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CORSO
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ANGLICISMI IN TRE RIVISTE DI NOVITÀ TECNOLOGICHE IN ITALIANO: JACK, AF DIGITALE, ELETTRONICA IN
Relatore: PROF. LUIGI MATT
Correlatore: PROF. ANTONIO PINNA
Tesi di Laurea di: ENRICO N ICOLAI
ANNO ACCADEMICO 2010/2011
Ai miei genitori, finalmente‌
Indice Capitolo 1 I prestiti linguistici: gli anglicismi 1.1. Introduzione
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1.2. Prestiti e prestigio
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1.3. Prestiti di necessitĂ , di lusso e loro eventuale adattamento
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1.4. Prestiti semantici e calchi
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1.5. Gli anglo-latinismi
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1.6. I falsi amici
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1.7. Gli anglicismi dal XIII secolo all’italiano contemporaneo
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Capitolo 2 Glossario
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Conclusioni
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Bibliografia
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Sitografia
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Capitolo 1 I prestiti linguistici: gli anglicismi
1.1 Introduzione
Il presente capitolo ha come obiettivo analizzare il fenomeno dei prestiti linguistici all'interno della lingua italiana, con particolare attenzione a quelli provenienti dalla lingua inglese; una suddivisione in categorie che sarà esposta mediante esempi chiarirà le dinamiche che conducono all'entrata di termini stranieri nell'uso linguistico italiano; mediante un percorso attraverso i secoli saranno esaminati i passi con i quali gli anglicismi hanno ottenuto un ruolo predominante nel panorama dei forestierismi della lingua italiana.
1.2 Prestiti e prestigio Il fenomeno dei prestitilinguistici1(che vengono anche definiti forestierismi) influenza notevolmente lo sviluppo di ogni lingua: ognuna subisce, nel tempo e nello spazio, diverse modifiche che possono essere riconducibili al fenomeno suddetto. I contatti con popoli diversi, che possono avvenire per motivi di tipo commerciale, politico o semplicemente culturale, fanno sì che una lingua si arricchisca sempre più di termini stranieri. Tuttavia, il percorso di tali forestierismi non è sempre lineare e facilmente ricostruibile: solo il tempo e l'effettivo uso da parte dei parlanti potranno attestare il reale accoglimento di un vocabolo proveniente da una lingua straniera. Riguardo al fenomeno dei prestiti, il primo concetto da tenere in considerazione è quello di prestigio: in una sua definizione Paolo D’Achille (2003, p. 60) asserisce che “è la superiorità di un popolo in un determinato campo a determinare l'accoglimento di parole della lingua di quel popolo in altre lingue”. In alcuni campi l'italiano ha preso in prestito vocaboli da altri idiomi: dal francese ha assunto soprattutto termini appartenenti all'ambito della moda e della politica, dall'inglese ha preso in prestito tra l’altro diverse voci appartenenti al settore sportivo e dell'economia. Inoltre l'italiano ha 1
La classificazione delle varie tipologie di prestiti, la descrizione degli anglo-latinismi e del fenomeno dei falsi amici, sono state qui sintetizzate a partire da: D’Achille P. (2003); e Giovanardi C., Gualdo R. (2003).
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anche dato in prestito ad altre lingue molti termini appartenenti a campi in cui il suo prestigio è elevato, come la musica, l'arte, la cucina. Si può accennare ad esempio a sonetto (in origine diminutivo di suono), termine che indica una forma poetica utilizzata per la prima volta dalla scuola poetica siciliana nel secolo XIII, poi adottata per secoli da poeti di ogni lingua; ad affresco, tecnica pittorica realizzata con colori applicati sull'intonaco ancora fresco; a maccheroni, voce utilizzata per indicare la pastasciutta in generale o di un particolare tipo. Il prestigio di una lingua si rileva anche dalla sua capacità di diffondere non solo termini concreti, ma anche nomi astratti, aggettivi e verbi.
1.3 Prestiti di necessità, di lusso e loro eventuale adattamento
Secondo una definizione di Maurizio Dardano (1996, p. 256) “si ha prestito linguistico quando la nostra lingua utilizza e finisce per assumere un tratto linguistico che esisteva precedentemente in un'altra lingua e che non aveva riscontro nella nostra”. Solitamente, il motivo principale per cui gli apporti esteri filtrano facilmente all'interno di una lingua è la mancanza di parole equivalenti per designare cose o concetti sconosciuti alla nostra cultura. Tali apporti prendono il nome di prestiti di necessità (ad esempio patata, parola haitiana giuntaci attraverso lo spagnolo, caffè dal turco, zero dall'arabo, computer, jazz, poker dall'inglese), che si contrappongono ai cosiddetti prestiti di lusso: forestierismi accolti per ottenere effetti stilistici ed espressivi, per snobismo, per il prestigio accordato a una data civiltà o cultura, anche se, di fatto, esisterebbero sinonimi italiani. In questa categoria si ritrovano termini come baby-sitter (bambinaia), speaker (annunciatore), make-up (trucco). Quest'ultimo fenomeno può destare preoccupazioni, dovute al fatto che il flusso più abbondante di termini stranieri accolti in italiano è rappresentato proprio dai prestiti di lusso; secondo alcuni osservatori, chi filtra testi e materiali stranieri (enti, agenzie stampa, istituzioni, case editrici) spesso non si sforza abbastanza per recuperare l'equivalente italiano delle parole straniere. Eppure quest'operazione ha spesso ottenuto esito positivo: è il caso di doppiaggio per dubbing, pompelmo per grape-fruit e di molti vocaboli della terminologia sportiva, come calcio per football, calcio d'angolo per corner e fuorigioco per offside; senza contare tutti quei casi in cui il termine straniero e quello italiano convivono: bilancio e budget, albergo e hotel, primato e record. I forestierismi, una volta accolti all'interno della nostra lingua, non sono necessariamente mantenuti nella loro forma originaria. A tale concetto si può ricollegare un'ulteriore distinzione riguardante i prestiti: essi possono essere non adattati (o non integrati) e adattati (o integrati). I
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primi risaltano per il loro aspetto esteriore: terminano spesso in consonante, contengono grafemi estranei al nostro alfabeto (j, k, w, x, y) e suoni diversi dalla fonetica italiana. Negli ultimi anni il fenomeno dell'adattamento è in calo: si tende sempre più a riconformarsi al modello straniero sia nella grafia sia nella fonetica. Tale fenomeno è stato denominato da Roberto Gusmani “integrazione regressiva” (1986, pp. 85 e sgg.). I forestierismi dell'italiano sono molti, ma non in tutti i casi è facile riconoscerne l’origine straniera. Infatti, questa è percepita dal parlante comune solo nel caso di prestiti non adattati, che sono diventati sempre più numerosi dall'Ottocento in poi. Fino allora le voci straniere sono state per lo più adattate (dal punto di vista fonetico, grafico e morfologico), tanto che la loro natura di prestito è spesso non percepita dal parlante: da train si è avuto treno, mentre bleu è stato adattato come blu. Nei giorni nostri, la maggior parte dei vocaboli stranieri in entrata nella nostra lingua riguarda forestierismi non adattati, cioè quelli che non vengono integrati al sistema fonomorfologico dell'italiano. Tuttavia la loro grafia presenta spesso delle incertezze: è frequente l'eventuale uso del trattino nei composti inglesi (come in metal-detector), la pronuncia subisce per lo più un adattamento almeno parziale alla fonetica italiana (è il caso di computer) e non manca oscillazione nell'uso (si pensi alle varie pronunce di club).
1.4 Prestiti semantici e calchi
I prestiti possono essere suddivisi in due ulteriori categorie. Infatti, essi possono consistere semplicemente in un nuovo significato che si aggiunge a quelli già esistenti: si parla allora di prestiti semantici, tra i quali si distinguono quelli omonimici, basati sulla somiglianza del significante (ossia la somiglianza, nella forma, di una parola con un'altra straniera) e quelli sinonimici, in cui la somiglianza si ha solo nel significato. Esempio di prestito omonimico è opportunità, inteso non con il significato di ‘l'essere opportuno’ ma con quello di ‘possibilità, occasione’, come l'inglese opportunity; esempio di prestito sinonimico è stella, che in italiano ha acquisito il significato di ‘diva o divo del cinema o dello spettacolo’, basato sull'inglese star. Esiste un altro procedimento attraverso il quale una parola straniera può entrare in un'altra lingua: il calco. Tale procedura, concepita come una specie di traduzione, può essere scissa anch'essa nelle due categorie in cui sono suddivisi i prestiti semantici. Si hanno quindi i calchi ononimici, basati sulla somiglianza del significante (ad esempio il termine processore è modellato su processor, una delle componenti di un computer), e i calchi sinonimici, basati sulla somiglianza del significato (ad esempio fuorilegge o fine settimana, calchi di outlaw e week-end). 5
Se i calchi mantengono la tipica sequenza italiana determinato+determinante sono definiti calchi imperfetti, poiché l’ordine dei costituenti è inverso rispetto a quello inglese (ad esempio pallamano, pellerossa); se tale ordine non è rispettato, e i calchi mantengono la sequenza determinante+determinato tipica della lingua d’Oltremanica, essi sono definiti calchi perfetti (ad esempio incondizionato, autocontrollo). Tra i calchi è interessante citare anche i calchi-prestiti, formazioni ibride modellate su forestierismi, in cui però a un elemento tradotto se ne accosta uno riprodotto fedelmente, ad esempio gap generazionale, (da generation gap), o trust di cervelli (brain trust), e calchi basati su strutture complesse come fai-da-te (do-it-yourself). Da segnalare anche i semicalchi (o calchi parziali), un'imitazione più libera in cui si assommano divergenze su entrambi i piani, formale e semantico: ad esempio fantascienza, semicalco di science fiction. L'ultima categoria cui si può far riferimento è quella dei calchi concettuali, cioè una forma d'interferenza in cui la lingua imitante procede in maniera del tutto autonoma rispetto al modello straniero, senza relazione formale o semantica evidente. È il caso di dissolvenza ‘apparizione graduale dell'immagine cinematografica o suo oscuramento graduale’, che rende in italiano l'inglese fading. Infine, è opportuno un accenno a un fenomeno non solo italiano ma diffuso più in Italia che altrove: gli pseudoanglicismi, termini che sembrano d'origine inglese ma che sono in realtà invenzioni italiane, oppure esistono nella loro lingua d’origine ma con significato diverso da quello assunto in italiano; accanto ai più datati recordman per record holder, tight per morning jacket, smoking per smoking jacket, si possono ricordare i termini sportivi mister ‘allenatore’ (in realtà l'equivalente inglese è coach), antidoping per anti-dope test, pressing per forcing, footing, sporting club, e altri termini come outing e slip ‘mutandina’, pseudoanglicismo per underpants.
