A.D. MDLXII
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CORSO
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ANALISI DELL'IDEA DI MAGIA NELLA FILOSOFIA CAMPANELLIANA, CON PARTICOLAR RIFERIMENTO AL TRATTATO DEL SENSO DELLE COSE E DELLA MAGIA E ACCENNI SULL'INCONTRO SPECULATIVO TRA CAMPANELLA E TELESIO.
Relatore: PROF. SEBASTIANO GHISU
Tesi di Laurea di: ANNA DEIANA
ANNO ACCADEMICO 2010/2011
INDICE
INTRODUZIONE
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CAPITOLO 1 : LA MAGIA NELLA CIVILTÀ UMANISTICA
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Contesto storico e culturale
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Magia naturale come riflesso della scienza moderna
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CAPITOLO 2 : MAGIA NATURALE, PROFEZIA E VITA UNIVERSALE
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Incontro, superamento della filosofia di Telesio
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Categorie ontologiche campanelliane: sensus e spiritus
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Calore animante e pervasività del senso
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Magia naturale e consenso universale
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Profezia e teoria delle segnature
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CONCLUSIONI
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BIBLIOGRAFIA
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Introduzione. L'oggetto d'analisi del presente lavoro è l'idea di magia in Tommaso Campanella, facendo riferimento, per lo più, al trattato giovanile Del senso delle cose e della magia. La prima stesura dell'opera in lingua latina, risale al periodo in cui il nostro filosofo aveva circa ventitré anni, ossia al 1591. Fu poi riscritto nel 1594 dallo stesso Campanella, in quanto la prima versione fu sequestrata dall'Inquisizione. Gli anni successivi venne tradotto in volgare, e continuamente ripresa dall'autore. La travagliata storia di quest'opera, come d'altronde quella del suo autore, richiama l'attenzione sul l'importanza filosofica che lo stesso Campanella attribuiva al trattato. Infatti, considerata la vastissima produzione campanelliana, nel Senso delle cose confluiscono molti temi che Campanella affronta in diverse sue opere. La peculiarità di questo testo consiste perciò proprio nel presentarsi come “cerniera” tra tutti i testi campanelliani, nell'intrecciare principi naturalistici, gnoseologici, psicologici e magici. L'idea di magia, nel trattato non viene delineata in maniera lineare, ma scorre per tutto il testo, attraverso richiami impliciti. Il trattato è suddiviso in quattro libri, nei quali Campanella, rifacendosi alle dottrine telesiane, elabora una propria ontologia, e pone come principi agenti immanenti a ogni cosa gli elementi del caldo e del freddo. Dopo l'elaborazione compiuta dell'ontologia, e delle categorie ontologiche dell'essere, si passa ad un'analisi ontica della realtà. Nel ricostruire le vie concettuali attraverso le quali si forgia l'idea di magia, abbiamo messo in atto un opera di “spezzettamento” del trattato, per illuminare ogni elemento sottinteso che fosse utile all'elaborazione e alla comprensione del testo. L'interesse verso questo vasto tema, sopratutto durante il Rinascimento, è dato dalla vastità di materiali, di testi, di idee che in questo periodo circolano senza sosta, e sopratutto verso la “prospettiva psicologica” che portò uomini come Campanella a concentrare la sua attenzione su temi che possono senza dubbio apparire all'odierno senso comune come del tutto stravaganti. Proprio per questo è interessante rispolverare questi testi, per rapportarsi ai rispettivi contesti che permisero agli intellettuali del tempo di occuparsi dei più vari aspetti del sapere. Questo perché, cinquecento anni fa era necessario che gli uomini dell'epoca cercassero risposte ad esempio sulla funzionalità del corpo, sulla natura dell'anima, sull'origine delle malattie corporee e spirituali, sulle virtù di tutti gli enti naturali. Risposte che andavano oltre quelle fornite dai medievali, rielaborandole alla luce di una nuova visione della realtà. Analizzare queste tematiche, significa in un certo senso confrontarsi con l'evoluzione di concetti, di idee, che in un contesto come il Rinascimento trovarono il luogo adatto. Significa ridiscendere nel passato, di circa cinquecento anni, come un viaggiatore nel tempo, ricordandosi di assumere un punto di vista oggettivo, che tenga conto dei processi storici, e della storia antropologica stessa dell'uomo. 1
Il presente lavoro è strutturato in due capitoli. Nel primo abbiamo presentato il tempo storico e culturale di cui Campanella era figlio, cogliendo le contraddizioni dell'epoca, e sopratutto abbiamo messo in evidenza il rifiuto dell'impostazione filosofica aristotelica, per accogliere invece i motivi telesiani, che rappresentarono per il filosofo stilese un importante input per la sua formazione filosofica. In un famoso sonetto dal titolo “Al Telesio cosentino” Campanella non mancherà di celebrare colui che con le sue frecce ha trafitto e ucciso il tiranno degli ingegni, emancipando l'uomo dal gioco di Aristotele e da ogni filosofia che intenda sostituirsi al libro della natura1, per celebrare quella libertas philosophandi che è indispensabile alla verità:
Telesio, il telo della tua faretra uccide de' sofisti in mezzo al campo degli ingegni il tiranno senza scampo; libertà, dolce alla verità, impetra.2
Dopo l'esaltazione iniziale del filosofo cosentino e l'adesione al suo naturalismo e ai fondamenti della sua fisica, Campanella se ne allontana per appagare quegli aneliti magici e metafisici estranei al De rerum natura telesiano. Inoltre abbiamo anche evidenziato come il Del senso delle cose e della magia, guadagna senz'altro i capisaldi telesiani ma non per garantire soltanto l'autonomia della natura, ma all'unico fine di garantire l'universale sensibilità e l'universale animazione, pensate dal Campanella come il presupposto concettuale e funzionale della magia. Inoltre abbiamo messo in evidenza come Telesio disdegnasse le forze magiche e metafisiche, e come invece, Campanella partendo dagli principi ontologici telesiani giunga ad una impostazione magica. L'assimilazione dell'idea della sensibilità universale del cosentino, porta Campanella a delineare “una visione pansensistica e panvitalistica”3 del cosmo. Abbiamo proseguito col delineare l'ontologia “autoreferenziale” di Campanella. Tutto ciò si è mostrato necessario, in quanto la fondazione della magia, procede gradualmente, e non soltanto teoricamente, ma è integrata dall'analisi di un insieme di esperienze concrete, riguardanti sia la vita stessa dell'autore sia provenienti da un ampia cultura popolare. Questo aspetto ci fa subito capire che nel momento in cui Campanella affronta speculativamente la tematica sulla magia, la esamina non da un punto di vista trascendente ma 1 Germana Ernst, Tommaso Campanella. Il libro e il corpo della natura, Bari 2002, ed. Laterza, p.7. 2 Tommaso Campanella, Scelta di alcune poesie filosofiche, in, Opere letterarie, a cura di Lina Bolzoni, Torino 1977, Unione tipografico-editrice Torino. Sonetto n. 68, p.236. 3 Tommaso Campanella, Del senso delle cose e della magia, a cura di Filiberto Walter Lupi, introduzione di G. Abate, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2003, Rubbettino Editore. Per l'analisi del trattato si è fatto riferimento all'edizione curata da Germana Ernst, in quanto più attuale rispetto a questa del 2003, che verrà citata in seguito.
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immanente alla realtà. Proprio questo punto di vista ci colloca in un confine molto labile che si estende da una parte tra la magia e dall'altra tra la scienza e la religione naturale. Infatti è stato posto l'accento su come le scienze magiche abbiano rappresentato la forma, seppur non ancora matura, della scienza moderna, e il contributo di esse nel proporre questioni scientifiche. Mentre per quanto riguarda il rapporto tra magia naturale e religione naturale, ritroviamo in Campanella molti elementi che fanno convergere questi due aspetti. Rinvenendo nella religione naturale l'esaltazione di quello spirito comune del quale partecipano tutti gli enti, e che rappresenta il vincolo che lega indistintamente tutte le cose al loro creatore. Questo aspetto, secondo l'impostazione del presente lavoro, è di una portata notevolissima, perché ci rimanda anche nei territori dell'etica campanelliana. Se siamo d'accordo, nel far convergere magia naturale e religione naturale, in base alla concezione che Campanella ci prospetta sia della divinità, sia della magia in sé, vedremo come da questo punto di vista emerga la necessità di una fides che si risolve nella consapevolezza dell'immanenza divina nella realtà4 e nell'accettazione di una dimensione teleologica della realtà per cui ogni ente ha in sé un fine, che si risolve nella conservazione del proprio essere. Campanella a questo proposito più volte sottolinea che <<il sommo bene>> coincide <<con la conservazione e l'eternità dell'essere>>5. Per ciò a mio avviso vi è un filo comune tra l'ontologia, la gnoseologia e l'etica. Per questo, possiamo considerare la magia, nella sua definizione ontologica e metafisica come <<amore perché è forza (ri)creatrice dell'unità dispersa nella molteplicità>>6. Nel secondo capitolo, che è quello più propriamente filosofico, l'attenzione è stata concentrata primariamente nell'indagine dei due concetti che rappresentano il fulcro della metafisica e della fisica campanelliana: sensus e spiritus, e come attraverso essi, e alla luce di essi, Campanella giunge a delineare una teoria in cui emerge l'idea di una realtà organizzata secondo un preciso ordine gerarchico, una realtà monolitica e non distinta in una dimensione fisica e una spirituale. Tutti gli enti, a partire da quelli terrestri a quelli celesti, appartengono ad un unico “processo vitalisticoenergetico, immersi in una natura che ha un anima, una volontà, e una natura che conosce il fine ultimo del Tutto. La conclusione campanelliana, secondo cui ogni cosa è intrisa di connessioni latenti che l'avvicinano alla totalità, porta ad intendere la magia come una dottrina e un insieme di procedure che permettono di decifrare i rapporti di antipatia e simpatia, e soprattutto alla sua 4 In realtà il discorso è più complesso. Perché dovremo compiere una analisi particolareggiata sul concetto di Dio nella filosofia campanelliana, per differenziare gli elementi naturalistici, da quelli propriamente cristiani. E come Campanella in molte occasioni tende a intrecciare queste due impostazioni, forse per mascherare la sua impostazione naturalistica di Dio? Tommaso Campanella, Del senso delle cose della magia, a cura di Germana Ernst, Bari 2007, Editori Laterza. p.97 Questa è l'edizione a cui si farà riferimento nel presente lavoro. 6 Vittoria Perrone Compagni, La magia ermetica tra Medioevo e Rinascimento, in, La magia nell'Europa moderna. Tra antica sapienza e filosofia naturale. Atti del convegno (Firenze, 2-4 ottobre 2003) a cura di Fabrizio Meroi, Leo S. Olschki Editore. p.19.
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tendenza a riconciliare le discordanze. La visione monolitica della realtà che andiamo a scorgere nel Senso delle cose, non preclude assolutamente l'esistenza di diversi gradi di perfezione all'interno di essa. Per questo Campanella, quando analizza la realtà a livello ontico, si sofferma sul principio per cui ogni ente, in quanto dotato di senso a seconda della propria natura, contribuisce con la sua autoconservazione al benessere e alla costituzione del tutto. E tra gli enti c'è n'è uno in particolare il cui spirito è cosciente di esser figlio de quello spirito del mondo che tutto avvolge. Questo ente è l'uomo. E Campanella sottolinea come tutti gli uomini potenzialmente possono divenire maghi. Che cosa rappresenta, da un punto di vista generale, la figura del mago campanelliano? La figura del sapiente, di colui che ha appreso la struttura della realtà che è in grado di partecipare a un principio superiore contemplando l'infinita concatenazione che pone tutti gli enti in comunicazione tra loro. Inoltre abbiamo anche prestato molta attenzione alla figura dell'astrologo, che assieme a quella del mago forniscono agli uomini ampi orizzonti di dominio, offrendogli garanzie sul futuro. Da quanto presenteremo, sarà evidente che la magia campanelliana si nutre del sapere positivo delle scoperte scientifica. Riflettendo su questo aspetto emergono degli spunti davvero interessanti, in quanto la magia non è pensata semplicemente come un metodo che intende definire soltanto operazioni concrete. Non è solo un essenziale mezzo di dominio con cui l'uomo mette il mondo ai suoi piedi. Una tale immagine non è presente, infatti, nell'opera campanelliana. Piuttosto nell'idea di magia, come vedremo, Campanella fa convergere diverse aspirazioni misticoreligiose, nonché politiche, per una riforma globale dell'intera esistenza umana. Il percorso che abbiamo seguito ci ha permesso di capire come Campanella preferisse ricondurre la molteplicità all'unità, pur senza annullare le le infinite osservazioni compiute. Questo è stato accertato anche facendo riferimento alla critica del pensiero campanelliano da parte di Germana Ernst, dei saggi di guido Giglioni, e dalla lettura di alcune parti della Poetica latina. L'innesto che Campanella compie tra filosofia e poesia è spettacolare, e degno di un analisi separata, in quanto tutto ciò non si allontana dal tema fondamentale del lavoro in questione. Questo è un ulteriore prova della tendenza campanelliana a ricondurre il molteplice all'unità, applicando questo principio alla diversa varietà dei saperi, riconducibili tutti a quella che è l'essenza stessa del sapere. Il poeta campanelliano sa ben cogliere il nesso tra parole e cose, e come il mago possiede la forte sensibilità per percepire l'assoluta armonia e consenso della natura. Tommaso Campanella è così l'ultimo esponente del pensiero rinascimentale che con grande abilità condensa in sé tutta la speculazione del suo tempo. È una figura il cui carattere è ricco di sfaccettature, così come il suo pensiero. Animato dalla brama di conoscere e dotato di una memoria prodigiosa, abituato a non esimersi dal difendere la verità, orientato verso tutto ciò che è concreto e propugnatore di importanti trasformazioni politiche e sociali. Spostando l'attenzione sul patrimonio 4
culturale antecedente al lavoro campanelliano, è evidente la rielaborazione teorica e formale cui Campanella sottopone immagini e idee che si trasmettono attraverso una lunga serie di autori. Basti pensare alla ricorrente immagine del mondo rappresentato come un grande animale, presente in autori come Ficino, nonché nel padre della tradizione ermetica Ermete Trismegisto. I toni profetici delle sue opere, la passione per le scienze magiche e astrologiche, contribuirono ad alienargli le simpatie. Ciò nonostante nulla riuscì a piegare la sua ferrea autonomia di pensiero, che perseverò per tutta la vita. Il Del senso delle cose, oltre che presentarci un Campanella dotto, conoscitore delle più importanti opere filosofiche del tempo,di Platone e di Aristotele, dei Padri della Chiesa, Telesio, Galeno, dei medici, dei fisici, dei giuristi del suo tempo, ci presenta, anche, un Campanella immerso nella vita popolare calabrese, rinvenibile non solo per la lingua usata nel trattato, che delle volte sconfina con espressioni dialettali e rozze, ma anche per l'insistenza di certi luoghi e personaggi regionali. Forse il continuo riferimento alla sua terra d'origine è conseguente all'opposizione che viene a crearsi tra i suoi ideali e la realtà in cui si trova a vivere, una Calabria deteriorata dai conflitti sociali e dal giogo spagnolo, e la constatazione di un angosciante situazione sociale, le costrizioni ecclesiastiche, fecero nascere in lui quel sentimento di giustizia, di ordine e libertà. Purtroppo per tutto ciò che ha dovuto subire per proteggere la sua aspirazione filosofica, non le permise di vivere con serenità, ma tale condizione fu l'occasione del principio del suo filosofare. Il senso e la forza del pensiero campanelliano consiste nella rivendicazione consapevole, di fronte all'emergente affermazione di una ragione matematizzante, della necessità di una più comprensiva accezione di razionalità che non lasci fuori di sé un oscura irrazionalità. È un esigenza che è caratteristica della storia del pensiero umano, e riaffiora quando la razionalità si ostruisce in accezioni unilaterali e schemi troppo, per rivendicare la fantasia, il senso, la capacità ideativa come componente fondamentale della razionalità umana. <<Il secolo futuro giudicherà di noi, perché il presente sempre crucifige i suoi benefattori; ma poi risuscitano al terzo giorno o al terzo secolo>>7, così scrisse Campanella un anno prima di morire, in una lettera a Ferdinando II de Medici, e la previsione si è avverata! Nel nostro secolo l'interesse per la figura di Campanella si intensificato con saggi speculativi e biografici, traduzioni e ricerche erudite che riportano alla memoria uno dei più importanti autori dell'Occidente.
7 Luigi Firpo, I processi di Tommaso Campanella, a cura di Eugenio Canone, Padova 1998, Salerno Editrice Roma. p.17. Riferimento alla lettera che Campanella scrisse a Ferdinando II de Medici, il 6 luglio 1638, in, Tommaso Campanella, Lettere, a cura di V. Spampanato, Bari 1927, p.132.
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La magia nella civiltà umanistica Durante la stagione culturale dell'Umanesimo e del Rinascimento molti degli intellettuali dell'epoca rielaborarono l'idea di magia, secondo i canoni propri di questo momento storico. Spogliandola dagli abiti medievali e superstiziosi, si avvia ora a divenire scienza. L'interesse che molti autori manifestarono verso questa branca del sapere permise lo sviluppo, accanto a essa, di varie aree del sapere, come la medicina, nella sua ricerca di antidoti per la cura di varie malattie e infezioni, la matematica, l'astrologia, la retorica e dunque la riflessione sul ruolo della parola nell'opera magica. Il risorgere della magia rappresenta per tutto ciò, una tappa fondamentale della storia e della mentalità dell'uomo rinascimentale, mettendo in evidenza come lo sviluppo del “magismo” abbia poi portato da una parte alla costituzione della scienza moderna, dall'altra a una sorta di religione della natura. Lo studio della natura è, infatti, al centro degli interessi rinascimentali. Non più vista attraverso le astratte categorie aristoteliche, gli intellettuali, scienziati, filosofi, si accostano ad essa con metodo sperimentale, considerandola nella sua vitalità e dinamicità. È una natura che in tutte le sue parti, rispecchia la mano divina che l'ha creata, una natura in cui tutto tende ad una totale armonia. Ora analizzeremo in quale contesto storico e culturale prende avvio la riflessione campanelliana e come l'idea di magia, tra il Cinquecento e il Seicento, abbia trovato il terreno adatto per svilupparsi, e rispecchiarsi in quell'insieme di attività sperimentali che aprirono la strada alla scienza moderna.
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Contesto storico e culturale L'enigmatica e misteriosa figura di Tommaso Campanella1 erompe in quel secolo colorato da quel nuovo pullulare di idee, movimenti, pensieri, nuove visioni del mondo e della realtà, garantite dall' avanzare del sapere scientifico. Un secolo avvolto da una nuova luce, un secolo di rinascita che investe l'ambito pratico e speculativo dell'uomo. Lo sguardo dell'uomo rinascimentale si riaffaccia nel passato, alla riscoperta della classicità e dei suoi testi ripresi nella loro originarietà, rielaborati alla luce di un intensa attività filologica che li accoglie come figli di un tempo storico definito. Nelle opere classiche gli umanisti seppero vedere come sostiene Garin <<pensamenti d'uomini, prodotti di una certa cultura, risultati parziali e particolari esperienze: non oracoli della natura o di Dio, rivelati da Aristotele o Averroé, ma immagini ed escogitazioni umane>>.2 La scoperta del senso storico implica, infatti, un nuovo rapporto dell'uomo con il tempo e con la verità. Lo spirito rinascimentale riecheggia della filosofia platonica. Il Platone rinascimentale, conosciuto grazie all'opera di traduzione dell'intero corpus platonico a opera di Marsilio Ficino (1433-1499), interpretato alla luce di quegli scritti ermetici che in questo periodo esercitarono un fascino notevole nella cultura del tempo. Un aspetto che testimonia l'importanza che questi testi assunsero in questo periodo è dato dal fatto che se nel 1459 Ficino si preparava a tradurre tutti i dialoghi platonici, nel 1460 giunse a Firenze una copia del Corpus hermeticum attribuito a Ermete Trismegisto. Ficino ricevette subito l'ordine di dedicarsi alla traduzione del nuovo ritrovamento. La Yates (1899-1981), studiosa dell'ermetismo rinascimentale, coglie in questa situazione tutta la straordinarietà del fatto che: “ci sono, disponibili, le opere complete di Platone, ed esse debbono aspettare che Ficino abbia tradotto, sia pur velocemente, Ermete. […] Il rispetto rinascimentale per tutto ciò che fosse antico, originario, remoto, e quindi più vicino alla verità divina, portava come conseguenza che il Corpus hermeticum venisse tradotto prima della Repubblica o del Simposio platonici, e così di fatto esso fu il primo testo tradotto da Ficino”.3 Accanto all'evolversi del platonismo rinascimentale, la critica e il rifiuto della filosofia aristotelica si fa sempre più radicale. Molti sono i doti rinascimentali, che si allontanarono dagli schemi con cui Aristotele interpretava la realtà. Schemi che di fatto non hanno 1 Giovan Domenico Campanella nasce a Stilo in Calabria il 5 settembre del 1568, entra nell'ordine domenicano nel 1583 dove inizia a studiare filosofia (limitata alla Logica, alla Physica e al De anima di Aristotele); Questi sono gli anni più importanti del suo apprendistato filosofico, legge libri di ogni sorta ma nessuno lo soddisfa, finché nel 1588 ha modo di svegliarsi dal sonno dogmatico grazie all'incontro con la filosofia telesiana. La sua vita fu contrassegnata da un insostenibile serie di processi, condanne e torture per eresia, che lo costrinsero per ben 27 anni a stare rinchiuso nei castelli napoletani e nei carceri romani del santo Uffizio, mentre ad ogni costo difendeva la libertas philosophandi, prerogativa di ogni filosofo. Morì in Francia nel 1639. 2 AA.VV, Il testo filosofico, Milano 1992, edizioni scolastiche Bruno Mondadori. p. 33. 3 Ibidem, p. 37.
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un riscontro con la realtà. In una delle lettere che Campanella scrisse a Gassendi, ritroviamo l'immagine di questo secolo contraddittorio e << della sorte toccata all'età nostra, la quale benchè fortunatissima nelle nuove scoperte, non consente agli scopritori di metter piede nelle scuole: da tempo infatti ne hanno occupato le cattedre i seguaci di una filosofia inconsistente, i quali determinano ogni cosa a loro capriccio, senza la guida della natura, e si sono impadroniti degli animi delle persone con tante arti occulte, li hanno annebbiati d'una tale caligine, che, dopo aver reso ottuse le menti, le immergono in un sonno profondo e piacevole al punto che, se qualcuno tenta di farsi strada sino ad esse con la voce della verità o con la fiaccola e i dardi fulgidi del giorno, subito si levano in armi, colmi d'ira e di sdegno, contro chi turba quel dolce sopore per ripiombare, respinta la luce, in quell'inerzia infame>>.4Campanella, come s'intuisce da questo passo, sente in sé la pesantezza di quest'epoca, che rifugge dalle novità ma al tempo stesso le semina ovunque, si sente “oggetto di invidie e persecuzioni, proprio per il tentativo di accendere una luce per squarciare le tenebre del suo tempo”5. Egli constata che “la logica delle umane ricerche non è necessariamente quella di Aristotele, che la logica aristotelica non è parola di Dio”6. La presa di coscienza di ciò porterà a grandi rivoluzioni nel campo della cosmologia, della fisica e della logica in quanto non è cambiata la realtà, ma il modo di osservarla, di pensarla. Quello che si osserva è un nuovo mondo <<discontinuo e contraddittorio, dai volti innumerevoli e cangianti, ribelle a ogni sistemazione, un mondo a cui ci si deve avvicinare con una ricerca perenne, che non ha paura delle incoerenze apparenti, ma che è mobile e sottile e vario fino a poter rispecchiare l'infinita varietà di tutte le cose>>7. Uno dei temi più importanti che contrassegna il Rinascimento è il rapporto tra il cosmo e l'uomo, affrontato sulla base del neoplatonismo rinascimentale8, rapporto definito in base a quel reciproco legame tra macrocosmo e microcosmo, già pensato nell'antichità e nel Medioevo, secondo il quale l'uomo riproduce in piccolo ciò che il cosmo è in grande, in un continuo gioco di rimandi e corrispondenze che legano l'uomo in complicati rapporti di simpatia e analogia al cosmo. Durante il Rinascimento l'idea di una profonda identità di struttura tra l'uomo e il mondo venne espressa da tutti i maggiori pensatori, Cusano (1401-1464), Ficino, Pico della Mirandola (1463-1494), Bruno (1548-1600) e Campanella, e rappresentava uno degli aspetti fondamentali del pensiero magico che pretendeva di operare sulla natura in virtù delle corrispondenze e analogie esistenti tra le parti e il 4 Germana Ernst, Atomi , provvidenza, segni celesti. Il dialogo epistolare tra Campanella e Gassendi, in << Bruniana & Campanelliana>>, XV, 2, 2009, p. 409. 5 Ibidem, p. 409. 6 E. Garin, L'umanesimo italiano, Bari 1994, ed. Economica Laterza, p. XV. 7 Ibidem, p. 17 8 Si veda, Per quel che riguarda l'influsso del platonismo sui nuovi motivi del Rinascimento: F.A. Yates, Giordano Bruno e la cultura europea del rinascimento, Bari 1995, ed. Laterza.
