Assistenza infermieristica nel posizionamento ambulatoriale di port-a-cath

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A.D. MDLXII

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SASSARI FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA Presidente: Prof.ssa Ida Iolanda Mura

ASSISTENZA INFERMIERISTICA NEL POSIZIONAMENTO AMBULATORIALE DI PORT-A-CATH

Relatore: Chiar.mo Prof. Alberto Porcu

Tesi di laurea: Dott.ssa Bruna Sechi

ANNO ACCADEMICO 2010/2011

1



INDICE

INTRODUZIONE

pag. 3

CENNI DI ANATOMIA E TECNICA CHIRURGICA

pag. 8

ASSISTENZA INFERMIERISTICA

pag. 15

MATERIALI E METODI

pag. 19

RISULTATI

pag. 20

DISCUSSIONE

pag. 23

CONCLUSIONI

pag. 27

RINGRAZIAMENTI

pag. 30

BIBLIOGRAFIA

pag. 31

SITOGRAFIA

pag. 37

2



INTRODUZIONE Il cateterismo venoso centrale è diventato una procedura standard sin dalla sua introduzione nella pratica medica negli anni 50 (1). L'8% dei pazienti ospedalizzati riceve una catetere venoso centrale e piÚ di 5 milioni di cateteri venosi centrali vengono inseriti negli USA ogni anno (2). I cateteri centrali forniscono un accesso endovenoso affidabile, permettono il monitoraggio emodinamico e l'esecuzione di prelievi ematici. La somministrazione centrale di farmaci vasoattivi ed ipertonici (destrosio 50%, bicarbonato di sodio, cloruro di calcio, per esempio) previene le reazioni locali dei siti di somministrazione periferici e migliora la gestione centrale del farmaco durante l'arresto cardiaco (3,4). Per catetere venoso centrale (CVC) si intende una protesi biocompatibile di lunghezza variabile costituita di materiale morbido e flessibile (silicone, PVC, poliuretano) la cui estremità sbocca in vena cava superiore (VCS) o inferiore (VCI) o in atrio destro (AD), attraverso la quale possono essere infuse terapie farmacologiche iperosmolari o potenzialmente dannose per i vasi di piccolo calibro (5,6). In questa occasione ci occuperemo esclusivamente dei CVC a lungo termine ed in particolare di quelli totalmente impiantabili tipo Port-A-Cath (PAC), ma per completezza di esposizione

3


alleghiamo una tabella riassuntiva di tutti i CVC a lungo termine usati nella pratica clinica:

SISTEMI

PUNTA

TIPO DI CVC

TEMPO DI PERMANENZA

APERTA

BROVIAC

MESI- ANNI

IMPIANTABILI

TUNNELLIZZATI

HICKMAN

TUNNELLIZZATI

CHIUSA

GROSHONG

TOTALMENTE

APERTA

CONNESSO A SERBATOIO MESI-ANNI

IMPIANTABILI

MESI-ANNI

PERFORABILE “PORT” O “CATH-LINK”

TOTALMENTE

CHIUSA

IMPIANTABILI

CONNESSO A SERBATOIO MESI-ANNI PERFORABILE “PORT” O “CATH-LINK”

