Strumenti cres n.56 - 2011

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Strumenti

strumenti cres 56 – supplemento al n. 472 di manitese – maggio 2011

spunti di riflessione

03 Solo un danno collaterale?

di Antonio Tricarico

07  Come sta la scuola?

Poste italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 2. LO/MI in caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente che si impegna a corrispondere i diritti postali.

di Michele Crudo

10  A teatro di pace, migrazione e memoria … con una sedia a dondolo. di Giuseppa Silicati

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parole, musiche, immagini

33  e noi? Il “posto” degli scrittori migranti nella narrativa per ragazzi (L. Luatti) a cura di anna di sapio

35  Fuori centro. Percorsi postcoloniali nella letteratura italiana (R. Derobertis) a cura di Silvia Camilotti

36  Il sorriso di Pol Pot (P. Froberg Idling) a cura di Elena La Rocca

38  La via delle donne (M. Van Niekerk) a cura di Shara Ponti

40  Le canzoni d’autore a scuola

13  dossier

Un piatto di diritti Percorsi per educare alla sovranità alimentare

di giacomo petitti

42  Una pioggia di foglie rosse (Stairway, Mani Tese) a cura di Laura Morini

43  La donna che canta (D. Villeneuve) a cura di Shara Ponti

segnalazioni 46  Le nostre pubblicazioni


Un piatto di diritti editoriale a cura della redazione

Numero ricchissimo, poiché ricchissimi sono i temi, gli appuntamenti e le novità che animano questa primavera. Il 21 e 22 Maggio si terrà a Firenze il XIV Congresso Internazionale di Mani Tese. Il tradizionale appuntamento che periodicamente riunisce uomini di pensiero, rappresentanti delle istituzioni ed esponenti della società civile a discutere di mondialità e cooperazione tratterà quest’anno il tema del diritto al cibo, proponendosi di superare la dimensione individuale per mostrarne la dimensione sociale, interrogandosi su “cosa, come e per chi produrre?”. Come d’abitudine un’intera sessione sarà dedicata al mondo della scuola, aprendo alla trattazione in chiave didattica degli spunti emersi per interrogarci su come educare, oggi, ad un rapporto con il cibo non solo sano ma anche giusto nei confronti del pianeta e dei suoi abitanti. Questa sessione è destinata agli insegnanti di tutti gli ordini scolastici, agli animatori che operano nelle scuole, agli studenti interessati ad approfondire l’approccio dell’educazione per una cittadinanza mondiale. Il dossier di questo numero rappresenta un assaggio di quanto discuteremo al Convegno, che sarà parte degli eventi culturali di Terra Futura, la fiera in programma durante lo stesso fine settimana presso la Fortezza da Basso. L’invito per tutti è perciò quello di partecipare, scaricando il programma completo al sito www.manitese.it e scrivendoci a infoconvegno@manitese.it per informazioni e iscrizioni.

Tra gli Spunti di riflessione pubblichiamo la seconda parte del saggio di Antonio Tricarico sugli impatti della crisi finanziaria nei paesi del Sud del mondo. Dell’argomento abbiamo discusso insieme ad Antonio, Piera Hermann e Marina Medi durante un corso di formazione per insegnanti che si è tenuto a Trento lo scorso 11 dicembre. I risultati sono stati sorprendenti: un tema apparentemente complicatissimo per l’insegnamento nella scuola primaria e secondaria si è rivelato al contrario una potente chiave di lettura per interpretare molti degli accadimenti degli ultimi anni, uscendo dal pregiudizio secondo il quale l’economia e, in particolare, la finanza, siano materie tecniche comprensibili solo agli addetti ai lavori. L’incontro è stato molto apprezzato dai non pochi insegnanti presenti, a conferma del fatto che una formazione di alto profilo su temi di attualità può trovare ancora spazio nella scuola depredata di oggi. In allegato a questo numero troverete un poster con un fumetto che parla di acqua e dei futuri referendum in programma per il 12 e 13 giugno. È uno strumento, piccolo ma importante, che può permettere ad ognuno di dare il proprio contributo in una battaglia referendaria che si annuncia difficile ma decisiva. L’invito per tutti è ad utilizzarlo appendendolo nelle scuole, nei condomini, nelle bacheche delle sale civiche. Il Cres e Mani Tese sono da anni schierati insieme al Forum Italiano dei movimenti per l’acqua. È il momento di dirlo con due sì, per difendere un bene comune che sta diventando una merce.

Periodico in pdf

Per ricevere il periodico in formato pdf scrivi a: cres@manitese.it. un piccolo gesto che permette di ridurre la nostra impronta ecologica quotidiana.

Infine, la novità più evidente: Strumenti ha cambiato vestito. La rivista che avete tra le mani è stata rinnovata nella sua veste grafica, riprendendo l’impostazione del periodico Manitese per offrire un’immagine più coordinata. Speriamo vi piaccia e approfittiamo dell’occasione per ricordarvi di continuare a sostenerci attraverso un’offerta a Mani Tese (ricordatevi di scrivere Strumenti nella causale).


Strumenticres n°56 – maggio 2011

Solo un danno collaterale?

Il crollo dell’economia globale ed il Sud del mondo di Antonio Tricarico, Coordinatore CRBM – programma di Mani Tese

“Dal 2006, un numero che varia dai 109 ai 126 milioni di persone potrebbe essere sceso al di sotto della soglia di povertà di 1 dollaro al giorno” ONU, Situazione economica mondiale e prospettive 2009

La crisi finanziaria è la prima vera crisi economica globale, nel vero senso della parola. I paesi in via di sviluppo e le economie emergenti non avevano la possibilità di sottrarsi alla crisi nonostante non avessero contribuito a generarla. Tuttavia, i paesi del Sud del mondo sono molto diversi tra loro e hanno quindi subìto conseguenze diverse per estensione ed intensità in funzione del livello di integrazione del paese nell’economia mondiale, della struttura dell’economia nazionale e della stabilità politica ed economica prima della crisi. Per cui, alcuni paesi si stanno riprendendo velocemente, mentre altri stanno ancora sentendo gli effetti della crisi. Comunque ci sono inconfutabilmente dei punti in comune tra realtà molto diverse: la globalizzazione ha portato economie emergenti e paesi in via di sviluppo ad integrarsi nell’economia globale per un periodo sufficiente ad esporle inevitabilmente alla crisi. Questa è la prova che un sistema finanziario stabile e funzionante, conforme ai bisogni di tutti gli esseri umani, deve essere necessariamente considerato un bene comune globale.

I percorsi del contagio

La trasmissione della crisi alle economie emergenti ed ai paesi in via di sviluppo è avvenuta principalmente attraverso due canali: direttamente, tramite rapporti finanziari, e indirettamente, attraverso l’economia reale. Nella maggior parte dei casi, i rapporti finanziari hanno avuto un ruolo piuttosto modesto, dato il minor livello di integrazione nei mercati finanziari globali ed il “ritardo” nell’offerta di modelli economici speculativi e con conseguenze principalmente sulla riduzione dell’offerta di credito. Le conseguenze della crisi nell’economia

reale dei paesi industrializzati sul Sud del mondo sono state invece molto più serie, con il calo degli investimenti diretti esteri (IDE), del commercio globale e, in molti paesi più poveri, il calo delle rimesse da parte dei migranti ed il crollo degli aiuti allo sviluppo in un ampio ventaglio di settori – seppure questi ultimi rappresentino una quota molto limitata dei flussi finanziari complessivi, da cui l’interesse a guardare ai flussi privati in questo articolo. Negli anni precedenti la crisi finanziaria, i flussi finanziari privati (prestiti/debiti, investimenti di portafoglio, IDE, rimesse dei migranti), in particolare quelli verso le economie emergenti, erano aumentati esponenzialmente, del 5% circa del PIL delle economie emergenti e dei paesi in via di sviluppo dal 2000 al 20071.Questo aumento aveva cause molteplici. Da un lato, il boom dei prezzi delle materie prime nelle economie emergenti aveva aumentato i profitti derivanti dalle esportazioni. Inoltre, i settori in forte espansione attraevano investimenti e partecipazioni, portando ad un aumento dell’indebitamento. Infine, gli investitori istituzionali – quali fondi pensioni e fondi comuni di investimento – cercavano opportunità speculative che promettevano grandi guadagni in giro per il mondo. Nel 2008, a seguito del crollo della finanza globale, per la prima volta dal 1997 la tendenza al rialzo dei flussi finanziari ha subìto un’inversione di rotta. Ad esempio, i prestiti privati alle economie emergenti ed ai paesi in via di sviluppo sono scesi da 236 miliardi di dollari nel 2008 a 123 1  Banca Mondiale, Global Economic Prospects 2010. Crisis, Finance and Growth, Washington DC; pag. 6

miliardi di dollari nel 2009, con un calo di circa la metà2. Gli investimenti diretti esteri, invece, sono passati da 621 miliardi di dollari nel 2008 a 406 miliardi di dollari nel 20093.

La fuga degli investimenti di “portafoglio” a breve termine

La parte più consistente della fuga di capitali è rappresentata dagli investimenti di portafoglio, ossia da attività finanziarie relativamente a breve termine ed altamente liquide (azioni, obbligazioni, valute estere ed ogni genere di prodotti “derivati” ), che si possono disinvestire molto facilmente per preferire rifugi sicuri. Questi investimenti hanno subìto un forte calo vista la loro liquidità, poiché gli investitori istituzionali dovevano compensare perdite avute altrove o hanno semplicemente seguito con una reazione “gregaria” la generale tendenza a disinvestire. Ciò ha causato un tracollo nelle borse di tutto il mondo, indipendentemente dalla situazione economica di ogni singolo paese. Questa fuga di capitali sembra essersi fermata a partire dalla primavera del 2009 con un rispettivo recupero delle borse. La ripresa, tuttavia, si è rivelata diversa da paese a paese, con solo alcuni mercati azionari, come quello del Brasile, che hanno raggiunto i livelli pre–crisi. L’effetto diretto del crollo delle azioni è stato, da un lato, il netto restringimento 2  Banca Mondiale, Global Economic Prospects 2010. Crisis, Finance and Growth, Washington DC; pag. 20 3  UNCTAD – Conferenca delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo, Global Investment Trends Monitor No.2, Ginevra, 2010; pag. 2

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Un piatto di diritti spunti di riflessione

CAPIRE LA FINANZA Crbm, Valori e la Fondazione Culturale Banca Etica, in qualità di promotori del sito Osservatorio Finanza, hanno realizzato una serie di schede di approfondimento utili per orientarsi nel mondo della finanza, un settore che riguarda tutti, risparmiatori e investitori, ma che non sempre risulta accessibile e comprensibile.

dell’accesso al capitale da parte di società registrate nei loro rispettivi paesi – perché il loro prezzo sul mercato azionario e quindi il loro rating creditizio verso potenziali creditori era diminuito. Dall’altro lato, si è avuto un impatto diretto anche sulle banche nazionali che avevano investito in azioni e che hanno perso enormi capitali in molti paesi.

Il calo degli investimenti diretti esteri

Gli Investimenti Diretti Esteri (IDE) indicano un investimento produttivo mirato ad acquisire dei beni immobili in un paese oppure una quota azionaria abbastanza grande da conferire all’investitore un certo peso nella gestione dell’azienda interessata4. Gli IDE, diversamente dagli investimenti di portafoglio, così come gli immobilizzi ed i prestiti a più lungo termine, non hanno un’alta mobilità e non possono essere ritirati in tempi brevi in caso di crisi; inoltre non sono effettuati solo da investitori istituzionali, ma provengono soprattutto da aziende dell’economia reale.

Negli ultimi decenni, gli IDE sono aumentati in maniera esponenziale nelle economie emergenti e nei paesi in via di sviluppo, passando dal 10% del loro PIL nel 1980 al 30% nel 2008. Gli IDE sono così diventati la fonte principale di reddito per molte economie emergenti e paesi in via di sviluppo con speranze di ricadute positive su occupazione, reddito e gettiti fiscali negli stati di destinazione nonché vantaggi derivanti dal trasferimento di tecnologia e conoscenza. 4  UNCTAD – Conferenca delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo, Definitions: Foreign Direct Investment, Ginevra, 2010

Questi i temi • Le istituzioni finanziarie internazionali • I paradisi fiscali • Le banche • La finanza etica • I rapporti finanziari tra Nord e Sud del mondo

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La crisi finanziaria e la speculazione sul cibo I derivati Gli accordi di basilea Azionariato critico

Le schede sono disponibili su: www.fcre.it www.crbm.org

La crisi ha colpito anche i flussi degli IDE, in quanto la crisi finanziaria ha ridimensionato le possibilità di ottenere prestiti così come le prospettive future di queste aziende, portando molte aziende a ridurre i loro IDE. Quindi, nel 2008, gli IDE a livello globale sono diminuiti di oltre il 14% rispetto all’anno precedente e nel 2009 si è avuto un calo di oltre 30 punti percentuali rispetto al 20075.

Il calo delle rimesse dei migranti

Le rimesse sono trasferimenti di denaro eseguiti dalla manodopera migrante verso i loro paesi di appartenenza al fine di sostenere il loro partner, le loro famiglie e i loro amici. Esse non di rado rappresentano un contributo significativo al sostentamento dei soggetti riceventi, sollevandoli spesso dalla loro condizione di povertà e svolgono un ruolo sempre più significativo per lo sviluppo.

Negli ultimi anni, le rimesse erano aumentate esponenzialmente, passando dagli 83 miliardi di dollari del 2000 ai 338 miliardi di dollari del 20086. Questo vuol dire che il totale delle rimesse è quasi il triplo della cifra totale dedicata globalmente agli aiuti ufficiali allo sviluppo. Analogamente, queste rimesse rappresentano una quota significativa del prodotto interno lordo di molti paesi in via di sviluppo: circa il 20% in Libano, Honduras ed Haiti

5 UNCTAD, World Investment Report. Transnational Corporations, Agricultural Production, and Development, Givevra, 2009; pag. 37 6  Banca Mondiale, Migration and Remittances Trends 2009, Washington DC, 2009; pag. 1

ed oltre il 10% in moltissimi altri paesi7. Inoltre, questi flussi di capitali svolgono un ruolo particolarmente importante in tempo di crisi, dato che le rimesse di solito hanno un andamento “anticiclico”, ossia i migranti tendono a trasferire maggiori quantità di denaro dall’estero quando i loro paesi di origine vivono momenti di crisi per proteggere le loro reti sociali dagli effetti della recessione, tra cui la disoccupazione. La crisi finanziaria mondiale ha portato al decadimento di questo andamento anticiclico, dato che il suo epicentro si trova proprio in quei paesi dove lavorano molti migranti, i quali sono pesantemente colpiti perdendo il proprio lavoro. Di conseguenza, il 2009 ha registrato una diminuzione del 6% delle rimesse8. Si attende una lenta ripresa per il 2010 ed il 2011 cosicché non potrà compensare gli effetti della crisi in modo anticiclico, ma anzi li rafforzerà.

La contrazione del commercio globale

La crescita del commercio globale riflette quello dell’economia mondiale a partire dal 1945, da quando si è registrata una crescita stabile e sostenuta. Il commercio globale ha accusato una battuta d’arresto solo nell’ultimo triennio a causa della recessione dei paesi industrializzati con una contrazione del commercio globale di circa 13% nel 20099. 7 UNCTAD, Trade and Development Report 2009, Givevra, 2009; pag. 23 8  Banca Mondiale, Migration and Remittances Trends 2009, Washington DC, 2009; pag. 14 9 ONU, World Economic and Social Prospects 2010, New York, 2010; pag. 47


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Il debito pubblico del Sud del mondo nuovamente in aumento Andamento del debito pubblico in una selezione di economie emergenti e paesi in via di sviluppo (% del PIL)

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Fonte: Economist Intelligence Unit 2010

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Messico Ecuador Nigeria Sudafrica

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Il calo delle importazioni è stato seguito dalla flessione della produzione e delle esportazioni dei prodotti industriali su scala mondiale a causa della forte contrazione della domanda di manufatti. A ciò si aggiungevano, al contempo, minori possibilità di finanziare il commercio attraverso crediti commerciali o altri mezzi. La contrazione della produzione e della domanda di prodotti industriali ha portato ad un crollo dei prezzi delle materie prime, con ripercussioni importanti per i paesi in via di sviluppo. Dopo essere stati in costante aumento dal 2004 ed aver raggiunto un picco storico nella primavera del 2008, i prezzi degli alimenti sui mercati internazionali sono diminuiti di un quarto, mentre alcuni prodotti come oleaginose ed oli vegetali sono crollati della metà del loro prezzo massimo. Questo dopo che una precedente bolla dei prezzi aveva avuto effetti disastrosi sulla sicurezza alimentare di molti paesi poveri. Il prezzo del petrolio, dal canto suo, ha subìto un tracollo di oltre il 70%. Se, da un lato, il tracollo dei prezzi delle materie prime è stato accolto con sollievo dai paesi importatori, ha invece prodotto effetti addizionali sui paesi che le esportano, con impatti estremamente vari per ciascun paese a seconda della posizione di importatore o esportatore. Dall’estate del 2009, il commercio globale ed i prezzi delle materie prime sono in ripresa e molti

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di questi hanno nuovamente raggiunto i livelli del 2006 con rischi di nuove bolle speculative e crisi alimentari.

Gli effetti macroeconomici della crisi

* stima ** previsione

Tuttavia nelle economie emergenti e nei paesi in via di sviluppo non si è mai raggiunta una recessione dell’economia, anche se in molti paesi si sono avuti deficit delle bilance dei pagamenti e, laddove esistevano disavanzi già prima della crisi, il deficit è aumentato.

A causa del declino della domanda a livello globale, vi è stata una contrazione delle La crisi non è rimasta confinata all’ecoesportazioni di quasi tutti i paesi; di conseguenza, sono diminuiti anche i guadagni nomia, ma ha contagiato rapidamente le finanze pubbliche. Se, da un lato, le delle industrie di esportazione. Vi è stato entrate tributarie – in larga misura legate quindi un abbassamento dei salari in quealla tassazione di prodotti per l’export sti settori economici, in cui si sono avuti – diminuivano a causa della crisi, dall’altro licenziamenti e cali di produzione. lato, i pacchetti di stimolo all’economia Al contempo, nella maggior parte dei paesi, per contrastare la crisi e l’aggravio maggiore per i sistemi di previdenza sociale il calo degli investimenti di portafoglio e – seppur rudimentali nei paesi più poveri degli IDE ha comportato la diminuzione – causavano un forte innalzamento della dei flussi monetari nell’economia, anche se questi paesi non erano stati direttamen- spesa pubblica, che a sua volta, in molti casi, ha fatto lievitare il debito pubblico. te interessati dalla crisi. Questa mancanza di liquidità è stata aggravata dalla carenza di prestiti in tutti quei paesi dove il settore Così oggi molti paesi del Sud del mondo sono minacciati da un aumento del debito finanziario ha reagito alla crisi in maniera prociclica applicando una stretta al credito. pubblico causato dall’azione combinata e contemporanea di minori entrate statali e del bisogno di una maggiore spesa pubLa crisi dei settori di esportazione e blica, dopo che il debito era stato visibill’incalzante stretta creditizia sono state mente ridotto nei dieci anni precedenti in corresponsabili del fatto che anche quei molti dei paesi in via di sviluppo. settori economici che non dipendevano dalle esportazioni sono stati coinvolti nella spirale negativa della crisi: la domanda Gli effetti sociali interna è diminuita, da un lato, a causa della crisi del crollo degli investimenti e dei prestiti Oggi si può già vedere che i progressi e, dall’altro, per l’aumento della disoccusociali raggiunti nel corso del decennio pazione. precedente sono stati interrotti e perfino

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Un piatto di diritti spunti di riflessione rovesciati a causa della crisi. Secondo la Banca Mondiale, da 30.000 a 50.000 bambini hanno perso la vita nella sola Africa sub–sahariana come effetto diretto della crisi. Un altro effetto calamitoso della crisi sulla condizione sociale della popolazione è l’aumento della disoccupazione, che è tornata a crescere notevolmente nel 2009 in seguito ad un calo durante il quadriennio precedente alla crisi. Nel 2009, si sono registrati oltre 30 milioni di disoccupati in più rispetto al 2007, principalmente tra le donne, e non solo nei paesi industrializzati, ma anche in Est Europa e nel Sud del mondo.

Il caso del Kenya La crisi finanziaria è solo uno dei numerosi gravi problemi che il Kenya si trova ad affrontare rispetto al suo sviluppo economico. Questo paese dell’Africa orientale ha dovuto fare fronte simultaneamente a tre crisi negli ultimi tre anni: la crisi politica dopo le elezioni del parlamento nazionale nel dicembre del 2007, che ha generato sanguinose rivolte ed un grave collasso dell’economia keniota; la crisi alimentare globale, che ha prodotto effetti funesti, specialmente nei settori più poveri della popolazione, a causa degli aumenti dei prezzi degli alimenti di base quali riso, mais, olio vegetale; ed infine la siccità, che ha colpito duramente l’agricoltura nel 2008 e 20091 . Gli effetti combinati di queste tre crisi hanno portato ad un calo della crescita economica del Kenya a solo l’1,8% nel 2008 – dopo il 7,1% dell’anno precedente 2 . Il settore finanziario keniota non è stato colpito dal crac finanziario globale: le banche keniote non erano coinvolte nella speculazione sul mercato immobiliare statunitense e quindi il sistema è rimasto stabile anche dopo lo scoppio della bolla3 . 1  Social Watch, Report 2009, Making Finances Work: People First, Montevideo, 2009; pag. 108 2  Fondo Monetario Internazionale, IMF Data Mapper, Washington DC, 2010 3  Banca Mondiale, Kenya Economic Update: Still Standing. Kenya’s Slow Recovery

Questo significa che, a seguito della congiuntura, oltre 100 milioni di persone in tutto il mondo sono scese al di sotto della soglia di povertà – due dollari al giorno. Stando alle stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), durante la crisi un numero altrettanto cospicuo di persone è piombato in condizioni di povertà estrema – meno di 1,25 dollari al giorno. Si è quindi prodotto una sorta di “effetto ascensore”: gran parte di coloro che prima si trovavano al di sopra della soglia di povertà sono scivolati sotto questa soglia durante la crisi, a causa della perdita del posto di lavoro, della riduzione del salario o della precarizzazione, mentre

Però la crisi ha prodotto un forte calo degli investimenti di portafoglio nel paese e di conseguenza nella primavera del 2009 l’indice della borsa risultava dimezzato rispetto al livello del 2007 ed all’inizio del 2010 non aveva ancora raggiunto il suo livello pre–crisi4 . Anche gli IDE sono notevolmente diminuiti dallo scoppio della crisi finanziaria. Le rimesse verso il Kenya, invece, hanno subìto un calo modesto rispetto all’anno precedente, dopo essere aumentate in modo consistente di anno in anno in passato5 . La diminuzione della domanda globale ha prodotto effetti contrastanti nel paese. Da un lato, il temporaneo calo dei prezzi del petrolio, del cibo e dei fertilizzanti hanno portato un certo sollievo all’economia keniota, dato che il paese non è ricco di risorse naturali e deve importare beni primari, soprattutto petrolio, oltre che prodotti alimentari in seguito alla siccità. L’altra faccia della medaglia era il calo della domanda per alcuni dei principali beni di esportazione del Kenya, soprattutto prodotti orticoli quali fiori, frutta e verdure. from a Quadruple Shock, Washington DC, 2009; questa è la fonte di gran parte dei dati economici riportari nel box sul Kenya, se non altrimenti segnalato. 4  Borsa di Nairobi 2010, Monthly Statistical Bulletin February 2010; pag. 3 5  Banca Centrale del Kenya, Remittances from Diaspora, Nairobi, 2010

coloro che erano già poveri prima, dopo sono piombati nella povertà estrema. Se le previsioni dell’ILO sono esatte e se quindi ci vorranno diversi anni prima che la ripresa del mercato del lavoro globale raggiunga i livelli pre–crisi, allora milioni di persone in tutto il mondo hanno davanti un decennio perso per il loro sviluppo.

Il governo ha reagito alla crisi finanziaria con una politica monetaria meno rigida al fine di fornire quantità di denaro più grandi e meno costose ai mercati del paese e con un pacchetto di stimolo che prevedeva una spesa aggiuntiva di 22 miliardi di scellini kenioti (circa 200 milioni di euro), orientati soprattutto a potenziare le infrastrutture ed i sistemi di previdenza sociale. Ciononostante la crisi finanziaria minaccia ancora le prospettive di ripresa del Kenya dalle altre tre crisi vanificando le opportunità di sviluppo nel breve e medio periodo. L’economia keniota si sta riprendendo lentamente e l’economia sta crescendo meno della povertà, ossia aumenta la diminuzione del reddito pro capite. Allo stesso tempo il governo intende reagire al previsto aumento del debito pubblico – in seguito al piano di stimolo – attraverso un vasto programma di privatizzazioni, che prevede la vendita di alcune delle ultime aziende ancora di proprietà statale. Così il Kenya rischia di uscire dalla crisi indebolito in ogni caso.


Strumenticres n°56 – maggio 2011

Come sta la scuola? di michele crudo

“Le società che non pongono limiti alle disuguaglianze sono investite da problemi che incrinano i rapporti di fiducia, logorano la vita comunitaria, affliggono l’essere umano con ansie, depressioni e stress” R. Wilkinson, K. Pickett, La misura dell’anima

www.zerozerocinque.it Si può far pagare agli speculatori finanziari almeno un po’ della crisi che hanno provocato? Sì, si può. Con una piccola tassa di mezzo millesimo per cento (0,05%) sulle loro frenetiche vendite e acquisti di titoli (transazioni finanziarie) La “Campagna 005” si batte proprio per questo.