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tutto. La coppia macrocosmo-microcosmo è anche uno dei temi centrali dell'ermetismo9 e proprio nella figura del mago che si riassumono quei mutati atteggiamenti del rapporto uomo-cosmo che si riveleranno fondamentali al sorgere della scienza10. In questo universo dove ogni parte è in connessione al tutto, «dove ogni cosa è segno d'altro, il mago, grazie alla sua eccezionalità, s'immerge fino ad identificarsi con lo spirito che tutto pervade»11. Parliamo di un mutato atteggiamento che come abbiamo già sottolineato si riflette nella fortuna che i testi ermetici ebbero in occidente. Il Poemander, primo trattato del Corpus Ermeticum, è un racconto sulla creazione e sul destino dell'uomo, e come l'Adamo di Mosè, l'Adamo ermetico subisce la caduta nel peccato ma torna in “comunione con il sovrano del Tutto, attraverso la comunione magico-religiosa con il cosmo”12. In queste opere centrate sull'idea di una origine e di un destino dell'uomo divini, ( compromessi dal peccato e dalla caduta nel mondo materiale, ma riconquistabili mediante una vita di ascesie conoscenza) la cultura rinascimentale trovava l'espressione più compiuta della celebrazione della grandezza e della dignità dell'uomo. Tutto questi influssi si riveleranno importanti per lo statuto della magia nel Rinascimento. È proprio in questo corollario di idee che matura la riflessione filosofica di Campanella e l'interesse verso la cultura magica del suo tempo, interesse che verrà poi a costituire uno dei temi più sviluppati dal filosofo stilese. Ma è bene qui ricordare anche l'influenza dell'ambiente culturale napoletano, abitato da figure come i fratelli Della Porta, sopratutto Giovan Battista la cui riflessione sulla magia porterà Campanella ad approfondirla e fondarla ontologicamente. La vitalità culturale che anima gli ambienti intellettuali del Rinascimento, trova nelle corti signorili il contesto ideale per la produzione artistica. Per gli intellettuali dell'epoca le corti si configuravano come centri letterari, dotate di grandi biblioteche. Erano luoghi in cui si ricercava protezione delle grandi famiglie che assicuravano una vita contemplativa a uomini che hanno bisogno di questo sostegno per poter essere riconosciuti e apprezzati dall'alta società. Anche Campanella, soggiornerà a Napoli nel palazzo di Isabella del Tuffo, moglie del barone di san Giorgio, Giacomo II Milano13, che gli garantiranno anche se per breve una vita tranquilla. Si tratta di un ambiente influenzato dalle ricerche dellaportiane e dall'insegnamento telesiano, in cui “la sperimentazione magica e gli
9 Per la definizione di cultura e magia ermetica vedi il saggio “La magia ermetica tra medioevo e rinascimento” di Vittoria Perrone Compagni, in Atti del convegno (Firenze, 2-4 ottobre 2003) “La magia nell'Europa moderna. Tra antica sapienza e filosofia naturale” a cura di Fabrizio Meroi. Città di Castello (PG), 2007, Leo S. Olschki editore MMVII. Inoltre, numerosi sono in Campanella i richiami ai temi ermetici, si pensi alle metafore del mondo e delle stelle come tempi vivi di Dio, o alla rappresentazione dell'uomo come "dio secondo, miracol del primo" presente nel X trattato del Poemander. 10 F.A. Yates, Giordano Bruno e la cultura europea del rinascimento, op. cit., p.148. 11 AA.VV. Il testo filosofico, cit., p.127. 12 Ibidem p.149. 13 Cfr. Germana Ernst, Tommaso Campanella. Il libro e il corpo della natura, cit., p.5.
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interessi astrologici sono rivolti anche nella direzione dell'attesa di un generale rinnovamento, che investa sia il cosmo che l'organizzazione politica e sociale”14. Un aspetto fondamentale e per certi aspetti anche paradossale è che il germogliare dei nuovi motivi rinascimentali sia andato di pari passo con la Riforma protestante e, successivamente, con la Controriforma. Quell'esigenza di rinnovamento che investe tutti gli ambiti del sapere, della vita sociale, colpisce anche la Chiesa, macchiata di corruzione. Tutto ha inizio con la denuncia del frate tedesco Martin Lutero (1483-1546) alla Chiesa di Roma e a tutte quelle pratiche di cui essa si serviva per aumentare le proprie ricchezze a scapito dei fedeli. Denuncia che si concretizzò col l'affissione delle 95 tesi sul portone della Cattedrale di Wittenberg. Dopo molti indugi la Chiesa di Roma reagì con la convocazione del Concilio di Trento, iniziato il 1 novembre 1542 da Paolo III e conclusasi nel 1563 con una totale chiusura verso le idee luterane,- e verso tutto ciò che andava contro i punti stabiliti dal Concilio - nel 1564 venne stilato l'Indice dei libri proibiti. In questo clima l'attività speculativa poteva risultare sovversiva ed eretica. La chiesa presentò come avversaria di ogni forma dissenso teologico e culturale. Furono presi di mira gli esponenti di correnti di pensiero ostili alla tradizione aristotelica-scolastica15: pensiamo a Giordano Bruno, condannato come eretico e arso vivo a Roma in Campo dei fiori nel 1600; ma anche il nostro Tommaso Campanella che passò 27 anni di dura prigionia nelle carceri dell'inquisizione; a Galileo Galilei massimo esponente della scienza dell'epoca, che fu costretto a rinnegare le sue tesi eliocentriche contrarie alle teorie tolemaico-geocentriche fatte proprie dalla chiesa. Nella bufera estirpante che colpì un vasto spazio del sapere, tra cui quell'insieme di pratiche magiche-astrologiche, finiranno anche gli studi del giovane Campanella, che, in seguito ad una serie di processi verrà arrestato nel 1594 per ordine dell'inquisitore padovano16. Durante la sua gioventù Campanella si trasferisce a Napoli, capitale del Viceregno, dove frequenterà l'Accademia degli Svegliati, fondata da Giulio Cortese, e gli ambienti intellettuali che gravitano attorno ai fratelli Della Porta. L'interesse verso quelle pratiche occulte dirette all'interpretazione di quei rapporti di simpatia-antipatia tra i diversi livelli di realtà, posero Campanella nel mirino dell'inquisizione. Il primo processo risale al 1592. Ad esso seguì l'arresto, avvenuto nel convento di San Domenico, con l'accusa fondamentale di aver aderito alla filosofia telesiana. Questo primo processo viene risolto con la sentenza pronunciata, nell'agosto dello stesso anno, quando viene ordinato a Campanella di tornare in Calabria, e di abbandonare le teorie telesiane per
14 Tommaso Campanella, Opere letterarie, cit., introduzione, p. 12. 15 AA.VV, Storia moderna, Roma 1998, Donzelli editore, p. 134. 16 Cfr. G.Ernst, Tommaso Campanella, cit., p.29.
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accogliere quelle di San Tommaso17. Il 5 settembre 1592 Campanella non partì tuttavia verso la Calabria, come gli era stato ordinato ma si diresse alla volta di Roma e Firenze, sperando di ottenere, grazie all'appoggio del granduca di Toscana la carica universitaria (concedendogli però un donativo e non la carica sperata). In realtà il gran duca Ferdinando, a cui Campanella dedicò De sensitiva rerum facultae, nutriva verso il filosofo una serie di perplessità per via della sua adesione alle teorie telesiane e delle numerose antipatie che gli gravitavano intorno. Ciononostante non mise mai in dubbio le eccezionali doti del frate. Deluso dalle aspettative che aveva riposto su Firenze, Campanella proseguì per Bologna dove il sant'Uffizio per “via illegale” gli sequestrò i manoscritti, ma “egli imperterrito si accinse a ricomporre ogni cosa, ampliata e rinnovata, in maniera più lucida e sistematica”18. Intanto, negli ultimi decenni del XVI secolo, la chiusura verso la filosofia telesiana si concretizza con la sospensione donec expurgentur nell'Indice clementino del 1596 di tre opere: il De rerum natura e i due opuscoli il De sommo e Quod animal universum19. Il clima di continuo timore in cui Campanella era costretto a vivere, sotto il severo controllo ecclesiastico, lo costrinse, dopo dieci anni di assenza dalla sua terra, a tornarci, sotto il segno dell'umiliazione e destinato a chiudersi nel suo silenzioso isolamento. Ma la sua frenetica attività intellettuale non si placa e prendendo atto dell'antica sofferenza per il giogo spagnolo e feudale, «tesse con ingenuo fervore le trame di una congiura contro l'autorità vicereale mirando a liberare la Calabria per ergervi una repubblica comunitaria e teocratica della quale egli stesso sarebbe stato il legislatore e capo»20. Dopo il fallimento della congiura e l'accusa di lesa maestà, la situazione di Campanella appare disperata: viene arrestato il 6 settembre del 1599 e per avere salva la vita, mette in atto un espediente sottile iniziando con tenacia una simulazione della pazzia, a cui affida l'ultima speranza della sua vita. Secondo i canoni del tempo, infatti, il folle non poteva essere condannato in quanto non avrebbe modo di pentirsi e la sua anima sarebbe perduta facendo ricadere la responsabilità sul capo dei giudici. Fino al 1604 rimase a Castelnuovo continuando la sua intensa attività letteraria21, per poi essere trasferito a Castel Sant'Elmo, in quella “fossa del coccodrillo” che segna il culmine del suo
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Ibidem, cit., p.17. Luigi Firpo, I processi di Tommaso Campanella, cit., p.6. Cfr. G.Ernst, Tommaso Campanella, cit., pp.26-27. Cfr. Luigi Firpo, I processi di Tommaso Campanella, op. cit., pp.7,8. In questi anni Campanella nonostante le malsane condizioni in cui viene a trovarsi compone: La monarchia di Spagna; Gli aforismi politici; Del senso delle cose; l'Astronomia e la Metafisica.
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calvario22,rimanendo per ben quattro anni in condizioni terribili e indicibili, come testimoniano la sequela di memoriali imploranti rivolti ai pontefici, monarchi, con suppliche di libertà cercando in ogni modo di non lasciarsi travolgere nel pendio dell'abbandono e della desolazione, ritrovando in se stesso l'unica fonte di speranza e di sopravvivenza. Il clima di tensione e di invidia divenne per Campanella, ormai maturo, irrespirabile e grazie all'appoggio del papa Urbano VIII, andò alla volta della Francia, in cui aveva molti amici ed estimatori come Pierre Gassendi (1592-1655), Gabriel Naudé (1600-1653), Jacques Gaffarel (16011680). Il ruolo del papa Urbano VIII e i rapporti che strinse con Campanella nel periodo romano, sono molto importanti per capire tutti gli intrighi che legavano il papa al filosofo per quel che riguarda le pratiche astrologiche. Urbano VIII, segretamente interessato ai temi astrologici, con l'aiuto di Campanella, mise in atto una serie di pratiche di magia naturale per ostacolare l'avvenire di funesti pericoli,23 che annunciavano l'avvicinarsi di nefasti eventi, riguardanti l'eventuale morte di Urbano VIII. Iniziarono dal 1628 l'insieme di pratiche magiche per fronteggiare l'imminente insidia. Occorreva ricostruire in piccolo un ambiente favorevole e opposto all'oscurarsi del cielo, con l'utilizzo di erbe purificanti e aromatiche, musiche rilassanti, abiti bianchi, ma sopratutto creare in miniatura un cielo simbolico sostitutivo a quello oscuro e sciagurato.24 Questo insidioso “affaire astrologico” tra il papa e Campanella, prenderà una brutta piega quando si scatenerà la bufera antiastrologica, sancita nel 1631 con la Bolla Inscrutabilis, che vietava ogni tipo di profezia e puniva severamente chi le dovesse praticare con la confisca dei beni e la condanna capitale. L'opuscolo De siderali fato vitando, in cui Campanella descrive le pratiche messe in atto con Urbano VIII, dato alle stampe da insidiosi frati, fece scoppiare un' altro scandalo che vedeva ancora una volta come protagonista Campanella e anche l'importante figura del pontefice immischiata in pratiche astrologiche, definite come cerimonie superstiziose. La reputazione del papa subì un duro colpo, mentre Campanella non poteva rischiare di compromettere la propria situazione appena uscito dal carcere. E cosi grazie all'aiuto di Urbano VIII, arrivo nel 1634 in Francia dove venne accolto da Richelieu (primo ministro del re Luigi XIII). Le sue idee vennero caldamente accolte nell'ambiente libertino francese, sopratutto da parte di Gassendi, Naudè. Trattato con riverenza e 22 Ibidem, cit, p.10. Particolarmente toccanti sono le parole che Campanella scrisse a monsignor Antonio Quarengo nel 1607: << La riprego che segua a favorirmi, ch'esca presto da questo antro prima che moia: che già il petto e la testa sono tanto offesi, che poco posso sperar salute, sendo stato quattro anni sotto terra, con ferri sempre, sopra un fradicio e bagnato stramazzo, e con pane e acqua di tribulazione, senza veder mai né cielo, né luce, né persona umana in luoco sempre bagnato, che stilla ogni mura acqua continuamente, talchè continua notte e inverno io sento>>. Tommaso Campanella, Lettere, a cura di V. Spampanato, Bari 1927, p.132. 23 Cfr. G.Ernst, Tommaso Campanella, cit., pp.210-211. 24 Ibidem , pag., 211. <<[....] Accenderai due luminari e cinque fiaccole, che rappresentano i pianeti del cielo, in modo che quando si oscurano in cielo, non manchino quelli che li sostituiscano sulla terra, come di notte, quando il sole si allontana, una lampada lo sostituisce, perché non venga a mancare il giorno che si è allontanato. [….]>>. Pratiche descritte nell'opuscolo De siderali fato vitando, in Opera latina, II, pp. 1318-40.
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godendo di una pensione, ha modo di rivedere e curare la stampa delle sue opere con tranquillità . All'alba del 21 maggio del 1639 Campanella si spense nel convento domenicano della Rue Saint Honorè, sepolto come un semplice frate, nella fossa comune, e la Rivoluzione, abbattendo nel 1795 ogni vestigio di quel palazzo, per destinare l'area ad un mercato,ha disperso per sempre le sue ceneri.
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Magia naturale come riflesso della scienza moderna. Attraverso lo studio della magia rinascimentale gli storici hanno trovato un nuovo approccio alla storia della scienza. Dobbiamo domandarci in che modo la magia ad un certo punto della storia, si è rivelata fondamentale all'evolversi della scienza moderna. O meglio. È bene focalizzare come l'idea di magia e scienza nel Rinascimento, sono caratterizzate da una forte identità. Attraverso la magia l'uomo ha imparato a servirsi della catena che lega la terra al cielo25. Questo graduale processo è stato fondato su sistemi e teorie ben definite, che hanno permesso da un lato di andare oltre antiche vedute medievali,-ancora troppo immerse in un universo sottoposto alla sola autorità divina-, dall'altro in questa fase l'uomo ha riconosciuto la vera essenza del conoscere che si risolve non più nella passiva contemplazione ma nell'azione. L'attività posta in essere dai maghi con talismani, non portò sicuramente a risultati pratici paragonabili a quelli raggiunti dalla moderna scienza applicata. Tuttavia acquista un ruolo fondamentale l'influsso del simbolismo numerico pitagorico nella magia rinascimentale. Basti pensare allo schema della magia, così come venne formulato da Agrippa, in cui un ruolo decisivo era riservato alle matematiche e alle loro applicazioni operative. Il mago quindi, deve essere un esperto di matematica, grazie alla quale si possono attuare con mezzi meccanici operazioni meravigliose come quelle descritte da Campanella nel suo Magia e grazia nonché in alcune pagine del Senso delle cose. In questo testo Campanella riprende un passo di Agrippa: << La magia artificiale reale produce effetti reali. Così Architta fabbricò una colomba volante di legno, e recentemente a Norimberga, secondo il Botero, furon fabbricate un'aquila e una mosca. Dedalo fabbricò statue che si muovevano per l'azione di pesi o del mercurio. […] L'arte non può produrre effetti stupefacenti, se non per mezzo di moti meccanici, pesi, e tranzioni, o impiegando il vuoto, come si fa negli apparecchi pneumatici ed idraulici, o applicando le forze alle materie.>>26 Da questo passo campanelliano, possiamo dedurre quanto fosse alto l'interesse per queste “statue miracolose” che mettevano in pratica principi scientifici, e la rinascita della magia rinascimentale non poteva che stimolare e incoraggiare lo sviluppo della meccanica e di altre forme di “magia artificiale reale”. Solo chi abbia scarsa dimestichezza con quello che realmente fu il dibattito culturale cinquecentesco, con la vita varia delle sue accademie, con le grandi correnti di moda, neoplatoniche, ermetiche e magiche, con le utopie tra scienza e misticismo, solo colui potrebbe
25 F. A. Yates, “Magia e scienza nel rinascimento”, in Magia e scienza nella civiltà umanistica, testi a cura di Cesare Vasoli, Bologna 1976, Società editrice Il Mulino, p.215-237. 26 Ibidem, p.218
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pensare, come sostiene Eugenio Garin27, di avvicinarsi a questa stagione cultura imponendole categorie interpretative di altri tempi. Uno dei metodi per accostarsi a questo contesto è quello della “comparatio”, in modo tale da non considerare un'antitesi assoluta tra magia e scienza, ma una scienza che tende a svincolarsi da una visione magica della realtà troppo complessa. Così da risolvere in armoniose sinfonie, tutte le contraddizioni che caratterizzano la realtà. Vengono a intrecciarsi verità filosofiche e verità scientifiche per giungere al mistero dell'essere, e se solo è possibile poterlo svelare, questo spetta solo agli uomini più puri ed eletti. Coloro che riescono a decifrare il linguaggio con cui è scritta la realtà, che i moderni lo fanno convergere con la matematica. È decisamente evidente il groviglio che si è instaurato in questo periodo di forte vivacità culturale, tra il nuovo razionalismo filosofico scientifico e motivi ermetici e magici, e soltanto con il tramontare dell'epoca rinascimentale è stato possibile cogliere l'importanza e del sapere magico per il divenire della scienza seicentesca. Uomini come Cartesio leggevano Lullo e Agrippa, per criticarli ma li leggeva28, questo mostra come questi testi dai moderni venivano visti come un punto da cui cominciare per poter andare decisamente oltre. L'emergere della scienza moderna andrebbe considerato come un processo svoltosi in due fasi: una prima rinascimentale, basata sulla filosofia animistica di tipo magico ermetico, l'altra seicentesca, caratterizzata dallo sviluppo del primo29. Come sottolinea la Yates, infatti, potrebbe essere illuminante considerare la rivoluzione scientifica suddivisa in due fasi: “la prima consistente nella visione di un universo animistico mosso da forze magiche, la seconda volta a considerare un universo matematico regolato dalle leggi della meccanica. Un indagine di entrambe le fasi e delle loro interazioni potrebbe costituire un approccio ai problemi posti dalla scienza odierna più efficace di quella linea di ricerche che si concentra esclusivamente sul trionfo del Seicento”30. Il Rinascimento, infatti, conosce prospettive assai differenti di indagine e dominio della realtà naturale che troviamo espresse nella letteratura di scienziati e filosofi, favorendo il progredire del sapere umano proprio attraverso la collaborazione e circolazione di questi tesi che intendono fornire conoscenze per il domino della natura attraverso le tecniche. In questi due periodi della rivoluzione scientifica, evidenziati dalla Yates, troviamo un passaggio da una concezione della natura pensata secondo l'immagine di un organismo vivente, all'immagine della natura come una macchina autonoma. La “macchina” è il modello teorico di indagine privilegiato, e la conseguente generalizzazione dei principi della meccanica, consente un interpretazione complessiva del reale.
27 Cfr. Eugenio Garin, Umanisti Artisti scienziati. Studi sul rinascimento italiano, Roma 1989, Editori Riuniti, pp. 230231. 28 Ibidem, p. 246. 29 Cfr. F. A. Yates, Giordano Bruno e la cultura europea del rinascimento, cit., p. 164. 30 Ibidem, p.167.
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Ma questo progresso è stato possibile solo attraverso l'elaborazione, e il superamento di una concezione animistica e magica della natura, per essere poi sorpassata dall'avanzare delle tecniche, dall'adozione di modelli meccanici per la spiegazione della realtà naturale. Tutto ciò è reso evidente, anche dalla diversa visione della scienza durante la prima fase della rivoluzione. Qui il concetto di scienza è ancora confuso con quello di “concezione del mondo”31 e ricopre un'area vastissima e troppo generica del sapere. La visione seicentesca della scienza e rigorosamente più matura e definita, imperniata sull'idea di un sapere metodologicamente regolato e pubblicamente controllabile, fondata su metodi razionali e quantitativi e sul metodo sperimentale. Per la grande trasformazione che interviene nella scienza europea in questo periodo, dunque, è necessario richiamare l'attenzione su quel patrimonio di atteggiami, idee, strumenti concettuali elaborati nel Rinascimento. Dunque se consideriamo l'interesse pitagorico-platonico per i numeri, l'intensificazione dell'interesse per l'astrologia, collegato alla vera e propria ricerca in campo astronomico, e se vi aggiungiamo la specializzazione delle diverse forme dell'alchimia, sarebbe impossibile negare come questo groviglio di saperi non spinse gli uomini rinascimentali in direzione della rivoluzione scientifica. Basti pensare allo sviluppo di molti temi che rientrano nell'ambito della filosofia naturale, come la conservazione e corruzione degli enti, le proprietà fisiche della materia, le diverse analogie tra mondo celeste-terreno e umano, già mostravano un cambiamento nell'atteggiamento e nella mentalità rinascimentale. Magia e scienza, in questo contesto di nuove scoperte, si intrecciano, si confondono, le ricerche dell'una furono essenziali per l'evolversi dell'altra. L'attitudine sperimentale del mago non è tanto diversa da quello dello scienziato: indagare la natura per mezzo dei sensi come unica forma certa di conoscenza, sperimentare e dedurre le cause dei fenomeni, saper cogliere le infinite corrispondenze tra gli enti. Tutti questi elementi portano queste due figure a configurarsi in una sola. Il mago, come ricorda W. Shumaker32 citando Giovan Battista della Porta, deve essere << un filosofo più che perfetto>>, deve essere un fisico, un erborista e un mineralogista. Quest'insieme di conoscenze manifestano l'inesauribile sete di conoscenza che i maghi rinascimentali nutrono verso ogni ambito di sapere, dediti ad atteggiamento pratico e lontano dall'arido tecnicismo in cui erano venute a cadere i centri di diffusione del sapere, in cui rimase
31 Cfr, AA.VV, Il testo filosofico, cit., pp.277-278. 32 W. Shumaker, “La magia naturale” come forma “premoderna” della scienza, in Magia e scienza nella civiltà umanistica, cit., p.109-120.
