Il vandalismo adolescenziale: analisi del fenomeno e riflessione pedagogica

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A.D. MDLXII

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IL VANDALISMO ADOLESCENZIALE: ANALISI DEL FENOMENO E RIFLESSIONI PEDAGOGICHE

Relatrice: PROF.SSA GIUSEPPINA MANCA

Tesi di Laurea di: CHIARA RASSU

ANNO ACCADEMICO 2011/2012



A mia madre e a mio padre

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Indice - Introduzione…………………………………………………………pag 4 - Capitolo 1: Funzione della trasgressione in adolescenza e i vari tipi di reato • L’adolescenza………………………………………………….. pag 6 • La regola e la trasgressione…………………………………... pag 11 • Fattori di rischio……………………...........…………………. pag 18 • Fattori di protezione………………………………………….. pag 24 • La devianza adolescenziale……………………………………pag 26 • Statistiche sui reati…………………………………………… pag 28 - Capitolo 2: Il vandalismo adolescenziale • Definizione di vandalismo…………………………………… pag 32 • I vandali a scuola…………………………………................... pag 35 • Writers e bombers……………………………….………...…. pag 39 • Gli ultrà…………………………..……………………...….... pag 42 • La deturpazione dell’opere d’arte…………………………….. pag 46 • Distruggere i propri oggetti…………………………...…….... pag 48 • I cracker………………………………………………………. pag 50 • Profilo del vandalo…………………………………………… pag 53


- Capitolo 3: Statistiche sugli atti vandalici in Italia • Dati di ricerca………………………………………………… pag 55 • Il vandalismo in Sardegna……………………………………. pag 59 - Capitolo 4: La rieducazione come possibile soluzione • La rieducazione del vandalo………………………………….. pag 62 • La punizione dell’atto vandalico…………………………....... pag 68 • La risposta penale al vandalismo…………………………….. pag 71 • Le comunità per minori………………………………………. pag 77 • Il ruolo dell’educatore professionale…………………………. pag 83 - Conclusioni………………………………………………………... pag 86 - Bibliografia……………………………………………… ……..... pag 88 - Sitografia………………………………………………………….. pag 91

- Ringraziamenti………………………………………………….... pag 92

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Introduzione Il presente lavoro tratta e analizza il fenomeno del vandalismo in adolescenza. L’obiettivo è quello di comprendere e riflettere sulle motivazioni e sulle cause che spingono un adolescente a distruggere o deturpare un bene pubblico o privato. Attraverso questo studio cercherò di analizzare le dinamiche comportamentali attuate dai giovani vandali e fare in modo che il mondo adulto e la società nel suo insieme possa riflettere sui disagi delle giovani generazioni per far si che attraverso una nuova consapevolezza si possa ovviare o almeno attutire questo tipo di fenomeno che ormai dilaga tra i giovani della nostra società. Nel primo capitolo analizzerò nel loro insieme i cambiamenti che si sviluppano nell’età adolescenziale, il senso della trasgressione di questa particolare fase, i fattori che possono portare il giovane ad intraprendere una carriera deviante e quelli che invece possono salvaguardarne la condotta. Passerò poi ad analizzare le motivazioni e le cause dei ragazzi che purtroppo hanno intrapreso atteggiamenti trasgressivi che possono considerarsi devianti e che potrebbero svilupparsi in problematiche molto più complesse se non si interviene tempestivamente, successivamente elencherò attraverso delle tabelle i reati più commessi dai giovani adolescenti in Italia. Il secondo capitolo è un’analisi mirata ad individuare le varie tipologie di vandalismo più comune tra gli adolescenti. All’interno di questo capitolo si potranno individuare vari tipologie di fenomeno vandalico che si discostano tra di loro non solo per le dinamiche e gli oggetti vittima fortemente differenti, ma anche per le motivazioni e le cause che spingono l’adolescente a distruggere. L’obiettivo è quello di portare alla luce problematiche e disagi che spesso vengono trascurati e ignorati portando il giovane a trovare modi sempre più eclatanti per potersi rendere visibile e per farsi ascoltare. Il terzo capitolo mostrerà attraverso dei dati estrapolati dall’Istat, la quantità dei minori denunciati e presi in carico dalla giustizia minorile per reati vandalici in Italia e in Sardegna; inoltre, attraverso delle interviste proposte a un campione di adolescenti in uno studio compiuto da vari operatori che lavorano nel settore che si occupa di disagio adolescenziale, cercherò di individuare e comprendere quanto possa essere radicato il coinvolgimento di questi giovani nell’atto vandalico e come viene giudicato o interpretato questo fenomeno dalla società e dal gruppo di amici del reo.

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Il quarto ed ultimo capitolo analizza le varie tipologie d’intervento educativo sul vandalismo. È un’analisi che cerca di comprendere quale possa essere la causa del problema, e una volta compreso questo attivarsi per poter non solo eliminare il sintomo, e cioè l’azione, ma anche e soprattutto eliminare il disagio che vi è alla base. Si cerca quindi, attraverso una riflessione pedagogica, la causa che porta l’individuo ad agire, e come vedremo una causa che spesso riguarda non solo la cerchia di parenti più stretti del soggetto, ma la società tutta e per questo interesse e problema di tutti. Questa riflessione mira ad incentivare un maggiore sostegno agli operatori dell’educazione che attraverso le competenze acquisite in un percorso di studi che mira a formare educatori competenti, possono approcciarsi ai giovani problematici con una maggiore consapevolezza dei disagi e delle cause che sono alla base dei fenomeni devianti, e attraverso le loro competenze e le disposizioni personali possono attutire questo tipo di fenomeni che ormai dilagano tra le giovani generazioni.

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CAP. 1: Funzione della trasgressione in adolescenza e i vari tipi di reato

"mi piaceva quel rischio che ti fa venire freddo alla pelle; quei cinque, dieci minuti che stai sotto stress, e quei cinque, dieci minuti sono tutto un insieme di emozioni che mi facevano stare proprio bene, al massimo… altro che eroina, era come una spinta che ti faceva andare al massimo.” P. Crepet, Cuori violenti: viaggio nella criminalità giovanile

L’adolescenza L’adolescenza è una fase che fa parte del ciclo di vita di ogni individuo ed’è da tempo oggetto di studio di discipline come la pedagogia, la psicologia, l’antropologia e così via. Anche la cronaca riporta spesso notizie riguardanti gli adolescenti di oggi, in particolare, si parla di coloro che si fanno “riconoscere” per atteggiamenti che vengono definiti “trasgressivi” o “devianti”: la tossicodipendenza, le trasgressioni sessuali, gli atti vandalici, i fenomeni di bullismo nelle scuole, le rapine compiute da minori e così via; ci si domanda, infatti, cosa stia capitando a questa nuova generazione e quali siano le cause delle varie trasgressioni. In realtà il voler trasgredire in questa particolare fase non è del tutto anomalo, il problema si presenta solo quando queste trasgressioni divengono azioni devianti. Per comprendere appieno le problematiche riguardanti l’adolescenza vanno poi analizzati sia il periodo storico in cui sono inserite le nuove generazioni, sia soprattutto il contesto in cui tali problematiche si presentano. Alcuni autori come, ad esempio, Camaioni e Di Blasio intendono l’adolescenza come: “un periodo di transizione tra l’infanzia e la vita adulta […]che corrisponde ad un arco di anni piuttosto ampio […]. L’inizio dell’adolescenza può essere collocato all’incirca tra i 10 e i 12 anni nelle femmine, e tra

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gli 11 e i 13 anni nei maschi, mentre la conclusione viene fatta coincidere, per entrambi con i 18 anni, allorché l’individuo acquisisce le competenze e i requisiti necessari per assumere le responsabilità di adulto.”

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Quindi, secondo tale definizione, un bambino diviene adolescente nel momento in cui inizia il periodo puberale, e cioè quando prende avvio lo sviluppo ormonale, e termina per qualsiasi individuo al compiere della maggiore età. La legge individua come maggiorenne colui che ha compiuto 18 anni, ma ciò presuppone non solo un’età anagrafica ma anche l’accesso ad un insieme di comportamenti responsabili; invece, le nuove generazioni hanno uno sviluppo ormonale precoce, mentre lo sviluppo comportamentale è nettamente posticipato rispetto al passato, e ciò rappresenta una discrepanza. I giovani di oggi appaiono fisicamente come uomini o donne, ma si comportano come adolescenti; essi vengono inseriti legalmente all’interno della categoria adulta anche se i comportamenti dimostrano una profonda immaturità. Tale ritardo è dato da numerosi fattori, tra cui la permanenza in casa dei genitori fino ad un’età molto elevata rispetto al passato, tant’è vero che in Italia “il 36% degli ultra trentenni vive ancora in famiglia”2 . In questo modo l’adolescenza si dilata sempre di più; il ragazzo non può assumersi la responsabilità di adulto poiché ricopre ancora, per la propria famiglia e per se stesso, un ruolo differente da quello che la sua età, teoricamente, delinea. Dunque, è importante comprendere che l’adolescenza, con tutte le sue sfaccettature, va studiata in base al contesto in cui l’individuo è inserito, infatti: “i giovani riflettono le caratteristiche della realtà odierna, ovvero, le peculiarità, le contraddittorietà, le paure, le mancanze, ma anche l’apertura al nuovo, la capacità di affrontare e di assorbire il cambiamento, la facilità di adattamento a ritmi veloci ed incessanti.”3

I giovani d’oggi, sono dunque colpiti sia dall’instabilità tipica della fase adolescenziale che dalla precarietà e dal senso di dipendenza che scaturisce dalla permanenza nel luogo abitativo dei propri genitori.

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L. Camaioni e P. Di Blasio, Psicologia dello sviluppo, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 219. C. Buzzi, A. Cavalli e A. de Lillo, Rapporto giovani: sesta indagine dell’istituto IARD sulla condizione giovanile in Italia, Il Mulino, Bologna, 2007, p. 37. 3 G. Manca, Disagio, emarginazione e devianza nel mondo giovanile: note per una riflessione educativa, Bulzoni Editore, Roma, 1999, p. 20. 2

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Oltre alle numerose componenti culturali è utile analizzare più da vicino le problematiche che riguardano questa specifica fase, sia da un punto di vista fisico che da uno comportamentale e sociale. Per quanto riguarda il punto di vista fisico, tra le modificazioni corporee, possiamo elencare l’aumento di peso e di altezza ma soprattutto la maturazione dei caratteri sessuali, come ad esempio lo sviluppo del seno, il menarca e la comparsa dei peli pubici nelle femmine; la prima eiaculazione e l’alterazione della voce nei maschi. Questi cambiamenti vanno ad alterare notevolmente l’immagine di sé dell’individuo tanto che: “rischiano di mettere alla prova le capacità di adattamento dell’adolescente in quanto introducono il problema del confronto con i coetanei proprio in un’età in cui le qualità fisiche e le abilità motorie rappresentano una buona fonte per la valutazione della personalità propria ed altrui.”4

Lo sviluppo ormonale induce inoltre l’attrazione verso l’altro sesso, tant’è che in questa fase i gruppi sono caratterizzati da individui di entrambe i sessi, a differenza dell’infanzia in cui le relazioni erano prevalentemente tra individui dello stesso sesso. Oltre alle problematiche date dalle mutazioni fisiche, uno dei problemi che si incontrano durante l’adolescenza è quello che riguarda l’identità: in questa fase l’individuo inizia a porsi delle domande sulla propria identità, il ragazzo ha un’idea poco chiara su se stesso. Erikson5 nel suo modello a otto stadi evolutivi parla dell’adolescenza come di: “un periodo dominato dalla tensione fra identità e confusione o dispersione dell’identità. […] Il pericolo che incombe su questa fase della vita è, per Erikson, la confusione del proprio ruolo, vale a dire il rischio di non riuscire ad integrare in una sintesi originale e personale le proprie identificazioni, le diverse espressioni di sé e i ruoli svolti in diverse situazioni.”6

Questa particolare “crisi” d’identità si comprende bene nelle parole di una giovane adolescente che cerca di spiegare la difficile interpretazione che lei ha di se stessa: “È la serenità interiore quella che vorrei di più. Ma non ho nemmeno quella perché purtroppo non sono ancora cosciente di me, forse ancora non mi conosco abbastanza bene. Credo di avere delle zone d’ombra 4

L. Camaioni e P. Di Blasio, op. cit., p. 224. E. H. Erikson, Identity youth and crisis, Norton, New York, 1968; trad. it. Gioventù e crisi di identità, Armando, Roma, 1974; Cit. in L. Camaioni e P. Di Blasio, op. cit., p. 229. 6 Ibidem, p. 230. 5

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che vorrei chiarire…forse chiarendo queste zone d’ombra, conoscendo più me stessa, forse un domani potrei riuscire ad essere più serena.”7

L’adolescenza è una fase intermedia in cui non si è né bambini né adulti, è perciò molto difficile avere un’idea chiara di sé. Oltre alla particolarità inerente l’identità, in adolescenza si avverte anche una modificazione nel modo di ragionare, di pensare; si parla di mutamenti nello sviluppo delle funzioni cognitive che avvengono in concomitanza alla comparsa del pensiero operatorio formale: “un tipo ti pensiero che, secondo Inhelder e Piaget, implica un deciso ampliamento dell’intelligenza. […] Il pensiero formale è un pensiero ipotetico – deduttivo, caratterizzato sia dalla capacità di formulare ipotesi, cioè ragionare non più soltanto su situazioni reali, constatabili, ma anche su situazioni puramente immaginate che possono essere differenti dalla realtà percepita; sia di effettuare deduzioni, vale a dire partire da determinate ipotesi per trarne conseguenze, sulla base di concetti e relazioni, che permettono all’adolescente di collegare una proposizione ad un’altra.”8

Quindi, a differenza del bambino, l’adolescente riesce a pensare e a ragionare su qualcosa di astratto e simbolico, egli riesce a fare ipotesi sul proprio futuro ed’è in grado di ragionare sulle conseguenze dei suoi e altrui comportamenti. A causa di questo nuovo tipo di ragionamento, si presentano anche delle modificazioni nel rapporto che i giovani hanno sia con gli adulti che con il gruppo dei pari. L’adolescente, vede nel gruppo e nei coetanei in generale un punto di riferimento importante, tanto da rispecchiarsi completamente in essi; in questo periodo, si cerca una sorta di omologazione agli altri; i look, le regole, la musica, sono tutti fattori che all’interno di un gruppo di adolescenti si conformano. Per l’adolescente è importante sentirsi uguali ai propri coetanei, per poter far si che, attraverso l’identificazione con un gruppo, egli riesca anche a ragionare e concretizzare una propria immagine di se. L’appartenere ad un gruppo è infatti fondamentale sia per quanto riguarda la sfera sociale, poiché il ragazzo impara a confrontarsi con gli altri, sia per quella individuale, infatti, attraverso l’accettazione e il

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P. Crepet, op. cit., p. 42. L. Camaioni e P. Di Blasio, op. cit., p. 232.

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rifiuto a un determinato gruppo, il ragazzo può rispondere alle domande che egli stesso si pone sulla propria identità. 9 Il gruppo, in adolescenza, serve anche per sperimentare i ruoli sociali: un adolescente può essere considerato un leader in un determinato gruppo, o un gregario in un altro; infatti è molto importante che il ragazzo sperimenti che si può eccellere in una determinata attività, oppure essere al pari degli altri o addirittura inferiori in altre; tale consapevolezza è fondamentale per poter comprendere che nessuno sa fare tutto e allo stesso tempo non esiste individuo totalmente incapace. Tutto ciò può far comprendere a un ragazzo eccessivamente sicuro di sé che anche gli altri sanno far bene, e allo stesso tempo può incrementare l’autostima di un altro profondamente insicuro. Si viene a creare così una sorta di equilibrio, ci si sperimenta e si impara ad accettare i propri e gli altrui limiti, segnando così un passaggio importante per poter diventare adulti. Parallelamente a questo bisogno di aggregazione con i pari, la relazione con gli adulti di riferimento diviene, in questa fase, particolarmente problematica. Gli adulti, che rappresentano il punto di riferimento e un modello da seguire per un bambino, vengono ora visti in maniera diversa: “gli adolescenti spesso vivono un forte sentimento di solitudine, alimentato dalla necessità biologica e sociale di staccarsi dalla dipendenza affettiva dai genitori”.10 Essi rappresentano sempre un pilastro fondamentale ma il giovane adolescente cerca di discostarsi dal loro mondo, fatto di regole e norme da seguire; se prima il bambino seguiva più o meno pacificamente le regole date dagli adulti di riferimento, ora a causa di un ragionamento molto più sofisticato, il ragazzo cerca attraverso la trasgressione alle regole adulte una propria indipendenza, una propria creazione di sé. Il giovane ha come primo bisogno impellente quello di costruire i propri spazi, il proprio aspetto, e questo spesso va contro quelle che sono le consuetudini di una famiglia; spesso i genitori non comprendono il bisogno che i propri figli hanno di sperimentare e trasformare i luoghi e se stessi, basti pensare alla necessità che l’adolescente ha di “segnare” i luoghi di appartenenza, come la propria camera, con vari gadget, che a uno sguardo adulto possono sembrare futili o comunque indice di disordine. 9

Cfr, A. Maggiolini e E. Riva, Adolescenti trasgressivi: le azioni devianti e le risposte degli adulti, Franco Angeli, Milano, 2008. 10 D. Miscioscia, Miti affettivi e cultura giovanile, Franco Angeli, Milano, 1999, p. 40.

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Tutte queste modificazioni, fisiologiche, comportamentali, sociali e cognitive fanno si che l’adolescente viva una particolare situazione di disagio, esso però è un disagio connaturato con la crescita, nel senso che è tipico di ogni adolescente; può diventare patologico solo se il giovane non risolve tutti questi drammi, portandoli con sé anche nell’età adulta.11

La regola e la trasgressione Le regole sono delle componenti fondamentali per il buon funzionamento di ogni sistema sociale; esse servono per dettare dei particolari comportamenti; attraverso le regole gli individui appartenenti a un determinato sistema culturale, comprendono quali sono i comportamenti ammessi e viceversa in quel determinato ambiente o in quella determinata situazione. Esistono varie tipologie di regola, ma prima di tutto è necessario chiarire la differenza tra una regola giuridica, e quindi scritta, e una regola morale, non scritta, che può essere condivisa o meno dagli individui e che può variare a seconda dei contesti e degli individui: “La cultura svolge una funzione coesiva all’interno della società, nel senso che essa viene riconosciuta ed assimilata da tutti coloro che appartengono in senso oggettivo, simbolico e soggettivo al gruppo sociale: la socializzazione consiste, appunto, nell’interiorizzazione delle norme culturali, la cui violazione, peraltro, provoca sanzioni, che trovano espressione nelle varie forme di disapprovazione nella comunicazione personale e di gruppo (ritiro dell’affetto, isolamento, etichettazione). Ma il sistema culturale dominante si esprime anche nelle norme esplicite e codificate (leggi penali, ad esempio) che prescrivono determinate modalità comportamentali e la cui trasgressione comporta sanzioni altrettanto precisamente codificate (denuncia, arresto, processo, carcerazione).”12

La regola giuridica, dunque, è l’elemento che compone un sistema legislativo di un determinato territorio e deve essere rispettata se non si vuole incorrere in problemi giudiziari, mentre la regola morale è più che altro una sorta di regolazione di determinati comportamenti che la maggior parte degli individui di un determinato contesto condividono; in questo caso, il non rispetto di tale regola non porta a sanzioni quali multe o arresti ma può essere altrettanto sgradevole poiché potrebbe provocare la 11 12

Ivi. F. Scaparro e P. Fabbri, Appunti sullo stereotipo del deviante, Edizioni Unicopli, Milano, 1979, p. 39.

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disapprovazione sociale e si potrebbe incorrere nell’esclusione dal contesto. Quest’ultimo tipo di regola è sottoposta a varie letture e interpretazioni poiché la sua trasgressione o la sua condivisione può avere significati differenti a seconda dei contesti o degli individui che la compiono; ad esempio una regola quale il mangiare con le posate, può essere vista in maniera positiva nei paesi europei e negativa in paesi come l’Eritrea13, dove è uso comune condividere un unico piatto con tutti i commensali e attingere a esso con le mani, senza l’utilizzo di posate. La regola è quindi un fattore culturale, ma può essere anche un caso specifico di una certa tipologia di individui, infatti spesso all’interno del nostro Paese, ma anche in altre culture, si impongono regole di un certo tipo solo a coloro che fanno parte di una certa fascia d’età, come ad esempio ai bambini o agli adolescenti, infatti è tipico che si precluda ai bambini di non uscire da soli o agli adolescenti di avere un orario per tornare a casa: queste regole sono utili per imporre un controllo su questa particolare categoria che si ritiene di dover proteggere. L’imposizione delle regole è quindi utile anche e soprattutto all’interno dell’ambito educativo, esse dovrebbero essere sempre presenti all’interno di una relazione bambinogenitore, o bambino-insegnante. L’educazione, del resto, è di per sé intrinsecamente normativa, per cui è compito di ogni educatore, genitore o insegnante, cercare di far interiorizzare la norma ad ogni educando affinché egli la rispetti e con essa cresca e si integri all’interno del sistema in cui vive: “Qualsiasi pratica educativa improntata sul “lasciar fare”o, peggio ancora, sulla errata impostazione pedagogica di non imporre mai divieti e sanzioni è destinata inesorabilmente a produrre bambini insicuri, aggressivi, dipendenti. Non avendo nessuno che insegni loro a codificare, gestire e modulare le emozioni e le pulsioni, queste nel tempo tenderanno a sopraffare il piccolo, trasformandolo dapprima in una “simpatica peste”, poi in un ragazzino problematico e, infine, se non interverranno i più opportuni correttivi, in un adolescente dipendente e disadattato. Non riuscendo infatti a riconoscere la natura delle proprie pulsioni, non riuscendo a gestirle e ad utilizzarle correttamente, si sentirà incerto sul da farsi e mai sicuro del proprio sentire. In queste condizioni è probabile che l’avvento dell’adolescenza […] scateni una serie particolare di comportamenti caratterizzati dal non riuscire a capire ciò che è buono da ciò che è cattivo, ciò che è giusto da quello che non lo è, ciò che può fare subito da quello che è meglio rimandare”14

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Cfr, www.taccuinistorici.it (Ultimo accesso 29 dicembre 2011). U. Mariani, Alunni cattivissimi: come affrontare il bullismo, l’iperattività, il vandalismo e altro ancora, Franco Angeli, Milano, 2006, p. 27.

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Ogni individuo ha dunque bisogno di qualcuno che lo guidi nella comprensione e nel rispetto delle regole; l’adulto di domani non è altro che la risultanza di un percorso educativo composto da più educatori che direttamente o indirettamente hanno fatto si che determinate norme venissero interiorizzate. Tale interiorizzazione avviene soprattutto grazie al ruolo fondamentale della famiglia: “all’interno della famiglia, infatti, l’individuo acquisisce i valori e le norme del proprio ambiente sociale, i quali rappresentano il punto di partenza per la costruzione, in interazione con l’esterno, dell’identità sociale.”15 Ma il successo di un’educazione lassista fa si che esistano delle famiglie nelle quali le norme sono considerate di poca importanza ed altre in cui si tende a tralasciarle a causa del poco tempo che i genitori dedicano all’educazione dei figli. Infatti, spesso, i genitori attuali, sempre più impegnati nell’ambito lavorativo, dedicano poco tempo alle cure affettive ed educative dei propri figli, sostituendo spesso un abbraccio con un giocattolo nuovo e demandando l’educazione ad altre strutture educative come la scuola. Sebbene la scuola rappresenti un gradino fondamentale per l’educazione e la comprensione delle regole, essa non può tuttavia sostituire o riempire il vuoto creatosi da una mancanza educativa all’interno della famiglia. Infatti i genitori sono il primo punto di riferimento di ogni bambino e sono sempre e comunque dei modelli che il bambino incondizionatamente segue e imita, essi sono quindi fondamentali per un corretto sviluppo emotivo, cognitivo e comportamentale del bambino.16 Dare delle regole e accertarsi che esse vengano rispettate è il modo giusto per impostare una corretta relazione educativa; esse vanno spiegate, motivate e se non vengono rispettate è necessario intervenire attraverso delle sanzioni e delle punizioni anch’esse motivate e coerenti alla regola trasgredita. Le imposizioni delle regole vengono viste e comprese in maniera differente a seconda della fascia d’età; un bambino seguirà una determinata regola per ragioni diverse rispetto a quelle che invece spingono un adolescente a farlo. A tale proposito Kohlberg17 individua tre livelli di sviluppo della moralità: 15

A. R. Favretto, Il delitto e il castigo: trasgressione e pena nell’immaginario degli adolescenti, Donzelli Editore, Roma, 2006, p. 92. 16 Cfr, U. Mariani, op. cit., p. 27. 17 Cfr, L. Kohlberg, Moral stages and moralization: The cognitive-developmental-approach to socialization, cit. in S. Abruzzese (a cura di), Bullismo e percezione della legalità: operatori delle scienze psicosociali, del diritto ed educatori a confronto, Franco Angeli, Milano, 2008.