La scuola non sta bene. Il suo stato di salute è minato da patologie che rischiano di avviarla verso una lenta e dolorosa agonia. Ai miei occhi di gutenberghiano, che si è formato sui libri e ama esprimere il proprio pensiero preferendo la logica sequenziale del discorso scritto e parlato, il rischio maggiore per il mondo dell’istruzione è rappresentato dal crescente divario tra le due differenti modalità degli studenti e degli insegnanti di reperire, selezionare, organizzare le conoscenze. Ovvero: da una parte i nativi digitali che costruiscono il loro rapporto con la realtà attraverso la molteplicità di messaggi e contenuti informativi diffusi dai canali delle tecnologie multimediali; dall’altra parte gli immigrati digitali di un sistema educativo tuttora prevalentemente strutturato sul modello della lezione frontale e sull’esclusivo impiego del canale verbale. Come già da anni rilevano gli studiosi più accorti, “… la dialettica tra didattica formale (scolastica) e didattica informale (extrascolastica) si è acuita da quando Internet ha messo a disposizione di tutti i cittadini digitali una biblioteca grande quanto il mondo e un ambiente di apprendimento e d’interazione potenzialmente inesauribile”1. Il compito dell’istituzione scolastica dovrebbe quindi essere quello di attrezzarsi per addestrare gli allievi della screen generation a interpretare criticamente l’incessante e frenetico flusso di nuclei testuali, iconoci e sonori che quotidianamente li inonda. Ciò richiederebbe uno sforzo che, constatando l’imminente incomunicabilità tra gli stili cognitivi degli allievi e l’anacronismo delle vigenti strategie di apprendimento, fosse finalizzato all’aggiornamento dei docenti. I quali, adeguatamente supportati 1  P. Ferri, La scuola digitale, Bruno Mondadori, Milano, 2008; pag. 142

e motivati da un convinto intervento del Ministero, dovrebbero essere chiamati ad acquisire le conoscenze tecniche e le competenze operative necessarie. Perciò un governo attento alla solida costruzione intellettuale delle prossime generazioni, che vanno introdotte a un futuro ricco di prospettive professionali e di opportunità sociali, non esiterebbe a mobilitare risorse umane e finanziarie per il rinnovamento dell’organizzazione scolastica. Purtroppo negli ultimi dieci anni gli stanziamenti sono stati progressivamente decurtati, ingenerando un senso di abbandono in tutto il personale della scuola e in particolare dei docenti, che si sono visti scaricare sulle proprie spalle onerose responsabilità. L’esperienza di trentuno anni di lavoro mi consente di affermare che, mai come in questa fase, il senso di frustrazione e d’impotenza degli insegnanti rischia di erodere le residue energie di chi, con il volontariato, ha finora colmato le lacune di un apparato ministeriale insensibile ai mutamenti. All’inadeguatezza di un sistema formativo allergico agli adeguamenti tecnologici e ai cambiamenti metodologici, si affianca dunque la stupita perplessità di chi si vede attribuire ruoli che dovrebbero essere svolti dalle famiglie, dagli assistenti sociali, dagli psicologi. Cerco, in poche righe, di delineare la problematicità della situazione attuale, tracciando il profilo di una classe standard. Parto dal numero dei componenti, che si aggira mediamente intorno ai 25/26 alunni. Tra loro ci sono portatori di handicap, ma anche diversamente abili non riconosciuti, che non hanno diritto all’insegnante di sostegno, le cui ore hanno per altro subìto una consistente contrazione rispetto al passato. Poi ci sono i ragazzi di recente immigrazione, che una volta usufruivano della preziosa presenza

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Un piatto di diritti spunti di riflessione dei facilitatori linguistici e dei mediatori interculturali, due figure scomparse in seguito ai ripetuti tagli alla spesa pubblica. Non mancano i demotivati provenienti da ambienti disagiati, nei confronti dei quali bisogna costantemente mantenere aperto un dialogo che stemperi le tensioni accumulate dai soggetti più fragili. Ci sono infine i dislessici, disgrafici e discalculici, nei confronti dei quali bisogna approntare procedure individualizzate. Non tutte le classi hanno una tale conformazione, ma non c’è dubbio che la gestione degli allievi richiede comunque continue attenzioni, una rigorosa coerenza, un’equilibrata capacità di affrontare i conflitti interpersonali tra coetanei, una premurosa cura nel condurre i colloqui con i ragazzi e le loro famiglie. Chi è quotidianamente a contatto con gli scolari degli anni più recenti sa quanto costa, in termini di dedizione e abnegazione, perseguire successi pedagogici stabili e duraturi. Eppure la scuola è il bersaglio di periodici attacchi, che alimentano nell’opinione pubblica lo stereotipo del docente privilegiato, con uno stipendio sicuro e un orario di lavoro contenuto. Il capo del governo a fine febbraio, e di nuovo a metà aprile, ha però rincarato la dose, mettendo sotto accusa gli insegnanti in quanto presunti indottrinatori politicamente orientati a sinistra. La loro colpa consisterebbe nell’inculcare nei ragazzi un modello educativo opposto ai valori dell’integrità familiare. Secondo il primo ministro, gli insegnanti nelle ore di lezione predicherebbero il contrario di quanto si cerca di trasmettere in famiglia. Si tratta di uno schema interpretativo già applicato alla magistratura e a qualsiasi forma di pensiero critico che non accetta per buone le verità berlusconiane. Lo schema, nella sua semplicistica aberrazione, opera un rovesciamento logico, trasformando le vittime in imputati. È un’inversione che, come nell’individuazione di qualsiasi altro capro espiatorio, mira a ottenere una distorsione ideologica. “La crisi moderna alimenta un’ansia di rassicurazione (una domanda di certezze) che a sua volta si traduce nella ricerca di un nuovo ordine (in una domanda di gerarchie)” ed entrambe generano “una forte domanda di colpevoli e nemici: stranieri, infedeli, malvagi, devianti o cospiratori, ai quali attribuire la responsabilità della propria sventura e sui

quali scaricare il proprio rancore”2. È un’operazione che ha buone probabilità di raggiungere il suo scopo se l’abile comunicatore sa di poter contare sulla credulità di milioni di interlocutori che s’identificano nella mentalità e nel comportamento del demagogo. Le indagini antropologiche rivelano infatti che “… l’idea che gli italiani hanno di sé non è affatto lusinghiera: di qualsiasi gruppo sociale facciano parte si descrivono come un popolo di cinici, di individualisti estremi incuranti del bene pubblico, di opportunisti propensi al clientelismo, falsi se non totalmente bugiardi”3. E così gli insegnanti, che giorno dopo giorno si affannano a tessere gli esili fili di una trama educativa sulla cittadinanza, si trovano a essere paradossalmente stigmatizzati dal proprietario di quei canali televisivi che hanno inaugurato e legittimato l’appagamento senza freni inibitori di una vasta gamma di egoismi, sollecitati da un’angusta visione dell’interesse personale e dalla spietata pratica della competizione di tutti contro tutti. In più, nella grossolana generalizzazione del primo ministro è contenuta anche un’esplicita istigazione a mettere le famiglie contro un’intera categoria di lavoratori, che, pur non esente da limiti professionali e da chiusure corporative, non può essere individuata come il male da esorcizzare. In realtà, una volta additati come responsabili dei mali che affliggono il sistema formativo, il passo dall’inversione logica alla distorsione ideologica è breve. Infatti, una volta screditati i docenti, non si fa altro che avvalorare la sfiducia nella scuola in quanto organismo cui la società ha delegato il compito di preparare intellettualmente e moralmente le nuove generazioni, proiettandole verso un futuro di aspettative. In questo modo si demolisce irreparabilmente la funzione istituzionale della scuola italiana, creando un clima di reciproco sospetto tra i cittadini, tra genitori diffidenti e docenti ritenuti inaffidabili, o, come ribadisce la Gelmini nella sua assillante ostinazione a infierire, affetti dalla tipica indolenza di un personale dissennatamente sovrabbondante. Che si stia procedendo in questa direzione lo dimostra concretamente la progressiva sottrazione di soldi destinati all’istruzione. 2  A. Burgio, Nonostante Auschwitz, DeriveApprodi, Roma, 2010; pag. 22 3  S. Patriarca, Italianità, Laterza, Bari, 2010; pag. XI

In Francia, in Germania e in altri paesi dell’Unione europea colpiti dalla crisi economica, a differenza dell’Italia dove si dà la precedenza all’acquisto (per oltre 135 miliardi di euro) di 131 cacciabombardieri, non è stata toccata la spesa annualmente assegnata alla scuola, alla ricerca, alla cultura. I governi di quelle nazioni sono consapevoli che i livelli occupazionali, la crescita del prodotto interno lordo, il grado di benessere generale, come dimostrano i dati statistici, sono direttamente proporzionali alla qualità dell’offerta culturale erogata dal sistema scolastico alle future generazioni. Un’ulteriore prova del disinteressamento del governo è costituita dall’insana persistenza a rendere inefficienti i servizi pubblici, per poter poi giustificare la penetrazione dei privati nella gestione dei beni che appartengono alla collettività. È avvenuto con le ferrovie, gli ospedali, le sorgenti d’acqua. La scuola non è l’oggetto del desiderio degli appetiti privati, ma la sua difesa ha una valenza altamente simbolica perché in essa: i figli dei meridionali, negli anni Sessanta e Settanta, hanno condiviso con i loro coetanei del nord il comune luogo dell’appartenenza a un unico popolo; i figli degli immigrati europei ed extraeuropei, a partire dagli anni Novanta, hanno percorso il primo segmento di un possibile itinerario d’integrazione; i meno garantiti e i più svantaggiati possono oggigiorno coltivare l’aspirazione ideale a vedere migliorare il loro stato di partenza grazie a un avanzamento negli studi; a tutti, senza distinzione di razza, sesso, religione, ambiente sociale di provenienza, vengono assicurate le stesse opportunità, come è sancito dalla Costituzione;


Strumenticres n°56 – maggio 2011 la crescita individuale degli studenti convive con le embrionali potenzialità di passare da una dimensione autocentrata a un’apertura mentale fondata sia sulla relazione con gli altri, sia sul raffreddamento di impulsi e reazioni emotive espresse, rappresentate, comunicate attraverso la mediazione dei linguaggi disciplinari. Se la scuola viene concepita nell’ambito della dimensione appena descritta, non si dovrebbe fare fatica a comprendere che le misure restrittive del governo e i reiterati attacchi dei suoi esponenti puntano a svuotare il ruolo dell’istituzione scolastica, intesa come servizio efficiente e luogo di promozione sociale. Una volta raggiunto l’obiettivo “… la conseguenza sarebbe che il fitto reticolo di interazioni sociali e beni pubblici venga ridotto al minimo indispensabile, con il cittadino e lo Stato legati ormai solo da un vincolo di autorità e ubbidienza”4. È un orizzonte deprimente ma verosimile, visti i risultati del martellamento propagandistico che ha trasferito dagli scenari televisivi a quelli esistenziali l’irriducibile concorrenza tra vincenti e sconfitti, tra destinati al successo e condannati all’umiliazione, tra chi trionfa grazie alle collusioni e chi soccombe senza le protezioni di uno

Stato assente e di una società rassegnata alle disuguaglianze. Concludo dichiarando che non è mia intenzione assolvere i docenti dai loro errori, bensì auspicare che l’esecutivo faccia il suo dovere. Difatti, se il governo fosse realmente in cerca di una soluzione, invece di farsi promotore di ostracismi, prenderebbe l’iniziativa per convocare e mettere a confronto tutte le parti in causa: insegnanti, studenti, genitori, dirigenti e ispettori scolastici. I quali, coinvolti in prima persona, non potrebbero non essere interessati ad affrontare i problemi in vista di una trasformazione che fornisca a tutti gli operatori del settore educativo i mezzi e le occasioni per stare al passo con i tempi. Un’altra alternativa non esiste, se vogliamo evitare la cesura tra una scuola arretrata, impoverita, affaticata, e i bisogni di una generazione che desidera studiare usando, oltre a penna, carta e libri, anche lavagne interattive, schermi e tastiere per integrare la lezione del docente sia con l’autonoma esplorazione delle molteplici fonti informative disponibili in rete, sia con la consapevole codifica delle emozioni e del pensiero mediante la manipolazione di strumenti telematici.

4  T. Judt, Guasto è il mondo, Laterza, Bari, 2011; pag. 88

Ogni anno la Coalizione Italiana della Campagna Globale per l’Educazione (CGE–IT), composta da 16 associazioni italiane che lavorano da anni per promuovere il diritto all’istruzione, organizza la cosiddetta Global Action Week (GAW, settimana di mobilitazione globale, durante la quale vengono coinvolte migliaia di organizzazioni e associazioni, rappresentanti istituzionali e della società civile, studenti e insegnanti. Negli anni scorsi la Global Action Week ha coinvolto milioni di studenti e insegnanti in più di 120 paesi. Nel 2011 si svolgerà dal 2 all’8 maggio in oltre 100 paesi in tutto il mondo. Il tema che sarà affrontato ed approfondito nel corso della settimana di mobilitazione è la discriminazione di genere e l’accesso all’istruzione da parte delle bambine, ragazze e donne di tutto il mondo. L’iniziativa centrale della GAW quest’anno sarà la Big Story, un enorme mosaico di

storie, di successo o discriminazione femminile legata all’istruzione, raccolte dalle scuole che parteciperanno all’azione. Per facilitare la partecipazione ed il coinvolgimento delle scuole italiane, la CGE–IT ha predisposto uno strumento per gli insegnanti. Nella prima parte del Kit didattico si trovano alcuni approfondimenti tematici sul diritto all’istruzione e la parità di genere, sulle cause del problema e le possibili soluzioni da adottare con un focus sulla situazione italiana con dati e statistiche riferite alla scuola e al lavoro di donne italiane e immigrate. Nella seconda parte vengono proposti tre percorsi didattici differenziati per i tre livelli scolastici. Per iscriversi o scaricare il kit didattico: www.cge–italia.org/thebigstory/

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Un piatto di diritti spunti di riflessione

A teatro di pace, migrazione e memoria… con una sedia a dondolo. di giuseppa silicati, Bovisateatro

Il teatro

Tutti possiamo concordare sul valore culturale del teatro. Non solo, si riconosce al teatro una sua peculiare capacità educativa e formativa. Uno spettacolo teatrale è un evento in cui si è spettatori e protagonisti contemporaneamente. L’applauso, le risate, i silenzi, gli interventi, gli elementi anche di disturbo sono risposte che il pubblico offre alla rappresentazione, ai tentativi degli attori di narrare e raccontarsi. In uno spettacolo teatrale simbolicamente si ritrova il senso di un movimento che porta a un incontro: “andare a teatro” per gli spettatori, “andare in scena” per gli attori. È una partecipazione civica, è l’incontro di conoscenze ed emozioni che a confronto porranno vita a un nuovo o diverso senso di quanto rappresentato. Quando gli insegnanti scelgono la visione di uno spettacolo teatrale, operano scelte concernenti il contenuto del testo, l’autore dell’opera, il periodo storico in cui si svolge l’azione teatrale, le dinamiche culturali e politiche di cui vogliono che i propri allievi prendano coscienza. Questo avviene spesso nelle scuole superiori, ma anche negli ordini di scuola precedenti l’attenzione è posta sul contenuto: vogliamo parlare di ambiente? Di pace? D’intercultura? Si può raggiungere lo scopo con la visione di uno spettacolo teatrale: si ritiene che il mezzo, la scena e l’azione scenica avvicinino, come un rito, a qualcosa che va oltre la semplice spiegazione dei fatti. Utilizzare l’atto teatrale per conoscere, ma anche per emozionarsi, coinvolgersi, immedesimarsi, mettersi al posto del personaggio, trasferire, ridere, pensare…

Storia di un gruppo teatrale

Quanto detto è valido sia per lo spettatore sia per chi recita.

di Milano, mentre rarissimi sono stati Il gruppo bovisateatro si è formato nel gli allestimenti teatrali. Nel nostro caso, 2004, in Bovisa, zona nord di Milano, con l’allestimento è stato curato da Giancarlo il duplice impegno di curare l’allestimento Monticelli, che ha seguito anche la regia. di testi di valore teatrale e di significato Lavorare insieme intorno alla preparaziosociale e politico e costituire anche un servizio di lettura a disposizione di Gruppi ne di questo spettacolo è stato importante per la crescita del gruppo. Ci univa un e Associazioni locali, per l’animazione forte affetto nei confronti di una persona d’incontri e manifestazioni. che aveva dato una importante testimoIl gruppo è composto di circa venti nianza civile e la sua idea di opposizione elementi di varie età e professioni: alcuni alla guerra ben si adattava al nostro rifiuto, nuovi al palcoscenico, altri, con lunga in quel momento storico, nei confronti esperienza teatrale, hanno aiutato le perdella guerra in Iraq e del teorema delsone meno attrezzate a livello artistico, ad l’esportazione della democrazia. Volevamo acquisire passione, pazienza, competenza dimostrare la nostra opposizione non e amore per il teatro. solo attraverso le pratiche politiche che ci Un aspetto importante dell’attività del erano consuete e che ci lasciavano spesso gruppo è il radicamento con il territorio frustrati e insoddisfatti: fare teatro ci è e lo dimostrano le iniziative di lettura parso il modo comunicativo più adatto e teatrale svolte presso la Biblioteca di Via coinvolgente per noi e per il pubblico che Baldinucci 76, zona Dergano/Bovisa, volevamo raggiungere. attivo e importante luogo di iniziative e di Abbiamo lavorato sul testo di Brecht che aggregazione della zona e in collaborazioaveva individuato nel generale romano Lune con il centro culturale multietnico “La cullo il simbolo dell’oppressore, insensibitenda” che da anni si occupa di letteratura le, avido e sanguinario che, dopo la morte, migrante, di testi scritti da stranieri in deve rispondere delle sue azioni davanti al italiano. tribunale dei morti composto dai rapLa costituzione del gruppo è legata al ricordo di Luigi Mazzari, importante figura presentanti del popolo romano. Questi giudici, insensibili alla gloria delle imprese storica della zona Bovisa/Dergano che militari, basano il loro giudizio sull’utilità ha agito e operato sul territorio sempre sociale prodotta dalle azioni degli uomini attento alle realtà sociali e politiche del “… perché il giovare a un uomo per essi è suo tempo. quel che più conta” – ed è particolarmente Fedeli al suo messaggio contro la violenza e la guerra, il gruppo ha allestito, nel 2004, severo “soprattutto per chi ha mandato un uomo quaggiù tra le ombre, prima che finisun primo spettacolo: “L’interrogatorio di se il tempo assegnatogli da vivere”. Brecht Lucullo” di Bertolt Brecht. vuole che il tribunale che giudica Lucullo È un testo contro la retorica della guerra abbia valore d’esempio: la condanna delle che Brecht ha scritto alla vigilia della invasioni romane significa la condanna di Seconda Guerra mondiale. La prima vertutte le invasioni, in qualunque tempo e in sione, in forma di radiodramma, fu scritta qualunque luogo. nel 1939: poi il testo fu rivisto e, con la Per questi motivi il “nostro” Lucullo inmusica di Paul Dessau, venne rappresendossava una divisa militare, uno scudo fortato, in forma di oratorio. È stato eseguito mato dal cerchio di una ruota e brandiva qualche anno fa anche al Teatro alla Scala


Strumenticres n°56 – maggio 2011 l’erogatore di una pompa di benzina! il termine imbarazzismi. Secondo Brecht lo spettatore non doveva Da queste riflessioni è nato lo spettacolo immedesimarsi, ma era invitato a riflet“Imbarazzismi” (eppur Italia… è una parola tere su quello che si rappresentava: una aperta) liberamente ispirato a Kossi Komsceneggiatura molto ben studiata doveva la Ebri, Gabriele del Grande2, Erri de Luca3. creare un effetto di straniamento, un diIl lavoro si proponeva di far riflettere con stacco critico favorevole alla riflessione. ironia, ma anche con la necessaria lucidità, Lo spettacolo è stato presentato in diverse sul tema della realtà della migrazione sedi: teatri, biblioteche e centri culturali. degli uomini: questione ineludibile e che Durante l’anno scolastico 2006/07, nelci accompagnerà per tutti gli anni futuri. l’ambito del progetto Accademia della Pace Importante quindi riflettere sui nostri della Provincia di Milano, è stato rappreatteggiamenti e sulla capacità di attuare sentato per gli studenti e i docenti di molte forme di scambio umano e culturale con scuole secondarie superiori di Milano e la prospettiva di una convivenza pacifica provincia. Il rapporto con le scuole è stato e solidale. proficuo: agli insegnanti è stato conseQuesto è stato il nucleo centrale dello gnato il testo originale su cui potevano spettacolo, ma non sono mancate rifleslavorare all’interno dei progetti stabiliti. sioni su altri drammatici aspetti collegati La risposta dei ragazzi è sempre stata alla nostra storia coloniale: dalla vicenda positiva: lo hanno testimoniato sia i legata alla canzone Faccetta nera, alla silenzi assorti durante lo spettacolo che gli conquista dell’Etiopia e all’introduzione di applausi alla fine dello stesso. leggi a difesa della nostra razza. Incoraggiati dalle risposte positive, il grup- Nell’ultima parte dello spettacolo si po ha deciso di lavorare intorno ad una rappresentano, simbolicamente, le due tema sociale che stava creando forti tensponde del Mediterraneo: partenze, alcuni sioni: l’arrivo continuo di nuovi migranti. arrivi e tanti morti che si ritrovano nelle All’interno della compagnia già lavorava sue acque. una persona senegalese che ci aveva arricLa conclusione, con le significative parole chito con la sua storia e la sua presenza co- di Erri De Luca eppur Italia… è una parola stante. Il gruppo ha intrapreso due strade: aperta fa intravedere la possibilità che il sia lavorare sulle proprie competenze teaMediterraneo trovi una propria rotta per trali organizzando e partecipando a corsi un mondo diverso. di teatro, sia cercando di riflettere sulle Proseguendo nella ricerca il gruppo ha forme quotidiane di discriminazione. Ci preparato nel 2010 un nuovo spettacolo siamo improvvisati osservatori raccoglien- Vite parallele. Le nostre vite che incrociano do e descrivendo situazioni di razzismo le vite dei migranti4: abbiamo affrontato il cui potevamo assistere nel nostro agire problema dei Cie (Centri d’identificazione quotidiano. ed espulsione) partendo da testimonianze Nei libri di Kossi Komla Ebri1 abbiamo poi dirette dei nostri amici migranti. Forti e drammatiche le testimonianze trovate sui individuato, raccontate con felice ironia, viaggi della speranza intrapresi da migliaia situazioni di palese razzismo, ma anche di uomini che arrivano dalla Guinea, dal d’imbarazzo da parte di persone italiaTogo, dalla Costa d’Avorio, dal Senegal, ne che forse razziste non sono, ma che, dall’Eritrea, dall’Afghanistan, dalla Soautomaticamente, agiscono seguendo malia, da tutto il mondo. Arrivati in Italia, stereotipi legati a ciò che è considerato “il scoprono subito che a loro è imposto un diverso”: il vùcumpra o watusso, il negro, nuovo nome: sono clandestini. Non più l’albanese. È un razzismo latente e forse uomini alla ricerca di libertà dalle persepiù pericoloso degli atti criminali e che cuzioni, dalla fame, dall’oppressione, ma si manifesta nel nostro modo di parlare uomini che hanno un reato di cui rispone comportarci e intacca culturalmente la dere, quello della clandestinità. E allora visione che abbiamo degli altri. Ne naci si ritrova a vivere nei Cie, nuovi lager scono situazioni al limite tra il razzismo e l’imbarazzo, da cui ne è derivato, appunto, 1  Kossi Komla–Aebri, Imbarazzismi. Quotidiani imbarazzi in bianco e nero, Edizioni Dell’Arco–Marna, 2002. Nuovi imbarazzismi. Quotidiani imbarazzi in bianco e nero e a colori, Edizioni Dell’Arco–Marna, 2004

2  Gabriele Del Grande, Mamadou va a morire, Infinito Edizioni, 2007 3  Erri de Luca, Solo andata, Feltrinelli, 2005 4  testi di Bertolt Brecht, Mihai Butcovan, Gabriele Del Grande, Erri De Luca, Paola Franzini, 2010

costruiti dietro l’angolo di casa nostra. Con questo lavoro abbiamo voluto raccontare l’iter legislativo della nascita del reato di clandestinità attraverso le storie raccontate dagli stessi migranti. In questi ultimi mesi gli avvenimenti portano ancora più lontano. Queste le parole scritte da alcuni rifugiati del gruppo RAR (richiedenti asilo e rifugiati Roma) La cosa che ci fa più male è la paura degli italiani, della gente comune, non dei politicanti di tutti i Paesi volgari e corrotti. Quello che preoccupa sembra essere non tanto il massacro in Libia ma la minaccia di una nuova invasione. Vi chiediamo: da quando gli italiani hanno paura di chi lotta per la libertà? Da quando chi scende in piazza a manifestare, anche a costo di farsi ammazzare, è un potenziale criminale, un terrorista, un mostro? Quand’è che un libico, un tunisino o un egiziano che si rivolta contro le dittature diventa un clandestino? La memoria del gruppo è stata ultimamente raccontata da Cesare Ungaro5 che ha raccolto immagini e testimonianze della compagnia teatrale che si è formata nel 1963 e che, già allora, perseguiva obiettivi sociali e civili: bovisateatro in realtà è l’ultimo nome preso dalla compagnia.

5  Cesare Ungaro, Storia di un gruppo di teatro, Ancora Milano 2010

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Un piatto di diritti spunti di riflessione Ma…cosa rappresenta la sedia a dondolo che è citata nel titolo? Rappresenta il teatro all’interno della scuola: nella mia carriera scolastica d’insegnante di scuola primaria, ho usato spesso oggetti o situazioni per andare oltre il curricolo e le modalità trasmissive unidirezionali d’insegnamento nella relazione con i bambini. Così una sedia a dondolo su cui sedersi diventava l’elemento di transizione per passare da una realtà scolastica a una diversa modalità di comunicazione. Si possono narrare storie, ma anche raccontare di Storia per immaginare situazioni troppo lontane o diverse: così un documento originale letto e agito su di una sedia a dondolo diventa, anche attraverso l’immaginazione, più reale perché più partecipato. Anche Il mago dei numeri6, uno splendido libro che parla di matematica, può essere apprezzato e amato facendo teatro e trasportando i bambini in un territorio magico di gesti e mimica e voci. È lungo l’elenco delle competenze che si attivano quando si fa teatro: partecipare alla costruzione collettiva di un comune spazio culturale, relazionarsi e confrontarsi con gli altri, rendere proprie conoscenze ed eventi, formulare ipotesi di lettura della realtà e costruire una memoria comune. La visione di uno spettacolo teatrale è uno di quei momenti in cui la scuola rappresenta l’efficacia della sua attività educativa; costruire e fare azioni teatrali permette una ulteriore partecipazione alla costruzione di senso della realtà. 6  Hans Magnus Enzesberger, Il mago dei numeri, Einaudi Supercoralli, 1997

Sonny Boy Annejet van der Zijl collana Gli Specchi Marsilio editore, 2007 Il libro, scritto in olandese, è stato tradotto in diverse lingue. Nel 2006 è stata pubblicata un’edizione speciale in lingua locale affinché i ragazzi del Suriname potessero conoscere questa storia speciale che li riguarda da vicino.