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come pietrificata l'autorità aristotelica che non solo non rifletteva il libro della natura, ma isolava il dato dalla realtà vivente del creato e dalla società33. Campanella si allontana da questo tecnicismo per rivendicare l'autorità dell'evidenza, dell'esperienza viva contro la cieca autorità dei libri morti. E tuttavia, a causa dei lunghi anni di prigionia, il filosofo stilese non ha potuto compiere una vera e propria ricerca sperimentale concreta. La sua attività prorompe piuttosto in una ricerca metafisica: pensiamo alla riflessione sulla teoria delle tre primalità dell'essere, la teoria gnoseologica e tutto ciò che comporta. Ricerca metafisica accompagnata da una vivace curiosità intellettuale verso “l'analisi microscopica del mondo vivente e telescopica del cielo stellato”. Questa curiosità è testimoniata nel periodo padovano, oltre dalla frequentazione dei corsi universitari di fisiologia e anatomia, anche da un insieme di osservazioni sulla funzionalità dell'occhio, ricerche sulla febbre e sulla sua causa, nonché si interessava di tutto ciò che si sapeva sulla circolazione del sangue. In questo senso la ricerca speculativa campanelliana si rivela in tutta la sua vastità. Il Rinascimento prepara così il mondo alle future innovazioni seicentesche, per porre le basi ad una nuova epoca e a un nuovo mondo, costituito da una serie di leggi fisiche e finali che mettono l'uomo in condizione di poterlo osservare, di poterne anticipare eventi. Questo spiega come le diverse branche del sapere quali l'astrologia, la medicina, facciano da sfondo speculativo alla magia, così come ben spiega Campanella nel trattato Del senso delle cose e della magia. L'alta figura del mago rinascimentale si fa così emblema di tutte queste conoscenze, che si risolvono nello studio della Natura, pensata nella sua totalità e vitalità, una natura viva di cui l'uomo è una parte essenziale e sopratutto cosciente. Se nel medioevo la magia era accostata per lo più a credenze superstiziose, e sottomessa ad una severa attenzione da parte della Chiesa, nel Rinascimento fiorisce, accanto una scienza rigogliosa di cui non può farne a meno. È la forza trasformatrice dell'opera magica a richiamare l'idea di scienza. La necessità di un sapere che non fosse solo contemplativo ma anche pratico ed operativo, si risolveva nella dignità accordata alla magia nel Rinascimento. Non casualmente i caratteri che la definiscono sono propri della scienza. Infatti la scienza moderna nascerà come “una forma di sapere capace di raccogliere il sogno di potenza espresso dalla magia rinascimentale ma trasformandone profondamente i modi e sostituendo alla segretezza e alla eccezionalità, così care alle scienze occulte, un'esigenza di pubblicità e chiarezza che quelle non possedevano”34. Gradualmente la scienza si liberò dall'abbraccio dell'irrazionalità magica, ma questo processo fu reso possibile da una progressiva 33 Cfr. L. Firpo, cit., p. 18. 34 AA.VV. Il testo filosofico, cit., p.133.
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naturalizzazione della magia. Nonostante essa non perdesse il carattere di un sapere segreto e iniziatico, tratti che la distinguono dalla razionalità scientifica, si presentava come un indagine naturale volta a tradursi in un controllo operativo della realtà. Pensiamo ai grandi maghi del Cinquecento e alle loro teorie, le quali si configurano - nella maggior parte dei casi - come anticipazioni scientifiche: ad esempio la teoria secondo cui la forza che lega l'uomo e ogni ente naturale sia di natura fisica e non spirituale, perciò gli influssi reciproci delle cose avvengono attraverso il flusso di atomi. Sulla base di questa concezione Gerolamo Fracastoro (1478-1553), poeta e medico, condusse delle ricerche sulla problematica del contagio, anticipando la nozione di “microbo”. Questo è uno dei casi in cui la speculazione magica collabora con la scienza. Oppure, in questo contesto è importante richiamare l'idea della centralità del sole sovrano del mondo, immagine vivente di Dio diffusa dall'ermetismo rinascimentale35 e alle successive ricerche copernicane che mostrarono la centralità del sole nel nostro sistema planetario. Non fu attraverso la magia che Copernico giunse a formulare la sua storica teoria della rivoluzione della terra attorno al sole, ma grazie a una conquista nel campo del puro calcolo matematico36. Oppure all'importanza dei calcoli matematici in campo astrologico, “per operare valendosi delle forze celesti senza subirle”37. A questo proposito F.A. Yates studiosa del magismo rinascimentale, insiste sul carattere matematico della magia e sulla concezione del numero come possibile chiave operativa per penetrare i segreti della natura e vincolarli ai poteri umani38. Queste dottrine presupponevano “l'unificazione del cielo e della terra in un unico sistema di vita universale” e sopratutto si fondavano su di un postulato essenziale: maghi e astrologi considerano ogni agente ad analogia dell'agente umano. Per esempio nelle fasi in cui la luna favorisce il fluire dell'umidità si eviteranno operazioni chirurgiche, affinché non vi sia la possibilità di putrefazione, il cielo degli astrologi, insomma, sembra cosi riflettere quello umano con tutte le sue passioni e angosce39. Il sapere è un saper prevedere, un saper leggere il libro del mondo per poter operare e modificare la realtà e renderla più agibile al volere umano, un inserirsi in quell'insieme di corrispondenze per sovvertire le forze della natura. Si tratta di un sapere pratico che rispecchia la celebrazione della vita attiva, lontana dalla contemplazione libresca. In fine si rivela necessario al fine di comprendere in che punto magia e scienza si richiamino a 35 C. Vasoli, cit, p. 49, 36 Ibidem, p.224.Anche in questo caso, nell'opera copernicana è chiaro il riferimento alla tradizione ermetica e in particolare ad Ermete Trismegisto: << In medio vero omnium residet sol. Quis enim in hoc pulcherrimo templo lampadem hanc in alio vel meliori loco poneret, quam unde totum simul possit illuminare? Siquidem non inepte quidam lucernam mundi alii mentem, alii rectorem vocant. Trimegistus visibilem deum.>> 37 Cfr. E. Garin, Medioevo e Rinascimento, Bari 1961, editori Laterza, p. 181. 38 Cfr. C. Vasoli, cit., p. 48. 39 Cfr. E. Garin “Per una valutazione storica della magia”, in Magia e scienza, cit., pp.157-160.
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vicenda, accettare l'idea di una continuità tra il Rinascimento e il primo Seicento. In quanto è proprio nel XVII che fioriscono gli “innesti concettuali” abbozzati nel Rinascimento e, sopratutto, solo osservando i risultati scientifici raggiunti nel Seicento possiamo constatare come la vasta letteratura magico-ermetica abbia contribuito a definire quello che è l'ambito peculiare della scienza. Ancora di più. Possiamo considerare le teorizzazioni sulla magia divulgate durante tutto il Cinquecento come un espressione ancora inconscia della scienza. E la scienza come l'espressione conscia e più illustre della magia.
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Magia naturale, profezia e vita universale Il Del senso delle cose e della magia1 è uno dei testi più affascinanti di Tommaso Campanella. Scritto tra il 1589-1592, durante il soggiorno napoletano, in seguito alle discussioni avvenute con uno dei maggiori esponenti della cultura napoletana, Giovanbattista Della Porta. Le influenze dellaportiane sono ritenute all'origine della prima versione in latino del De sensitiva rerum facultate, successivamente riscritto in italiano intorno al 1604 nella terribile fossa di Castel Sant'Elmo. Il Del senso delle cose, contiene l'esposizione più compiuta della fisica campanelliana. Vi si colgono gli echi della filosofia telesiana e platonica. Da Telesio riprende il convincimento della sensibilità inerente ad ogni essere, e da Platone, sopratutto in riferimento al Timeo2, accoglie la teoria dell'anima del mondo che funge da elemento comune ad ogni ente e sopratutto rappresenta quel vincolo per mezzo del quale tutte le cose comunicano. Cogliere questo vincolo è prerogativa del mago, che nella sua indagine naturalistica parte dal “corpo” della natura per giungere “all'anima del mondo”. L'opera si presenta come una grande trattato poetico, con un ricco linguaggio metaforico. Essa ci immerge nella dinamicità e sensibilità della natura, facendoci cogliere gli infiniti odori , colori, sapori e rumori che ricamano il mondo naturale, così come le metafore ricamano il testo poetico. Ogni cosa, anche il più esile filo d'erba, racconta la storia del mondo e al tempo stesso la sua storia è fondamentale al concorrere della storia del Tutto. Questa originaria unione, questo originario “contatto” che sta alla base di tutti gli enti è uno dei motivi che ci introduce in quella che è la visione magica campanelliana. Il titolo dell'opera è seguito da un sottile e raffinato sottotitolo che in maniera chiara delinea quella che è l'idea campanelliana della natura e di ciò che la costituisce: “Parte mirabile d'occulta filosofia dove si mostra il mondo esser statua di Dio viva e bene conoscente, e tutte sue parti e particelle loro avere senso chi più chiaro chi più oscuro quanto basta alla conservazione loro e del tutto in cui consentono e si scuoprono le ragioni di tutti li secreti della natura”. 1
L'opera conobbe diverse traduzioni e pubblicazioni, fu consegnata nel 1607 a Gaspare Schoppe che avrebbe dovuto curarne la stampa, ma in seguito a delle difficoltà incontrate per un edizione veneziana, l'amico consigliò a Campanella di tradurre l'opera in latino affinché potesse godere di una più ampia fortuna in Germania. Nel 1620 verrà pubblicata a Francoforte da Tobia Adami; e un'altra ristampa vedrà la luce a Parigi nel 1636 e nel 1637, preceduta da una dedica al Cardinal Richelieu. 2 Cfr. AA.VV, Il testo filosofico, cit., pp., 239-240. La sezione relativa alla filosofia di Tommaso Campanella è curata da Giorgio Luppi.
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Da questi pochi versi già emerge quello che è il punto di partenza della fisica campanelliana. Innanzitutto la celebrazione della sensibilità che inerisce a tutto il mondo, definito come statua vivente di Dio, e come tutte le sue “parti e particelle”, godano di un rispettivo grado di sensibilità “chi più chiaro chi più oscuro”, affinché ogni ente sia nelle condizioni di preservare la propria conservazione. Il nesso tra autoconservazione e senso necessario a realizzarla, è il principio esplicativo dei diversi livelli della realtà3, in quanto la sensibilità non è una prerogativa dell'essere animale, ma è immanente ad ogni ente, seppur non tutti gli enti sentano allo stesso modo e con la stessa intensità. Il sentire di tutti gli enti (che è in stretta connessione, come vedremo con il “sentire originario” delle cause) e le conseguenti differenze di grado sono spiegate nel trattato dalle fondamentali e centrali nozioni di sensus e spiritus. Queste categorie campanelliane vengono ampiamente analizzate nei primi due libri che costituiscono il trattato, mentre il terzo libro passa in rassegna le diverse proporzioni di senso inerenti ad ogni ente (a partire dal senso del cielo,delle stelle, del fuoco e della luce, dell'aria, del senso delle pietre e dei metalli e delle piante). Mentre il quarto e ultimo libro, che conobbe anche una circolazione indipendente, è dedicato alla magia naturale. Campanella espone qui la sua visione dell'universale animazione di tutte le cose che mai si potrebbe comprendere se non si fa continuo riferimento alla perenne sensibilità della natura, descritta con solenni metafore, come quella del mondo raffigurato come un grande animale e dell'uomo come verme che vive al suo interno, presente in uno dei suoi sonetti più famosi “Del mondo e sue parti”; contenuto nella Scelta di alcune poesie filosofiche4. Il richiamo alla metafora è presente sin dal primo capitolo del Senso delle cose: “ Sente dunque il cielo e la terra e il mondo, e stan gli animali dentro a loro come i vermi dentro il ventre umano, che ignorano il senso dell'uomo, perché è sproporzionato alla loro conoscenza picciola”5. Non casualmente Campanella ripropone l'analogia nell'epilogo finale dell'ultimo libro: “Stanno come vermi dentro all'animale tutti gli animali dentro al mondo, né si pensano ch'egli senta, come li vermi del nostro ventre non pensano che noi sentemo e abbiamo anima maggiore della loro, né sono animati dalla commune anima beata del mondo, ma ciascuna della propria, come li vermi in noi, che non han la mente nostra come anima, ma il proprio spirito”.6 L'analogia che viene a delinearsi tra la condizione dell'uomo all'interno del mondo, e 3 Cfr. Tommaso Campanella, Del senso delle cose, op. cit., p. VII. 4 Tommaso Campanella, Scelta di alcune poesie filosofiche, in Opere letterarie, op.cit., p. 109. “Del mondo e sue parti”: Il mondo é un animal grande e perfetto,//statua di Dio, che Dio lauda e simiglia:// noi siam vermi imperfetti e vil famiglia,//ch'intra il suo ventre abbiam vita e ricetto.// Se ignoriamo il suo amor e 'l suo intelletto,// nè il verme del mio ventre s'assottiglia // a saper mema a farmi mal s'appiglia:// dunque bisogna andar con gran rispetto.// siam poi alla terra, ch'è un grande animale dentro al massimo, noi come pidocchi// al corpo nostro, e però ci fan male.// Superba gente, meco alzate gli occhi e misurate quanto ogn'ente vale:// quinci imparate che parte a voi tochi.” 5 Cfr. Tommaso Campanella, Del senso delle cose, op. cit., p. 3-4. 6 Ibidem, p. IV, 235. In questi versi Campanella puntualizza - per controbattere le obiezioni degli inquisitori - che la partecipazione di tutti gli enti alla vita e alla sensibilità del mondo non implica che tutti gli enti siano dotati di un anima intellettuale, come i vermi all'interno del nostro ventre non partecipano della nostra mente.
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quella del verme dentro il ventre dell'uomo intende instaurare un confronto: così come i vermi ignorano la vera natura dell'uomo, così gli uomini immersi nel ventre del mondo non hanno consapevolezza della sua vita e sensibilità. Questo raffronto ha in realtà una duplice finalità, se da un lato intende rivendicare realtà più grandi e complesse rispetto ai “piccoli vermi”, intende dall'altro ammonire l'uomo a divenire consapevole dei suoi limiti e sopratutto del ruolo che occupa all'interno di questo mondo dotato di sensibilità. Questo confronto, oltre che mettere in evidenza la somiglianza tra la condizione dell'uomo e quella del verme, ne determina anche la differenza. Infatti anche se «tutti gli animali stanno dentro il ventre del mondo e l'uomo con loro, come vermi dentro il ventre dell'animale, e pur solo gli uomini s'accorgono che cosa è questo secondo grande animale e li suoi principii, corsi, vita e morte. Dunque l'uomo non sta solo come verme, ma come ammiratore e luogotenente della prima causa, architettrice d'ogni cosa.»7 L'essere consapevoli dell'universale animazione e accogliere la teoria del senso delle cose, prerogativa dell'uomo, acquista un significato essenziale
per una considerazione naturalistica
dell'io. L'affermare o negare il “senso delle cose”, il <<senso ed amor>> a tutti gli enti, diviene un elemento discriminante di un determinato atteggiamento dell'uomo. Negare il senso delle cose significa assolutizzare l'amor proprio, dar precedenza alla parte e non al Tutto, significa “condannare se stesso all'alienazione, indossando una maschera che non rispetta la propria natura”, (<< talchè in sfinge / se stesso annichilando al fin converte>>, n. 10, vv. 3-4)8 in quanto solo chi adotta un atteggiamento corretto verso le cose, può operare su di esse. Affermare il senso delle cose, invece, equivale innanzitutto a riconoscersi come parte integrante della natura, e come tale, sentire quel legame originario con tutti gli enti. Ancor di più significa accettare l'idea che qualsiasi ente goda di un principio vitale (per via del quale ogni ente tende alla sua conservazione) comune al nostro, per cui la nostra esistenza e il senso del nostro essere vanno pensati in relazione al tutto e non come prerogative che l'opinione comune riserva solo all'uomo. In questo senso Campanella si allontana dall'esaltazione umanistica dell'uomo. Non disconosce le qualità che lo caratterizzano rispetto a tutti gli altri enti, ma ricerca ciò che, per lo più, accomuna l'uomo a tutta la realtà, nel tentativo di divenire consapevoli del nostro ruolo in quella “catena dell'altissimo consenso universale”. Anche il linguaggio campanelliano Del senso delle cose riflette la vitalità di tutta la natura “I suoni, gli odori, i colori, le passioni di ogni essere - l'allegrezza delle piante che, prostrate dal caldo estivo <<sono squallide, smorte, con le chiome abbassate come afflitti animali>>, sono espressi da
7 Ibidem, p. II, 95. 8 Tommaso Campanella, Scelta, in Opere letterarie, pp.,33-34. La poesia in questione è “Parallelo del proprio e comune amor”, p. 116.
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Campanella con un linguaggio corposo e lirico al tempo stesso”9. Il realismo di alcune espressioni rientra nella “ volontà espressiva di un'aderenza fisica quasi mimetica alla pulsione generativa intrinseca nella natura, che ci viene restituita con giovanile impetuosità in un libro immerso in una abbagliante luce mediterranea, percorso e animato da un onda sensuosa, che riproduce e dà voce al fluire ruscellante della vita”10.
9 Cfr. Tommaso Campanella, Del senso delle cose, op.cit., p. XXI 10 Ibidem, p. XXII.
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Incontro, superamento della filosofia di Telesio.
La ricerca di una filosofia che rappresentasse un alternativa allo spirito aristotelico diveniva uno dei principali obbiettivi del giovane Campanella. Intendeva liquidare le astratte categorie peripatetiche per rapportarsi alla natura per mezzo dei sensi, unica fonte di conoscenza certa e via maestra per raggiungere la verità. L'incontro con la filosofia telesiana rappresentò per il nostro filosofo calabrese una vera e propria rivoluzione. Gli permise di osservare la realtà con nuovi occhi, di elaborare e approfondire le categorie ontologiche del sensus e dello spiritus per fondare razionalmente il suo sistema filosofico, e poi, come vedremo, andar oltre l'influenza telesiana. Durante i suoi studi Campanella studiò Aristotele di cui ben presto iniziò una vera e propria opera di decostruzione, nelle otto dispute della Philosophia sensibus demonstrata (Napoli, 1591), scritta in difesa della filosofia naturale di Telesio (1509-1588), Campanella mette in atto una critica della filosofia di Aristotele sul piano fisico, cosmologico e metafisico sulla base dei principi della filosofia telesiana. Telesio rappresentò per Campanella una guida coerente con le proprie aspirazioni filosofiche, il fondatore di una filosofia immersa nella natura interpretata per mezzo dei sensi, affinché il filosofare non fosse una semplice astrazione. Fin dalla prima lettura del De natura iuxta propria principia (Roma 1565) Campanella rimase colpito dal nuovo orizzonte che la filosofia telesiana prospettava: una natura che si rivela da sé, secondo i suoi propri principi e non per mezzo di categorie metafisiche astratte come quelle aristoteliche della “forma”, “materia”, le quali delineano piuttosto una natura immaginata dalla ragione che la natura nella sua realtà. La critica della fisica e della ragione aristotelica porta Telesio a delineare una gnoseologia fondata sulla sensibilità. Il pensiero telesiano si presentava come un “colloquio critico con Aristotele”11, mettendo in discussione sopratutto la definizione della sostanza come “sinolo”. Considerando vere sostanze il caldo e il freddo che agiscono nella materia, che non è mai una privazione, ma un entità fisica, rimprovera ad Aristotele di non saper riconoscere le forze attive, e non sapendo definire il rapporto dinamico tra le forze agenti e la materia, Aristotele è costretto ad affermare una finalità esterna, distinta da quella interna riconducibile alla conservazione12. I due filosofi calabresi rifiutano l'impostazione, per così dire, violenta di Aristotele. I principi che regolano la natura sono immanenti ad essa, e l'uomo può coglierli, in quanto è lui stesso parte della natura. Ciò che maggiormente Campanella accoglie è proprio il fatto che Telesio si affida nella sua ricerca a “forze” anziché alle forme aristoteliche. Ma un elemento di 11
Nicola Badaloni, Sulla costruzione e sulla conservazione della vita in Bernardino Telesio, in, AA.VV, Bernardino Telesio, Nel 4°centenario della morte, Istituto nazionale di studi sul Rinascimento meridionale, Napoli, Ercolano 1989, la Buona stampa. (Edizione non venale, fuori commercio. Proprietà letteraria riservata). p.15. 12 Ibidem. p.17.
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estrema importanza per Campanella è rappresentato, dal fatto che Telesio collega il tema della sensibilità come struttura cognitiva degli enti a quello della conservazione della vita. Detto questo, viene a stabilirsi che le sensazioni ci dilettano, proprio perché <<sono rivolte alla nostra conservazione o vantaggio oppure al nostro piacere>>13, dunque, sembra dire Telesio, e Campanella ben l'accoglie, che il nostro essere tenda a tutto ciò che garantisce la propria conservazione, a tutto ciò “che appare a noi nella forma fenomenica della bellezza e dell'armonia”14. In ogni ente dell'universo telesiano echeggia invece una tendenza comune, quella all'autoconservazione. Qui la teoria telesiana sfocia in un coerente edonismo sensistico15 per il quale bene è ciò che favorisce la conservazione degli enti, male è ciò che ostacola, ciò che dispiace. Il desiderio di perseverare ciò che giova e allontanare ciò che nuoce, per definire ciò che è buono alla conservazione e ciò che e dannoso, richiede che tutti gli enti sentono, cioè percepiscano. Alle forze finali della fisica aristotelica Telesio, così come Campanella, sostituisce i due principi agenti incorporei del caldo e del freddo e un principio inerte passivo che funge da sostrato corporeo di quelli. Mentre il caldo è bianco, illumina, dilata e rende leggere le cose e di esso sono fatti il sole e i cieli, il freddo rende le cose più pesanti e perciò immobili, di esso è fatta la terra. Dall'opposizione delle due forze e dal contatto sulla mole corporea da parte del calore solare si genera la molteplicità degli enti, la cui diversità è data dalla varia intensità dell'azione del sole sulle parti terrestri. Dunque tra il mondo inorganico, vegetale, animale e umano esiste una differenza di grado dovuta alla capacità dei due principi di espandersi, diffondersi, e al prevalere dell'uno sull'altro. Anche Telesio nel De natura rompe definitivamente con l'impostazione aristotelica, una volta definiti i principi agenti, dai quali ogni cosa riceve la propria natura, possiamo anche definirli come “forma” e “sostanza” delle cose16, in perenne lotta tra di loro. La dinamicità telesiana si scontra così con la stabilità aristotelica, la quale ammette che la materia ospiti in potenza qualsiasi forma e qualità, ma solo una è agente ossia in atto, tutte le altre in potenza come fossero addormentate17. Da questa prospettiva è come sé ogni singolo ente accogliendo in sé la varietà delle forme delle quali solo una si fa visibile (in atto), le altre in potenza sarebbero come poste a caso, senza ordine, senza arte. Telesio, offre a Campanella una rivalutazione della natura, intesa come spontanea volontà di conservazione dello spirito, e molte delle teorie del cosentino, sopratutto quella della sensibilità universale, favoriranno l'estensione dei suoi principi al di là dell'ambito entro cui egli intendeva 13 14 15 16 17
Ibidem, p. 34. Ibidem, p.35. Cfr. AA.VV. Il testo filosofico, cit., pp.133-134 Roberto Bondì, Introduzione a Telesio, Bari, 1997, Editori Laterza, pp., 24-27. Ibidem, p. 25. Scrive Telesio nel De natura: << Sembra ai peripatetici, che nell'intera materia e in qualsiasi parte di essa si trovino tutte le forme e qualità, ma non tutte sempre in atto. Una sola è in atto, le altre in potenza, non agenti, ma come profondamente addormentate; se talvolta, e nell'eternità alternativamente, queste forme non passassero all'atto, sembrerebbero immesse là inutilmente>>.