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“nel primo livello di sviluppo morale (livello preconvenzionale), al quale appartengono i bambini sotto i nove anni, le regole morali sono sentite come qualcosa di esteriore, a cui adeguarsi solo per ottenere delle ricompense o evitare delle punizioni. […] Una fase più evoluta del ragionamento morale (livello convenzionale) subentra nella media fanciullezza, quando l’individuo ha interiorizzato le regole, le considera proprie e le segue senza esservi costretto.[…] Infine, la fase più evoluta (moralità post-convenzionale) si caratterizza per l’emergere di giudizi morali basati su principi astratti, di natura etica, che possono essere o meno condivisi dal proprio gruppo di appartenenza.”18

Quindi, mentre un bambino rispetta una determinata regole per non incorrere in una punizione, l’adolescente ragiona sulla regola e cerca di darne un giudizio prima di decidere se seguirla o meno: “si passa quindi dall’adesione a una normatività imposta, alla costruzione di un proprio sistema di valori, gli ideali etici, guide e riferimento per ogni comportamento.”19 Per l’adolescente è poi importante anche chi impone la regola, se è un adulto ad imporla essa verrà vista in maniera negativa e dunque trasgredita, se invece a darla è il gruppo dei pari o un amico essa verrà rispettata di buon grado. Questo succede a causa del fatto che, in questo periodo, si tende a distanziarsi e a ricercare autonomia rispetto al mondo adulto, e ad avvicinarsi e a rispecchiarsi nel gruppo dei pari. Dunque il problema non è la norma ma l’individuo che la impone.20 Infatti, proprio durante la fase adolescenziale, l’individuo sente un bisogno impellente di liberarsi dal mondo adulto, ha necessità di scegliere autonomamente i propri percorsi e la libertà diventa così fondamentale per poter compiere il proprio sviluppo. “Il bisogno di mettersi alla prova è acuto, insostituibile e va di pari passo con il desiderio di libertà di azione. Queste necessità in adolescenza spesso configgono con le aspettative dei genitori e con i limiti che è giusto porre alle esperienze. Ma si tratta di un bisogno di emancipazione che ha per obiettivo quello di definire se stessi, il proprio ruolo, e di scoprire le proprie capacità. A un certo punto, agli occhi dell’adolescente lo spazio della famiglia diventa terribilmente stretto e angusto. In casa manca l’aria e fuori le cose da fare possono essere tante. C’è anche la sensazione che se si rimane all’interno di quei legami si può finire per essere soffocati. Per questo il desiderio di provare l’ebbrezza della libertà prevale sui bisogni materiali, sulle necessità pur sempre presenti di affetto e di protezione. L’adolescente diviene insofferente di tutto ciò che si

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S. Abruzzese , op. cit., pp. 78, 79. A. Maggiolini e E. Riva, op. cit., p. 16. 20 Ivi. 19

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vive in famiglia. Tutto gli appare di colpo fastidioso e nauseante, insopportabile e decisamente vecchio. A partire dai genitori che, anche quelli più evoluti e moderni, vengono percepiti come di altri tempi, o come distanti e incapaci di comprenderlo. Non conta assolutamente la loro età anagrafica. Conta solo il fatto che il salto generazionale modifica di colpo la prospettiva e rende tutto vecchio e superato.”21

Per questo motivo: “adolescenza e trasgressione sono costitutivamente legate: un ragazzo per crescere deve mettere in discussione le regole che gli adulti gli hanno insegnato e che egli ha interiorizzato durante l’infanzia, per poterle far proprie, per modificarle o per rifiutarle.”22

La trasgressione, in adolescenza può avere varie sfaccettature, sia per quanto riguarda la regola trasgredita sia per il significato di quella determinata trasgressione. Le regole trasgredite possono essere di varia natura, dalla puntualità nel tornare a casa ad un orario imposto dai genitori, che non trasgredisce una regola giuridica, all’atto di vandalismo o al furto, che ha conseguenze legali. Per quanto concerne queste ultime si può dire che “le trasgressioni tipicamente adolescenziali riguardano l’appropriazione o il danneggiamento di oggetti, i furti o gli atti vandalici; azioni spesso compiute in un clima concitato ed eccitante, in coppia o in un piccolo gruppo, in un contesto ludico e di evasione. I maschi sono più spesso coinvolti in questo tipo di azioni che non le femmine. Nella prima parte dell’adolescenza, intorno ai 12-13 anni, sono più frequenti gli atti di vandalismo e le aggressioni, mentre dai 14-15 anni aumentano il furto e le trasgressioni che hanno a che fare con l’uso e lo spaccio di droga. In generale le ragazze commettono meno atti penalmente perseguibili dei maschi, spesso limitati ai furti nei negozi; più rari sono i reati contro le persone. Quando una ragazza commette atti delinquenziali gravi e in particolare reati contro la persona (come nell’infanticidio), è probabile che tali comportamenti sottendano disturbi psichici di una certa gravità, che si esprimono attraverso l’agito deviante; fanno eccezione, come ovvio, le situazioni in cui il contesto socioculturale d’appartenenza legittima il comportamento deviante, come nel caso dei furti fra le ragazze nomadi.”23

Quando ci si trova di fronte un adolescente trasgressivo è bene sapere che le sue trasgressioni hanno sempre una componente comunicativa, il ragazzo tenta attraverso vari tipi di comportamenti di comunicare qualcosa, un disagio, una ricerca di attenzione.

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G. Maiolo, Adolescenze spinose: come comunicare senza fare (e farsi) del male, Edizioni Erikson, Gardolo (TN), 2006, p. 148. 22 A. Maggiolini e E. Riva, op. cit., p.15. 23 Ibidem, p. 25.

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Non è semplice comprendere cosa il ragazzo voglia comunicare ma, attraverso una visione attenta, è possibile cogliere alcune caratteristiche. Esiste poi un’altra possibilità, che è tipica del comportamento trasgressivo di molti adolescenti e riguarda il fatto che, spesso quando si trasgredisce una regola, essa non venga adeguatamente considerata o venga valutata in modo inadeguato. Molti adolescenti sanno che esiste la regola ma la interpretano solo a loro vantaggio; Questo meccanismo di difesa viene chiamato da Bandura24 Disimpegno morale: tale meccanismo viene attuato dall’adolescente per disattivare il senso di colpa e lo fa giustificando il suo reato. Paradossalmente il ragazzo ritiene di possedere un proprio codice etico ma non agisce coerentemente con esso. Bandura individua otto comportamenti tipici dati dal disimpegno morale:

La giustificazione morale: viene attuata quando si cerca di giustificare moralmente la propria azione; in questo caso l’individuo non percepisce il danno ma la nobile causa.

L’etichettamento eufemistico: in questo caso l’individuo si concentra prevalentemente sull’aspetto ludico, sminuendo, attraverso il linguaggio, un’azione deplorevole.

Il confronto vantaggioso: tale meccanismo viene attuato dall’individuo mettendo a confronto due o più azioni, in tal modo egli cerca di convincersi e convincere che la propria azione o le sue conseguenze, seppur gravi, siano pur sempre meglio dell’altra.

Il dislocamento della responsabilità: qui l’individuo cerca di attribuire la responsabilità del danno a terzi.

La diffusione della responsabilità: l’individuo cerca di attenuare le proprie responsabilità facendo ricadere le colpe sul gruppo e non solo su se stesso. In questo caso il ragazzo pensa che un reato compiuto in gruppo possa essere considerato meno grave, poiché la responsabilità ricade su più individui.

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A. Bandura, Social foundations of thought and action: A social cognitive theory, Prentice-Hall, Englewood Cliffs New Jersey, 1986, cit. in S. Abruzzese, op. cit., p. 80.

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La distorsione delle conseguenze: questo meccanismo viene attivato minimizzando il danno arrecato, affermando che le conseguenze delle proprie azioni possano essere positive per la vittima.

La deumanizzazione della vittima: qui la vittima viene percepita come un oggetto, questo serve per disattivare qualsiasi senso di colpa nei suoi confronti. Un esempio tipico di tale meccanismo può essere la considerazione delle prostitute come oggetti sessuali e non come donne pensanti e con sentimenti al pari di altre.

L’attribuzione di colpa alla vittima: in questo caso le responsabilità del danno ricadono sulla vittima, lei sola ha le colpe per l’azione subita.25

Nella maggior parte degli adolescenti è presente almeno uno o più meccanismi, ciò vuol dire che, nel momento in cui si trasgredisce una regola, il ragazzo cerca, attraverso il disimpegno morale, di non provare il senso di colpa. Non tutti gli adolescenti però attuano tali meccanismi nella stessa maniera, vi sono delle differenze, sia per quanto riguarda la gravità della trasgressione sia per quello che riguarda il numero dei meccanismi attuati; infatti, più è nociva la trasgressione e più sono i meccanismi attivati, più aumenta il grado di gravità e quindi anche la difficoltà di attuare l’annullamento del disimpegno morale e di conseguenza favorire l’insorgere di un sentimento di colpa da parte del ragazzo. Infatti in questi casi: “non solo i soggetti sono privi di etica personale, ma hanno difficoltà a capire perché questa o quella cosa non si debba fare e in nome di che cosa esistano i divieti. Distinguono a fatica ciò che, da una parte, rientra nella difesa e nella salvaguardia del loro proprio territorio (spaziale, fisico e psichico) e, dall’altra, ciò che sconfina nella libertà e nello spazio altrui.”26

L’adulto in queste circostanze deve contenere il più possibile i comportamenti trasgressivi per far si che si demolisca tale disimpegno e attuare così una rieducazione.

25

Ivi. X. Pommereau, Quando un adolescente soffre: ascoltarlo, capirlo, amarlo, Nuova Pratiche Editrice, Milano, 1998, p. 129. 26

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Fattori di rischio La trasgressione è dunque un comportamento tipico di ogni adolescente ma è necessario comprendere quando tale trasgressione diventa devianza o delinquenza e soprattutto quali sono le cause che portano ad un’azione deviante. Per quanto riguarda il primo interrogativo, cioè il comprendere quando una trasgressione diviene devianza, si può dire che, “si parla di condotta deviante vera e propria, solo quando tali comportamenti trasgressivi siano consolidati, ossia siano stati scelti come manifestazione caratterizzante la condotta personale, il proprio modo di essere nei rapporti interpersonali e quando sono definiti tali da altri. Il confine tra devianza e ribellione adolescenziale è dunque molto sfumato ed ambiguo e, proprio in ragione di tale ambiguità, le modalità ed i significati della condotta deviante variano notevolmente anche a seconda delle società umane considerate”27

Sono quindi fattori fondamentali sia il numero e quindi la continuità di un determinato comportamento trasgressivo, sia la regola trasgredita, cioè l’importanze che tale regola ha all’interno della società in cui viene compiuta la trasgressione; si parla cioè di gravità della trasgressione, che può variare a seconda dei contesi. Per quanto riguarda invece il secondo interrogativo, e cioè quali siano le cause di una condotta deviante, si può affermare che esse sono numerose e varie. Molti studiosi nel corso degli anni hanno cercato di comprendere cosa porti un giovane adolescente a compiere attività considerate delinquenziali. Per quanto riguarda, ad esempio, l’Italia in uno studio28 che considera un ampio periodo che va dalla seconda guerra mondiale in poi: “è stata avanzata l’ipotesi di una correlazione fra l’aumento della devianza minorile e i periodi di prosperità economica, in cui i giovani sarebbero incoraggiati ad agire da consumatori, senza che possano davvero godere di un corrispondente aumento della propria disponibilità economica e quindi di un accesso più facile alle merci: l’esclusione di larga parte della popolazione giovanile dalla partecipazione economica alla vita sociale, renderebbe non disponibili per i giovani quei beni di consumo di cui si considerano i legittimi destinatari e ciò sarebbe vissuto in termini psicologici come esclusione dall’accesso ad un ruolo adulto. […] La delinquenza minorile italiana è quindi soprattutto espressione di un disagio evolutivo” 29

27

G. Manca, op. cit., p. 125. Cfr, Censis, le derive della devianza minorile: un’analisi della realtà italiana, ciclostilato, 1995, cit. in A. Maggiolini e E. Riva, op. cit. 29 A. Maggiolini e E. Riva, op. cit., pp. 26-27. 28

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Secondo questo studio dunque vi è una connessione tra la devianza minorile e la prosperità economica del Paese in cui si vive. Questo sta ad indicare che vi è la presenza sintomatica di un disagio diffuso tra i giovani che ha caratteristiche prettamente economiche e che per questo tende a ricadere su tutta la società. Ma questo non deve comunque sviare dagli altri molteplici fattori che possono causare la criminalità minorile; questi dati mostrano in generale l’andamento dell’attività delinquenziale ma non svelano i fattori principali; non si parla di dati assoluti ed’è quindi necessario capire come mai tra i vari ragazzi che vivono nello stesso periodo storico, ve ne siano alcuni che optano per una vita deviante ed altri no. Come sostengono Maggiolini e Riva: “Numerose ricerche volte ad individuare le cause della devianza giovanile hanno contribuito alla definizione di fattori di rischio ricorrenti, che possono spiegare il passaggio da una trasgressività fisiologica alla patologia del comportamento delinquenziale. […] Le motivazioni dei comportamenti trasgressivi risiedono infatti, almeno in parte, in caratteri universali della natura umana.”30

Sensazioni come la rabbia, la paura, la felicità e l’aggressività sono tipiche di tutti gli esseri umani, ma il punto nodale sta nel saper contenere tali sentimenti per poter vivere serenamente con il resto della società. La difficoltà a gestire tali stati d’animo può indurre ad un atteggiamento deviante, a tal punto da considerare la devianza come: “l’esito fallimentare di un processo educativo non compiuto, deludente, talora neppure tentato e comunque non riuscito da chi, a vario titolo, avrebbe dovuto svolgere un ruolo educativo, ovvero di coltivazione e di cura, di tutela e di protezione, di guida e di sostegno.”31 Le cause delle condotte devianti possono quindi derivare da numerosi fattori, che per questo vengono chiamati “fattori di rischio”. “I fattori di rischio condividono alcune caratteristiche comuni: debbono essere presenti prima che il disturbo si manifesti; rendono una certa evoluzione del disturbo molto probabile; sono una delle possibili cause ma possono anche non svolgere alcun ruolo causale; interagiscono sempre con altri fattori di rischio, con l’età, con il sesso, l’etnia e la cultura. […] Essi possono essere raggruppati in alcune categorie principali. Innanzitutto sono da considerare i fattori di rischio di natura biologica e tra questi quelli connessi al

30 31

Ibidem, p. 28. G. Manca, op. cit., p. 103.

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temperamento, quelli connessi allo stile cognitivo e quelli dipendenti dal genere. […] Successivamente si considerano quelli di natura sociale e familiare.”32

Per quanto riguarda i fattori di rischio biologici, possiamo dire che, come tutti sappiamo, ogni individuo reagisce in maniera differente agli stimoli esterni e allo stesso tempo ogni individuo ha il proprio carattere e i propri tempi per comprendere dei concetti; questo avviene a prescindere dall’educazione che si riceve e dalle esperienze che si vivono. Esistono quindi delle caratteristiche per così dire proprie dell’individuo che possono condizionare le condotte dello stesso per tutto il corso della sua vita. Queste caratteristiche biologiche, possono essere di vario tipo, temperamentali, cognitive e di genere. Il temperamento è quella caratteristica, propria di ogni individuo fin dall’infanzia, che ci fa dire, ad esempio, che un bambino è tranquillo e mansueto, mentre un altro è attivo e vivace. “La maggior parte dei bambini rientrano in tre grandi categorie temperamentali: i bambini “facili” che tendono ad essere adattabili, ritmici, curiosi rispetto alle situazioni insolite, di buon umore e con espressività affettiva modulata; i bambini cosiddetti “difficili” poco adattabili, con atteggiamenti di ritiro e di negativismo, con reazioni affettive poco controllabili ed emozioni poco regolate; i bambini “atoni” lenti, poco disposti all’esplorazione di situazioni nuove, lieve intensità affettiva, tono dell’umore tendenzialmente depresso. Gli studi sulle caratteristiche temperamentali mostrano come i bambini piccoli difficili tendano a sviluppare nelle età successive comportamenti aggressivi.”33

Il temperamento può essere quindi un grosso fattore di rischio, è quindi importante porre molta attenzione, se non si vuole incorrere in future condotte devianti. Oltre al temperamento, svolgono un ruolo importante anche le caratteristiche cognitive dell’individuo. A tal proposito è importante affrontare l’argomento dei deficit cognitivi, che possono essere degli importanti fattori di rischio per i comportamenti violenti. “I bambini con Disturbo della condotta presentano un deficit di vario grado del funzionamento cognitivo che è responsabile delle difficoltà di apprendimento e dell’abbandono scolastico cui frequentemente vanno incontro. Le difficoltà cognitive di questi bambini non si configurano come un ritardo mentale, ma piuttosto 32

F. Muratori, Ragazzi violenti: da dove vengono, cosa c’è dietro la loro maschera, come aiutarli, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 63. 33 Ibidem, pp. 64-65.

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come deficit in alcune funzioni neuropsicologiche che giocano un ruolo importante non solo nell’apprendimento ma anche nel controllo degli impulsi.”34

Qui il vero e proprio fattore di rischio non è il deficit in sé ma ciò che tale deficit può causare, come ad esempio l’abbandono scolastico che può essere un fattore di rischio sociale molto importante. Essendo la scuola , oltre che un luogo di apprendimento, anche un ambiente dove si possono vivere momenti aggregativi con i pari, essa può essere vista anche e soprattutto come un fattore di protezione da possibili atteggiamenti devianti, poiché l’aggregazione e la socializzazione sono fondamentali per un corretto sviluppo e l’abbandono scolastico non può che nuocere all’adolescente che ha forte necessità di apparire positivamente agli occhi dei coetanei. Un altro fattore di rischio biologico può essere il genere sessuale. Infatti: “nella nostra società l’essere maschio rappresenta senza dubbio un fattore di rischio per lo sviluppo di comportamenti violenti. Già a partire dai quattro anni i maschi hanno molta più probabilità di essere i protagonisti di atti antisociali con o senza aggressività espressa.”35

Questo dato ci porta a considerare il genere maschile come un ipotetico fattore di rischio, tant’è vero che risultano essere molto più numerosi i reati commessi dai maschi piuttosto che dalle femmine. Le cause di ciò possono essere attribuite all’educazione: “le differenze di genere potrebbero essere collegate ai diversi atteggiamenti dei genitori, i quali tollerano più facilmente un problema comportamentale nei maschi piuttosto che nelle femmine, e quindi esercitano su di essi una minore funzione di controllo e di limitazione rispetto ai comportamenti aggressivi.”36

Ma oltre ai differenti atteggiamenti dei genitori nei confronti del genere sessuale è importante elencare anche le differenze nello sviluppo di entrambe i sessi: “si ritiene che si tratti essenzialmente di differenze nei livelli di impatto che le medesime variabili causali hanno nei maschi e nelle femmine, sulla base di caratteristiche diverse dello sviluppo in base al genere. Per esempio si può ipotizzare che il più precoce sviluppo delle competenze comunicative tipico delle femmine svolga un ruolo protettivo rispetto all’impulsività aggressiva. Le migliori competenze comunicative portano inoltre le femmine ad avere una migliore socializzazione, che gioca un ruolo non secondario

34

Ibidem, p. 67. Ibidem, p. 69. 36 Ivi. 35

21


nell’autolimitazione dei comportamenti violenti. […] Ugualmente vi è qualche evidenza che sin dall’età prescolare le femmine mostrano più alti livelli di empatia verso gli altri e sentono più facilmente la colpa per le azioni fatte, due fattori che sono essenziali per la limitazione endogena dei gesti aggressivi. Al contrario i maschi mostrano più facilmente quel tratto temperamentale definito callosità – caratterizzato da un difetto di empatia e della capacità di immedesimarsi nella sofferenza provata dal proprio simile – che favorisce lo sviluppo di comportamenti aggressivi.”37

Queste caratteristiche sono presenti nell’individuo a prescindere dall’educazione ricevuta e possono essere viste come un potente campanello d’allarme per future problematiche. Ma oltre ai fattori di rischio biologici, vanno poi considerati i fattori di natura sociale. Tali fattori sono strettamente connessi alla famiglia, al tipo di educazione, all’ambiente in cui si vive e al gruppo dei pari che si frequenta: “Ricordo un professore di matematica che aveva l’abitudine di dividere i suoi studenti in due gruppi ben distinti: quelli che secondo lui potevano rendere di più e che aveva deciso di seguire meglio, e quelli che non rendevano, che abbandonava al loro destino. Per fortuna fui inserito tra i primi, tanto che migliorai notevolmente. Da allora però mi fu chiaro che non sono i ragazzi a perdersi ma noi a volerli lasciare alla deriva. Quell’esperienza mi ha fatto capire che non esistono i buoni o i cattivi, ma solo i fortunati e gli sfortunati e che questa sorte non li divide secondo meriti e demeriti o per caso, ma è decisa da noi adulti: il loro destino è solo il prodotto del nostro pregiudizio.”38

Questa testimonianza fa comprendere abbastanza chiaramente che la comunità, gli adulti di riferimento, il percorso scolastico che un individuo svolge, possono modificare il destino di qualsiasi individuo. In particolare: “Le condizioni socioeconomiche svantaggiate, espresse da povertà, sovraffollamento abitativo nella casa, alto ricorso ai servizi sociali, disoccupazione, costituiscono un sicuro fattore di rischio. Probabilmente l’azione di tutti questi fattori sociali è mediata da altri fattori , come il vivere in ambienti a rischio sociale, la più facile frequentazione di gruppi dissociali e la minore disponibilità di attenzione da parte dei genitori. La maggiore facilità al contatto con coetanei devianti e con gruppi antisociali, combinato al rifiuto subito dai coetanei pro sociali, costituisce un fattore di rischio considerato maggiore per lo sviluppo di condotte delinquenziali.”39

37

Ibidem, p. 15. P. Crepet, op. cit., p. 115. 39 Ibidem, p. 70. 38

22


Tutte queste difficili

problematiche possono quindi essere alla base di pericolosi

atteggiamenti devianti. È infatti molto difficile che un ragazzo con questo tipo di problemi riesca a compiere uno sviluppo privo di “intoppi”. Proprio per queste ragioni è utile conoscere il passato di ogni ragazzo difficile, poter lavorare su di esso per costruire un futuro migliore. Ma, a volte, il ragazzo difficile, ha alle spalle un’infanzia serena, un reddito familiare cospicuo, e dei genitori amorevoli. Alla base dell’atto deviante, quindi, non ci sono sempre vissuti disastrosi e violenti, genitori anaffettivi o con problemi di droga e alcolismo; capita sempre più spesso di imbattersi in ragazzi violenti che possono dire di avere davvero tutto ciò che desiderano, ma che allo stesso tempo provano un disagio da dover esprimere con aggressività o atti illeciti. Il problema in questo caso, va sicuramente cercato nel rapporto che questi ragazzi hanno con i propri genitori. Si parla, in questi casi di famiglie benestanti, che per non far mancare niente ai figli lavorano molto fuori casa sacrificando, molto spesso, il tempo che si potrebbe dedicare alla relazione genitori – figli: “La situazione esistenziale che sempre più spesso molti figli si trovano a dover vivere può essere schematizzata così: - molte attenzioni materiali; - poca relazione a causa della mancanza di tempo da parte dei genitori; -poco contenimento e poche regole (gestire le regole educative implica disponibilità e tempo); - programmazione continua e pressante della scansione temporale delle attività dei bambini (musica, danza, piscina, ecc.).40

La scarsità di tempo, può essere quindi un fattore di rischio molto pericoloso, sempre più spesso i bambini o i ragazzi vengono mandati a svolgere le più molteplici attività, il tempo prolungato a scuola, poi la palestra, poi il corso di strumento musicale, ed infine quando tornano a casa esausti non hanno il tempo e le energie per una sana conversazione con i genitori che, allo stesso modo si ritrovano privi di energie per il troppo lavoro. Inoltre la maggior parte delle volte questi bambini fanno quello che vogliono perché spesso i genitori non hanno voglia ed energie per affrontare le lamentele che un “no” potrebbe provocare o, ancora peggio, ripongono nei propri figli

40

U. Mariani, op. cit., p. 13.

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una fiducia smisurata, tendono a sminuire le azioni trasgressive o, reagiscono in maniera troppo impulsiva e aggressiva: “Banalizzare le azioni degli adolescenti, destituirle di intenti comunicativi, rifiutarsi di reagire o drammatizzarle fornendo risposte solo punitive o disciplinari è un errore grave da parte della cultura degli adulti e delle sue istituzioni. Se l’azione non ha il successo sperato e non ottiene una risposta intelligente da parte dell’ambiente, verrà ripetuta, con una forza espressiva e una rumorosità sociale amplificate. Se l’azione riceve risposte feroci e repressive, altrettanto feroce sarà la contro comunicazione dell’adolescente, implicitamente invitato ad assumere la maschera del cattivo.41

Dunque, il modo in cui viene affrontato un atteggiamento trasgressivo può essere sia un fattore di protezione che un fattore di rischio, spesso i ragazzi trasgrediscono delle regole per comunicare qualcosa, un disagio ,attenzioni e il modo in cui i genitori reagiscono a tale comportamento può influire notevolmente sui comportamenti futuri.