Dal dicembre 2009 la compagnia ha allestito lo spettacolo Sonny Boy tratto dal libro della giornalista olandese Annejet Van Der Zijl che ha scoperto e ricostruito la vita di Waldemar Nods, cioè Sonny Boy, e dei suoi genitori: lei cattolica con quattro figli che, separata dal marito, a trentasette anni conosce Waldemar, un ragazzo molto più giovane proveniente dal Suriname, una colonia olandese dell’America del Sud e se ne innamora creando grande scandalo nella società del tempo. La vicenda di queste persone si svolge in Olanda, durante la depressione e l’occupazione nazista: quando inizia la Seconda guerra mondiale, Waldemar e Rika, i genitori di Sonny Boy, decidono di dare asilo a degli ebrei, ma all’inizio del ‘44, in seguito ad una delazione, vengono deportati in campi di concentramento. Per il figlio quattordicenne è l’inizio di una battaglia lunga una vita per ricostruire la fine dei propri genitori. La scenografia dello spettacolo permette di visualizzare lo svolgersi degli eventi su tre piani temporali diversi: un presentatore che racconta il suo incontro con il libro e la storia che vi è raccontata, l’autrice che spiega la ricerca che le ha permesso di ricostruire la vita di Rika e Waldemar e gli stessi Rika e Waldemar che, dietro un telo trasparente, agiscono le azioni della propria vita. I piani temporali che si alternano aiutano il pubblico ad avvicinarsi a questa vicenda lontana nel tempo, rendendola emotivamente vicina anche con l’uso di immagini e fotografie originali tratte dal libro. Il repertorio fotografico include immagini e documenti riferiti alla seconda guerra mondiale e all’occupazione nazista in Olanda. Abbiamo cercato di evitare la retorica ormai spesso legata al giorno della memoria, per coinvolgere il pubblico in quella che è una storia personale, di “vita vissuta”. Nel testo si riporta una frase di Sebastian Haffner1 “chi vuol conoscere qualcosa di un evento storico, deve leggere biografie, ma non biografie di statisti, bensì quelle troppo rare della gente sconosciuta”. Siamo convinti che la partecipazione civile si nutre raccontando storie di donne e di uomini reali: così abbiamo cercato di fare. Questo spettacolo è fortemente rappresentativo della ricerca che il gruppo persegue nei confronti delle tematiche sociali. Gli spettacoli proposti sono stati sempre preparati con il coinvolgimento personale di tutti i partecipanti del gruppo, con discussioni e revisioni continue stimolate da letture e ricerca di documentazione storicamente corretta. 1  Sebastian Haffner, Storia di un tedesco, Garzanti Milano, 2003


Dossier

Strumenticres n°56 – maggio 2011

dossier cres – maggio 2011

Un piatto di diritti Percorsi per educare alla sovranità alimentare

14  Dal campo al piatto di Davide Giachino

16  Sovranità alimentare per sconfiggere la fame di Marina Medi

18  A Vinci: il grano che guarda la luna di Clara Bianchi e Anna Curto

20  Orti scolastici in Kenia un’esperienza di Necofa

27  Tutti i gusti sono giusti di Marina Medi

Per introdurre efficacemente nella scuola nuovi temi che fortemente influenzano le condizioni di vita oggi e di conseguenza i bisogni formativi dei cittadini, è necessario porsi a due livelli. Il primo è quello della conoscenza e comprensione di fenomeni che spesso non sono patrimonio della cultura media diffusa né della ordinaria formazione dei docenti. È stato infatti l’obiettivo del dossier del n. 54 di Strumenti affrontare il complesso concetto di sovranità alimentare evidenziandone il rapporto con i consumi quotidiani e quindi con le responsabilità di ognuno. Il secondo livello è quello della introiezione del tema nella dimensione scolastica. Come affrontarne la complessità ? In quale contesto curricolare e disciplinare? Questo secondo dossier propone ipotesi di lavoro e esperienze come stimolo alla pur sempre indispensabile elaborazione e creatività personale dei docenti.

29  Educazione al consumo consapevole: trent’anni spesi bene di Valeria Malvicini

31  La parola ai nostri partner Za Zemiata (Bulgaria) Xarxa DE CONSUM SOLIDARI (Spagna)

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Un piatto di diritti dossier

Dal campo al piatto di Davide Giachino, formatore cisv

Nell’ambito del progetto “From food security to food sovereignty”, l’ONG CISV di Torino lavora sul territorio piemontese con varie classi delle scuole secondarie di primo e secondo grado. In ciascuna di esse vengono realizzati 4 incontri da due ore ciascuno, che costituiscono i passi di un percorso dal campo al piatto di cui la sovranità alimentare costituisce il centro tematico. La metodologia usata è quella del laboratorio, inteso come luogo fisico e temporale in cui si sperimenta su sé stessi, in cui ci si mette in gioco, in cui “avviene qualcosa” su cui poi riflettere. Uno dei modi più efficaci per passare da un contesto di lezione a uno di laboratorio è proporre ai ragazzi di mettersi in cerchio: l’educatore, insieme ai ragazzi e all’insegnante, farà parte del flusso circolare di conoscenze. Il cibo entra in gioco fin da subito, durante le presentazioni. Indipendentemente dalla tecnica utilizzata (a coppie, singolarmente, ecc), i ragazzi si presentano non soltanto col proprio nome, ma anche attraverso le aspettative che hanno da un percorso sulla “sovranità alimentare”, concetto ancora sconosciuto, e richiamando il proprio cibo preferito. In questo modo si avrà una fotografia delle abitudini alimentari della classe: ci sarebbe già materiale di discussione per un intero incontro! Tuttavia, ciò che qui ci interessa, è soltanto creare le giuste atmosfere, scoprire le affinità di gusti alimentari tra compagni di classe, riscoprire “l’altro” da un nuovo punto di vista e, soprattutto, iniziare a creare i primi legami tra i temi della sovranità alimentare (s.a.) e la nostra quotidianità. Le aspettative dei ragazzi, invece, rappresentano informazioni preziose per l’educatore, che potrà così apportare alcune modifiche alla programmazione del percorso in modo da renderla il più prossima possibile alla rappresenta-

zione che la classe ha dei temi che si affronteranno. Le aspettative risultano molto utili anche per chiarire alcuni equivoci: parlare di s.a. non significa parlare esclusivamente di globalizzazione, o di malattie legate all’alimentazione, di agricoltura biologica, di fame nel mondo, ecc., ma di tutte queste cose e dei legami che tra esse intercorrono. È in questa fase che i ragazzi iniziano a percepire la multidisciplinarietà e complessità del percorso. Relativamente a ciò, l’obiettivo principale del laboratorio è quello di rendere cosciente il gruppo dell’interdipendenza esistente tra fatti e fenomeni sociali, ambientali, economici e culturali di uno stesso territorio (livello locale) e tra gli stessi fatti e fenomeni appartenenti a territori diversi, spesso molto lontani tra loro (livello globale). A tal proposito, durante gli incontri si cerca di promuovere ragionamenti che connettano, che creino legami di senso, che facciano emergere relazioni. L’ipotesi metodologica su cui si basano le attività proposte durante il percorso è che “l’apprendimento sia tanto più efficace quanto più il metodo usato sarà partecipativo, attivo, comune, collaborativo e dedito alla costruzione, piuttosto che alla ricezione di significati”1. Nessuna delle attività dà dunque risposte oggettive, ma guida piuttosto nella ricerca di risposte personali e induce a ragionare su temi in generale poco affrontati. Il coinvolgimento, il divertimento, l’emozione che si prova durante un’attività, sono elementi fondamentali di un processo educativo che non vede il proprio obiettivo nella semplice trasmissione di conoscenze. A seconda del tipo di attività, risulta utile far seguire o precedere alla stessa un intervento di riflessione, capace di 1  J. Bruner, La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano, 1997

distaccarsi dall’emozione, darle una forma, descriverla, in modo da capirla e saperla riconoscere, saperla ricordare. Il processo di apprendimento si svolge dunque nell’alternarsi di emotività e ragione, fino ad abbracciare l’argomento e farlo proprio. In termini pratici, i giochi e le attività proposte possono risultare molto più efficaci se precedute o seguite da momenti di riflessione e contestualizzazione. In certi casi, come ad esempio nei giochi di ruolo, potrebbe essere utile avere informazioni sulla situazione che il gioco intende riprodurre. Se dobbiamo entrare nei panni di un contadino sudamericano, è utile avere un’idea generale delle condizioni di vita e accesso ai diritti dei contadini latinoamericani. In questo modo, l’entrare nei panni potrà toccare maggiormente l’emotività degli studenti e, dunque, rendere più efficace l’attività didattica. Infine, per cristallizzare l’emozione che si è provata durante il gioco, e in seguito saperla ricordare, al termine dell’attività è utile un momento di riflessione (debriefing) su ciò che si è pensato e provato durante la stessa. Prima di passare a descrivere alcune delle attività che vengono svolte nelle classi, ci sembra opportuno fare ancora due considerazioni. La prima riguarda l’importanza del racconto di aneddoti durante il percorso. Tra un’attività e l’altra, durante i debriefing, o nei momenti di dibattito, possono essere utilissimi aneddoti o esempi che riportino al livello della quotidianità e della realtà i temi trattati. Attingendo dalla propria esperienza personale, l’educatore racconta di incontri con giovani contadini che hanno fatto scelte in favore della s.a., o di viaggi attraverso sterminate piantagioni di canna da zucchero destinate alla produzione di biocarburanti, o semplicemente di aver organizzato una cena a chilometro zero con gli amici… In questo modo risulta chiaro che non


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si stanno trattando problemi esclusivamente teorici e si creano legami con la realtà pratica di ognuno di noi, di tutti i giorni, o con realtà lontane ma non per questo meno reali. La seconda considerazione è invece relativa all’importanza del non separare il laboratorio dai saperi disciplinari scolastici. Risulta infatti particolarmente efficace fare collegamenti con le discipline che i ragazzi studiano ogni giorno a scuola, sia per approfondire maggiormente alcuni aspetti del percorso, sia per far emergere in maniera chiara la complessità dei temi trattati e l’interdipendenza dei fattori ad essi legati, sia, infine, per dare la possibilità ai ragazzi di ritornare sui temi del percorso anche a laboratorio concluso. Sono ben accetti dunque gli interventi degli insegnanti quali: ”vi ricordate quando abbiamo studiato…?”. A questo proposito, Edgar Morin afferma che, “invece di accumulare saperi, è molto più importante disporre di principi organizzatori che permettono di organizzare i saperi e di dare loro senso”2. Descriviamo qui di seguito alcune attività proposte durante i percorsi, distinguendo tra quelle ideate per le scuole secondarie di primo grado e quelle ideate per le secondarie di secondo grado.

Scuole secondarie di primo grado

Una semplice attività introduttiva può aiutarci a scoprire la provenienza del cibo che mangiamo quotidianamente. Ogni ragazzo ha due biglietti bianchi in cui scrive ciò che gli piace e ciò che non gli piace. Per evitare ripetizioni, un gruppo si concentra sulla colazione, uno sul pranzo e uno sulla cena. I biglietti così compilati possono essere ammonticchiati in mezzo al cerchio. A turno, ogni ragazzo ne pesca uno, lo legge ad alta voce, e prova a indovinarne l’ingrediente principale e la sua provenienza. Finiti i biglietti, l’educatore guida la seconda parte dell’attività. Uno a uno i biglietti vengono riletti e ridiscussi dal gruppo: la farina dei biscotti deriva interamente da campi di 2 E.Morin, La testa ben fatta, Cortina, Milano 2000

grano italiani? E gli ortaggi? I biglietti vengono separati via via a seconda della provenienza. Quali alimenti derivano esclusivamente dall’Italia? Quali esclusivamente dall’estero? Quali da entrambi?

possono essere messi in piattini su un tavolo al centro del cerchio. I ragazzi potranno così cercare di associare a ciascun piattino un biglietto con la descrizione e il nome del cereale corretto. Si scoprirà che, in generale, si conoscono quasi esclusivamente il riso, Per affrontare la problematica dell’enor- il mais e l’orzo… me disparità di risorse necessarie (etPer rimanere sul livello sensoriale, si tari di terra, acqua, etc.) per la produpossono portare in classe 4–5 differenti zione di cibi vegetali e quella di carne, suoli, con diverso grado di fertilità è stata ideata una semplice attività con valutabile dall’analisi di semplici carte raffiguranti cereali, carne, legumi, caratteristiche fisiche quali colore, ortaggi, zucchero, ecc.. Inizialmente, i odore e presenza di materiale organico ragazzi dovranno inventare semplici e vivente. I campioni saranno toccati, ricette con le sole carte rappresentanti annusati, osservati, in modo da poter cereali, ortaggi e legumi. Nella seconda “toccare, annusare e osservare” l’idea fase potranno scambiare alcune loro che dalla fertilità dei suoli dipende la carte con le carte più “costose”: per nostra stessa esistenza. ottenere una carta raffigurante la carne Scuole secondarie dovranno pagarla con 10 di cereali! Le di secondo grado ricette saranno dunque più elaborate, Un’attività introduttiva che ci pare ma la quantità di cibo sarà decisamenmolto efficace ha come obiettivo te minore. decostruire alcuni dei principali luoghi comuni legati all’agricoltura. In fila, nel Un semplice gioco di simulazione può centro dell’aula, i ragazzi si sposteranaiutarci invece ad affrontare al conno verso la parete del “sono d’accordo” tempo il tema del mercato dei semi o del “non sono d’accordo” (potendosi ibridi, specie vegetali OGM e fertifermare anche in posizioni intermedie), lizzanti di sintesi, insieme a uno dei in base a ciò che loro pensano riguardo temi fondamentali della s.a., ovvero la a 5–6 frasi che l’educatore enuncia biodiversità. La classe viene divisa in a voce alta. Le frasi riguarderanno, due grossi gruppi, rappresentanti due appunto, alcuni luoghi comuni quali: diverse tipologie di contadini: la prima è costretta ad acquistare semi ibridi di “l’agricoltura familiare non è in grado di produrre cibo a sufficienza per tutta un’unica specie vegetale e fertilizzanti la popolazione mondiale”, oppure “la sintetici da una grossa multinazionale, stragrande maggioranza dei prodotti mentre la seconda usa semi non sterili agricoli viene prodotta nei paesi del di diverse specie vegetali autoctone e Sud”. Ad ogni enunciazione seguirà una metodi tradizionali di coltivazione. A breve discussione per confrontare le ogni “giro” (rappresentante un anno diverse posizioni e, al termine dell’attisolare) i ragazzi acquistano cartoncini vità, qualche dato fornito dall’educatocolorati da cui ritagliare semi e piante. re potrà aiutare la classe a decostruire, Mentre il primo gruppo correrà il contialmeno in parte, qualche luogo comune. nuo rischio di vedere la propria specie vegetale minacciata da una specifica Molto efficaci risultano essere le malattia e dovrà ogni anno pagare attività di media education. A copprezzi più elevati per riacquistare semi pie si possono ad esempio leggere e e fertilizzanti, il secondo avrà sempre analizzare articoli di varie parti del la maggior parte del raccolto assicuramondo riguardanti la crisi alimentare e to (dovuto alla presenza di differenti l’aumento dei prezzi del cibo del 2008. specie) e non sarà dipendente dagli Ogni articolo può aiutarci a prendere in aumenti dei prezzi delle sementi. considerazione un punto di vista diverUn altro modo per affrontare il concetto so sulle cause, conseguenze e possibili soluzioni. di biodiversità, questa volta a livello sensoriale, è portare in classe una deUn’attività che permette di affrontare cina di differenti tipi di cereali. I semi

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Un piatto di diritti dossier moltissimi temi riguardanti la s.a. è il gioco di ruolo. In particolare, nei percorsi con le classi piemontesi, è stato utilizzato il gioco Le vie dei Campi, L’attività permette ai ragazzi di entrare nei panni di contadini, esperti, docenti universitari, politici, sia africani che italiani, che, a seguito di una convocazione da parte di una regione italiana interessata a un progetto di cooperazione internazionale sulla produzione agricola, si ritrovano a confrontarsi sui diversi modelli agricoli esistenti. In posizioni opposte, si troveranno da una parte i sostenitori della cosiddetta agricoltura industriale, mentre dall’altra i sostenitori dell’agricoltura familiare. Un terzo gruppo difenderà invece un modello di produzione agricola biologica ma destinata all’esportazione. Al termine dell’ultimo incontro è molto efficace provare a ripercorrere mentalmente le attività svolte durante il percorso e provare a collocarle nei diversi “settori” campo, piatto, o tra il campo e il piatto. Presto emergerà la difficoltà a collocare in maniera definitiva un’attività in un unico settore. Ciascuna di esse non può che riguardare infatti tutti e tre i settori, come pure le tematiche che esse affrontano: ad esempio, la qualità del cibo che mangiamo (piatto) non può prescindere dal sistema di produzione utilizzato (campo), come neppure dal modello di commercializzazione che l’ha fatto pervenire da luoghi remoti al nostro piatto (tra il campo e il piatto).

Le vie dei campi Il gioco “La vie dei Campi”, fa parte del kit didattico Terra Sovrana, proposte didattiche per la sovranità alimentare (a cura di D. Giachino e A. Berruti, Campagna ItaliAfrica 2009) e si può richiedere a: d.giachino@cisvto.org

Sovranità alimentare per sconfiggere la fame di marina medi

Questo percorso di apprendimento è pensato per il terzo anno della scuola secondaria di primo grado, possibilmente all’interno di una progettazione verticale che affronti nei due anni precedenti altri temi problematici legati all’alimentazione: sicuramente quelli relativi alla esperienza personale (come le proprie scelte di consumo alimentare, la relatività dei gusti, il rapporto che lega l’alimentazione alle consuetudini familiari e locali e all’affettività) e quelli a carattere ambientale (come il costo ecologico del trasporto o dell’imballaggio degli alimenti, l’impossibilità per il pianeta di sostenere la crescita di un’agricoltura meccanizzata o del consumo generalizzato di proteine animali). L’insieme delle tematiche legate all’alimentazione, infatti, è troppo vasto per poter essere affrontato con un unico percorso di studio; meglio è suddividerlo in una serie di approfondimenti su tematiche più circoscritte e quindi più facili da affrontare. Questo percorso vuole affrontare il tema della fame nel mondo, delle sue cause e delle politiche che vengono adottate per combatterla. È pensato per la terza anche perché, oltre a introdurre concetti economici più complessi, richiede informazioni di carattere storico e geografico il cui studio è previsto in quell’anno. Dal punto di vista metodologico, infatti, questo percorso di apprendimento non si propone come un progetto da realizzare oltre la trattazione dei

contenuti disciplinari; non deve procedere a fianco e in parallelo, cioè senza mai incontrarsi, alle materie. Anzi: la ricerca su un tema/problema presente nell’esperienza degli studenti e nella società in cui vivono deve proprio essere l’occasione per l’acquisizione dei contenuti disciplinari, restituendo senso al loro studio. Per questo il percorso ha un carattere interdisciplinare, parte da una serie di domande su cui compiere un’attività di ricerca, porta alla realizzazione di una qualche forma di prodotto concreto, si conclude con attività di valutazione metacognitiva.

Porre il problema: perché nel mondo c’è ancora la fame, anzi continua a crescere?

La necessaria attività di motivazione iniziale può essere realizzata presentando ai ragazzi dati sull’attuale distribuzione della fame nel pianeta1 e mostrando come il fenomeno in questi anni sia in continua crescita, nonostante che il primo degli Obiettivi del Millennio2 si 1 Si possono usare brevi video, per esempio rintracciabili su You Tube alla parola “fame nel mondo”; la mappa sulla sottoalimentazione di wordmapper worldmapper.org/display.php?selected=178; statistiche e dati, come quelli ricavabili da stopthehunger.com. 2 L’insegnante può spiegare brevemente che cosa sono gli Obiettivi del Millennio, quando, da chi e perché sono stati posti.


Strumenticres n°56 – maggio 2011 fonte fao

fonte fao

E dove esattamente? • in Asia e nel Pacifico la FAO stima che vivano ca.624 milioni di persone che soffrono la fame cronica; • In Africa Sub–Sahariana sono cs. 265 milioni; • in America Latina e nei Caraibi gli affamati sono 53 milioni; • nell’area del Vicino Oriente e nel Nord Africa sono 42 milioni; • nei Paesi del Nord del mondo sono 15 milioni.

1000

750

500

42 (+13,5%)

Numero di affamati Stima per il 2009 Obiettivo del WFS

250

0 ‘70

‘80

‘91

‘96

Vicino Oriente e Nord Africa ‘15 ‘01

‘05

‘08

‘09

quante sono le persone che soffrono la fame? • nel biennio 1995 – 1997: 825 milioni di persone; • 2000 – 2002: 857 milioni; • 2004 – 2006: 873 milioni; • 2008: secondo la FAO gli affamati erano 915 milioni; • 19 giugno 2009: la FAO dichiara che nel mondo gli affamati sono 1.020 milioni.

proponesse di dimezzare, fra il 1990 e il 2015, la percentuale di persone che soffre la fame. Dopo aver fatto notare che in genere i paesi colpiti dalla fame non sono poveri di risorse naturali, l’insegnante invita i ragazzi a fare ipotesi sulle cause che possono aver provocato il fenomeno in passato e continuano a provocarlo oggi. Dovranno emergere cause geografico– ambientali (per es. le fasce climatiche e i processi di desertificazione), storiche (il colonialismo e il neocolonialismo), politiche (guerre e dittature nel bipolarismo e dopo), economiche (dipendenza dal mercato mondiale), sociali (analfabetismo, urbanizzazione ecc.). Ci si accorda allora sul lavoro di ricerca da realizzare: verificare la validità delle ipotesi emerse.

Alla ricerca delle cause passate e di quelle più attuali

Il lavoro può essere svolto in gruppi, che relazioneranno i risultati della loro ricerca in modo da farli conoscere e comprendere a tutti. Per recuperare le informazioni potranno essere utilizzati i manuali di storia e geografia, il kit Nutrire il mondo per cambiare il pianeta realizzato dal Cres–Mani Tese, altri testi specifici su supporto cartaceo o on line. Specialmente in questo caso gli studenti devono essere invitati a valutare la fonte, imparando a distinguere i siti più affidabili.

15 (+15,4%) Nord del mondo

53 (+12,8%) America Latina e Caraibi

265 (+11,8%) Africa Sub–Sahariana

642 (+10,5%) Asia e Pacifico

Una seconda risposta può consistere nella politica di aiuti internazionali e, anche in questo caso, gli studenti devono essere invitati a valutare i vantaggi e gli svantaggi di questo tipo di intervento4. Una terza risposta viene dalla richiesta di sovranità alimentare espressa da Come combattere la fame? organizzazioni contadine in diverse Una prima risposta può essere indiviparti del mondo. Utilizzando il kit del duata nell’aumento della produzione Cres Mani Tese e i diversi siti dedicaagricola grazie all’introduzione di ti a questo tema5, i ragazzi possono innovazioni tecnologiche. Gli alunni stu- comprendere questa proposta nei suoi aspetti di fondo: diano le caratteristiche dell’agricoltura • riconoscimento del diritto al cibo e del industrializzata (uso di macchinari a diritto alla terra motore, sistemi di irrigazione continua, serre, semi selezionati, concimi chimici, • diritto per ogni Paese e popolo di fitofarmaci ecc.) e ne vedono la distribu- definire le proprie politiche agricole ed zione nel pianeta accanto ad altre forme alimentari, rispettando i diritti dei popoli indigeni, dei loro territori, i diritti di produzione agricola. Ripercorrono la dei pescatori tradizionali alle loro aree storia delle innovazioni tecnologiche in di pesca agricoltura nel corso del Novecento e • rifiuto delle politiche di liberalizzazioscoprono il dibattito che mette in luce ne commerciale, dando priorità alla pronon solo gli aspetti positivi, ma anche duzione alimentare per i mercati locali quelli negativi di una agricoltura a e quello nazionale forte impiego di capitali. In particolare • riforma agraria si riflette sul concetto di “tecnologie appropriate”3. I processi recenti che hanno portato all’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli (agrobusiness e speculazione finanziaria sui prodotti agricoli) e quindi a un aumento della denutrizione nel mondo possono essere spiegati dall’insegnante con qualche semplice esempio.

3  Per queste ricerche, oltre ai manuali di storia e geografia, potranno essere usati il kit del Cres Mani Tese, Wikipedia alla voce “Agricoltura” e ai link lì segnalati (per es. “agricoltura verde”, “Storia delle scienze agrarie”) e i molti siti che trattano di tecnologie appropriate e di problemi ambientali legati all’agricoltura e

all’allevamento. 4  Per esempio si può vedere il dibattito sull’uso e abuso degli aiuti internazionali dopo il terremoto di Haiti. 5  Per esempio viacampesina.org, mst.org.br, volontariperlosviluppo.it, retegas.it, altromercato.it, cevi.coop/sovranita–alimentare, altragricoltura.org, manitese.it

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Un piatto di diritti dossier • politiche agricole sostenibili. Infine si cercheranno esperienze e buone pratiche che possono contribuire alla sovranità alimentare realizzate in questi anni, possibilmente anche a livello locale.