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confinarle. Temi come quelli dell'universale animazione e della sensibilità, della conoscenza e del principio cosmico animatore, verranno interpretati da autori come Campanella alla luce del neoplatonismo rinascimentale, andando oltre i limiti conoscitivi posti dallo stesso Telesio. La sensibilità infusa in tutti gli enti è originaria dei principi agenti del caldo e del freddo che sono in grado di percepire e di essere percepiti. Il senso è infatti definito da Telesio come “propriae passionis perceptio”, cioè come la percezione della propria passione. Sulla scia del filosofo cosentino anche Campanella lo definirà come passione <<perché quando noi sentiamo il caldo o il freddo, caldi o freddi ci facciamo; ma quando non sentiamo quelli, è perché non sono tanto possenti che ci muovano>>18. Il sentire universale di tutti gli enti è cosi fondato sul sentire originario dei due principi agenti. Questo è ben spiegato nell'esordio del Senso delle cose, quando si legge: <<ente nullo potere ad altri dare quel ch'egli in sé non ha>>19. Poiché tutto è dotato di una sensibilità che non può aver avuto origine dal nulla, possiamo dedurre che anche i principi agenti del caldo e del freddo sono dotati di senso e vita, infusi poi a tutti gli enti del creato, anche se non nelle medesime proporzioni. La sensibilità originaria dei principi agenti è affermata in contrapposizione alle teorie degli atomisti e di Lucrezio, i quali sostenevano che il senso nasce da cose non senzienti, poiché <<di
non ridenti né piangenti elementi si fan gli uomini che ridono>>, mentre Campanella è
pienamente convinto che <<pur ci sia il riso e il pianto negli elementi, ma non a quel modo che negli uomini>>20. La critica della teoria atomistica inoltre era imperniata sul rifiuto della
dottrina
secondo cui ogni ente nasce dall'aggregazione casuale di più atomi che si muovono nel vuoto. Negando come dallo scontro casuale di queste particelle inermi possano derivare qualità attive come il caldo e il freddo <<talchè non sono né caldi né freddi, bianchi né neri, né senso hanno; ma di tali accoppiamenti nasce il calore, cioè di quelli che sono acuti, e il freddo dagli ottusi>>21. Questa teoria viene rovesciata da Campanella riprendendo l'esempio lucreziano riportato nel De rerum natura, secondo cui le lettere dell'alfabeto anche se gettate a caso si costituiranno in maniera tale da costituire un libro, ma ciò che qui si sostiene è che non è il caso l'elemento originario delle cose ma l'arte divina. Anche in un passo dell'Ateismo Trionfato (Paris 1636) riportato da Germana Ernst nell'introduzione al Del senso delle cose mette in evidenza la tensione tra “arte” e “caso”:
18 19 20 21
Cfr.T. Campanella, Del senso delle cose, op. cit,. I, p. 11. Ibidem, I, pag 3. Ibidem, I, 3, pag. 7. Ibidem, I, 3, pag. 8.
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<<Et da ridersi di Lucretio epicureo,che stima il Mondo a caso, agitandosi gl'athomi nel vacuo, esser nato dal congresso di quelli; perché mai il caso non haveria tanta ordinanza costrutto. E per star nel suo essempio, che dice sì come 24 lettere con vario ordine poste compongono vari libri, così degl'athomi variamente ordinati più mondi nascono a caso, dico che mai queste lettere che io ordino gettandole a caso non arrivariano a questo ordine di componer questo libro, come io lo faccio con arte, né mai gittando le lettere per terra si accoppiariano a far la Eneida di Vergilio: ma l'arte di Vergilio in pochi anni le ha ordinate alla costruttion di quel composto. Talchè negar l'architetto del mondo è come dire che l'inchiostro cadendo a caso ha formato tutte queste lettere insieme, e fece questo libro, e che le pietre, e calcina e legnami a caso si uniro a formar questa casa. O stoltitia grande. Se il caso può far quel che fa l'arte, dunque sarà egli Arte; o meglio è chiamarla causa artificiosa quelle che le forma e non caso.>>22
L'arte, l'ordine, l'armonia della natura, la provvidenza divina negate dagli atomisti rientrano pienamente nel sistema campanelliano. L'incontro con la l'opera di Bernardino Telesio acquista un ruolo fondamentale in un momento fondamentale. Quando Campanella si pone il problema di come passare dal libro tout court al “libro della natura”.23 Considerato che le attività che Campanella presenta come costitutive della sua formazione culturale, sono letteratura e poesia, mentre la filosofia sorge in un secondo momento, si pone la questione se e come la letteratura possa avere un riscontro con la realtà. In questo contesto l'incontro con l'opera telesiana si presenta come un incontro letterale, che riconferma il convincimento campanelliano che all'inizio è sempre un libro, ovvero la letteratura. Più volte Campanella sottolinea nelle sue opere l'importanza e il valore della letteratura per la sua carriera di filosofo. Il punto non è come passare dai libri che ci informano sulla natura a un contatto immediato con essa, ma come passare dalla nostra esperienza della natura ad un autentica lettura del libro della natura, lettura che coincide “con l'espansione dell'autocoscienza alla base dell'essere stesso delle cose”.24 Emerge un punto determinante del sistema filosofico campanelliano: la struttura auto-referenziale dell'essere. Secondo cui l'essere ha senso – tanto nel significato di attività percettiva che di autonomia ontologica – perché ha un originario senso di sé25. Come ben spiega Guido Giglioni nell'articolo citato, ritornando all'immagine del libro, possiamo dire che la lettura di un libro comporta l'acquisizione di determinate conoscenze ed è uno dei possibili un modi per fare esperienza del mondo. Il libro in quanto tale si configura come una fonte di significati, istituendo un insieme di relazioni di senso tra le parti. Allo stesso modo quando io conosco le cose è l'essere stesso delle cose ad attivarsi e conoscere. Affermata la teoria auto22 Ibidem, <<Introduzione>> a Campanella, pag. VII. 23 G. Giglioni, Senso, linguaggio e divinazione nella filosofia di Tommaso Campanella, in Rivista di storia della Filosofia, n.2, 2009. pag. 311. 24 Ibidem, p.311. 25 Ibidem, p. 318.
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referenziale dell'essere, possiamo dedurre dunque che ogni cosa in quanto è, conosce se stessa e sente il suo essere e sa di essere. Proprio questo aspetto rappresenta una novità fondamentale, e proprio in questo punto si definisce il superamento della filosofia telesiana. L'io nell'atto di conoscere necessariamente riconosce se stesso, poiché è trasparente e presente a sé. Così diciamo noi <<che ogni ente senziente sente in quanto pate, e in quanto pate non è quella cosa ch'ei sente, ma ben è un altra cosa che non sente di fuori così per accidente, ma per essenza, perché ogni cosa conosce se stessa essere, e ripugna al non essere e ama se stessa>>26 . La conoscenza che l'io ha di se è una conoscenza innata (notitia indita), differente dalla conoscenza delle altre cose. Infatti << se stesso conosce lo spirito senza passione, naturalmente, perché ei da sé non può patire, sendo a sé similissimo; ma poi, per le passione d'altre cose, par ch'egli ignori sé stesso e poi si riconosca dalle proprie operazioni e d'altrui, riflettendo in sé per discorso la conoscenza passiva estrinseca>>27.Per Campanella non può esserci ente naturale che non sia consapevole di essere dotato di vera attività, attività che presupponga un forte concetto di identità, ossia il senso che ogni ente ha di se stesso, ciò che Campanella chiama sensus sui. Il sentire, abbiamo detto è patire, ossia un essere modificato dall'oggetto esterno, ma è anche un divenire in “contatto” con la cosa conosciuta. Nella gnoseologia campanelliana la relazione che si viene a instaurare tra soggetto-oggetto della conoscenza acquista un particolare significato. Questa relazione si presenta come una “compartecipazione con la cosa stessa, cioè con quell'intimità della cosa che è lo stesso processo espressivo di Dio, il fare divino, che adegua Potenza e Amore”.28 L'esperienza pensata come compartecipazione alla vita universale, va oltre il concetto telesiano di esperienza da cui Campanella era partito. Fare esperienza di un oggetto (definita da Campanella, in quanto conoscenza aggiuntiva, notitia addita o illatata) e quindi patire, significa accogliere in sé un nuovo limite, slegare le cose dal limite che le costituisce, dal loro niente e collocarle nella vita del tutto. Questo è il trapasso campanelliano che va da una teoria del senso inteso come diretta esperienza, per giungere alla comprensione della totalità dell'essere. In questo senso possiamo dire che la conoscenza da un lato rappresenta un momento di arricchimento per il soggetto conoscente, ma influisce al tempo stesso sulla notitia indita, turbandone la purezza e in qualche misura offuscandola, come se nell'atto di conoscere ci alienassimo dal nostro essere per trasferirci in quello dell'altro. Questo determina il fatto che “ l'acquisto rappresentato dalla notitia addita si rivela allora estraneamento di sé, alienazione”.29 Nel sistema campanelliano il senso naturale telesiano rappresenta il momento di auto-oblio, per cui il soggetto sente di percepire prima gli altri enti e solo successivamente se stesso. Ma anche ogni 26 27 28 29
Cfr. Tommaso Campanella, Del senso delle cose, op.cit., p. 67. Ibidem, p. 67. Cfr. Eugenio Garin, L'umanesimo italiano, op. cit., p. 249. AA.VV., Il testo filosofico, cit., pp.242-243
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forma di estraniazione nell'atto percettivo altro non è che una riconferma della strutturale percezione del sé30. Questa apparente sconoscenza di sé deriva innanzitutto dal fatto che l'io conosce se stesso secondo modalità differenti da quella con cui conosce altre cose. Poiché l'io ama se stesso, si conosce di una conoscenza che Campanella chiama essenziale e non discorsiva, infatti <<ogni anima sé stessa sa, poiché opera per vivere tante arti, e ama se stessa, e l'amor nasce dalla conoscenza, ma non conosce se con discorsi, perché il discorso è di cosa dubbia, ma essa per natura e per essenza se conosce, e tutte le altre cose per discorso, in quanto sente se stessa da quelle mutarsi e quelle farsi>>31. La conoscenza di sé è la condizione di quella addita, derivante dalle modificazioni indotte dagli enti, questa conoscenza coincide con la sapienza, primalità costitutiva al pari del potere e dell'amore. Infatti il “sensus sui” non è l'unica propensione costitutiva dell'io e degli altri enti. Ogni ente è caratterizzato oltre che dalla conoscenza di se, da tre fondamentali momenti che costituiscono la struttura originaria dell'essere. Per esempio quell'ente che è l'io, oltre alla conoscenza di sé, è potenza di essere, volontà o amore di essere. Così nell'unità di queste tre primalità, potenza, amore e conoscenza del proprio essere, viene individuata la struttura fondamentale di tutti gli enti. Infatti, in ognuno di essi è possibile osservare il manifestarsi di queste primalità. È chiaro che in ogni ente le tre propensioni originarie si manifestano in gradi e proporzioni differenti in rapporto alla loro natura. Se l'essere di tutti gli enti coincide con l'unità delle tre primalità, potentia essendi. sapentia essendi e amor essendi, queste non sono allo stesso modo nell'essere Dio. Dio, essendo il creatore dell'essere, è infinita potenza, infinito amore e infinita sapienza. Mentre noi tutti, invece, in quanto generati, siamo enti finiti e, come osserva Campanella, la finitudine non può derivare dall'essere ma dal nulla. In quanto composti di essere e di nulla, siamo soggetti al divenire. Anche il nulla, come l'essere, è costituito da tre primalità, che vengono definite come negazione delle tre primalità positive dell'essere, impotenza, insipienza, disamore. Gnoseologia ed ontologia vanno di pari passo. Il senso delle cose32 non si esaurisce semplicemente nella reattività materiale telesiana ossia “nella capacità di reagire ad una potenza esterna senza esserne a conoscenza”33, ma nell'atto di divenire parte del significato del tutto, nel concepirsi come soggettività percipiente che tale si riconosce nell'atto conoscitivo stesso. Nell'universo campanelliano tutto ciò che è, è in quanto può essere, è in quanto sa di essere e infine è in quanto vuole essere. Le teorie telesiane dell'animazione e della sensibilità universale sono
30 G. Giglioni, cit., pp.317-318 31 Germana Ernst, Tommaso Campanella, cit, p.131. 32 La categoria ontologica del sensus verrà ampiamente trattata nel paragrafo successivo in tutti i suoi aspetti e in riferimento a tutti gli enti, così come è delineata nel trattato Del senso delle cose e della magia. 33 G. Giglioni. cit., p.313.
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portate agli estremi, per sfociare in una visione magica della natura. Mentre in Telesio non è presente la componente magico-ermetica, nonostante molti temi del De natura siano di chiara matrice ermetica, basti pensare all'importanza che acquista la dottrina della sensibilità universale delle cose per la fondazione della fisica e gnoseologia di Telesio. La prerogativa del filosofo cosentino è mantenersi fedele alla natura, osservarla per poterla interpretare affidandosi al senso come unica giuda, in quanto il sapiente “amante e cultore di un sapere totalmente umano” non lascia spazio alle oscure rivelazioni34. L'occhio campanelliano è più sensibile a cogliere le infinite corrispondenze tra microcosmo e macrocosmo, ad osservare la natura per coglierne il linguaggio e farsi interprete e profeta di essa. L'occhio telesiano sembra in confronto miope. Questo spiega l'estraneità di Telesio a suggestioni astrologiche - per esempio sul tema della comete, tema caro a Campanella35 , rifiuta totalmente l'idea che la comparsa delle comete sia segnale di morte e sventura per i prìncipi, affermando come sia impossibile comprendere come simili fenomeni possano annunciare simili eventi. Entrambi sono partiti da una medesima posizione, affermando che tutte le cose sentono, ma ci troviamo difronte a due differenti modi di sentire distinti da un diverso approccio alla realtà.
34 R. Bondì, cit, pp. 18-19. 35 Campanella scrisse anche un trattato “Discorso sulla cometa” che riportava la descrizione di alcuni insoliti fenomeni celesti avvenuti negli ultimi mesi del 1618: la “trabe” di novembre (corpo celeste con la forma allungata) e sopratutto la spettacolare cometa. In quest'opera le comete sono definite come <<gran signali scritti nel libro del cielo con le dita di Domendio>> sono segni di un linguaggio universale che si palesa a tutti gli uomini - << in ogni terra e linguaggio parlano splendendo>> - , e il cui significato deve essere interpretato. Campanella intende assumere su di sé il ruolo di << sentinella utilissima in questo secolo delli divini iudici>>. Si veda per il tema delle comete e sul loro carattere profetico G. Ernst, Tommaso Campanella, op. cit., pp., 181-183.
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II.2 categorie ontologiche campanelliane: sensus e spiritus
Se Della Porta, nell'osservare le particolari proprietà occulte di minerali, piante e animali affermava che non è possibile offrire una spiegazione razionale dei rapporti di simpatia e antipatia tra gli enti naturali, e si limitava ad ammirare lo spettacolo della natura, Campanella nel Del senso delle cose reinterpreta questa tradizione alla luce della dottrina del senso delle cose e dello spirito. É già stato accennato che l'impostazione campanelliana confluisce in una visione animistica della natura. Ora si tratta di analizzare le categorie ontologiche campanelliane e “ vedere cosa è senso, e come ogni forma è sensitiva”. Il senso è la nozione che costituisce il cuore pulsante del Senso delle cose. In realtà Campanella non fa riferimento ad un significato univoco di senso, ma con grande maestria usa diversi registri speculativi a seconda delle necessità argomentative. Questa nozione, come vedremo, è strettamente collegata a quella altrettanto centrale dello spiritus, in quanto ogni sensazione si presenta come una forma di “toccamento” dello spirito. Nel saggio citato Guido Giglioni propone l'analisi delle dimensioni del senso campanelliano rinvenibili nel trattato36. La prima definizione di senso che incontriamo è la più vicina alla nozione telesiana di “reattività primordiale e sensibilità tattile tale da interessare tutta la materia (<<sendo passione il senso, e la materia nata a patire, è attissima a sentire>>) ma in modo particolare le sue parti più tenui e rarefate”37 come la luce, il sole e le stelle “sensitivissime stimar si devono”38. La patibilità e la ricettività sono due caratteriste fondamentali di questa dimensione del senso in quanto garantiscono sia la conoscenza che la conservazione della vita. Quindi << il senso è percettione di passione alla quale, s'è distruttiva e dolorosa, si resiste e contrasta, e, s'è piacevole e conservativa, si applude, segue et ama>>39. Poiché il senso è passione di due sorti o “ci diletta o ci dispiace”, esso non è solo perfettivo come sosteneva Aristotele, ma anche corruttivo. A questo punto sostiene Campanella “il senso non si fa per informazione”, vale a dire per accoglimento di forme esterne, come vuole lo Stagirita ma per “immutazione”40,ossia per le alterazioni percepite dallo spirito. Alterazioni che sebbene parziali sono in grado di fargli giudicare le qualità dell'oggetto esterno. Se così non fosse, spiega Campanella, la sensazione si risolverebbe nella <<total destruzione della precedente forma e introduzion dell'altra>>41. Dunque il sentire è una sintesi percettiva derivante dalla continua esperienza del sentirsi toccati. 36 37 38 39 40
Cfr. G. Giglioni, cit., p. 311. Ibidem p. 314. Cfr. T. Campanella, Del senso delle cose, cit., p.60 Ibidem, p.12. Aristotele nel definire la natura della sensazione, si rifà ancora una volta alla dottrina metafisica della potenza e dell'atto. Noi abbiamo delle facoltà sensitive che non sono in atto, ma in potenza, cioè capaci di ricevere sensazioni. Esse possono essere paragonate a un combustibile, che non brucia se non a contatto con il corburente. 41 Ibidem. p.11.
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Infatti non si può sentire una cosa che non si tocca, a meno che questa non abbia dei legami di somiglianza con le cose già conosciute, e quindi già sentite. Per questo <<quando noi vedemo quel che abbiamo viso, o un altro simile, subito patiamo il medesimo; come chi vede una festa, si ricorda d'un altra e s'allegra e chi vede la nave, si ricorda la nausea che patì in mare e vomita di nuovo>>42. Dove non arriva il tatto immediato, subentra quello analogico dell'immaginazione, della memoria e del linguaggio, per via del quale lo spirito umano e animale - e non quello dei vegetali e dei minerali - in quanto più ottuso- è capace di conservare le modificazioni e impressioni ricevute, e di risvegliarle quando si presentano situazioni simili. Di qui la memoria, in virtù della quale ci ricordiamo dell'allegrezza e della nausea che abbiamo sentito, e si rinnova in noi l'allegrezza o la nausea, seppur con minor intensità <<perchè l'oggetto non è presente, ma solo come cicatrice è rimasto>> e tante sono le similitudini tanti sono i ricordi43 ( similitudini di sostanza, di tempo, di luogo, d'azione, di figura, etc). Anche l'immaginazione è collegata con la memoria e con il senso, nell'atto immaginativo si svegliano nel nostro spirito tutte le passioni simili alla cosa immaginata. Anche il discorso a sua volta è connesso con l'immaginazione: << il senso non è solo passione , ma si fa insieme con discorso tanto presto>>44. Il discorso è un sentire nel simile, un discorrere dal simile al simile, perché noi “discorriamo” all'ignoto attraverso ciò che ci è già noto. In questo modo posso pensare a un uomo a cento teste o a un castello in aria, in quanto l'uomo, il castello, l'aria e le teste sono già note al mio spirito. La memoria, l'immaginativa, il discorso non hanno origine da facoltà diverse e astratte ma sono operazioni che derivano dallo spirito senziente e dalla sua capacità di conservare, risvegliare passioni analoghe45. Queste tre facoltà sono proprie dell'uomo, e di quegli animali “che hanno spirito sciolto dentro le cavità”, che hanno memoria e discorso; e non le piante, per il loro essere ottuso”46. Campanella ci illustra quali sono le eccezionali qualità degli animali. Sanno adottare forme di organizzazione collettiva, sanno usare forme di medicina, di profezia naturale, e religiosità e attraverso la memoria, l'immaginativa, e il discorso «patono dall'aria, sentono quel che in aria s'ha da fare, e l'una formica impara dall'altra come noi, e così si proveggono»47. L'autentica e radicale differenza è che l'uomo non solo è dotato di uno spiritus, ossia di un anima senziente e soffio caldo costituito di materia attenuata e purificata dal calore solare, e imprigionato dentro la materia non potendo esalare verso il cielo, da cui proviene, organizza e modella la materia nei modi più convenienti ai propri bisogni. Di gran lunga più raffinato e puro rispetto a quello 42 43 44 45 46
Ibidem, p.12. Ibidem, p.77. Ibidem, p.12. Ibidem, << Introduzione>>. p. X. Ibidem, p.12. Lo spirito degli animali essendo più raffinato e muovendosi liberamente nelle cavità celebrali permette operazioni che le piante non possono compiere perché il loro spirito è più grossolano. 47 Ibidem, p.87.
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dell'animale, ha anche una mens di origine divina, che costituisce la sua dimensione specifica. In quanto le prerogative dell'uomo non si risolvono nel mondo naturale, ma con la sua capacità di protendersi con il pensiero all'infinito ne prova che è figlio di una causa infinita.48 Mentre il fuoco <<non può far più che attenuare, scaldare, movere, imbianchire, ammollire e densare le cose dissimilari, e quel tutto che il suo generante faceva o poteva fare; anzi mai non può arrivare a farsi come il sole onde egli è derivato. Né l'acqua fa più operazione che l'acqua, né la terra più che di terra>>49. L'attività dell'uomo invece non si ferma sotto la natura degli elementi ma si protende al di sopra di loro. La seconda dimensione del senso campanelliano è quella teleologica, secondo la quale il senso è un azione diretta ad un fine. Constatato che ogni ente naturale rifugge dal proprio contrario per legarsi al suo simile, e che l'uno conosce l'altro esser suo nemico, e acquisito che, senza opposizione non ci sarebbe generazione, affermiamo con Campanella che tutti gli enti sentono. Questo è testimoniato dal fatto che <<Dio ha largito ad ogni cosa quelle virtù che bastano alla conservazione loro; e perché nulla facultà e più necessaria, che la conoscenza del simile che ci serba dal nemico che ci strugge, è forza dire che questo sentimento sia in tutte le cose naturali.>>50 Quindi il sentire di tutti gli enti è necessariamente rivolto ad un fine, che è l'ordine del mondo. Altrimenti <<il mondo sarebbe un caos>> perché << il fuoco non andria in alto, né l'acqua al mare, né le pietre caderiano giù, ma ogni cosa dove fusse posta si rimarrebbe, non sentendo la sua destruzione tra contrarii, né la conservazione tra simili>>51. Quindi continua Campanella il senso di tutti gli enti è tale da fondare e garantire l'ordine del mondo. Ma come potrebbe il “senso di tutti gli enti” garantire l'ordine del mondo se il senso non fosse essenzialmente sensus sui? Facendo riferimento a quanto già detto precedentemente52, ogni ente gode innanzitutto di una conoscenza innata, che è senso di sé. Cosi anche nell'intimità della natura campanelliana agisce una potenza autocosciente, che non è semplicemente una forza istintiva, ma una potenza per via della quale la natura non tende solo al fine, ma lo conosce53. Una vera facoltà operativa non può essere spinta ad agire dall'esterno, in quanto sarebbe il risultato di una violenza, ma neanche per caso. Piuttosto questa facoltà deve essere spontanea, e in quanto spontanea deve basare la sua azione sulla “conoscenza della propria azione”. Dunque il sentire di tutti gli enti è legato da un punto di vista particolare alla tendenza naturale di perseverare il proprio essere, da un punto di vista universale coincide con l'ordine e l'armonia del tutto. Come si vede la dimensione teleologica del senso anticipa quella cosmologica. Il senso è principio 48 49 50 51 52 53
Ibidem, << Introduzione>>. p. XI. Ibidem, p.90. Ibidem, p.15. Ibidem, p.13. Supra p. 24. Cfr. G. Giglioni, cit., p. 314.