1.5 Gli anglo-latinismi
Il lessico della lingua italiana è principalmente composto, oltre che dai prestiti, da altre due fondamentali componenti: le parole di origine latina e le neoformazioni. In realtà la distinzione tra queste tre categorie non è sempre facile: ciò accade perché diverse parole di origine latina sono entrate in italiano attraverso un'altra lingua, in genere il francese o l'inglese (si parla, infatti, di franco-latinismi o anglo-latinismi).
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Nel Settecento, infatti, cominciano a insinuarsi nel lessico italiano molti termini del linguaggio politico ed economico inglese, ma vi entrano in genere attraverso il francese e nella forma adattata. Succede così che la comune origine latina ne nasconda la provenienza dall'Inghilterra, basti pensare che una larga fetta del lessico parlamentare italiano ha avuto origine, tra il XVIII e il XIX secolo in Inghilterra, e che espressioni come agitazione politica, autodeterminazione, costituzionale, coalizione, maggioranza, opposizione, mozione, petizione, o latinismi come ultimatum, quorum e memorandum sono entrati nell'uso italiano attraverso l'inglese.
1.6 I falsi amici
La somiglianza formale tra alcune parole italiane e inglesi (dovuta alla comune origine latina) favorisce la produzione di calchi nella nostra lingua. Ciò si accompagna spesso ad uno slittamento semantico del termine italiano, che può assumere significati nuovi e apparire agli occhi dei parlanti più accorti come un vocabolo usato impropriamente. L'influenza della lingua inglese su quella italiana non è quindi solo dovuta alla massiccia presenza di prestiti non adattati, ma è determinata anche da tutta una serie di prestiti meno riconoscibili da un punto di vista formale, che producono una sorta di confusione semantica in grado di compromettere la reale efficacia comunicativa del termine. Si può accennare, ad esempio, a frasi del tipo “il ragazzo ha ricevuto un'istruzione basica”, dove basica (che deriva da basic) significa ‘di base’ e non ‘alcalino’, o a tutta una serie di espressioni che rischiano di far cadere in errore il parlante che non ha un’adeguata conoscenza della lingua inglese, o che non presta la necessaria attenzione durante la traduzione di un testo: accident non significa ‘accidenti’, bensì ‘incidente’; magazine non ha il, significato di ‘magazzino’, ma in realtà significa ‘rivista, periodico’; sympathy non sta a significare ‘simpatia’ bensì ‘compassione’. Il rischio di accostare parole italiane e inglesi coincidenti per forma ma non per significato investe tutti i livelli della lingua, come si vede dagli esempi che seguono:
Tra i sostantivi si possono citare argument (non ‘argomento’ ma ‘discussione’; i sinonimi corretti sono subject e topic); editor (non ‘editore’ ma ‘direttore di giornale, redattore’; il vero sinonimo di editore è publisher); factory (non ‘fattoria’ ma ‘fabbrica’, l'equivalente è farm); petrol (non ‘petrolio’ ma ‘benzina’, il corrispondente è oil o petroleum);
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Tra gli aggettivi si segnala annoyed (non ‘annoiato’ ma ‘seccato, infastidito’; il sinonimo giusto è bored); large (non ‘largo’ ma ‘grande’; il corrispondente è wide); sensible (non ‘sensibile’ ma ‘ragionevole, di buon senso’; il sinonimo è in realtà sensitive);
Tra i verbi si ritrovano to assist (non ‘assistere a spettacoli o frequentare lezioni’ ma ‘aiutare, coadiuvare’; il sinonimo è to attend); to ignore (non ‘non sapere qualcosa’ ma ‘far finta di non vedere qualcuno’; gli equivalenti corretti sono not yo know o to be ignorant of); to pretend (non ‘esigere’ ma ‘fingere, fare finta’; il corrispondente è to claim);
Tra gli avverbi si hanno actually (non ‘al momento’ ma ‘veramente’ con valore attenuativo; il corrispondente è at present); possibly (non ‘se possibile’ ma ‘può darsi’; l'equivalente è if possible); practically (non ‘in realtà, in sostanza’ ma ‘praticamente, in modo pratico’; il sinonimo corretto è virtually).
Ritrovarsi di fronte ad esempi del genere vuol dire incappare nel cosiddetto fenomeno dei falsi amici, un'anomalia che si può ritrovare in vari campi: la politica, la pubblicità, la burocrazia, il giornalismo, la traduzione di testi. Riguardo quest'ultimo ambito però, è necessario aggiungere che è proprio la categoria dei traduttori quella meglio attrezzata a riconoscere ed evitare i tranelli tesi dai falsi amici, grazie alla loro approfondita competenza linguistica e all'esperienza maturata. Negli ultimi anni però, la presenza di errori grossolani è stata registrata proprio in testi sorvegliati come libri e giornali, fatto particolarmente grave appunto perché le persone che li redigono dovrebbero conoscere bene le lingue. Assolutamente da evitare sono i traduttori automatici, di cui si possono facilmente trovare numerose versioni sul web, capaci di fornire molte errate associazioni. Lo stesso mondo di Internet, insieme ad altri veloci mezzi di comunicazione di massa come la televisione, influenza maggiormente il parlante comune a causa della sua diffusione, della loro velocità e del fatto che non garantiscono la possibilità di correzione.
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1.7 Gli anglicismi dal XIII secolo all’italiano contemporaneo L’entrata degli anglicismi all’interno dell’uso italiano2 non può essere considerata un fenomeno recente; infatti la maggior parte dei prestiti inglesi entrati a far parte della nostra lingua risale a XIX secolo: fino al secolo XIII, i contatti tra inglese e italiano possono essere collocati semplicemente in un’ottica riguardante gli scambi commerciali. Proprio al linguaggio del commercio sono riconducibili gli unici due vocaboli inglesi giunti in Italia nel Duecento: sterlini e stanforte (sorta di tessuto prodotto nella città di Stanford). Il crescente interesse degli inglesi per il Rinascimento italiano rese quest’ultimo un modello di stile raffinato non solo nella lingua e nell’arte, ma anche nel mondo della moda. Di conseguenza crebbe anche il desiderio di studiare la nostra lingua, rendendo necessaria la creazione di strumenti per apprenderla, tra cui si può citare il dizionario bilingue scritto da John Florio, A worlde of wordes (1598), opera di oltre quattrocento pagine, costituita da circa 45.000 lemmi. Tra i più antichi anglicismi che è possibile elencare si hanno, secondo una lista fornita da Emilio Re (1913, pp. 24982): “chierico nel senso di ‘impiegato’ (clerk), feo ‘stipendio’ (fee), cocchetto ‘documento di avvenuto pagamento’ (coket), costuma e costumieri (‘dogana’ e ‘doganieri’ pervenuti in Inghilterra dal francese), bigla (bill ‘conto’), attornato (attorney ‘procuratore’), attaciare ‘sequestrare’ e attaciamento ‘sequestro’, entrambi con valore giuridico”. È importante notare come questi forestierismi, e tanti altri che verranno in seguito (fino al 1950 circa), siano sempre adattati; il non adattare i forestierismi è un fenomeno più recente, ed è anche la risposta al perché molte entrate provenienti da idiomi stranieri siano spesso scambiate per voci italiane. Nel Cinquecento è possibile segnalare tutta una serie di anglicismi, generalmente sostantivi collegati all’ambito giuridico, amministrativo, politico e della vita sociale, entrati a far parte della nostra lingua grazie all’influenza esercitata da ambasciatori e diplomatici in generale, il cui compito era quello di gestire le relazioni politiche e commerciali tra la Gran Bretagna e l’Italia. Tra le parole entrate a far parte della lingua italiana si può segnalare: apprenditio (apprentice ‘apprendista’), avventurieri, cancelleria, oratore (calco di speaker), parlamento, torre (Tower of London). Il XVII secolo è caratterizzato da un vertiginoso declino di prestigio della cultura italiana, mentre cresce sempre più l’interesse per le cose inglesi e di conseguenza per la lingua d’Oltremanica. L’ostilità dell’Inghilterra alla tradizione italiana è comunque di breve durata e termina non appena la sua cultura afferma la propria identità in tutta Europa, superando ogni complesso d’inferiorità. Già alla fine del XVIII secolo i viaggiatori inglesi recuperano il rapporto 2
La ricostruzione dei rapporti tra Inglese e Italiano è stata qui riassunta a partire da: Serianni L., Trifone P., (1994); e Serianni L., (2002)
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con la cultura della penisola e il nostro paese diviene per tutto il Settecento meta prediletta del Grand Tour, viaggio fra le rovine della civiltà classica e rinascimentale. Sulla scia di questo rinnovato interesse vengono pubblicate due nuove opere lessicografiche: il Dizionario Italiano ed Inglese (1726-27) di Ferdinando Altieri, opera poco nota ma che ha avuto il merito di aggiornare il corpus dei lemmi e migliorare la strutturazione delle voci attraverso l’aggiunta di indicazioni grammaticali e fonetiche, e il Dictionary of the English and Italian Languages (1760) di Giuseppe Baretti che, pur presentandosi come una versione aggiornata di quella dell’Altieri, ebbe maggior fortuna grazie alla notorietà del Baretti all’interno dell’élite culturale londinese. Nonostante il Baretti apprezzasse particolarmente la lingua inglese e auspicasse un’influenza sempre maggiore da parte di quest’ultima sulla lingua italiana, non sono molti gli anglicismi da lui introdotti nella nostra lingua; si deve proprio al Baretti la prima attestazione dello stesso termine anglicismo, comparso sul numero XXIV della Frusta letteraria (1764). Perché la diffusione dell’inglese diventi quantitativamente significativa bisogna arrivare alla prima metà dell’Ottocento, quando grazie a generi come il romanzo storico o la stampa periodica vengono diffusi un numero considerevole di anglicismi. Ad esempio, all’interno delle traduzioni dei romanzi di Walter Scott e dell’americano James Fenicor Cooper sono reperibili centinaia di anglicismi (tra adattati e non adattati, calchi semantici e grecismi o latinismi coniati Oltremanica); molti di questi sono entrati stabilmente nella nostra