Fattori di protezione Analizzando i rischi in cui un ragazzo potrebbe imbattersi lungo il suo percorso verso la vita adulta, parrebbe che il mondo sia composto solo da elementi pericolosi; ma se per un certo verso ciò può essere vero, allo stesso tempo, come per tutte le cose, anche in questo caso esiste l’altra faccia della medaglia. Oltre ai fattori di rischio, esistono anche i fattori di protezione, che possono essere molteplici, come ad esempio il vivere in una famiglia attenta e premurosa, compiere una positiva esperienza scolastica o frequentare dei coetanei pro sociali. La famiglia, in particolare, costituisce uno dei fattori protettivi più importanti. L’adulto di riferimento, per poter esercitare un ruolo protettivo per l’adolescente, deve attivare il ruolo di adulto significativo, sia attraverso i propri comportamenti, che forniscono un esempio da imitare per il ragazzo, sia attraverso la disapprovazione dei comportamenti a rischio in cui il ragazzo può essere coinvolto. Lo stile educativo più protettivo di una famiglia non è quello autoritario o al contrario lassista, ma quello autorevole, caratterizzato dal dialogo con i figli e da un’attenta supervisione degli stessi. È necessario fornire delle regole e fare in modo che esse vengano rispettate.

41

G. Pietropolli Charmet, Adolescenza: istruzioni per l’uso, Fabbri Editori, Milano, 2005, pp. 43-44.

24


Anche la scuola, come abbiamo già detto, può essere un importante fattore protettivo. Gli adolescenti trascorrono gran parte della giornata all’interno della scuola ed è proprio all’interno di questo contesto che i giovani si mettono alla prova con numerose sfide a carattere sociale e cognitivo. I fattori protettivi di questo contesto si possono ricondurre sia alle capacità educative degli insegnanti, che rappresentano l’adulto di riferimento, sia all’esperienza vissuta dall’adolescente. Un esperienza scolastica positiva, caratterizzata da benessere e successo scolastico, porta il ragazzo ad essere maggiormente protetto dai comportamenti a rischio; esso si sente realizzato e per questo non ricerca, attraverso altri metodi o sfide pericolose, la propria affermazione.42 Le caratteristiche dei contesti e delle esperienze che un ragazzo vive durante l’adolescenza, possono quindi risultare fondamentali per un corretto sviluppo cognitivo ed emozionale, ma “perché un fattore si definisca protettivo è richiesta la dimostrazione della sua interazione con le condizioni di rischio e che i suoi effetti siano evidenti, o almeno potenziati, in presenza del rischio.”43 Con questo si intende dire che, ad esempio, compiere un buon percorso scolastico può esser visto come un fattore protettivo solo se si riscontrano grosse differenze con chi invece non l’ha vissuto; e soprattutto se tali differenze riguardano problematiche delinquenziali riscontrabili in adolescenza o in età adulta.44 Oltre alle esperienze positive che un individuo compie, prima fra tutti, tra i fattori protettivi, è la resilienza: “La resilienza è quel fattore che fa sì che, nonostante l’esposizione ai fattori di rischio anche multipli, un certo numero di bambini non sviluppino alcun disturbo.[…] La resilienza fa capo a quei fattori individuali, costituzionali e temperamentali, che rendono alcuni bambini particolarmente capaci di resistere ai fattori di rischio e di far fruttare al massimo i fattori protettivi anche modesti, che comunque non sono mai totalmente assenti nella vita di ciascun individuo.”45

Dunque, la resilienza, è la capacità di affrontare facilmente tutti i fattori di rischio, essere coerenti nei comportamenti e non lasciarsi trasportare dagli eventi negativi.

42

Cfr, S. Bonino, Il fascino del rischio negli adolescenti, Giunti Editore, Milano, 2005. R. Marinaro, W. Nanni, T. Vecchiato (a cura di), Caritas italiana – Fondazione E. Zancan, Vite fragili: Rapporto 2006 su povertà ed esclusione sociale in Italia, Il Mulino, Bologna, 2006, p. 233. 44 Ibidem. 45 F. Muratori, op. cit., p. 62. 43

25


La parola resilienza deriva dal latino resilire, cioè rimbalzare, e in fisica indica la proprietà di alcuni materiali di riprendere la forma originaria dopo aver subito un urto. In pedagogia indica la capacità dell’individuo di recuperare la forza psicologica indispensabile per poter affrontare i problemi. In questo modo un soggetto resiliente riesce a fronteggiare le difficoltà della vita e a non farsi coinvolgere in azioni che potrebbero danneggiarlo; in un certo senso è come se la resilienza fosse uno scudo che impedisce alla seduttività della trasgressione di impadronirsi dell’individuo e di portarlo così nella cattiva strada.46 Rendere un soggetto resiliente, potrebbe essere quindi la strada giusta per la risoluzione di molte problematiche adolescenziali. I genitori infatti non possono eliminare tutti i rischi e allo stesso tempo non possono essere sempre presenti quando tali rischi si presenteranno: è invece utile cercare di rendere il ragazzo autosufficiente per poter affrontare i problemi in completa autonomia. I fattori di protezione possono quindi riguardare sia il contesto che l’individuo ed aiutano i giovani a non scegliere percorsi rischiosi ma a raggiungere gli obiettivi di crescita in modo responsabile.

La devianza adolescenziale Da quanto affermato fino ad ora, si evince che le trasgressioni in adolescenza sono del tutto normali, ma se associate ad altri fattori, chiamati appunto fattori di rischio, si può incorrere in problematiche molto complesse, come ad esempio, la devianza. La devianza minorile è uno dei temi più battuti dalle scienze pedagogiche. Una volta approfondite le possibili cause di una condotta deviante, è importante cercare di capire, più nello specifico, come si attiva la devianza, il perché e quali sono i reati più comuni nell’età adolescenziale. Come abbiamo già detto, la devianza può essere anche il risultato di un’educazione che ha fallito il suo scopo; chi devia non ha ben chiara la visione di sé e del mondo, è offuscato dalla confusione, dalla mancanza di parametri chiari e concreti che possano indirizzarlo verso la socialità e l’adattamento con il mondo circostante. Il deviante è un individuo disagiato che esprime il proprio disagio attraverso gli atti delinquenziali. 46

Cfr, C. C. Casula, La forza della vulnerabilità: utilizzare la resilienza per superare le avversità, Le Comete/ Franco Angeli, Milano, 2011.

26


L’atto deviante, quindi, viene attivato per comunicare qualcosa, esso è un atto comunicativo, che va interpretato con molta attenzione. Infatti: “la devianza ha il vantaggio selettivo di amplificare la comunicazione; essa rappresenta una modalità per rendere più evidente il messaggio dell’autore, per aumentare la probabilità di diffondere i significati.”47 Cercheremo ora di capire cosa vuole comunicare il soggetto deviante e perché: “La devianza in età giovanile può essere ricondotta a tre ordini principali di motivi, tutti riferibili alla percezione che il giovane ha di sé nei confronti del mondo e della sua esistenza. Avviene che egli assuma una condotta deviante: - per ʻsentirsi diversoʼ, cioè per discostarsi dai modelli proposti, per dimostrare di esistere con un’identità propria, non imposta ma scelta; - per ʻsentirsi ugualeʼ, al gruppo di appartenenza (quello familiare o amicale che sia), per sentirsi partecipe di un gruppo, anche senza piena adesione allo stesso; - per ʻsentirsi grandiʼ, specie quando si è stati infantilizzati all’eccesso in famiglia, e quindi si vuole dimostrare di essere adulti, forti, indipendenti, quasi onnipotenti.”48

Il deviare per sentirsi diverso è un caso tipico di molti adolescenti, qui la devianza viene attuata proprio per cercare di affermare un’identità differente da quella che il mondo adulto, attraverso le sue norme, propone. Il ragazzo ha la necessità di comunicare un proprio status differente da quello del bambino che, fino a poco tempo prima era. Quando, invece si devia per sentirsi uguali, si parla di somiglianza all’interno di un gruppo; la maggior parte delle volte si tratta di gruppi di tipo amicale. Capita infatti, molto spesso che per sentirsi parte di un gruppo non solo sia necessario avere lo stesso look degli altri partecipanti, ma anche comportarsi come loro e questo, molte volte, include anche i comportamenti devianti come le aggressioni,lo spaccio o gli atti vandalici; infatti: “Il riconoscimento sociale è importantissimo. […] Se sei cresciuto e vissuto in un determinato quartiere che è all’apice della delinquenza minorile, lo fai per diventare qualcuno, per diventare come loro. Il ragazzino di dodici, tredici anni inizia per imitare i più grandi. Un bimbetto di quell’età con la pistola in mano non è che sappia sparare, lo fa per imitare il grande che ha sparato, per fargli vedere che anche lui è capace di farlo.”49

47

G. De Leo e P. Patrizi, Psicologia della devianza, Carocci Editore, Roma, 2008, p. 31. G. Manca, op. cit., p. 111. 49 P. Crepet, op. cit., p.138. 48

27


Questo sta ad indicare il fatto che l’ambiente e il gruppo che un ragazzo frequenta possono portare il ragazzo a delinquere per sentirsi parte del gruppo e del contesto di appartenenza. La trasgressione compiuta per imitazione è infatti uno dei casi più frequenti negli adolescenti. Infine si può attivare un comportamento deviante anche per sentirsi grandi e quindi per ricevere notorietà e popolarità all’interno della scuola e tra i pari. Quindi, l’atto deviante in adolescenza viene attivato per poter fruire di alcuni vantaggi, come ad esempio, l’essere considerato positivamente all’interno di un determinato contesto. Gli adolescenti devianti, a differenza degli adulti, cercano sempre di palesare agli occhi del mondo la propria trasgressione, e questo avviene perché è sempre un atto comunicativo; l’adulto reo cerca di ottenere tramite il reato un vantaggio prevalentemente materiale e cerca sempre di offuscare le prove per non essere scoperto; invece per l’adolescente è il contrario, egli pensa che attraverso la trasgressione possa ottenere notorietà nel gruppo dei pari e allo stesso tempo comunicare al mondo adulto autonomia, libertà di azione, e un disagio diffuso che spesso gli adulti non colgono. È dunque importante cercare di prevenire l’atto delinquenziale, ascoltando attentamente, e attivandosi tempestivamente per ovviare a problematiche di questo tipo.

Statistiche sui reati Passiamo ora ad elencare i reati più commessi dagli adolescenti in Italia osservando nello specifico anche le fasce d’età dei rei. La seguente tabella mostra i dati raccolti dall’Istat riguardo il numero di minori denunciati alle Procure della Repubblica dal 2001 al 2006. Questi dati possono essere utili per analizzare il fenomeno della devianza minorile e per capire se, nel corso di questi cinque anni, tale fenomeno sia aumentato o diminuito.

28


Tabella 1.1 - Minorenni denunciati alle Procure della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni negli anni dal 2001 al 2006, secondo la classe di età.

Anni

Classi di età Meno di 14 anni

Totale 14 – 17 anni

N.

%

N.

%

2001

6.665

17%

33.120

83%

39.785

2002

6.758

17%

33.830

83%

40.588

2003

6.417

16%

34.795

84%

41.212

2004

6.653

16%

34.876

84%

41.529

2005

6.194

15%

34.170

85%

40.364

2006

6.436

16%

33.190

84%

Fonte: elaborazione su dati Istat – sistema informativo territoriale giustizia (www.istat.it).

39.626 50

Analizzando questa tabella si può notare che circa l’80% dei reati commessi dai minori si trova nella fascia di età che va dai 14 ai 17 anni, e che tali reati sono aumentati notevolmente nel corso di questi sei anni presi in esame. Risultano comunque preoccupanti i dati che riguardano i minori con età inferiore ai 14 anni, anche se in diminuzione rispetto al 2001. Inoltre, grazie ai dati Istat51, è possibile confermare la tesi che afferma una maggioranza di reati nei minori di sesso maschile, piuttosto che in quelli di sesso femminile, infatti circa l’87% dei reati minorili è compito dai maschi, mentre le femmine sono responsabili di tali reati per circa il 13%.52 Ora analizziamo invece i dati riguardanti i reati più commessi dai minori in Italia nell’anno 2006.

50

www.giustiziaminorile.it (Ultimo accesso 29 Novembre 2011). www.istat.it (Ultimo accesso 29 Novembre 20011). 52 Cfr, www.giustiziaminorile.it (Ultimo accesso 29 Novembre 2011). 51

29


Grafico 1.1 – Delitti a carico di minorenni denunciati alle Procure nell’anno 2006: incidenza percentuale dei primi dieci delitti sul totale.

furto

21%

danni

12%

lesioni volontarie

11%

violazione legge stupefacenti

10%

violenza privata, minaccia

8%

ingiurie e diffamazioni

6%

ricettazione

6%

rapina

4%

violenza, resistenza a P.U.

4%

lesioni colpose

3% 0%

5%

10%

15%

20%

25%

Fonte: elaborazione su dati Istat – sistema informativo territoriale giustizia (www.istat.it).53

Analizzando questo grafico, risulta subito evidente che il reato più commesso dai minori è il furto con una percentuale, abbastanza preoccupante, del 21%. Tale reato è diffuso in ambo i sessi e inizialmente, la maggior parte delle volte, non è attivato da un bisogno concreto: si tratta per lo più di motivazioni legate alla tipologia della società consumistica, secondo cui l’individuo è pienamente realizzato solo nel momento in cui veste in un certo modo o comunque possiede oggetti particolarmente noti e costosi. Successivamente, emergono delle motivazioni inconsce molto più complesse: il ragazzo crede che l’appropriazione dell’oggetto desiderato potrà colmare la noia e la tristezza che prova.54 Seguono poi i reati contro il patrimonio, con una percentuale del 12%; questi tipi di reato possono essere di vario tipo, si tratta di danni che possono essere arrecati a beni di proprietà della comunità, come ad esempio le scuole o le opere d’arte pubbliche, oppure possono essere danni nei confronti di beni privati come ad esempio nel caso dei danni compiuti ai veicoli.

53 54

www.giustiziaminorile.it (Ultimo accesso 29 Novembre 2011). Cfr, A. Maggiolini e E. Riva, op. cit.

30


Nei capitoli successivi cercheremo di approfondire questo tipo di reato, come si compie, quante tipologie di azione esistono e perchĂŠ avviene.

31


Cap. 2: Il vandalismo adolescenziale

Chi è nell’errore compensa con la violenza, ciò che gli manca, in verità è forza Gandhi

Definizione di vandalismo Il vandalismo è un fenomeno che nel corso degli anni si è modificato notevolmente. Sono cambiate le modalità, le leggi che puniscono tali atti, ma anche la concezione che le persone in generale, e la pedagogia nello specifico, ha di tale fenomeno. Nel 1979 a Messina fu svolto un seminario sul vandalismo giovanile; analizzando i dati emersi si può capire come tale fenomeno sia notevolmente cambiato, nelle modalità e nelle interpretazioni, rispetto a oggi. Il fattore più evidente è senz’altro la modificazione degli ambienti in cui gli atti vandalici prendevano vita, così come tutto il contesto sociale e politico che faceva da sfondo ad essi. Le scuole, ad esempio, erano di due tipi, vi erano le scuole professionali, frequentate per la maggiore dai figli degli operai, che a loro volta, una volta conclusa la scuola, sarebbero andati a ricoprire la stessa professione dei loro padri, e c’erano i licei, frequentati dalla cosiddetta élite. In tale contesto, i figli degli operai erano considerati gli autori di atti vandalici compiuti nelle scuole, e le motivazioni riguardavano per lo più questioni di carattere politico e discriminatorio.55 È chiaro quindi che oggi vi sia una netta differenza rispetto al passato; questa testimonianza, non solo mostra delle notevoli divergenze nel considerare le scuole professionali e chi le frequenta ma, anche le motivazioni che spingevano questi ragazzi a compiere atti vandalici oggi sono fortemente differenti. Fortunatamente non si parla

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Cfr, S. Agresta, “ Lo specifico pedagogico del vandalismo giovanile” In Il vandalismo dei giovani: aspetti sociologici psicologici e giuridic: Atti del IV Seminario Internazionale di Studio organizzato dal centro internazionale di ricerche e studi sociologici penali e penitenziari di Messina, N. 128, Giuffrè Editore, Milano, 1979.

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più di élite, ed anzi tale espressione è fonte di disapprovazione dalla comunità. I fenomeni di vandalismo che questi ragazzi attuavano erano, come oggi, probabilmente l’espressione di un disagio, ma comunque molto differente da quello che vivono i giovani attuali. Se prima si cercava e si trovava una causa a tali problematiche nell’espressione di un disagio di tipo politico e sociale causato da una discriminazione di tipo economico, oggi si può parlare piuttosto di problematiche riguardanti più nello specifico le dinamiche educative. Attualmente il vandalismo, da un punto di vista strettamente pedagogico, viene definito da P. Bertolini come: “Tendenza a distruggere o a danneggiare oggetti qualsiasi, anche di notevole valore, per il puro gusto di distruggere. Il vandalismo, che caratterizzava nel passato i cosiddetti teddy boys e che oggi è diffuso tra molti ragazzi e giovani è un modo di esprimere le proprie difficoltà di adattamento le proprie delusioni esistenziali e la propria conseguente aggressività. Le azioni vandaliche specie quando sono compiute da gruppi abbastanza numerosi di persone – come capita ad esempio al termine di qualche manifestazione sportiva, soprattutto del gioco del calcio – servono da stimolo ad una esaltazione collettiva che spesso diventa francamente pericolosa, richiedendo un intervento, anche massiccio, della forza pubblica.” 56

Questa definizione è stata estrapolata da un dizionario di pedagogia, e risulta essere quindi la definizione più appropriata per il tipo di studio che intendo svolgere, infatti oltre alla descrizione dell’azione manifesta vengono anche introdotte le possibili cause di questi comportamenti. Tali considerazioni non vengono invece fatte in un comune dizionario della lingua italiana che, a differenza di quello più specifico di pedagogia, alla voce “vandalo” dice: “ colui che deturpa, rovina cose di valore per ignoranza, inciviltà o puro gusto di distruzione.”57 Il fine di questa definizione è soprattutto cercare di far capire quale sia il comportamento manifesto del vandalo, ma la spiegazione di esso, e cioè il motivo che porta un individuo a compiere tali azioni è abbastanza riduttivo. Innanzitutto è utile individuare la fascia di età del reo, poiché a seconda di essa le motivazioni cambiano notevolmente; infatti, un adolescente, come abbiamo già detto, 56

P. Bertolini, Dizionario di pedagogia e scienze dell’educazione, Zanichelli, Bologna, 2001, p. 691. Dizionario Garzanti di italiano, con grammatica essenziale in appendice, Redazioni Garzanti, Milano, 1997, p. 1369.

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agisce sempre per comunicare qualcosa e questo viene spiegato bene nella definizione di Piero Bertolini58, che dice appunto che l’atto vandalico, spesso non è altro che l’espressione di un disagio che può avere varie nature. Infatti danneggiare gli oggetti è un comportamento abbastanza comune nella prima adolescenza. Questo atteggiamento è dato dal fatto che in questa particolare fase si presenta il desiderio di lasciare un segno tangibile della propria esistenza per poter affermare la propria identità. Quando però, tale desiderio si esplica attraverso atti vandalici più o meno gravi esso è da ricondurre a una sensazione di disagio data dal fatto che l’individuo percepisce la propria esistenza priva di significato e valore per gli altri; più è forte questo senso di inadeguatezza, maggiore sarà il danno o l’enfasi posta nell’atto distruttivo. L’atmosfera in cui si svolgono la maggior parte degli atti vandalici è pervasa da un sentimento di noia, di inutilità e di rabbia, espressa soprattutto, verso chi riesce a reagire alle difficoltà senza farsi travolgere dagli atti illeciti.59 Inoltre, nella maggior parte dei casi, l’atto vandalico non viene percepito, dal soggetto che lo compie, come un comportamento che può causare dei danni ma viene visto come un segno tangibile della propria esistenza: “Gli adolescenti non hanno evidente coscienza del significato dell’atto che compiono. Ne avvertono soltanto il beneficio immediato, cioè il calmarsi delle tensioni percepite, a cui si aggiunge una sensazione di potenza proporzionale all’effetto prodotto sull’ambiente.”60

A differenza di altre trasgressioni, come ad esempio il furto, il vandalismo non porta l’individuo ad ottenere qualcosa sul piano materiale; esso viene quasi sempre attribuito al desiderio di colmare delle carenze affettive ed identitarie, e anche se il ragazzo non ne è consapevole, tali atti sono la prova inconfutabile di una sintomatologia diffusa all’interno di una società che non riesce a contenere le problematiche individuali, soprattutto dei giovani.61 Un’altra ipotesi concernente le motivazioni che spingono il ragazzo a compiere danneggiamenti ai più svariati oggetti e/o luoghi è da attribuire alla necessità di apparire vincente agli occhi dei coetanei: 58

P. Bertolini, op. cit. Cfr, A. Maggiolini e E. Riva, op. cit. 60 X. Pommereau, op. cit., p. 31. 61 Ivi. 59

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“Viene il sospetto che i veri destinatari della comunicazione vandalica e irresponsabile non siano tanto gli adulti ma i coetanei, che non si tratti di una sfida all’autorità ma di una comunicazione fra gruppi di ragazzi. È legittimo ipotizzare che imbrattino i muri e allaghino la scuola perché sono impegnati a conquistare visibilità agli occhi dei compagni. Si vantano di far ridere, non di far paura. Usano la scuola come palcoscenico per mettere in scena la paura di rimanere invisibili. Sono alla conquista del nuovo potere: diventare famosi.”62

In questo caso, si devia quindi per sentirsi grandi, famosi, popolari, non si tratta più di una sfida con il mondo adulto ma di un riconoscimento sociale di cui il ragazzo ha un forte bisogno. Esistano comunque vari tipi di vandalismo; questa differenziazione dipende soprattutto dal tipo di ambiente o oggetto che viene deturpato, dalle circostanze in cui avviene e così via. Tutte queste varie tipologie, oltre che nel comportamento o nel danno arrecato, variano tra di loro soprattutto nelle cause che portano l’individuo ad agire.