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d'ordine dell'universo su cui si basa la sua auto-conservazione. Considerato che il senso delle cose è in stretta corrispondenza con il senso del tutto, diciamo che l'auto-conservazione del tutto è il fine ultimo a cui tende la conoscenza di sé dell'universo. Sopratutto in questa specificazione della nozione di senso, rivivono gli echi dello stoicismo e in particolare della dottrina dell'oikéiosis. Con questo termine gli stoici indicavano quella tendenza a appropriarsi del proprio essere e di tutto ciò che è atto a conservarlo, e a conciliarsi con le cose che sono conformi alla propria essenza. La dimensione cosmologica del senso e della necessaria compenetrazione tra la parte e il tutto si ricollega alla persistente visione campanelliana dell'armonia universale. Essa poggia sull'idea che tutti gli enti naturali, per via della medesima origine, godano di un linguaggio naturale attraverso il quale tutte le cose comunicano. E cos'è il comunicare se non un legame, un con-tatto tra tutti gli enti? Scrive Campanella: << Tra le cose ci è la significazione commune che si fa per via di tatto. Cosi toccando l'aria un altr'aria, sa l'effetto di quella, perchè vien mossa o scaldata o raffreddata da quella; e una stella, all'altra i raggi mandando, i suoi conoscimenti communica>>54. In questo passo viene espressa quella solidale esperienza comunicativa, che in un certo senso rende partecipe ogni ente della vita dell'altro per dar voce all'armonia del tutto. Ma come è possibile che le cose comunichino tra loro? Il linguaggio naturale di cui sono dotate è un linguaggio analogico, basato sulle naturali somiglianze tra le cose. Campanella per chiarirne la natura da un lato lo pone sullo stesso piano del linguaggio delle intelligenze angeliche << che subito si comunicano il concetto, e quanto stiam noi a figurarne uno, essi ne significano mille>>, dall'altro lo contrappone a quello umano. Infatti quest'ultimo <<essendo un significare impedito e tardo>> è meno espressivo del linguaggio naturale del senso attraverso cui comunicano le cose. Ma ha un vantaggio, che è quello di espandere il raggio ricettivo ed espressivo del senso, che altrimenti rimarrebbe confinato nell'atto della percezione auto-cosciente di sé55. Quindi anche il linguaggio nell'universo campanelliano contribuisce a definire in che misura le cose concorrono al benessere o alla rovina del soggetto percipiente. Così se il senso è “percezione del significato delle cose”, il linguaggio si configura come “un estroflessione del senso, attraverso cui lo spirito arriva a significare e comunicare il significato del tutto”56. Attraverso il linguaggio il senso mostra la sua incessante tendenza all'espressione e alla determinazione. Campanella nomina questo processo di onnicomprensiva auto-articolazione del senso “essenziazione e corporazione dell'essere”57. Il linguaggio viene a configurarsi come uno strumento dello spirito senziente, che colma i vuoti e le mancanze della sua esperienza sensibile, con costruzioni analogiche a partire dagli originari rapporti del sé con se stesso 54 55 56 57
Cfr. Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p. 56. Cfr. G. Giglioni. p.316. Ibidem, p.316-317. Ibidem.
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e con il resto della realtà. Per questo lo spirito campanelliano interpreta l'universo con inedite metafore, superando quella distanza tra sé e l'altro da sé. Anche l'azione a distanza, come quella simpatetica o magnetica, in cui la possibilità del contatto materiale è esclusa a causa della distanza spaziale e temporale, è fatta salva dalla metafora. Questo però non deve farci dimenticare il postulato fondamentale di Campanella per cui la conoscenza è tutta tattile, e che le metafore non sono semplici astrazioni intellettuali, ma potenti surrogati del tatto. Affermare questo, vuol dire accettare l'idea che le parole possano esercitare un alterazione sul nostro spirito. E questo nel lavoro campanelliano è dimostrato in modo eclatante dall'opera magica58. A questo proposito Campanella rievoca un esperienza delle sua infanzia, quando era stato guarito dal mal di milza grazie alle cerimonie di una donna59. E tanti sono gli esempi e i fatti di questo genere che Campanella riprende sia dalla cultura popolare, sia da esperienze autobiografiche, interpretandoli alla luce di una specifica visione della realtà. La concezione propriamente filosofica dello spiritus campanelliano si rivela fondamentale per poter comprendere in che modo sia possibile subire una passione o un'alterazione dello spirito quando il contatto diretto è impossibile per via di una distanza temporale o spaziale. Questo può essere interpretato sulla base di particolari predisposizioni di cui gode lo spirito, non solo umano, ma anche animale, come già abbiamo visto, e in virtù della sua concezione corporea. A questo punto sembra necessario fare un passo indietro fino a Telesio, per ricostruire la nozione centrale di spiritus che in questo contesto assume un valore essenziale per la comprensione delle dinamiche simpatetiche. Se la dottrina della sensibilità universale è centrale nell'opera telesiana, non è tuttavia il concetto chiave, che è quello di spiritus. Di solito lo spiritus viene considerato come una sostanza corporea di natura del tutto particolare, per la sua sottigliezza si pone come qualcosa di intermedio tra l'anima e il corpo, il punto d'incontro tra il sensibile l'intellegibile. Ma non nel caso del filosofo cosentino, che inchioda il concetto di spiritus, alla sua natura corporea, per cui esso si presenta come dotato di una propensione al movimento, tralasciando invece il carattere intermedio dello spiritus. Cioè Telesio ne individua fondamentalmente soltanto, le funzioni organiche che le son proprie, e che precedono il processo stesso della sensazione, e lo pone come il solo reale principio di conoscenza, in cui momento attivo e momento passivo, modificazione esterna e avvertimento di essa siano indistinguibili, e interdipendenti tra di loro, non concepibili separatamente60. Le caratteristiche dell'anima senziente sono per i due filosofi la corporeità, la tenuità, la mobilità e la lucentezza. Scrive Telesio: <<Se infatti non fosse corporea, come potrebbe patire ed essere mutata dalle forze del caldo e del freddo e come potrebbe essere dilatata e contratta? Se non fosse 58 Cfr. Tommaso Campanelle, Del senso delle cose , p. 214. 59 Ibidem, p.215. 60 Cfr. Alfonso Ingegno, Corpo, spiritus, anima. Il problema della libertà in B. Telesio, in, Bernardino Telesio nel 4° centenario della morte, cit., p.57-61.
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tenuissima come potrebbe essere dilatata e contratta anche da forze debolissime? […] Se non fosse per sua natura mobile e lucida, come potrebbe dilettarsi a tal punto del movimento e risplendere?>>61. Ancora una volta Campanella si rifà a Telesio, e quest'ultimo a sua volta si affaccia a una lunga riflessione intorno al concetto dello spiritus, che tra il Quattrocento e il Cinquecento, diviene “il luogo di incontro delle nuove tendenze neoplatoniche, pitagorizzanti ed ermetizzanti”62. Lo spiritus infuso nell'uomo, è partecipe dello spirito che permea il tutto, ossia di ciò che Campanella chiama anima del mondo, e tutti i gran saggi come “Sant'Agostino, nel libro imperfetto Sopra il Genesi, e san Basilio nell'Esamerone, credono e provano che ci sia questa mente; così Platone, Trimegisto.”63 L'anima mundi è il primo strumento della potenza e sapienza divina, infusa da Dio nel tutto e così << il mondo ha lo spirito che è il cielo, e grosso corpo la terra, sangue il mare, mente quest'anima; e l'uomo dunque sarà epilogo e compendio del mondo>>64. In questo bellissimo e densissimo passo Campanella ancora una volta rivendica il presupposto di una fondamentale unità ontologica, che abbraccia e governa tutta la molteplicità del creato e di cui l'uomo diviene l'epilogo e compendio dell'universo. Lo spiritus dell'uomo è veicolo della vita del tutto. Ammettendo e riconoscendo nello spirito del mondo la radice unificante della totalità di tutti gli enti, l'uomo è in grado di percepire “le voci del tutto”, “il gusto del tutto”, “i profumi del tutto”, e farsi interprete degli infiniti rimandi universali, che aleggiano nell'aria come misteri impenetrabili65. Una volta affermato che la totalità del reale si configura come un infinito ed eterno respiro, e colto il legame metafisico che lega lo spiritus umano a quello del mondo, possiamo addentrarci nella selva di racconti e dottrine occulte che rappresentano una costante della vita e del pensiero del filosofo. Riprendiamo ora una passo del trattato in cui Campanella racconta un aneddoto le cui protagoniste erano delle donne che <<s'invitaro ad andare in giardino; una non ci andò; l'altre presero un citrangolo e lo pertugiavano con acuti stecchi e dicevano così: - Pertugiamo la tale donna che non volse venire con noi, e più volte facendo questo, gettarono il citrangolo nella fonte del giardino, e si partirono, e trovarono poi quella donna tutta addolorata che si sentiva transfiggere come da chiodi acuti, […] finché tornarono a pigliare il citrangolo, e fecero imprecazioni buone, e lo schiodaro, e quella andò risanando>>66. Questo episodio, come tanti altri citati nel trattato, può suscitare perplessità o quanto meno può rimandare alla sfera delle
61 Roberto Bondì, Introduzione a Telesio, cit., p.76. 62 Eugenio Garin, Il termine “spiritus” in alcune discussioni fra il Quattrocento e Cinquecento, in , Umanisti, artisti e scienziati. Studi sul Rinascimento italiano, cit., pp.295-304. 63 Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p.119. 64 Ibidem, p.120. 65 Campanella nella sua Ethica, seconda sezione della Philosophia realis (1623), delinea l'immagine di colui che può addentrarsi nei misteri dell'universo e cogliere le forze simpatetiche che lo governano. Colui è il magnanimo, che è ben consapevole che la vera nobiltà è quella interiore, e la cui predisposizione d'animo è atta ad affermare il senso e consenso di tutte le cose. 66 Ibidem, pp.215-216.
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superstizioni e racconti popolari. È però importante qui cogliere tutte le affinità con quanto detto in precedenza. Ciò che a noi interessa non è la legittimità o meno dell'accaduto, ma il fatto che la cerimonia messa in pratica da queste donne, come qualsiasi pratica magica, si configura come un atto puramente intenzionale diretto ad un fine preciso, dotato di una forza o intensità intrinsecaconseguente alla volontà dell'operatore - e quando “tocca” ciò a cui era diretta si estrinseca. Infatti <<le cerimonie servono assai per mutare il nostro affetto e imprimerlo così nell'aria, la qual communica alla cosa dove lo mandiamo, se quella cosa è disposta, e pur noi lo sentiamo, come il cacciatore sente se la freccia ha colpito, per il ritorno del senso e del moto>>.67 Si tratta di capire in che modo le parole, pensate non solo come semplici moti del suono nell'aria, ma come “segni” abbiano forza magica. Scrive Campanella basta osservare come il poeta può far <<l'uomo piangere allegrare e adirare, ricordandoli cose che per natura movono a questo>>68, inoltre nota come diversi suoni generano nello spirito affetti diversi: <<gli aspri della trombetta e tamburo lo infuriano a guerra et ira; i molli e piani del liuto ad amore>>. Lo spirito senziente è predisposto a ricevere anche questo genere di “toccamenti”, anche se è importante far riferimento all'importanza che Campanella conferisce ai diversi temperamenti dello spirito che appunto influiscono sulla capacità di ricevere determinate sensazioni69. Ora che con Campanella abbiamo esteso la sensibilità a tutti gli enti del creato, in quanto tutti generati dal calore - fonte animante ogni cosa - dobbiamo interpretare le argomentazioni campanelliane, attraverso cui si passano in rassegna le diverse proporzioni di senso di cui ogni ente è dotato. Il terzo libro del Senso delle cose inizia col delineare lo spirito di estrema purezza e il <<senso esquisito>>70 di cui sono dotate il cielo e le stelle. In queste densissime pagine Campanella non si stanca di ribadire in polemica con Aristotele - che ritiene il calore solare esser prodotto dall'attrito delle sfere celesti – la natura celeste di ogni calore. Proprio perché “caldo” tutto il cielo sente, e i moti celesti non sono prodotti da motori separati, ma sono operazioni proprie del calore. Il cielo è unico e i moti stellari sono più o meno veloci a seconda dalla vicinanza e lontananza dal sole, dunque <<tutto il cielo sentire e conoscere la sua conservazione, e per questo moversi, che è sua vita il moto, come alla terra la quiete; poiché il calore sente e muove ogni cosa che occupa>>.71 Anche la luce dotata di <<acutissimo senso>>, riflettendosi in tutti i corpi, tende a moltiplicarsi, generarsi e ampliarsi, cercando di introdursi anche nei luoghi più oscuri, ma <<nelli corpi 67 Ibidem. 68 Ibidem, p.211. La poesia gioca un ruolo molto importante in questo contesto, in quanto viene esaltata da Campanella come la parte più perfetta della magia vocale. Cfr. Tommaso Campanella, Opere letterarie, cit., pp.22-23. 69 Ibidem, p.117; p.143. Basti pensare a proposito al temperamento degli uomini melanconici, che con il loro spirito fuligginoso e sottile sono predisposti a tendenze profetiche. Questo aspetto verrà ben affrontato da Campanella nel terzo libro del trattato. 70 Ibidem, p.129. 71 Ibidem, p.123.
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trasparenti, qual l'acqua e li cristalli, si vede ella vagheggiarsi, aumentarsi e penetrare come cose simili, e godere e unirsi e infocare poi le cose che non sono bianche perché a lei sono dissimili>>72. Essa non può che provenire dal sole, in quanto ogni luce è calda come affermavano sant'Ambrogio, secondo cui <<è eresia torre calore al sole>>. Così come la luce ha forza diffusiva, lo stesso si deve stimare del fuoco che quando è rinserrato nella terra distrugge ogni cosa, della tenebra e del freddo73. Sente anche l'aria, definita da Campanella come <<anima commune>>, per mezzo della quale tutti noi comunichiamo, e in essa si conservano come cicatrici tutte le passioni dello spirito. Anche il nostro stesso spirito è “aereo”, tant'è che ve sono alcuni che sentono nell'aria quel che pensano gli altri, proprio perché anche il pensiero si configura come un moto dello spirito comunicabile per mezzo dell'aria. Come i pesci stanno nell'acqua, così noi, spiriti senzienti siamo legati all'aria. Non solo lo spirito si nutre dell'aria in quanto esala continuamente in lei, tendendo al suo simile, ma che l'aria senta è dimostrato dalla sua tendenza a <<riempire il vacuo, e questo essere atto di virtù senziente. […] Dunque l'aria per la luce vede, per li vapori ode, per la tenuità gusta, e per la compressione e caldo e freddo tocca, pate doglia e piacere, e senza organi tutta sente e consente>>74. Inoltre il senso dell'aria risulterà di particolare importanza per le virtù profetiche dell'animale75 e dell'uomo. Sentono anche le acque, nelle quali vivono pesci e “arbocelli”, che senza caldo e senza senso non si potrebbero immaginare. Inoltre che loro sentono è dimostrato dal continuo moto conferito loro, dal calore del sole e dalla luna, dalla tendenza a riempire e combattere il vuoto. Ma basta solo osservare come << gettando gocce d'acqua su le frondi d'alberi, pigliano la figura sferica e s'uniscono per non dividersi e morire>>76, anche sé, afferma Campanella il loro senso risulta più “ottuso” rispetto a quello dell'aria. Le pietre e anche i metalli non sono esclusi dall'elenco di Campanella. Seppur il loro senso non sia al pari degli altri enti, ma risulti essere più “ottuso”, è comunque dimostrato dal fatto che <<tutti contengono in sé calore, e però le pietre percosse fuori lo manifestano, e li metalli assai fregati similmente, s'infiammano e accendono e faville mandano>>77. Un ulteriore prova del loro senso è mostrata dal fatto che le pietre e i metalli si nutrono, crescono, e modificano il suolo in cui vivono, basti pensare, spiega Campanella ai diamanti <<che crescono in piramide e i cristalli in figura cuba>>. Ma anche i minerali, seppure oscuratamene sentono, si nutrono e convertono i liquidi della terra, e son venuti costruendo nel tempo catene montuose. Dunque ogni cosa che si nutre tira a sé <<il nutrimento, non d'ogni sostanza e qualità, ma di quelle che a essa è simile, e rifiuta il contrario,
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Ibidem, p.131. Ibidem, 131-133. Ibidem, p.135. Infra, p. 55. Ibidem, p.152. Ibidem, p.154.
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anzi vomitano gli escrementi il ferro e il rame, onde più si comprova il loro senso>>78. In questo passo Campanella si riferisce alla ruggine, considerata come la parte impura del ferro, e che quindi viene eliminata. Infine nell'ultimo capitolo del terzo libro del Senso delle cose Campanella si concentra particolarmente sul senso delle piante. Parafrasando Platone che nel Timeo a proposito dell'origine dei vegetali si esprimeva in questo modo: <<tutto ciò che partecipa del vivere può a ragione essere chiamato con molta verità animale: e questo -i vegetali- partecipa della terza specie di anima, […] patisce sempre tutte le impressioni, e non è stato generato in modo che, rivolgendosi in sé e intorno a sé e respingendo il moto esteriore e adoperando il suo proprio, possa ragionare d'alcuna delle cose sue, conoscendone la natura. E però vive e non è diverso da un animale, ma sta saldo e piantato nelle radici, perchè non può muoversi da se stesso>>79; Campanella le chiama << gli animali immobili>>,. In queste bellissime pagine, tese a descrivere minuziosamente il senso dei vegetali, viene citato Aristotele, che concede loro solo un anima vegetativa e non sensitiva in quanto non avendo organi di senso, sono impossibilitate a ricevere sensazioni, ma <<quando mostrò che ageno per il fine: i frutti per immortalarsi e le spine per difendersi e le foglie per coprirli. Ma se anima han le piante, come può stare che sia anima e non senta, perché non ha occhi, orecchie e naso?>>80. Ma come già sappiamo per Campanella gli organi del senso altro non sono che delle <<fenestre del senziente spirito>>, e ai vegetali questo si deve riconoscere, se no come potremmo spiegare che le piante con le loro radici ricercano nel terreno il nutrimento a loro adatto? Perché, appunto si fa esperienza del fatto che non ogni pianta in ogni luogo produce i suoi frutti, <<che il pepe si fa in India, non in Italia, e i citrangoli in Italia, e non in Germania>>. E ancor di più come potrebbe il nutrimento dividersi in tutte le parti in cui è suddivisa la pianta, con tanto ordine e armonia? <<mandando all'osso la parte soda, alla midolla la lenta, alla scorza e nervi la viscosa, alle foglie la lubrica, ai semi l'untuosa, ai fiori la leggera e ben cotta sostanza, se ogni parte non avesse senso di tirarle il simile, e spirito non ci fosse che cocesse e facesse il partimento?>>. Ma se tutto ciò non basta Campanella fa notare che tra le piante hanno sesso come gli animali e <<la femina non fa frutto senza maschio. Questo si vede nelle carrobbie, nelle palme81, […] E in Nicastro vidi con più meraviglia cedri fatti a guisa di membro e altri di cunno, con tanto magistero quanto nell'uomo e nella donna>>82. E non si ferma alla sua esperienza, ma riprendendo una serie di testimonianze raccolte nei libri di Cardano e della Porta in cui si trova il riferimento a una pianta i cui frutti erano a forma di anatra e, se questi cadevano nel suolo marcivano, se invece cadevano 78 Ibidem, p.155. 79 Platone, Timeo, trad. a cura di Cesare Giarratano, in, Opere, Bari 1974, Editori laterza, p.539. 80 Tommaso Campanella, Del senso delle cose, cit., p.158. Il riferimento ad Aristotele per quanto riguarda l'anima delle piante lo troviamo anche nel primo libro del trattato, cfr. p.17-18. 81 Non a caso l'immagine di due palme che intrecciano i loro rami, e i cui tronchi sono avvolti da pampini di vite, adorna il frontespizio della prima versione latina del De sensu rerum (Francoforte 1620). E verrà riutilizzata per altre opere campanelliane. 82 Ibidem. p.156-157.
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nell'acqua si trasformavano in anatre83. Inoltre riprendendo quanto già della Porta aveva notato, a proposito dei rapporti di “nemicizia” che s'instaurano tra le piante e altri elementi, Campanella scrive: <<e vidi ancora le zucche,dovunque si piantano, correre dove si possono appoggiare in arbori freschi e dove sentono l'acqua campeggiare, e se ci poni un vaso d'acqua sotto la pendente zucca, essa cresce e s'allunga mirabilmente fin all'acqua; ma se ci poni un vaso di olio fugge la pianta altrove con le sue cime spandersi, e la zucca si ritira e impicciolisce>>84. Anche questo elemento ci riporta a quanto affermato da Campanella all'inizio, nel suo riuscito tentativo di mostrare la sensibilità dei vegetali. Ma non solo. Infatti, oltre al senso, che Campanella riconosce agli enti naturali, e al consenso che tra loro si instaura, non si può negare la traccia dell'arte divina, che li ordina, li struttura e li rende vere e proprie opere d'arte, animate da uno spirito infuso da Dio, immanente in ogni cosa. In questo modo tutti gli enti sono partecipi della vita del tutto. Così le categorie ontologiche del sensus e dello spiritus, confermano il fondamento di un'unità ontologica. Per via della quale la verità è lo stesso essere delle cose, in quanto nell'universo campanelliano tutto ciò che è, è tale da non poter essere in nessun altra maniera. Quindi ogni cosa è in quanto ama il suo essere, e nel mondo <<non ci è bugia, perché ogni cosa è qual'è in se stessa, ma non in noi>>85. Cioè ogni cosa, al di là della conoscenza che se ne possa fare o meno, è un riflesso del tutto, gode dell'aria comune ad ogni ente, facendosi custode della totalità dell'essere. Ma solo l'uomo, a differenza di tutti gli altri enti, può affinare le sue capacità naturali per poter cogliere consciamente l'eco della vita universale e sentirsi parte di essa. Sembra opportuno sottolineare, prima di concludere la sezione riguardante le categorie ontologiche, come il concetto di spiritus, da noi analizzato principalmente in riferimento a Campanella, nella molteplicità dei suoi significati esprime una concezione unitaria della realtà. Basti pensare come questo termine è stato nel corso del XV e XVI secolo uno dei più tormentati, “da un ampio ventaglio di valori”, al centro della speculazione di figure interessantissime. Tanto per cominciare citiamo il mitico Ermete, che nell'Asclepius definisce lo spiritus come il principio di ordinamento e di vivificazione della realtà, presente ovunque, si individualizza in relazione al soggetto recipiente, a attraverso di esso la trasmissione dell'unica vita si pluralizza nella multiforme varietà di modi di vita.86 Cornelio Agrippa, che ci offre tutte le possibili aggettivazioni del termine spiritus, (spirare, spirans, spirando, spiratione, spiritalis). Marsilio Ficino, che dello spiritus aveva parlato non solo come medico e filosofo, ma come mago, astrologo e alchimista. Pico della Mirandola nell'Heptaplus, ove lo spirito è definito come un corpuscolum intermedio, e mediatore tra l'anima e
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Ibidem, p.159-160. Ibidem. 160-161. Ibidem, p.55. Cfr. Vittoria Perrone Compagni, La magia ermetica tra Medioevo e Rinascimento, in, La magia nell'Europa moderna, cit., p.10.