lingua, tanto da essere utilizzati ancora oggi: si pensi a parole come antidiluviano, autobiografia, baronessa, colonizzare, elfo, gentleman, milady, whisky, ma anche pelle rossa e sceriffo. Si tratta per la maggior parte di anglicismi adattati, mentre è soprattutto grazie alla stampa periodica che numerosi vocaboli sono accolti, spesso senza ricorrere ad adattamenti fonomorfologici: coke, facsimile, fashion, festival, tunnel, veto, sono solo alcuni esempi. Il Novecento è certamente un secolo determinante per la diffusione dei forestierismi all’interno dell’uso italiano. Tuttavia questo processo non è stato di semplice attuazione, soprattutto nel corso della prima metà del secolo: sono diverse le manifestazioni di dissenso da parte dei puristi della lingua, tra di esse si può menzionare Barbaro Dominio, raccolta di testi che Paolo Monelli scrisse per una rubrica quotidiana, pubblicata per l’intero 1932 sulla Gazzetta del Popolo, in cui, con “chiarezza fascista”, si faceva “opera di pulizia”. Sono rarissimi i casi in cui di fronte ad anglicismi, il Monelli sia incline ad ammetterli: bar (perché già entrato in uso da più di una generazione, e già generatore di barista), gimcana, jazz, knock-out, pic-nic, pigiama, sex-appeal, snob. Riguardo alla parola tennis egli propone di mettere in circolo il termine contemporaneamente ai sinonimi pallacorda e giuoco della racchetta, con l’auspicio che “la più vitale a suo tempo prevarrà” (Monelli 1933, pp. 313, 157, 43); si può comunque affermare che in quell’epoca 10
l’atteggiamento predominante riguardo all’accoglimento degli anglicismi fosse quello di favorire i sostituti italiani, ad esempio allibratore per bookmaker, bilancio per budget, sirena per clackson e così via. Nonostante ciò, le proposte di fiorellare per flirtare, mossa e mossiere per start e starter non si affermeranno mai, mentre l'uso di film, hall, leader, manager, partner, performance resterà vitalissimo. L’appello a favore di pompelmo contro grape-fruit invece, verrà accolto. Grazie alla crescente fortuna della stampa periodica ottocentesca, molti termini inglesi entrano a pieno titolo nella lingua italiana, soprattutto in quei campi in cui il predominio angloamericano imponeva progressivamente la propria terminologia. Uno di questi settori è, ad esempio, quello del linguaggio sportivo (già nell’Ottocento, oltre alla parola stessa sport, si affermano boxe, football, yacht), ma anche la terminologia politica, scientifica, dell’innovazione tecnologica e della moda forniranno numerosi anglicismi in tutta la seconda metà del XIX secolo. L’influenza dell’inglese sulla nostra lingua diventa sempre più costante, e nonostante le prime cattedre universitarie di lingua inglese siano state istituite solo nel 1918, già nel 1923, col decreto dell’11 febbraio, evitare i termini esotici diventa non più consigliabile ma obbligatorio. La legge rende operativo un precedente intervento statale del 1874 che tassava le insegne contenenti forestierismi (tra cui si hanno, secondo il Corriere della sera dell’8 aprile 1923: Salon, Pension, Express, Bar, Sport, Whisky, Wines, Liquors) al solo fine di far registrare qualche entrata alle casse dello Stato. Dal ’23 il ricavato delle multe è invece devoluto alla Società Dante Alighieri, e quindi reinvestito in attività che promuovano la lingua e la cultura italiana, anche all’estero. Nonostante i divieti e le prescrizioni, qualche termine straniero riesce ad imporsi anche durante il ventennio; tra di essi film ‘pellicola’ (in origine al femminile). Tuttavia la vera ondata di anglicismi deve ancora travolgere la lingua italiana. Si può persino affermare che il fenomeno dell’anglicismo sia, in italiano, un fenomeno quasi tutto novecentesco. “Dei 2083 anglicismi non adattati presenti oggi nell’italiano (stando al DISC), soltanto 33 (pari all’1,7% del totale) giungono nei secoli precedenti al XIX; ben 147 (il 7%) vi entrano nell’Ottocento, tutti gli altri proprio nel Novecento (e ben 1585, ovvero quasi il 76%, dal 1950 in poi)” (Serianni, 2002 p. 601). Anche se questi dati non tengono conto degli anglicismi entrati nell’uso italiano ma che col passare del tempo ne sono già usciti, essi sono in grado di chiarire come solo nel secondo dopoguerra, con l’intensificarsi dei rapporti tra Italia e Stati Uniti (prima ancora che con l’Inghilterra) l’inglese diventa la lingua straniera di maggior prestigio, e i prestiti cominciano a comparire un po’ in tutti i campi. Il mutare degli equilibri internazionali che segue alla Seconda guerra mondiale, la preminenza sempre maggiore esercitata a tutti i livelli dagli Stati Uniti e la massiccia promozione del modello di vita americano fa sì che l’anglo-americano raggiunga in pochi decenni lo status di lingua veicolare e di lingua di prestigio internazionale, almeno in tutto l’Occidente. 11
Ci sono parole come hit, rock, hamburger o il più recente fast-food per il quale si può parlare persino di diffusione planetaria; in italiano poi, hanno attecchito molto facilmente anglolatinismi quali ad esempio memorandum ‘libretto per appunti’, medium ‘mezzo di comunicazione’, video ‘schermo del televisore’ e gli anglo-grecismi come foto o radio. In molti campi del nostro vivere quotidiano numerose parole inglesi (o, più spesso, americane) sono ormai entrate in maniera stabile. A mano a mano che la cultura americana esercita il proprio predominio in ambiti come la musica leggera o il cinema, si diffonde l’uso dei vocaboli inglesi per evocare l’atmosfera di quegli ambienti; sono arrivati così in italiano non soltanto crudi forestierismi facilmente identificabili, ma anche parole apparentemente italiane (come bambola o piedipiatti, vocaboli ricorrenti nei dialoghi di tanti film) e modi di dire non legati al costume italiano come il si? interrogativo per rispondere al telefono, calco dell’americano yes?. Alcuni anglicismi che oggi sono molto diffusi e che costituiscono ormai dei veri e propri stereotipi, come feedback per ‘verifica’ o ‘risposta’ e bypassare per ‘scavalcare, oltrepassare’, provengono dai linguaggi della scienza. In campo scientifico, infatti, il predominio dell’inglese è ancora più netto, sia perché la ricerca tecnologica più avanzata si svolge negli Stati Uniti, sia perché l’italiano molto spesso non riesce a opporre sostituti adeguati: vocaboli come cd-rom, driver, file, layout e mouse divengono, negli anni Novanta, di uso comune per i parlanti italiani, mentre solo poche parole italiane riescono a sostituire quelle inglese, tra cui cartella per directory; al contrario a scandire si preferisce comunemente scannare o scannerizzare. L’esempio della diffusione del linguaggio informatico in lingua inglese nell’uso italiano è particolarmente indicativo, ma proprio per questo non del tutto rappresentativo. Infatti l’importanza di confrontare ricerche realizzate in paesi diversi ha creato l’esigenza di disporre di una lingua internazionale per le comunicazioni scientifiche di ogni tipo. Anche le riviste specialistiche italiane, quando non hanno direttamente i propri articoli scritti in inglese, presentano sempre il riassunto (abstract) in lingua inglese. In conclusione si può affermare che la diffusione degli anglicismi all’interno della lingua italiana è un fenomeno in continua espansione, che coinvolge un numero di parlanti di ogni età e sempre più numeroso. Un fenomeno che, a prescindere dai tentativi più o meno riusciti di fermarne o almeno di rallentarne l’avanzata, si trova a percorrere una strada completamente in discesa.
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Capitolo 2 Glossario Il presente lavoro consiste nella ricerca e nell’analisi di alcuni tra i numerosi anglicismi adoperati nell’ambito delle novità tecnologiche. Il percorso seguito permetterà di analizzare la loro diffusione all’interno della lingua italiana e di prendere in esame le varie tipologie di prestiti finora individuate. Per raggiungere tale obiettivo si è innanzitutto proceduto all’analisi di tre riviste riguardanti il mondo della tecnologia: Jack, risalente al febbraio 2011, AF Digitale, nell’edizione del gennaio 2011 e il numero di novembre 2010 di Elettronica In. Questi mensili si occupano di proporre, testare e pubblicizzare gli ultimi prodotti tecnologici immessi sul mercato; al loro interno sono stati reperiti alcuni termini inglesi di frequente uso anche nella nostra lingua. In seguito sono stati consultati tre dizionari della lingua italiana: il Grande Dizionario Italiano dell’uso (meglio conosciuto come GRADIT), il Vocabolario della Lingua Italiana Zingarelli (che è stato abbreviato in ZING 09) e il Grande Dizionario Garzanti (abbreviato in GARZ 09). Attraverso il loro uso è stato possibile confrontare il significato acquisito dagli anglicismi presi in considerazione all’interno della lingua italiana, ricercare eventuali incongruenze tra le definizioni fornite dai diversi dizionari e fissare cronologicamente l’entrata dei vocaboli nell’uso italiano. Si è poi eseguita un’analoga operazione nell’ambito della lingua inglese, mediante la consultazione e la comparazione effettuata tra l’Oxford English Dictionary (noto anche come OED) e il dizionario online Merriam-Webster (che fa riferimento all’uso anglo-americano). In tal modo si sono potuti verificare i possibili slittamenti semantici avvenuti nel passaggio dei vari termini dalla lingua inglese a quella italiana, non tralasciando le eventuali variazioni riscontrabili nella comparazione tra l’uso inglese e quello anglo-americano dei vocaboli considerati. Infine, si è proceduto all’analisi della diffusione di questi termini in Internet, attraverso l’uso del motore di ricerca Google nella versione italiana e in quella inglese; tale ricerca ha permesso di quantificare la diffusione sulla rete globale di tutte le parole analizzate, e di fornire esempi riguardo al loro possibile uso. L'unione delle diverse definizioni, degli esempi, delle citazioni e delle date di prima attestazione degli anglicismi analizzati ha avuto come esito l’allestimento di un glossario.