I vandali a scuola Il luogo per eccellenza in cui gli atti vandalici si esplicano è senza dubbio la scuola; non solo perché è un contesto frequentato da tutti gli adolescenti, ma anche, e soprattutto, perché è un luogo normato, regolato da ordinamenti non condivisi ma verticistici per cui l’insofferenza alla regola e l’aggressività verso gli adulti ha la sua massima espressione . All’interno dell’istituto scolastico i ragazzi non solo possono essere istruiti e formati a specifiche competenze ma devono anche imparare a relazionarsi con i pari, a intraprendere nuove sfide, a crescere e sviluppare il proprio sé. La scuola è il luogo di sviluppo per eccellenza. Ma proprio perché ampiamente frequentato da adolescenti, risulta essere anche il luogo privilegiato per dare ampio sfogo ai propri disagi, danneggiandola: essa è spesso vittima di attacchi di ogni tipo, dalle scritte sui bagni e arredi in generale, a deturpazioni molto più gravi come, ad esempio, incendi, allagamenti e così via. In questo caso l’edificio funge da capro espiatorio dove poter riversare la propria rabbia e le proprie frustrazioni concernenti un sistema mal funzionante che riguarda l’educazione familiare e scolastica in primis, ma anche il mancato contenimento delle turbe che colpiscono la fascia di età adolescenziale. 62

G. Pietropolli Charmet, op. cit., p. 186.

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La maggior parte dei danneggiamenti che la scuola subisce deriva dal modo in cui i ragazzi utilizzano il materiale scolastico a loro disposizione: spesso i banchi e i muri dei bagni diventano metaforicamente dei fogli su cui imprimere in modo indelebile firme, dichiarazioni d’amore, tifo verso la propria squadra e così via. Tutti questi segni si sommano poi a quelli degli anni precedenti, causando così, dei danni sempre più consistenti.63 Il fenomeno del vandalismo scolastico, negli ultimi anni, è diventato dilagante; le cronache traboccano di notizie riguardanti giovani adolescenti che, mossi da sentimenti di rabbia o addirittura solo per noia, mettono in atto piani ben ponderati per poter distruggere la propria scuola: “E’ accaduto a Sondrio, in una scuola media, dalla quale a tarda sera stavano uscendo quattro ragazzini, di cui un quattordicenne e tre tredicenni; sono stati visti dalla polizia che ha poi controllato l’edificio scolastico trovandosi davanti un vero disastro: registri strappati, banchi e sedie rotti, lavagne rovinate, scritte oscene su muri e lavagne, vasi, piante e uno stereo distrutti. I ragazzini si sono giustificati dicendo che erano annoiati, che non sapevano cosa altro fare; sono stati affidati ai rispettivi genitori e, i tre tredicenni, segnalati al Tribunale dei minorenni, mentre il maggiore dei quattro denunciato per danneggiamento aggravato.”64

Queste notizie allarmano notevolmente le istituzioni competenti e il mondo adulto in generale. Le scienze pedagogiche stanno cercando di comprendere quali possano essere le cause di tutta questa rabbia, ma soprattutto si stanno cercando delle possibili soluzioni per poter finalmente annichilire questo fenomeno: “Negli Stati Uniti, in Giappone e recentemente in Galles il fenomeno è talmente allarmante che alcune agenzie educative

hanno messo in atto soluzioni di controllo elettronico sicuramente efficaci, ma

preoccupanti. Si tratta dell’obbligo di portare al collo un dispositivo composto da un chip radio che si interfaccia con numerosi scanner presenti all’interno della scuola, soprattutto in quei luoghi dove sono maggiori gli episodi di vandalismo e di aggressione: agli ingressi dei bagni, in palestra, in cortile, in biblioteca, perfino nelle strade adiacenti la scuola. In ogni momento è possibile sapere dove si trovi qualsiasi alunno e capire cosa stia facendo.”65

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Ivi. www.giovani.it (ultimo accesso 16 Aprile 2012). 65 U. Mariani, op. cit., p. 97. 64

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Fortunatamente questo tipo di tecniche di contenimento non interessa l’Italia; tali metodi risultano essere, più che una risoluzione del problema, un controllo morboso che, anche se può dare i suoi frutti, non risolverà il fenomeno alla base. Si tratta più che altro di metodi che non placano la rabbia dei giovani, ne controllano le sue manifestazioni in maniera incisiva, ma allo stesso tempo privano anche l’individuo di una libertà che ha tutto il diritto di esercitare. Sarebbe più consono, invece, cercare di comprendere quali siano le motivazioni intrinseche che portano alcuni individui a compiere determinati reati, e da questo partire per trovare soluzioni che portino il ragazzo a non compierli più. Il fenomeno del vandalismo a scuola è molto più comunicativo rispetto agli altri tipi di trasgressione, esso è plateale e talmente clamoroso da attirare l’attenzione di tutti: “Il vandalismo deve richiamare tutti all’improbabile compito di sanzionare il male non avendo saputo insegnare il bene. Nell’aggressione alla scuola, qualunque aggressione sia (dallo spaccare il banco, all’esondazione dei lavandini), l’alunno-vandalo esprime un bisogno di attenzione, ma anche un desiderio di educazione.”66

Questo ci dovrebbe portare a riflettere maggiormente sul tipo di educazione che la società, le famiglie e la scuola danno. Ci troviamo di fronte a un malessere e un disagio diffuso che si esprime anche e soprattutto attraverso questo tipo di atti illeciti. Le motivazioni che spingono un adolescente a compiere tali atti all’interno del contesto scolastico possono essere numerose. Innanzitutto è utile affermare che nel comportamento vandalico è spesso determinante l’appartenenza ad un gruppo deviante perciò il ragazzo agisce anche e soprattutto per farsi accettare dal proprio gruppo e spesso il modo più facile per poterlo fare è proprio mostrarsi forte nella distruzione della scuola e degli arredi che la compongono. Un’altra motivazione può essere quella dello sporcare o danneggiare un ambiente perché si è in competizione con i propri compagni: accade spesso che tra alcuni studenti si crei una sorta di competizione, la gara è tra chi riesce a colpire con gessi o matite il cestino per i rifiuti, o tra chi riesce a lasciare l’impronta della scarpa più in alto nel muro. Tutti questi atteggiamenti nascono dall’indifferenza che il ragazzo prova verso l’edificio scolastico; esso viene spesso visto come un luogo che non appartiene a 66

Ibidem, p.98

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nessuno, al pari degli autobus o dei muri cittadini, e per questo sentono di non fare danni a nessuno. L’indifferenza verso questi luoghi è anche da attribuire al senso che i ragazzi stessi hanno verso la propria identità, infatti essi stessi sentono di non appartenere a nessuno esattamente come i luoghi che deturpano. Gli studenti non sentono propria la scuola che frequentano, non si sentono considerati, ascoltati e valorizzati e questo è da attribuire alla mancanza di figure adulte significative. Queste problematiche infatti si amplificano quando le figure professionali non svolgono con entusiasmo e passione il proprio mestiere: se gli insegnanti e il preside per primi non si attivano a comunicare un’idea di scuola funzionale, in cui ognuno ha un ruolo e un compito ben preciso da svolgere, anche i ragazzi, con una sorta di meccanismo a catena, non si sentiranno partecipi e protagonisti di tale ambiente.67 L’atto vandalico a scuola potrebbe anche essere attivato per protesta verso il mondo adulto in generale ma, più nello specifico, verso gli insegnanti: è il caso in cui il ragazzo sfoga la propria rabbia, causata da un insuccesso scolastico, sugli arredi e sulle attrezzature. Questi sfoghi derivano da frustrazioni che egli attribuisce erroneamente all’insegnante. Il meccanismo che si attiva in questi casi è di discolpa verso se stessi e di colpa verso chi ha giudicato negativamente la sua prestazione. L’insegnante diventa così il bersaglio di numerosi atteggiamenti distruttivi, come ad esempio i danni arrecati all’auto di sua proprietà.68 Un’altra motivazione potrebbe poi riguardare l’espressione comunicativa. In alcuni casi i ragazzi hanno necessità di esprimere le proprie idee e le proprie passioni attraverso scritte su muri e banchi. Tali manifestazioni avvengono nei luoghi scolastici meno frequentati dagli adulti e maggiormente battuti dai ragazzi, come ad esempio bagni o spogliatoi. Le scritte sui muri sono considerate un diritto che essi possono e devono esercitare per comunicare con i coetanei. Tali comunicazioni sono e devono essere necessariamente scritte, amplificando così la voglia di esibirsi, di apparire, di esistere.69 La maggior parte delle volte i responsabili degli atti vandalici a scuola sono ragazzi di sesso maschile e questi atteggiamenti aumentano parallelamente al degrado scolastico; infatti nelle scuole in cui ogni componente rappresenta un tassello funzionale che ben si integra nel più ampio progetto scolastico, queste manifestazioni sono pressoché assenti, 67

Cfr, A. Maggiolini e E. Riva, op. cit. Ivi. 69 Ivi. 68

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in altre, invece, in cui il degrado è particolarmente connaturato, tali manifestazioni sono all’ordine del giorno.

Writers e bombers Le trasgressioni vandaliche, oltre che nella scuola, si possono manifestare anche negli spazi pubblici. In questo paragrafo analizzerò nello specifico tutte quelle manifestazioni decorative e non che i giovani producono nei muri, nei tram e nelle metropolitane delle nostre città. Stiamo parlando di coloro che si esprimono attraverso tag e graffiti. Questo tipo di attività è però molto più complessa rispetto a quella del precedente paragrafo, perché le opinioni riguardo queste manifestazioni possono essere contrapposte. Se per il danneggiamento di arredi scolastici, le varie opinioni sono di completa disapprovazione, per questo tipo di fenomeno, invece, ci possono essere varie visioni contrastanti. Infatti per alcuni un bel graffito, non viene visto negativamente, ma come un arte trasgressiva, e tale solo perché non approvata dalla comunità; altri invece la vedono come un imbrattare muri e mezzi pubblici, senza vedere in essa nessun tipo di forma artistica. Il presente lavoro cerca invece di differenziare l’arte del graffito da altri tipi di danneggiamento, cercando appunto di suddividere le due manifestazioni in due fenomeni ben distinti, sia nel significato, che nelle motivazioni che possono spingere l’individuo a compierli. Analizzare la storia del graffito può essere utile per comprendere il significato di questo fenomeno per poterlo così differenziare da altri e poter così affrontare il tema del danneggiamento vero e proprio: “La cultura dei graffiti nasce nei quartieri ghetto di New York negli anni ’70 come forma espressiva della cultura hip hop, diffusa tra i giovani di colore e gli immigrati. Lo spirito che anima questa cultura rappresenta un tentativo di reagire al disagio dell’emarginazione sociale, attraverso un atteggiamento dinamico e attivo nel rapporto con la realtà. L’obiettivo ufficiale è quello di combattere la noia e il grigiore dei quartieri ghetto, dando libero sfogo alle proprie capacità espressive negli spazi sociali. Questa tensione creativa, per le sue caratteristiche trasgressive, avventurose e per la scelta di spazi sociali a volte pericolosi, coinvolge soprattutto gli adolescenti maschi. Fin dall’inizio essa si sviluppa in due differenti direzioni: quella dei “writers” (da to write = scrivere) e quella dei “bombers” (da to bomb = colpire, bombardare).70

70

D. Miscioscia, op. cit., p. 83

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Queste due differenti direzioni segnano incisivamente la differenza tra questi due diversi fenomeni. I “writers” segnano i propri territori con la motivazione di voler decorare le città, e quello che ne fa parte;71 cercano, attraverso i loro disegni e dipinti, di rendere meno triste la città che li accoglie. L’obiettivo è rendere più colorati i quartieri più tristi e degradati. I “bombers” invece, sono coloro che scrivono illegalmente su muri e tram, il proprio nome o “tags” (firme o sigle stilizzate). Essi non sono motivati dal bisogno di rendere più gradevole determinati spazi ma sono attratti dalla componente trasgressiva che un graffito possiede. Molto spesso i “bombers” agiscono con fini esibizionistici e provocatori, e la maggior parte delle volte tali provocazioni sono rivolte agli adulti che non gli permettono di avere un’autonomia tale da poter personalizzare i propri spazi a loro piacimento.72 Così i “bombers” cercano un luogo dove poter esprimere la propria disapprovazione verso il mondo adulto, bombardandolo ripetutamente con scritte che sono molto lontane dall’essere decorative. “In entrambi i casi, si manifesta un bisogno narcisistico di apparire, di lasciare un proprio segno; possiamo tuttavia considerare i writing un’espressione narcisistica più matura, tanto che le amministrazioni di molti comuni hanno assegnato ai writers muri su cui dipingere i loro graffiti, riconoscendone così ufficialmente il valore artistico. […] L’azione dei writers sembra prevalentemente ispirata dal mito affettivo del bambino messia che arriva a ridare luce, colore e speranza ad una città grigia e triste. L’azione dei bombers, invece, sembra ispirata soprattutto da un mito affettivo negativo; al suo interno c’è una sorta d’angelo vendicatore (il bomber) che, come un bambino abbandonato da una madre egoista e indifferente (la città), per farle dispetto, s’appropria d’una sua parte per sporcarla e lasciare così, come Zorro, un segno inconfondibile del proprio passaggio.73

I bombers risultano, quindi, molto più problematici rispetto ai writers. Le loro tags bombardano i muri e gli spazi pubblici della città danneggiando in modo importante facciate di abitazioni private, mezzi pubblici e così via.

71

Ivi. Ivi. 73 Ibidem, pp. 84-85. 72

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I tagger sono prevalentemente maschi, e cominciano quest’attività molto presto, all’incirca intorno ai 12 anni e agiscono di solito in gruppo. La componente relazionale per i tagger è fondamentale; il gruppo, che viene chiamato crew, diventa una sorta di famiglia per il giovane, tanto da segnalare una sorta di biglietto da visita tra i vari gruppi. Infatti ogni componente di una crew ha la sua personale tag, cioè un nome, che va sempre associato al nome della crew, che simbolicamente rappresenta il cognome. L’appartenenza a una crew piuttosto che a un’altra è riconoscibile, appunto, tramite il nome di esse. Tra i vari gruppi non c’è conflitto ma competizione per diventare più popolari.74 Le tag non hanno dei significati particolari, non conta tanto il contenuto di ciò che si scrive, è molto più importante la forma, deve essere esteticamente bella agli occhi della crew d’appartenenza e delle altre. In questa “gara” tra gruppi emerge colui che si fa riconoscere per l’impegno attivato nella ripetizione della propria tag, oltre ad essere interessante esteticamente, le tag devono essere tante e presenti in più posti possibili. L’aspetto o la personalità degli autori ha poca rilevanza: “l’ammirazione dovrà essere rivolta alle loro opere, non al loro corpo. L’identità pubblica del tagger collassa sulla sua tag e il destino della tag diviene il suo stesso destino. L’esclusione della persona in carne e ossa dalla scena consente al tagger di sentirsi grande prima del tempo, di eludere la pochezza del suo corpo, l’essere mutante, incompiuto, un ibrido tra infanzia e giovinezza.”75

In un certo senso, si cerca di nascondersi dietro questi mezzi, non si accettano i disagi che l’adolescenza crea, si vorrebbe essere già maturi fisicamente e intellettualmente, bruciando le tappe, e questo è il metodo che utilizzano per farlo. I giovani tagger ripudiano simbolicamente il nome dato dai genitori, si creano un nuovo “Io” differente da quello infantile che associano ai genitori. In particolare rinnegano il nome paterno, non si riconoscono nella figura genitoriale maschile perche essa appare incerta ai loro occhi.76 Così i tagger cercano di discostarsi da questa figura passando

74

Cfr, E. Rosci (a cura di), Fare male, farsi male: adolescenti che aggrediscono il mondo e se stessi, Franco Angeli, Milano, 2007. 75 Ibidem, p. 130. 76 Ivi.

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precocemente dalla famiglia alla società creandosi un ruolo nuovo, coraggioso, trasgressivo, esattamente il contrario di quello che la famiglia percepisce di lui: “I tagger cambiando nome e cognome agli albori dell’adolescenza, denunciano la loro sfiducia che i mondo dei padri possa degnamente sostenere i processi di separazione dall’infanzia, che la loro nascita sociale trovi linfa e sostegno dall’interno della famiglia. Entrano perciò a far parte di un minimondo che offre loro la possibilità di fare esperienze vitali, altrimenti impossibili, un mondo al quale aderiscono con una fede esclusiva, a tratti delirante. […] La famiglia affettiva d’oggi offre molta ammirazione ai figli di tutte le età, ma di una qualità infantilizzante, che rimanda a un clima relazionale vischioso e dipendente. L’adolescente vuole ammirazione, anzi la esige, come il tagger mostra in modo estremo e inequivocabile, ma senza dipendenza, vuole il supporto indispensabile per tratteggiare il suo futuro, non l’interferenza e la confusione emozionale. I tagger possono divenire i testimoni del bisogno di visibilità e di ammirazione di molti giovani maschi che all’alba dell’adolescenza temono di scomparire in un universo materno avvolgente e omnipervasivo, incapace di dare un senso a una identità virile ancora in formazione. I tagger, come molti adolescenti d’oggi, dovendo scegliere fra il modello paterno e quello materno preferiscono il sostegno fraterno elargito all’interno del gruppo dei pari.”77

L’appartenenza a una crew è comunque molto difficile da ottenere, per accedervi sono necessarie prove in cui si misura il coraggio del ragazzo; il tagger ha come unico scopo l’integrazione nel gruppo e cerca in tutti i modi, impegnandosi al massimo, di accedervi. Il rito di iniziazione è studiato dai più grandi del gruppo, e una volta superate delle prove, il tagger si può considerare membro a tutti gli effetti della crew. L’analisi delle varie dinamiche di questi particolari gruppi, è utile per comprendere che l’adolescente tagger non è un giovane pigro, annoiato, apatico come altri adolescenti possono apparire, egli è attivo nella conquista del gruppo, esce di casa sempre preparato per segnare permanentemente più luoghi possibili. Il suo unico obiettivo è piacere al suo gruppo e agli altri, acquisire popolarità e crearsi così un nuovo ruolo.

Gli ultrà La violenza negli stadi è un’altra manifestazione trasgressiva da inserire nel contesto vandalico. Il vandalismo sportivo tra i giovani è un fenomeno in crescita e si esplica attraverso la creazione di gruppi, più o meno numerosi, di individui che hanno in comune la passione 77

Ibidem, pp. 133-134.

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per una squadra sportiva, e che hanno come obiettivo quello di partecipare alle manifestazioni sportive distruggendo gli stadi, incendiando le auto parcheggiate e aggredendo i tifosi avversari e le forze dell’ordine. Il calcio in modo particolare è divenuto uno degli sport a cui tali gruppi, definiti ultrà, si dedicano totalmente. La domenica allo stadio diviene spesso luogo e tempo di danneggiamenti e risse tra tifosi e forze dell’ordine. In questi casi le analisi possibili convergono tutte verso un identikit dell’ultrà tipo: il giovane ultrà è un adolescente maschio, che agisce in gruppo e per realizzare se stesso. Come già accennato, in adolescenza si presentano numerosi conflitti inerenti l’identità; il ragazzo si trova in un limbo, non si sente parte né del ruolo adulto, né nel ruolo del bambino. È alla ricerca di un proprio ruolo sociale che spesso ritrova nel gruppo dei pari. Il giovane che entra a far parte di un gruppo ultrà ottempera bene questo tipo di bisogni: il gruppo fornisce delle regole precise, si differenzia dal mondo adulto e da altri ultrà rivali e omologa alla perfezione gli adepti del gruppo. 78 I giovani cercano, attraverso l’apparenza, la costruzione identitaria; hanno necessità di apparire in un certo modo: “il giovane tifoso ultrà, come tutti coloro la cui identità è fortemente legata alla comunicazione sociale ovvero alla visibilità, all’esserci, ai ruoli espressivi, al manifestarsi piuttosto che al fare, cerca e produce quei contesti in cui possono essere create le occasioni e gli episodi del suo essere riconosciuto. […] Il giovane tifoso alternativo, apparendo sulla scena attraverso la propria passionale rissosità, annuncia un’identità che gli viene riconosciuta, mentre mostra il suo impegno, coinvolgimento e valore in modo da esserne all’altezza. La sua ricerca di espressioni d’identità non è soltanto un esigenza per così dire personale, ma anche un mezzo per entrare a far parte dello spettacolo.”79

Infatti, il gruppo ultrà, oltre a curare assiduamente il proprio look con maglie e sciarpe dei colori della squadra che predilige, è costituito da un insieme articolato di leggi e regole che ne ordinano i vari comportamenti dei partecipanti. Per accedere a un gruppo ultrà è necessario superare delle prove, una delle più tipiche è quella dell’invasione di campo, essa è un’azione rischiosa che serve per fare carriera nel gruppo e ad acquisire popolarità anche tra i rivali:

78 79

Cfr, A. Salvini, Ultrà: psicologia del tifoso violento, Giunti, Milano, 2004. Ibidem, pp. 83-84.