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il corpo, principio della vita e dell'unità dell'uomo. Telesio, che senza esitazione identifica spirito e anima in cerebri ventriculis contentum, animalium animam esse. Il riferimento a tutti questi a autori appare fondamentale, in quanto in tutte le loro opere è rintracciabile un atmosfera comune, di convergenze e richiami letterali. Come dice Eugenio Garin, è un'atmosfera in cui “sembrano confluire sia i risultati della rinascita platonica che quelli della discussione peripatetica: un'immagine del reale in cui macrocosmo e microcosmo si corrispondono simmetricamente, mentre nello spirito del tutto trovano la radice unificante, fonte della vita universale, tutti gli esseri dell'universo87.
87 Cfr. Eugenio Garin, Umanisti artisti scienziati, cit., pp.295-303.
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Calore animante e pervasività del senso.
Abbiamo visto come tutti gli enti naturali sono prodotti dall'azione del caldo e del freddo sulla materia. I due principi essendo contrari non hanno lo stesso senso, mentre quello del caldo è “di gran lunga più squisito”, quello del freddo è “più oscuro”. Infatti l'azione del freddo consiste essenzialmente nel moderare e graduare quella del caldo, che è il vero agente vivificante delle cose. Il freddo, come principio agente però non è privo di senso, ma contribuisce nella sua opposizione con il calore, a far si che a quest'ultimo spetti virtù generativa. Infatti dal conflitto dei princìpi primi ha origine il costituirsi di tutti gli enti secondi, che nella loro infinita molteplicità realizzano gli infiniti gradi della prima Idea di Dio, <<perché si mostri in ogni cosa la bontà di quello>>88. L'azione generatrice di ogni grado di calore è garantita dal primo calore che è il sole, e ogni grado di freddo dal freddo primo della terra, ogni molteplicità dall'unità. Dunque risulta chiaro che è al caldo che compete un senso più efficace rispetto a quello del freddo, e questo perché entrambi a diverso titolo concorrono alla formazione delle cose. Sin dalle più semplici osservazioni è possibile constatare quanto detto <<[...]o nei semi e nell'ova dalla terra scaldati, si fa generazione; e l'ova delle galline, poste sotto il caldo letame o nel sabion caldo, come s'usa in Egitto, s'avvivano così come dalla madre che con il suo calor li cova: dunque essa anima caldo spirito bisogna che sia>>.89 Ancora la virtù attiva e generante del calore è visibile nella carne putrefatta, che lasciata al sole, vede la nascita di vermi, lo stesso Aristotele affermava <<nelli putrefatti facilmente si generan gli animali, perché è, nell'umore, spirito, e nello spirito, calore, sì che in tutti gli enti in qualche modo sian pieni d'anima>>90, e lo stesso si manifesta nei legni putridi abitati dal tarlo. Qui e in altri testi, Campanella insiste nel sottolineare che Dio si serve degli elementi come suoi “strumenti e sugelli”, che mentre tendono a conservare se stessi, guidati dal principio conservativo in loro originariamente innestato, compongono l'infinita varietà dell'universo. Il Dio campanelliano non interviene in maniera diretta nei processi naturali, ma fa sì che i principi primi affermando se stessi, realizzano al tempo stesso quanto Egli ha loro assegnato. Campanella riporta molti esempi che dimostrano come al prevalere del freddo sul corpo ne consegua la morte o un assopimento dei sensi. Basti pensare come in <<Islanda e in altre isole dell'Inghilterra, molti animali gelano il verno, e paion morti, e venuta la primavera si ravvivano, perchè il freddo non guasta gli organi, ma gela gli umori, e lo spirito non esala, come fa il fuoco, ma tra gli umori nervositati lo ritiene>>91. Possiamo notare come lo sguardo di Campanella giunga fino
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Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p.4. Ibidem. pp. 39-40. Ibidem. Ibidem. p.43. In questo passo riecheggia l'elegia Al sole, che chiude la Scelta delle poesie filosofiche, in cui appunto si fa riferimento all'Irlanda: <<Muoion in Irlanda per mesi cinque, / gli augelli, e mo pur s'alzano ad alto volo>>.
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in terre lontane da lui, e osservando l'infinita varietà della vita, accoglie come ogni ente, goda del calore solare, in quanto fonte di vita. Il solo contrasto tra la primavera, lucente di vita, e l'inverno, dove le <<gelide vene ascose si risolvono in acqua / pura, che, sgorgando lieta, la terra righi. / I tassi e ghiri dal sonno destansi lungo;>> facendoli apparire morti, espresso nell'elegia Al sole, intende esprimere come il sole sia pensato da Campanella come <<tempio vivo>> e <<statua e venerabile volto>> di Dio. Nei versi conclusivi dell'elegia, la contemplazione e amore per la vita che torna ad affacciarsi e a fluire sembrano prevalere, in una compostezza melanconica, sul grido e la protesta che risultano attutiti e riassorbiti nel <<lume sereno>> del sole92. Inoltre abbiamo visto che gli enti in cui la forza del caldo non prevale totalmente su quella del freddo (le pietre, i minerali, animali quali le tartarughe93, le lumache) non sono dotati di movimento e se lo sono, come nel caso delle testuggini, si tratta di un moto lento, ne consegue che non solo il calore è fonte di vita ma anche di ogni movimento. Cosi come il vento spinge le navi, e il vapore rinserrato dentro la materia la fa “tremare e agitarsi”, così lo spirito caldo in quanto mobile è fonte del movimento dell'animale. Su questo punto s'innesta anche la critica ad Aristotele e alla sua dottrina del movimento, in quanto egli sosteneva che tutto ciò che si muove è necessariamente mosso da altro, togliendo ad ogni ente un moto naturale proprio, e quindi facendo in modo che ogni moto sia violento. In altri termini ciò che è immobile è pensato da Aristotele come causa efficiente del movimento, e un punto questo, che è stato fortemente criticato da Campanella, prima ancora da Telesio. Nella dottrina campanelliana il movimento è in stretta relazione con il calore. Scrive Campanella: <<il moto, dunque, dell'animale, dal caldo spirito venire è necessario, poich'è anch'egli raffreddato ben poco può muoversi, et esalato lo spirito in parte o in tutto, anche in parte o in tutto si perde il moto>>94. Questa precisazione sulla natura del moto è di fondamentale importanza e parte dalla concezione dell'anima intesa come “caldo spirito, atto a infarsi facilmente d'ogni passione, e sentire e movere il corpo”. Dunque la reale differenza è che se in Campanella il moto è pensato come qualcosa di intrinseco alle cose stesse, come una qualità stessa del calore, in Aristotele il movimento coincide con il passaggio dall'essere potenziale all'essere attuale. Ma egli <<teme fare agente e paziente un istessa cosa; e pur nei semi delle piante si vede che germogliano, convertendo lo svegliato spirito la sua mole in pianta; è qui agente è il calore, paziente la materia>>. Il tema del calore lascia trasparire ancora una volta la carica antiaristotelica di Campanella avviata nella Philosophia sensibus demonstrata, e ulteriormente proseguita nel Del senso delle cose. Vedi a proposito, Tommaso Campanella, Scelta, in, Opere letterarie, cit, pp.331-332. 92 Germana Ernst, Tommaso Campanella, cit, p.108. Nell'elegia Campanella intreccia motivi autobiografici e filosofici. Infatti, risuonano echi melanconici dati dalla situazione di esclusione e di sofferenza dell'autore, costretto a invidiare tutta la <<schera>> delle <<serpi smorte>>. Al tempo stesso celebra il sole nel modo più alto, in quanto conferisce <<vita, anima e senso>> a ogni cosa, e per questo è stato da lui scelto come simbolo della sua filosofia. 93 Ibidem. p.155 94 Ibidem. p.46.
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Ancora, per quel che concerne la concezione del calore animante, oltre all'influenza telesiana di cui è intrisa, la visione campanelliana rimanda all'influsso del platonismo e dei Padri della Chiesa
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sopratutto si rifa ad alcune tematiche del pensiero di sant'Ambrogio e sant'Agostino. Alcuni punti di contatto tra il pensiero fisiologico dei due Padri della Chiesa, come la teoria dell'azione genetica del sole, che costituisce l'incipit del sistema fisico e antropologico dell'uomo, è stato oggetto di studi da parte di Michele Vittori e prima di Ada Lamacchia96. È comunque fondamentale l'apporto offerto dall'Hexaemeron ambrosiano97 per la genesi della teoria del calore animante. Dunque troviamo una convergenza di temi, non solo in riferimento al del Senso delle cose, ma anche nell'Epilogo magno, come nota il Vittori, in cui si legge:<<anzi si compiaceva il Senno di vedere, che il caldo essalando dalla terra la convertisse in monti, et facendo abondanza di licori movibili per lui ne facesse valli fiumi et mari. Perchè tutti i fuochi venir dal sole dentro alle pietre e dentro alle piante […], et in dentro la terra generati non d'altronde che dal sole poter venire [...] si veggono>>98. In base a quanto detto è importante fare un ulteriore precisazione, infatti sant'Ambrogio chiarisce come la generazione non sia una prerogativa del sole, che anzi rispetto al primo libro della Genesi risulta posteriore alla generazione terrena99. Il sole, infatti, nella dottrina ambrosiana, non riveste il ruolo centrale che Campanella le affida. Mentre a questo proposito sembra utile richiamare l'attenzione al significato religioso attribuito al sole da Ermete Trismegisto. Infatti in alcuni passi dell'Asclepius il sole viene chiamato il secondo Dio: <<Il sole illumina le altre stelle non tanto in forza della sua luce, quanto della sua divinità e santità, e devi credere, Asclepio, che egli è il secondo dio, che governa tutte le cose e diffonde la sua luce su tutte le creature viventi nel mondo, sia su quelle che hanno un anima, sia su quelle che non l'hanno>>100. È evidente che Campanella conoscesse Trismegisto e la tradizione ermetica, imbevuta di platonismo. Non a caso le dottrine ermetiche richiamanoo la concezione platonica del sole, immagine principale delle idee. Nell'ambito del sistema ideologico campanelliano la teoria del calore è saldamente intrecciata a 95 Sull'influenza dei Padri della Chiesa per quel che riguarda la teoria del calore animante di Campanella vedi : Michele Vittori, <<Calore animante>> e teoria elementativa. Campanella e l'interpretazione genesiaca di Ambrogio e Agostino, in, << Bruniana & Campanelliana>>, XIII, 1, 2007. 96 Ada Lamacchia, <<Notitia sui>> et sources partristiques dans la philosophie de Tommaso Campanella, << Journal Philosophique>>, I, 1985, 2, pp.63-69. 97 Nell'edizione parigina del Senso delle cose del 1637, Campanella integra la lezione ambrosiana sul calore animante indicata nella Defensio, (<<Idemque probatur ex Ambros. 2 Hexam. Cap.3 ubi ab igne plantes, et feras dici animari.>>, in, Defensio libri sui de Sensu rerum 1637, p.41) mentre non compare nella prima edizione latina del 1620. Dunque il sensismo, e la relativa teoria del calore animante, sono state professate, almeno in un primo momento, dal filosofo stilese, senza preoccuparsi di coinvolgere fonti accreditate. O meglio possiamo dire che un attenta osservazione e studio dei testi campanelliani, e delle rispettive riscritture, ci rimanda alla problematica della stratificazione delle fonti a cui Campanella fa riferimento. Per questo aspetto vedi il saggio citato di Michele Vittori, << Calore animante>> in <<Bruniana & Campanelliana>>. 98 Michele Vittori, <<Calore animante>>, cit., p. 212. Il passo è riportato dall'Epilogo Magno di Campanella. 99 Ibidem, p.213. 100 F.A. Yates, Magia e scienza nel rinascimento, in, Magia e scienza nella civiltà umanistica, cit, p.223-224. Il passo citato è riportato dalla Yates nel saggio, e riprende uno dei brani del Corpus Hermeticum sulla divinità del sole.
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quella della perenne sensibilità inerente ad ogni ente. Infatti la sensibilità che Campanella attribuisce ad ogni ente, altro non è che un effetto dell'opposizione primaria come abbiamo già detto. Per questo risulta necessario riscoprire tutti quei legamenti concettuali che corrono da una teoria all'altra, e rimandano ad un unico assunto di base che è appunto quello del calore. Esso infatti si configura come la chiave interpretativa per poter analizzare l'idea di magia e tutti quegli elementi che a essa si rifanno. Calore e sensibilità sono due concetti intimamente legati tra loro, e il secondo necessariamente deriva dal primo. Abbiamo visto come Campanella abbia dotato ogni ente di sensibilità, spiegando come ad ogni ente appartenga un diverso grado di senso. Ma fa anche un passo avanti, nel momento in cui avvalora la tesi, secondo la quale gli affetti e le passioni si imprimono nell'aria, in cui rimangono come cicatrici. La teoria della pervasività del senso a cui Campanella dedica diverse parti del trattato è dimostrata da interessanti, e al tempo stesso curiosi fatti, che durante tutto il XVI hanno alimentato il dibattito culturale intorno alle tematiche sulla magia e su altro ancora. Fatti che solo in apparenza possono sembrare eventi prodigiosi: come il sanguinare di un cadavere in presenza del suo assassino101: questo si rifaceva alla credenza che il senso permane anche nei corpi morti sebbene non nella stessa maniera dei vivi, in quanto <<s'è visto che restan le qualità del vivo, non poco nel morto>>. La morte è, infatti totale esalazione dello spirito nell'aria, il quale rimane impresso, sia nell'aria sia nella “corpolenza” stessa. Proprio in base a questo potremo spiegare come nei cadaveri si generano i vermi, in quanto se non si ammette il senso, la generazione stessa sarebbe inspiegabile. Sempre al permanere degli affetti e del senso va ricollegata l'efficacia dell'unguento armario102, grazie al quale si può risanare una ferita, se si medica l'arma che l'ha provocata, come se lo spirito rinchiuso nella ferita acquistasse fiducia nel percepire la cura attraverso l'aria, e provasse <<quasi gaudio di vendetta>>. Tutto ciò è possibile in base al principio che le cose, una volta collegate tra loro, continueranno ad esercitare un influenza anche quando sono separate. Questo aspetto è interessantissimo, ed è stato spiegato da Campanella nell'analisi dell'eccezionale “operazione chirurgica” praticata nella scola medica di Tropea103. A questo proposito, Campanella ripropone uno degli aneddoti più eclatanti della tradizione della magia naturale, per cui un tamburo di pelle di pecora va in pezzi, quando risuona quello di pelle di lupo, per il risvegliarsi di un originaria paura. Tale credenza indusse un temutissimo capo boemo a far costruire dopo la sua morte un tamburo con la sua stessa pelle, per incutere anche dopo la morte 101Tommaso Campanella, Del senso delle cose, cit., p.184. L'emissione di sangue da parte del cadavere di qualcuno morto di morte violenta, in presenza dell'assassino, fu al centro di un ampio dibattito nel Cinquecento e aveva un ampio peso giuridico. 102 Ibidem. p.188. L'unguento armario, è un rimedio naturale attribuito alla scuola paracelsiana, che diede origini ad accese polemiche tra filosofi, medici e teologi, che si scontravano sulla liceità del rimedio, in quanto era sospettato di eresia e di interventi demoniaci, piuttosto che sulla sua efficacia. 103 Infra p. 48.
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lo stesso terrore che incuteva ai nemici da vivo104. Sempre alla luce della teoria del senso è possibile spiegare le vere e proprie metamorfosi che si verificano in chi è morso da un cane rabbioso, o quelle dei pugliesi aggrediti dalle tarantole. I primi dopo quaranta giorni <<strillano e languiscono>> come i cani, non possono guardarsi nell'acqua in quanto il riflesso umano non corrisponde alla percezione che hanno di sé. In costoro accade infatti che lo spirito oscuro e rabbioso del cane, penetrando nella ferita, e infestando lo spirito puro dell'uomo, lo converte a sé, <<onde lo spirito s'infà si sorte che si scorda di essere umano, perché perde li moti umani, e si pensa d'esser canino, chè tutto il moto canino in lui vince, e l'imaginativa si fa canina>>, e alla fine <<muoiono rabbiosi e miseri pensando essere cani>>105. Quanto, ai tarantolati, Campanella offre una descrizione molto precisa nella quarta parte del trattato, e ne rivela una testimonianza oculare del fenomeno. Coloro che sono stati punti dalle tarantole, che <<crescono sotto il cocentissimo sole estivo>>, si <<imbalordiscono, e cadono privi mezzo del moto e del senso>>. In entrambi i casi i fuligginosi spiriti introdotti dal morso alterano il temperamento e l'immaginativa dell'uomo, nel cui organismo prende il sopravvento lo spirito dell'animale che lo ha aggredito, così l'uomo viene a perdere l'immagine che di sé possedeva. I tarantolati, grazie alle danze e al sudore riescono a espellere pian piano i vapori infetti, ma <<dicono li villani che tanto ballano finché muore la tarantola che li ha punti>>, essi sono destinati alla guarigione proprio quando gli spiriti nemici vengono eliminati da ogni parte del corpo. Infatti, secondo il principio dell'armonia e del consenso universale, può essere che il dolore subito dagli “attarantolati” permanga finché <<viva la tarantola, fonte di quel danno, perché, vivendo la causa, l'effetto e più vivo, ancor che assente, per natura e communicanza dell'aria e del consenso del mondo, e morendo la causa, l'effetto patisce ruina>>106. Ma il solo rivedere un altro uomo affetto dal tarantolismo, rievoca nello spirito guarito la stessa passione, secondo il principio che il simile tende al simile, così come <<quando patiamo nausea in mare, ricordandocene per veder acqua o vascello, ci torna l'istessa nausea, perché la memoria è un moto sopito come cicatrice vecchia>>. Non solo, ma ogni anno e nello stesso periodo della sventura, il dolore viene a ripresentarsi, <<come noi quel dì che ebbimo guai o gran festa, sempre che torna, ci desta passione dolorosa o lieta>>107. E anche la natura scrive Campanella segue lo stesso metodo, in quanto ogni anno nella stessa stagione produce gli stessi frutti. Nel trattato Campanella inoltre fornisce un ulteriore dimostrazione della teoria della pervasività del senso e riguarda il fatto che ogni ente aborrisce il vuoto, percepito come lesivo dell'integrità dei singoli enti e del tutto. Sensibile e animato in ogni sua parte, il “grande animale” del mondo è un 104 Tommaso Campanella, Del senso delle cose, cit., pp.186-187. 105 Ibidem. p.192. 106 Ibidem. p.192. 107 Ibidem. pp.190-191
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grande organismo alle cui membra, proprio come quelle del nostro corpo, ripugna la separazione. Per questo scrive Campanella: <<tutte le nature sentono, in particolare e in comune, dal vedere che ciascuna e tutte abborriscono di maniera il vacuo tra loro, che con impeto naturale parziale corrono a empirlo per serbar la loro communnità e repubblica>>108. Dunque ogni cosa per natura gode “di scambievole contatto”, e Campanella precisa come le cose tendono infinitamente a riempire lo spazio, impedendo il vuoto, basti pensare all'aria che per impedire in vuoto << si vede ne profondo del mare e nelle caverne della terra>>109. Per poter capire il discorso campanelliano sul rifiuto del vuoto e della sua impossibilità, il nostro filosofo ricorre ancora una volta all'analogia tra il corpo umano e quello del mondo, scrivendo: <<Bisogna dunque affermare che il mondo sia un animale tutto senziente, e che godano tutte le parti della commune vita; e come in noi il braccio non vuol essere diviso dall'omero, né l'omero dalle scapole; né la testa dal collo, né le gambe dalle coscie, ma tutti si ritirano e schifano la divisione, così tutto il mondo abborrisce esser diviso, il che gli avviene quando tra li corpi parziali vacuo intercetto rimane>>110. Al rifiuto del vuoto si ricollega, la concezione campanelliana di uno spazio che attira a sé i corpi con <<appettitoso senso, perche esso ha ancora la potenza di essere e senso d'essere e amore d'essere tale e quale Dio la fatto>>111. Affermando che ogni cosa agendo per le proprietà che ha in sé, e che le mirabili virtù di certe piante, o erbe, o animali, non dipendono solo dalle positive influenze celesti, ma dal permanere nelle cose di passioni comunicate dal senso comune, possiamo dire dunque che questo permanere degli affetti nelle cose si rivela di fondamentale importanza, in quando contribuisce a definire ontologicamente il legame che unisce tutti gli enti. Molto di questi aspetti verranno approfonditi da Campanella nei sette libri Medicinalium (Lione 1635). Questo ci rimanda ad una constatazione interessante, che riguarda proprio l'ampia prospettiva con la quale Campanella affronta e analizza i temi che gli stanno a cuore. Nei Medicinalium confluiscono infatti molti dei temi da noi analizzati, rivisti da un punto di vista per così dire “pratico”: qui vengono esposti alla luce dei principi filosofici campanellini i rimedi della medicina curativa, ad esempio per la conservazione del calore innato in cui consiste la vita, oppure tutti quei consigli per perseverare la purezza dello spiritus, rifacendosi a tutti quei vincoli di simpatia e antipatia esistenti tra tutte le cose, e per così dire, sfruttarli per il benessere dello spirito e del corpo. Ed ecco la necessità, che anche il buon medico, come il buon mago, sia dotato di una conoscenza eclettica che gli permetta di avere uno sguardo d'insieme alle relative problematiche da affrontare.
108 109 110 111
Ibidem. p. 22. Ibidem. p.23. Ibidem. p.24. Ibidem. p.26.
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Consenso universale e magia naturale.
La dottrina del consenso universale s'innerva in quasi tutte le opere campanelliane, da differenti prospettive e indirizzata a diversi fini, come nel caso della celebre Città del sole, definita da Tobia Adami come una pietra preziosa, in quanto individua la superiorità della repubblica idealizzata da Campanella, che s'ispira al grande modello della natura. Anche in questo caso Campanella si rifà al “libro della natura”, associando la repubblica ad un'immagine naturalistica, che è quella del “corpo”: la repubblica è intesa come un grande organismo, che tende alla sopravvivenza delle sue parti, così come queste tendono alla conservazione del tutto. Inoltre, e questo è l'aspetto che a noi interessa, la città gode dello spirito della religione naturale praticata dai solari, “stabilisce una specie di osmosi con il cielo e gli astri”112e rivendica la divinità presente in ogni ente naturale, in quanto la natura viene a configurarsi anche in quest'opera come l'espressione dell'intrinseca arte divina, che tutto coordina. Una repubblica fondata su questi valori, è un corpo che godrà dell'armonia e del consenso di ogni parte un corpo, in cui tutti sono invitati ad un atteggiamento di rispetto nei confronti della natura. Come abbiamo avuto modo di vedere, anche il Del senso delle cose è fortemente immerso in un'atmosfera, quasi idilliaca, in cui ogni parte contribuisce alla formazione e perfezione del tutto. Perché tutto è governato e animato da un unico spirito intrinseco a qualsiasi ente, per cui ogni cosa tende al suo simile e lo richiama. In virtù della connessione tra cause universali e particolari possiamo delineare il principio su cui si basa la teoria del consenso universale. Dunque tutto corrisponde con tutto, non in virtù di convenzioni arbitrarie, ma in quanto una profonda somiglianza unisce, più o meno segretamente, tutte le parti del cosmo. La varietà e la molteplicità dei fenomeni ci rimanda al fondamento unitario dell'essere, fondamento che annulla le apparenti divisioni ontologiche. Quindi se affermiamo che la realtà ultima delle cose è unitaria, le cose sono tra loro aperte ad un'incessante comunicazione e produzione di senso. Inoltre, tutte le possibili influenze, legami tra gli enti, anche lontani temporalmente e spazialmente, sono possibili grazie a quella forza cosmica dell'attrazione, che è la forza che ha il simile a conoscere ed assimilare il simile. In vista di questo legame tra cause universali e particolari Campanella richiama all'attenzione il singolare caso dell'innesto del naso, praticato dalla scuola medica di Tropea, in un uomo che avendolo perduto in seguito ad una grave ferita, se l'era fatto ricostruire dalla carne del braccio di un servo promettendogli in cambio la libertà. Ma dopo due anni il servo morì, e di conseguenza il naso del padrone andò in putrefazione113. Ci si chiede, da quale anima delle due persone era animata quella particella di carne? Si sostiene che il naso riceveva dal nuovo organismo nutrimento, ma dopo che il “nativo temperamento” cessò di esistere, vennero meno tutti quei 112 113
Cfr. Germana Ernst, Tommaso Campanella, cit, p.95. Cfr. Tommaso Campanella, Senso delle cose, p.195.
