migliorati di argilla, forse meno efficaci e duraturi di quelli in cemento, ma molto meno costosi e più facilmente riproducibili. Insomma possiamo dire che il progetto sta andando bene. Aiutateci a terminarlo!
Mani Tese dal 2006 è socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione.
Con 15 Euro acquisti 1 kg di sementi di Jatropha curcas. Con 80 Euro contribuisci alla perforazione di un pozzo con pompa manuale (costo totale 8.000) Con 125 Euro garantisci la formazione di 60 agricoltori.
Mani Tese e Garofalo insieme per il diritto al cibo e a sostegno della Campagna Europea per la Sovranità Alimentare - www.foodforworld.org
Scopri la bontà della pasta Garofalo NUMERO ZERO e contribuirai a sostenere il progetto di Mani Tese “Donne per lo sviluppo in Benin”. Grazie a questa collaborazione, la vita di tante mamme e tanti bambini potrà essere migliore!
Saremo presenti con i nostri banchetti a: Bologna - Bulciago - Catania - Firenze - Genova - Napoli - Padova - Palmi - Roma- Treviso