NON

APERTA

CATETERE DI HOHN

2-3 MESI

APERTA

CERTOFIX-ARROW

SETTIMANE

PICC

2-3 MESI

TUNNELLIZZATO NON TUNNELLIZZATO AD INSERIMENTO APERTA PERIFERICO

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I sistemi totalmente impiantabili o Port-a-cath (PAC) sono cateteri venosi centrali connessi ad una camera (reservoir o port) impiantata in una tasca sottocutanea (7,8). La camera serbatoio può essere di titanio, polisulfone, teflon, resina epossidica o materiale misto. Essa è dotata di un setto perforabile in silicone, ed è connesso a un catetere in silicone o poliuretano (9). I PAC vengono posizionati preferibilmente nella vena succlavia o nella vena giugulare interna, meno frequentemente nella vena femorale. La loro peculiarità consiste nel fatto che l'impianto richiede un piccolo intervento chirurgico con l'inserimento di un “reservoir” sottocute ed il loro tempo di permanenza è di mesi o anni. I vantaggi sono rappresentati dalle minime limitazioni imposte al paziente, che può praticare attività fisica che coinvolga anche gli arti superiori, come il nuoto, ed una più completa igiene personale; non occorrono medicazioni periodiche nel periodo in cui non viene utilizzato, ma solo nei giorni seguenti l’impianto; miglior risultato estetico con maggiori possibilità di attività sociale, il basso rischio infettivo e che, se non utilizzato, richiede solo un lavaggio mensile (10). Gli svantaggi sono che deve essere posizionato e rimosso da personale medico in sala operatoria; il reservoir è accessibile solo con ago di Huber; la sua gestione richiede personale specializzato; la puntura può essere dolorosa, sgradita e poco tollerata; esiste il rischio di puntura accidentale per il personale,

5


anche se minimizzato con l’uso dei nuovi dispositivi; rischio di danno cutaneo nel punto di inserzione dell’ago, pertanto è opportuno variare il punto d’ingresso dell’ago; possibili stravasi da traslocazione dell’ago dal reservoir con necessità di medicazioni che stabilizzino l’ago; possibili decubiti cutanei nella sede del port in pazienti malnutriti (11,12). L’accesso

al

sistema

avviene

mediante

una

puntura

transcutanea del setto del reservoir utilizzando aghi di Huber (o Gripper) con punta a doppia lanceolatura, non “carotanti” o non recidenti (non-coring). Il setto viene trapassato e la punta dell’ago si posiziona nel centro del port connesso alla vena centrale tramite il catetere. Il reservoir può variare di dimensioni, forma e altezza (port bassi “low profile”, standard e alti “high profile”). (13) Il sistema può essere semplice e doppio: nel sistema doppio il port è costituito da due camere-serbatoio connesse a due diversi lumi del catetere. Il setto del port è perforabile in tutta la sua superficie fino a 2000-3000 volte utilizzando sempre gli appositi aghi noncarotanti. Il catetere connesso al port può variare per diametro (tra 6 e 9 French) e per la presenza o meno di valvole (catetere a punta aperta tipo Hickman o valvolato in punta tipo Groshong).(14,15) La finalità dello studio osservazionale è quello di dimostrare che il posizionamento di port-a-cath può avvenire in un ambiente protetto diverso da

quello della sala operatoria,

dove

6


usualmente

viene

eseguita

la

procedura,

come

quello

ambulatoriale, seguendo comunque le rigide norme della sterilità e dell’asepsi.(16) Questo,

secondo

il

nostro

parere

ed

i

risultati

che

presenteremo, consente di offrire un maggior numero di prestazioni alle strutture che richiedono questa particolare procedura, slegandole dalla poca disponibilità delle sale operatorie e delle équipe mediche ed infermieristiche coinvolte e dirottando tale disponibilità su interventi chirurgici di maggiore importanza ed urgenza.(17)

7


CENNI DI ANATOMIA E TECNICA CHIRURGICA Il cateterismo della vena succlavia viene eseguito al fine di ottenere l'accesso venoso per il monitoraggio della pressione venosa centrale, per la somministrazione di farmaci e liquidi endovenosi. Le controindicazioni assolute al cateterismo della vena succlavia sono le seguenti: • edema o altre manifestazioni di ostruzione della vena cava superiore dal lato dell'inserimento previsto; • precedenti interventi chirurgici o irradiazione dell'area sottoclavicolare; • infezione nella sede dell'inserimento previsto; • pneumotorace controlaterale; • paziente che non collabora; • malato sottoposto a RCP. In genere, per eseguire il cateterismo percutaneo della vena succlavia sono necessarie due persone. L'operatore inserisce il catetere e un'assistente apre le apparecchiature sterili ed aiuta a porre in posizione il paziente. Le apparecchiature ed il materiale necessario sono i seguenti: • materiale

per

la

tecnica

sterile

(guanti,

camice,

mascherina) • lidocaina all'1% con una siringa da 10 mL e aghi n.22 e 25 • pomata antibatterica • recipiente di liquido con i tubi di connessione