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legami che esso aveva con le parti a lui simili, portando come conseguenza la putrefazione del naso innestato. E secondo il principio campanelliano per cui tutte le cose sentono, il naso non aveva annullato la sua connessione originaria con la vita del servo. Pertanto sono sciocchi, scrive Campanella, <<coloro che negano il periodo della vita fatale, e il senso e consenso di tutto l'universo insieme>>114. Le contro-argomentazioni mosse alle conclusioni sulla scuola medica di Tropea, affermavano che se quanto detto sull'innesto del naso, e del legame che esso intratteneva con il corpo da cui proveniva, erano valide, era quindi possibile affermare che alla morte della madre conseguisse quella del figlio115. Questo perché <<non è l'istesso temperamento in ambiduoi, ne ricevettero la vita sotto le medesime ore fatali, e sotto il medesimo consenso dell'universo>>. La storia del naso del servo e del suo innesto riconferma la teoria del senso delle cose, che rappresenta lo sfondo sul quale Campanella elabora la sua idea di magia. Per questo possiamo affermare che nel sistema campanelliano la magia è fondata ontologicamente. Proprio il principio della sensibilità della natura porta il filosofo di Stilo ad affermare l'esistenza di legami universali tra le varie parti della natura. Si tratta di legami intessuti da una profonda energia comune, assimilabile all'unità panteistica del soffio vitale che tutto anima e che fonda la fratellanza di tutti gli enti. Ebbene, l'investigazione di queste segrete e impervie vie concettuali che avvolgono tutta la realtà, è una prerogativa del mago, di colui che riconosce quell'intimo legame che lo lega alla vita del tutto e lo rende compartecipe ad essa. Questo aspetto viene affrontato delicatamente in più parti del trattato. L'uomo in quanto tale non è un mago, in quanto se tutti naturalmente potessero penetrare i segreti della natura, tutti saremo dei maghi. Ma Campanella pone un accento particolare al tema della fides per cui <<non è atto a recevere ben da Dio chi non si dispone; né disposizione senza fede si trova>>116. In questo passo emergono i concetti fondamentali, oltre che di fede, quello di predisposizione e volontà, che contribuiscono a differenziare la figura del mago dall'uomo comune. La fede dell'uomo nelle cose divine acquista un ruolo fondamentale, in quanto scrive Campanella, <<quanto più ti fidi in cosa alta, tanto più l'animo cresce>>117. Senza fede l'uomo non può innalzarsi a conoscere l'infinito, e così come la fede si è mostrata caratterizzante per l'avvenire dei miracoli di Gesù, in quanto in mancanza di essa <<dice l'Evangelista che Cristo s'ammirava che non poteva fare a quella gente miracoli come agli altri, e soggiunge che ciò avveniva dall'incredulità loro che si rendevano inabili alla grazia divina>>, ed è per questo che Cristo dopo aver operato guarigioni miracolose, ha ripetuto <<la tua fede t'ha fatto salvo>>. Infatti l'incredulità rende l'uomo incapace di cogliere e ricevere la grazia divina, così come come lo rende estraneo alla totalità di cui fa parte, <<come chi serra la fenestra al sole e non può vedere>>. Ebbene, lo stesso si può dire per 114 115 116 117
Ibidem. p.197. Ibidem. Ibidem. p.168. Ibidem, p.212.
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la magia naturale, intesa come una forma di religione naturale. Infatti, la fede, la predisposizione propria del soggetto, di farsi interprete del linguaggio della natura, accompagnata dalla volontà di essere compartecipe alla vita del tutto, e ammirare la perfetta armonia che regola la natura, fanno sì che l'uomo campanelliano <<dall'amante>> venga trasformato <<nell'amato>>. Per un'autentica magia si ricerca fede e purezza e questa fede <<trasforma l'uomo in Dio e lo fa divino>>. Campanella differenzia questa fede <<viva>> da quella <<istorica>> tutta esteriore e fredda, lontana da un adesione intrinseca alla divinità. La prima innalza l'uomo, lo rende unanime con la prima causa e ha forza tale da mutare le cose create in ciò che desideriamo118. A questa distinzione Campanella accosta quella tra la magia soprannaturale o divina e quella naturale, diabolica o ingannevole. Sia la magia soprannaturale che quella naturale si alimentano della forza della fede. La magia divina è conferita da Dio all'uomo, e scrive Campanella: <<è quella di Moisè e degli altri santi>> i quali con poca arte e scienza riuscirono a compiere eventi miracolosi, <<obbedendo a loro la natura come a messaggieri di Dio>>. Essa consiste nell'amicizia e fiducia in Dio. Abbiamo poi la magia diabolica <<di coloro che per arte del demonio fan cose mirabili a chi non l'intende>>: è una magia ingannevole avvolta da astuzie che rendono miracoloso ciò che in realtà è frutto di astuti inganni da parte di abili ciarlatani. A questo proposito Campanella, in una pagina molto vivace del Senso delle cose, si sofferma su un ricco campionario di trucchi che sembra conoscere abbastanza bene119. Questi prestigiatori e falsi maghi, fingono di darsi fuoco ad una gamba, mentre in realtà si tratta di una gamba posticcia; si mettono un chiodo nell'occhio e uno nella bocca, facendo credere che lo stesso sia passato magicamente da una parte all'altra; mostrano di essere trafitti da spade grazie al gioco di illusioni ottiche. Tutti questi esempi si riducono ad “artifici di sapienza o d'astuzia”, mentre il volgo pensa che siano veri e propri miracoli, ma rivelandosi inutili al bene dell'uomo, questi vanno a coincidere con semplici finzioni. Ma l'interesse campanelliano vero e proprio, nonché il fuoco centrale del testo, è la magia naturale. Ricordando quanto detto da Plinio, Campanella afferma che la magia, in quanto <<sapienza speculativa e pratica insieme>>, è costituita dalla religione, che <<serve per purgar l'animo e farsi atto alle conoscenze e amico della prima causa e per imporre fiducia>>; dalla medicina per la conoscenza delle virtù delle erbe, pietre e minerali e <<e la simpatia e antipatia tra loro e con noi>>. Infine la magia è strettamente collegata all'astrologia, la cui conoscenza è indispensabile per operare in accordo con i tempi e scegliere i momenti astrali più propizi. Da un lato la magia naturale risulta connessa con le arti e con le scienze, in quanto qualsiasi invenzione mirabile agli inizi può apparire, sopratutto al volgo, un'opera magica come quel tedesco che <<fece un aquila artificiosa e una 118 Ibidem. p.167. La distinzione tra una fede “viva” e una fede “istorica”, come suggerisce Germana Ernst nel saggio citato “Magia, divinazione e segni in Tommaso Campanella”, è cruciale e ci può offrire una chiave di lettura del passaggio dalle posizioni giovanili a quelle successive alla crisi degli anni di sant'Elmo. 119 Ibidem. p.174-176.
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mosca volare da se stesse>>120. Infatti finché non si capiscono pienamente le cause di un evento siamo sempre all'interno del sapere magico: nel momento in cui vengono di-svelate penetriamo nel territorio proprio della scienza. Dall'altro lato, la magia naturale mantiene un suo ambito specifico di conoscenza, più segreto e raro. La magia, in quanto arte, non può fare a meno dell'autorità del passato, ossia dell'esperienza, ma in quanto applicazione della scienza, per essere appresa richiede una preparazione teorica. Per questo al mago sono necessarie tutte le scienze ma alcune in particolare, infatti esso è innanzitutto un fisico, riconosce in ogni cosa naturale i suoi effetti, positivi o nocivi, perciò attraverso le sue conoscenze è in grado di “allungare e abbreviare la vita”, dunque <<bisogna far universal dottrina che tutte cose che mandano esalazione grossa, nera, acre e viscosa, sian fetide allo spirito umano e tutte venenose, perché il fetore è vapor grave e caldo più del nostro spirito>>121. Il mago così è un esperto di tutti i rimedi naturali che aiutano lo spirito umano a conservarsi e rinvigorirsi, e ad allontanare tutto ciò che risulta dannoso per lo spirito. Questi temi Campanella li ha ampiamente affrontati nei Medicinalium122. Infatti, nel primo libro la medicina viene definita come << una specie di pratica magica>> che opera sull'uomo in quanto suscettibile di malattie per recuperare la salute. Il buon medico, così come il buon mago, tratta la questione delle virtù occulte delle erbe, pietre e minerali, spiegandole alla luce non dei soli influssi celesti, ma anche dei vincoli di antipatia e simpatia presenti in tutta la natura, che dipendono dalla costituzione primalitativa e dalla presenza in ogni cosa del senso. Anche il mago conoscendo la specifica qualità del senso che inerisce ad ogni ente è in grado di utilizzarlo in modo conveniente, e in maniera particolare è in grado di indurre particolari alterazioni sullo spirito mobile e tenue, atto a patire e a ricevere impressioni. Le regole generali della magia sono dunque quelle di potenziare con tutti i mezzi naturali adeguati i valori vitali e conservativi, e attraverso essi seminare passioni piacevoli e giovevoli nello spirito. L'immagine che del mago ci fornisce Campanella, rappresenta un modello non solo per gli oratori e poeti, che <<sono secondi magi, che per loro laude introducono passioni piacevoli>>. Anche il legislatore della repubblica <<bisogna che sia gran mago, che introduca cosa a tutti piacevole e giovevole, e alli pochi repugnanti manifestarla e persuaderla per buona>>123. Abbiamo detto che un ingrediente fondamentale della magia naturale è l'astrologia. Dopo lo scetticismo giovanile ricordato nel del Senso delle cose, ed espresso nella terza disputa della Philosophia sensibus demonstrata, Campanella giunge ad affermare il ruolo delle influenze celesti su quelle terrene, in quanto non vi è uomo che <<non si accorga che la generazione, corrozione, le 120 121 122 123
Ibidem. p.176. Ibidem. p.179. Germana Ernst, Tommaso Campanella, cit, p.185. Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p.201.
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stagioni dell'anno, i mutamenti dell'aria, del mare e della terra, vengono dalli due luminari e dalle stelle>>124. Anche nelle battute finali della Città del sole, si fa riferimento al valore dell'astrologia. Lo studio attento da parte dei solari delle corrispondenze, palesi o più segrete, tra le stelle e natura è di fondamentale importanza in quanto ciascun pianeta ha le sue proprietà specifiche, e saper leggere il linguaggio delle stelle, saper cogliere i legami che uniscono gli enti terrestri a quelli celesti acquista un forte valore predittivo. Per questo questa scienza acquista un ruolo importante all'interno del sistema magico campanelliano, in quanto una profonda conoscenza astrologica implica un'ulteriore partecipazione alla divinità, e anche la facoltà di poter conoscere il futuro. E qua subentra uno degli aspetti più spinosi dell'astrologia, e riguarda il tema del libero arbitrio. Rappresenta il condizionamento astrale un limite per le libere scelte dell'uomo? La risposta campanelliana è negativa, e prendendo le distanze da posizioni deterministiche, rivendica la libertà dell'umano volere, in quanto, scrive Campanella, <<le cose naturali ciò fanno e le stelle, senza pregiudizio del libero arbitrio, poiché trovi un uomo sostenere quarant'ore di tormenti, più tosto che dire al giudice ciò che cerca>>125. Qui Campanella allude alla tortura della veglia, inflittagli nel giugno del 1601, per confermare la prova giuridica della follia che simulava già da un anno. Anche nella parte finale della Città del sole, per significare che anche i condizionamenti fisici estremi non riescono a piegare la volontà umana, come potrebbero farlo quelli più blandi e lontani delle stelle? Con questo Campanella non intende negare il valore delle influenze celesti, ma il problema risulta più complesso. Rifacendosi alle dottrine di Alberto Magno e san Tommaso, Campanella accoglie quanto detto nel Contra Gentiles, dove san Tommaso afferma un influsso stellare directe solo sulle parti corporee dell'uomo, mentre tali influssi possono agire per accidens anche sulla sua volontà126. Il cielo e le stelle influiscono sul corpo e sullo spiritus, che veicola le influenze ricevute all'anima infusa da Dio, la quale può scegliere se acconsentire o contrapporsi alle sollecitazioni passionali. Così come è semplice che la magia sfoci in astuti e ingannevoli giochi di prestigio, così il desiderio di conoscere il futuro attraverso le stelle, può diventare una passione illusoria e rovinosa, nel momento in cui non si rispettano più i limiti naturali che la definiscono, cadendo nella superstizione. Comunque, Campanella nel testo riferendosi “alli due luminari e ai pianeti”, ne determina non solo le influenze positive che queste possono tramandare, ma anche le negative. Infatti, non ciò che è positivo per un ente lo è per tutti. Perciò anche se <<tutte le stelle sono buone a tutto il mondo, ma alle parti altra è buona, altra mala: agli uomini Giove e Venere sono buone; alli serpi e fiere velenose, Saturno e Marte; e quel che vedi giovare all'amico a te, così pensa che a te utile sia>>,
124 125 126
Ibidem. p.225. Ibidem. p.226. Ibidem. p.226. E vedi nota numero 212.
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ma, precisa Campanella, solo <<in quella parte o azione nella quale ti è simile, non dove è dissimile, perchè né similitudine senza dissomiglianza si trova, né dissomiglianza senza similitudine si trova>>. Per esempio acquista un aspetto astrologico particolarmente positivo il “satellizio”, che consiste in un eccezionale concorso di pianeti, attorno a uno dei due luminari (così Campanella chiama il sole e la luna), e nel Medium coeli, Tolomeo mette in collegamento questo evento celeste con l'ascesa ai massimi vertici del potere anche da parte di soggetti di umili origini127. Tutti questi aspetti
vengono
ulteriormente
approfonditi
da
Campanella
delll'Astrologicorum (steso tra il 1613-14 e pubblicato nel 1629)
128
nel
trattato
in
sei
libri
, in cui egli affronta i capisaldi
della dottrina astrologica a partire dall'enunciazione dei principi base della dottrina alla previsione degli eventi, dalle indicazioni sui climi alla genetliaca vera e propria129. Evidenziati gli ambiti del sapere da cui la magia attinge i suoi strumenti e le sue conoscenze, possiamo soffermarci sull'impronta religiosa della magia campanelliana. E sopratutto sull'idea di essa come una forma di religione naturale che va al di là del cristianesimo. Sarebbe impossibile separare categoricamente il pensiero complessivo di Campanella dalla tradizione cristiana, ma non si può negare alla luce delle testimonianze autobiografiche , e non solo, i problemi del rapporto tra il filosofo e la sua filosofia, con quello che era il mondo cristiano durante la Controriforma. E nel testo preso in esame sono diverse le spie lessicali, che ci potrebbero far pensare che il Dio campanellino per certi versi sia la Natura stessa, considerata nella sua complessità come il grembo di tutti gli enti. E questo potrebbe essere pensabile considerando che la prima stesura del Senso delle cose risale al periodo giovanile, precisamente tra il 1589-1592, quando Campanella aveva tra i ventuno e i ventiquattro anni, e il suo pensiero era allora più improntato ad un naturalismo “laico”. Il problema dell'ortodossia campanelliana solleva diverse interpretazioni tra i suoi studiosi. La discussione si è sviluppata fra due estremi: da una parte c'è chi sostiene la tesi dell'adesione di Campanella ad un sensismo materialistico e che le sue dichiarazione di ortodossia, siano in ogni caso, una finzione (tra i critici campanelliani che sostengono questa tesi ricordiamo l'Amabile, L. Blanchet, così come Spaventa e Gentile che si orientano a valutare la religiosità di Campanella come una religione naturale o un generico deismo, interessante è la posizione di Nicola Badaloni che interpreta la religiosità del filosofo stilese come affermazione finalizzata alla legittimazione della operatività magica), mentre alcuni si battono per sostenere l'adesione sincera all'ortodossia
127 Ibidem. p.233-234. 128 I sei libri dell'Astrologia sono raccolti in Opera latina, composti tra il 1613 e 1614, e pubblicati a Lione e a Francoforte, nel 1629 2 nel 1630. 129 Germana Ernst, Tommaso Campanella, cit, pp.177-180. Oltre all'elaborazione teorica di principi astrologici esposti sia nel Senso delle cose, sia nei sei libri dell'Astrologicorum, abbiamo testimonianza della consuetudine campanelliana nell'interpretazione delle natività. Come ricorda Germana Ernst, l'esempio più compiuto della perizia genetliaca di Campanella ci è offerto dall'oroscopo compilato per il fiammingo Filiberto Vernat, oroscopo che si configura come “la completa dimostrazione pratica degli insegnamenti teorici dettati negli Astrologicorum”.
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cristiana ( e fra questi ricordiamo Luigi Firpo, Di Napoli, il francese Dejob)130. A questo proposito sarebbe interessante confrontare le diverse stesure dell'opera, per cogliere il progressivo mutamento campanelliano.
130 I testi a cui possiamo fare riferimento per una visione completa delle interpretazioni sulla religione campanelliana sono: L. Amabile, FrĂ Tommaso Campanella: la sua congiura, i suoi processi, la sua pazzia, vol. III, Napoli 1882, Morano; Ch. Dejob, Est-il que C. fut simplement dĂŠiste?, in <<Annales de la FacultĂŠ des lettres de Bordeaux>>, tomo XI, 1911; L-Blanchet, Campanella, Alcan, Paris, 1920; Giovanni di Napoli, Tommaso Campanella filosofo della restaurazione cattolica, Padova 1947, CEDAM; Nicola Badaloni, Tommaso Campanella, Milano 1963, Feltrinelli.
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Profezia e Teoria delle segnature.
Nel Senso delle cose Campanella affida, nel vasto sistema della magia, un ruolo importante alla profezia. Quando egli analizza tematiche controverse e delicate come queste, è attentissimo ad operare precise distinzioni all'interno di una massa fittissima di materiali, individuando un insieme di criteri per far ordine entro dottrine disparate ed eterogenee. Innanzitutto intende confutare due posizioni che ritiene false: la prima tesi sostiene che ogni profezia sia naturale e la seconda che la profezia sia causata dalle stelle o dall'atrabile131. Riguardo al primo punto, Campanella sostiene che la profezia naturale non escluda affatto quella divina, ma alcuni eventi come gli arcani divini, o i futuri contingenti, sfuggono alla conoscenza umana e possono essere comunicati alla sua mens solo mediante la rivelazione di Dio, che è il solo a conoscere gli eventi futuri nella loro fattualità, dal momento che l'eternità include tutti i tempi. Quanto alle stelle e alle particolari configurazioni astrali, queste senza dubbio possono avere qualche influenza, ma non sono di certo la causa delle profezie. La spiegazione medica e fisiologica delle capacità profetiche sostenute nei Problemata pesudoaristotelici, in cui alla bile nera vengono attribuite le capacità poetiche e le profezie delle Sibille, qui viene istituita un'analogia tra gli effetti dell'atrabile e gli effetti indotti dal vino, che Campanella ritiene falsa e superficiale. Queste tesi furono oggetto d'indagine anche di Marsilio Ficino, che Campanella apprezza di più rispetto ad Aristotele, in quanto non si limitava a collegare bile nera e profezia, ma spiegava le diverse proporzioni in cui l'atrabile deve essere presente nel sangue per non danneggiarlo. È sopratutto tiene conto dello spirito e delle sue caratteristiche,a differenza di Aristotele, che attribuisce al vino e all'atrabile ciò che in realtà è da attribuire alla sottigliezza dello spirito. Nel momento in cui Campanella analizza questo aspetto, tanto discusso all'epoca, intende chiarire quale sia il rapporto tra la bile nera e la profezia. La bile nera è una feccia scura e pesante del sangue, che viene raccolta nella milza132, come in un vaso per le impurità, che offuscando la trasparenza e la purezza dello spirito, di cui originariamente gode, lo induce ad una surreale immaginazione, in quanto viene invaso dai tetri vapori che la bile nera infonde su di esso. Questi malsani vapori, derivati da un lento processo di combustione nel sangue, generano nello spirito quello stato d'animo della melanconia, accompagnata da un forte senso di tristezza e morte, che può sopravvenire nel momento in cui l'oscurità penetra in tutto lo spirito. In modeste quantità, la melanconia può giovare alla contemplazione, ma non per il fatto che essa sia “contemplante, meditante e profetante” come sostengono Aristotele e Galeno. Tale spiegazione non è fondata in quanto, Campanella si chiede nei Medicinalium133:come può una cosa insensata come la bile nera,
131 Cfr. Germana Ernst, Magia, divinazione e segni in Tommaso Campanella, cit, p.600. 132 Cfr. Germana Ernst, Tommaso Campanella, cit, p.185. 133 Ibidem. p.186.
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originare la sapienza? La presenza di questo umore nel sangue viene spiegata da Campanella come un segno di un intenso calore dello spirito, che lo rende estremamente sottile e quindi atto a ricevere passioni. Ed è proprio questa sottigliezza dello spirito che rende predisposti alla profezia, e non i vapori oscuri che la bile produce, in quanto, quando abbondano lo atterriscono, interrompendone in discorso e turbandone le nozioni. Dunque la caratteristica che può rendere i melanconici idonei alla profezia è la tenuità dello spirito. Per cui la melanconia è sì segno, ma non causa della profezia. Fra gli uomini, c'è chi ha spiriti molto sottili, capaci di percepire i più lievi moti dell'aria, ed è in grado di prevedere eventi futuri, riuscendo a cogliere quei piccoli segni, elaborarli, per giungere con rapido discorso alle loro cause. Nell'analisi della figura del melanconico Campanella non può non richiamare l'attenzione sull'influsso di Saturno e Marte, che <<con influenza naturale, vengono a produrre spiriti acri o tetre fuliggini>>134. I rimedi contro la saturninità confluiscono in una sorta di riabilitazione dello spirito, immerso nell'oscurità e nella totale contemplazione, proprie del melanconico135. Per quanto riguarda l'influsso di Saturno, Campanella ricorda, ad anni di distanza, quando la sorella Emilia <<oppressa dal demonio>>, in seguito a determinate condizioni planetarie, si ristabilì <<mostrando segni stupendi, prese marito e visse con gran santità, […] favorita da Dio e con benigni aspetti di stelle>> ma in seguito <<cadde smorta per il transito di Saturno, e vide visioni divine,[...] profetava con certezza di ogni evento>>136. Tutte le esperienze autobiografiche che Campanella riporta nel testo, riviste e rielaborate in vista delle sue dottrine filosofiche, sono utili per capire in che modo le teorie campanelliane vengono ad intrecciarsi con l'esperienza. Richiamandosi in prima persona, Campanella attesta quanto detto sulle capacità profetiche, confessa di essere riuscito a percepire i pensieri e i moti dello spirito di chi gli sta difronte, proprio per la particolare sottigliezza di cui gode il suo spirito. Ancora una volta riemerge l'importanza di quel “sensorio comune” che è l'aria, e della sua essenza di mettere in comunicazione i diversi spiriti racchiusi nei singoli individui. Essa veicola passioni e affetti, ed è come se, attraverso questo spirito comune, respirassimo tutti, il costituirsi degli eventi. Ed essendo il nostro spirito aereo, inspirando in continuazione l'aria, s'imprime di tutte le passioni e affetti che questa conserva. Per questo quando <<l'aria è serena e pura, noi siamo allegri e giocondi; quando è turbata e scura, mesti e malinconici; quando è troppo calda, iracondi e fastidiosi; quando è fredda, uniti e retirati; […] dal che si vede che insieme patimo ogni effetto>>137. A questo aspetto Campanella accompagna la distinzione tra due diversi forme di profezia: le forme naturali sono comuni agli animali, che preannunciano temporali, o avvertono nell'aria i segni premonitori degli eventi prima che si verifichino. Queste forme di profezia per gli animali sono fondamentali per la 134 Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p.149. 135 Germana Ernst, Tommaso Campanella, cit., p.190-191. 136 Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p.150. 137 Ibidem. p.136-137.