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Account: s. m. ‘Insieme di dati, composto da username e password, attraverso il quale un utente può accedere a determinati servizi informatici’: “Per poter pubblicare i dati su www.pachube.com dovete prima di tutto registrarvi e crearvi un account.” (EI p. 59). Il termine è presente in tutti i dizionari presi in considerazione: il GRADIT attesta l’entrata del vocabolo nella lingua italiana al 1988, mentre lo ZING 09 indica l’anno precedente. Il GARZ 09 e lo ZING 09 definiscono la parola un “codice” che “identifica la registrazione di un utente presso un provider di accesso a Internet” (ZING 09) e “che consente l’accesso a un sistema multiutente” (GARZ 09); il GRADIT concepisce il termine come “abilitazione all’uso di un sistema telematico”. La ricerca effettuata sulla versione italiana del motore di ricerca Google offre circa 131 milioni di risultati. Tra questi, uno particolarmente significativo è: “Un account costituisce quell'insieme di funzionalità, strumenti e contenuti attribuiti ad un utente in determinati contesti operativi.” Da: http://it.wikipedia.org/wiki/Account. Per quanto riguarda la ricerca sui dizionari online, sia il MW sia l’OED non fanno riferimento diretto all’accezione che il vocabolo ha acquisito in ambito informatico, ma si limitano a descrivere il significato assunto dalla parola in ambito bancario e commerciale. Si può dedurre ciò grazie all’OED: “an arrangemenet to keep money in a bank”; ivi si sottolinea anche il possibile utilizzo del termine nell’ambito dei rapporti commerciali fra cliente e azienda: “A costumer or client having an account with a firm”. La sempre più veloce espansione dei sistemi di compravendita su Internet ha fatto sì, infatti, che questa voce indicasse anche il mezzo attraverso il quale i rapporti commerciali avvengono utilizzando la rete globale. L’utilizzo di un account permette un veloce, anche se informale, acquisto di beni o servizi, transazione caratterizzata da una fornitura di dati dell’acquirente e da un pagamento precedente la consegna del prodotto. Il MW indica anche l’origine del termine, che deriva dal francese acunte (dal verbo francese acunter), e la prima attestazione del vocabolo nell’uso anglo-americano, risalente al XIV secolo. La versione inglese del motore di ricerca Google elenca circa 497 milioni di siti in cui è possibile reperire il termine.
Big: s. m. ‘Persona di grande rilevanza in un determinato campo o ambito’: “Dal palco, i big del web hanno dato alcuni indizi su come vedono il futuro.” (J p. 110). Il vocabolo è accolto da tutti i dizionari; il GRADIT e lo ZING 09 concordano sull’anno d’entrata del termine nel vocabolario della lingua italiana, avvenuta nel 1948. I tre dizionari concordano anche sulla traduzione della voce, che è resa come “personaggio importante” e “famoso” dal GRADIT, “influente” dal GARZ 09 e “esponente autorevole” dallo ZING 09.
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La ricerca effettuata su Google Italia offre circa 65 milioni di risultati, tra cui: “Le 14 canzoni dei Big di Sanremo 2011 sono state ormai ascoltate da tutti e ciascuno avrà già individuato le
proprie
preferite.”
Da:
http://www.televisionando.it/articolo/sanremo-2011-le-pagelle-dei-
big/45221/. Il termine è rinvenibile sia nel MW sia nell’OED. Non si riscontrano particolari differenze nelle definizioni offerte dai dizionari online riguardo questa voce, ed entrambi sottolineano come essa possa far riferimento a persone. Tuttavia il MW specifica che il vocabolo può far riferimento anche a un’organizzazione: “an individual or organization of outstanding importance or power”. Lo stesso MW attesta al 1965 l’entrata del vocabolo nell’uso anglo-americano, mentre l’OED indica il 1833 (anche se il termine, in questo caso, è utilizzato al plurale, mentre il suo primo utilizzo al singolare è datato 1972). Google UK visualizza, riguardo questa parola, circa 410 milioni di indirizzi Internet in cui essa compare.
Blackout: s. m. ‘Interruzione, più o meno lunga, della fornitura di energia elettrica’: “Nella stessa scheda è presente la sezione Ripristino all’avvio, da cui possiamo decidere se il telecontrollo deve ripristinare lo stato delle uscite dopo un blackout, oppure lasciarle tutte a riposo.” (EI p. 74). Il vocabolo è presente in tutti i dizionari; il GRADIT e lo ZING 09 attestano entrambi al 1949 la comparsa del termine all’interno della nostra lingua, e lo definiscono in modo diverso: “improvvisa interruzione dell’erogazione di energia elettrica” (GRADIT); “improvvisa sospensione totale di un servizio pubblico nell’ambito radiofonico e televisivo” (ZING 09). Il motore di ricerca Google Italia mette a disposizione circa 1.730.000 di siti Internet in cui tale parola è utilizzata, ad esempio: “Un blackout elettrico sta colpendo da stamattina dalle ore 6.30 il centro di Napoli.” Da: http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/?id=3.0.3570744243. La voce è accolta in entrambi i dizionari online, che concentrano le loro attenzioni soprattutto sui vari utilizzi avuti in passato da essa. Tra i diversi usi si segnala quello relativo allo spegnimento delle luci nelle città messo in atto per evitare i raid aerei durante una guerra: “a period of darkness enforced as a precaution against air raids” (MW), e quello inerente all’ambito teatrale: “the darkening of a stage durino a performance; a darkened stage” (OED). Il MW attesta l’entrata della parola nel vocabolario anglo-americano al 1913, lo stesso anno in cui l’OED colloca la sua comparsa nell’uso inglese, anche se relativamente all’ambito teatrale. Nel contesto di nostra competenza il vocabolo è definito: “a condition of (temporary) obscuration” (OED); “a period of darkness (as in a city) caused by a failure of electrical power”.
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La versione inglese del motore di ricerca utilizzato elenca circa 6.370.000 di indirizzi web in cui compare il vocabolo.
Bluetooth: s. m. ‘Strumento attraverso il quale si è in grado di trasmettere dati tra diversi dispositivi elettronici utilizzando trasmettitori a onde corte invece che cavi’: “Grazie alla funzionalità Bluetooth integrata, inoltre, le unità possono ricevere file musicali da dispositivi abilitati via Bluetooth, quindi senza fili.” (AF p. 16). Questa parola è presente sia nello ZING 09 sia nel GARZ 09; i dizionari forniscono definizioni analoghe e sottolineano la particolare funzione di tale dispositivo: mettere in collegamento fra loro diversi apparecchi elettronici, quali personal computer e telefoni cellulari. Lo ZING 09 specifica che l’idea per tale denominazione prende spunto dall’appellativo del Re vichingo Harald II, definito appunto Bluetooth (“dente azzurro”). Lo stesso ZING 09 attesta al 1999 la comparsa del termine nella lingua italiana, e sottolinea che la parola è un marchio registrato. Il GRADIT, invece, attesta l’entrata di questa parola nella nostra lingua al 1998, e offre una spiegazione più esauriente sull’origine della voce: Re Harald II fu, infatti, un condottiero scandinavo a cui viene attribuita l’unificazione dei regni di Danimarca e Norvegia, di conseguenza questo vocabolo allude “all’unificazione di dispositivi di comunicazione diversi” (GRADIT). Google Italia visualizza quasi 16 milioni di pagine in cui il termine è stato reperito, ad esempio: “Gli auricolari bluetooth sono un utile accessorio tecnologico che molti utilizzano per non avere l’ingombro dei fili, molto comodi soprattutto quando si deve parlare al telefono in macchina.” Da: http://www.liquida.it/bluetooth/. La voce non si ritrova nel MW; l’OED, al contrario, la accoglie e concorda con i dizionari italiani sia sulla definizione riguardante essa sia il suo collegamento alle vicende di Re Harald II. L’entrata della parola nell’uso inglese è attestata, secondo l’OED, al 1998. Google UK mette a disposizione circa 33 milioni e quattrocentomila risultati riguardanti l'utilizzo del termine in Internet.
Blu-ray: s. m. ‘Supporto ottico proposto come evoluzione del DVD’: “Le prestazioni velocistiche sono piuttosto scarse, superando i 30 secondi in tutte le operazioni di riproduzione dei dischi Bluray.“ (AF p. 51). Il vocabolo è stato reperito solo sul GARZ 09, con la definizione: “disco ottico di aspetto simile a un DVD, ma molto più capiente e in grado di contenere filmati ad alta definizione”. Lo stesso GARZ 09 specifica, inoltre, come tale termine sia un marchio registrato.
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La ricerca effettuata su Google Italia segnala 14.700.000 siti in cui il vocabolo è utilizzato, tra cui: “Blu ray è il nome di un formato di dischi elaborato e prodotto da Sony come evoluzione dei DVD.” Da: http://affari.ebay.it/film-e-dvd/blu-ray.htm. Entrambi i dizionari online non accolgono questa parola; Google UK indica circa 118 milioni di siti Internet in cui è possibile reperire il termine.