8


• port-a-cath

con

set

d'inserimento,

ne

esistono

in

commercio molti tipi; la maggior parte consistono in un ago introduttore, un filo guida, un dilatatore vascolare, un catetere radiopaco in silicone, un reservoir. La corretta posizione del paziente è fondamentale per il successo del cateterismo della vena succlavia. Il soggetto va posto nella posizione di Trendelenburg, con la testa ad un'altezza comoda per l'operatore. Tale posizione distende completamente la vena succlavia e crea una pressione positiva all'interno del vaso quando il catetere viene inserito, evitando in tal modo l'embolia gassosa. Entrambe le braccia devono stare distese lungo il fianco del paziente. La vena succlavia decorre inferiormente alla clavicola in prossimità dell'arteria omonima e dell'apice del polmone. L'arteria è situata superiormente e profondamente alla vena. Con l'approccio percutaneo, la vena viene raggiunta prima che l'arteria possa essere punta accidentalmente. Lateralmente, i due vasi scendono in direzione caudale penetrando nell'ascella. Prima di iniziare la procedura è necessario assicurarsi che tutta l'apparecchiatura sia a portata di mano e pronta per l'uso, preparare il recipiente della soluzione fisiologica eparinata, il catetere venoso ed il reservoir, irrigando questi ultimi per rimuovere tutta l'aria.

9


Una

volta

posto

il

paziente

nella

posizione

adatta

(Trendelenburg), si procede a sterilizzare la cute nell'area dell'inserimento, dalla porzione laterale della clavicola fino all'orecchio e all'incisura soprasternale. La testa del paziente va ruotata dal lato opposto a quello dell'inserimento, con il collo torto il piÚ possibile. E’ fondamentale l’osservanza delle regole basilari della tecnica sterile, indossando berretto, mascherina, camice e guanti sterili. Si monta l'ago sulla siringa, dopo aver aspirato 2 cc di soluzione fisiologica eparinata e ci si assicura che il filo guida e gli altri componenti del set siano a portata di mano. Si procede ora alla delimitazione del campo anatomico con dei telini sterili di TNT nell'area infraclavicolare. Usando il dito indice, si palpa inferiormente la clavicola per apprezzare il legamento costoclavicolare, che connette la clavicola alla prima costola. Questo legamento si trova laddove la clavicola curva in direzione posteriore; si applica il pollice tra la clavicola e la prima costola subito lateralmente a questo legamento, e il dito indice nell'incisura soprasternale. La vena succlavia attraversa la linea immaginaria che collega queste due dita. Si anestetizza la cute con lidocaina al 2% usando la siringa da 10 mL e l'ago per anestetizzare il sottocutaneo e il periostio della clavicola lungo il tragitto previsto per l'inserimento (il bordo inferiore della clavicola). Una seconda siringa con anestetico locale viene preparata ed usata in seguito per anestetizzare la

10


cute ed il sottocute della regione toracica anteriore dove verrà eseguita la tasca per l’alloggiamento del reservoir del port-acath. Durante tali manovre, prima di iniettare la lidocaina, assicurarsi che l'ago non sia nella vena e che quindi il sangue non refluisca mentre il pistone della siringa viene mantenuto in leggera trazione. Riportato il dito indice nell'incisura soprasternale e il pollice sul legamento costoclavicolare, si applica l'ago per l'introduzione del catetere e questo viene introdotto sotto la cute 2 cm caudalmente alla clavicola, subito medialmente al dito pollice. Si inserisce l'ago con il taglio obliquo della punta rivolto verso l'alto, in modo che tale orientamento possa essere mantenuto dopo che è penetrato nella vena. Può essere utile trovare la vena con un ago più sottile prima di usare quello introduttore. Viene fatto avanzare l'ago con un angolo di 10-20 gradi finché non arriva a contatto con la clavicola, a questo punto viene ridotto l'angolo dell'ago finché questo non divenga parallelo al dorso del paziente e vicino al corretto allineamento. Si spinge l'ago lentamente in direzione inferiore lungo la clavicola finché non raggiunge la superficie inferiore. E’ necessario mantenere sempre la punta a contatto con l'osso e procedere lentamente una volta raggiunta la faccia inferiore, controllando l'allineamento dell'ago con l'incisura soprasternale e, mentre si fa trazione sul pistone della siringa, si fa avanzare