La realizzazione del prodotto

Il prodotto più semplice che gli studenti possono realizzare alla fine del percorso è una mappa concettuale del tema che serva come base per una relazione da portare all’esame. Un prodotto un po’ più complesso, anche questo funzionale all’esame, può essere una presentazione in power point che permetta da una parte di riorganizzare le informazioni acquisite e i materiali costruiti nel corso del lavoro, dall’altra di riflettere sulle possibilità e le caratteristiche espressive di questa forma di comunicazione. Infine, tutto il percorso può essere ricostruito in un ipertesto che ha il pregio non solo di servire agli studenti che lo hanno prodotto, ma anche di rimanere come un materiale di studio per le classi successive. A conclusione del lavoro, un momento di valutazione metacognitiva su quello che si è fatto e su quello che ha significato per ciascuno, sia dal punto di vista cognitivo che emozionale: se infatti le singole parti del percorso devono permettere momenti di verifica sui singoli aspetti disciplinari (geografici, storici, tecnologici, espressivi ecc.), la valutazione metacognitiva ricostruisce il percorso e gli conferisce senso, rendendolo quindi una vera esperienza formativa.

A Vinci: il grano che guarda la luna di Clara Bianchi e Anna Curto

Nell’anno scolastico 2009–2010 con la classe seconda del Circolo didattico di Vinci abbiamo sperimentato un percorso di apprendimento, durato tutto l’anno, che ha portato i bambini a coltivare a grano un piccolo appezzamento di terra, messo a disposizione dall’Associazione “Montalbano Domani”. In questo lavoro siamo stati aiutati dai genitori e dai nonni dei bambini e da un contadino che segue le teorie della biodinamica. Per questo, in tutte le fasi del lavoro abbiamo messo a confronto quello che noi stavamo facendo con le tecniche usate da un’azienda agricola locale, il Macii, che utilizza invece macchinari e concime chimico. Il percorso di apprendimento, a carattere interdisciplinare, ha costituito una buona parte della progettazione curricolare dell’anno, nel senso che le diverse attività sono state pensate per far raggiungere ai bambini obiettivi disciplinari e trasversali previsti per la classe, utilizzando però metodologie attive e laboratoriali. Le discipline più coinvolte sono state storia, geografia, scienze e matematica, ma continuo è stato l’utilizzo del linguaggio scritto e orale, del disegno, della musica e del movimento. Il percorso è stato diviso in tre Unità di apprendimento, ciascuna delle quali si è conclusa con attività di verifica e di metacognizione.

1. Com’è il terreno? Come si prepara per la semina del grano?

Tempi di attuazione: settembre, ottobre, novembre

lette, rastrelli, vanghe…Come simbolo del nostro possesso vi abbiamo interrato due piante di more con l’aiuto di un nonno. A luglio un genitore ha arato il campetto: noi lo abbiamo fotografato e abbiamo raccolto un po’ di terreno. Il primo ottobre siamo andati ad osservare gli effetti dell’aratura, abbiamo tolto le erbacce, abbiamo sparso il concime biologico e fresato il terreno con l’aiuto di un genitore. Nella campagna intorno abbiamo osservato altre coltivazioni: le viti, gli olivi, i campi di granturco… e abbiamo notato i cambiamenti portati dalla stagione estiva nella vegetazione, compresa quella del bosco, su cui, in prima, avevamo fatto una ricerca. Abbiamo osservato anche la morfologia del terreno, “pari”, “in poggio” o a “ciglioni”, scoprendo i fossi, i rii, i ruscelli, i sentieri. Abbiamo anche disegnato le mappe delle nostre passeggiate usando i punti cardinali e altri punti di riferimento. In classe invece abbiamo osservato con la lente il terreno raccolto, trovando due componenti essenziali: la sabbia e l’argilla. Lo abbiamo messo a confronto con il terreno del bosco, molto scuro e con una maggiore quantità di resti organici. Poi abbiamo fatto vari esperimenti con l’acqua, scoprendo che nel terreno c’è aria, che sale sotto forma di bolle, che il terreno argilloso è più compatto perché l’aria è quasi assente, che il terreno sabbioso lascia passare più velocemente l’acqua perché è meno compatto.

2. Come avviene la semina del grano? Quali sono le differenze fra la nostra semina e quella del Macii?

Tempo di attuazione: novembre, Abbiamo preso possesso del nostro cam- dicembre, gennaio, febbraio petto a maggio 2009 alla fine della classe prima. Lo abbiamo conosciuto usando In sintonia con l’idea biodinamica, si è tutti i sensi; lo abbiamo cioè osservato, stabilito come data per la semina il 2 noannusato, toccato con le mani, con pa- vembre, giorno favorito dalla presenza


Strumenticres n°56 – maggio 2011 della luna piena. A causa del maltempo fresato i campi dell’azienda e subito doe di altri inconvenienti, con grande delu- po ha seminato il grano e cosparso il tersione dei bambini, l’uscita al campetto è reno di diserbanti chimici. stata rimandata più volte; finalmente il Nel nostro terreno i piccoli germogli so12 novembre 2009 si è potuto realizza- no nati il 19 novembre, subito dopo sono re il nostro progetto di seminare il gra- nati anche quelli nei campi del Macii. Si no. I bambini hanno compreso, così, per è effettuata allora una breve uscita per esperienza diretta, quanto il lavoro del far visita al nostro grano appena nato: contadino, più di altri, sia condizionato era una vera meraviglia il nostro camda molteplici contrattempi ineluttabili, petto, i piccoli germogli ci sono apparsi causati principalmente dal maltempo. “tutti a righe” sopra i solchi. Con rastrelli, zappe e sarchiatori, aiutati In classe si è presentata la teoria biodidai nonni, abbiamo estirpato le erbacce namica e le sue tecniche, che cercano di ricresciute, pareggiato il terreno, poi con utilizzare al meglio l’energia della natura. la punta di una zappa abbiamo scavato L’idea che la luna piena potenzia le varie solchi paralleli in cui i bambini hanno fasi dell’agricoltura, in particolare quella gettato i semi che tenevano in una mano della semina, ci ha permesso di parlare chiusa a pugno. Contemporaneamente, delle fasi lunari. Abbiamo realizzato una in un secchio d’acqua, si è effettuata la serie di esperienze pratiche utilizzando “dinamizzazione” del concime (escre- modelli di sole, terra e luna, simulando i menti di mucca conservati nel cosiddetto loro movimenti e vedendo come, in base “corno–letame” che viene interrato per i al loro movimento ciclico, si calcolano le 6–7 mesi più freddi), che poi i bambini settimane, i mesi e l’anno. hanno spruzzato dappertutto. Alla fine ci Su un grande foglio di carta millimetrata siamo dati la mano, circondando il cam- abbiamo poi costruito il piano cartesiapetto, e abbiamo cantato una filastrocca no per rappresentarvi la linea del tempo sul chicco di grano. Questa semina effet- in cui registrare “il tempo della terra” e tuata con attrezzi agricoli manuali ci ha la crescita della piantina di grano (lo permesso di parlare della civiltà contadi- stesso modello di linea è stato utilizzato na, quando tutto il lavoro agricolo aveva in seguito quando si è realizzata la storia una sua solennità particolare, scandita personale dei bambini). In queste diverda ritmi e cicli naturali e veniva vissu- se attività abbiamo invitato i bambini a to dalla comunità con grande coinvolgi- prestare attenzione agli indicatori temmento emotivo e tutto aveva il sapore di porali che venivano utilizzati e a distinuna festa… La meccanizzazione non era guere i fatti che seguono un andamento ancora diventata la protagonista delle lineare da quelli che hanno caratteri di attività agricole. ciclicità. Prima di ritornare a scuola abbiamo Da Roberto, il nostro esperto di biodiriempito di terreno una cassetta, per ri- namica, ci siamo fatti dire il nome dei fare la semina del grano in classe con i chicchi di grano seminati e le loro caratbambini assenti e per osservare la cre- teristiche. A scuola abbiamo osservato i semi esternamente e internamente con scita delle piantine più da vicino. A questa semina, che ha coinvolto una una lente. La meraviglia è stata grande comunità di persone, si è contrapposta quando all’interno del chicco abbiamo la semina del Macii, avvenuta il 15 no- scoperto la “farina”: probabilmente, poivembre, realizzata da un unico operaio ché i semi erano stati tenuti a lungo a che, utilizzando un potente trattore, ha mollo, la polpa farinosa si è sbriciolata.

3. Quali cure dedichiamo alla piantina di grano in crescita? Quali sono le differenze fra le nostre cure e quelle del Macii?

Tempo di attuazione: gennaio, febbraio, marzo, aprile, maggio, giugno

Abbiamo deciso di osservare la crescita della piantina di grano direttamente in classe nella cassetta contenente la terra e i semi del nostro campetto. Sul piano cartesiano abbiamo registrato la crescita delle piantine e sul quaderno abbiamo disegnato la piantina in tutte le varie fasi della sua trasformazione. La cosa più sorprendente è avvenuta quando, avvolta nel culmo (gambo), per la prima volta, abbiamo intravisto la spiga. Un bambino ha esclamato: “La spiga sembra un neonato nella culla”; similitudine, questa, veramente pertinente. Noi insegnanti abbiamo portato ai bambini reperti e foto del campetto affinché potessero osservare le analogie fra le piantine in classe e le piantine nel campetto. In momenti extrascolastici, inoltre, i genitori e i nonni hanno portato spesso i bambini a far visita al grano. Si è proposta un’ulteriore uscita al campetto, tutti insieme, nel mese di marzo; con l’aiuto di nonni e genitori si sono tolte le erbacce e si è dato al terreno il concime biologico (guanito) e il concime biodinamico ricavato dal “corno–letame”. In classe abbiamo deciso anche di seminare altre piante in cassette e vasi utilizzando terra, cotone o segatura per individuare analogie e differenze nel loro sviluppo, in modo da far comprendere ai bambini l’importanza della terra per la crescita completa delle piantine. In aprile si è “dinamizzata” la silice (ricavata macinando il quarzo e conservata sottoterra nei mesi più caldi nel cosiddetto “corno–silice”) e, all’alba, alcuni nonni l’hanno spruzzata sulle piantine. La silice, secondo la teoria biodinamica, ha la proprietà di potenziare la capacità della clorofilla nella “cattura” della luce durante il processo di fotosintesi. Alla fine di maggio il grano è divenuto altissimo e Roberto ha ricoperto il campetto con una rete per proteggerlo dalla voracità degli uccelli. Il Macii, invece, dopo la semina non ha più prestato cure al grano. Il suo seme è di quello modificato e le sue piantine

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Un piatto di diritti dossier

Orti scolastici in Kenya

sono molto più basse delle nostre, le spighe sono più grosse anche se meno sostanziose. Intanto in classe abbiamo svolto un’altra attività: Roberto ci ha insegnato a realizzare il processo di panificazione in modo completamente naturale. Per ottenere la farina si è usato un macinino a mano che è il modello di un antico mulino a pietra. Si è deciso di macinare lo stesso tipo di grano usato per la semina, poi la farina ottenuta è stata setacciata e si è preparato il lievito madre. Nei giorni seguenti si è impastato il lievito con acqua e farina e si sono fatti dei pani di varie forme; dopo aver osservato la lievitazione si è portato il pane al forno. Qui è cotto per circa un’ora, poi, ancora caldo, è stato portato a scuola. Il profumo, così intenso e fragrante, ha reso entusiasti tutti. La consumazione del pane è diventata una festa e ha ricreato un’atmosfera molto simile a quella che si creava all’epoca della civiltà contadina, nel giorno della preparazione del pane. Nella gita di fine anno, ci siamo recati in visita a un’altra azienda agricola. Qui i bambini hanno avuto di nuovo la possibilità di macinare il grano, ma con un macinino elettrico, e di fare il pane; questa volta però hanno impastato la farina con il lievito di birra e ciascun bambi- Progetti di educazione no ha preparato un panino che, dopo la alimentare e del gusto lievitazione, è cotto nel forno a legna I progetti di educazione di Slow Food dell’azienda. Hanno avuto così la possi- aiutano adulti e bambini a fare scelte bilità di confrontare i due diversi metodi alimentari quotidiane che uniscano piacere e responsabilità, accompagnandi produzione. A giugno abbiamo notato l’ingiallimento doli in un percorso di conoscenza dei delle piantine. A luglio finalmente ab- cibi, della loro origine, delle tecniche di biamo raccolto il grano a mano, come lavorazione, dei produttori. Prioritaria nel passato, e abbiamo fatto una grande è l’educazione dei bambini, perchè sono coloro che rischiano – più di festa. Anche il Macii ha raccolto il grano a lu- chiunque altro – di perdere il contatto glio, ma ha usato le macchine agricole. con la terra e con le tradizioni alimenIn terza, confronteremo questa con la tari locali, e perchè possono giocare un nostra mietitura, usando le foto scattate ruolo cruciale nel convincere le proprie famiglie a scegliere cibo locale: buono, da noi maestre. pulito e giusto. Tali obiettivi sono presenti sia nei progetti che si svolgono in Italia, denominati “Orto in condotta”, sia in quelli promossi nel continente africano con l’iniziativa “Mille orti per l’Africa”. Tra questi ultimi abbiamo scelto di illustrare il progetto realizzato a Molo in Kenia per la completezza della proposta e le sue importanti ricadute sul tessuto socio economico locale.

Un progetto di Necofa per combattere la fame attraverso un innovativo approccio di educazione alimentare: undici scuole e 400 studenti coinvolti nei villaggi dell’altopiano di Molo.

LE LORO TESTIMONIANZE “Facendo studiare e lavorare insieme studenti di etnie diverse, il progetto promuove l’armonia e l’integrazione, fattori cruciali per uno sviluppo sostenibile delle comunità.” Nancy Kirui, Insegnante a Olenguruone “La partecipazione agli orti scolastici non ha compromesso la resa scolastica degli alunni. Al contrario, la nostra esperienza dal 2005 ci ha mostrato che fra i dieci migliori studenti all’esame per il Kenya Certificate of Primary Education (KCPE), ce ne sono sempre da 4 a 6 che hanno partecipato al progetto orti scolastici.” George Ng’ang’a, Insegnante della scuola di Michinda. “L’orto ha rifornito la mensa scolastica di verdure, kale (verdura a foglia verde, simile al cavolo) e foglie di cowpea (fagiolo dall’occhio) per un intero trimestre e ora vendiamo persino i nostri prodotti alla comunità. Non avremmo mai pensato che questo fosse possibile!” Jackson Leberiani, Preside della scuola di Kokwa “Gli studenti hanno lanciato una sfida alla comunità, ricordandoci l’importanza di un ambiente pulito e le nostre responsabilità riguardo alla salute del pianeta.” Mzee Maina, Genitore di un allievo della scuola di Subuku “Ora sono capace di coltivare il sukuma wiki e di cucinare per mio fratello e me, a casa!” Naomi Wanjiku Mwangi, Studente di sesta alla scuola di Kiambiriria


Strumenticres n°56 – maggio 2011 LE SCUOLE DELLE 4–K nelle parole di Samuel Karanja Muhunyu, coordinatore di NECOFA e leader del Convivium Slow Food della Central Rift Valley “Imparare facendo” è il motto del progetto Orti scolastici in Kenia che poggia su alcuni pilastri: le 4K. Kuungana = “avanzare insieme”, Kufanya = “lavorare insieme”, Kusaida = “darsi una mano”, Kenya = “la nostra madre terra”. 11 sono le scuole coinvolte nei distretti di Molo e Baringo; in ciascuna è attivo un gruppo di 50 studenti, tra gli 11 e i 16 anni, 2 insegnanti e una rappresentanza dei genitori che ha a disposizione un orto di circa 1 acro (più o meno 4000 m2) dove studia, sperimenta e mette in pratica l’agricoltura biologica raggiungendo competenze che ciascuno è incoraggiato a diffondere nella propria comunità e a utilizzare per impiantare un orto familiare.

In Kenya l’agricoltura rappresenta oltre il 50% del prodotto interno lordo e occupa più del 70% della forza lavoro. Nonostante ciò, è pressoché assente dai programmi scolastici e la maggior parte dei giovani che completa gli studi primari e secondari non riceve alcun tipo di formazione per intraprendere attività agricole. Gli agricoltori hanno un’età media sempre più elevata, i giovani migrano dalla campagna alla città, il tessuto sociale e culturale si disgrega e si perde un patrimonio di saperi, prodotti locali e tradizioni, favorendo un inesorabile processo di omologazione.

Orti scolastici in Kenia

Il progetto Orti scolastici è nato nel 2005 su iniziativa dell’ong Necofa (Network for Ecofarming in Africa), coordinata da Samuel Karanja Muhunyu, in collaborazione col convivium Slow Food Central Rift Valley e la Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus. L’obiettivo è stimolare un approccio

Oggi in Kenia più della metà dei giovani che finiscono la scuola ritornano dai genitori in zone rurali dove li aspetta una vita da contadini per la quale non sono preparati. Molti di loro considerano troppo dura la vita in campagna e fuggono in città alla ricerca di un impiego ma il più delle volte vanno a ingrossare le file dei disoccupati e spesso finiscono coinvolti in attività illecite. Questo flusso di giovani dalla campagna alla città impoverisce le zone rurali proprio quando l’agricoltura avrebbe bisogno delle capacità creative e innovative dei giovani. Il progetto “Orti scolastici” cerca di contrastare questo flusso e di trasmettere un approccio positivo al cibo, all’agricoltura e all’ambiente. Prepara i giovani ad un futuro di piccoli coltivatori, sensibili all’importanza di un cibo di qualità e al rispetto della biodiversità; offre loro un apprendimento basato sulla trasmissione di esperienze, dimostra la sostenibilità dell’agricoltura biologica

e del piccolo allevamento per la comunità, aiuta i giovani a sviluppare capacità organizzative e di leadership attraverso il confronto con la comunità. Bisogna riconoscere che gli adulti di oggi ricevono la terra e le risorse naturali che utilizzano dai giovani e dalle generazioni future; investire nei giovani significa quindi investire nel futuro e nella sostenibilità. Nel 2010 il Ministro dell’Agricoltura ha premiato il gruppo scolastico di Michinda come la miglior scuola basata su un progetto agricolo in tutto il paese.

positivo dei giovani keniani verso l’agricoltura locale, le tradizioni alimentari e l’ambiente. Attraverso gli orti scolastici, gli studenti imparano a diversificare la propria alimentazione e a coltivare le materie prime secondo metodi rispettosi dell’ambiente. Il progetto, finora, ha coinvolto 400 studenti, di 11 scuole, e ha avuto una ricaduta positiva sui bambini e sulle loro comunità: da un punto di vista ambientale, economico, ma soprattutto nutrizionale. La maggior parte dei genitori o tutori degli studenti è rappresentata da contadini molto poveri, e il numero degli orfani – a causa dell’Aids – è elevato, per cui non è scontato che gli studenti abbiano costantemente pasti adeguati e sani. Le mense scolastiche sono rifornite con i prodotti freschi coltivati negli orti didattici e grazie a ciò la loro alimentazione quotidiana è migliorata. Le eccedenze sono messe a disposizione delle famiglie e ogni orto funziona

anche come vivaio; si coltivano piantine di specie locali che sono vendute alla comunità a prezzi accessibili. Gli studenti, sono incoraggiati a replicare a casa le attività svolte negli orti scolastici, veicolando l’importanza di un’alimentazione sana all’intera comunità. Attraverso queste attività, gli studenti acquisiscono le competenze necessarie per lavorare in futuro nel settore agricolo con un approccio sostenibile, guadagnando il necessario per vivere. Il progetto coinvolge tutte le componenti della comunità; un ruolo particolare è riservato agli anziani, principali custodi di pratiche e saperi tradizionali. La condivisione di conoscenze sulla gestione ambientale, sulle tecniche agricole e sull’uso tradizionale delle piante commestibili rappresenta un momento di scambio importante tra le diverse generazioni. La gestione di ciascun orto prevede la collaborazione di studenti insegnanti e genitori. Gli studenti dedicano almeno sei ore

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Un piatto di diritti dossier NECOFA È una ONG keniota che keniota promuove un uso ecologicamente e socialmente sostenibile della terra. Lotta per eliminare la povertà estrema e la fame attraverso l’agricoltura sostenibile, l’educazione e progetti generatori di reddito. Ha una attenzione particolare nei confronti dei giovani e delle donne.

SLOW FOOD È un’associazione no–profit con 100 000 soci in 130 Paesi. SF promuove un cibo buono e di qualità, proveniente da produzioni che rispettano l’ambiente, tutelano la biodiversità e riconoscono la giusta remunerazione ai produttori.

Il progetto “Orti scolastici in Kenia” fa parte del progetto più vasto e ambizioso “Mille orti in Africa” promosso dalla Fondazione Slow Food per la biodiversità e attivo anche in Uganda e Costa d’Avorio. Maggiori informazioni su: www.slowfoodfoundation.com

la settimana alle attività del progetto. Le attività pratiche sono affiancate ad altre materie di studio: la matematica per misurare la crescita delle piante, la biologia per conoscere i loro cicli vitali, la lingua per documentare lo sviluppo dell’orto, la storia per la scelta dei cibi tradizionali, le arti per esplorare i colori, le forme e le trame delle piante, e la salute per la preparazione di piatti a base di prodotti freschi. La scuola di Michinda ha avviato anche l’allevamento di galline indigene mentre la scuola di Subuku quello di conigli. Inoltre, le scuole che partecipano al progetto organizzano escursioni e scambi culturali: studenti provenienti da diverse comunità etniche si incontrano per condividere le proprie esperienze imparando anche a conoscere il piacere della convivialità, grazie a pranzi comuni preparati con i prodotti degli orti scolastici. La partecipazione degli studenti a fiere alimentari ed esposizioni agricole sviluppa la loro capacità organizzativa e permette di promuovere attività in

tutto il paese, coinvolgendo ragazzi, insegnanti e genitori di altre comunità. Sarà realizzata infine (con la collaborazione degli studenti) una newsletter sugli orti che circolerà di scuola in scuola, per diffondere sempre più le conoscenze relative all’agricoltura sostenibile e ai prodotti locali.

DIRITTI DEGLI UOMINI E DELL’AMBIENTE Mani Tese sostiene l’attività di Necofa in favore degli Ogjek, popolazione che viveva tradizionalmente di caccia e raccolta nella foresta di Mau, nel distretto di Molo e che da qui era stata scacciata. Gli Ogjek recentemente si sono visti riconoscere il diritto a tornare e a viverci secondo la propria cultura tradizionale, gestendo le risorse della foresta in modo sostenibile. La conservazione dell’ambiente è infatti una delle priorità del Paese, sancita nella nuova costituzione. Il progetto prevede l’organizzazione di cicli di seminari che aiutino, in modo partecipativo, gli Ogjek a prender coscienza dei propri diritti, a far emergere i propri bisogni, a riappropriarsi di saperi tradizionali che rischiano di perdersi, a delineare attività economicamente interessanti, ecologicamente, socialmente e culturalmente sostenibili.


Poste italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1 comma 2. LO/MI in caso di mancato recapito inviare al CMP di Milano Roserio per la restituzione al mittente che si impegna a corrispondere i diritti postali.

Palazzo dei Congressi – Firenze, p.za Adua 1

21 e 22 maggio 2011 Realizzato con il contributo finanziario dell’Unione Europea In nessun caso i contenuti espressi possono essere considerati come espressione delle posizioni dell’Unione Europea. Con il patrocinio di:

In collaborazione con:


sabato 21 maggio ore

domenica 22 maggio

9.00 – 10.30

registrazione dei partecipanti

ore

10.30 – 11.00

sessione di apertura • •

Saluti delle istituzioni Introduzione di: Luigi Idili Presidente di Mani Tese

ore

11.00 – 13.30

PRIMA SESSIONE

Culture alimentari e stili di vita Modera: Beppe Rovera Conduttore di Ambiente Italia, Rai 3 Interventi di: Diego Parassole Attore comico, interprete de “I consumisti mangiano i bambini” Andrea Segrè Preside della Facoltà di Agraria all’Università di Bologna e Presidente di Last Minute Market Marina D’Amato Docente di Sociologia delle Comunicazioni di massa e Sociologia dell’infanzia presso l’Università di Roma Tre. Emidio Mansi Responsabile commerciale Italia del Pastificio Lucio Garofalo Spa

ore

14.30 – 17.30

SECONDA SESSIONE

Biodiversità e sostenibilità delle produzioni agricole Modera: Beppe Rovera Conduttore di Ambiente Italia, Rai 3 Interventi di: Javier Sanchez Portavoce del coordinamento europeo de La Via Campesina (Spagna) Maryam Rahmanian Vice–Presidente del High Level Panel of Experts della Commissione per la sicurezza alimentare della FAO (Iran) Luca Colombo Coordinatore della Fondazione Italiana per la Ricerca in Agricoltura Biologica e Biodinamica Rappresentante della Commissione Europea* Rappresentante del Parlamento Europeo*

Nel corso delle sessioni contributi video di Olivier De Schutter,

Relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo.

ore

9.30 – 12.00

TERZA SESSIONE

Finitezza e accaparramento delle risorse naturali Modera: Antonio Tricarico Coordinatore della Campagna per la Riforma della Banca Mondiale Interventi di: Amita Baviskar Docente di Sociologia dell’Institute of Economic Growth di Delhi (India) Rosario Bella Guzman Direttrice della Fondazione IBON (Filippine) Riaz Tayob Ricercatore del SEATINI su commercio e finanza internazionale (Sud Africa) Gianni Tamino Docente di Biologia generale e di Fondamenti di Diritto ambientale presso l’Università di Padova

ore 12.00 – 13.30

Chiusura partecipata

Con interventi di rappresentanti di Associazioni, Ong e movimenti sociali nazionali e internazionali impegnati per la sovranità alimentare.

INFORMAZIONI LOGISTICHE Numero verde mani tese: 800 552 456 Mail: infoconvegno@manitese.it Sito: www.manitese.it

ALLOGGI Per la prenotazione alberghiera è possibile rivolgersi all’agenzia: Florence Promhotels Hotel Bookings, Incoming Service, Travel and Tourism Viale A. Volta 72, 50131 Firenze (FI) Mail: info@promhotels.it numero verde gratuito: 800 866 022

Il servizio dell’agenzia è gratuito.


sessione speciale per insegnanti e animatori

domenica 22 maggio ore

14.30 – 17.30

Strumenti e percorsi per educare alla sovranità alimentare La sovranità alimentare è un filone tematico molto ricco e stimolante per progettare percorsi disciplinari e interdisciplinari a tutti i livelli del cosiddetto curricolo verticale. Intorno a questo macro argomento, che si propone in breve di affrontare il tema della fame concentrandosi su come, per chi e a quali condizioni si produce cibo, ruotano infatti alcuni dei principali problemi del mondo attuale. Gli squilibri tra Paesi ricchi e impoveriti e tra città e campagne, il divario nell’accesso alle risorse materiali e culturali e ai servizi, la marginalità e la scarsa possibilità per molti popoli o settori sociali di far sentire la propria voce o di veder riconosciuti i propri diritti. A partire da una rilettura dei principali spunti emersi durante le precedenti sessioni del convegno ci interrogheremo su cosa significa educare alla sovranità alimentare a scuola, senza perdere di vista le scelte legate al cibo che tutti, studenti inclusi, facciamo quotidianamente.