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“Da varie analisi è emerso il profilo psicologico di un tifoso che è incline e disponibile all’atto violento, non tanto per danneggiare, offendere, prevaricare o per particolari pulsioni sadiche, quanto spronato dall’esigenza di realizzare un’immagine ed una reputazione: la sua aggressività molte volte è la manifestazione visibile del suo impegno a sostenere una adeguata rappresentazione di sé correlata al suo essere temibile, leale, generoso, fedele ai colori, ecc.”80

Quindi anche questo particolare fenomeno, come i precedenti, ha una grande componente comunicativa, comunica ai pari, così come comunica agli adulti e alla società in generale. In questi casi la comunicazione avviene tramite un codice ben preciso che viene definito “codice analogico”: questo tipo di codice reinterpreta il significato agonistico del fenomeno sportivo, mutando la sana competizione in scontro, i termini tecnici di “difesa” e “attacco” vengono presi per veri e si attribuisce una responsabilità sconsiderata all’arbitro che diviene spesso causa della sconfitta della squadra.81 La maggior parte degli atti vandalici compiuti dai giovani tifosi non interessano nello specifico l’oggetto danneggiato, tale atto riguarda piuttosto l’affermazione della propria popolarità e del proprio potere e quindi è pregno di una componente comunicativa di tipo sociale. Non si tratta quindi di uno sfogo dato da una rabbia repressa, esso viene attuato per acquisire maggiore visibilità tra i pari, non è indirizzato all’oggetto in sé: “La sua funzione comunicativa è duplice. Da un lato si colpiscono le cose o le persone non per quello che sono ma per quello che rappresentano, utilizzandoli come sostituti dell’autorità impersonale di chi detiene il potere, degli avversari e di coloro che danno agli ultrà la dovuta importanza. Dall’altro, il fine è anche di suscitare allarme e attenzione, riconoscimento e reazione.”82

Inoltre il clima concitato fomenta notevolmente l’euforia del giovane tifoso. La stadio è un luogo in cui le componenti emotive di un tifoso particolarmente coinvolto, vengono esaltate all’ennesima potenza, così da innescare quello che viene definito “discontrollo emotivo”: questo fenomeno designa la scarsa capacità, di alcuni individui, di controllare le proprie emozioni; in questo modo ogni tipo di emozione, che sia di collera o di estrema felicità, viene vissuta in modo talmente forte da non poterla controllare. In questi casi l’individuo, non riuscendo a contenere in modo appropriato le 80

Ibidem, p. 85 Ivi. 82 Ibidem, p. 89 81

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proprie emozioni, è costretto a sfogarle all’esterno, creando così un’esaltazione dannosa per gli altri e per gli oggetti che si trovano nel suo percorso.83 Negli ultrà violenti e trasgressivi, si presenta una certa dissonanza tra la vita da tifoso e quella quotidiana da studente e figlio; infatti questa particolare categoria di adolescenti vivono una sorta di doppia vita, una costituita dall’appartenenza al gruppo ultrà e una seconda in cui il ragazzo vive un’esistenza molto comune a quella dei suoi coetanei non devianti. La vita da ultrà è transitoria, limitata solo alla domenica allo stadio. Questo tipo di contraddizione di duplicità morale, è resa possibile da una serie di meccanismi che il giovane tifoso attua per poter vivere serenamente questo tipo di incongruenza. I meccanismi che vengono attuati sono molto simili a quelli individuati da Bandura, essi vengono

raggruppati

in

quella che viene

chiamata “neutralizzazione della

responsabilità”84 che è un insieme di giustificazioni e spiegazioni che il tifoso dà per alleggerire la propria coscienza appesantita dagli atti trasgressivi compiuti la domenica allo stadio. I meccanismi più frequenti sono: Richiamo delle istanze superiori: I tifosi violenti giustificano le proprie azioni dannose appellandosi a doveri verso il gruppo e la squadra, all’amicizia leale e all’onore della propria virilità. Richiamo della “giusta punizione”: Gli oggetti danneggiati, i tifosi e i giocatori avversari, gli arbitri e gli allenatori vengono visti come dei nemici, sleali, bugiardi e traditori. Per questo motivo l’atto aggressivo è giustificato dalla necessità di difendere se stessi e la squadra e di punire gli avversari per la loro falsità e slealtà. Negazione della illiceità: I tifosi ultrà non interpretano le proprie azioni trasgressive come immorali, vedono la trasgressione ma non l’ingiustizia arrecata. Sono convinti di non poter essere perseguiti penalmente, poiché notano solo l’aspetto ludico dell’azione. Esclusione della propria responsabilità: Questo meccanismo viene attuato soprattutto per giustificare le proprie azioni a giornalisti e a tifosi moderati e consiste nell‘attribuire le colpe a terzi, ad esempio agli avversari o a teppisti infiltrati. In questo modo non si nega l’atto attuato ma allo stesso tempo si offre una giustificazione accettabile.85

83

Ivi. Ivi. 85 Ivi. 84

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Tutti questi meccanismi sono molto simili a quelli attuati in altri tipi di reato. Sono dei meccanismi tipici dell’adolescenza e servono ad attenuare il senso di colpa. Nel caso del tifoso violento sono fondamentali per poter sopportare il peso delle proprie azioni, soprattutto perché al di fuori dello stadio questi tipi di individui risultano essere abbastanza mansueti; essi limitano le proprie trasgressioni allo stadio la domenica.

La deturpazione dell’opera d’arte Il vandalismo si esplica anche e soprattutto nella distruzione o nel danneggiamento di opere d’arte. Spesso le cronache parlano di teppisti che arrecano danni a monumenti importanti, palazzi storici, sculture, musei, parchi e così via: Oristano: tre minorenni, due di Marrubiu e uno di Oristano, sono stati denunciati per danneggiamento a carico del patrimonio comunale. Con delle bombolette spray avrebbero realizzato bombolette e scritte sul muro del foro Boario. L’episodio è accaduto sabato mattina verso le 11. Alcuni testimoni hanno avvistato i tre writer impegnati a pasticciare le pareti dell’edificio di viale Marconi. Quando sul posto è arrivata una delle volanti della questura però i tre teppistelli erano già spariti. In base alle descrizioni fornite dai testimoni, gli agenti li hanno individuati qualche minuto dopo vicino al Foro Boario. Con loro avevano anche l’arma del delitto: le bombolette spray. I tre sono finiti in questura dove sono stati denunciati. Dopo le formalità di rito la polizia ha provveduto a riconsegnarli ai loro genitori. Dalla questura è partita una segnalazione alla magistratura. Non è la prima volta che teppisti e writer si accaniscono contro il foro Boario. Anche in passato è stato oggetto, anche all’interno di atti di vandalismo: erano stati danneggiati infissi e finestre, mentre i muri esterni sono diventati bersaglio prediletto proprio dei patiti delle bombolette spray. Per prevenire ulteriori danni alla struttura, di recente il Commissario regionale ha deciso di assegnare i locali all’Università della terza età. In questo modo il foro Boario sarà utilizzato e vigilato dalle incursioni dei teppisti. (e.s.)86

Anche questo tipo di fenomeno, così come i precedenti sopra analizzati, ha una forte componente comunicativa. I danneggiamenti più comuni risultano essere le scritte incise su sculture, muri antichi di musei o monumenti, alberi secolari, reperti archeologici e così via. In apparenza tale gesto potrebbe sembrare simile a quello che comunemente avviene nei luoghi più frequentati dai ragazzi, come ad esempio bagni pubblici o scolastici, ma in realtà sono due fenomeni molto differenti. Il luogo che viene deturpato, in questo caso è un luogo importante, storico, e la differenza è da ricondurre proprio a ciò; oltre al danno, che in 86

La Nuova Sardegna, anno 120 – N° 132, lunedi 14 maggio 2012, p. 18.

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questo caso è nettamente superiore, cambiano anche le componenti comunicative; la motivazione è la stessa e riguarda appunto l’affermazione della propria identità, ma quello che si vuole comunicare muta fortemente. In questo caso la comunicazione converge verso un’estraniarsi del giovane adolescente rispetto alla storia e alla cultura del luogo in cui vive. Il giovane vandalo non comprende l’importanza e la bellezza dell’opera d’arte, non è consapevole di appartenere alla storia e alla cultura dei vari luoghi, egli non la considera proprio, non ne vede i vantaggi, non l’apprezza, e di conseguenza non ne va fiero.87 Il tutto è ascrivibile a una carenza nella formazione e nell’istruzione di base: la storia dell’arte è una disciplina spesso marginalizzata a scuola (ad esempio il numero di ore limitatissimo nella scuola dell’obbligo e la mancanza di collegamenti con le altre discipline) tale “ignoranza” comporta ovviamente disinteresse e incuria. Un’altra causa potrebbe invece riguardare

la popolarità mediatica che il

danneggiamento di un’opera d’arte importante comporta. Molto spesso accade che monumenti culturalmente influenti vengano deturpati solo per il gusto e la soddisfazione che consegue dall’essere citati in un telegiornale in TV. Anche quando tali reati rimangono anonimi e impuniti, l’azione viene comunque annunciata e questo è percepito dal vandalo come un fattore positivo; egli si esalta nel comprendere che la sua azione è stata notata, la sua esistenza ne ha giovato in popolarità tra pari e soddisfazione personale. In questi casi i rei, sono giovani che hanno un forte bisogno di certezze e di notorietà, poiché non si percepiscono come soggetti agenti nel contesto di cui fanno parte.88 Il vandalismo, in questo caso, è quindi espressione di un malessere che riguarda la società. I luoghi di cui facciamo parte faticano ad integrare gli individui al suo interno. Tra le nuove generazioni vi è una scarsa conoscenza, informazione e promozione delle opere d’arte che hanno un’importanza rilevante per l’economia e la cultura del nostro paese. La maggior parte degli episodi vandalici di questo tipo avvengono durante le gite scolastiche e questo ci dovrebbe portare a riflettere ancora di più su questo fenomeno. I viaggi d’istruzione nascono con la finalità di ampliare le conoscenze che si acquisiscono a scuola, per mostrare quello che viene studiato nei libri, ma la maggior 87 88

Cfr, A. Maggiolini e E. Riva, op. cit. Ivi.

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parte delle volte, i ragazzi, individuano l’escursione, solo come un momento ludico da passare lontano dai genitori e vicino ai pari, non percepiscono l’importanza del luogo, e la maestosità dell’opera mostrata. Questa immaturità è dilagante soprattutto tra le fasce d’età più elevate. Accade spesso che i bambini si scoprano più interessati alla storia rispetto ai ragazzi che frequentano il liceo. Quest’analisi mira a rivalutare le modalità di trasmissione delle informazioni adottate dagli insegnanti e dalle guide museali che spesso non riescono ad attirare l’attenzione dei giovani, innescando in essi una sorta di disinteresse per tutto quello che riguarda l’arte, la cultura, la natura e la storia, così da considerarli non come un bene da proteggere ma come un nemico da sconfiggere.

Distruggere i propri oggetti Accade spesso che alcuni ragazzi tendano a danneggiare e deturpare i propri oggetti piuttosto che quelli altrui o quelli pubblici. Questo particolare fenomeno vandalico è tra i più complessi finora analizzati. Molti genitori che si trovano di fronte a episodi di questo tipo, tendono ad attribuirne le cause a momenti passeggeri di rabbia tipici della fase adolescenziale, senza approfondirne le motivazioni intrinseche: “«Quando ho combinato quel casino sulle pareti della mia stanza con un pennarello» ricorda Pascal, quattordici anni «mio padre ha detto semplicemente: “Questo ti costerà la mancia di sei mesi”. Mi ha mandato fuori di testa per la rabbia. L’ha detto con in tono distaccato, con la sua aria da “psi”, e se n’è andato. Avrei voluto che mi chiedesse perché l’avevo fatto e che s’interessasse a me. Ho l’impressione che non mi veda nemmeno e che se ne infischi di me. Se soltanto avesse letto ciò che ho scritto sulla tappezzeria, forse avrebbe capito. In stampatello avevo scritto: Esisto si o no, merda?»”89

Questo esempio, mostra chiaramente le cause e le motivazioni che hanno spinto il ragazzo ad agire in quel determinato modo. In questi casi gli adolescenti cercano di mostrarsi, di essere considerati dai propri genitori, troppo impegnati a considerare solo il danno arrecato e non le cause che spingono il loro figlio ad agire negativamente.

89

X. Pommereau, op. cit., p. 32

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L’elemento scatenante non è la rabbia ma un’affettività delusa, e più è dannosa e esplosiva l’azione manifesta, più è importante la ricerca di un riconoscimento affettivo.90 Il ragazzo, non riesce ad esprimere con il dialogo, il bisogno di un affetto ancora fondamentale, poiché egli stesso vorrebbe non averne più bisogno, vorrebbe essere autonomo e indipendente perché non è più un bambino ma allo stesso tempo ha ancora bisogno delle certezze e dell’affetto che i genitori gli forniscono.91 Qui la distruttività è indirizzata proprio verso quella dipendenza che è ancora forte e a cui non si può fare a meno ma che allo stesso tempo si rifiuta e si disprezza. Quando sono presenti questo tipo di problematiche l’oggetto che viene distrutto è quasi sempre di proprietà del ragazzo stesso, questo perché l’oggetto in questione acquisisce un forte significato simbolico; per il ragazzo, l’oggetto, rappresenta simbolicamente se stesso e per questo, metaforicamente danneggiando l’oggetto, danneggia anche se stesso. Questo processo è autopunitivo, infatti il giovane desidera punire se stesso per l’incapacità che ha di distaccarsi dai genitori. L’attaccamento, che in adolescenza rivela queste problematiche, potrebbe ricondursi ad un attaccamento iperprotettivo sviluppato durante l’infanzia. Infatti accade spesso che molti ragazzi con genitori iperprotettivi durante l’infanzia, sviluppino questo tipo di problematiche proprio in adolescenza, perché risulta essere la fase in cui il ragazzo dovrebbe imparare a diventare responsabile e autonomo, e si crei così un’incongruenza tale da far esplodere il ragazzo che non riesce a liberarsi dalla dipendenza genitoriale.92 In queste circostanze il ragazzo non ha acquisito durante l’infanzia quelle competenze che in età adulta o giovanile permettono all’individuo di agire autonomamente. Il genitore iperprotettivo non lascia spazio d’azione, si occupa personalmente di tutto e così il bambino, quando si trova da solo non è in grado di affrontare nessun tipo di difficoltà. Ciò innesca nel giovane una rabbia fortissima che egli prova verso se stesso, si considera incapace di agire al di fuori della cerchia familiare e l’unico modo per sfogare la propria rabbia è prendersela con se stesso e con le proprie cose.

90

Ivi. Cfr, A. Maggiolini e E. Riva, op. cit. 92 Cfr. J. M. Forget, Questi adolescenti che ci fanno ammattire, Edizioni Scientifiche Ma. Gi. Srl, Roma, 1999. 91

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I cracker Tra i vari reati che stanno dilagando tra i giovanissimi ci sono anche quelli da inserire all’interno della sfera della cybercriminologia che raggruppa al suo interno i vari tipi di reati informatici. Tra questi, quello che si potrebbe inserire all’interno di uno studio più propriamente attribuibile al reato vandalico, è senza dubbio quello del cracker. I cracker sono individui che si introducono clandestinamente all’interno di sistemi telematici per danneggiarli. L’analisi di questo fenomeno, in questo contesto potrebbe sembrare inappropriato visto che i danneggiamenti attivati non sono svolti fisicamente a oggetti, ma attraverso degli attacchi informatici, come ad esempio l’uso dei virus, che possono danneggiare sistemi telematici, siti web e addirittura l’intero funzionamento di sistemi informatici istituzionali. Nonostante le divergenze riguardanti le modalità di attivazione del reato e le vittime dei reati vandalici precedentemente analizzati, sono presenti delle congruenze concernenti le motivazioni che spingono questi individui ad agire: “Le intrusioni clandestine nei sistemi telematici sembrano infatti avere molteplici motivazioni, da quelle più ludiche a quelle maggiormente vandaliche per giungere a vere e proprie operazioni professionali di intrusione o sabotaggio finalizzato alla concorrenza sleale”93

Per queste motivazioni ritengo opportuno inserire all’interno della mia ricerca anche questo tipo di fenomeno, e analizzarne le motivazioni e le modalità di azione per poter comprenderne più affondo le varie sfaccettature. Questo tipo di reato risulta essere sempre più frequente e registra esiti che causano danni sempre più consistenti: ROMA - Hanno attaccato siti istituzionali italiani e quelli di importanti aziende, hanno fornito appoggio per incursioni informatiche a pirati informatici stranieri. Ora gli appartenenti alla cellula italiani di Anonymoussigla internazionale dietro la quale si radunano gli hacker che hanno colpito vendicando l'arresto del leader di Wikileaks Julian Assange - sono stati individuati e denunciati dalla polizia postale italiana. In tutto sono 15, per lo più giovani di età compresa tra i 15 (cinque sono i minorenni) e i 28 anni che da gennaio hanno 93

Strano M., Computer crime, Ed. Apogeo, Milano, 2000, cit. in www.psychomedia.it (Ultimo accesso 26 Maggio 2012).

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attaccato siti tra cui quelli della Camera, del Senato, del Governo, dell'Agcom e di importanti aziende nazionali come l'Eni, l'Enel, la Finmeccanica, Mediaset e Rai. I reati contestati sono di accesso abusivo in sistema informatico, danneggiamento a sistema informatico e interruzione di pubblico servizio. Al vertice del gruppo - secondo le indagini condotte dal Centro nazionale anticrimine informatico per la Protezione delle infrastrutture critiche - c'era un ragazzo italiano di 26 anni residente nel Canton Ticino, in Svizzera, nella cui abitazione, grazie alla collaborazione della polizia elvetica sono stati sequestrati computer e altro materiale. Per comunicare tra loro e organizzare le varie azioni di attacco informatico, venivano utilizzati noti siti di chat oltre alle pagine di 'Anonymous' dei social network come Facebook e Twitter. Il metodo utilizzato era quello di servirsi di grossi server, in alcuni casi affittati anche all'estero, con potenti capacità di banda. Grazie ai server venivano richiesti alle pagine internet 'sotto attacco', servizi e comandi che mandavano in tilt il sistema. "Mentre in passato - ha spiegato il vice questore aggiunto Tommaso Palumbo, diretto del Cnaipic della polizia di Stato - erano necessari per l'attacco informatico centinaia di ragazzi che collegandosi facevano saltare il sito, oggi si utilizzano grossi server che mandano in tilt il sistema utilizzando quindi apparecchiature veramente alla portata di tutti". Già investigatori hanno accertato che gli hacker italiani in alcuni episodi avevano fornito supporto agli hacker spagnoli per alcuni attacchi informatici compiuti nei mesi scorsi. Viceversa gli hacker spagnoli hanno aiutato quelli italiani negli attacchi del gennaio scorso. Nella mattinata di oggi la polizia ha eseguito oltre 30 perquisizioni, disposte dal pubblico ministero Perla Lori della procura di Roma. Perquisizioni compiute in tutte le regioni italiane. "Al di là dell'aspetto penale della vicenda - ha detto Antonio Apruzzese, direttore della polizia postale e delle telecomunicazioni - va sottolineato il danno patrimoniale arrecato da queste azioni, i cui costi graveranno sui ragazzi e sulle loro famiglie. Ci sono molti modi per esprimere un dissenso ma qui si producono reati e si producono anche seri danni economici". 94

I danni sono quindi molto consistenti e le ripercussioni di questo tipo di reato possono compromettere anche il sistema istituzionale in modo particolare se si pensa ai dati a cui questi soggetti possono avere accesso soprattutto per quanto riguarda quei dati sensibili del Senato, della Camera e del Parlamento. Queste vicende, per fortuna rare, si sommano ai numerosi attacchi che quotidianamente vengono attivati verso sistemi telematici più comuni come ad esempio le poste elettroniche di numerosi sfortunati che per sorte sono diventati vittime di virus che compromettono il funzionamento del sistema dell’intero computer. I cracker infatti attivano le intrusioni nei sistemi attraverso dei virus che vengono chiamati “Cavalli di Troia” a causa dell’analogia con la vicenda mitica narrata nell’Eneide di Virgilio; infatti il poema virgiliano narra di una macchina da guerra che fu usata dai greci per espugnare la città di Troia, attraverso l’inganno: i troiani accolsero all’interno delle mura di Troia questo enorme cavallo pensando che si trattasse di un 94

www.repubblica.it (Ultimo accesso 27 Maggio 2012).

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dono lasciato dai greci agli dei, ma al suo interno erano nascosti i greci stessi che una volta entrati all’interno delle mura di troia la distrussero. Lo stesso procedimento viene attivato dai virus elaborati dai cracker: essi vengono allegati a delle e-mail o a dei file che si trovano in internet e che gli utenti del sistema aprono o scaricano nel proprio computer pensando che si tratti di file utili o allegati di e-mail dando così accesso a un virus che una volta entrato nel sistema lo danneggia irrimediabilmente. Attraverso queste tattiche i cracker mettono fuori uso moltissimi sistemi operativi informatici senza ottenere materialmente niente in cambio se non una soddisfazione che alcuni individui hanno quando distruggono oggetti propri e altrui. Un gruppo di ricerca dell’Istituto di Psichiatria e Psicologia dell’Università Cattolica sta sperimentando un progetto di analisi per approfondire lo studio di questi soggetti. Da una prima analisi emerge che una consistente parte di cracker considera questa attività un gioco e soprattutto un modo per dimostrare le proprie abilità in ambito informatico. Le motivazioni risultano essere pressoché le stesse dei reati vandalici più comuni e cioè la necessità di apparire, a se stessi e agli altri, in grado di compiere e modificare, seppur in peggio, un sistema, in questo caso informatico; anche qui sono presenti quindi delle componenti comunicative che esprimono un disagio tipico di molti adolescenti e che sono indirizzate per la maggiore al mondo adulto che tende a estraniare i giovani dai processi produttivi e che per questo diventano spesso vittime di questo tipo di attacchi. Un’altra caratteristica emersa da questo studio riguarda la necessità dei cracker di far parte di un gruppo e di apparire vincente, infatti, anche se nella maggior parte delle interviste condotte in questo studio, i cracker hanno affermato di preferire l’azione solitaria, questo dato non viene confermato dal loro comportamento che mostra delle contraddizioni: spesso infatti si nota una ricerca di socializzazione espressa sia all’interno della rete che al di fuori nella realtà quotidiana, attraverso la frequentazione di soggetti simili che compiono le medesime azioni.95 Anche questa caratteristica risulta congruente a molte tipologie del fenomeno vandalico, come ad esempio quella dei bombers in cui la gruppalità rappresenta una costante del fenomeno. 95

Cfr, www.psychomedia.it (Ultimo accesso 26 Maggio 2012).

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I cracker, come i vandali più comuni, sono inseribili all’interno di quel gruppo di adolescenti che cercano di esprimere la propria esistenza e identità attraverso azioni illegali che rappresentano in modo intrinseco un disagio diffuso tra le nuove generazioni, che si esprime attraverso azioni che non possono non essere notate.

Profilo del vandalo Analizzando le varie sfaccettature del fenomeno vandalico si può cercare di delineare un profilo tipo del giovane vandalo. Escludendo la penultima tipologia del fenomeno, e cioè quella che riguarda la distruzione degli oggetti propri, si può affermare che il vandalismo sia un fenomeno che concerne prettamente il genere sessuale maschile nella fascia d’età che va dai sedici ai diciassette anni e che avvenga, per la maggior parte dei casi, in gruppo e in climi concitati come nel caso degli ultrà. I ragazzi tendono a esprimere, molto più delle femmine, le proprie frustrazioni e delusioni in modo violento e esplosivo. La ragazza riesce a gestire maggiormente i propri atteggiamenti e le proprie emozioni, perché è più aperta al dialogo e alla risoluzione dei problemi per mezzi leciti. Questo è dovuto sia a una componente fisica e quindi innata, sia a una componente culturale e sociale. Nel nostro paese si tende infatti ad accettare maggiormente un comportamento violento attuato da un bambino maschio piuttosto che da una bambina femmina, poiché fa parte della concezione culturale per cui i maschi debbano seguire l’etichetta della virilità, della forza e dell’azione. Queste caratteristiche di genere portano quindi i maschi ad essere più suscettibili verso questo tipo di devianza. Il vandalo ha una bassa prosocialità e un’alta propensione all’autonomia dal mondo adulto; egli tende a condividere le scelte importanti solo con i coetanei, escludendo totalmente l’adulto. Questo avviene perché vi è la mancanza di una figura educativa significativa all’interno della famiglia.96 Per questo motivo la componente gruppale è una costante in quasi tutte le manifestazioni vandaliche, tanto da diventarne spesso la causa. Infatti è abbastanza 96

Cfr, S. Bonino, op. cit.

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comune che un adolescente distrugga qualcosa per piacere di più al proprio gruppo, per poterne fare parte, per acquisire maggiore popolarità. Un’altra costante tipica dell’adolescente coinvolto nell’atto vandalico è la noia e l’apatia che lo contraddistingue nei momenti in cui non compie gli atti illeciti. Questa caratteristica è abbastanza rara nei minori devianti, infatti i soggetti coinvolti in altri tipi di devianze sono più attivi, soprattutto nell’attività sportiva. Invece i minori coinvolti nel vandalismo passano molto tempo senza fare niente, sono pessimisti riguardo il loro futuro e spesso si sentono poco portati all’attività scolastica; questo è un chiaro sintomo di incapacità nella progettazione delle attività e della vita futura in generale..97 Ma l’elemento che più di tutti dovrebbe far riflettere è che, in tutti i casi, le cause sono da attribuire alla difficoltà di superare la crisi identitaria tipica dell’adolescenza e alla scarsa integrazione dei giovani all’interno del contesto in cui vivono; gli adolescenti, oggi, non sentono propri gli spazi comuni e nemmeno quei luoghi creati per loro, come le scuole, sono progettate e intese come proprie. I ragazzi oggi si sentono esclusi dal contesto, non hanno diritto decisionale e non li si rende partecipi e attivi. In questo modo il ragazzo non impara ad apprezzare il contesto, non ne fa parte e per questo lo distrugge. Le agenzie educative dovrebbero supportare e accompagnare gli adolescenti lungo un percorso che li porti ad apprezzare gli altri e i vari contesti e che insegni loro ad esprimere i propri turbamenti con metodi non distruttivi. È stato inoltre appurato che solo nei ragazzi molto giovani e nelle ragazze, il vandalismo è collegato all’abuso di alcool; infatti, la maggior parte dei casi analizzati non facevano uso di alcool o droghe e quindi le cause sono da attribuire a delle crepe a livello educativo sia familiare che scolastico.98 Il vandalo è solo un giovane alla ricerca della propria identità che si aggrappa agli altri e che inconsciamente, attraverso le proprie azioni distruttive, manifesta il proprio disagio verso un mondo a cui sente di non appartenere e in cui non ha un ruolo attivo.