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l'ago verso l'incisura soprasternale stessa, mantenendolo in parallelo al dorso del paziente. Quando l'ago penetra nella vena, il sangue venoso refluisce nella siringa, se non viene sangue, ritirare lentamente l'ago continuando a fare trazione sul pistone. Se il primo tentativo non riesce, si ritira l'ago completamente e lo si irriga con soluzione eparinata per eliminare eventuali tessuti dal lume. Questa manovra è importante perché con un ago ostruito può fallire anche un secondo tentativo di cateterismo. Talvolta, il sangue giunge nella siringa mentre l'ago viene ritirato indietro lentamente. A volte, dirigendo l'ago poco più cranialmente o poco più profondamente, si riesce a localizzare la vena, ma non si debbono fare tentativi alla cieca in tutte le direzioni per il pericolo di pungere strutture vicine come il polmone o l'arteria succlavia. Reperita la vena, si ruota l’ago in modo che il taglio obliquo della punta dell’ago sia rivolto in direzione caudale e cioè verso i piedi del paziente, assicurandosi che vi sia libero flusso di sangue. Talvolta, se la punta dell'ago poggia contro la parete della vena, il sangue fluisce se il taglio dell'ago è rivolto verso l'alto ma non quando l'ago stesso viene ruotato: in questi casi, si fa avanzare o si retrae l'ago per un breve tratto e si controlla nuovamente se vi è deflusso di sangue.

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Quando l'ago è situato correttamente nel lume della vena, si mantiene in sede con il pollice e l'indice di una mano, si rimuove la siringa e si occlude immediatamente il raccordo dell'ago stesso per evitare che penetri aria nel vaso (embolia gassosa),

improbabile

col

paziente

in

posizione

di

Trendelenburg che comporta una pressione positiva all’interno della vena succlavia, ma non impossibile. Se l'ago è in posizione corretta, il sangue dovrebbe defluire liberamente. A questo punto viene inserito il filo guida e si rimuove l’ago introduttore. Si passa all’infiltrazione della cute, con anestetico locale, a livello del II-III spazio intercostale. Si incide la cute ricavando una tasca sottocutanea, di dimensioni opportune rispetto al reservoir da impiantare, che arriva in profondità al sottocute, fino alla fascia del pettorale. A questo punto si incide la cute per 2-3 mm a livello dell’ingresso cutaneo del filo guida e su di esso si inserisce il dilatatore vascolare o introduttore

secondo la tecnica di

Seldinger e si procede all’introduzione del catetere in vena, in precedenza

opportunamente

eparinato

e

clampato,

ed

all’estrazione dell’introduttore e del filo guida. Si controlla la presenza di flusso nel catetere in vena che viene ulteriormente lavato con soluzione eparinata. Dopo aver inserito il tunnellizzatore nel catetere del port-a-cath, si procede alla sua tunnellizzazione sino alla tasca di alloggiamento del serbatoio, anche esso precedentemente

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riempito e lavato con soluzione eparinata, a cui viene connesso e bloccato. Ad ulteriore prova dell’esatto posizionamento si punge la camera del reservoir con un ago di Huber, si aspira e si lava per ricontrollare la funzionalità e la pervietà del sistema impiantato. Nella nostra esperienza non si è rivelato fondamentale fissare il reservoir con alcuni punti di sutura riassorbibili alla fascia del muscolo grande pettorale. Si sutura la ferita chirurgica della tasca cutanea con alcuni punti di seta o nylon e si appongono steril-strips sulla piccola incisione cutanea sottoclaveare. A completamento della procedura si esegue una radiografia del torace per controllare la posizione del catetere e per individuare un possibile pneumotorace entro due ore dalla procedura. Ad ogni paziente è stata prescritta terapia antibiotica orale e profilassi antitrombotica con eparina a basso peso molecolare dopo l’esecuzione della procedura. Controlli clinici sono stati eseguiti a 3 e 10 giorni dal posizionamento del port-a-cath.