Browser: s. m. ‘Programma attraverso il quale è possibile visualizzare i contenuti delle pagine web, rendendo possibile la navigazione in Internet’: “Nel Gbook non trovo alcun software (tranne il browser, che sta in un chip).” (J p. 106). Il vocabolo si ritrova in tutti e tre i dizionari; il GRADIT e lo ZING 09 non concordano sulla data di accoglimento del vocabolo all’interno della lingua italiana: il primo indica il 1984, lo ZING 09 il 1995. Questo scarto può essere spiegato grazie al GRADIT, che definisce il termine: “programma che permette di scorrere velocemente i contenuti di una banca dati”. Tale definizione è riconducibile ad un’epoca precedente la diffusione di Internet, mentre le definizioni offerte dallo ZING 09 e dal GARZ 09 si ricollegano direttamente al mondo della navigazione in rete. Ciò si evince dalla definizione offerta dallo ZING 09: “programma che consente all’utente di navigare in Internet”. Il termine, secondo Google Italia, è reperibile in circa 31 milioni di siti, ad esempio: “Il «browser» è il programma che consente la navigazione sul Web rendendo possibile la visualizzazione delle pagine e dei contenuti.” Da: http://www.shinystat.com/it/glossariodettaglio_browser.html. La voce è lemmatizzata da entrambe le risorse online: il MW la definisce semplicemente “a computer program used for accessing sites or information on a network”, l’OED attesta al 1969 l’entrata del termine nella lingua inglese, e cita a riguardo la definizione fornita da J. H. WILLIAMS BROWSER: Automatic Indexing On-line Retrieval Syst. 2 An alternative to the Boolean searching startegy has been developed, programmed and tested. This system, called BROWSER (Browsing On-Line With SElective Retrieval), allows the searcher to express a query in his own words, in an unrestricted form. La versione inglese di Google elenca circa 77.600.000 indirizzi web al cui interno si può reperire questa parola.
Chip: s. m. ‘Circuito elettronico, uno dei componenti fondamentali di apparecchi elettronici come il computer’: “I chip dei pc sono sempre più veloci e intelligenti.” (J p. 14).
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La voce è accolta in tutti i dizionari; secondo il GRADIT l’accoglimento di questa parola nella nostra lingua risalirebbe al 1972, mentre lo ZING 09 indica l’anno 1966 e concorda con il GARZ 09 nel tradurre letteralmente il termine in “scheggia”. Lo stesso GARZ 09 traduce il vocabolo anche in “frammento”, in accordo con il GRADIT (che utilizza anche la parola “scaglia”); tutti i dizionari concordano nell’indicare con tale termine un “circuito integrato”, una delle fondamentali componenti delle apparecchiature elettroniche. La versione italiana di Google indica circa 7 milioni di risultati inerenti questa parola, tra cui si segnala: “Circuito integrato, cioè un circuito elettronico realizzato in microminiatura con materiali semiconduttori e contenuto all'interno di un parallelepipedo nero di dimensioni variabili e con un numero variabile di piedini per essere saldato o per essere inserito in un connettore.” Da: http://www.pc-facile.com/glossario/chip/. Il vocabolo è presente anche sul MW e sull’OED: il primo lo definisce “a small wafer of semiconductor material that forms the base for an integrated circuit”, il secondo offre la definizione “a tiny square of thin semi-conducting material which by suitable etching, doping, etc., is designed to function as a large number of circuit components and which can be incorporated with other similar squares to form an integrated circuit”. Si può facilmente rilevare il nesso che unisce tutte le definizioni fornite dai diversi dizionari, e cioè il concetto di “circuito integrato”. Il termine compare per la prima volta nell’uso inglese, nell’accezione inerente all’ambito informatico, nel 1962. La ricerca avvenuta utilizzando la versione inglese di Google restituisce circa 30 milioni di siti web che accolgono la parola al loro interno.
Community: s. m. ‘Comunità virtuale dove un insieme di persone può confrontarsi su argomenti di comune interesse’: “DesignSpark è più che un semplice sito Internet, in quanto offre alla community dei tecnici elettronici un ambiente in cui trovare consigli di progettazione e recensioni utili per comunicare l’avvio di nuovi progetti.” (EI p. 36). Il termine è presente nel GRADIT, nel GARZ 09 e nello ZING 09, anche se, in quest’ultimo, è considerato come un accorciamento di web community. A tale voce è rimandata la definizione del vocabolo che, tuttavia, non differisce da quella offerta dal GARZ 09. Il GRADIT fa risalire la prima attestazione della parola al 2000, fornendo la definizione: “l’intera comunità costituita da tutti coloro che navigano abitualmente in Internet”. Riguardo questa parola Google Italia segnala circa 136 milioni di risultati, tra cui: “Se sei già iscritto alla community IKEA FAMILY puoi usare le credenziali di accesso per accedere al mondo di Hemma.” Da: http://www.familyikea.it/.
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La voce è reperibile in entrambi i dizionari online, anche se solo l’OED fa esplicito riferimento all’accezione inerente al contesto considerato; il MW, infatti, accoglie diverse definizioni che riguardano altri ambiti: “a group of people with a common characteristic or interest living together within a larger society”; “a body of persons of common and especially professional interests scattered through a larger society”. Facendo rientrare queste definizioni nell’ottica dei nuovi tipi di rapporti interpersonali che hanno avuto vita con l’affacciarsi di Internet nella nostra quotidianità, allora si può facilmente comprendere come la parola vada a designare una “comunità virtuale”, una serie di persone che si ritrovano a condividere interessi e passioni utilizzando la rete globale. L’OED, invece, definisce così il vocabolo: “an online facility, such as an electronic bulletin board, forum, or chat room, where users can share information or discuss topics of mutual interest”, e attesta al 1988 l’entrata di tale accezione all’interno del vocabolario inglese. Su Google UK sono stati reperiti ben 480 milioni di risultati relativi a questa parola.
Compact-Disc: s. m. ‘Tipologia di disco ottico sul quale è possibile memorizzare informazioni di tipo digitale, in particolar modo contenuti musicali’: “L’ultimo ritrovato in questo settore è la tecnologia Blu Ray, che si basa sull’uso di un laser blu invece che infrarosso come nei Compactdisc e nei primi DVD.” (EI p. 47). Il vocabolo indica un referente ben specifico secondo i dizionari esaminati, che offrono definizioni quasi identiche, e attestano l’entrata della parola nel vocabolario italiano al 1983. La ricerca sul web offre circa 2.220.000 di risultati su Google Italia, ad esempio: “I «Compact Disc» hanno segnato una rivoluzione nel campo musicale e nell' industria della registrazione
e
dei
supporti
digitali.”
Da:
http://www.xonic.it/index.php?option=com_content&task=view&id=20&Itemid=35. La parola è accolta sia nel MW sia nell’OED. Entrambi attestano al 1979 la sua comparsa all’interno dell’uso inglese e anglo-americano, e offrono analoghe definizioni alla voce. È interessante sottolineare come la definizione indicata dall’OED (“a disc on which sound or data is recorded digitally as a spiral pattern of pits and bumps underneath a smooth transparent protective layer and reproduced by detecting the reflections of a laser beam focused on the spiral”) sia più tecnica rispetto a quella offerta dal MW: “a small optical disk usually containing recorded music or computer data”. Il MW specifica che il vocabolo può anche designare il contenuto di un compact disc “as music or a computer program”. La versione inglese di Google visualizza circa 5 milioni di indirizzi web inerenti questa voce.
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Computer: s. m. ‘Apparecchiatura elettronica in grado di elaborare dati’: “Quest’anno il laser entra nei computer di casa.” (J p. 14). Il termine rientra fra gli anglicismi più diffusi in italiano. La voce è accolta da tutti i dizionari: il GRADIT e lo ZING 09 concordano nell’attestare al 1966 l’entrata di tale parola nella nostra lingua, e lo traducono in “elaboratore elettronico” (traduzione accolta anche nel GARZ 09). La versione italiana di Google reperisce, in Internet, circa 107 milioni di risultati relativi a questo vocabolo, tra cui: “Con le sue tredici uscite all'anno, Computer Magazine rappresenta il punto di riferimento per chi vuole sapere tutto quello che serve davvero sul mondo dei computer, di Internet e della tecnologia.” Da: http://www.sprea.it/scheda.php?id_riv=29. La ricerca effettuata sui dizionari online offre molte informazioni riguardanti questo termine: se il MW lo definisce semplicemente “a programmable usually electronic device that can store, retrive, and process data”, l’OED specifica anche il principale utilizzo di tale dispositivo: “used for handing text, music, and video, accessing and using the Internet, communicating with other people (e.g. by means of mail), and playing games”. I computer hanno, infatti, subito varie modifiche nel tempo, soprattutto nel loro aspetto fisico, passando dal funzionamento a valvole a quello a transistor (1960), per poi passare definitivamente ai circuiti integrati e ai microprocessori durante gli anni ’70. Anche il termine stesso si è a volte evoluto, come in Francia (che ha prima accolto il termine dall’inglese e poi lo ha adattato in ordinateur), o in Spagna (ordenador, computador, computadora). In Italia, al contrario, il vocabolo non ha mai subito adattamenti, finendo per diventare il prestito non adattato della nostra lingua per eccellenza. Entrambi i dizionari online attestano al 1946 il primo utilizzo della parola nell’uso inglese e in quello anglo-americano. Google UK segnala circa 117 milioni di indirizzi web in cui la parola è presente.
Database: s. m. ‘Banca dati elettronica, nella quale le informazioni possono essere facilmente consultate o modificate’: “Esci permette di abbandonare il programma, mentre Database apre la finestra Rubrica, dove sono esposti i numeri di telefono memorizzati.” (EI p. 71). La comparsa di questa parola all’interno della lingua italiana è attestata al 1979; il termine è una locuzione composta dalle voci data “insieme di dati destinati ad essere elaborati” e base “supporto, base” (ZING 09). Il GRADIT e il GARZ 09 concordano nel definire database un “archivio elettronico” di dati registrati secondo una determinata struttura. Google Italia elenca circa 15.300.000 risultati relativi a questa parola, tra cui: “Archivio di dati eterogeneo gestito dal computer che memorizza e organizza i dati per una loro veloce gestione (ricerca,
cancellazione,
inserimento).”
Da:
lib/diz.cgi?frame&key=db. 20
http://www.dizionarioinformatico.com/cgi-
Il vocabolo è reperibile sia nell’OED sia nel MW, che lo definisce “a usually large collection of data organized especially for rapid search and retrieval (as by a computer)” ; l’OED offre la definizione: “a structured collection of data held in a computer storage”. Entrambi i dizionari fanno risalire al 1962 la prima attestazione della parola nell’uso inglese e in quello angloamericano; l’OED indica anche la prima definizione data al vocabolo: (Technical Memo. /System Development Comp., Calif.) TM-WD-16/007/00. i. 5 A ‘database’ is a collection of entries containing item information that can vary in its storage media and in the characteristics of its entries and items. Secondo Google UK il vocabolo compare in 62,5 milioni di siti Internet.