97 98

Ivi. Ivi.

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CAP. 3: Statistiche sugli atti vandalici

“«Spaccare tutto» confessa Nicolas, diciassette anni «era diventato il mio unico scopo».” X. Pommereau, Quando un adolescente soffre: ascoltarlo, capirlo, amarlo

Dati di ricerca In questo capitolo cercheremo di analizzare i dati emersi da numerosi studi ed estrapolati dalle pubblicazioni dell’Istat. Questi dati ci aiuteranno a comprendere meglio quale sia il livello di coinvolgimento dei minori negli atti vandalici, se è un fenomeno in crescita o meno, quali tipi di reati vandalici sono più frequenti, e l’età, il sesso e la provenienza dei rei. Per prima cosa è utile fornire i dati che riguardano, in generale, il coinvolgimento, l’età e il sesso dei giovani vandali secondo una media nazionale, passando successivamente ad analizzare la realtà più specifica della regione Sardegna. Grafico3.1: Minori denunciati per danni a cose, animali,terreni nell’anno 2007 (per genere). 364

Femmine Maschi

2761

Fonte: Elaborazione personale su dati Istat – Sistema informativo territoriale sulla giustizia – www.istat.it.99

Nell’anno 2007 i minori denunciati per reati vandalici sono stati in totale 3.125 e di questi solo 364 erano ragazze. 99

www.giustiziaminorile.it (Ultimo accesso 10 Maggio 2012).

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Analizziamo ora i seguenti dati che ci pervengono da uno studio compiuto nel 2005 da Silvia Bonino, professore ordinario di Psicologia dello sviluppo presso l’Università di Torino e dirigente di progetti di ricerca sui comportamenti a rischio degli adolescenti, che ha raccolto una serie di dati attraverso delle interviste rivolte a giovani di tutta Italia tra i 14 e i 19 anni frequentanti la scuola superiore.100 Questo studio ci permette di comprendere quale è il sesso e la fascia d’età più coinvolta nei reati vandalici. Grafico 3.2: Indice di coinvolgimento in furti e vandalismi (per genere) 70 60 50 40 30 20 10 0

Ragazzi Ragazze

Mai fatto

Una volta

Più volte

Fonte: lavoro di ricerca di S. Bonino101

Questo grafico evidenzia chiaramente che il coinvolgimento vandalico è maggiore nei maschi piuttosto che nelle femmine; la differenza è minima ma questo è probabilmente dovuto alla compresenza nei dati del reato del furto, che risulta essere un’azione molto frequente anche fra le ragazze, perciò se i dati riguardassero solo i reati vandalici, probabilmente la differenza risulterebbe maggiore. Grafico 3.3: Indice di coinvolgimento in furti e atti di vandalismo (per età) 80 60

14-15 anni

40

16-17 anni 18-19 anni

20 0 Mai fatto

Una volta

Più volte

Fonte: lavoro di ricerca di S. Bonino102 100 101

Cfr, S. Bonino, op.cit. Ibidem, p. 140.

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Questi dati mostrano che la fascia d’età più coinvolta nei reati di furto e vandalismo è quella che va dai 16 ai 17 anni, e lo studio dimostra che la maggior parte di questi ragazzi è poco coinvolta nell’attività scolastica e tenda all’abbandono degli studi. Il Grafico dimostra anche che la fascia d’età che va dai 18 ai 19 anni è poco coinvolta in tali reati, e questo si potrebbe interpretare come un disinteresse verso un bisogno che ormai è stato ottemperato. In altre parole, secondo questo studio, alcuni adolescenti agiscono in modo trasgressivo per sperimentare la propria identità e autonomia, e per questo risulta essere un fenomeno che decresce con la crescita, poiché quando l’adolescente acquisisce un certo tipo di competenza, viene a mancare quel tipo di esigenza che lo porta a trasgredire per sentirsi autonomo e forte. Infatti queste azioni non sono altro che dei messaggi plateali che nascondono un’incapacità nel comunicare attraverso i metodi convenzionali come ad esempio il linguaggio, l’ascolto e il confronto; alcuni ragazzi acquisiscono queste competenze crescendo, per altri invece risulta essere più problematico. Si tratta, in questo caso, di ragazzi che provengono da ambienti scolastici e familiari poco stimolanti e che offrono poche opportunità di realizzazione positiva di sé e che per questo continuano a comunicare attraverso questi atti illeciti.103 Oltre ai dati emersi da questa ricerca ci pervengono anche quelli elaborati dall’Istat, che ogni anno formula e pubblica delle statistiche che riguardano in generale i reati commessi dai minori, secondo i numeri di coloro che vengono denunciati al Tribunale dei minorenni. Purtroppo le statistiche più recenti sono concernenti l’anno 2008, e non pervengono dati più recenti. Secondo l’Istat nel 2008 i minorenni denunciati per danni a cose, animali e terreni alle Procure della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni, sono stati in totale 3125 di cui 2761 maschi e 364 femmine.104 Questi dati avvalorano la tesi per cui i reati vandalici siano nettamente più frequenti nei maschi piuttosto che nelle femmine.

102

Ivi. Ivi. 104 www.giustiziaminorile.it (ultimo accesso 10 Maggio 2012). 103

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Un altro studio che potrebbe essere interessante per il presente lavoro, riguarda i dati concernenti le modificazioni dell’opinione pubblica e dei coetanei nei confronti degli atti vandalici. La tabella 3.1 riassume uno studio dell’Istituto IARD in cui viene analizzato come sono cambiate le opinioni della società e dei coetanei dei rei su vari tipi di reato, dal 1983 al 2004. Tabella 3.1: Variazione nel tempo della percezione delle norme sociali. Percentuale di coloro che considerano criticati dalla società – e dagli amici solo per il 2004 – i diversi comportamenti vandalici per anno di rilevazione (età 15 – 24 anni).

Criticato Criticato dalla società

dagli

Tipo di reato

amici 1983

1992

2000

2004

2004

_

88,8

91,2

90,9

83,1

_

_

_

82,1

45,4

Produrre danni a beni pubblici Disegnare graffiti sui muri o sui mezzi pubblici

Fonte: Elaborazione dati dell’Istituto IARD.105

Questa tabella mostra che nel corso degli ultimi quindici anno c’è stata una sorta di stabilizzazione dei livelli di critica che la società ha nei confronti di questi reati. Ma il dato interessante di questo studio è soprattutto il livello di critica degli amici: nel primo tipo di reato non c’è grande differenza tra il livello di critica della società e quello mostrato dai pari, mentre nel secondo caso, c’è una differenza consistente che sfiora il 40% in meno di critiche. Dunque i giovani non percepiscono come dannoso il disegnare dei graffiti sui mezzi pubblici o sui muri, quanto lo può essere un altro tipo di danneggiamento. Questo dato ci fa comprendere come la cultura del gruppo e la sua funzione identitaria possa mutare le concezioni di legalità istituite dalla società. Il disegnare graffiti, come analizzato nel secondo capitolo, ha una simbologia molto particolare che è diffusa in tutto il gruppo e non riguarda solo l’atto in sé ma tutta una

105

C. Buzzi, A. Cavalli e A. de Lillo, op. cit. p. 213.

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serie di leggi e atteggiamenti che sono una costante per chi vuole appartenere al gruppo. Infatti chi disegna tags o graffiti appartiene senza dubbio alcuno a un gruppo che ne regola gli atteggiamenti, il look e tutta una serie di componenti fondamentali per questo tipo di attività. Per questo motivo è impensabile che gli amici del giovane che disegna graffiti possano criticare la sua attività, anche perché essi stessi sono soggetti attivi della medesima azione, così come mostra la tabella 3.2. I dati che seguono riportano le opinioni individuali di ammissibilità rispetto ai comportamenti vandalici. Tabella 3.2: Confronto tra comportamenti criticati dalla società, criticati dal gruppo di amici, grado di ammissibilità personale e propensione individuale a trasgredire le norme ( valori percentuali di incidenza).

Tipo di reato

Criticato

Criticato

Ammissibile

Possibile che

dalla società

dagli amici

per me

mi accada

90,9

83,1

6,1

13,0

82,1

45,4

32,5

27,5

Produrre danni a beni pubblici Disegnare graffiti sui muri o sui mezzi pubblici

Fonte: elaborazione dati dell’Istituto IARD.106

Da questi dati si evince che una buona parte degli amici di chi compie graffiti è protagonista attivo di questo tipo di attività; invece per quanto riguarda il produrre danni di altro genere a beni pubblici, i dati sono più confortanti, infatti, tale reato è criticato ampiamente dagli amici di chi lo compie e solo il 13% ammette che sia possibile che accada anche a lui.

Il vandalismo in Sardegna Purtroppo pervengono poche statistiche riguardanti i reati vandalici compiuti dai minori in Sardegna. Il problema maggiore, incontrato in questa ricerca, è stato la difficoltà di ottenere i dati tramite le questure sarde; per questo motivo gli unici dati che posso riportare in questo lavoro sono stati estrapolati dal sito dell’istat e da quello della

106

Ibidem, p. 222.

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giustizia minorile, ma purtroppo riguardano dei dati statistici risalenti al 2006 e al 2007 e non vengono riportate le tipologie dei danneggiamenti. In Sardegna nel 2007 i minori denunciati alle Procure sono stati in totale 1.705 incidendo sul totale nazionale del 4%, e il 12% di questi reati è classificabile tra i reati vandalici. In particolare le segnalazioni dell’anno 2007 sono aumentate del 1,6% e in generale tutti i reati sono stati attivati da giovani di sesso maschile, di nazionalità italiana e residenti nel territorio sardo. La provincia con il maggior numero di segnalazioni è quella di Cagliari con il 37,54% di denunce, di cui il 50% sono attribuibili a reati contro il patrimonio, in seconda posizione c’è la provincia di Sassari con il 20,20% di denunce, di cui il 48% riguardano i reati contro il patrimonio che vengono, in questo caso, compiuti per la maggiore da minori di 17 anni. Al terzo posto è situata la provincia di Nuoro con l’11,42% di denunce sul totale regionale, seguita poi da Olbia – Tempio (9,77%), dove i reati contro il patrimonio sono attivati da giovani che agiscono sia individualmente che in gruppo, Medio Campidano (6,81%), Carbonia – Iglesias (6,48%), Oristano (5,71%) ed infine la provincia Ogliastra con il 2,09% di denunce sul totale regionale. La provincia cagliaritana si distingue per l’alta incidenza del numero di segnalazioni nella città e nell’area metropolitana. I minori segnalati nella provincia di Cagliari sono giovani che risiedono prevalentemente nei quartieri di nuova edilizia popolare, caratterizzati da uno scarso livello di integrazione e da una spiccata cultura deviante. I Comuni della provincia di Cagliari che più di tutti incidono sull’alta percentuale della provincia sono Quartu Sant’Elena, Assemini, Selargius e Villacidro; quest’ultimo in particolare evidenzia il 77,7% di reati contro il patrimonio. Nella provincia di Sassari la maggior parte dei minori denunciati risiede nel capoluogo e nella città di Alghero.107 Quello che emerge da questi dati conferma la preponderanza dei giovani di sesso maschile nell’attuazione dei reati e evidenzia la necessità di soffermarsi più approfonditamente soprattutto in quei quartieri cittadini che sono caratterizzati da un più alto livello di degrado e delinquenza. Secondo queste statistiche, infatti, la maggior parte dei reati vengono attuati da minori residenti in zone ben precise della città, 107

www.giustiziaminorile.it (Ultimo accesso 10 Maggio 2012).

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caratterizzate da ambienti tristi e da incuria ambientale da parte dei residenti stessi e di chi ha competenze di tipo amministrativo. Questo dato risulta essere fondamentale per la nostra ricerca infatti, come già affermato nel secondo capitolo di questo lavoro, la maggior parte degli atti vandalici sono attribuibili a cause concernenti la difficoltà di integrazione in contesti poco accoglienti. Quando un luogo viene per così dire “abbandonato” l’interesse dei residenti a rispettarlo tenendolo pulito, ordinato e a non deturparlo ulteriormente è per così dire nullo e i giovani che nascono e vivono la quotidianità in un contesto simile non possono che emulare le azioni dei più grandi. La maggior parte delle volte questi contesti traboccano di soggetti che hanno alle spalle una carriera deviante abbastanza radicata e questo compromette inevitabilmente le scelte di vita delle nuove generazioni che sono nate in questi contesti. Con questo non si vuole affermare che tutti coloro che vivono in questo tipo di quartieri sono da considerare ormai spacciati, ma si vuole evidenziare l’importanza che può avere un contesto nel percorso di crescita e sviluppo di un individuo. Si evince dunque la necessità di prestare molta più attenzione a quei quartieri in cui il tasso di criminalità è più elevato rispetto al resto della città, partendo da ciò è fondamentale comprendere le motivazioni che spingono gli individui residenti per poter capire se questi comportamenti possono essere riconducibili anche all’aspetto del luogo fisico oltre che a problematiche molto più incisive come ad esempio il contesto familiare e da qui partire per migliorare quegli elementi che incidono sul comportamento dei giovanissimi.

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CAP. 4: La rieducazione come possibile soluzione

“I bambini cattivi un cuore ce l’hanno: è quello violento dei loro padri, dei loro cattivi maestri.” P. Crepet, Cuori violenti: viaggio nella criminalità giovanile

La rieducazione del vandalo L’atto vandalico in adolescenza ha, come già detto, una componente simbolica e comunicativa molto intensa. Qualunque tipo di vandalismo attuato dall’adolescente, sia che si tratti della deturpazione degli arredi scolastici sia che riguardi la distruzione dei propri oggetti, è causato da un’incapacità espressiva del ragazzo: il giovane vandalo, con le proprie azioni, comunica senza dubbio alcuno un disagio affettivo, educativo, relazionale e sociale e tale comunicazione risulta essere eclatante e ha tutte le intenzioni di essere notata perché il problema maggiore che riguarda questi giovani è il sentirsi inutili, trasparenti agli occhi degli adulti e dei pari, tant’è vero che tali atti spesso sono rivolti sia agli adulti che ai coetanei. Il ragazzo, incapace di sentirsi protagonista attivo all’interno del proprio contesto, elabora un metodo per far si che la sua identità possa assumere un ruolo attivo per modificare, seppur in peggio, la realtà in cui vive. Le cause degli atti vandalici sono quindi da ricondurre a problematiche che riguardano la sfera identitaria, ma anche a un mancato o errato accompagnamento in questo difficile percorso di crescita da parte della famiglia. Infatti l’incapacità di elaborare un ruolo proprio e una propria identità è una fase del tutto normale nel periodo adolescenziale perché, come già accennato, l’adolescente non riesce a configurarsi né nel ruolo del bambino né in quello dell’adulto, ma non tutti gli adolescenti che

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attraversano questa fase si identificano con un gruppo deviante o sono protagonisti attivi dell’atto illecito. Il percorso di crescita che ogni individuo compie per diventare un adulto responsabile è senz’altro segnato e plasmato anche e soprattutto dal tipo di educazione che egli riceve, dal modo in cui gli adulti significativi accompagnano il ragazzo in questo difficile percorso, dal gruppo dei pari che frequenta e anche dal contesto sociale in cui vive e agisce. Il giovane vandalo dimostra attraverso le sue azioni una forte contrapposizione tra il voler crearsi un proprio ruolo all’interno della società e il voler essere ancora protetto dall’ala materna della famiglia. Spesso sono giovani che hanno alle spalle un’infanzia iperprotetta e risultano essere incapaci di agire all’interno della società con i mezzi leciti e di affrontare le difficoltà della vita da soli perché non sono mai stati abituati a farlo. Anche la componente virile può essere una causa, infatti molto spesso i giovani vandali non riescono e non vogliono identificarsi con la figura paterna che, in questi casi, rappresenta una figura marginale nell’ambito decisionale all’interno della famiglia.108 Questo si contrappone notevolmente con la figura dell’uomo di famiglia che fornisce la società e il ragazzo non riesce a concepire questa incongruenza. In questo modo egli cerca di discostarsi dalla figura da lui considerata più debole e cerca di reinterpretare a suo modo la forza e l’azione che sono componenti fondamentali per il modello di virilità che la società esalta. Un’altra causa può essere ancora la mancata informazione, la dilagante “ignoranza” che pervade le giovani generazioni riguardo l’arte, la storia, la natura, l’economia. Appare chiaro e conseguente il concetto per cui se non si apprezza qualcosa la diretta conseguenza sarà l’incuria e la deturpazione di essa. Tutte queste importanti problematiche sono risolvibili attraverso un passaggio di modificazione degli atteggiamenti e delle concezioni che può essere possibile attraverso la ri-educazione. Quando un adolescente diventa soggetto agente di un atto illecito e ne ripete l’azione più e più volte è chiaro che sia venuto a mancare un supporto educativo necessario anche e soprattutto all’interno della famiglia.

108

Cfr, D. Miscioscia, op. cit.

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L’educazione fornita dal contesto del giovane vandalo è un’educazione che ha fallito il suo scopo e per questo motivo è necessario attivare un nuovo percorso educativo che possa fornire al giovane un’alternativa all’atto vandalico. Una delle carenze proprie dell’educazione dei giovani devianti è attribuibile alla mancanza di una corretta educazione alla responsabilità109: i giovani vandali spesso non sono coscienti del danno arrecato, non ne percepiscono il valore, sono soggetti che si sentono estranei alla società e ai beni pubblici, non si sentono parte del contesto: “Questi ragazzi, infatti, hanno necessità di percepirsi come membri dell’organizzazione sociale dalla quale si sentono invece esclusi. Talora hanno anche una visione idealistica della vita, ma non sono riusciti ad attuare i loro ideali in una realtà che rifiutano, condannano e che considerano come un ostacolo alla realizzazione dei loro progetti.”110

Educare alla responsabilità è necessario perché il ragazzo si percepisca attivo e responsabile di ciò che accade e delle proprie azioni: “Se l’individuo si sente partecipante attivo della realtà in cui opera ne rispetterà le regole dato che ciascuno si percepisce come ʻcostruttore di normeʼ e non soltanto come soggetto passivo, obbediente, rispettoso al fine di evitare la punizione o la frustrazione.”111

La ri-educazione mira proprio a questo tipo di percorso, ed’è fondamentale per risolvere questo tipo di problematiche. Spesso le risposte adulte al vandalismo sono costituite o da una punizione che limita ulteriormente la libertà dell’individuo, o da un atteggiamento lassista per cui non si pone nessun tipo di punizione al ragazzo. Entrambe le risposte risultano essere fallimentari per la corretta risoluzione del problema. La prima perché con la coercizione si elimina il sintomo, e cioè l’atto in sé, ma non il problema alla base, e la seconda perché non si fa altro che ignorare il problema deresponsabilizzando ulteriormente il ragazzo.112

109

Cfr, G. Manca, op. cit. Ibidem, p. 164. 111 Ibidem, p. 141. 112 Ivi. 110

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Ri-educare un soggetto significa dare al ragazzo un percorso diverso dal proprio, partendo però dal suo passato, ottimizzando le sue risorse per far si che si crei un ruolo differente da quello del vandalo. L’obiettivo della ri-educazione non è cancellare il passato del ragazzo perché anche se risulta essere problematico e diseducativo farà sempre parte di lui; inoltre non mira a eliminare il comportamento problematico ma ad aiutare il soggetto a dare un ruolo diverso alla sua persona: “La riabilitazione che sia davvero efficace tende alla rimozione delle motivazioni che hanno generato il comportamento deviante in quanto l’obiettivo ultimo è rivedere lo schema di significati del soggetto e la visione del mondo maturata sino a quel momento. L’efficace azione riabilitativa consente al giovane di rafforzare la sua capacità intenzionale, di maturare un più alto senso di responsabilità, di risanare (almeno in parte) le disfunzioni della sfera affettiva e cognitiva, affinché egli diventi più consapevole del proprio agire, ne scorga il valore e le possibili conseguenze. Egli non deve rinnegare il proprio passato quanto cercare di analizzarlo per metterlo in crisi e poter successivamente riprogettare il proprio futuro connotato da un nuovo stile di vita.”113

Uno dei molteplici obiettivi della ri-educazione è quindi quello di ampliare il campo esperienziale e formativo, questo aiuta i ragazzi devianti a percepirsi come persone con un ruolo sociale positivo. Oltre a questo gli obiettivi della ri-educazione sono plurimi, tra questi vi è quello di rendere il soggetto capace di progettare il proprio futuro, perché è proprio durante l’adolescenza che si sviluppa la necessità di programmare l’adulto di domani, tali progetti sono spesso flessibili, nel senso che possono cambiare notevolmente nel corso degli anni, ma l’importante è che il ragazzo dimostri la necessità di averli e la volontà di fare di tutto per realizzarli e renderli concreti.114 Altro obiettivo fondamentale della ri-educazione è quello di potenziare le abilità sociali del ragazzo perché è proprio durante l’adolescenza che il ragazzo inizia a selezionare attraverso modalità sempre più elaborate le proprie amicizie facendole divenire una componente fondamentale della propria esistenza, ed è proprio per questo motivo che il gruppo dei pari diviene importantissimo per sviluppare la percezione che il soggetto ha di se stesso grazie alle esperienze di accettazione o esclusione dal gruppo.115

113

Ibidem, p.159. Cfr, G. Manca, Il senso della rieducazione degli adolescenti, In G. Manca (a cura di), Orientamenti al tirocinio per professionisti dell’educazione, Carlo Delfino Editore, Sassari, 2008. 115 Ivi. 114

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Ma la funzione più importane della ri-educazione è forse quella che riguarda il lavoro capillare che essa svolge nella società, quindi non si parla solo ed esclusivamente di fornire sostegno al minore deviante ma di attuare un percorso di cambiamenti anche all’interno del contesto sociale in cui il minore cresce e si sviluppa, partendo in primis dalla famiglia, continuando poi con gli adulti in cui un minore può imbattersi durante il suo percorso di crescita.116 Molti adulti, oggi, sbagliano il modo di rapportarsi con i ragazzi devianti, spesso hanno atteggiamenti molto contradditori che non fanno altro che aumentare la destabilizzazione già forte del ragazzo, capita infatti, sempre più spesso che i ragazzi siano guidati da due tipologie differenti e contrapposte di adulto: da una parte vi è l’adulto che tende a deresponsabilizzare ulteriormente il ragazzo, giustificandone ogni azione, seppur grave, dall’altra vi è l’adulto giudicante che considera la trasgressione del minore come giudicherebbe un reato compiuto da un adulto, dimenticando spesso che si tratta di un’età particolare e che molte azioni sono la diretta conseguenza di difficoltà a livello emotivo e affettivo: “Rieducare in questi casi significherà essenzialmente individuare dei percorsi di vita in grado di restituire identità positiva al ragazzo, affinché egli per primo ma anche gli altri che lo circondano lo riconoscano come soggetto-agente, come persona, come cittadino ma anche (e forse, soprattutto) come oggetto d’amore e d’attenzione. Rieducare avrà anche il significato aggiuntivo di intervento globale, non mirato al singolo ma a tutto il suo contesto, anche per aiutare il minore a ristabilire orizzonti di legalità e ad individuare riferimenti certi.”117

Nel percorso ri-educativo quindi il soggetto diviene attore attivo della propria “rinascita” ed’è proprio per questa sua caratteristica che viene spesso rifiutato o malvisto dal giovane reo, esso viene percepito come una punizione e non come un sostegno educativo. Molto spesso il ragazzo problematico preferisce il carcere a un percorso riabilitativo perché con la coercizione egli non ha un ruolo attivo, deve solo attendere che il tempo passi ma non deve compiere nessun percorso interiore per migliorare la propria identità.118 Nel percorso ri-educativo sono fondamentali la comprensione del giovane, la conoscenza del suo passato e le motivazioni che lo hanno spinto a compiere atti illeciti.