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ASSISTENZA INFERMIERISTICA

Il posizionamento di port-a-cath presuppone la presenza di personale medico ed infermieristico qualificato, di una corretta preparazione del campo operatorio ed in sostanza di una buona organizzazione. Indispensabile è la collaborazione tra équipe medica ed infermieristica per il raggiungimento del miglior risultato, col minore disagio per il paziente.(18,19) L’infermiere predispone il materiale da utilizzare durante la procedura: • kit per port-a-cath • anestetico locale (lidocaina 2%) • siringhe da 5 e 10 mL • fiale di soluzione fisiologica • occorrente per tricotomia (se necessaria) • disinfettante (PVP iodio in soluzione 10% - alcol) • set telini sterili n°4 • mascherina • guanti chirurgici sterili • copricapo • set ferri chirurgici, comprendente almeno una pinza di Klemer, un porta aghi, una forbice • set garze sterili • filo di sutura già montato su ago

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• ciotola sterile con soluzione fisiologica eparinata (50-100 UI/mL) • medicazioni sterili 10 x 10 cm • contenitore per rifiuti speciali Nella fase di preparazione il paziente deve essere monitorizzato per

quello che riguarda pressione arteriosa, frequenza

cardiaca, saturazione di ossigeno, anche in previsione della posizione di Trendelenburg necessaria per la procedura. E’ sempre bene premunirsi e posizionare un accesso venoso periferico in caso di reazioni vagali. Si esegue una tricotomia della regione sovra-sottoclaveare, collo, pettorale (porzione superiore dalla linea del capezzolo) e/o inguinale (nel caso della femorale).(20) Si appone un impacco di betadine soluzione per un tempo minimo di 10 minuti. Si posiziona il malato senza cuscino, la testa ruotata dal lato opposto rispetto a quello dove si opera, rigorosamente supino, in lieve Trendelenburg (20-30 gradi); a volte può essere richiesto un piccolo cuscino o un rotolo di lenzuolini sotto la regione interscapolare, in modo che le spalle cadano il più possibile all’indietro e la fossetta sottoclaveare sia più estesa possibile, mantenendo le braccia lungo il corpo. La tecnica del cuscinetto interscapolare è indicata soprattutto in quei pazienti con collo corto, obesi. Nel caso di incannulamento della vena succlavia, il braccio omolaterale deve essere leggermente extraruotato (palmo della

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mano rivolto verso l’alto) e modestamente trazionato, mentre la testa viene mantenuta in posizione controlaterale al sito o dall’infermiere o dal paziente stesso (se esso è collaborante). E’ importante il mantenimento della giusta posizione durante tutta la procedura in quanto riduce il rischio di embolia gassosa e da la possibilità, nel caso di incannulamento della vena giugulare interna, di avere una maggiore pressione venosa. Il campo sterile va preparato da due operatori: il primo deve indossare i guanti chirurgici sterili ed ha il compito di preparare materialmente il campo, il secondo supporterà il primo, passandogli i set il cui contenuto è rigorosamente sterile. Il primo operatore indossa cappellino e mascherina, esegue il lavaggio della mani con betadine chirurgico, asciuga le mani con un telino sterile, indossa il camice sterile, aiutato dal secondo operatore, e poi i guanti chirurgici sterili.(21) Fatto ciò si predispone il campo sterile sul piano di lavoro precedentemente sanificato (carrello servitore). Il secondo operatore porge al primo: • set di telini sterili • set da port-a-cath • set di ferri chirurgici • set di garze sterili • filo di sutura • contenitore sterile con soluzione fisiologica eparinata

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A questo punto il secondo operatore predisporrĂ vicino al letto il carrello di servizio con i disinfettanti, fiale di fisiologica 0.9%, lidocaina al 2%, siringhe da 5 e da 10 mL. Mentre il primo operatore procede al posizionamento del port-acath, il secondo operatore monitorizza i parametri vitali del paziente, controlla ed assicura la corretta posizione del paziente. Terminata la procedura, il secondo operatore deve apporre la medicazione

(è

consigliabile

una

medicazione

di

tipo

ipoallergenico, traspirante, per lo scambio di ossigeno e vapore acqueo), trasparente (per un piĂš semplice controllo del sito di inserzione e di sutura della tasca cutanea del reservoir), impermeabile.