Decoder: s. m. ‘Dispositivo che decodifica i segnali in codice trasmessi da un’emittente televisiva permettendo la visualizzazione in chiaro di programmi criptati’: “Inoltre, le registrazioni memorizzate sull’hard disk non possono essere copiate all’esterno, e non è presente nessun ingresso video che consenta di acquisire direttamente il video proveniente, per esempio, da un decoder satellitare o da una videocamera.” (AF p. 35). Il GRADIT afferma che l’entrata di questo termine all’interno della lingua italiana risale al secolo XX, mentre lo ZING 09 indica il 1997. I tre dizionari traducono il vocabolo in “decodificatore”, e sottolineano l’importanza di tale apparecchio nella visualizzazione dei programmi criptati trasmessi dalle emittenti televisive private. Riguardo questa parola, il numero di risultati reperiti sulla versione italiana di Google è di circa 3 milioni, tra cui si segnala: “Per vedere Mediaset Premium è necessario avere un decoder interattivo
o
un
televisore
con
cam,
abilitati
al
servizio
pay
tv
Mediaset.”
Da:
http://www.mediasetpremium.it/informazione/boxinterattivo/boxinterattivo_ricerca.shtml. IlMW definisce la parola “an electronic device that converts signals from one form to another (as for unscrambling a television transmission)”; l’OED non accoglie il termine direttamente, ma sotto la voce decode possiamo ritrovare il riferimento a decoder, parola che viene definita: “one who or what wich decodes”. Per comprendere meglio questo concetto si può far riferimento alla definizione fornita dall’OED e datata 1962: Gloss. Autom. Data Processing (B.S.I.) 83 Decoder. 1. A device capable of decoding a group of signals and generating other signals which may initiate an operation. Google UK visualizza circa 2.130.000 di risultati inerenti questo vocabolo.
Design: s. m. ‘Stile, estetica di un prodotto’: “Rispetto alla maggior parte dei lettori presentati in queste pagine, il prodotto di Lg offre una linea di design più tradizionale.” (AF p. 32). 21
La comparsa della voce nella lingua italiana è attestata al 1954 nel GRADIT e al 1957 nello ZING 09. I dizionari si riferiscono al vocabolo con definizioni che rimandano sia all’attività di progettazione di un prodotto da fabbricare in serie sia all’aspetto di un oggetto prodotto industrialmente; proprio il termine “aspetto” viene accolto in maniera uniforme come principale traduzione della voce considerata. La versione italiana del motore di ricerca Google segnala 103 milioni di siti Internet in cui il vocabolo è accolto, ad esempio: “Design eco-sostenibile: prodotti di design verde e novità dal mondo della progettazione ecologica.” Da: http://www.designerblog.it/categoria/eco-design. Il termine è ampiamente accolto da entrambi i dizionari online. L’OED indica alcune interessanti informazioni riguardo all’origine della voce: esso deriva dal vocabolo italiano “disegno”, che nel secolo XVI aveva il significato di “scopo, progetto, modello”. Il vocabolo venne dato in prestito al francese dove, attraverso una graduale differenziazione della pronuncia, vennero a crearsi due parole aventi significati diversi: dessein, che significava “scopo, piano” e dessin, che si riferiva al disegno inteso come rappresentazione artistica. In inglese la parola ha acquisito entrambi i significati. Il vocabolo fa parte di quel gruppo di termini che, dopo essere stati dati in prestito ad altre lingue, fanno ritorno nella lingua d’origine con un nuovo significato. Parole del genere sono definite “cavalli di ritorno”. (D'Achille 2003, p. 71) La ricerca effettuata su Google UK rivela che questo termine è presente in circa 474 milioni di siti web.
Desktop: s. m. ‘Area del computer dove vengono visualizzate le icone che rappresentano i programmi di quest’ultimo’: “Sfruttando le caratteristiche della programmazione grafica tramite il Linguaggio-G, è possibile sviluppare la propria applicazione di controllo su una macchina desktop e trasferirla su un target indipendente.” (EI p. 66). Lo ZING 09, il GARZ 09 e il GRADIT non concordano sulla definizione da attribuire al vocabolo: mentre i primi due lo definiscono “rappresentazione grafica delle risorse disponibili che compare sullo schermo all’avvio del computer” (ZING 09) e “area dello schermo che viene visualizzata all’avvio del sistema, nella quale sono presenti icone rappresentanti file, cartelle o programmi” (GARZ 09), il GRADIT elenca le definizioni “computer da tavolo”; “in un programma specifico di grafica, visualizzazione degli strumenti che si possono trovare sul piano di una scrivania”. Lo ZING 09 attesta l’entrata del termine all’interno della lingua italiana al 1989. Google Italia visualizza 16.300.000 indirizzi web relativi a questa voce, tra cui: “Questo sito colleziona sfondi desktop, ha un vasto database di immagini di qualità che possono essere scaricate e usate gratuitamente come sfondi desktop.”Da: http://www.memic.net/. 22
Il vocabolo è rinvenibile sia sul MW: “an area or window on a computer screen in which icons are arranged in a manner analogous to objects on top of a desk”, che sull’OED: “the working area of a computer screen regarded as a representation of a notional desktop and containing icons representing items such as files and waste bin, used analogously to the items they symbolize”. L’OED accoglie anche la definizione “the top or working surface of a desk”, che fa riferimento a tutti gli strumenti presenti su una scrivania (calcolatrici, fogli) i quali, grazie alla tecnologia, sono stati trasposti sullo schermo dei computer e che consentono di compiere elettronicamente tutte quelle operazione che prima venivano compiute manualmente; lo stesso OED attesta al 1982 la comparsa della voce in lingua inglese: Byte Apr. 256/1 Every user’s initial view of Star is the ‘Desktop’, which resembles the top of an office desk. La ricerca web effettuata su Google UK offre circa 31 milioni di risultati.
Display: s. m. ‘Schermo dove vengono visualizzati in forma visiva i dati forniti da un apparecchiatura elettronica’: “Con tutte le riserve del caso (sulla scarsità di contenuti e sulla qualità non sempre soddisfacente dei display), l’anno appena trascorso sarà certamente ricordato come quello in cui il 3D è finalmente entrato nelle case degli italiani.” (AF p. 31). La parola è accolta in tutti dizionari; non vengono riscontrate incongruenze nelle definizioni da essi fornite. L’unica differenza viene riscontrata nella data di accoglimento del vocabolo nella lingua italiana: il 1977 secondo il GRADIT , il 1979 secondo lo ZING 09. Il motore di ricerca utilizzato, nella sua versione italiana, restituisce circa 27.300.000 risultati riguardanti questo vocabolo, tra cui: “Capita spesso che il display in materiale plastico del cellulare o dell’ IPod o qualsiasi diavoleria elettronica volete, si riempia di antiestetici piccoli ma fastidiosi graffi, vediamo come eliminarli con poca fatica e soprattutto con poca spesa.” Da: http://www.creareonline.it/2010/03/eliminare-i-graffi-dal-display-del-cellulare-007327.html. È il MW ad offrire la definizione più adatta a descrivere il significato che la parola ha acquisito nel mondo della tecnologia: “an electronic device (as a cathode-ray tube) that presents information in visual form”. L’OED, invece, offre tale definizione: “a visual presentation of data from a computer, whether by means of a cathode-ray tube or some other device; also a device or system used for this”. In questo caso ci troviamo di fronte ad uno slittamento semantico grazie a cui il termine è in grado di designare sia una presentazione visiva di dati visualizzati da un dispositivo elettronico che il dispositivo stesso. La voce, ricercata mediante la versione inglese di Google, è stata rinvenuta in circa 150 milioni di siti web.
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E-book: s. m. ‘Libro in formato digitale’: “Mi pare, però, di aver sentito che è appena arrivato sul mercato un e-book a colori.” (EI p. 5). Il vocabolo è presente in tutti i dizionari italiani e universalmente definito “libro elettronico”. La sua comparsa all’interno della nostra lingua è attestata al 1999 nel GRADIT e al 1996 nello ZING 09. Google Italia offre 7.400.000 risultati inerenti questa parola, ad esempio: “Ebook da scaricare gratuitamente, liberi da copyright, ricercabili per genere, periodo, paese.” Da: http://www.dienneti.it/biblioteche.htm. Il termine è reperibile anche nei dizionari online. Il MW lo definisce “a book composed in or converted to digital format for display on a computer screen or handheld device”, attestando al 1988 la prima apparizione della voce in anglo-americano. L’OED (che conferma il 1988 come anno di prima attestazione del vocabolo nell’uso inglese) offre una definizione più ampia e completa: “a hand-held electronic device on which the text of a book can be read. Also: a book whose text is avalaible in an electronic format for reading on such a device or on a computer screen; (occas.) a book whose text is avalaible only or primarily on the Internet”. Il termine va dunque a designare sia il dispositivo che permette di leggere i libri elettronici, che il libro elettronico stesso. La prima attestazione di tale parola nell’uso inglese è stata rilevata dall’OED: Amer. Libraries (Nexis) May 390 Things to come…The E-book, a small, hand-held, flat recording device able to replay text as a portable cassette player replays sound. La versione inglese di Google elenca, relativamente a questa parola, circa 45 milioni di risultati.