116

Ivi. Ibidem, p. 100 118 Cfr, G. Manca, op. cit. 117

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Una volta compreso ciò è necessario rapportarsi con lui in modo empatico, con un atteggiamento che non giudichi le sue azioni e allo stesso tempo non bisogna perdonare tutti i suoi comportamenti ma cercare di portarlo a riflettere sull’atto compiuto. La ri-educazione tende quindi essenzialmente a riportare il giovane reo ad uno status di cittadino che rispetta le regole, non perché teme la conseguente punizione del reato, ma perché si sente parte di un sistema in cui egli stesso è attivo e costruttore, ne rispetta i suoi ambienti perché riesce a dare un valore ad essi e perché appartengono anche a lui. Un’interessante esperimento attuato in Nuova Zelanda, può inoltre mostrare come le soluzioni a questi tipi di problemi possano essere alla portata di tutti e riguardino non solo gli educatori o coloro che si occupano di pedagogia, ma la società nella sua interezza. Il direttore dell’associazione commercianti del centro di Christchurch, una cittadina della Nuova Zelanda che negli ultimi anni ha registrato un altissimo tasso di atti vandalici e reati di altro genere, ha ideato, dopo numerosi intenti attuati per risolvere il problema della microcriminalità, un metodo innovativo ed inusuale: le aree in cui i giovani rei compivano i loro vandalismi, venne attrezzata per diffondere la musica di Mozart. I risultati di questo esperimento sono stati sconvolgenti, infatti, il numero di reati in quell’area sono diminuiti incisivamente: dagli undici al giorno registrati nel 2008 ai due alla settimana nel 2010.119 I dati di questo esperimento mostrano come anche la musica possa influenzare il comportamento di giovani vandali: “L’ascolto di una melodia predispone alla pacificazione, scoraggia il facinoroso, esalta e migliora le relazioni sociali. Non si tratta di trasformare il centro cittadino in un auditorium popolare, ma di incoraggiare attraverso la musica un’idea diversa di convivenza, nella quale i comportamenti antisociali possono lasciare spazio ad armonia e serenità.”120

L’esempio di questa piccola cittadina della Nuova Zelanda dovrebbe far riflettere sull’importanza delle idee innovative e poco convenzionali, esso rappresenta un modo più complesso e creativo per la risoluzione di problematiche sempre più presenti nelle nostre città.

119 120

Cfr, P. Crepet, L’autorità perduta: il coraggio che i figli ci chiedono, Einaudi, Torino, 2011. Ibidem, p. 11.

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La punizione dell’atto vandalico Il processo ri-educativo per un vandalo è fondamentale per far si che le azioni compiute rimangano dei casi isolati o che non si ripetano nuovamente, ma oltre alla comprensione empatica e all’atteggiamento non giudicante è necessario fornire una corretta punizione per far comprendere al ragazzo quanto danno può aver causato con il proprio comportamento. Le punizioni inflitte dai genitori ai loro figli di solito tendono alla coercizione fisica: quando un ragazzo viene sorpreso a scrivere con pennarelli indelebili o bombolette su un mezzo pubblico o su un palazzo che ha appena rifatto la facciata, molti genitori tendono a punirlo privandolo dell’uscita con gli amici o anticipando l’orario di ritorno a casa. Impedendo al ragazzo di uscire si risolve momentaneamente il problema perché stando in casa non può agire negativamente sui beni pubblici, ma non si risolve alla radice il problema poiché quando il ragazzo riacquisterà la libertà di uscire di nuovo, il problema si ripresenterà, poiché il disagio che lo spinge ad agire in modo illecito non è scomparso. Egli, tramite questo tipo di punizioni, non comprende appieno il significato del danno arrecato, ma al contrario esalta ulteriormente le azioni dannose poiché, in questo modo, la punizione non è congruente con l’azione che si vuole punire. L’atteggiamento estremamente coercitivo non fa che alimentare nel ragazzo un’ulteriore bisogno di indipendenza e di trasgressione delle regole. Tali punizioni potrebbero, invece, essere utili quando ad esempio il ragazzo non rispetta l’orario di ritorno a casa; in questo caso, ad esempio potrebbe essere costruttivo anticipare l’orario di ritorno del ragazzo esattamente di quanto aveva ritardato il giorno prima. In questo modo il ragazzo comprende la punizione perché è collegata alla trasgressione da lui commessa, e inizia ad interiorizzare la norma poiché può comprendere la logica della punizione. Questo esempio ci porta al concetto per cui le punizioni che si infliggono agli adolescenti devono comunicarne il senso e il perché, esattamente come l’azione deviante del ragazzo comunica al mondo adulto; ci deve quindi essere un nesso tra la norma deviata e la punizione inflitta. Anche nel caso del vandalismo si dovrebbero adottare questo tipo di punizioni.

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Si parla in questi casi di sanzione riparativa al danno, si tratta cioè di far riparare fisicamente gli oggetti danneggiati al giovane vandalo: “La sanzione deve essere riabilitativa e non criminalizzante. Pensate solo per un attimo, a quanto possa essere educativo (e anche divertente) impegnare i piccoli vandali nella riparazione dei banchi rotti o nella costruzione di nuovi scaffali. Dalle ceneri di un ʻfragile Séʼ, attraverso operazioni concrete e fatica fisica, l’alunno vandalo, aiutato anche dai compagni (amici e nemici), ha la possibilità di ricostruire un percorso, socializzare la sua rabbia, riparare il torto fatto e annullare la colpa, decriminalizzando l’atto aggressivo. Cosa può esserci di più pedagogico, istruttivo ed evolutivo?”121

Con questo tipo di punizione il giovane ripara il danno e ne comprende anche l’entità, infatti, la maggior parte delle volte i vandali non comprendono la gravità dei loro gesti e questo tipo di sanzioni mostrano loro l’immensa fatica che si impegna per riparare i danni. Nel contesto scolastico si tende spesso ad intervenire nei confronti del fenomeno vandalico attraverso delle indagini mirate a smascherare il colpevole; tali indagini spesso falliscono il loro scopo, poiché la responsabilità individuale, ricercata dagli insegnanti, è supportata dal gruppo che raramente obietterà contro il singolo reo; all’interno del gruppo classe, vige infatti una sorta di complicità tra pari e anche coloro che risultano essere estranei all’azione dannosa tendono a giustificare le motivazioni che hanno spinto il compagno ad agire. L’intervento che invece risulta essere più redditizio è quello indiretto, che riguarda ad esempio la cura dell’ambiente scolastico, in questo caso, e soprattutto la ricerca di rapporti meno rigidi tra studenti e insegnanti dove il rispetto reciproco possa divenire una costante necessaria per il corretto sviluppo dell’adolescente. Inoltre dovrebbe essere studiata una didattica più interessante, capace di rendere partecipi i giovani in modo che possano essere protagonisti attivi anche nelle spiegazioni fornite dagli insegnanti, questo aiuterà i giovani a sentirsi parte del contesto scolastico; anche l’uso punitivo dei voti purtroppo risulta essere una costante per il controllo del comportamento dei giovani, ma anch’esso è fallimentare e per questo andrebbe evitato. L’insieme di tutti questi piccoli accorgimenti può ridurre notevolmente gli atti vandalici all’interno della scuola.122 121 122

U. Mariani, op. cit., p. 98. Cfr, A. Maggiolini e E. Riva, op. cit.

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Anche nel caso specifico dei writers e dei bombers ci possono essere delle soluzioni alternative al problema. Nel primo caso, cioè quello dei writers, la soluzione potrebbe essere quella di destinare ai ragazzi degli spazi pubblici in cui esprimere liberamente la propria arte; in alcuni comuni, il sindaco ha deciso di destinare alcuni muri pubblici a questo tipo di attività, in questo modo si viene a creare un’affiliazione tra il mondo adulto e quello giovanile, il ragazzo inizia sentirsi partecipe, attivo ma soprattutto apprezzato dagli adulti, e non è così costretto ad infrangere delle regole per poter esprimere la propria creatività. Nel caso dei bombers, invece, che sono coloro che deturpano in modo vendicativo, la soluzione è simile a quella dell’atto vandalico all’interno della scuola, cioè attraverso una sanzione ripartiva: “Per essere percepita come tale dalla maggioranza dei giovani essa dovrebbe obbligare i ragazzi a riparare il danno fatto, ma anche valorizzare il loro desiderio di fare cultura, impegnandoli in qualche lavoro creativo di restauro di parti degradate della città. […] Gli adolescenti trasgressivi hanno bisogno, oltre che di giustizia e comprensione, di essere aiutati ad assumere responsabilità. Essere responsabili delle proprie azioni è una competenza che da una parte eredita un analogo atteggiamento da parte dei propri genitori, dall’altra percorre una più ampia capacità di assumere una responsabilità genitoriale: da essere responsabile per sé ad esserlo per gli altri.” 123

Ancora una volta quindi si esalta la componente educativa della sanzione e ancora una volta si conferma la necessità di rendere il ragazzo protagonista attivo nella sfera sociale. Le risposte degli adulti a questi tipi di problematiche sono spesso errate, i bombers come il vandalo in generale è perennemente alla ricerca di una visibilità che confermi la sua presenza nel mondo e gli adulti spesso rispondono a queste provocazioni tramite l’indifferenza o la dura punizione, alimentando ulteriormente le motivazioni che spingono il ragazzo ad agire in modo illecito: “L’indifferenza, infatti, in altre parole il lasciar devastare dai bombers edifici, treni, tram, metropolitane e, a volte, perfino monumenti ed opere d’arte, sembra la copia dell’atteggiamento d’una madre indifferente o troppo passiva perché colpevole; viceversa, anche la tentazione di punire troppo severamente i bombers

123

D. Miscioscia, op. cit., pp. 86 – 87.

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somministrando loro multe sempre più salate, somiglia molto al comportamento d’una madre cattiva, che punisce e mortifica un bambino che si sente già molto povero e trascurato.”124

È opportuno quindi cercare di trovare il giusto equilibrio anche e soprattutto nella sanzione da infliggere al ragazzo deviante; perché egli possa comprendere la gravità della propria azione non basta ascoltare le motivazioni che lo hanno spinto ad agire ma è necessario studiare delle sanzioni partendo proprio da tali motivazioni.

La risposta penale al vandalismo L’atto vandalico è un reato perseguibile in Italia e le sanzioni e l’imputabilità degli autori di questi reati sono regolate dal Codice Penale Italiano, in particolare dall’art. 635 e dall’art. 639 che regolano le sanzioni riguardanti i reati di danneggiamento: Art. 635 Danneggiamento Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui e’ punito, a querela della persona offesa con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro seimila. La pena e’ della reclusione da sei mesi a tre anni e da scontarsi in lavori socialmente utili nella città oggetto dell’atto vandalico, interdizione da Pubblici concorsi per anni 5,si procede d’ufficio, se il fatto e’ commesso: 1) con violenza alla persona o con minaccia; 2) da datori di lavoro in occasione di serrate, o da lavoratori in occasione di sciopero, ovvero in occasione di alcuno dei delitti preveduti dagli artt. 330, 331 e 333 (1); 3) su edifici pubblici, privati, o su altre delle cose indicate nel n. 7 dell’articolo 625; 4) sopra opere destinate all’irrigazione; 5) sopra piante di viti, di alberi o arbusti fruttiferi, o su boschi, selve o foreste, ovvero su vivai forestali destinati al rimboschimento. (1) Con sentenza n. 119 del 6 luglio 1970 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimita’ del secondo comma di questo articolo nella parte in cui prevede come circostanza aggravante e come causa di procedibilita’ d’ufficio il fatto che il reato sia commesso da lavoratori in occasione di sciopero e da datori di lavoro in occasione di serrata. Art. 639 Deturpamento e imbrattamento di cose altrui Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 635, deturpa o imbratta cose mobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 103 euro. Se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro. Se il fatto è commesso su cose di interesse storico o artistico, si applica la pena della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da 1.000 a 3.000 euro. Nei casi di recidiva per le ipotesi di cui al secondo comma si applica la pena della reclusione da tre mesi a due anni e della multa fino a 10.000 euro. Nei casi previsti dal secondo comma si procede d’ufficio.125 124

Ibidem, p. 86.

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Questi due articoli sono inseriti all’interno del codice penale nella sezione che regola i delitti contro il patrimonio e delineano chiaramente quali sono i danneggiamenti perseguibili in Italia e che tipo di sanzione viene loro attribuita. L’art. 639, in modo particolare delinea più specificatamente l’atto vandalico inteso come deturpazione gratuita di beni pubblici o privati, anche a carico di minori. Questo articolo afferma che chi deturpa oggetti mobili (ad esempio automobili) altrui, privati e non pubblici, deve pagare una multa solo se la vittima del reato chiede che si proceda penalmente a carico del colpevole. Se invece gli oggetti del deturpamento sono beni immobili pubblici o privati (ad esempio edifici, abitazioni) o mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica la reclusione da uno a sei mesi o una multa più cospicua; se invece, ancor peggio si deturpano o danneggiano cose di interesse e valore storico – artistico (ad esempio opere d’arte di vario genere) la reclusione può arrivare ad un anno e la multa a 3000 euro. Le sanzioni sono quindi abbastanza rigide, ma in questo articolo non vengono però specificate le sanzioni per i minori, infatti quando il colpevole è un minore, si attuano disposizioni differenti. I reati compiuti dai minori sono regolati da 2 articoli che ne delineano l’imputabilità, il primo riguarda i minori con età inferiore ai 14 anni e il secondo i minori con età inferiore ai 18 anni: Art. 97 Minore degli anni quattordici Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni. Art. 98 Minore degli anni diciotto È imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d’intendere e di volere; ma la pena è diminuita. Quando la pena detentiva inflitta è inferiore a cinque anni, o si tratta di pena pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie. Se si tratta di pena più grave, la condanna importa soltanto l’interdizione dai pubblici uffici per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori.126

125 126

www.mondodiritto.it (ultimo accesso 22 Maggio 2012) Ivi.

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La legge penale italiana, prevede che i minori sotto i 14 anni non siano imputabili del reato da loro commesso a causa dell’età, in questi casi viene attuato un processo presso il tribunale per i minorenni per stabilire chi è l’autore del reato, ma il minore viene prosciolto; vengono invece attuati dei provvedimenti amministrativi come ad esempio la permanenza in casa per un certo periodo, l’ingresso in una comunità per minori, l’affido ai servizi sociali fino alla limitazione o sospensione della potestà genitoriale. Questi provvedimenti sono tali poiché si ritiene che il reato o l’azione trasgressiva commessa da un minore possa essere strettamente connessa alla situazione o contesto familiare del minore stesso. Quindi anche se il minore non viene imputato penalmente, lui e la sua famiglia subiscono comunque un controllo più ristretto da parte degli organismi competenti.127 La legge dichiara invece imputabili penalmente quei minori autori di reato che hanno compiuto i 14 anni, poiché secondo la legge possono essere considerati responsabili delle azioni commesse a meno che essi non vengano dichiarati incapaci di intendere e di volere; la pana viene in ogni caso ridotta rispetto all’adulto autore di reato in modo proporzionale al reato commesso, solitamente di un terzo rispetto alla pena inflitta ad un adulto. Il Tribunale dei minorenni in questi casi deve accertare sempre la maturità in relazione al reato; in pratica i servizi sociali attuano un controllo sulla famiglia e sul contesto sociale del minore attore di reato per poter comprendere se quando il ragazzo ha attuato il reato era pienamente consapevole del danno che stava arrecando, se cioè comprendeva che l’azione commessa risulta sbagliata e se ne ha valutato le conseguenze. Anche in questo caso, se dalle indagini compiute emerge un quadro di totale o parziale immaturità rispetto al reato, vengono attuati dei provvedimenti di tipo amministrativo come ad esempio la messa alla prova.128 La legge italiana mira sempre alla promozione e al recupero del minore evitando, per la maggior parte dei casi, l’entrata prematura nella struttura carceraria e promuovendo provvedimenti di tipo rieducativi che possano recuperare il minore deviante e allo stesso tempo riparare il danno. Prima di attivare qualunque tipo di provvedimento penale è però necessario conoscere a fondo la personalità del minore imputato, attraverso l’osservazione attenta di un equipe di operatori degli Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni che si occupano di 127 128

Cfr, Palomba F., Il sistema del processo penale minorile, Giuffrè, Milano, 2002. Ivi.

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osservare e ascoltare il minore e la sua famiglia, costruendo con essi un rapporto empatico che permetterà al ragazzo di aprirsi esprimendo le proprie paure e le proprie motivazioni. Questo lavoro di conoscenza è fondamentale per poter elaborare un progetto che varia sempre a seconda del reato commesso, della personalità del minore e del contesto in cui vive.129 Il provvedimento che più di tutti sta dando esiti positivi è senza dubbio la “sospensione del processo e messa alla prova”: art. 28 del D.P.R. n. 448/1988 1. Il giudice, sentite le parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne all'esito della prova disposta a norma del comma 2. Il processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno. Durante tale periodo è sospeso il corso della prescrizione. 2. Con l'ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell'amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato. 3. Contro l'ordinanza possono ricorrere per cassazione il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore. 4. La sospensione non può essere disposta se l'imputato chiede il giudizio abbreviato o il giudizio immediato. 5. La sospensione è revocata in caso di ripetute e gravi trasgressioni alle prescrizioni imposte.130

Tale provvedimento mira a riabilitare il minore attore di reato, a riparare il danno subito dalla vittima e a conciliare il reo e la vittima tramite un percorso che l’attore del reato dovrà compiere per reintegrarsi all’interno di un contesto prosociale. La legge italiana tende quindi a evitare le punizioni coercitive o quelle estremamente lassiste, attuando invece una prospettiva attiva e riparativa che possa rendere il minore protagonista del proprio cambiamento e possa dare alla sua vita un’alternativa vincente alla carriera deviante che potrebbe essere inevitabile se il minore entrasse prematuramente all’interno del sistema carcerario.

129

Cfr, G. F. Dettori, L’intervento sui minori autori di reato: questioni giuridiche e bisogni educativi speciali, In G. Manca (a cura di), op. cit. 130 www.mondodiritto.it (ultimo accesso 22 Maggio 2012).

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L’obiettivo ultimo della messa alla prova è quello di rendere il ragazzo responsabile in modo tale che, non solo egli possa riparare il danno arrecato ma soprattutto evitare una futura azione recidiva che potrebbe portarlo nella via del non ritorno alla legalità. La messa alla prova consente di attuare un programma dettagliato finalizzato al recupero del minore e che utilizza il supporto di operatori esperti nel settore psicopedagogico ed educativo. Vediamo ora, nella tabella 4.1, il numero di minori sottoposti a messa alla prova in Italia nell’anno 2010: Tabella 4.1: Minori in carico agli Uffici di servizio sociale per i minorenni per i quali è stato emesso un provvedimento di sospensione del processo e messa alla prova nell’anno 2010, secondo l’età, la nazionalità e il sesso.

Eta

Italiani

Stranieri

Totale

m

f

mf

m

f

mf

m

f

mf

14 -15 anni

171

11

182

25

5

30

196

16

212

16 – 17 anni

951

71

1.022

150

10

160

1.101

81

1.182

Giovani adulti

1.101

83

1.184

170

5

175

1.271

88

1.359

Totale

2.223

165

2.388

345

20

365

2.568

185

2.253

Fonte: elaborazione su dati Istat – sistema informativo territoriale giustizia (www.istat.it).

131

In questa tabella si evince che il numero maggiore di provvedimenti di sospensione del processo e messa alla prova sono stati emessi verso minori italiani di sesso maschile, in età che và dai 18 anni in su. Il numero totale di provvedimenti è pari a 2.253 e di questo totale il 45% è causato da reati contro il patrimonio.132 La messa alla prova può avere esiti positivi o negativi, se tale provvedimento dovesse essere giudicato dal tribunale concluso con esito positivo il reato viene permanentemente estinto e cancellato in modo tale che il minore possa ricostruire la propria esistenza su basi sicure; invece nel caso in cui il risultato abbia esito negativo, il minore si ritroverà al punto di partenza e verrà sottoposto nuovamente a processo. Il ragazzo imputato deve comprendere che la sospensione del processo e messa alla prova non è un modo per uscire puliti e rilassati dal processo, ma al contrario è un percorso faticoso che prevede l’assunzione di responsabilità da parte del ragazzo che 131 132

www.giustiziaminorile.it (Ultimo accesso 29 Novembre 2011). Ivi.

75


per questo dovrà dimostrare serietà e impegno per poter realizzare lo scopo ultimo del provvedimento. Molti studi hanno dimostrato che questo provvedimento, per la maggior parte dei casi, si conclude con esito positivo perché effettivamente riesce ad allontanare il ragazzo dal circolo vizioso dell’illegalità promuovendo il reintegro del ragazzo nei circuiti della legalità.133 Il grafico 4.1 mostra gli esiti dei provvedimenti di messa alla prova nel periodo che va dal 2000 al 2010: Grafico 4.1: esito dei provvedimenti di messa alla prova: casi definitivi relativi al periodo 2000 – 2010.

1% 4% 8% 6%

Proscioglimento Rinvio a giudizio Condanna Altro Estinzione

81%

Fonte: elaborazione su dati Istat – sistema informativo territoriale giustizia (www.istat.it).134

Il grafico mostra chiaramente che la maggior parte dei provvedimenti di messa alla prova vengono conclusi dal minore con esito positivo e quindi con l’estinzione della pena. Tra i provvedimenti a cui il tribunale può appellarsi c’è anche quello di inserire il minore all’interno di una comunità educativa: 133

Cfr, G. F. Dettori, L’intervento sui minori autori di reato: questioni giuridiche e bisogni educativi speciali, In G. Manca (a cura di), op. cit. 134 www.giustiziaminorile.it (Ultimo accesso 29 Novembre 2011).

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Art. 22 del D.P.R. 448/1988 Collocamento in comunità. 1. Con il provvedimento che dispone il collocamento in comunità il giudice ordina che il minorenne sia affidato a una comunità pubblica o autorizzata, imponendo eventuali specifiche prescrizioni inerenti alle attività di studio o di lavoro ovvero ad altre attività utili per la sua educazione. 2. Il responsabile della comunità collabora con i servizi previsti dall'articolo 19 comma 3. 3. Si applicano le disposizioni dell'articolo 21 commi 2 e 4. 4. Nel caso di gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni imposte o di allontanamento ingiustificato dalla comunità, il giudice può disporre la misura della custodia cautelare, per un tempo non superiore a un mese, qualora si proceda per un delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.135

Questo accade quando la famiglia non è in grado di fornire il corretto supporto affettivo ed educativo di cui il ragazzo necessita. La comunità può offrire in questi casi dei percorsi educativi e non esclusivamente punitivi.

La comunità per minori Purtroppo a volte è necessario allontanare il ragazzo problematico, in questo caso il vandalo, dalla propria famiglia. Questo accade quando i comportamenti vandalici diventano talmente importanti da avere ripercussioni di tipo penale e quando la famiglia viene giudicata dal tribunale per i minorenni momentaneamente incapace di contenere tali comportamenti e di non offrire al ragazzo il corretto supporto educativo e affettivo: “L’obiettivo principale delle comunità residenziali sta nella strutturazione e attuazione di un progetto teso a interrompere il circolo vizioso che ruota attorno al comportamento ʻantisocialeʼ o comunque ʻdifficileʼ del ragazzo, promuovendo un cambiamento che vada in senso diverso, nuovo, rispetto al processo di costruzione della sua identità”136

In generale si tende ad escludere questo tipo di provvedimento poiché il distacco dalla famiglia risulta essere sempre molto traumatico per il minore. Esso viene attivato solo se la famiglia risulta essere incapace nella gestione del minore.

135

www.mondodiritto.it (ultimo accesso 22 Maggio 2012). G. De Leo e P. Patrizi, Trattare con adolescenti devianti: progetti e metodi di intervento nella giustizia minorile, Carocci, Roma, 1999, p. 138. 136

77


La legge italiana, infatti, promuove sempre la famiglia come luogo primario dell’educazione ma allo stesso tempo tutela i minori in caso di mancato supporto da parte della famiglia stessa. In modo particolare la legge 149 del 2001 dal titolo: “diritto del minore ad una famiglia” disciplina l’affidamento o l’adozione dei minori e in modo particolare sono importanti i primi due articoli che delineano l’importanza della famiglia di origine del ragazzo.137

137

Art. 1.

1. Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia. 2. Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all’esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto. 3. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia. Essi promuovono altresì iniziative di formazione dell’opinione pubblica sull’affidamento e l’adozione e di sostegno all’attività delle comunità di tipo familiare, organizzano corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori. I medesimi enti possono stipulare convenzioni con enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei minori e delle famiglie per la realizzazione delle attività di cui al presente comma. 4. Quando la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all’eduzione del minore, si applicano gli istituti di cui alla presente legge. 5. Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i princìpi fondamentali dell’ordinamento». Art. 2. 1. Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell’articolo 1, è affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno. 2. Ove non sia possibile l’affidamento nei termini di cui al comma 1, è consentito l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei anni l’inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare.

78


Infatti prima di procedere con l’affidamento del minore ad un’altra famiglia o a una comunità la legge prevede che si tentino tutte le alternative per evitare che il minore venga allontanato dalla propria famiglia e solo nel caso in cui tali alternative non dovessero risultare valide si potrà procedere con l’allontanamento del minore, ma anche in questo caso è necessario che la famiglia affidataria o la comunità si trovino in un luogo abbastanza vicino a quello in cui si trova la famiglia di origine per far sì che il distacco possa essere meno traumatico. Le leggi che regolano le strutture per i minori in affido sono notevolmente mutate nel corso degli anni, cercando di rendere questi luoghi più accoglienti e più simili al contesto familiare. Il punto 4 dell’art. 2 della legge sopra citata parla infatti della necessità di spostare in famiglie o in comunità, tutti quei minori che, prima del 31 Dicembre 2006, erano stati inseriti all’interno dei grandi istituti per minori. Infatti prima del 2006 i ragazzi con problemi di comportamento, o di tossicodipendenza o ancora coloro che non avevano alle spalle una famiglia in grado di supportarli, venivano inseriti in questi grandi istituti per minori che potevano contenere un grosso numero di utenti e risultavano essere tristi e severi costituendo così un clima poco sereno per una corretta educazione. Negli ultimi anni questi istituti sono stati sostituiti da delle piccole comunità in cui si possono ospitare solo un numero abbastanza ristretto di utenti, di solito 8, e l’organizzazione al loro interno è simile a quella di una famiglia in modo che il distacco che il minore subisce dalla sua famiglia possa risultare meno traumatico.138 Le comunità per minori nascono quindi con l’obiettivo di offrire al minore una momentanea alternativa valida alla famiglia di origine; si cerca così di ricreare un sereno clima familiare in cui possa essere presente la figura dell’adulto significativo, in grado di fornire al ragazzo affetto, supporto, ma soprattutto delle regole precise per 3. In caso di necessità e urgenza l’affidamento può essere disposto anche senza porre in essere gli interventi di cui all’articolo 1, commi 2 e 3. 4. Il ricovero in istituto deve essere superato entro il 31 dicembre 2006 mediante affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia. 5. Le regioni, nell’ambito delle proprie competenze e sulla base di criteri stabiliti dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definiscono gli standard minimi dei servizi e dell’assistenza che devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare e dagli istituti e verificano periodicamente il rispetto dei medesimi». 138

Cfr, G. Pietropolli Charmet, op. cit.

79


poter far si che il minore possa essere indirizzato correttamente verso la legalità, offrendogli in questo modo un’alternativa ai propri atteggiamenti devianti e poter così attuare un reinserimento del minore all’interno della società. Le comunità residenziali sono strutturate con modalità ben precise e hanno sempre l’obiettivo di rendere il soggetto autonomo per poter reinserirsi all’interno della società, infatti gli obiettivi principali del percorso educativo del minore all’interno della comunità sono il rientro dell’utente in famiglia, l’adozione o il raggiungimento dell’autonomia con la maggiore età. Le comunità residenziali possono accogliere un minimo di quattro utenti e un massimo di otto e gli educatori devono essere almeno quattro nel caso in cui la comunità ospiti otto utenti, più un ausiliario che si occupi della preparazione dei pasti e delle pulizie degli ambienti. Gli educatori devono essere di entrambi i sessi poiché è fondamentale che il minore si possa confrontare con adulti significativi sia maschili che femminili. Le comunità per minori, inoltre, devono essere collocate in un luogo in cui siano presenti altre agenzie educative, come ad esempio scuole, luoghi in cui si possa praticare lo sport e così via.139 Questo punto è particolarmente importante perché le comunità sono dei luoghi educativi ma che si avvalgono anche dell’uso delle altre agenzie educative per far si che i minori possano crearsi delle alternative valide al percorso educativo passato e queste alternative possano essere altro rispetto alla comunità. Come già detto, infatti, l’obiettivo della comunità è quello di rendere il minore autonomo non di creare una dipendenza che non gioverà il suo percorso di crescita. Il minore deve frequentare luoghi “sani” che possano dargli un’alternativa valida al suo passato. Gli operatori intervengono sui minori attraverso un complesso lavoro di équipe, essa è fondamentale per riuscire ad avere uno sguardo d’insieme del ragazzo, infatti: “La comprensione dei ragazzi difficili implica la messa in prospettiva di più sguardi, ossia la visione del mondo del ragazzo è il luogo unitario su cui dovrebbero convergere più sguardi ed essa è ricostruibile solo a partire dalla messa in prospettiva di questi. L’educatore, infatti, non può pretendere di riuscire a conoscere e osservare in modo esaustivo ogni aspetto latente o manifesto dei ragazzi che segue. La competenza

139

Cfr, F. Telleri (a cura di), Professioni educative:esperienze e prospettive, Guerini scientifica, Milano, 2008.

80


professionale dell’educatore ha delle caratteristiche distintive, un suo universo di applicazione ma anche dei confini precisi oltre i quali l’educatore deve poter fare riferimento ad altre figure professionali”140

Infatti l’équipe è una delle caratteristiche distintive di ogni comunità, è l’équipe nel suo insieme che realizza un progetto per ogni ragazzo e che si impegna affinché esso venga rispettato e concluso positivamente. Uno degli strumenti adottati dall’equipe delle comunità è la riunione settimanale, che serve a confrontare i vari punti di vista degli educatori, a progettare nuovi interventi nei confronti dei minori e a fare il punto della situazione di ogni utente. Un altro strumento dell’equipe in comunità è il “passaggio giornaliero delle consegne” che riguarda il momento del cambio del turno degli educatori. In questa particolare fase gli educatori in uscita devono informare i colleghi in entrata dell’andamento della giornata, dei nuovi impegni dei minori, dei particolari atteggiamenti attivati da uno o più soggetti e così via. Queste informazioni vengono trasmesse anche attraverso il diario giornaliero che gli educatori compilano giorno dopo giorno per memorizzare le vicissitudini che avvengono all’interno della comunità, le impressioni relative alle dinamiche attuate dai minori, il clima quotidiano e così via.141 Quando il ragazzo fa il suo ingresso in una comunità per minori di solito, per un periodo iniziale, viene osservato e monitorato dagli operatori poiché essi possano essere in grado di sviluppare il Progetto Educativo Individualizzato (PEI); questo progetto è obbligatorio per poter rendere partecipe il Tribunale, i servizi sociali, la famiglia e anche il minore stesso degli obiettivi che sono stati studiati per l’utente in questione. Il PEI deve essere obbligatoriamente redatto dagli educatori entro novanta giorni dall’ingresso del minore in comunità e deve comprendere i dati anagrafici del minore e della sua famiglia, i vissuti personali del minore, che vengono forniti dall’assistente sociale e dal Tribunale per i minorenni tramite la lettera d’inserimento, le condizioni psico-fisiche del minore, la causa dell’ingresso in comunità (es. reati o situazioni di degrado familiare), la descrizione del comportamento del minore all’interno della

140 141

Ibidem, p. 190. Cfr, L. Pandolfi, L’intervento educativo in comunità, In G. Manca (a cura di), op. cit.

81


comunità (sviluppata tramite l’osservazione nel periodo di monitoraggio), gli obiettivi generali dell’inserimento ed infine la durata prevista del progetto.142 Il PEI, ovviamente, varia a seconda dell’utente e servirà a completare il quadro generale del soggetto all’interno della comunità, infatti per ogni minore viene predisposta una cartella personale che contiene la documentazione sanitaria, scolastica e familiare, che serve a dare un quadro d’insieme all’equipe. Una volta che l’équipe ha redatto il Progetto Educativo Individualizzato si procede con l’attuazione di tale progetto tramite la realizzazione degli obiettivi che sono stati prefissati per il minore. Nel corso del periodo di stabilizzazione dell’utente all’interno della comunità vengono sviluppate anche delle relazioni di aggiornamento che di solito realizza l’educatore di riferimento dell’utente; esse servono per fare il punto della situazione e vengono redatte anche grazie all’utilizzo del diario giornaliero. Vediamo ora le statistiche riguardanti le comunità in Italia, in modo particolare nella seguente tabella vedremo il numero dei minori collocati in comunità, il sesso e la nazionalità: Tabella 4.2: collocamenti in comunità nel periodo 1/12/2010 – 30/11/2011, secondo l’età, la nazionalità e il sesso.

Età

Italiani

Stranieri

Totale

m

f

mf

m

f

mf

m

f

mf

Meno di 14 anni

1

1

2

5

4

9

6

5

11

14 anni

42

6

48

29

10

39

71

16

87

15 anni

164

13

177

56

17

73

220

30

250

16 anni

306

19

325

136

23

159

442

42

484

17 anni

476

20

496

182

19

201

658

39

697

Giovani adulti

198

10

208

87

7

94

285

17

302

Totale

1.187

69

1.256

495

80

575

1.682

149

1.831

Fonte: elaborazione su dati Istat – sistema informativo territoriale giustizia (www.istat.it).

143

Le statistiche fornite dall’Istat delineano un quadro abbastanza netto in cui si evince che il totale degli utenti delle comunità italiane sono pari a 1.831, di cui 1.682 maschi e solo

142 143

Ivi. www.giustiziaminorile.it (Ultimo accesso 29 Novembre 2011).

82


149 femmine. Il numero maggiore di minori inseriti nelle comunità sono di nazionalità italiana, di sesso maschile e in prevalenza di 17 anni.

Il ruolo dell’educatore professionale L’educatore professionale è un operatore che lavora presso le agenzie educative e che ha il compito di individuare, promuovere, sviluppare le potenzialità degli utenti che prende in carico. Queste finalità sono auspicabili grazie ad una relazione, che si instaura tra l’educatore e l’educando, che viene detta “relazione educativa” e che si esplica attraverso la formazione professionale dell’educatore e la sua disposizione a questo tipo di professione. Per questo motivo sono ormai noti i tre saperi fondamentali che l’educatore deve necessariamente possedere per poter svolgere correttamente il suo lavoro: Sapere: l’educatore deve avere competenze di tipo teorico in tutte le scienze dell’educazione e occorre che possieda anche conoscenze riguardanti le modalità di interpretazione della realtà. Saper fare: l’educatore professionale deve possedere competenze di tipo operativo, come il saper ascoltare, il saper parlare al momento opportuno ma anche il saper tacere e aspettare, educando il suo intervento all’interlocutore e al contesto. Saper essere: è necessario che l’educatore professionale sappia star bene con se stesso e con gli altri in modo da poter essere un punto di riferimento per gli educandi.144 L’educatore professionale è quindi una figura fondamentale all’interno dei vari contesti educativi, perché risulta essere un professionista dell’educazione che attraverso le proprie competenze e disposizioni personali attua una relazione in grado di promuovere le abilità dei soggetti con problematiche di vario genere. La relazione educativa deve essere necessariamente asimmetrica nel senso che è composta dall’educatore, che ha competenze progettuali in campo educativo, e dall’educando, al quale sono rivolte tali competenze e progettualità. L’asimmetria, in questo caso, non deve essere vista come una caratteristica di superiorità o inferiorità, ma piuttosto come una relazione simile a quella che c’è tra

144

Cfr, F. Telleri (a cura di), op. cit.

83


genitore/figlio o insegnante/alunno, in cui cioè, è presente un individuo che insegna e uno che apprende.145 L’educatore ha quindi il difficile compito di intervenire laddove le consuete dinamiche educative falliscono, si pone cioè come alternativa alla figura di riferimento per poter attivare un percorso di cambiamento nell’educando. Il cambiamento è infatti una delle parole chiave nel vocabolario dell’educatore professionale; l’obiettivo non è stravolgere totalmente la vita e il vissuto dell’utente ma attivare un cambiamento nelle modalità di interpretazione di se stesso. L’educatore deve cercare di sviluppare e promuovere le abilità dell’educando, modificando così l’impressione e il giudizio che egli ha di se stesso. Quando l’educatore professionale lavora presso enti che si occupano di minori autori di reato, come nel caso del vandalo, la promozione delle abilità del soggetto diventa l’obiettivo principale da perseguire. In questi casi infatti l’utente che l’educatore deve supportare è un giovane che si sente estraneo alla società, che non riesce a trovare il proprio ruolo e capire come si possa far parte di un contesto se non attraverso l’illegalità. L’educatore in questo caso ha il difficile compito di individuare la specificità del soggetto, di promuoverla per poter rendere il soggetto consapevole delle proprie capacità e ripartire da queste per creare un’alternativa valida al passato tumultuoso. La promozione del soggetto si attua inizialmente attraverso la promozione della fiducia che si deve riporre nel ragazzo che ha commesso l’atto illecito; egli deve potersi sentire accettato nonostante l’azione commessa, questo non vuol dire che l’educatore attua una politica lassista, egli non lascia correre l’azione ma allo stesso tempo non giudica, prende atto del comportamento ma cerca di far capire al ragazzo che, se vuole, può modificare il suo stile di vita migliorandolo, perché in lui sono presenti delle abilità di cui non era a conoscenza. Infatti,“per modificare atteggiamenti e tratti della personalità disfunzionali può essere utile lavorare nel rafforzare gli aspetti positivi che col tempo neutralizzeranno quelli ritenuti socialmente inaccettabili,”146

145

Cfr, S. Tramma, L’educatore imperfetto: senso e complessità del lavoro educativo, Carocci, Roma, 2003. 146 Cfr, G. F. Dettori, L’intervento sui minori autori di reato: questioni giuridiche e bisogni educativi speciali, In G. Manca (a cura di), op. cit.

84


L’educatore lavora con il minore per attivare nuove risposte alle difficoltà della vita, per creare un ruolo differente da quello del vandalo, per far prendere consapevolezza al soggetto del fatto che si può diventare qualcuno, con un ruolo ben definito e un’identità matura, soprattutto attraverso il circuito della legalità. Solo in questo modo il soggetto riuscirà a vedere con occhi diversi il mondo e se stesso. La promozione della personalità viene attuata dagli educatori che si occupano del soggetto deviante attraverso l’ascolto e l’osservazione che sono gli strumenti primari per attuare una giusta relazione educativa, l’ascolto in modo particolare serve per comprendere quali sono le motivazioni intrinseche che il ragazzo ha nel compiere l’atto illecito. La comprensione delle motivazioni che spingono un soggetto ad agire sono la base di partenza per poter affrontare le problematiche di ogni singolo soggetto. Attraverso questo tipo di analisi si può capire che tipo di disagio si ha di fronte e quindi cercare di risanare le ferite del passato attraverso la somministrazione di ciò che manca. Nella maggior parte dei casi le carenze sono di tipo affettivo, ed allora l’atto illecito è solo un modo per farsi notare da chi dovrebbe dare amore e sostegno e invece è troppo impegnato a concentrarsi su ciò che di sbagliato c’è in lui senza apprezzare e valorizzare le doti che inevitabilmente sono presenti in ciascuno di noi. Questo atteggiamento a volte è talmente instaurato in un nucleo familiare da portare anche e soprattutto i più piccoli a perdere la fiducia in se stessi così da intraprendere la via più semplice, e cioè quella dell’illegalità. Quando questo accade è necessario fornire al ragazzo l’adulto di riferimento di cui ha bisogno per poter promuovere un’alternativa di vita legale e per cercare di mediare tra la famiglia e il ragazzo. Infatti, la mediazione tra famiglia e minore è fondamentale per cercare di risolvere le problematiche all’interno di un contesto familiare. L’educatore non deve diventare un qualcuno da cui il minore dipende incondizionatamente ma deve cercare di risanare e promuovere la relazione familiare, per far si che anche la famiglia comprenda quale sia il modo migliore per rapportarsi con il ragazzo e che una volta appreso questo, possa rappresentare un nido sicuro in cui il ragazzo possa rifugiarsi e allo stesso tempo deve accompagnare il giovane lungo un percorso che lo porterà ad essere domani un adulto responsabile e autonomo, prosociale e promotore di norme che egli stesso apprezza, condivide e perciò rispetta.

85


Conclusioni Nel mio lavoro di tesi si è più volte sottolineata l’importanza che le trasgressioni e/o le azioni devianti hanno nell’evidenziare una modalità di comunicazione importantissima che lascia trapelare un disagio diffuso tra le giovani generazioni. In particolare il vandalismo, risulta essere una delle modalità più eclatanti che i giovani problematici attivano per comunicare non solo agli adulti ma anche, come abbiamo visto, al gruppo dei pari e alla comunità stessa. Le numerose tipologie del fenomeno analizzato evidenziano una consistente divergenza sia nelle modalità in cui si svolge l’azione che nelle cause che determinano il comportamento ma è comunque presente un filo conduttore che delinea tra le cause dell’azione quella dell’inadeguatezza di cui soffrono i giovani vandali e del bisogno di ricercare e ottenere un ruolo differente da quello del bambino; quest’ultimo in modo particolare è fortemente legato alla necessità, che gli individui adolescenti sviluppano, di intraprendere un proprio percorso individualizzato in cui loro stessi possano essere protagonisti attivi e costruttori partecipi. Dopo quest’analisi si è poi cercato di comprendere quanto possa essere radicata e frequente questo tipo di devianza attraverso uno studio e una raccolta dei dati che inizialmente dovevano essere reperiti grazie alla collaborazione della questura. Tengo in particolar modo a evidenziare le difficoltà incontrate nel reperire questi dati, difficoltà ascrivibili anche ad una eccessiva riservatezza e preoccupazione per la protezione dei dati sensibili riguardanti i minori. In realtà, la richiesta era finalizzata esclusivamente ai dati quantitativi del fenomeno vandalico per cui nessuna privacy sarebbe stata violata. Anche questo aspetto mi ha comunque aiutato a comprendere che le cause degli insuccessi nella riabilitazione dei minori devianti sono da ricondurre non solo alla cultura in cui viviamo e alle famiglie che hanno fallito il loro intento educativo, ma anche a una mancata o scarsa collaborazione tra gli operatori dell’educazione e la sfera della giustizia. Passando oltre questo tipo di problematiche, molto più delicate e complesse ho ritenuto opportuno evidenziare l’importanza della rieducazione e della giusta punizione del giovane vandalo e dell’atto vandalico, evidenziando però sempre la necessità di dover

86


attuare una sorta di insegnamento non solo alle famiglie dei ragazzi ma anche e soprattutto all’intero sistema culturale che vede l’adolescenza come una fase negativa in cui il ragazzo ha necessità di ribellarsi a prescindere eludendo così le responsabilità che inevitabilmente il mondo adulto ha e che ha fatica a comprendere e ad accettare perché il cambiamento non è mai facile e scorrevole soprattutto quando si è convinti di far bene. L’intento di questo lavoro è proprio quello di far comprendere che la nostra indisponibilità all’ascolto spesso è la causa di molti disagi giovanili e che se fermassimo un attimo la nostra corsa sfrenata per sederci affianco ai nostri ragazzi capiremo che infondo non sono così vuoti e pigri come appaiono ma che è tutto il contesto che contribuisce a renderli tali, a tarpare le loro ali escludendoli ancora di più da un luogo in cui hanno tutto il diritto di far parte. Se i ragazzi divenissero protagonisti attivi del contesto probabilmente non sentirebbero nemmeno la necessità di distruggerlo o deturparlo perché rappresenterebbe qualcosa per cui loro stessi ha importanza perche loro per primi hanno impiegato fatica per renderlo tale. È quindi importante cercare di capire che non c’è bisogno di impedire fisicamente al ragazzo di esprimersi perché in questo modo si eluderebbe solo il problema, curando i sintomi senza eliminare il problema, né giustificare ogni azione dei giovani deresponsabilizzandoli ulteriormente, è necessario invece rendere partecipi i ragazzi anche attraverso l’educazione alla responsabilità in modo che siano loro stessi a non voler trasgredire, non per paura della punizione ma perché si possano sentire costruttori attivi di norme che per questo condividono e rispettano.

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Ringrazio la mia relatrice Giuseppina Manca che ha seguito passo dopo passo questo mio importante lavoro, con le giuste critiche e i suoi apprezzamenti mi ha dato coraggio e mi ha spronato a fare e dare sempre di più. Ringrazio la Cooperativa Il Mandorlo, in particolare Bachisio Deriu, gli educatori tutti ma soprattutto i ragazzi che con il loro entusiasmo e le loro difficoltà mi hanno fatto appassionare ancora di più alle loro storie di vita, traumatiche, difficili ma proprio per questo speciali. Ringrazio i miei genitori, mia madre che mi ha insegnato con il suo esempio che anche le persone più fragili all’apparenza possono trovare la forza di reagire, di aiutare; è grazie a lei che ho trovato la forza di andare avanti in questo percorso di studi, non privo di difficoltà e ostacoli, con la sua dolcezza e la speranza che ripone in me mi ha fatto capire che la vita nonostante tutto deve andare avanti, che non bisogna abbattersi mai e che il sorriso è l’arma migliore per affrontare gli ostacoli della vita; mio padre, che in tutti questi anni mi ha insegnato che la formazione e la cultura sono fondamentali per divenire individui liberi, mi ha appoggiato quando facevo bene e con la giusta autorevolezza mi ha sanzionato quando facevo male, senza però ignorarmi mai, mi è stato accanto in silenzio, anche quando non condivideva le mie scelte, le sue parole sempre ponderate, attente, sincere e affettuose hanno sempre per me un valore estremo. Ringrazio mia sorella Arianna che è stata e sarà sempre, oltre che sorella, amica sincera, confidente di ogni mio pensiero, la persona a cui penso per prima quando devo affrontare gioie e dolori, colei a cui tengo più di ogni altra cosa. Ringrazio la mia migliore amica Stefania, ormai lontana da un po’ ma sempre presente con il cuore e con il pensiero, siamo cresciute assieme e assieme abbiamo vissuto con entusiasmo ogni fase della nostra crescita. Ringrazio Giovanna che in questi cinque anni di convivenza ha rappresentato per me l’amicizia sincera, l’onestà e la schiettezza fraterna e si è presa cura di me come una madre “nutrendomi” con le sue leccornie e dandomi conforto quando più ne avevo bisogno. Ringrazio le mie amiche-sorelle Claudia e Daniela, amiche da una vita e per la vita, in modo particolare ringrazio Daniela che, dando alla luce la sua bellissima bambina Milena, mi ha dato la possibilità di conoscere e amare una delle bimbe più belle e dolci che si possano incontrare.

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Ringrazio la mia cara nonna, che ormai non c’è più ma che è stata fondamentale per la mia crescita; è stata nonna affettuosa, madre severa e figlia bisognosa; con i suoi proverbi e le sue perle di saggezza mi ha insegnato più di mille libri e anche ora che non c’è più continua a insegnarmi con il suo modo di essere che vive e vivrà sempre dentro di me. Ringrazio le mie coinquiline Piera e Marialuisa, i miei amici Andrea, Paolo, Simona, Giovanni, Consuelo, Daniele, Alessandro, la mia famiglia tutta compresa di zii e zie, mia nonna paterna, le mie madrine Luciana e Patrizia, insomma voi tutti che siete e sarete sempre parte di me.

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