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MATERIALI E METODI Dall’Ottobre 2007 al Marzo 2012 sono stati impiantati, presso l’ambulatorio del Reparto di Chirurgia Generale della Grande Obesità e Patologie Correlate dell’Azienda OspedalieroUniversitaria di Sassari, 152 port-a-cath in 150 pazienti, affetti principalmente da neoplasie epiteliali solide e da neoplasie ematologiche. In tutti i casi l’impianto era finalizzato alla somministrazione di terapia antiblastica. I pazienti erano così composti: 79 maschi, pari al 52.67% del campione e 71 femmine, pari al 47.33%. L’età media era di 62.78 anni con un “range” compreso tra 20 e 84 anni. In 147 casi il port-a-cath è stato posizionato in vena succlavia destra o sinistra, pari al 96.71% dei casi; 2 sono stati posizionati in vena femorale, pari al 1.33%; 3 sono stati posizionati in vena giugulare interna destra, pari al 1.97%. L’intervento è stato sempre praticato in ambulatorio con campo rigorosamente sterile ed in anestesia locale per infiltrazione. Tutti i pazienti sono stati sottoposto a radiografia del torace dopo la procedura per la valutazione della posizione del catetere venoso e di eventuale pneumotorace. La puntura della vena succlavia, così come della vena giugulare interna e della vena femorale, è stata condotta secondo la tecnica di Seldinger, preferibilmente a destra, e la prima esclusivamente per via sottoclavicolare.

19


RISULTATI

In 142 pazienti (94%) la succlavia è stata facilmente incannulata. In 3 pazienti è stato necessario posizionare il port-a-cath nella vena giugulare interna destra (1.97%), in 2 casi per la presenza di un catetere venoso centrale già in sede, in un altro caso si è preferito incannulare la vena giugulare interna per evitare un possibile emotorace in paziente con disturbi della coagulazione. In 2 pazienti (1.33%) il posizionamento è stato eseguito in vena femorale destra per la presenza di una sindrome mediastinica da malattia linfoproliferativa. In 4 pazienti (2.7%) il posizionamento in vena succlavia è stato gravato da complicanze, in un caso per puntura accidentale dell’arteria succlavia ( riposizionato in seguito correttamente), in un caso per risalita del catetere venoso in vena giugulare interna omolaterale, ed in 2 casi, nonostante il posizionamento finale del port-a-cath sia andato a buon fine, per l’insorgenza di un pneumotorace. Diverse complicanze sono associate all’impianto di port-a-cath. Le più comuni possiamo riassumerle nella seguente tabella:

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Immediate Sanguinamento Puntura dell’arteria Aritmia Embolia gassosa Lesione del dotto toracico (con approccio SC o GI sinistro) Mal posizionamento del catetere Pneumotorace o emotorace Tardive Infezione Trombosi venosa e/o embolia polmonare Migrazione del catetere Embolizzazione del catetere Perforazione cardiaca Lesione nervosa

21


Per quanto riguarda il nostro studio, possiamo schematizzare le complicanze con le rispettive percentuali e la loro comparazione con la letteratura internazionale nella seguente tabella:

Immediate Sanguinamento

% Studio

% Letteratura

0

0.4

0.6

1.6

Aritmia

0

2.1

Embolia gassosa

0

<1

Lesione del dotto toracico

0

1

Malposizionamento del catetere

0.6

4

Pneumotorace o emotorace

1.3

2.2

0

4.1

0.6

4.7

Migrazione del catetere

0.6

0.3

Embolizzazione del catetere

0.6

0.3

Perforazione cardiaca

0

<1

Lesione nervosa

0

2.5

Puntura dell’arteria

Tardive Infezione Trombosi venosa e/o embolia polmonare

22


DISCUSSIONE

La

somministrazione

di

terapie

parenterali

prolungate,

chemioterapiche e non, è la condizione essenziale per la cura di pazienti affetti da patologia neoplastica. Un problema di non agevole soluzione è rappresentato dal reperimento di un accesso venoso rapido, sicuro e duraturo. La somministrazione di