Modera: Giacomo Petitti Responsabile Educazione e Formazione, Mani Tese Introduce: Piera Hermann Presidente del Centro Ricerca Educazione allo Sviluppo (CRES)

Interventi di: Carmela Favarulo Settore Politiche Sociali ANCC–COOP Marina Medi Formatrice del Centro Ricerca Educazione allo Sviluppo (CRES) Davide Giachino Formatore Educazione alla Cittadinanza Mondiale Cisv

Scheda d’iscrizione

(PER INFORMAZIONI ED ISCRIZIONI ON–LINE www.manitese.it/convegno) Da copilare in stampatello e far pervenire a Mani Tese: • Mail: manitese@manitese.it • Fax: 02 40 46 890

• Posta: Mani Tese, P.le Gambara 7/9 20146 Milano

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CITTÀ

PROV.

E–MAIL

PROFESSIONE ENTE/SCUOLA/ASSOC. DI APPARTENENZA e INDIRIZZO

Desidero partecipare anche alle sessione scolastica pomeridiana prevista per domenica 22 maggio:

SI NO

INFORMATIVA sulla privacy AI SENSI DELL’ART.13 – D. LGS n. 196/2003: Nel rispetto del Dlgs n.196/2003, la informiamo che MANI TESE – titolare del trattamento – con sede in P.le Gambara 7/9, 20146 Milano, utilizza i dati personali da lei forniti per le finalità legate alla presente iniziativa e, previo consenso, per metterla a conoscenza delle sue iniziative ed attività. I suoi dati sono trattati manualmente ed elettronicamente esclusivamente dai nostri collaboratori e dipendenti specificamente autorizzati, in qualità di responsabili o incaricati, per il perseguimento delle finalità sopraindicate. I suoi dati non sono soggetti a diffusione nè a comunicazione né a trasferimento all’estero e sono sottoposti a idonee procedure di sicurezza. Gli incaricati del trattamento per i predetti fini sono gli addetti alla gestione dei rapporti con i sostenitori effettivi e potenziali, ai sistemi informativi, alle attività di preparazione ed invio di materiale informativo eventualmente richiesto. Rivolgendosi al Titolare al suddetto indirizzo, lei può esercitare i diritti di cui all’art.7 del D.Lgs 196/2003, tra cui il diritto di conoscere, in ogni momento, quali sono i suoi dati presso di noi, la loro origine, come e per quali finalità vengono trattati, farli aggiornare, rettificare, integrare, cancellare, chiederne il blocco ed opporsi al loro trattamento. Ogni informazione in merito alle categorie di soggetti che possono venire a conoscenza dei dati, in qualità di responsabili o incaricati preposti ai trattamenti sopra indicati, può essere richiesta a MANI TESE, P.le Gambara 7/9, 20146 Milano, presso cui è disponibile, a richiesta, elenco dei responsabili del trattamento. Autorizzo il trattamento dei dati personali. Firma


Mani Tese e il Cres si rivolgono agli insegnanti e agli studenti di ogni età. Proponiamo percorsi didattici e laboratori di formazione suddivisi per aree tematiche legate ai progetti e agli ambiti d’azione che l’Associazione promuove nel mondo.

CORSO DI FORMAZIONE PER INSEGNANTI: NUTRIRE IL MONDO PER CAMBIARE IL PIANETA Il corso si propone di affrontare i temi connessi alla sovranità alimentare, tema particolarmente adatto a progettare percorsi interdisciplinari a tutti i livelli del cosiddetto curricolo verticale, a partire dalle scelte legate al cibo che tutti facciamo quotidianamente. Durante gli incontri sarà presentato e distribuito gratuitamente ai presenti il kit educativo per insegnanti Nutrire il mondo per cambiare il pianeta. Il corso è organizzato in tre moduli da 4 ore ciascuno, fruibili anche singolarmente.

LA NOSTRA METODOLOGIA

PERCORSI DIDATTICI PER STUDENTI DAL CAMPO AL PIATTO: IL CIBO DEI POPOLI Attraverso giochi dinamici, esempi pratici e confronti tra la nostra spesa di tutti i giorni e quelle degli altri popoli del mondo, affronteremo un viaggio alla scoperta del più grande paradosso dei nostri tempi: ad un miliardo di affamati se ne contrappone almeno un altro che si nutre troppo e male. Durante il viaggio ci confronteremo con i concetti chiave della sovranità alimentare, partendo da una visualizzazione degli squilibri tra Nord e Sud del mondo per arrivare a scrivere e discutere la carta di identità di alcuni prodotti che acquistiamo abitualmente al supermercato. La proposta è progettata per tutti i cicli scolastici, dalla scuola primaria alla secondaria di secondo grado, ed è organizzata in laboratori formativi di durata flessibile (a partire da un minimo di 2 ore per laboratorio).

Il filosofo e sociologo francese Edgar Morin scrive che “non c’è educazione senza speranza e progetto”. Per noi significa stimolare un processo attivo di apprendimento che permetta di compiere un percorso di consapevolezza sulle connessioni esistenti fra povertà e stili di vita, per giungere all’impegno personale e all’azione informata. Ciò attraverso l’uso di metodologie interattive come laboratori, attività di problem solving, giochi di simulazione e di ruolo, documentazione audio e video.

PER SAPERNE DI PIÙ

Scriveteci a eas@manitese.it o visitate il sito www.manitese.it/educazione


Strumenticres n°56 – maggio 2011

Tutti i gusti sono giusti di Marina Medi

Questo è il titolo che è stato dato a un percorso di apprendimento realizzato da studenti e insegnanti della II A dell’IPSIA “Besta” di Sondrio nel primo quadrimestre del 2010. Il lavoro era inserito nel quadro di un progetto più vasto, proposto dalla Rete Ellis1 e sostenuto economicamente dalla Fondazione Gruppo Credito Valtellinese, che vedeva impegnate altre scuole secondarie di II grado della città per rispondere al concorso del MIUR relativo alla sperimentazione dell’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione. Il progetto, però, si è proposto anche come esempio di una metodologia didattica innovativa, capace cioè di superare la frammentazione delle materie e la logica del “programma canonico”, per proporre invece uno studio a carattere interdisciplinare, centrato intorno a un tema/problema presente nell’esperienza e nell’interesse degli studenti, 1 La rete Ellis (Educazioni, lingue, letterature e storie) dal 2006 opera nella formazione del personale della scuola di ogni ordine e grado in base a una stretta integrazione fra ‘educazioni trasversali’ (interculturale, allo sviluppo, alla pace, alla cittadinanza democratica, alle pari opportunità, al patrimonio, ai media ecc.) e discipline o aree disciplinari. Per questo fa interagire a livello territoriale scuole, associazioni di insegnanti e di volontariato, ONG, enti locali, fondazioni, in collaborazione con USP.

che permettesse di sviluppare in loro voro, gestito dai diversi insegnanti del competenze di tipo sia disciplinare che consiglio di classe, doveva permettere trasversale. lo studio di contenuti disciplinari delle Nella II A del “Besta”, frequentata da diverse materie. studenti e studentesse di otto paesi diversi, al momento di decidere colletti- Dopo un momento iniziale di presentavamente l’argomento su cui lavorare zione del progetto e di individuazione nel progetto, è nata spontanea l’idea di dei piatti tipici dei paesi degli stuconoscere qualcosa di più sulle recipro- denti della classe (Italia, Cina, Cuba, che abitudini alimentari e di provare Germania, Kossovo, Marocco, Russia, a raccontarlo attraverso un video Svizzera), il lavoro è iniziato, sul piano realizzato dai ragazzi. È iniziato così scientifico, analizzando l’apporto il percorso di sperimentazione Tutti i nutrizionale dei piatti selezionati in regusti sono giusti che si è posto come lazione ai bisogni del corpo umano; sul obiettivo la conoscenza e il confronto piano geo–storico–sociale, studiando delle tradizioni alimentari dei paesi di la produzione dei cereali nel mondo e origine degli studenti, collegate alle il loro ruolo nella produzione culturale caratteristiche geografico–ambientali e dei popoli, tanto che in particolare agli aspetti culturali di ciascun paese. Il riso, grano e mais sono spesso definiti percorso didattico, quindi, aveva come “piante di civiltà”. Successivamente, finalità principale quella di stimolare si è visto il rapporto tra cibo e tradila curiosità degli studenti verso le zione religiosa, prendendo in esame culture dei compagni, in modo da gli elementi essenziali delle religioni favorire l’apertura verso la diversità e il cattolica, ortodossa, musulmana, anche superamento degli stereotipi. Accanto in confronto con la concezione laica. a questa valenza interculturale, il proIn seguito, divisi in gruppo, gli studenti getto voleva sviluppare negli studenti hanno approfondito aspetti geografici e competenze relative alla progettazioculturali degli otto paesi rappresentati ne di attività, alla partecipazione al nella classe e li hanno sintetizzati in lavoro di gruppo, all’acquisizione di un cartelloni. Infine un’insegnante esterna, metodo di studio, all’uso dei diversi lin- esperta di musica, ha presentato le guaggi (orale, scritto, grafico, visivo e caratteristiche e gli strumenti della multimediale), mentre la realizzazione tradizione musicale dei diversi paesi e del video invitava a mettersi in gioco, a ha suggerito brani musicali da inserire vincere la timidezza e ad approfondire nel filmato. la relazione interpersonale. Infine il laA questo punto si è passati alla stesura

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Un piatto di diritti dossier della sceneggiatura del video, si è cipale del lavoro fatto, a loro parere, è cercato il materiale necessario per la consistito nell’occasione di conoscenza sua realizzazione e, alla fine, si sono reciproca tra compagni di classe, nel effettuate le riprese. Nel filmato, dopo lavoro comune, nella scoperta di molti una breve presentazione della classe e aspetti delle diverse culture. Scrive del progetto, gli studenti delle diveruna ragazza: “Io vengo dalla Russia e se tradizioni alimentari (ovviamente sono in Italia da due anni; attraverso anche quella italiana, sondriese, con questo progetto ho fatto conoscere alla i pizzoccheri) hanno presentato un mia classe la mia cultura e ho imparapiatto tipico, indicandone il nome, gli to molto riguardo quella italiana. Ho ingredienti e la situazione in cui viene ripercorso la storia delle mie origini consumato. La presentazione si è svolta preparando dei piatti caratteristici come un dialogo con un compagno di della Russia e come me hanno fatto altra cultura; sul tavolo, accanto al piat- le altre ragazze straniere.” E un’altra: to, confezionato a casa, erano disposti “Questo progetto ci ha avvicinato, ci ha alcuni oggetti caratteristici della cultufatto conoscere meglio e in diversi casi ra e il cartellone di sintesi del lavoro di ha creato nuove amicizie. Inoltre ci ha ricerca sul paese. reso molto complici, ci siamo aiutati a Alla fine delle riprese, ovviamente, tutvicenda e abbiamo imparato a superare, to il cibo portato è stato utilizzato per come una squadra, gli ostacoli.” un allegro banchetto in classe. In particolare il modulo di religione, a cui avevano partecipato tutti gli Il percorso ha visto coinvolto l’intero studenti, anche quelli che normalmente consiglio di classe, che ha progettato non frequentano le ore di religione e realizzato le varie attività, ed è stato cattolica, ha dato la possibilità di avere monitorato grazie a Diari di bordo informazioni sulle diverse religioni, al (dell’insegnante e degli studenti) comdi là degli stereotipi, parlando con chi pilati al termine di ogni parte in cui era quelle religioni le pratica. Molti hanno suddiviso il lavoro. affermato di aver avuto inizialmente Alla fine, in un incontro di tipo metaqualche perplessità sulla proposta, ma cognitivo, studenti e insegnanti hanno poi il lavoro li ha sempre più coinvolti riflettuto sull’esperienza realizzata, rie hanno scoperto di poter imparare percorrendo quanto fatto e valutandolo. meglio, in modo più divertente, anche Il giudizio degli studenti è stato molto grazie al lavoro di gruppo dove tutti positivo; gli aggettivi con cui hanno hanno “dato il massimo”. Hanno ricorsintetizzato il percorso sono stati: dato come sono riusciti a superare le elettrizzante, geniale, divertente, serio, difficoltà incontrate (per es. una scritta utile, impegnativo, diverso. Ovviamente sbagliata sulle magliette utilizzate nel la parte che più li ha entusiasmati è video), perché il progetto “fa venire la stata la realizzazione del video, sia nel- voglia di far bene e di impegnarci”, così la parte della scrittura dello storyboard come hanno capito che la diversità fa che nelle riprese. Ma il risultato prinpaura quando non la si conosce. Hanno

riconosciuto di aver sviluppato i contenuti di diverse materie e di averlo fatto in modo più interessante, imparando dai compagni oltre che dai libri. Anche il rapporto con gli insegnanti è stato migliore: “lavoravano con noi, non erano estranei, ci davano carica…”. Alla richiesta se questo modo di lavorare a scuola sia loro sembrato migliore dell’insegnamento tradizionale, hanno risposto affermativamente: “Ci siamo accorti che questo modo di apprendere è molto divertente e coinvolgente e ci piacerebbe ripeterlo in futuro approfondendo un altro argomento.”; hanno però ammesso che non tutto il programma delle diverse materie può essere sviluppato in questo modo. Anche il giudizio degli insegnanti è stato largamente positivo, perché hanno visto crescere la motivazione e l’entusiasmo degli studenti, così come li hanno visti raggiungere buoni risultati sia nelle conoscenze, che nella relazione reciproca, nella capacità di esprimersi e mettersi in gioco, nel risolvere problemi, nel riflettere sull’esperienza. Il progetto, che è stato assunto con molta disponibilità dall’intero consiglio di classe, ha richiesto una fase di progettazione comune, sostenuta dalla disponibilità della dirigenza, del personale non docente e delle famiglie degli studenti. La nuova metodologia ha quindi dimostrato di essere efficace didatticamente, ricompensando così il maggior lavoro che è stato necessario per la progettazione, per il coordinamento tra docenti e per la ricerca di metodologie e strumenti didattici.


Strumenticres n°56 – maggio 2011

Educazione al consumo consapevole: trent’anni spesi bene. di Valeria Malvicini, Associazione Lombarda Cooperative di Consumatori

Fornire strumenti di conoscenza, formare uno spirito critico, informare e formare cittadini più coscienti e liberi: questo lo scopo dei progetti di educazione al consumo consapevole che le cooperative di consumatori realizzano da trent’anni a livello nazionale. Perché la Coop, spesso identificata solamente come un’impresa della grande distribuzione è un’organizzazione nata oltre un secolo e mezzo fa, costruita da persone che volevano aiutare se stessi e gli altri a vivere meglio. La Coop è nata nel 1844, un secolo e mezzo fa, quando c’erano tanti bisogni e poche risorse. I cooperatori decisero che dovevano fare qualcosa per non regalare i propri pochi soldi agli speculatori; che si poteva fare qualcosa per alimentarsi meglio, con prodotti più sani e sicuri; che si rendeva necessario creare un’organizzazione capace di stare sul mercato senza accettare la regola del profitto a vantaggio di pochi e a spese di molti. Così nacque la Coop, per difendere il salario e la salubrità degli alimenti e promuovere il benessere delle persone. Ma promuovere il benessere delle persone non poteva significare solamente risparmio e qualità delle merci. Inevitabilmente si doveva operare a favore della crescita culturale dei soci. Così le prime cooperative, per esempio, iniziarono a sviluppare da subito attività per insegnare a leggere e scrivere ai soci. Da subito l’attività commerciale era affiancata da attività educative ed è quello che succede anche oggi. Dietro ad un semplice gesto, come caricare una bottiglia d’acqua sullo scaffale, bere un caffè, fare una telefonata con il cellulare, giocare a pallone, esiste un mondo spesso ignorato. Intorno a quella bottiglia d’acqua, al caffè, al cellulare, alle scarpe e al pallone esistono persone.

Bambini uomini e donne che lavorano, imparano, invecchiano, che si incontrano e sognano. Persone che vivono in villaggi lontani da noi, dove può essere necessaria una scuola, un ospedale o un pozzo, persone che attendono il rispetto della loro dignità. Una bottiglia d’acqua è solo una bottiglia d’acqua. Ma dentro c’è la nostra vita quotidiana, la vita delle nostre città che con un utilizzo non oculato la sprecano e di numerose popolazioni nel mondo che non ne hanno a disposizione. Una bottiglia d’acqua ci parla anche dei grandi conflitti di interesse esistenti tra le multinazionali per esercitarne il controllo economico. Una scatola di pelati può offrire diversi spunti di riflessione, dall’origine del pomodoro, al rispetto dei diritti dei lavoratori, un pacco di pasta può raccontarci delle esperienze delle cooperative sociali che lavorano sui terreni confiscati alle mafie, restituendo dignità e legalità alle persone ed ai territori. Un telefonino può parlarci dei nostri stili di vita, delle sue influenze sull’uso del linguaggio, ma anche dello sfruttamento delle risorse necessarie per produrlo e dei problemi connessi al suo smaltimento, e una tavoletta di cioccolato può aprire una finestra sullo sviluppo ineguale e sulla possibilità di sviluppo di un commercio equo e solidale. Tutto ciò tiene insieme in coop l’aspetto sociale con quello commerciale, infatti coop è una cooperativa ma è anche una grande impresa della moderna distribuzione. Un caffè è un caffè, ma contemporaneamente permette di viaggiare alla scoperta dei produttori, delle loro condizioni di lavoro, dell’ambiente in cui vivono, delle regole che governano il commercio internazionale. Le merci

Les glaneurs et la glaneuse Agnes Varda Francia, 2000 Film di taglio documentaristico sui temi dello spigolare (glaner in francese), cioè raccattare, raccogliere, e del recupero. Il film mostra coloro che praticano questa attività (poveri, bisognosi, marginali, maniaci e altro ancora), il perchè e come lo fanno. È un film libero, leggero, incantevole, che sfiora aspetti sociali (la società dei consumi e dello spreco), problemi giuridici, l’autobiografia, il rapporto tra arte e gioco, tra lavoro e piacere. 2° premio al festival Cinemambiente 2001 di Torino. Esiste una versione inglese (The Gleaners and I) ma purtroppo non italiana. Si trovano diverse sequenze su www.youtube.com

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Un piatto di diritti dossier

parlano e raccontano storie: storie belle e brutte, di sfruttamento e di dignità. Ci parlano di mondi apparentemente lontani, ma in realtà vicini a noi. È nella missione di Coop facilitare la crescita della consapevolezza di questi mondi e la scuola è uno dei luoghi possibili dove favorire questi saperi. La scuola ha aperto le porte a Coop e alle sue proposte educative anche grazie agli impegni dei soci che hanno costruito e curato costantemente i rapporti con i propri territori. Tutto cominciò negli anni ’80, quando Coop iniziò a progettare e realizzare i primi interventi nelle classi, in forma sperimentale ma estremamente originale. Nel tempo gli strumenti si sono affinati ed oggi ci sono migliaia di scuole che scelgono i percorsi educativi Coop sapendo di poter contare su un contributo significativo e qualificato. Attraverso l’educazione al consumo consapevole, Coop si avvicina e incontra i bisogni dei consumatori. Le campagne educative si sono rivelate coerenti con lo sviluppo del prodotto a marchio e con le politiche commerciali di Coop. Negli anni ’80 le campagne di educazione alimentare sono state accompagnate dalla comparsa delle etichette nutrizionali sui prodotti a marchio, dall’eliminazione dei coloranti e degli additivi non indispensabili. Anche il tema degli imballaggi, che costituiscono la maggior parte dei rifiuti quotidiani delle famiglie, è stato al centro di progetti educativi coerentemente con l’impegno di Coop sul versante della difesa dell’ambiente (dall’introduzione delle confezioni di plastica riciclata all’anticipazione

dell’abolizione dei sacchetti di plastica, “studiando”. attraverso la riduzione degli imballaggi Giocando si impara ad essere curiosi, a dei propri prodotti). chiedere il perché delle cose, a non acL’attenzione ai temi della sostenibicettare tutto passivamente, a mettersi lità ambientale si è amplificata con in gioco. l’introduzione sul mercato di prodotti Ecco perché si accolgono i ragazzi nel biologici e con l’insorgere del dibattito punto vendita con la consapevolezza sulle biotecnologie impiegate in campo che tutto questo è parte integrante agroalimentare. Su questi temi si sono del mestiere Coop così da promuovere sviluppate attività educative, mentre tutela, partecipazione, consapevolezza, sul piano commerciale si giungeva salute, benessere e conoscenza. all’esclusione del transgenico dal proNegli anni sono stati messi a punto dotto a marchio Coop. strumenti e materiali messi a disposiLa riflessione in tema di salute delle zione delle scuole e attraverso di esse persone e dell’ambiente ha stimolato di bambini, insegnanti, genitori e citl’approfondimento in relazione all’abutadini. In questo modo le cooperative so di pesticidi in agricoltura fino a conhanno messo in campo la propria capatribuire all’approvazione di leggi per un cità di essere allo stesso tempo realtà maggior controllo sul loro utilizzo. locali molto radicate ed una grande Parallelamente ai programmi di educaforza nazionale, il cui apporto in campo zione alla mondialità “Tutti nello stesso educativo è stato anche recentemente piatto” e al consolidarsi della collaboriconosciuto dalle Istituzioni e Coop è razione tra Coop e Transfair Italia si divenuta partner del progetto “scuola e è andata affermando la presenza dei cibo” del MIUR. prodotti equosolidali sugli scaffali. Negli ultimi anni sono stati poi svilupIn seguito alla campagna “Non rompati progetti di educazione alla cittapiamogli le favole!” sono nati percorsi dinanza attiva, come “Giocooperiamo” e materiali per imparare a leggere e a e ora anche “Tocca anche a noi”, con decodificare la comunicazione pubblil’obiettivo di aiutare bambini, ragazzi citaria. genitori ed insegnanti ad affrontare Così i supermercati si sono trasformati uniti i problemi anche pratici che le in laboratori didattici che negli anni scuole incontrano tutti i giorni sul loro hanno ospitato più di due milioni di cammino: perché insieme è meglio. ragazzi, con attività serie, non seriose. Anche un progetto di aiuto all’autosviImparare senza annoiarsi, giocando, luppo in chiave di sostenibilità, attivo con gusto: per fare questo coop si affida da 20 anni in Burkina Faso, ha dato soprattutto alle persone: soci, eduorigine al progetto “Viaggiatori responcatori, animatori esperti che entrano sabili” per incentivare un consumo nel “gioco” per accompagnare i ragazzi consapevole anche dei viaggi e delle nelle molteplici attività svolte al supervacanze, che possono diventare una mercato. opportunità di sviluppo per le comunità Coop per svolgere le attività si avvale ospitanti. della collaborazione di cooperative come Pandora, alla cui costituzione ha contribuito. Ciò ha consentito negli anni di consolidare le professionalità. Gli animatori vengono appositamente formati per saper coinvolgere con originalità i ragazzi e guidare con metodo la loro ricerca sia tra gli scaffali che tra le merci, fin dentro le singole etichette. Le domande che gli animatori riescono a stimolare contano ancora di più delle risposte che potranno dare, anche perché non ci sono risposte definitive su temi così complessi Ecco perché una classe di alunni in attività nei punti vendita Coop, che anima di idee e riflessioni le corsie, sta


Strumenticres n°56 – maggio 2011

La parola ai nostri partner europei

Sovranità Alimentare e lotta contro gli OGM di Todor Slavov, Za Zemiata

L’organizzazione bulgara Za Zemiata ha iniziato nel 2004 la sua campagna pubblica contro gli OGM (Organismi Geneticamente Modificati). Allora nessuno in Bulgaria sapeva che cosa fossero gli OGM. La Campagna di diverse organizzazioni della società civile ha avuto un tale successo che oggi circa il 90% della popolazione è contrario ai cibi geneticamente modificati. Ciò significa che in pochi anni circa sette milioni di persone sono state informate del problema e hanno preso posizione. Di solito si parla di perdita della sovranità alimentare solo riguardo al Sud del mondo ma in effetti anche gli europei sono toccati da questo problema. I Bulgari hanno affrontato una crisi alimentare dopo il cambiamento dal regime socialista alla democrazia: il cambiamento e l’entrata nella Unione Europea invece di migliorare la qualità del cibo hanno aperto il paese a ipermercati che offrono cibi di qualità inferiore e hanno segnato la fine delle piccole aziende agricole. Questo è un nuovo aspetto della perdita di sovranità alimentare: in teoria l’Europa migliora gli standard della produzione di cibo (per esempio in campo igienico) ma nella realtà i prodotti non sono buoni per i consumatori, frutta e verdura sembrano di plastica e trattati con pesticidi mentre altri prodotti sono ricchi di coloranti e conservanti. Persino la qualità del latte è peggiorata. Nel 2011 la coalizione “Liberiamo la Bulgaria dagli OGM” ha puntato a bandire le importazioni di cibi geneticamente modificati. I “decisori” hanno risposto alla nostra proposta sostenendo che nella Unione Europea non è possibile che una singola nazione

bandisca i cibi GM perché ciò viola le regole del WTO sul libero mercato. In realtà questo è un tema che riguarda tutta la UE – il tema era stato discusso al Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura in febbraio ma, nonostante gli sforzi dei CSO (organizzazioni dei Consumatori) il voto era stato contrario alla protezione degli interessi dei consumatori europei. In Europa l’industria del latte e della carne è fortemente dipendente dall’importazione di mangimi dall’America e dal Sud del mondo. In Bulgaria tali importazioni sfiorano il 50% e provengono da Brasile e Argentina, dove questo genere di coltivazione comporta taglio delle foreste e monocolture. L’Unione Europea importa più di 30 milioni di tonnellate di soia. Circa l’80% dei mangimi usati nella UE sono GM, vengono utilizzati per nutrire animali, il cui latte e carne entrano nel mercato alimentare diventando cibo per i nostri bambini. Si perde in questo modo la sovranità alimentare perché la gente non ha accesso ad un cibo di buona qualità. Solo in Austria i soggetti coinvolti nelle fattorie che producono latte si sono accordate per non utilizzare mangimi GM. Tutto ciò avviene perché, nonostante il mercato dei prodotti biologici sia in veloce crescita, non è alla portata di tutti. Ciò è vero soprattutto in Bulgaria ma, se questo è un problema in un paese della UE, che dire dei paesi più poveri? Con l’impennata dei prezzi alimentari il cibo veramente di buona qualità diventa un privilegio che non tutti possono permettersi. Per questo motivo Za Zemiata ha avviato un dialogo all’interno del movimento di sensibilizzazione dei consumatori per la creazione della prima cooperativa alimentare a Sofia. L’idea è di

mettere in diretto rapporto i produttori e i consumatori ottenendo in questo modo un controllo sulla produzione di cibo e una riduzione dei prezzi. Così anche chi non è ricco può avere accesso ad un cibo di qualità aumentando la propria sovranità alimentare. Dietro a questa campagna sta l’idea di favorire la migrazione di persone dalle città ai villaggi sostenendo la nascita di piccole aziende agricole biologiche che coinvolgano la maggior parte della popolazione. La conclusione è evidente: senza una campagna globale per un cambiamento in senso sostenibile degli schemi di produzione e consumo alimentari, la popolazione europea e mondiale continuerà a perdere la propria sovranità alimentare, in un mondo segnato dai cambiamenti climatici e dall’aumento dei prezzi del cibo.