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loro conservazione, ma queste virtù profetiche non fanno gli animali più saggi degli uomini, ma <<sendo essi al ventre dediti, che altro bene non conoscono, e a certe azioni di conservarsi sempre attendenti, non sono li spiriti loro turbati da passioni interne e da gran cuore come i nostri, talchè, tutte le cose facendosi nell'aria senziente, il senso loro per la respirazione e porosidade, communica con quel dell'aria e riceve le medesime passioni>>138. Dunque, proprio perché essere lontano da tutti gli affanni, beni e gioie, che invece governano lo spirito dell'uomo, lo spirito degli animali è in grado poter interpretare i segni della natura, la cui interpretazione rientra appunto, nell'ambito della profezia naturale. Pensiamo a taluni uccelli come le rondini e gli alcioni che, essendo particolarmente sensibili ai moti dell'aria, sentono l'avvicinarsi di piogge e tempeste, e i mutamenti climatici139; pensiamo agli avvoltoi che sopraggiungono nei pressi degli eserciti che si accingono a dare battaglia, come se presentissero le stragi che avranno luogo e la possibilità di nutrirsi dei cadaveri. Ma se agli animali fu data solo <<la profezia delle cose corporee, l'uomo presentisce le incorporee e le eterne, perché Dio communica alla mente umana, e s'infonde e fa i profeti>>140. Questo tipo di profezia si differenzia da quella naturale, distinguendo così il livello animale da quello umano. Ma è proprio grazie all'aria, che ogni tipo di profezia è possibile. L'aria , infatti, viene a configurarsi come l'elemento comune a tutti gli enti, e «facendosi tutte le nostre cose in aria, ella s'infondi di quel che ha da essere». Il contatto dello spirito interiore con l'aria, in cui tutti gli enti si trovano immersi, trasmette e comunica, a chi è in grado di accoglierli, i «segni di cui essa è satura»141, questo permette di spiegare anche le profezie dei sogni. Nel sonno lo spirito, poiché non è turbato da pensieri e occupazioni, può venire impressionato dai minimi moti dell'aria, e percepire così possibili eventi che stanno per accadere. Alla luce di queste dottrine, Campanella fa riferimento all'episodio ricordato da Cicerone e Valerio Massimo142, dei due amici alloggiati in una taverna, uno dei quali vede due volte in sogno l'amico che chiede aiuto mentre sta per essere ucciso dall'oste, una volta morto, si presenta di nuovo in sogno all'amico, spiegandoli come l'assassino l'avesse ucciso e dove avrebbe potuto ritrovare il suo corpo, nascosto in una carro di letame fuori città. Campanella, inoltre ci informa di un episodio simile capitato a don Lelio Orsini143, che, avendo visto in sogno un paggio a lui molto caro che cadeva da cavallo e moriva, il giorno seguente raccomandava il paggio di cavalcare con prudenza, ma il giovane era caduto da cavallo e morì come don Lelio Orsini aveva sognato. Dunque possiamo dire che nell'aria sono come “pietrificate” tutte le cause, e concause che 138 Ibidem. p. 137. 139 Ibidem. p.138. 140 Ibidem. p.139. 141 Ibidem. <<Introduzione>>, p.XVI. 142 Ibidem. p.140. E la rispettiva nota 55. 143 Ibidem. p.141. Don Lelio Orsini, era una caro amico ed estimatore di Campanella, discepolo del telesiano Antonio Persio.
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preparano gli eventi Per questo, dice Campanella, <<tutte le cose future sono nelle cause loro, come la morte di chi corre al precipizio non visto;[...] Così le stelle, dalle quali tutti li calori e moti e passioni qui basso si fanno, ordinano quello che ha da essere>>144. Così facendo le stelle con la loro influenza nelle cose terrene, fecero in modo che il ragazzo s'invaghisse dell'arte di cavalcare, e come con quest'arte trovò la morte. Nella Metaphysica (Parigi 1638), Campanella racconta un altro episodio analogo, che racconta una propria visione memorabile del passato. Mentre era tutto concentrato ad invocare papa Pio V, affinché lo aiutasse contro i sofisti che lo perseguitavano, nell'oscurità della cella del carcere gli era apparso il papa in persona, e quando, dopo un breve colloquio si stava allontanando, Campanella ricorda di essere stato svegliato dalla sua stessa voce, e riuscì ad afferrare la figura per i piedi, specificando di averla trattenuta per sette minuti, parlando a voce alta e completamente sveglio145. Egli racconta nelle sue opere si essere stato più volte testimone di esperienze analoghe, ma anche più consuete come, il sognarsi un amico, che non si vede da tanto tempo, ma lo si incontra il giorno dopo all'improvviso. La spiegazione che Campanella offre di questi episodi è analoga a quelli della profezia naturale, per cui la sottigliezza dello spirito umano a contatto con l'aria, non turbata da tempeste o piogge o venti, è in grado di “leggere” tutto ciò che l'aria ha da comunicargli. Possiamo dire con Campanella <<che l'aria sogni e figuri quel che ha da essere, poich'è spirito commune>>. Ma in base a quanto detto sull'ontologia e sulla gnoseologia campanelliana, su quali parametri possiamo pensare l'intuizione profetica o divinatoria? Non ci verrebbe difficile affermare che essa non differisce in nulla dalla sensazione. Questo perché, come sottolinea Guido Giglioni146, l'immagine mentale (motus animae imaginantis), l'intenzione dello spirito (significatio spiritus), le onde sonore che sommuovono l'aria e infine la parola pronunciata (aer susceptivus verbi) formano un continuum psico-fisiologico, che è insieme corporeo e rappresentativo. Dal punto di vista filosofico, la profezia acquista un ruolo importante nel sistema campanelliano, sia in quanto ogni cosa, essendo dotata di senso, è in grado di percepire e reagire ad ogni minimo stimolo anche a distanza, questo perché la realtà fisica di cui l'aria rappresenta il collante è un unico processo di “energia percettiva”, sia perché la forza divinatrice immanente nella natura distingue tra il senso vero e fallace delle cose. Questo discorso viene affrontato in maniera specifica da Campanella nella terza parte della Metaphysica, in cui riprende la distinzione classica tra una divinazione naturale, che si configura come l'interpretazione immediata dei segni della natura, e la divinazione artificiale, che invece è caratterizzata da un interpretazione “congetturale” dei segni, basata su un metodo di lettura147. Inoltre con la dottrina divinatrice, Campanella riconferma la tesi che l'auto-coscienza è una prerogativa che appartiene all'essere in 144 Ibidem. 145 Germana Ernst, Magia, divinazione e segni in Tommaso Campanella, cit, p.602. 146 Guido Giglioni, Senso, linguaggio e divinazione nella filosofia di Tommaso Campanella, cit., p.318-319. 147 Ibidem. p.319.
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quanto tale, ed è quindi un carattere ontologico che trascende le aspettative e le percezioni dell'uomo. Cosi la profezia, nella sua caratterizzazione di evento soprannaturale, (nel suo manifestarsi conferma la logica naturale sottesa al''idea fondamentale dell'essere campanelliano), raccoglie in una visione d'insieme le infinite analogie che si dipanano nel tempo e nello spazio. All'interno delle dottrine divinatrici, Campanella riconosce il valore di quelle che hanno a che fare con l'interpretazione dei segni stabiliti dalla natura come la fisiognomica, la chiromanzia, che si basano, appunto, sull'interpretazione naturale di segni naturali. A questo riguardo, Campanella accetta e apprezza la teoria delle segnature, in virtù della quale, ogni erba, ogni metallo e animale che presenti una qualche analogia nella figura, o colore o consistenza con qualche membro del corpo, sicuramente giova alla relativa parte. Questa teoria fu delineata da Giovan Battista della Porta nei otto libri della Phytognomonica (Napoli 1588), nei quali espone <<un nuovo e facilissimo metodo per scoprire al solo sguardo proprietà di piante, animali e metalli>>148, mettendo il relazione le corrispondenze tra le erbe e le parti del corpo, ad esempio <<la zucca con la testa, la iecoraria erba col fegato>>149. Il fondamento di queste pratiche divinatorie è ricondotto, appunto, all'esistenza di un linguaggio di segni naturali, basati a loro volta su similitudini naturali. La somiglianza naturale tra alcuni enti, per cui ognuno è in grado di riconoscere a sua volta le analogie che identificano i tratti culturali e antropologici, oppure la capacità di cogliere le affinità tra i singoli esseri umani, le influenze celesti, tutto ciò riconferma l'idea campanelliana che i segni e le somiglianze naturali siano la garanzia dell'attendibilità delle pratiche divinatorie. Mentre sono fallaci quei segni, che gli uomini a seconda delle proprie disposizioni soggettive definiscono buoni o cattive, e riportando un passo della Metaphisica campanelliana, scrive Giglioni150: <<Pertanto, anche se si presenta una donna, o un uccello, che noi in precedenza abbiamo stabilito come nostro segno, tuttavia la loro anima non pensa affatto alla significazione nei nostri confronti, e molto meno i segni inanimati. Perciò ne consegue che si presentino a noi sospinti dalla causa che comprende il significato nei nostri confronti, e che offre a loro l'occasione di presentarsi a noi>> . Si tratta ancora una volta di capire la relazione che lega il senso della parte a quello della natura, distinguendo quale senso in natura sia primario e quale secondario. E dato che che ogni ente naturale non è in possesso del medesimo grado di auto-coscienza, per questo, per poter comunicare il suo senso, richiede la presenza di un lettore che lo renda estrinseco. Anche gli enti naturali possono essere pensati come dei testi, all'interno dell'immenso libro della natura. E le virtù profetiche si rivelano fondamentali per un autentica lettura della natura, perché in questa visione tutte le cose vengono percepite come dei segni da interpretare. Chi nega questa dimensione, impedisce agli uomini di vigilare sui segni 148 Tommaso Campanella, Del senso delle cose, p.160. Vedi la rispettiva nota numero 135. 149 Ibidem. 150 Ibidem. p.320. Il passo riportato da Giglioni fa riferimento all'edizione della Metafisica curata da Germana Ernst, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, p.25.
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celesti per non essere sorpresi dal giorno del giudizio, come <<da un ladro nella notte>>151. La tematica dei segni naturali rappresenta un aspetto fondamentale della dottrina profetica campanelliana, in quanto la dinamica per cui il profeta è in grado interpretare i segni divini e attraverso il con-tatto del suo spirito con l'aria può presentire eventi futuri, questo ci manda ad una interessante constatazione. Se noi affermiamo con Campanella che ogni ente naturale è in grado di lasciare un “impronta” in quel “sensorio comune” che è l'aria, e che vi sia qualche individuo in grado di recepirla, è come se a ogni ente naturale attribuissimo, in un certo qual modo, una forma, seppur primitiva, di memoria. Pensiamo per un istante, all'aneddoto del tamburo di pelle di pecora, e di come questo vada in rovina nel momento in cui suona quello di pelle di lupo, per il risvegliarsi di quell'originaria paura. Ebbene anche in questo caso come potremo mettere in collegamento questi due aspetti, se non li pensassimo nella loro “conflittualità” passata? Se non giungessimo a tale conclusione, come potremo spiegare l'esistenza di questo legame comunicativo tra gli enti e l'aria? A questo punto la teoria campanelliana rischia di “antropomorfizzare” tutta la realtà. Proprio per evitare questa conclusione, interpreteremo, i legami comunicativi di cui abbiamo parlato sopra, come un contatto di energie vitali. A questo punto del lavoro sembrano riaffiorare molti elementi già trattati. Quando Campanella afferma il ruolo della profezia, e le rispettive qualità che il buon profeta deve possedere, ha già in mente un modello, che altro non è che lui stesso. Il suo ruolo di profeta viene, per così dire, consacrato nella Scelta di alcune poesie filosofiche, e nella Poetica italiana e nella Poetica latina. I temi filosofici che confluiscono in queste opere letterarie, manifestano l'originalità del pensiero campanelliano, e del suo sforzo a tradurre in un linguaggio poetico i temi più significativi della sua riflessione filosofica, nell'intento di conseguire un efficace adeguatezza tra parole e cose, in quanto il limite delle parole è che esse non arrivano a dire l'essenza delle cose. A questo si aggiunge anche l'importanza dell'itinerario intellettuale e spirituale di Campanella, infatti le più intense composizioni risalgono al periodo della segregazione nella fossa di Castel Sant'Elmo (dal 1604 al 1607). L'insieme di questi motivi che hanno costellato la vita del nostro filosofo, le terribili sofferenze che ha subito nel corso della sua vita, accompagnate, però, da quella forza interiore, portò Campanella ad identificarsi e riconoscersi nella figura del “poeta profeta”152. Di colui che è portatore di un messaggio di verità, dedicandosi all'indagine del mondo della natura, concepita come <<libro in cui il Senno eterno scrisse i propri concetti>>153, e quindi come l'espressione massima della bontà di Dio, a cui il poeta profeta deve ispirarsi. Per questo Campanella celebra nella Poetica italiana, la figura morale del poeta, il livello di conoscenza che gli è proprio e che la 151 Germana Ernst, Tommaso Campanella, cit., p.184. 152 Ibidem. 102-103. 153 Tommaso Campanella, Scelta di alcune poesie filosofiche, in Opere letterarie, cit., p.111. Sonetto n.6, “Modo di filosofare”
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sua poesia esprime. Il poeta profeta, in quanto “poeta architettonico”154 (“cioè, secondo la definizione platonica, colui che conosce a fondo ciò di cui parla e, scrive Campanella, colui che intende <<altamente e speculativamente il fine>>)155, sa cogliere dalla natura e dalle novità della storia, dalle grandi scoperte geografiche e dalla letteratura ad esse collegata, nuovi soggetti, nuovi generi poetici. Nelle pagine della Poetica latina, Campanella compie un analisi metafisica della figura del poeta, e sopratutto nel capitolo VI “De his quae ad poetam pertinent”156, in cui viene trattata l'influenza delle tre primalità sulla poesia. La primalità della Sapienza influisce sul poeta, in maniera tale da farne un profondo conoscitore di tutto ciò di cui parla, tanto da permettergli di imitare la natura, liberandosi da tutti gli schemi interpretativi tradizionali. L'Amore lo induce ad amare il tutto più che la parte, e ciò si lega alla capacità di elevarsi ad una visione universale delle cose. La necessità dell'influsso metafisico della Potenza è spiegata invece, in base alla naturale attitudine del poeta verso la poesia, come <<un altro alla corsa e un altro alla pittura>>157, in quanto tutti siamo portatori di un arte, e non possiamo ospitarle tutte <<come le parti del corpo hanno ognuna una sua funzione, in modo che, legati da una reciproca utilità, formiamo una sola società>>158. E quest'ultima primalità, rappresenta per Campanella la caratteristica fondamentale del poeta, ossia la “potenza” di recepire l'azione delle intelligenze superiori. Abbiamo visto come nel Del senso delle cose Campanella, accanto all'elaborazione dei cardini costitutivi della magia affianca l'importanza dell'astrologia, che viene ad acquistare un ruolo sommariamente fondamentale in tutti gli ambiti del sapere e della vita dell'uomo, abbiamo visto ad esempio il rapporto tra astrologia e medicina. Lo stesso lavoro e lo stesso discorso campanelliano valgono per la poetica. Infatti Campanella ancora una volta ribadisce l'importanza dell'influsso astrologico, presentandolo però come mediato dalla particolare predisposizione psicologica e dalla struttura fisiologica del poeta, il cui spirito è <<straordinariamente pieghevole, sottile, lucido, scherzoso, felice della sua stessa luce e facilmente mobile: con queste doti lo spirito serve alla mente>>159. Perciò la “concezione magica della poesia” è strettamente collegata alla metafisica e all'astrologia campanelliana. Iniziano a venire alla luce le diverse analogie che legano la figura del mago campanelliano, a quella del poeta, del legislatore, del medico e del profeta. Questo si può notare nel momento in cui Campanella opera una distinzione sia all'interno della magia, della poesia e anche della profezia, nelle rispettive opere: nel primo capitolo del IV libro Del senso delle cose, il nostro filosofo distingue tra una magia divina, diabolica e naturale; allo stesso modo nella Metafisica 154 Ibidem. <<Introduzione>>, pp. 14-16. 155 Ibidem. p.15. 156 Tommaso Campanella, Poetica latina, in Opere letterarie, cit., p.561-579. 157 Ibidem, p.563. 158 Ibidem. 159 Ibidem.
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campanelliana è presente la classificazione tra i diversi tipi di profezia, che si rifanno a quelli detti, a proposito della magia. E infine nella Poetica latina, emerge la divisione dei poeti in divini, diabolici e umani. Sia nel caso della magia, della profezia e della poesia per Campanella si tratta di chiarire il livello di realtà cui l'uomo riesce a elevarsi, e al quale corrisponde un determinato grado di
conoscenza e operatività sul reale. Tutte le scienze, come l'astrologia, la medicina, la fisica,
costituiscono il bagaglio culturale proprio dei Solari della Città del sole, il cui sapere è a disposizione di tutta la comunità della città. A ciascuno dei Solari <<spettano le arti convenienti a loro, il Potestà della milizia, il Sapienza delle scienze, il Amore del vitto, generazione ed educazione160>>, essi sono il Sole, Pon, Sin, Mor. In una pagina della Città del sole Campanella elenca tutte le scienze che sottostanno a ciascuno degli “offiziali”, sotto la l'autorità di Sin <<sta il Grammatico, il Logico, il Fisico, il Medico, il Politico, l'Economico, il Morale, l'Astrologo, l'Astronomo, il Cosmografo, il Poeta, l'Oratore, il Pittore [...]>>; mentre <<sotto Amore sta il Genitario, l'Educatore, il Vestiario, […]; Sotto il Potestà il Stratagemmario, il Campione ecc>>.161 I solari onorano il sole e le stelle <<come cose viventi e statue di Dio>>. È in queste pagine che Campanella riaffronta i temi relativi all'astrologia, agli influssi astrali e alle virtù profetiche. E non è un caso che egli vi ritorni con ostinazione, in quanto i Solari alla luce dell'intero pensiero campanelliano rappresentano l'incarnazione perfetta, oltre che del legislatore, anche e sopratutto di colui che per la sua attitudine, per la sua fides, si fa custode dei segreti impenetrabili della natura. E questo ci introduce in una prospettiva ancora più ampia, in quanto tutte quelle, che abbiamo detto essere le qualità che devono caratterizzare la figura del mago campanelliano, così come quella del profeta convergono totalmente nell'eclettica figura dei solari.
160 Tommaso Campanella, La città del sole, a cura di Luigi Firpo, in, Scritti scelti di Giordano Bruno e Tommaso Campanella. Torino 1973, Editrice Torinese. p.444. 161 Ibidem, p.445.
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Conclusioni.
Qui intendo riportare per esteso “l'Epilogo del senso dell'universo”, una lirica celebrazione del mondo come immagine divina,in cui la vita scorre e si rinnova in un interrotta vicissitudine. L'epilogo è posto da Campanella alla fine del trattato, come se volesse definire in breve l'essenza stessa Del senso delle cose, come per tracciare un filo unitario, per cucire in un unico nodo speculativo, la vastità dei riferimenti campanelliani, che all'interno del trattato sono vastissimi. Nodo speculativo che si risolve nella delineazione di una natura che nella sua sensibilità, si fa madre e padrona di tutti i misteri e segreti che l'avvolgono. E il mago campanelliano con una sorta di “patto” con l'unità della natura dispersa nella molteplicità, non solo intende esplorare e investigare nei più intimi arcani della natura, ma acquistare la consapevolezza che lui in quanto parte di essa è già un mistero da risolvere162. La forza, la volontà, l'energia immanente nella realtà, rendono la natura stessa maga. In lei e per lei non vi sono segreti, perché nel profondo della sua intimità il tutto si risolve nell'Unità. E se l'uomo fosse in grado di penetrare così a fondo, non avrebbe più i caratteri della sua umanità ma sarebbe un intelligenza angelica. La natura dell'uomo non gli permette di svelare una volta per tutte l'essenza stessa del creato, se così fosse non avremo potuto parlare di magia, di misteri di arcani divini, perché tutto apparirebbe così come è, nella assoluta chiarezza. Se non ci fossero più misteri da svelare, non esisterebbe la figura del mago e tanto meno l'immagine stessa della divinità. Così Campanella, ribadendo l'intima sensibilità universale, e il ruolo divino dell'uomo in questo cosmo, “rielaboratore” dei messaggi divini, ci invita ad accogliere questa visione della realtà.
<<Il mondo, dunque, tutto è senso e vita e anima e corpo, statua dell'Altissimo, fatta a sua gloria con potestà, senno e amore. Di nulla cosa si duole. Si fanno in noi tante morti e vite che servono alla sua gran vita. Muore in noi il pane, e si fa chilo, poi questo muore e si fa sangue, poi il sangue muore e si fa carne, nervo, ossa, spirito, seme, e pate varie morti e vite, dolori e voluttadi; ma alla vita nostra servono, e noi di ciò non ci dolemo, ma ci godemo. Così a tutto il mondo tutte cose son gaudio e servono, e ogni cosa è fatta per lo tutto, e il tutto per Dio a sua gloria. Stanno come vermi dentro all'animale tutti gli animali dentro al mondo, né si pensano ch'egli senta, come li vermi del nostro ventre non pensano che noi sentemo e abbiamo anima maggiore della loro, né sono animati dalla commune anima del mondo, ma ciascuno della propria, come li vermi in noi, che non hanno la nostra mente per anima, ma il proprio spirito. L'uomo è l'epilogo di tutto il mondo, ammiratore di questo, se vuol conoscere Dio, che però è fatto. Il mondo è statua, immagine, tempio vivo di Dio, dove ha dipinto li suoi gesti e scritto li suoi concetti, l'ornò di vive statue, semplici in cielo, e miste e fiacche in terra; ma da tutte a Lui si camina. Beato chi legge questo libro e impara da lui quello che le cose sono, e non dal suo 162
Cfr. Tommaso Campanella, Del senso delle cose, cit., p. 98.
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proprio capriccio, e impara l'arte e il governo divino, e per conseguenza si fa a Dio simile e unanime, e con lui vede ch'ogni cosa è buona, e che il male è respettivo e maschera delle parti che rappresentano gioconda comedia al Creatore, e seco gode, ammira, legge, canta l'infinito, immortale Dio, prima Possanza, prima Sapienza, primo Amore, onde ogni potere, sapere e amore deriva et è e si conserva e muta, secondo li fini intesi dalla commune anima, che dal Creatore impara, e l'arte del Creatore, nelle cose innestata, sente, e per quella ogni cosa al gran fine guida e muove, finchè ogni cosa sarà fatta ogni cosa, e mostrarà ad ogni altra cosa le bellezze dell'eterna Idea. Or chi l'ammira le conosce, chi le conosce l'opera, chi opera fia amico di Dio, partecipe della gran sapienza universale sempre beata e gloriosa; e la qual sia pregata che me e Berillo mio alzi alla sua dignità e conoscenza, e mandi presto il mio liberatore.>>163
163
Ibidem. p.235-236.
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