farmaci

sclerosanti

e/o

necrosanti

ed

il

continuo

microtraumatismo, dovuto al ripetuto impiego di un accesso venoso, rendono in breve tempo, inevitabilmente inutilizzabile il sistema periferico.(22,23) La soluzione più idonea a tali problemi sembra essere quella dell’impiego di cateteri in vena centrale. Purtroppo, però, i pazienti con cateteri esterni in vena centrale sarebbero costretti a lunghi ed interminabili periodi di ospedalizzazione, non solo per le irrinunciabili terapie endovenose, ma soprattutto per la prevenzione e la cura delle possibili gravi complicanze dovute al catetere e non ultimo, per la necessità di rispettare tutte le più scrupolose norme di asepsi necessarie per questi accessi e per questi pazienti spesso defedati. La necessità, infine, di trattare i pazienti in regime ambulatoriale o, addirittura, a domicilio, anche

nelle

fasi

terminali

della

malattia,

con

la

somministrazione di terapie antalgiche palliative, alimentazione parenterale totale e fluido-terapie, ci ha spinto ad un maggiore utilizzo dei sistemi venosi totalmente impiantabili, allo scopo di

23


ottenere un accesso completamente isolato, tale da limitare la contaminazione proveniente dall’esterno.(24) L’impianto

di

sistemi

PAC

ha

rappresentato

nell’ultimo

quindicennio un presidio di indubbia utilità sia nei pazienti neoplastici

o

non,

che

necessitavano

di

alimentazione

parenterale totale o parziale. L’utilizzazione di tali sistemi ha consentito di ottenere risultati notevoli in termini di continuità delle terapie effettuate, e quindi di ottimizzazione dell’efficacia dei trattamenti, di facilità di accesso per la somministrazione di farmaci, di possibilità di gestione “domestica” di tali sistemi e delle terapie, in particolare di quelle nutrizionali, ripercuotendosi in fin dei conti a favore di un minor tempo di ospedalizzazione dei pazienti, con vantaggi sia sul piano psicologico che su quello, non trascurabile, dei costi sanitari.(25) A fronte di una serie di vantaggi per il paziente, in primo luogo, e per l’efficacia delle terapie, i sistemi ad accesso venoso centrale totalmente impiantabili presentano sia dei costi elevati in se e per se, sia possono presentare complicanze durante l’impianto e durante la gestione, sia da parte del personale medico e infermieristico, che da parte del paziente o dei familiari che gestiscono il sistema stesso al domicilio. In quest’ultimo senso vi possono essere sia complicanze infettive che ostruttive del sistema stesso, rotture e mal funzionamenti, infezioni della cute sovrastante la camera, decubiti di quest’ultima.(26)

24


Altre complicanze, legate invece all’impianto chirurgico del sistema, sono rappresentate per la maggior parte dal pneumotorace dovuto al reperimento percutaneo della vena succlavia. Tale complicanza ha una maggiore incidenza in quei casi nei quali l’habitus del paziente o una particolare conformazione della regione clavicolare o una particolare conformazione della vena o della posizione costringono a punture ripetute durante il tempo operatorio di incannulazione. Dall’analisi dei risultati precedentemente riportati, possiamo desumere che il posizionamento di un port-a-cath in vena centrale in sicurezza sia possibile non solo nell’ambiente della sala operatoria, ma anche in un ambulatorio debitamente attrezzato, senza aumentare l’incidenza di complicazioni infettive a breve e/o lungo termine.(27) La possibilità di eseguire questa procedura in un ambiente diverso dalla sala operatoria permette di ridurre i tempi d’attesa, spesso penosamente lunghi, per la frequente indisponibilità del blocco operatorio, e di venire incontro alle richieste, a volte pressanti ma sempre giustificate, delle strutture sanitarie che gestiscono i pazienti oncologici a medio e lungo termine.(28) Questo permette inoltre di evitare al paziente, già provato sia dalla diagnosi, sia dalla patologia per cui è stato richiesto il posizionamento di port, sia spesso da un recente intervento chirurgico, lo stress psicologico e fisico di un atto operatorio che

25


prelude ad uno “step� terapeutico successivo, quale la terapia antiblastica.