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Un piatto di diritti dossier

La parola ai nostri partner europei

Commercio Equo nell’ottica della Sovranità Alimentare

di Alba Trepat, Xarxa

Sovranità Alimentare è il diritto di un popolo o un paese di disporre di un’alimentazione sufficiente, sana, legata alle proprie tradizioni culturali e al mercato locale. Senza dubbio ogni giorno risulta evidente che si tratta di un diritto umano fondamentale: non solo 1020 milioni di persone nel mondo sono minacciate dalla fame cronica ma i meccanismi economici e le conseguenze sociali della globalizzazione stanno mettendo in pericolo l’indipendenza alimentare della maggior parte dei paesi. Le minacce più gravi per il futuro alimentare dell’umanità vengono dalla liberalizzazione economica dei mercati alimentari, dalle politiche agrarie e economiche degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, dalla dipendenza sempre maggiore dei paesi più poveri dall’importazione di alimenti di base e, infine, dalla crisi dell’agricoltura e degli agricoltori nel mondo (nonostante rappresentino una percentuale importante della forza lavoro e delle economie locali). La lotta in difesa della Sovranità Alimentare (nel Sud come nel Nord del mondo) è un’attività importante, anzi fondamentale, per Xarxa de Consum Solidari – Rete del commercio solidale, organizzazione del commercio equo. In definitiva, attraverso i principi del Commercio Equo, siamo impegnati ogni giorno nella costruzione di relazioni commerciali internazionali più giuste, che favoriscano lo sviluppo di un’agricoltura locale rispettosa dell’ambiente, che non dipenda dal mercato internazionale e assicuri condizioni di vita e di lavoro dignitose per i produttori delle comunità locali. Questi sono anche i principi di base della Sovranità Alimentare nei quali ci riconosciamo perfettamente. Per

questo partecipiamo e promuoviamo continuamente campagne, locali e internazionali, in favore della Sovranità Alimentare e in contrapposizione alle istituzioni che controllano e ispirano la globalizzazione capitalista, quale il WTO. La Xarxa de Consum Solidari vuol essere un progetto globale di trasformazione a sostegno della Sovranità Alimentare, del Commercio Equo e del Consumo Critico con azioni in differenti aree: cooperazione allo sviluppo, educazione allo sviluppo, sensibilizzazione e commercializzazione di prodotti. Attività che non svolgiamo da soli ma in collaborazione con altre organizzazioni, reti e coordinamenti, locali o internazionali; insieme facciamo un lavoro di mobilitazione e pressione politica con l’obiettivo di costruire altri mondi possibili.

I nostri principi: Sovranità Alimentare e Commercio Equo Siamo convinti che la lotta per un Commercio Equo sia la lotta per cambiare le regole ingiuste del commercio internazionale, per cui poche multinazionali hanno un ruolo dominante negli organismi multilaterali come Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale e Organizzazione Mondiale del Commercio mentre le politiche agricole e commerciali dei governi più forti sviluppano un modello di agricoltura, commercio e consumo ingiusto e insostenibile. Siamo totalmente d’accordo con quelle organizzazioni, come Via Campesina, che sostengono con forza che il cibo è un diritto e non una merce e che l’agricoltura deve produrre alimenti e non beni commerciali. Lavoriamo a so-

stegno della Sovranità Alimentare, che consideriamo la via per liberarsi dalla fame e dalla malnutrizione e per garantire la sicurezza alimentare a tutta la popolazione. Per noi SA rappresenta il diritto per ciascun popolo di definire le proprie politiche e strategie di produzione, distribuzione e consumo degli alimenti, che siano sostenibili e garantiscano il diritto al cibo per tutta la popolazione, che si basino sulla piccola e media produzione, rispettino l’identità culturale e soddisfino prioritariamente il mercato locale e nazionale. Pensiamo che i nostri sforzi per commercializzare i prodotti delle organizzazioni popolari del Sud siano solo una parte di questa lotta più generale e crediamo nella capacità della società civile di creare nuove alternative. Il Commercio Equo non è un’attività autonoma ma è parte del processo di costruzione di un’altra società. Siamo convinti che il Commercio Equo sia una questione di responsabilità tanto collettiva quanto individuale: una questione di cittadinanza. Nella convinzione che il consumatore svolga un ruolo forte nella nostra società, siamo impegnati a costruire un movimento sociale di cittadini responsabili e critici. Lavoriamo per ottenere il massimo in fatto di giustizia sociale e rispetto dell’ambiente lungo tutta la catena commerciale; questa è il presupposto per arrivare a uno sviluppo autentico. Senza nasconderci la contraddizione di fare del commercio in questo mondo ingiusto, cerchiamo di rendere trasparente tutta la filiera, al nord come al sud, in modo che il consumatore responsabile possa verificare la coerenza tra il nostro lavoro e i principi che sosteniamo.


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PAROLE, MUSICHE, IMMAGINI a cura di anna di sapio

e noi? Il “posto” degli scrittori migranti nella narrativa per ragazzi Lorenzo Luatti, Sinnos Editrice, Roma 2010

Da vent’anni ormai quel nuovo fenomeno letterario noto come letteratura della migrazione sta tracciando una strada e assumendo proporzioni sempre più rilevanti. Il mondo culturale e mediatico italiano l’ha ignorato o si è interessato ad esso in modo sporadico, lasciandolo confinato a fenomeno di nicchia, lasciando che fossero le piccole case editrici e le associazioni di volontariato ad interessarsene. L’ha considerato un caso antropologico, ignorandone le potenzialità più strettamente letterarie. I critici l’hanno trattato “come una novità esotica – scriveva Yousef Wakkas nel 2001 sulla rivista ‘Kuma’1 – che desta semplicemente fascino, il fascino e la curiosità di un locale etnico”. Eppure, lentamente, la situazione è andata evolvendosi, è innegabile che vi siano stati dei progressi riguardanti la percezione generale di questa produzione letteraria, ma permane la sensazione che il grande pubblico continui ad ignorare le opere di questi scrittori e la più recente attenzione delle grandi case editrici potrebbe nascondere un rischio oltre che offrire un’opportunità. La politica editoriale dei grandi gruppi è legata alla commercializzazione, per questo cercano di vendere un’immagine più stereotipata ed esotica degli autori. L’impressione è che, comunque, il sistema tenda a mantenere separata questa produzione da quella “ufficiale” degli autori autoctoni, mentre da parte loro questi scrittori che scrivono in lingua italiana chiedono che le loro opere vengano rispettate e valorizzate, indipendentemente dal fatto che siano nati qui o altrove. Questi autori hanno ormai superato la fase autobiografica e trattano tematiche che vanno oltre la questione della migrazione dunque sarebbe importante che anche da parte di critici, giornalisti, accademici ci fosse, verso questo fenomeno culturale, una maggiore apertura per cogliere questo universo letterario ricco e variegato. 1  V. “Kuma” n.2 in: www.disp.let.uniroma1.it/kuma/kuma2.html

D’altronde si tratta di un fenomeno che riguarda molte letterature d’Europa, che – come fa rilevare Nora Moll – si stanno trasformando in modo lento e inarrestabile, in direzione di una mondializzazione degli immaginari letterari e verso una contaminazione di lingue e di generi. Noi del Cres ci siamo interessati a questi cambiamenti in atto e abbiamo cercato di seguire questa nuova letteratura sin dal suo nascere, ci siamo sforzati, nel nostro piccolo, di farla conoscere e di valorizzarla.2 Anche noi, però, abbiamo da rimproverarci qualcosa: non abbiamo prestato attenzione a quel “corpus di opere narrative per bambini e ragazzi scritte direttamente in lingua italiana (…) un percorso coevo e parallelo alle scritture migranti per adulti”.3 Anche per questo siamo ben felici di poter presentare il testo di Lorenzo Luatti e noi? Il “posto” degli scrittori migranti nella narrativa per ragazzi, uscito nella benemerita collana della Sinnos Segni/Nuovo Immaginario Italiano. Un testo importantissimo, questo di Luatti, perché è il primo ad affrontare in modo sistematico l’argomento, andando quindi ad ampliare la mappa abbozzata da Nuovo Planetario Italiano. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa, e Nuovo Immaginario Italiano. Italiani e stranieri a confronto nella letteratura italiana contemporanea.4 Il libro, frutto di una ricerca durata anni, è la “prima sistemazione seria e generale di questa forma di letteratura”, una “opera di riferimento dalla quale muovere per cono2  v. Dossier Letteratura della migrazione on line in “Strumenti” 42/2006; Nuovi spazi letterari in “Strumenti” 44/2006; Dossier La scuola incontra gli scrittori migranti. Percorsi didattici, linguaggi e confronti in “Strumenti” 49/2008; 3 L. Luatti, Voci migranti nella letteratura italiana per ragazzi, in “Scritture migranti”, 1/2007, pag.163 4  v. recensione in “Strumenti” 54/2010, pagg. 41–42

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Un piatto di diritti parole, musiche, immagini scere l’argomento” come scrive Armando Gnisci nella Prefazione, preziosa per gli insegnanti in primo luogo, ma anche per genitori e adulti più in generale. Nella prima parte l’Autore cerca di spiegare come mai questa narrativa per ragazzi, che si è sviluppata a partire dagli anni Novanta, quindi contemporaneamente alle scritture migranti per adulti, sia rimasta completamente nell’ombra: mancano infatti studi critici, ricostruzioni bibliografiche. Neppure le benemerite riviste letterarie online o altri siti dedicati alla letteratura della migrazione se ne sono interessati, le riviste specializzate di letteratura per ragazzi si sono limitate a qualche recensione o segnalazione. Può aver influito – ricorda Luatti – sia la tradizionale “marginalità” della letteratura per l’infanzia, sia la mancanza di risorse di cui si è potuta invece avvalere la letteratura della migrazione per adulti. Nonostante tutto la letteratura italofona degli stranieri, rivolta a bambini e ragazzi, può già contare alcune prove letterarie importanti: vi sono autori che hanno ottenuto un successo di critica e di vendita; emerge un gruppo di scrittori che pubblica stabilmente per i giovani. Si sta verificando in Italia quello che in altri paesi europei (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania) succede da tempo ossia la presenza di una narrativa per ragazzi ricca di voci migranti, molte delle quali tradotte anche in Italia. Dopo aver esplicitato i criteri metodologici seguiti nella scelta degli autori, Luatti si sofferma su una vecchia e annosa questione: quando un libro è per ragazzi? Come lo si distingue da un libro per adulti? L’autore decide di concentrare l’analisi solo sui libri intenzionalmente scritti per i giovani, collocati per scelta editoriale in collane per bambini e ragazzi. In esame vengono presi solo i testi letterari riconducibili ai vari generi: fiabe e favole della tradizione, racconti autobiografici, romanzi e racconti di fantasia, tralasciando quindi i testi a carattere divulgativo. Nella produzione narrativa per ragazzi prodotta da scrittori migranti possono essere individuate tre fasi: la prima è caratterizzata da finalità prevalentemente didattiche e vede coinvolte poche e

piccole case editrici “generaliste”, non specializzate nella produzione di testi per l’infanzia (ad eccezione della Sinnos), che hanno svolto il ruolo di sollecitazione, di incentivazione analogo a quello svolto dal concorso “Eks&tra” per le scritture migranti per adulti. Nella seconda fase si assiste all’entrata in scena di autori già affermati, come Jarmila Ockayovà, Christiana de Caldas Brito, Fabian Negrin, le cui opere si caratterizzano per una scrittura più ricca e complessa, per uno sforzo di innovazione nello stile e nel linguaggio. Diminuisce la produzione di fiabe, favole, racconti autobiografici, che avevano caratterizzato la prima fase, mentre il panorama dei testi proposti si arricchisce di opere di finzione. I cambiamenti riguardano quindi tanto le tematiche e le storie quanto la scrittura. Una maggiore attenzione alle scritture migranti per ragazzi a partire dalla fine del 2006 fa pensare all’inizio di una terza fase di questa narrativa, quella tuttora in corso. Per quanto riguarda gli autori si possono individuare tre gruppi: a) autori che hanno scritto un solo libro: si tratta del gruppo più numeroso e riguarda soprattutto la prima fase; b) scrittori di libri per adulti, che hanno scritto anche uno o più libri/testi per ragazzi; c) autori che scrivono esclusivamente (o prevalentemente) opere di narrativa per ragazzi. Complessivamente si tratta di “una costellazione variegata di autori e di testi, che non consentono il ricorso a facili etichettature e semplificazioni, tali da definire una volta per tutte finalità poetiche, stili e tematiche” .(pag. 57) Impossibile dar conto di tutti gli autori e di tutte le opere analizzati da Luatti (opere di cui riporta anche ampi stralci), ci soffermiamo solo su alcuni. Quando nel 1989 l’argentino Fabio Negrin approda a Milano ha già alle spalle un’esperienza di illustratore per numerose testate giornalistiche e case editrici internazionali. In Italia continua a lavorare come illustratore poi – come racconta lui stesso – i libri per bambini diventano il suo principale interesse. Successivamente approda alla scrittura e crea opere apprezzate da critica e pubblico. Al suo attivo ha molte storie, scritte e illustrate da lui stesso, i cui protagonisti sono spesso bambini che devono fare i conti con le

incomprensioni e le assurdità del mondo adulto. In bocca al lupo è una rivisitazione di Cappuccetto rosso, ma la storia è raccontata dal punto di vista del lupo, che non è cattivo anche se, seguendo il suo istinto naturale, uccide per nutrirsi. Quando incontra la bambina rimane colpito dalla sua bellezza e la segue, ma le cose non andranno come il lupo spera. Il libro che ha ricevuto diversi premi è stato tradotto in Francia e Spagna. Occhiopin nel Paese dei Bei Occhi è un Pinocchio dei nostri giorni, che non sa dire bugie, vive in una periferia squallida con un padre conformista, e rifiuta il mondo ipocrita degli adulti dove impera il consumismo ed è alla ricerca di un mondo a sua misura come il Paese dei Bei Occhi dove “la gente è capace di vedere la bellezza delle cose del mondo”. Negrin si rivela “autore versatile sempre pronto a stupirci, dalla fresca vena narrativa, originale nell’invenzione, ingegnoso nelle trovate, limpido nella scrittura. Un artista, dunque, che ama sperimentare e fare ricerca tanto nel linguaggio iconografico che nella narrazione verbale.” (pag. 126) Anche i volumi delle Editions du Dromadaire, casa editrice fondata a Venezia da Pierre Hormnain e Florence Faval, stimolano la fantasia dei bambini con grande originalità di forma e contenuto. Sono libri fatti a mano con passione e perizia, “storie fantastiche, delicate e sognanti, di civiltà lontane, di desiderio di evadere per incontrare altri popoli o mondi incantati (…) che ci rincuorano e illuminano la nostra vita troppo spesso rinchiusa in grigi e alti palazzi”. “Talvolta – scrive Luatti – occorrono più letture per scoprire tutte le idee che ci sono dentro per assaporare il suono delle parole e il calore delle immagini”.(pagg.128; 130) Un esempio di come si possa educare i bambini alla bellezza. L’ultimo capitolo è dedicato alla produzione narrativa dei figli dell’immigrazione, coloro che sono nati in Italia o vi sono arrivati ancora piccoli. Si tratta di un gruppo ancora ristretto ma destinato sicuramente a crescere nei prossimi anni; i protagonisti dei loro racconti e romanzi “sono spesso adolescenti che rivendicano una doppia appartenenza culturale e linguistica (…) sono forti di un’identità non lacerata ma serenamente complessa (…) hanno sviluppato spesso un senso critico molto


Strumenticres n°56 – maggio 2011 a cura di Silvia Camilotti, Università di Bologna

forte, proprio perché si sono dovuti porre delle domande sulla loro identità” (pag. 165). Appartiene a questo gruppo Randa Ghazy che a soli quindici anni ha pubblicato Sognando Palestina, un romanzo breve che affronta il conflitto arabo–israeliano visto dalla parte degli arabi. Il libro, che ha riscosso un notevole successo anche all’estero dove è stato tradotto in quattordici lingue, presenta una “scrittura agile, immediata e trascinante, ma anche essenziale, secca e sferzante, mai scomposta o approssimativa, con una sua originalità espressiva” . (pag. 170) Prova a sanguinare è la sua seconda prova, romanzo più maturo del precedente, seguito da Oggi forse non ammazzo nessuno. Storie minime di una giovane musulmana stranamente non terrorista, che, sia pure meno ispirato delle opere precedenti, riesce comunque a divertire, commuovere e costringe a riflettere.

Fuori centro. Percorsi postcoloniali nella letteratura italiana

a cura di roberto derobertis, Aracne – Roma, 2010

Il volume curato dallo studioso Roberto Derobertis raccoglie e sviluppa alcuni importanti spunti su un tema troppo a lungo ignorato dagli studi di italianistica in Fortunati i bambini e i ragazzi nati in particolare, quale il rapporto tra coloniaItalia negli ultimi dieci anni – sostiene lismo/postcolonialismo e la letteratura Armando Gnisci nella Prefazione – perché italiana. I due elementi che attraversano hanno avuto a disposizione una notevole i contributi – caratterizzati ciascuno da letteratura a loro dedicata prodotta in una propria specificità – si possono indiitaliano da scrittori venuti in Italia dai viduare nella continua tensione tra passavari mondi della Terra. E fortunati noi che, to e presente e nel ritorno del rimosso. grazie a Luatti, disponiamo ora di una Derobertis colloca i saggi all’interno della “prima sistemazione seria e generale di cornice del postcoloniale, inteso non in questa forma di letteratura”. senso cronologico come fase successiva al colonialismo bensì come «una critica Speriamo che queste poche note su alcuni a ciò che è stato storicamente il coloniadegli autori presi in esame da Luatti lismo e a ciò che, in maniera pervasiva e riescano a incuriosire e spingano a leggere disomogenea sul Pianeta, esso continua questo testo veramente prezioso, da cui a produrre nelle forme di neo–colonialiemergono “la ricchezza e le potenzialità smo e globalizzazione liberista» (pag. 9). culturali, sociali e linguistiche di una Inteso dunque come strategia critica, esso nuova Italia, meticcia e complessa, pronta «prende in esame il rimescolamento delle a prendere la parola, con un proprio tradizionali coppie antinomiche della linguaggio, per sottrarsi ai codici domimodernità eurocentrica (centro/periferia, nanti, per definirsi e per definire il proprio città/campagna, modernità/tradizione) vissuto.” (pag.186) Completano il testo per intercettare l’irruzione di nuove soguna cronologia delle opere primarie, i gettività, la decadenza dei canoni culturali profili biografici degli autori antologizzati consolidati e la necessaria ridefinizione e la bibliografia. delle discipline accademiche su basi “nazionali”» (pag. 10). I sette contributi raccolti, introduzione del curatore compresa, accendono l’attenzione su voci e esperienze a lungo rimaste marginali e mettono in discussione una concezione rigida di canone e di ambiti disciplinari. Tale volume, importante anche per l’apparato bibliografico che ciascun saggio offre, fa proprio quell’ap-

proccio interdisciplinare che permette di indagare un tema più a fondo e da molteplici prospettive: l’analisi di testi letterari non prescinde infatti da uno sguardo sulla storia e da una prospettiva attenta alle questioni di genere e razza. Fuori centro riconsegna centralità al tema, rimosso, del colonialismo italiano, indaga le opere di autori e autrici migranti e mostra come l’identità italiana, sfaccettata e plurale, nasca anche dall’incontro/ scontro coloniale e da questa esperienza sia stata indelebilmente segnata. Una riflessione che giunge al momento giusto, nell’anno della celebrazione dei 150 anni dell’unità italiana, a rischio di «celebrazione acritica» (pag. 11). Sintetizza bene, Derobertis, il senso del suo volume, quando scrive che «non si tratta di museificare il colonialismo, né di leggerne l’archivio ad uso e consumo del presente, quanto piuttosto di produrre un triplice movimento di ricordo, revisione e trasgressione» (pag. 31). I saggi raccolti si collocano in tale prospettiva di ricordo, revisione e trasgressione, a partire da una pluralità di temi e testi. Cristina Lombardi–Diop rilegge Mal d’Africa. Romanzo storico, di Riccardo Bacchelli mettendo in discussione l’interpretazione accreditata di romanzo anticoloniale. Tale testo ha infatti contribuito a avvallare il mito degli “italiani brava gente”, a rafforzare la retorica del buon selvaggio e a conferire carattere universale e leggendario alle gesta di Gaetano Casati, la cui esperienza di geografo e esploratore in Africa equatoriale è ricostruita da Bac-

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Un piatto di diritti parole, musiche, immagini chelli. Il suo romanzo, uscito a metà degli anni Trenta, nel prendere le distanze dal contesto contemporaneo (siamo in piena preparazione militare per l’occupazione dell’Etiopia) contribuisce a quella «amnesia storica dell’esperienza coloniale che ancora oggi caratterizza la nostra attuale condizione post–coloniale» (pag. 43). Lombardi–Diop mette in atto una strategia di revisione di una lettura consolidata di un romanzo italiano rappresentativa della ancora presente rimozione e indicibilità della storia coloniale. Sull’immagine di una «storia occidentale bloccata» (pag. 61), che non comprende il nesso passato–presente, ritorna Bruno Brunetti nel saggio Modernità malata. Note su Tempo di uccidere di Ennio Flaiano, che si rifà al noto romanzo conradiano individuando in esso un paradigma che permane in molta della letteratura contemporanea occidentale che si confronta

con l’altro: il fallimento, l’inconcludenza, lo sguardo cieco dell’occidente incapace di relazionarsi con il “diverso”. È ciò che accade al personaggio di Flaiano, la cui vicenda diviene parodia del colonialismo italiano e che a partire «dalla banalità indica lo spessore di una tragedia che, come per le ragioni abiette più grandi, produce le stesse vittime, massacri inutili, atrocità innominabili» (pag. 65). L’intento di revisione e trasgressione è ben sviluppato nel saggio del curatore del volume, che indaga la relazione Italia–Libia in alcune opere del Novecento, che, secondo la sua tesi, sono rappresentative dell’omissione del rapporto storico tra i due paesi. A partire da Pascoli, passando per Marinetti, Dei Gaslini fino a Tobino, Derobertis svela molti dei luoghi comuni presenti nei loro testi sulle popolazioni colonizzate, nonché quello sguardo maschile, sulle donne e sul territorio,

«oppressivo e claustrofobico» (pag. 83). Il controcanto a tali narrazioni è dato dal testo, preso in esame da Derobertis nella parte finale del suo contributo, di Luciana Capretti, El Ghibli, che riporta alla luce «due storie rimosse dell’identità italiana: emigrazione e colonialismo» (pag. 85). Lo studioso attua una lettura del colonialismo italiano attraverso opere contemporanee, mostrando un rinnovato approccio critico attento alle connessioni e agli incroci interdisciplinari. Sulla sottovalutazione del colonialismo italiano e sull’idea, scarsamente popolare, che l’identità italiana si sia formata anche attraverso «la sopraffazione e la violenza» (pag. 106) si sofferma il saggio di Daniele Comberiati, “Province minori” di un “impero minore”: narrazioni italo–ebraiche dalla Libia al Dodecanneso. In esso lo studioso presenta alcune opere di autori italo–ebraici, Arthur Journo, David Gerbi

Nel 1979 il Vietnam, dopo anni di tensioni e minacce reciproche, decise di invadere la Cambogia, chiamata allora Kampuchea democratica: i comunisti avevano preso il potere nel 1975 e già nel ‘76 si era affermata l’ala più estremista, capeggiata da Pol Pot. Quest’ultimo, diventato primo ministro, aveva cercato di imporre un rigido egualitarismo di stampo rurale, come scrive Idling “la popolazione delle città fu deportata nelle campagne e costretta a lavorare la terra. Vennero aboliti la proprietà privata, la religione e il denaro. L’obiettivo era un’utopia contadina ispirata al maoismo” (pag. 15). Tutto ciò comportava l’eliminazione sistematica di ogni opposizione o per meglio dire di chiunque deviasse dalle regole di un comunitarismo forzato. “L’ideale era uno stile di vita austero e morigerato, e la libertà individuale era controrivoluzionaria” (pag. 148). “Il sistema si basava sulla delazione. Se tre persone facevano lo stesso nome era sufficiente perché quella persona venisse arrestata. Grazie alla tortura, non era difficile procurarsi elenchi di controrivoluzionari” (pag. 179). Infatti con l’intervento dei Vietnamiti si scoprì che durante il breve regime di Pol Pot (poco più di tre anni) erano morte almeno un milione e settecentomila persone, un quinto della popolazione “a causa degli stenti, delle malattie e delle esecuzioni” (pag. 15). La Cambogia apparve quindi agli occhi del mondo come un paese ridotto alla fame e terrorizzato, un enorme campo di concentramento. Eppure

pochi mesi prima, esattamente nell’agosto 1978, una delegazione svedese aveva avuto il permesso di visitare il paese che aveva attraversato in un lungo viaggio di 1000 chilometri e non aveva “visto” nulla: né morti né lavori forzati, né paura né fame. Tornati in patria i quattro componenti la delegazione avevano descritto in termini positivi la rivoluzione dei khmer rossi, proponendola come un modello all’Europa democratica; la vita era semplice, ma serena, la popolazione era impegnata nella ricostruzione del paese, se le città erano deserte la loro evacuazione era stata dettata dalla necessità di riavviare l’agricoltura e l’economia di un paese distrutto dalle guerre civili e dai bombardamenti americani. Non si deve infatti dimenticare che “In totale sulla Cambogia vennero sganciate 2.756.941 tonnellate di bombe: una volta e mezzo quelle lanciate dagli Alleati in tutta la seconda guerra mondiale, comprese le atomiche su Hiroshima e Nagasaki” (pag. 95).