E-mail: s. f. ‘Lettera in formato elettronico, che può essere inviata tramite Internet’: “Lavorare nel marketing è sempre stato il suo sogno così, quando il direttore delle risorse umane di una grande azienda lo contatta via e-mail, lui non sta più nella pelle.” (J p. 30). La parola, entrata nel linguaggio quotidiano di milioni di italiani, è accolta nello stesso identico modo in tutti i dizionari, e viene tradotta in “posta elettronica”. Nello ZING 09 e nel GARZ 09 troviamo anche altre accezioni attribuibili al termine: “messaggio di posta elettronica”e “indirizzo di posta elettronica”, mentre il GRADIT si limita ad elencare, come ulteriori accezione, solo la prima di queste. La comparsa della parola all’interno della lingua italiana è attestata al 1991, secondo il GRADIT e al 1993, secondo lo ZING 09. Il termine è presente, secondo Google Italia, in 167 milioni di siti , tra cui: “Cerca gli indirizzi email delle aziende italiane nell'elenco delle imprese italiane con email.” Da: http://www.pagine-mail.it/. 24
Il vocabolo viene definito dal MW “messages sent and received electronically through an e-mail system”; l’OED specifica semplicemente che il termine è l’abbreviazione di electronic mail. Entrambe le risorse online attestano al 1982 la comparsa del termine nell’uso inglese e in quello anglo-americano, ma l’OED aggiunge che ciò è avvenuto su Computerworld 5 July 68 ADR/Email is reportedly easy to use and feature simple, English verbs and prompt screens. Il vocabolo è stata reperito su circa 840 milioni di indirizzi web da Google UK.
File: s. m. ‘Insieme di dati che viene solitamente elaborato come un’unica entità’: “Passando alla riproduzione dei contenuti, l’interfaccia di presentazione delle varie tipologie di file si presenta in maniera piacevole e facilmente leggibile.” (AF p. 34). La voce, entrata nel lessico italiano nel 1972 secondo il GRADIT e nel 1969 secondo lo ZING 09, viene definita in maniera analoga dai tre dizionari. Inoltre, essi segnalano come sinonimo di tale termine la parola “archivio”. La versione italiana del motore di ricerca utilizzato elenca quasi 100 milioni di risultati, ad esempio: “Ogni file è caratterizzato da un nome e da un’estensione. Il nome viene scelto dall’utente del computer nel momento in cui salva il file; l’estensione invece dipende dalla tipologia di file a cui si fa riferimento.” Da: http://www.caspur.it/formazione/mais/html/mais_modulo_1/1.14.html. Il vocabolo è rinvenibile in entrambi i dizionari online. Il MW elenca le definizioni “a collection of related data records (as for a computer)” e “a complete collection of data (as text or a program) threated by a computer as a unit especially for purposes of input and output”; l’OED definisce la voce “a collection of related records stored for use by a computer and able to be processed by it”. Questa parola è comparsa per la prima volta nell’uso inglese (con questa accezione) nel 1954 in Jrnl. Assoc. Comput. Mach. I. 8/2 A ‘master’ tape..contains the file of unit records as at the last date of processing. Il vocabolo è reperibile, secondo Google UK, su 263 milioni di siti web.
Film: s. m. ‘Opera cinematografica che può essere prodotta mediante diverse tecniche’: “Abbiamo quindi voluto indagare sulla resa dei film in 3D.” (AF p. 31). Non esistono dubbi riguardo alla prima attestazione di questo vocabolo, risalente al 1889 sia per il GRADIT che per lo ZING 09. Il termine film, in inglese, ha il significato di “pellicola” e l’origine di tale denominazione si deve alla particolare pellicola su cui è possibile imprimere delle sequenze che, visualizzate ad una velocità elevata, donano la sensazione del movimento. Attualmente la parola fa riferimento anche a realizzazioni cinematografiche realizzate con tecniche elettroniche, ad esempio il formato digitale. 25
La versione italiana di Google visualizza circa 171 milioni di risultati relativi a questa voce, ad esempio: “È con grande piacere che vi informiamo che il film «Ice Scream» di Vito Palumbo e Roberto De Feo, già vincitore della sezione «Sui Generis» all'ultima edizione del Lago Film Fest, verrà mandato in onda in anteprima nazionale il 30 ottobre a mezzanotte su MTV e il 31 ottobre alle 23.00 su Coming Soon Television.” Da: http://www.lagofest.org/. Il vocabolo è presente in entrambi i dizionari online, che la definiscono in maniera analoga. Il MW offre l’esatta definizione del termine sotto la voce motion picture: “a series of pictures projected on a screen in rapid succession with objects shown in successive positions slightly changed so as to produce the optical effect of a continuous picture in which the objects move”. Tale definizione è seguita dal vocabolo movie, l’equivalente inglese del nostro film: in italiano i termini “film” e “pellicola” designano il contenuto di una pellicola cinematografica. L’OED definisce la voce “a cinematographic representation of a story, drama, episode, event, etc.; a cinema performance; pl. the cinema, the pictures, the movies”. Entrambi i dizionari chiariscono come l'accezione di nostro interesse derivi dal significato acquisito dal termine in ambito fotografico: “a thin sheet of cellulose acetate or nitrocellulose coated with a radation sensitive emulsion for taking photographs” (MW). Con tale accezione, la voce compare per la prima volta in lingua inglese nel 1845 (secondo l’OED); essa acquisirà anche un’accezione cinematografica nel 1905. Il motore di ricerca Google UK segnala circa 166 milioni di indirizzi Internet in cui compare il vocabolo.
Flash: s. m. ‘Apparecchio in grado di emettere un fascio di luce per un brevissimo istante, dando la possibilità di illuminare il soggetto di una fotografia’: “Sopra la macchina, ben tre ghiere, la presa per il flash esterno, il pulsante di accensione e spegnimento e quello di scatto.” (AF p. 109). Attraverso questa voce, presente in tutti i dizionari esaminati, si indica un lampo di luce molto intenso utilizzato nel campo della fotografia. La sua comparsa è attestata il 1924, sia secondo il GRADIT che secondo lo ZING 09. Tutti i dizionari traducono la parola in “lampo” e il GRADIT suggerisce, inoltre, che il vocabolo è di origine onomatopeica e che la sua prima attestazione nella lingua inglese risale al 1556. La versione italiana di Google visualizza circa 166 milioni di risultati inerenti questa voce, ad esempio: “Questi flash sono ideali per quando il sole inonda di illuminazione la location.” Da: http://it.emcelettronica.com/flash. Il termine è presente sia nell’OED che nel MW. Quest’ultimo offre tale definizione: “a device producing a flashlight for taking photographs”, dove per flashlight si intende “a sudden bright artificial light used in taking photographic pictures”. Possiamo dedurre che con questo 26
termine ci si può riferire sia al dispositivo che crea un fascio di luce nel momento in cui viene scattata una foto, sia alla luce stessa. L’OED segnala questa parola sia nella forma flashlight che in quella flash-gun, dove quest’ultima viene così definita: “a device that can be attacched to a camera to hold and operate a flash-bulb”. Il motore di ricerca Google UK visualizza 157 milioni di siti dove il termine è utilizzato.
Flop: s. m. ‘Insuccesso’: “Insomma c’è già chi prevede il flop e Microsoft gongola affilando le armi di Zune.” (J p. 71). Il termine è reperibile in tutti i dizionari. Il GARZ 09 traduce la voce in “fiasco”, e aggiunge che essa è una parola inglese che vuol dire letteralmente “tonfo”; lo ZING 09 (che al pari del GRADIT attesta la comparsa nella lingua italiana del termine al 1893) aggiunge a queste accezioni quella di “fallimento”; il GRADIT, oltre a condividere tali traduzioni, specifica l’origine onomatopeica nell’uso inglese del vocabolo, facendo risalire la comparsa della parola nella sua lingua natale al 1662. Google Italia elenca circa 5.140.000 risultati relativi a questa parola, tra cui: “Flop è un termine inglese, equivalente all'italiano fiasco, che indica il mancato successo di un prodotto, rispetto alle aspettative del produttore/venditore.” Da: http://it.wikipedia.org/wiki/Flop. È molto interessante sottolineare come l’OED specifichi che il vocabolo provenga dal gergo universitario statunitense (U.S. college slang), attestando l’entrata della parola nell’uso inglese al 1851 (B. H. HALL College Words, s.v., Any ‘cute’ performance by which a man is sold [deceived] is a good flop). Il MW, che attesta al 1820 l’entrata del vocabolo nell’uso anglo-americano, si limita ad indicare la definizione: “a complete failure”. La versione inglese di Google segnala circa 5.370.000 di siti web in cui la voce è utilizzata.
Hard disk: s. m. ‘Parte di un apparecchiatura elettronica che costituisce la memoria di quest’ultima’: “Il passaggio dalle videocassette ai dvd ha in parte frenato il fenomeno, ma più recentemente lo sviluppo dei sistemi di registrazione con hard disk integrato (i cosiddetti Pvr, Personal Video Recorder) ha riproposto queste funzioni in tutta la loro efficacia.” (AF p. 32). Tutti i dizionari italiani accolgono questo termine, traducendolo in “disco rigido”. Sia lo ZING 09 che il GRADIT attestano al 1985 l’entrata della parola all’interno della lingua italiana. È interessante sottolineare che il GRADIT e il GARZ 09 forniscono un’ulteriore traduzione alla locuzione: “disco fisso”, il cui utilizzo è molto frequente (almeno quanto l’utilizzo di disco rigido). La versione italiana di Google segnala quasi 11 milioni di risultati inerenti questa parola, tra cui: “Tutti gli hard disk disponibili di un sistema operativo Windows 7, vengono automaticamente 27
elencati nella cartella My Computer, distinguendoli tra periferiche portatili, virtuali o fisse.” Da: http://www.wikio.it/high_tech/computer/hardware/componenti/hard_disk. La voce non viene accolta dall’OED, mentre il MW la definisce “a rigid metal disk coated with a magnetic material on which data for a computer can be stored”. Lo stesso MW indica il 1978 come anno di prima attestazione del termine nel vocabolario anglo-americano. Il vocabolo è presente in 11.600.000 di indirizzi web, secondo Google UK.
Hardware: s. m. ‘Parte fisicamente tangibile di un computer’: “Ma l’aspetto forse più interessante del formato sta nella «compatibilità all’indietro» del formato verso qualunque player Mp3 sia esso software che hardware.” (AF p. 8). Non si riscontrano particolari differenze nelle definizioni fornite dai vari dizionari. La parola designa, infatti, tutte le parti fisiche che compongono le apparecchiature elettroniche, come i computer. Si riscontrano differenze riguardo alla data di prima attestazione che, secondo il GRADIT, risale al 1970, un anno dopo l’attestazione indicata dallo ZING 09. Il vocabolo è in contrapposizione con il termine software. Google Italia mette a disposizione circa 21 milioni di siti in cui il vocabolo è utilizzato, ad esempio: “Con hardware, in ingegneria elettronica e informatica si indica la parte fisica di un personal computer, ovvero tutte quelle parti magnetiche, ottiche, meccaniche ed elettroniche che ne consentono
il
funzionamento
(dette
anche
strumentario).”