26


CONCLUSIONI Gli Accessi Vascolari Centrali (AVC) sono divenuti oggi una pratica oramai consueta, non solo nelle Terapie Intensive, ma anche in altri ambiti, specie quello oncologico, che, per la continuità di cura, spesso richiede una specifica tipologia di dispositivi, tali da permettere un uso episodico del sistema (non necessariamente continuo) e per un tempo che varia da 3 mesi ad alcuni anni (a medio e lungo termine). La corretta formazione del personale addetto deve quindi divenire una priorità per qualsiasi organizzazione sanitaria, nell’ottica di una prevenzione dei rischi e della diagnosi precoce delle complicanze (infezioni e trombosi innanzitutto); anche le più elementari norme, come l’igiene delle mani degli operatori, la massima sterilità, l’antisepsi della cute, il sito di introduzione, acquisiscono una importanza fondamentale e vengono pertanto considerate delle misure prioritarie nella prevenzione delle Infezioni Ospedaliere. La possibilità di avere accessi venosi per lungo tempo, è spesso una condizione obbligatoria per pazienti che soffrono di malattie croniche come il cancro poiché è frequente il ricorso a terapie

particolari

antibiotici,

e

prolungate

emocomponenti

ed

(infusioni infusioni

continue),

ad

idroelettrolitiche,

nutrizione parenterale, ecc.

27


La gestione medica ed infermieristica di questi pazienti è attualmente resa più agevole dalla presenza di dispositivi venosi affidabili. Dispositivi sicuri ed indolori sono l'obiettivo di ogni paziente che si sottopone ad un programma di chemioterapia (CT). Lo sconforto e I'ansia che possono accompagnare tentativi multipli di puntura venosa, spesso senza successo, possono essere evitati con il posizionamento di dispositivi di accesso vascolari a lungo termine fin dalla programmazione del trattamento, grazie anche a ritrovati sempre più innovativi introdotti sul mercato che hanno ampliato la gamma di scelta del presidio più idoneo. L'introduzione di nuovi e sempre più complessi schemi di chemioterapia ha posto nuove sfide alla sicurezza a causa dell'uso di farmaci molto irritanti e sclerosanti per i quali l'infusione in vene periferiche è un limite d'uso. L'uso di un CVD (Central Venous Device, dispositivo venoso centrale) per I' accesso ad una vena centrale permette una rapida emodiluizione del farmaco che, altrimenti, in una vena periferica, potrebbe provocare irritazione, fino alla sclerosi e necrosi dei tessuti. Alcuni schemi terapeutici inoltre richiedono la somministrazione di farmaci in infusioni continue, magari per più giorni consecutivi e per un tempo indeterminabile a priori: trattamenti recenti possono permettere ai pazienti di ricevere le infusioni endovenose stando a casa propria, o al lavoro, mantenendo

28


così la possibilità di una normale vita quotidiana durante la cura. Ma l'arrivo di sempre più nuovi e diversi dispositivi può creare confusione in molti operatori; alcuni di questi presidi sono adatti a necessità a breve termine, altri a medio e lungo termine e pertanto richiedono differenti procedure infermieristiche a seconda che si tratti di porte venose totalmente impiantate oppure di cateteri esterni, tunnellizzati e non. Nella nostra esperienza il posizionamento ambulatoriale del port-a-cath ha consentito un abbattimento dell’attesa per il suddetto procedimento, slegandolo dalla disponibilità della sala operatoria. I risultati ottenuti evidenziano una percentuale pressoché sovrapponibile alla letteratura di complicanze, in particolar modo quelle infettive e trombotiche. Pertanto possiamo ritenere il posizionamento ambulatoriale del port-a-cath una procedura assolutamente sicura per il paziente, negli stessi modi e nelle stesse percentuali di complicanze del posizionamento in sala operatoria.

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RINGRAZIAMENTI

Vorrei innanzitutto ringraziare il Prof. Alberto Porcu, relatore della mia tesi. Desidero, inoltre, ringraziare il Dott. Enrico Fais per la disponibilitĂ e le numerose ore dedicatemi. Ringrazio con tanto affetto la mia famiglia che mi ha sempre sostenuto durante questi anni. Babbo, Mamma, Chiara, Federico, Eli: siete il quintetto base che vince tutti i campionati del mio cuore.

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