a cura di Elena La Rocca

Il sorriso di Pol Pot

Peter Froberg Idling, Iperborea, 2010

Come si può attraversare uno dei più grandi massacri della storia senza neppure sospettarlo? I componenti la delegazione hanno mentito o sono stati ingannati e come? Come fanno degli studiosi specializzati nel sudest asiatico a non sospettare nulla? E come può un paese stremato dalla fame e dalla violenza organizzare un inganno di tale portata? A trent’anni dal genocidio Idling si interroga su questo enorme equivoco ed intorno a questo enigma costruisce


Strumenticres n°56 – maggio 2011 e Victor Magiar, nati in Libia e costretti a abbandonarla con l’ascesa al potere di Gheddafi. La cacciata è un momento importante per la storia italiana la cui opinione pubblica è costretta a prendere consapevolezza delle atrocità coloniali lì commesse, nell’ottica di quel ritorno del rimosso di cui si è detto. Per quanto concerne il colonialismo italiano in Europa, Comberiati cita l’opera di Giorgio Mieli, Mi alma, autore ebraico proveniente dall’arcipelago greco che sfata un altro mito, quello della blanda persecuzione italiana degli ebrei. Tutti incentrati sulle ripercussioni di genere e razza appaiono gli ultimi due saggi del volume: Monica Venturini, in “Toccare il futuro. Scritture postcoloniali femminili”, si avvale delle chiavi di lettura degli studi postcoloniali (le teorie di Homi Bhabha in particolare) per presentare alcuni testi esemplari legati al colonialismo italiano

scritti per mano di donna: L’abbandono di Erminia Dell’Oro, Lontano da Mogadiscio di Shirin Ramzanali Fazel e Regina di fiori e di perle di Gabriella Ghermandi. Tali autrici esprimono una «rinnovata idea di scrittura come strumento etico e di romanzo come genere della “responsabilità storica”» (pag. 122). Offrono inoltre una visione articolata di identità, che trova il proprio senso non in un paradigma nazionale ma dislocato e multiculturale. Il ritorno del rimosso – che tali voci di donne contribuiscono a far affiorare – emerge anche in tale analisi come esigenza ineludibile per produrre progresso e conoscenza. E sulla presa di posizione e voce teorizza Geneviève Makaping, la cui opera, Traiettorie di sguardi, è indagata da Sonia Sabelli in Quando la subalterna parla. La scrittura diviene opportunità per l’autrice di parlare in prima persona, di prendere consapevolezza della condizio-

ne di marginalizzazione in cui vive e che elegge come spazio di espressione. Genere e razza sono due lenti attraverso cui Sabelli interpreta l’esperienza di scrittura dell’autrice originaria del Camerun, la cui esperienza in Italia si è caratterizzata per il confronto continuo con sessismo e razzismo: un ulteriore esempio che testimonia come gli italiani, in passato come oggi, non siano immuni da atteggiamenti xenofobi e spesso non se ne rendano nemmeno conto. Il volume si chiude, significativamente, su una esperienza femminile dell’oggi, che però porta sulle proprie spalle il retaggio di un rapporto squilibrato tra l’occidente e il suo “altro” africano.

il suo libro. Idling si trova in un certo senso in una posizione privilegiata: nato nel 1972 è troppo giovane per sentirsi responsabile di “non aver capito”, per cui non deve scandagliare dentro di sé, indagare sulle proprie reticenze ed autoinganni, nello stesso tempo si sente coinvolto perché ha vissuto a lungo in Cambogia, parla kmher ed è svedese come i componenti la famosa delegazione. Forse proprio il suo coinvolgimento, sostenuto dalla sua esperienza professionale di giornalista, gli ha fatto scegliere un’impostazione particolare tra il reportage, il racconto ed il saggio storico. Il libro infatti è costruito su vari livelli temporali che si intrecciano tra loro. Un presente in cui Idling, sullo sfondo della Cambogia attuale, si interroga ed interroga i componenti la delegazione domandandosi perché non hanno visto nulla. Un passato prossimo, la Cambogia sotto il regime di Pol Pot all’epoca in cui Jan Myrdal e gli altri l’hanno visitata, cui l’autore dedica grande attenzione fornendo ricordi, testimonianze di sopravvissuti, analisi degli eventi. A questi si aggiungono brani tratti dal materiale di propaganda dei comunisti cambogiani: brevi, roboanti frasi fatte da cui emergono le loro parole d’ordine, la loro ideologia, ma anche la loro ossessione. Vi è poi un livello che potremmo definire un passato remoto, in altri termini un quadro storico in cui inserire gli avvenimenti recenti, dalla lotta dei cambogiani per l’indipendenza al regno di Sihanouk. Al tutto si intreccia una specie

di biografia di Pol Pot, figura inquietante che continua ad affacciarsi sullo sfondo: nel 1949 a ventiquattro anni va a Parigi con una borsa di studio, insieme ad altri venti giovani, piccolo gruppo di privilegiati. Comincia ad interessarsi di politica, fa parte di collettivi comunisti, che sognano una trasformazione radicale dell’intera società, ma non sembra neppure uno dei più estremisti, né dei più decisi: “Salhot Sar rimane in silenzio, ascolta. Molti anni dopo dirà che non voleva mettersi in mostra, prendere posizione” (pag. 41). All’epoca si chiamava ancora Salhot Sar, deciderà in seguito di chiamarsi Pol Pot, un nome poco decifrabile di cui non darà mai alcuna spiegazione. Anche salito al potere la sua figura rimane misteriosa ed elusiva come il suo sorriso stereotipato ed enigmatico: “…sfodera di nuovo quel sorriso. Un ‘engaging smile’ scrive il giornalista” (pag. 293). Un sorriso che sembrava aver contagiato l’intera gerarchia “…sorridevano tutti allo stesso modo; una sorta di sorriso affettato, come se copiassero qualcun altro. Qualcuno di più importante, in un paese dove tutti dovevano avere la stessa importanza… Una sorta di sogghigno privo di gioia” (pag. 280). Se era elusiva la figura di Pol Pot, l’intera Organizzazione, come veniva comunemente chiamato il partito comunista al potere, tendeva a nascondersi ed i suoi membri si chiamavano fratello 1, fratello 2 ecc., scrive Idling: “Era il culto dell’impersonalità” (pag. 110). I vari livelli, passato presente ecc, si

mescolano ed intrecciano continuamente tra di loro in una struttura particolare: brevi capitoletti numerati che costringono il lettore a passare continuamente dalla guerra in Vietnam ai massacri di Pol Pot, dalle testimonianze dei delegati svedesi al materiale di propaganda del comunismo cambogiano. Questa struttura particolare affascina e coinvolge il lettore, mentre il saggio, diciamo classico, strutturato ordinatamente in modo cronologico sarebbe stato forse più monotono e scontato, ma questa impostazione costituisce anche il limite del lavoro, perché è difficile da seguire ed il lettore è costretto a ricomporre continuamente i vari frammenti. Quando si comincia ad orientarsi, capire il quadro d’insieme, si fa più pressante la domanda che giustifica l’intero libro: come hanno potuto i quattro svedesi non vedere nulla? Esecuzioni di massa, campi di concentramento, lavori forzati, carestie, fame…nulla. Data per scontata la buona fede dei componenti la delegazione, che non hanno certo mentito coscientemente, emerge una spiegazione complessa che si colloca tra l’inganno e l’autoinganno: nell’arroventato conflitto ideologico tra capitalismo e comunismo, di fronte alla guerra in Vietnam e ai bombardamenti illegali degli USA, i quattro svedesi erano più che disposti a vedere in Cambogia i segni della prosperità e della rinascita abbagliati forse dall’immagine di David che sconfigge Golia e propone un nuovo modello alle democrazie borghesi/

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Un piatto di diritti parole, musiche, immagini a cura di Shara Ponti

La via delle donne

capitaliste. Dall’altro lato la Kampuchea democratica cerca di nascondere i suoi orrori, apparire un paese felice, farsi pubblicità. Non si tratta solo di una direttiva dall’alto, ma anche di un’iniziativa spontanea delle autorità locali dettata dalla paura: far sape- Marlene Van Niekerk, re alle autorità centrali che le loro direttive Neri Pozza, 2010. erano fallimentari, che la produzione agricola non decollava e la gente moriva di Marlene Van Niekerk ha pubblicato raccolte fame, voleva dire essere processati come di poesie in Afrikaans dal 1977. In inglese, “nemici della rivoluzione”. Abituati così ad Oltre a Agaat del 2004, è stato tradotto ingannare i propri superiori, i funzionari Triomp, 1994 (traduzione del 2000). locali ingannavano la delegazione svedese. Nata nel ’54 in Sudafrica, poeta, scrittrice e Come spiega un giornalista americano: “… accademica, scrive in lingua Afrikaans ed è quando erano i dirigenti del partito a girare nota soprattutto per Triomp, una pungente e il paese, quelle poche volte che si allontanacontroversa storia ambientata nel sobborgo vano da Phom Penh, era quasi la stessa cosa. di Sophiatown di Johannesburgh a pochi anni Anche a loro si poteva mostrare solo quello dalla fine dell’apartheid, con protagonista che si aspettavano di vedere. Se avessero una poverissima famiglia bianca, interprete scorto qualcuno degli effetti del fallimento dei cambiamenti della società e della cultura della loro politica, a pagarne le conseguenze del Sudafrica. Il romanzo le ha dato fama sarebbero stati i dirigenti locali. Era dunque internazionale dagli anni ’90 nell’interesse di questi mostrare un’immagine ritoccata della realtà” (pag. 306). D’altra parte la segretezza era un metodo diffuso Uno dei più straordinari romanzi recenteIl romanzo è davvero insolito. Non tanto anche ai vertici più alti del potere, tanto mente pubblicati in Sudafrica: è così che per la trama: semplice, quasi scarna, priva che in un primo momento Pol Pot e i suoi ne ho sentito non diffusamente parlare. di colpi di scena. Ma per la costruzione del governarono quasi nascondendosi dietro le Tanto bastava per stimolare la mia curioracconto, che si svolge per linee temporali spalle di Sihanouk e quando per esempio sità. Il Times Literary Supplement l’ha conspezzate e lentamente ricomposte con decisero di evacuare Phom Penh “L’evasiderato il primo capolavoro dagli anni di il magistrale uso di tipologie di testi e di cuazione fu tenuta segreta a tutti coloro che Vergogna (2000) di J.M. Coetzee (premio scrittura diversi. Si va dalla pagina diaristica, non dovevano per forza esserne informati. Di Nobel per la letteratura 2003). Ma mentre alla poesia, alla canzone lirica, alle numerose conseguenza il ministro dell’Informazione Coetzee scrive in inglese (titolo: Disgrace, e diffuse citazioni letterarie, al dialogo, al Hu Nim non venne a sapere nulla, se non tre 1999), quello che in italiano è La via delle monologo (talvolta nella forma joyciana giorni dopo che le operazioni erano iniziate” donne ha conosciuto la sua prima pubdello “stream of consciousness”), che in (pag. 117). Forse in una società resa opaca blicazione in lingua Afrikaans (una delle modo estremamente sottile, ricco, intrigandal potere, dalla diffidenza reciproca e dalla undici lingue ufficiali del nuovo Sudafrica). te, profondo e complesso ricompongono paura, viene quasi naturale ingannare una Il testo e il titolo italiani passano invece poco alla volta, nella inizialmente spaesata delegazione bendisposta ed anzi desidedall’ottima traduzione inglese di Michiel mente di chi legge, un quadro composito e rosa di dimostrare l’infondatezza della Heyns, The way of the women, 2006, sfaccettato, a mosaico, degli eventi, che, in “propaganda capitalista”. preferito al titolo Afrikaans originale Agaat, una scrittura dalla straordinaria e vibratile Irving interroga i componenti la delegazio2004. L’anno di pubblicazione originale densità poetica, apre a più livelli di lettune, riporta testimonianze sulla deportazioquindi in un certo senso celebra dieci anni ra. Questa abilità tecnica, a differenza di ne forzata dei cittadini, costretti a tornare esatti dalla fine dell’apartheid, la politica alcuni scrittori modernisti europei di inizio nei loro paesi d’origine a lavorare i campi, di capillare segregazione razziale che mar- ‘900, non rimane fine a se stessa, non è un sulla fame e sulla durezza della repressione. chiò il Sudafrica dal 1948. Il 1948 è anche esercizio intellettuale di stile (per rompere Descrive in particolare la famigerata scuola l’anno di nascita di una delle figure centrali con la tradizione del romanzo ottocentesco) S21, allora carcere della polizia segreta, (la principale?) del romanzo, Agaat. ma la scommessa, la caratteristica, la cifra dove venivano interrogati e torturati i tradi- Toni Morrison (autrice afroamericana, di Van Niekerk che così restituisce senso tori e dove avvenivano le esecuzioni, quasi premio Pulitzer 1988, nonché Nobel per la non univoco, non semplicistico, non lineare cercando di pesare su un’ipotetica bilancia letteratura 1993) in un incontro–dibattito di vicende difficili o impalpabili da decifrare l’inganno e l’autoinganno, quanto abbia in USA con la poeta e scrittrice sudafricana come, per esempio, il peso del non detto nelgiocato nell’equivoco l’uno o l’altro fattore. Marlene Van Niekerk dice che, ricevuto il le relazioni interpersonali. Quanto incidono Al lettore rimane la coscienza che è troppo romanzo dalla casa editrice, non si sentiva gesti, sguardi, pensieri, intenti, aspettative, facile vedere quello che si vuole vedere: lo in vena di leggere, ma lette le prime pagine desideri, insomma la comunicazione non si faccia per generosità od egoismo alla fine “fui immediatamente catturata dalla senverbale o preverbale, rispetto alla molto è sempre un modo di non capire il mondo e sibilità e profondità della scrittura e dalla più definibile e afferrabile e soppesabile rimanere prigionieri delle proprie fantasie impostazione del romanzo. Lo lessi in due comunicazione verbale? Perché, in fondo, od ossessioni. giorni.” Oltre 780 pagine! della nascita, evoluzione e senso di un


Strumenticres n°56 – maggio 2011 rapporto il romanzo tratta: come si alimenta ed evolve una relazione? Non solo singolarmente, tra persone, a livello interpersonale. Ma anche tra le persone, i gruppi, le classi sociali, le razze di una nazione. Già, perché il romanzo, in trasparenza, può leggersi come un affresco allegorico delle recenti, delicate vicende storico–politiche del Sudafrica, segnato dallo spartiacque del prima e dopo apartheid. Così, La via delle donne, grazie a diacronici approcci e punti di vista profondi, complessi e polifonici può anche aiutare a non farsi tentare da una piana interpretazione manichea degli eventi. Vuoi in campo interpersonale che politico–sociale. Chi apre il racconto, nel prologo, e simbolicamente lo chiude, nell’epilogo, è il dottor de Wet, che impareremo a conoscere come Jakkie: è in partenza dal Canada, dove risiede da undici o dodici anni, per andare a trovare la madre morente in Sudafrica, suo luogo d’origine. L’epilogo chiude con: “Sullo schermo delle informazioni di volo il dardo blu del Boeing si avvicina alla grande massa verde del Canada. Plettro e arpa. Chiudo gli occhi per dormire” (pag 778). Significativamente il racconto si apre e si chiude fuori contesto, geograficamente lontano, come se solo così si potesse prenderne una meditata, distanziata visione. Ma la chiusa è ellittica, non conclude nel punto esatto di partenza. L’esperienza di quanto è intercorso segna la differenza. Jakkie però non è il protagonista. La figura che appare centrale nel romanzo è Milla, la madre, quasi costantemente punto di vista e voce narrante in prima persona (anche se, intermittenti, si inseriscono testi in seconda persona, quasi un controcanto). Boera, bianca, colta, amante della musica classica e figlia di facoltosi agricoltori (o boeri, come si dice in lingua Afrikaans) dai quali avrà dopo il matrimonio la vasta tenuta di famiglia (che spera di far tornare fattoria gioiello) di Grootmoedersdrift (Grandmother’s Crossing, letteralmente: l’attraversamento della nonna) nella regione del Western Cape, a sud–ovest del Sudafrica. L’altra protagonista, o meglio colei che sembra essere proprio la figura centrale, è Agaat il vero enigma, e che dà il nome al romanzo in Afrikaans. Nera, emarginata tra gli emarginati, malnutrita, deprivata di tutto, focomelica, cocciuta, silenziosa, selvaggia. Quando Milla la vede piccolissima, per la prima volta è Asgat, cioè “seduta nella cenere” (come letteralmente la trova, in un camino), una specie di cenerentola

nera. Milla le dà un nome assonante, Agaat, equivalente olandese di Agata, che significa anche ‘buona’, in greco. La sua convinzione è che se si chiamano le cose col loro nome, hai potere su di loro. Ma Agaat sarà spesso duramente punita da Milla perché cattiva, disobbediente, ribelle. Non si piegherà docilmente ai suoi insegnamenti. Milla la buona, per ragioni che forse non sono chiare nemmeno a lei, si ostina, contro tutti, anche contro il parere del marito – il bel, colto, scanzonato Jak – a farne una persona ‘civile’. A volte ho la sensazione che quella bambina sia una specie di sgabuzzino buio in cui infilo tutto quello che mi viene in mente e spero per il meglio e un giorno, quando aprirò la porta, lei ne uscirà bella e sana, piena di gratitudine e pronta a servirmi, una persona integra che ricompenserà tutte le mie lacrime e le mie pene. Così da poter dire al mondo: visto, ve l’avevo detto! Non volevate credermi, vero? (pag 650). Tutto il romanzo, si può dire, è imperniato sulla evoluzione non lineare, anche nella descrizione temporale, di questo difficile intricato e affascinante rapporto che abbraccia mezzo secolo. Che può essere letto come quello tra due donne. Oppure tra madre e figlia (Agaat, finchè nasce Jakkie, chiama Milla Meme, mamma). Oppure tra padrona e serva/schiava. Oppure tra neri e bianchi, e bianchi sudafricani. Anche se non vi è assolutamente alcun riferimento diretto nel romanzo ai fatti sociali e politici che hanno lacerato e radicalmente trasformato il Sudafrica nel periodo che va dagli anni cinquanta a gli anni novanta. La trama è presto detta. Siamo negli anni ’50, Milla Redelinhuys è chiesta in moglie da Jak, affascinante e ricco figlio di un medico, più adatto ai salotti e a fare il gentiluomo che non a seguire la dura vita dell’agricoltore, anche se cerca di misurarvisi. Basteranno pochi anni di vita matrimoniale perché Milla comprenda che su di lui si è illusa. Il loro rapporto si eroderà fatalmente, simile a tanti rapporti svuotati di desiderio e di eros, ma ‘decorosamente’ tenuti in piedi per le apparenze. O per mancanza di alternative. Jak è anche un afrikaner che mal sopporta i negri, gli hotnot, come spregiativamente li chiama, e soprattutto non sopporta Agaat. Questa fa la sua comparsa a Grootmoedersdrift dopo qualche anno di matrimonio, dopo l’inutile attesa da parte di Milla di un figlio. Milla la educa amorevolmente, pazientemente, ma anche duramente, con mano ferma, violenta se reputa necessario. Quando nasce l’ormai

insperato figlio, Jakkie, Agaat silenziosamente si trasformerà in serva fedele e fidata. Aiuterà Milla a far nascere Jakkie, il marito assente come spesso nei momenti significativi del quotidiano. Le due donne sole non riusciranno a raggiungere l’ospedale e metteranno insieme al mondo Jakkie, al sintomatico passo Tradouw, ‘la via delle donne’ in lingua ottentotta. Questa nascita, in questa via, segna l’inestricabile rapporto che legherà le due negli anni a venire, nel percorso insieme. Sarà Agaat ad occuparsi anche di Jakkie fino all’adolescenza: del suo allattamento, tempo libero, bisogno di presenza umana e amore, del suo stupefatto e ammirato apprendimento della ricca e variegata flora e fauna sudafricana. Dell’incanto dei suoni e fremiti della natura, dei canti e ballate della tradizione, della invenzione di un linguaggio di comunicazione tutto loro in aggiunta al linguaggio verbale. Agaat serve silenziosamente, a volte ostilmente, tutta la famiglia nella sua divisa impeccabile, la cuffietta immacolata e inamidata, gli occhi impassibili, lo sguardo inespressivo. Vede tutto, se ne intuisce vagamente il pensiero, ma non si permetterà mai di sbilanciarsi con un commento esplicito che ne disveli il punto di vista. Quando Milla rimarrà sola (Jak morto in un ridicolo incidente automobilistico; Jakkie svanito da un giorno all’altro, disgustato da tutto e bisognoso di trovare se stesso e la propria via, tagliando definitivamente il cordone ombelicale con il suo mondo e Paese) sarà Agaat sempre accanto a lei. Sarà sempre e solo lei a curarla con sorprendente dedizione pazienza e perspicacia quando la terribile malattia che via via le paralizzerà il corpo, la sopraffarà fino a inghiottire la parola. Grazie alla vicinanza di anni tra le due, pur nella finale inversione dei ruoli, Agaat si troverà disinvoltamente pronta ad assumersi una parte attiva, incurante di approfittare della situazione di potere, mobilitando tutte le sue forze in campo per intuire ed esaudire i più piccoli pensieri e desideri di Milla. Comunicheranno con un battito di ciglia, con gli occhi, quei giochi di sguardi che rimettono in vita lo strettissimo rapporto di quando Agaat era piccola e pur comprendendo si rifiutava sadicamente o punitivamente di parlare. Agaat, senza un lamento o una recriminazione, indefessamente, sarà in grado di prendere il destino suo e di Milla nelle proprie mani, e farà in modo che la comunicazione tra loro rimanga viva e aperta. Fino alla fine. Come nel Sudafrica post–apartheid

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Un piatto di diritti parole, musiche, immagini

Le canzoni d’autore a scuola di giacomo petitti

Le canzoni sono uno strumento educativo A questo punto si può gestire la fase di per arrivare a destinazione. potentissimo, poiché sanno toccare corde restituzione in molti modi. Se utilizzate Al termine della fase di ricerca ogni gruppiù profonde di quanto possiamo imma- all’inizio di un percorso, le canzoni pospo dovrà infine presentare ai compagni ginare e scavare sentieri sotterranei che sono servire ad introdurre un argomento, un prodotto finale sul lavoro svolto, un aggirano le nostre autodifese, entrando in entrando subito in comunicazione con cartellone, un disegno o una scenetta per contatto con la parte più radicata della no- gli studenti. Basterà proporre un giro di ricomporre il quadro proposto dalla caninterventi in cui ognuno ripete la parola o stra conoscenza. zone, dandone una lettura di classe conteLa musica comunica sul piano emotivo e la frase che l’ha più colpito per avere una stualizzata e calata nella realtà. sensoriale, entra in risonanza con il nostro visione d’insieme della sensibilità della corpo. La canzone d’autore, in particolare, classe in relazione all’argomento proposto. Nei prossimi numeri approfondiremo è perfetta per fare emergere dagli studenti Oppure si può chiedere di scrivere su un l’argomento proponendo l’ascolto di altre un pensiero, un vissuto vero su cui aprire post – it un commento o un pensiero, rac- canzoni, con l’ambizioso obiettivo di una domanda di senso e stimolare la cu- cogliendo i contributi su un cartellone che costruire nel tempo una sorta di playlist riosità necessaria ad imparare qualcosa di farà da base per un primo debriefing. utile per educare alla cittadinanza usando Viceversa si può scegliere di far ascoltare la musica come strumento, o meglio nuovo. una canzone alla fine di un percorso, per come linguaggio per capire, comunicare e Nei percorsi di educazione alla cittadinan- ricollegare i contenuti emersi alla dimen- riflettere. za mondiale che Mani Tese svolge presso le sione emotiva e proporre subito dopo una classi medie e superiori della scuola secon- valutazione sull’andamento della giornata. daria usiamo molto le canzoni, cercando Alcune canzoni, come “Pane e Coraggio” di di sfruttarne a fondo l’impatto per uscire Ivano Fossati, che presentiamo in questo dalla dinamica classica della trasmissione numero, sono invece adattissime per una tout court dei contenuti e provocare una vera e propria attività di ricerca azione. domanda, stimolando così un processo “Pane e Coraggio” dipinge con esattezza il punto di vista dei migranti verso l’Italia, interiore di cambiamento. procedendo per immagini che si incastrano L’ascolto va però preparato con cura. Per- l’una nell’altra fino a costruire un quadro ché sia efficace è necessario stabilire una completo. Il testo è poetico e leggero, lo si distanza con tutto quanto si è fatto fino a snaturerebbe cercando di spiegarlo, ma si quel momento, chiedendo silenzio assolu- possono riprendere le immagini cercando to e spiegando l’importanza di ciò che sta di collegarle ad eventi reali. Un buon meper accadere. L’ascolto va accompagnato todo è quello di dividere la classe in gruppi ma non guidato, altrimenti si rischia di e consegnare loro dei testi o degli articoli mettere un freno alla potenza comuni- di giornale, affiancandoli alle strofe. cativa della canzone, alla sua capacità di In questo caso un gruppo potrebbe riprenscuotere emozioni. Chiedere agli studenti dere la prima e l’ultima strofa leggendo un di chiudere gli occhi e concentrarsi sulla articolo sugli ultimi sbarchi a Lampedusa; musica e sulle parole è un ottimo metodo un secondo potrebbe analizzare, a partire per dare importanza a questa fase. Solo dalla seconda e dalla terza strofa, il ruolo successivamente, a canzone terminata, si ricoperto dai media nel creare l’immagine può procedere distribuendo il testo ai ra- dell’Italia come il luogo dei sogni per i migazzi, dando ancora qualche minuto per granti; un terzo potrebbe concentrarsi sul dramma delle donne dirette verso l’Eurorileggerlo e farlo proprio. pa, cui servono gambe belle e scarpe buone


Strumenticres n°56 – maggio 2011

Pane e coraggio Ivano Fossati Proprio sul filo della frontiera il commissario ci fa fermare su quella barca troppo piena non ci potrà più rimandare su quella barca troppo piena non ci possiamo ritornare. E sì che l’Italia sembrava un sogno steso per lungo ad asciugare sembrava una donna fin troppo bella che stesse lì per farsi amare sembrava a tutti fin troppo bello che stesse lì a farsi toccare. E noi cambiavamo molto in fretta il nostro sogno in illusione incoraggiati dalla bellezza vista per televisione disorientati dalla miseria e da un po’ di televisione. Pane e coraggio ci vogliono ancora che questo mondo non è cambiato pane e coraggio ci vogliono ancora sembra che il tempo non sia passato pane e coraggio commissario che c’hai il cappello per comandare pane e fortuna moglie mia che reggi l’ombrello per riparare. Per riparare questi figli dalle ondate del buio mare e le figlie dagli sguardi che dovranno sopportare e le figlie dagli oltraggi che dovranno sopportare. Nina ci vogliono scarpe buone e gambe belle Lucia Nina ci vogliono scarpe buone pane e fortuna e così sia ma soprattutto ci vuole coraggio a trascinare le nostre suole da una terra che ci odia ad un’altra che non ci vuole. Proprio sul filo della frontiera commissario ci fai fermare ma su quella barca troppo piena non ci potrai più rimandare su quella barca troppo piena non ci potremo mai più ritornare.

