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Un frutto antico

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La ricostruzione

La ricostruzione

di Marco Belogi

La pianta proviene da una zona del Punjab, in India fino ai territori a sud del Caucaso diffondendosi nei paesi mediterranei

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Melograno, simbolo di fecondità e di morte

OGGI È UNA DELLE PIANTE PIÙ PITTORESCHE DEI GIARDINI

L’ albero del melograno, botanicamente Punica granatum, produce un frutto che i latini chiamavano malum punicum ovvero melo fenicio perché ritenevano provenisse dall’area siro-fenicia, dove la mitica Side, nome greco della melagrana, veniva considerata l’eroina fondatrice di Sidone. In realtà proviene da una zona che si estendeva dal Punjab, in India, ai territori a sud del Caucaso; ma fin dall’antichità si era diffuso in Asia Minore e poi nei paesi mediterranei. Oggi è una delle piante più pittoresche dei nostri giardini dove offre incanti misteriosi e pieni di fascino dalla primave ra all’inizio dell’inverno quando perde repentinamente le foglie caduche di un giallo brillante. All’inizio della bella stagione spuntano foglioline

di un colore rossiccio che poi trascolora nel verde. Nel segno dei gemelli sboccia no i primi fiori, simili a campanule, che si aprono come una stella a sei punte: anch’essi di un rosso vermiglio. Dai fiori fecondati nascerà il frutto simile a una grossa bacca, regale e feconda che, maturando in autunno, assumerà varie gradazioni di rosso, mentre al suo interno serba innumerevoli semi sanguigni. Secondo i numerosi miti arcaici la melagrana è un attributo della Grande Madre, regina del Cosmo, nel suo duplice ruolo di Colei che dà la vita e Colei che la toglie. Simbolo, dunque, sia della Fecondità sia della Mor te, tant’è vero che melegrane d’argilla si sono trovate nelle tombe greche dell’Italia meridionale. Nell’iconografia classica la dea Core-Persefone viene spesso ritratta con il fiore o il frutto del melograno. Core, infatti, scende periodicamente negli inferi, ovvero muore come vergine per trasformarsi in madre. Come la luna diventa periodicamente nera unendosi al sole durante il novilunio, così Core scende ogni anno negli inferi per congiungersi con Ade a ri-generare il Cosmo. Mito dunque della tradizione precristiana che vede la melagrana come simbolo del rinnovamento del cosmo, nella sua perenne rigenerazione ad opera della Grande Madre nel ciclo eterno di vita-morte-vita genera. Gli innumerevoli grani del frutto hanno da sempre evocato fecondità e abbondanza. Per questo i Romani ornavano il capo delle spose con rametti di melograno; e ancora oggi nel Vietnam si canta “la melagrana si apre e lascia venire cento figli”, mentre in Turchia la sposa getta a terra la melagrana: avrà tanti figli, si dice, quanti sono i chicchi usciti dal frutto. Questo mito pagano della melagrana non poteva non esse

I romani ornavano le spose con rametti di melograno per evocare fecondità Nell’Antico Testamento è simbolo di femminilità

Nella pagina precedente Madonna della melagrana Beato Angelico, Museo del Prado e in alto un particolare della stessa opera Qui sopra, Madonna melagrana di Sandro Botticelli re accolto anche nel mondo cristiano. Il frutto si ritrova nell’Antico Testamento quale simbolo della Femminilità, ma anche della Fecondità e della Prosperità. San Giovanni della Croce, grande mistico e dottore della Chiesa, nel Cantico Spirituale fa dire alla Sposa, simbolo dell’anima, che si rivolge all’Amore, ovvero a Cristo: “godiamoci l’un l’altro, Amato |e andiamo a rimirarci nella tua bellezza…|e gusteremo il succo di melegrane”. Il succo della melagrana è ciò che l’anima riceve dalla conoscenza dell’Amore di Cristo. Come d’altronde afferma nel Cantico dei Cantici l’Amata al suo Diletto: “Là tu mi ammaestrerai, e io ti darò una bevanda di vino aromatico, e il succo delle mie melegrane”. Con queste brevi premesse diventa facile l’interpretazione della Madonna del Granato del Carpaccio e la Madonna della melagrana del Botticelli. Diverso invece il significato profano della me lagrana a cui poeti del Novecento si sono ispirati. Carducci nello struggente ricordo del figlio scomparso, suo “estremo unico fior”, lo rivede nel giardino con la mano tesa verso l’albero del verde melograno dai bei vermigli fior. D’Annunzio volle nel vestibolo della Prioria, al Vittoriale degli Italiani, sopra una colonna di pietra, dono della città di Assisi al poeta, un canestro colmo di melegrane. Quei frutti, in vetro, in pietra, in rame, dipinti o dissecati, sparsi in ogni stanza, non erano una decorazione casuale. Rappresentavano la sua fecondità artistica tanto da intitolare nel 1898 un ciclo narrativo, mai portato a termine, “i Romanzi del melograno”. ¤

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