De André in classe. Proposta didattica a partire dalle canzoni di Faber Massimiliano Lepratti EMI, 2011 Fabrizio De André si rivela ancora oggi uno dei rari personaggi capaci di parlare ai giovani come ai loro genitori. Il libro, accanto a un percorso sulle origini delle opere del cantautore genovese, propone spunti per lavorare nel mondo scolastico a partire dalle sue canzoni. Un viaggio affascinante attraverso letteratura, musica, storia e filosofia, che stimola l’interesse degli studenti e apre a un rinnovamento della didattica. Un modo coinvolgente di fare intercultura: dibattere di diversità religiose con “Un blasfemo”, di differenze etniche con “Khorakhanè”, del rapporto tra etica, religione e ateismo prendendo spunto da “Il testamento di Tito”. “L’istituzione scolastica pubblica – sostiene don Gallo nella sua

prefazione – fondamentale presidio di socialità laica e intergenerazionale, sta subendo una mutilazione gravissima delle sue funzioni e potenzialità. Ma dal male nasce anche il bene ed è possibile che tale crisi possa essere occasione di rinnovamento profondo del modo di essere e di agire della scuola italiana. Un nuovo dialogo educativo che riavvicini i giovani agli adulti, la pratica istituzionale all’esperienza di strada, l’espressione colta alla cultura popolare. La poesia di Fabrizio è una risorsa preziosa in questa direzione. Essa continua, in questi anni più che mai, a rispondere alle inquietudini delle nuove generazioni incatenate dall’assenza di futuro.”

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Un piatto di diritti parole, musiche, immagini a cura di laura morini

Una pioggia di foglie rosse Regia di Monica D. Ray

InTRATTAbili Fino a maggio 2013 Mani Tese sarà impegnata nella Campagna InTRATTAbili per fermare il fenomeno del trafficking. La Campagna coinvolge i partner locali dei paesi di origine, transito e destinazione della tratta di esseri umani: Filippine, Cambogia, Thailandia, Myanmar. La Campagna lavorerà anche nel nord del mondo attraverso azioni di sensibilizzazione ed informazione, affichè il fenomeno sia riconosciuto e denunciato. Da oltre cinque anni Mani Tese è impegnata in Cambogia, a Poipet (nel nord ovest) e a Sihanoukville (nel sud) in progetti di protezione, di sostegno all’istruzione primaria dei bambini che vivono e lavorano in strada e di accolgienza dei bambini vittime di trafficking. Per avere maggiori informazioni sulla Campagna e per sostenerla economicamente, consulta il sito: www.manitese.it/intrattabili

Stairway Foundation, organizzazione no–profit filippina, ha realizzato questo breve filmato che affronta con sensibilità e chiarezza il problema del commercio di minori a scopo di sfruttamento sessuale. La versione italiana è stata curata da Mani Tese, che da tempo opera in Cambogia ed è impegnata nella campagna di sensibilizzazione contro il traffico di esseri umani. Ogni anno 1,2 milioni di bambini è infatti oggetto di Trafficking, attività che rappresenta il secondo crimine organizzato più remunerativo nel contesto internazionale e coinvolge organizzazioni malavitose e singoli fruitori nel sud e nel nord del mondo. Come sappiamo infatti la diffusione di immagini pedopornografiche attraverso internet ha moltiplicato i profitti ed esteso largamente il campo degli “utilizzatori finali” dello sfruttamento di bambine/i. Le associazioni impegnate nella realizzazione di progetti in favore dei minori si pongono pertanto il problema di abbinare al lavoro diretto sul campo un’adeguata e diffusa campagna di formazione dei bambini, e dell’opinione pubblica in generale. Come comunicare in modo efficace queste informazioni ad una platea di destinatari così vasta e differenziata? La scelta di utilizzare un cartone animato, ispirato al racconto “Red leaves falling “ (Una pioggia di foglie rosse), mi sembra felice perché colpisce emotivamente lo spettatore adulto, che entra quasi incon-

sapevolmente nel mondo dei bambini e ne assume il punto di vista, ma consente anche di presentare a dei ragazzi una realtà difficile e scabrosa senza urtarne la sensibilità . L’immagine iniziale di un grande albero dai fiori rossi ci introduce nel piccolo mondo di un villaggio tropicale, come tanti nel sud est asiatico: le case sono baracche di legno, la strada è in terra battuta, un gruppo di bambini si avvia verso scuola, mentre una ragazzina attinge acqua e sbriga altre faccende con un libro in mano, cercando faticosamente di conciliare lo studio con le incombenze domestiche che le sono assegnate. Un’ improvvisa malattia del fratellino più piccolo compromette il precario equilibrio familiare. La madre, alla disperata ricerca dei soldi necessari per curare il piccolo, accetta l’aiuto di un uomo del villaggio, un intermediario a cui consegna, in cambio di denaro e un cellulare, le due figlie più grandicelle. L’intermediario si occuperà di consegnare le piccole ad un trafficante che le metterà a disposizione di turisti occidentali o altri uomini locali in cerca di piacere. Le bambine vengono condotte in città e introdotte nel mondo della prostituzione…qui seguiremo le loro vicissitudini fino alla fuga e salvezza finale. Storia triste e prevedibile, potremmo commentare, tuttavia la scelta grafica, tradizionale, ma al contempo delicata e


Strumenticres n°56 – maggio 2011 a cura di shara ponti

realistica, e numerosi dettagli che precisano il contesto culturale e ambientale, rendono efficace e coinvolgente la narrazione. Grande attenzione è riservata al mondo femminile, sono evidenziate le minori opportunità di crescita e formazione offerte a donne e bambine: precocemente sottratte alla scuola, costrette a sobbarcarsi pesanti lavori domestici, affiancando madri stremate dalla fatica e da continue gravidanze. Un messaggio di solidarietà e di incitamento a ribellarsi e prendere in mano il proprio destino è rivolto proprio alle donne . Non a caso la soluzione finale è resa possibile dalla collaborazione di alcune testimoni che superano la paura di ritorsioni e avvertono la polizia di quanto sta accadendo alla bambine. Alle vicende qui accennate si accompagnano, quasi facendo da contrappunto, alcune immagini del “nostro mondo”: un papà affettuoso che accompagna a scuola la figlioletta, le legge la storia della buonanotte e poi… si ritira in camera sua a navigare con il suo computer. Anche lui, come il trafficante del lontano paese asiatico, sarà alla fine smascherato dalla polizia che lo coglie sul fatto mentre scarica dalla rete immagini pedopornografiche rubate a bimbe povere, sfruttate e sconosciute. È possibile richiedere il video a: cres@manitese.it

La donna che canta titolo originale Incendies regia di Denis Villeneuve 2010 (Canada) Vincitore del Mouse d’argento al Festival di Venezia 2010. Da un testo di Wajdi Mouawad 2003

natio Libano (dove non è mai stata, di cui Il film racconta la storia di una donna di non parla la lingua) per poter consegnare origini libanesi che lascia al notaio, in la famosa lettera al padre. Del passato delCanada, presso il quale ha lavorato a lungo e che si rivela suo estimatore, amico la madre non sa nulla, come scopre; così come della storia del paese di provenienfraterno e sostenitore, un testamento za, il Libano. Questo faticoso, lancinante molto singolare ai due figli gemelli, mascavo nella vita di Nawal diventa anche schio e femmina, non ancora trentenni. occasione per ripercorrere, in un paralleliNon troverà sepoltura appropriata finché smo che si intreccia inestricabilmente, le i due non riusciranno a rintracciare e consegnare una lettera al padre –che pen- vicende storiche del Libano degli ultimi savano morto – e una al fratello – della cui quarant’anni. “L’infanzia è un coltello piantato in gola che esistenza non sapevano nulla. Espletato non si tira via facilmente” scrive nel testail compito, potranno consegnare la terza mento Nawal Marwan (interpretato dalla busta, e avendo onorato una promessa magnifica, intensa e fragile Lubna Azaval che in vita non è riuscita a mantenere, la che vediamo crescere in flash–back fino madre potrà essere degnamente sepolta. a diventare la donna la cui vita si chiude I figli non sono stupiti più di tanto dato in Canada). Con questo enigma e delicato che la madre di stranezze, durante la compito sono chiamati a misurarsi i propria esistenza, non gliene ha fatte gemelli. Quanto scopriranno alla fine mancare. Come negli ultimi anni di vita, sarà sconvolgente per tutti e toglierà uno quando da un giorno all’altro, ha smesso spesso velo alla conoscenza della madre, di parlare, colpita da afasia non patoloalle vicende libanesi, ma anche alla conogica ma volontaria. Le ultime volontà si scenza della propria origine e storia. Un manifestano come l’ennesimo colpo di testa, per Simon soprattutto inaccettabili. ‘coltello piantato’ che soprattutto Simon Sarà Jeanne, l’altra gemella, più silenziosa resisteva a considerare, come chi non vuole affrontare la realtà per quella che e riflessiva, a sentirsi spinta ad attuare la è. Troppo dolorosa o assurda. “1 + 1 può volontà materna, anche come una sfida fare 1?”, si domanda sgomento Simon e a scoprire cosa nasconda la richiesta lo chiede furente alla sorella matematica. enigmatica, che non sembra avulsa dalla In fondo anche l’aritmetica perde il suo afasia che ha colpito la madre. Accetterà rigore nell’odio. E forse anche nell’amore. pazientemente e dolorosamente di interrogare un non detto di dolore e rimorsi per Come mine inesplose sono le emozioni seppellite; il passato abita il ventre e disvelare l’enigma o l’incognita che le si sopravvive al parto. Alla fine l’incognita presenta, lei ricercatrice di matematica in dell’equazione finisce per chiarirsi. La mauniversità. Si inizia così un viaggio reale dre non sarà più una variabile sconosciuta. e metaforico insieme a Jeanne, che deve L’epilogo è catartico: solo liberandosi dagli ritrovare le tracce della madre Nawal nel

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Un piatto di diritti parole, musiche, immagini odi, rancori e violenze che tenacemente affondano le radici nel passato si può provare a rinascere diversi. La memoria è ricostruzione di senso e accettazione di un dolore atavico, che diviene anche rinascita. Come dice il notaio “La morte può essere un inizio”. Struggente, vibrante, potente, evocativo, intenso senza mai scadere nel melodramma, La donna che canta lascia senza fiato, fino al bagliore di luce finale. Che restituisce dignità all’umano e alla vita e importanza alta alla responsabilità morale. “Niente è più bello dell’essere insieme” afferma a un certo punto Nawal. Non aggiungerò altro alla trama, né all’evento centrale attorno al quale prende significato la storia. E che dà senso al titolo italiano, la donna che canta, cioè lei, Nawal quando, in un momento della sua esistenza in cui libertà e vita sono violate, per non cedere al non senso e all’impotenza canta, e facendo corpo col canto riesce a tenersi fieramente viva integra e indomita. Questo potente testo, che nasce nel 2003 come opera teatrale del libanese espatriato in Canada Wajdi Mouawad col titolo di

Incendies (incendi della guerra, dell’odio che fa piazza pulita della vita) ha la forza della tragedia greca unita ad una sensibilità moderna. È un testo splendente di metafore rivelate solo nell’ultima parte. È il secondo di una tetralogia di testi teatrali sul tema della eredità la guerra e l’esilio. È anche il ritratto di una terra tormentata e difficile e di una donna che assume contorni mitici e fuori dagli schemi, che sa tenere vivo un legame genealogico prima con la nonna (Va lontana da qui, figlia, studia, e impara a pensare) e poi con la figlia. Tre generazioni di donne tenaci, che non possono evitare il tragico che la vita fa loro attraversare, che non ne escono né dome né vittime, ma riescono ascoltando come un lascito le parole l’una dell’altra a rompere la spirale dei feroci risentimenti e riconciliarsi così con il proprio passato, e affrontare il presente senza accecante zavorra, con animo purificato e pacificato. Il loro dramma è anche la tragedia di un popolo, quello libanese, di cui si riavvolge il nastro della storia, per raccontare gli anni più bui della guerra civile tra cristiani maroniti e gruppi musulmani, segnata da orrori e inarrestabili odii e rappresaglie. A

A Milano, nello stesso periodo in cui il film era nelle sale – coincidenza fortuita? – ho avuto occasione di apprezzare la messa in scena di “Incendies”, di Wajdi Mouawad che Renzo Martinelli ha realizzato al Teatroì, piccolo grande teatro di nicchia, attento alla realtà teatrale contemporanea, che ha spesso la sensibilità di far conoscere al pubblico milanese importanti testi o autori sconosciuti in Italia. Assolutamente coinvolgente. Struggente l’interpretazione dell’attrice Federica Fracassi che dà corpo alla storia di Nawal.

questi si aggiungono gli spietati eventi di quei palestinesi nei campi di Sabra e Shatila brutalmente sterminati (privati delle loro terre confiscate dagli israeliani dopo il ’48 e forzatamente costretti all’esilio nel sud del Libano). La regia di Villeneuve, misurata, coinvolgente, senza eccessi, non calca la mano, non specula su violenze e atrocità, non è invadente, ma trova sempre la giusta distanza. L’uso sincopato di flashback, viaggio avanti e indietro nello spazio e nel tempo, e la divisione in sottotitoli, dedicati a tratti del percorso di ognuno dei protagonisti, aiutano a fare ordine e a comporre pezzo a pezzo il sorprendente puzzle, senza minare l’unità narrativa. Ma sa anche come ferirci Denis Villeneuve in una delle prime inquadrature dei flash–back. Una finestra è aperta sull’aridità di un paesaggio bruciato, lentamente scandagliato dalle telecamere sotto le assordanti note dei Radiohead; nella stanza dei bambini vengono rasati prima di essere addestrati a combattere e a uccidere – agnelli sacrificali consapevoli di tanta ferocia –: in una lunga sequenza uno di loro guarda fisso l’obiettivo, obliquo, il capo inclinato sotto il rasoio elettrico. Sarà il protagonista nascosto di tutta la storia, il coltello piantato nella gola di un’infanzia rimossa.


Strumenticres n°56 – maggio 2011

SEGNALAZIONI BIBLIOGRAFICHE NUOVE LETTERE PERSIANE. SGUARDI DALL’ITALIA CHE CAMBIA Francesca Spinelli (a cura di), prefazione di Gad Lerner, EDIESSE, 2011 Quattordici giornalisti di origine straniera firmano questo omaggio collettivo all’autore delle Lettere persiane. Alcuni, i più giovani, sono nati o cresciuti qui, altri sono arrivati già adulti. Come Montesquieu, hanno immaginato dei personaggi, più o meno autobiografici, che raccontano le loro impressioni sull’Italia ad amici o parenti. E ci ricordano l’importanza di aprirsi a nuovi sguardi sul mondo in cui viviamo. Come dice Gad Lerner nell’introduzione, «il rovesciamento dello sguardo su noi stessi che dobbiamo alla sensibilità di questi autori, produce vantaggi da non sottovalutare. Rivitalizza una lingua italiana destinata, senza questo interscambio, alla marginalità. Sollecita un atteggiamento sprovincializzato nei riguardi dei problemi nazionali. Rivela i cambiamenti intervenuti nel nostro tessuto sociale (…). Ci segnala il pericolo di adagiarsi in un piccolo mondo antico che esiste solo nei nostri sogni».

DOPO LA CADUTA Rapporto SOCIAL WATCH 2010 Social Watch, rete di oltre 400 organizzazioni non governative (tra cui Mani Tese) presente in più di 60 paesi, che monitora gli impegni assunti a livello internazionale per la lotta alla povertà e l’equità di genere, ha pubblicato la decima edizione del suo rapporto annuale. Il rapporto, intitolato “Dopo la caduta”, conferma che alla crescita economica spesso non si accompagna un miglioramento degli indicatori sociali e che il progresso nella riduzione della povertà, seppur presente, è troppo lento. Pessime le notizie anche per il nostro Paese. Quella che esce dal rapporto è un’Italia in caduta libera dove una visione di corto respiro e l’indebolimento dei servizi sociali impediscono di affrontare i veri nodi della crisi. Sintomatica la condizione femminile, considerata uno degli indicatori principali dello stato di salute di una società, con un tasso di disoccupazione in continua crescita anche per la cronica carenza di strumenti per conciliare impegni domestici e professione. Per maggiori informazioni sul rapporto visita www.socialwatch.it.

LA SOCIETÀ DEI BENI COMUNI Paolo Cacciari (a cura di), EDIESSE, 2010 Acqua, Aria, Terra, Energia e Conoscenza sono risorse speciali, beni primari da cui tutto dipende. I così detti commons o beni comuni stretti tra due logiche inconciliabili: la condivisione e il mercato. Il libro delinea delle strategie per un’equa distribuzione dei benefici e una massima durata nel tempo attraverso riflessioni di carattere storico, giuridico, filosofico, antropologico, ambientalista e la presentazione di buone pratiche.

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Pubblicazioni Collana Crescendo Cres Mani Tese – Emi 1. Arcipelago Mangrovia Narrativa caraibica e intercultura Rita Di Gregorio, Anna Di Sapio, Camilla Martinenghi pagg. 256 – 2004 – € 12,00 Il quaderno cerca di fornire una panoramica della narrativa caraibica insulare dell’ultimo secolo per favorire il superamento di stereotipi e offrire chiavi di lettura e spunti di riflessione per l’educazione alla differenza. Le schede di presentazione degli autori e delle opere sono suddivise per aree linguistiche. Ipotesi di percorsi didattici. e strumenti utili per gli stessi, completano il testo. 2. All’incrocio dei sentieri i racconti dell’incontro Kossi Komla–Ebri pagg.192 – 2004 – € 10,00 I racconti di Kossi Komla–Ebri, ambientati in Africa, in Francia e in Italia, attingendo al vissuto quotidiano, parlano di amore, di viaggi, di nostalgia, di fierezza e di dignità e smascherano gli stereotipi con lo strumento dell’ironia. I temi dei racconti sono approfonditi dall’autore stesso nelle interviste e nei documenti della seconda parte, completata da un apparato didattico per un’educazione interculturale.

3. Cittadini under 18 I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza Daniela Invernizzi pagg.213 – 2004 – € 11,00 Il testo presenta un approccio globale alle problematiche dell’infanzia e dell’adolescenza e, dopo aver descritto lo scenario culturale generale, propone esperienze di processi partecipativi locali e globali e suggerisce stimoli educativi per lo sviluppo di attività di ricerca e di sperimentazione centrate sulla tutela e la promozione dei diritti delle giovani generazioni.

5. “Terra è libertà” La questione agraria in America Latina Luca Martinelli, Annalisa Messina pagg.144 – 2005 – € 9,00 Terrà è il punto di partenza per riflettere sui concetti di latifondo, riforma agraria, migrazione, libero commercio, diversità biologica, risorse naturali, diritti dei popoli indigeni, movimenti sociali, assumendo un punto di vista interdisciplinare che spazia dall’ambito sociale a quello politico, economico, culturale.

4. “La tela del ragno” Educare allo sviluppo attraverso la partecipazione Michele Dotti, Giuliana Fornaro, Massimiliano Lepratti pagg.238 – 2005 – € 13,00 Questo Manuale pratico–teorico, frutto dell’esperienza sul campo degli animatori e delle animatrici del CRES di Mani Tese, analizza e decostruisce gli stereotipi più diffusi riguardo alla povertà mondiale e illustra tecniche di partecipazionee di coinvolgimento attivo utili per accompagnare i ragazzi verso la conoscenza e la comprensione critica delle problematiche attuali.

6. Uno, nessuno, centomila (ir)responsabili. Itinerari didattici di educazione alla cittadinanza Michele Crudo pagg.160 – €12 – 2006 L’Educazione alla cittadinanza, anche in rapporto ai controversi modelli sociali che la nostra società propone, può diventare una pratica didattica per aiutare lo studente a capire l’universo degli adulti, a mediare tra gli opposti e arrivare ad un proprio punto di vista in un’ottica di mondialità. Alcune esplorazioni didattiche realizzate attraverso l’uso sistematico dello strumento filmico completano il testo.

Kit didattico

Nutrire il mondo per cambiare il pianeta a cura di Mani Tese, CISV, Cres, COCOPA 2010 – gratuito su richiesta scritta Il kit didattico introduce nel mondo scolastico il tema della sovranità alimentare con proposte metodologiche di lavoro per gli insegnanti, schede tematiche, carte geografiche e una serie di video sul tema.

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7. Ri/conoscersi leggendo Viaggio nelle letterature del mondo. – a cura di Rosa Caizzi pagg. 256 – 2006 – € 13,00 Un viaggio attraverso le letterature araba, nigeriana, sudafricana, indiana, afroamericana, cinese e la recente letteratura della migrazione può aiutare ragazzi e ragazze del Nord a stimolare la curiosità nei confronti della diversità, a combattere gli stereotipi sulle altre culture, a indagare la contemporaneità di altri paesi, a guardare con occhi nuovi la loro realtà, a relativizzare il proprio punto di vista. 8. Perché l’Europa ha conquistato il mondo? Massimiliano Lepratti pagg. 124 –2006 – € 10,00 L’Europa non ha conquistato il mondo per investitura divina, né in quanto civiltà superiore. Il capitalismo del Nord del mondo affonda le radici nello sfruttamento economico e nei contributi di pensiero e tecnico– scientifici di aree lontane. Il testo indaga la storia della costruzione di un sistema di squilibrio internazionale che non esisteva fino ad alcuni secoli fa, attraverso un approccio che integra i livelli politico, economico e culturale. A corredo carte storiche e un’appendice didattica.

9. Il cinema per educare all’intercultura Marina Medi 2007 – € 10,00 È importante che l’educazione all’informazione e ai media trovi spazio in modo organico nella programmazione curricolare diventando strumento di cittadinanza e di comunicazione interculturale. Il testo suggerisce una serie di riflessioni metodologiche per un uso critico dei media, che parta da alcune cautele indispensabili quando si propone agli studenti un lavoro che utilizzi il cinema, e presenta piste di lavoro da realizzare nelle scuole e percorsi didattici già sperimentati che possono servire da stimolo.

11. Il lontano presente: l’esperienza coloniale italiana. Storia e letteratura tra presente e passato Anna Di Sapio, Marina Medi pagg. 284 – 2009 – offerta minima € 5,00 Non può esistere futuro senza memoria. Il testo vuol essere uno strumento per rileggere pagine della nostra storia che abbiamo rimosso. Operazione particolarmente necessaria a scuola. Per coglierne la complessità non ci si può limitare ad un’analisi storiografica ma occorre mettere a confronto punti di vista diversi e utilizzare anche fonti nuove come romanzi e film.

10. L’economia è semplice Massimiliano Lepratti pagg. 125 – 2008 – offerta minima € 5,00 Basta spiegarla con parole non tecniche e diventa comprensibile a chiunque. L’economia viene scomposta nelle sue parti elementari presentando di ciascuna il funzionamento , il collegamento con gli altri aspetti della vita, la dimensione globale che coinvolge i paesi del Sud e le fasce povere della popolazione mondiale. È la conoscenza dell’economia internazionale a farci comprendere più a fondo la realtà di oggi e a motivare al cambiamento degli stili di vita e delle scelte di consumo.

Collana CrescendoCres Mani Tese – Ed Lavoro 1. Le migrazioni, a cura di D. Barra e W. Beretta Podini – 1995 2. Percorsi interculturali e modelli di riferimento, M. Crudo – 1995 3. Educare al cambiamento, AA. VV. – 1995 4. La conoscenza dell’altro tra paura e desiderio, M. Crudo – 1996 5. Lo straniero, L. Grossi, R. Rossi – 1997 6. Letterature d’Africa. percorsi di lettura, L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi – 1998 7. Penelope è partita, M. Crudo – 1998 8. Portare il mondo a scuola, a cura di ONG Lombarde, IRRSAE Lombardia, Provveditorato agli Studi di Milano – 1999 9. La gatta di maggio, R. Abdessemed – 2001 10. La sfida della complessità, M. Medi – 2003 Noci di cola, vino di palma. Letteratura dell’Africa sub sahariana L. Bottegal, R. Di Gregorio, A. Di Sapio, C. Martinenghi – 1997 (fuori collana)

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