Da:
http://it.wikipedia.org/wiki/Hardware. Entrambi i dizionari online definiscono il vocabolo in maniera analoga: “the phisical components (as electronic and electrical devices) of a vehicle (as a spacecraft) or an apparatus (as a computer)” (MW); “the phisical components of a system or device as opposed to the procedures required for its operation” (OED). L’OED conferma che il vocabolo si contrappone al termine software, e attesta la comparsa del termine nell’uso inglese al 1947 (D. R. HARTREE Calculating Machines in the ENIAC…I shall give a brief account of it, since i twill make the later discussion more realistic if you have an idea of some ‘hardware’ and how it is used, and this is the equipment with which I am best acquainted). La ricerca sul web segnala circa 60 milioni di risultati reperiti dalla versione inglese di Google.
Hit: s. m. o f. ‘Canzone di successo’: “Se voglio, scelgo una hit e la funzione SensMe crea una playlist a tono analizzandone il ritmo.” (J p. 62).
28
Questo vocabolo è presente in tutti i dizionari; non si riscontrano particolari differenze semantiche tra le definizioni fornite. In tutti i casi la parola viene tradotta in “colpo”, nel senso di “colpo messo a segno” (ZING 09). Il termine è utilizzato generalmente nel campo dell’industria discografica, relativamente ad una canzone che ottiene successo. L’accoglimento del vocabolo in italiano risale al 1970 secondo lo ZING 09, e al 1969 secondo il GRADIT. Quest’ultimo specifica, inoltre, che la parola può riferirsi, per estensione, anche a successi cinematografici o editoriali. Google Italia segnala 27.400.000 risultati inerenti la voce, tra cui: “È la Radio che hai sempre sognato! On-line 24 ore su 24, 7 giorni su 7, una cascata di hit non stop, dagli intramontabili successi di ieri a tutta la musica più forte del momento!” Da: http://www.105.net/sezioni/inradio/radio/index.php?ch=2&webradio=105%20Hits. Il termine è reperibile in entrambi i dizionari online. Il MW si limita a definirlo “a great success”, l’OED lo definisce “a successful stroke made in action or performance of any kind; esp. any popular success (a person, a play, a song, etc.) in public entertainement”. L’OED, inoltre, specifica che la voce è comparsa per la prima volta nell’uso inglese nel 1811: C. MATHEWS Let. 22 June (1838) II. 123 Maw~worm was a most unusual hit, I am told. Il motore di ricerca utilizzato, nella sua versione inglese, visualizza 127 milioni di risultati.
Hobby: s. m. ‘Attività svolta nel tempo libero, passatempo’: “Ricostruito il morale ed il modello si riprova: in molti casi i successivi crash fanno dirottare i meno tenaci verso hobby meno demoralizzanti.” (EI p. 102). Il termine è rinvenibile in tutti i dizionari e universalmente tradotto in “passatempo”, “svago”. È interessante soffermarsi sulle differenti origini della parola indicate dai diversi dizionari: il GRADIT specifica che hobby è l’accorciamento della locuzione hobby horse, definito “cavallo irlandese di piccola taglia” o “cavalluccio giocattolo” e aggiunge che il primo termine della locuzione è di “origine incerta, forse nome proprio”; anche lo ZING 09 conferma questa teoria, aggiungendo però che tale voce designava, prima di acquisire il significato di passatempo, il “cavallo della giostra”. A chiarire meglio la questione ci pensa il GARZ 09, che afferma come il vocabolo sia “probabilmente il diminutivo del nome proprio Robin o Robert” e che “in origine indicava un giocattolo costituito da un bastone con il pomo a forma di cavalluccio”. La data di prima attestazione nella nostra lingua, secondo lo ZING 09, è il 1952;secondo il GRADIT è il 1956. Google Italia segnala il termine in circa 16 milioni di siti Internet, ad esempio: “Ho voluto creare questa sezione per dedicare uno spazio ai miei hobby, qui troverete una galleria con le foto degli oggetti da me realizzati e le relative spiegazioni per poterli creare pure voi.” Da: http://www.lascatoladeisegreti.it/hobby.htm. 29
La parola è presente in entrambi i dizionari online. Il MW offre la definizione “a pursuit outside one’s regular occupation engaged in especially for relaxation”; l’OED, facendo riferimento alla teoria del cavalluccio giocattolo (toy horse), definisce così la voce: “a favourite occupation or topic, pursued merely for the amusement or interest that it affords, and which is compared to the riding of a toy horse: an individual pursuit to which a person is devoted (in the speaker’s opinion) out of proportion to its real importance”. Lo stesso OED conferma anche la teoria secondo la quale il vocabolo non è altro che il soprannome Hobin, Hobby, variante di Robin, Robbie. Entrambi i dizionari attestano la comparsa del termine nell’uso inglese e in quello anglo-americano al 1816: Scott Antiq. xi, I quarrel with no man’s hobby (OED). La parola è presente su poco più di venti milioni di siti web, secondo Google UK.
Home theater: s. m. ‘Insieme di apparecchiature elettroniche che consente una riproduzione ottimale di contenuti audio e video’: “Il formato Mp3 Surround è un’evoluzione dello standard Mp3, in grado di supportare i 5.1 canali audio dell’home theater.” (AFp. 8). Questa locuzione è accolta nei dizionari italiani, che forniscono definizioni analoghe. Tuttavia un aspetto sul quale vale la pena soffermarsi è la presenza di due diverse forme ortografiche: lo ZING 09 e il GARZ 09 accolgono la voce nella sua variante inglese home theatre, e accennano anche all’alternativa variante americana (in realtà quella più diffusa) home theater; il GRADIT accoglie direttamente quest’ultima forma e indica, come data di prima attestazione nella nostra lingua, il 1997 (in quell’anno la parola fa la sua prima apparizione su “L’Espresso”); lo ZING 09 attesta l’entrata della parola nella lingua italiana al 1993. Google Italia segnala circa 1.740.000 indirizzi web in cui compare questa parola, tra cui: “Gli attuali sistemi home theater includono praticamente tutto ciò che vi serve per trasformare il vostro
soggiorno
in
un
centro
di
intrattenimento
simile
al
cinema.”
Da:
http://www.guidaacquisti.net/home-theater. Il termine è assente nell’OED; il MW, oltre a indicare l’anno di entrata della parola nell’uso anglo-americano (1980), la definisce “an entertainment system for the home that usually consists of a large television with video components (as a DVD player and VCR) and an audio system offering surround sound”. La versione inglese di Google, riguardo questo vocabolo, visualizza 6.590.000 risultati.
Input: s. m. ‘Inserimento di dati e informazioni’: “Certo le idee spesso vengono da input esterni.” (EI p. 1).
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Il vocabolo, presente in tutti i dizionari, viene attestato per la prima volta nel 1957 dallo ZING 09 e nel 1951 dal GRADIT. Tutti i dizionari accolgono sia la definizione relativa all’immissione di dati in un elaboratore elettronico, sia il senso figurato attribuibile al vocabolo: “impulso che dà inizio a qualcosa” (ZING 09). Il termine è in contrapposizione con la voce output. Google Italia reperisce questa voce in quasi 10 milioni di indirizzi web, ad esempio: “Input è un termine inglese con significato di «immettere» che in campo informatico definisce una sequenza di dati o informazioni, emessi per mezzo di una «periferica di input» e successivamente elaborati.” Da: http://it.wikipedia.org/wiki/Input. La parola è presente sia nell’OED che nel MW. L’OED la definisce: “Data or program instructions that are fed into or processed by a computer; also, the physical medium on which these are represented”. La seconda parte di questa definizione si riferisce alle cosiddette “periferiche di input”, dispositivi o apparecchi necessari per inserire dati o informazioni nei computer. Sempre secondo l’OED la comparsa della parola in lingua inglese è attestata al 1948, mentre il MW ne posticipa l’entrata al 1988, definendo inoltre il vocabolo: “information fed into a data processing system or computer”. La parola è presente, secondo Google UK, in quasi 53 milioni di siti Internet.
Internet: s. m. o f. ‘Rete informatica mondiale che consente di mettere in comunicazione tra loro computer locati in quasi tutto il pianeta’: “Nonostante i progressi compiuti, anche nel migliore tra i modelli presentati in questa comparativa la probabilità di scaricare un file qualsiasi da Internet e di riprodurlo è ancora bassa.” (AF p. 56); “Per l’ampiezza di offerta e i numerosi consigli pratici, merita senz’altro una visita il sito Internet del produttore.” (EI p. 28). La parola è reperibile in tutti i dizionari: il GRADIT ne attesta l’entrata nella lingua italiana al 1997, mentre lo ZING 09 ne attesta la comparsa al 1990. La definizione non varia particolarmente da un dizionario all’altro, ma l’aspetto che desta più interesse in assoluto è il fatto che il termine può essere utilizzato sia come sostantivo che come aggettivo, anteponendo ad esso sostantivi come “sito” (ZING 09 e GARZ 09) o “sistema” (GRADIT). La versione italiana di Google reperisce quasi 200 milioni di risultati inerenti questa parola, tra cui si segnala: “È una rete mondiale di computer interconnessi alla quale si può accedere e trovare informazioni, fare acquisti, parlare con altri utenti e molto altro.” Da: http://www.pcfacile.com/glossario/Internet/. Il MW accoglie il vocabolo con una definizione piuttosto precisa: “an electronic communications network that connects computer facilities around the world” e attesta l’entrata del termine nell’uso anglo-americano al 1985; nell’OED si possono ritrovare interessanti informazioni 31
riguardo questa tecnologia: in origine Internet era una rete di computer ideata per collegare un determinato numero di reti più piccole, come ad esempio ARPANET (1971), una rete sviluppata dal ministero della difesa degli Stati Uniti d’America. Successivamente questa tecnologia si è evoluta, arrivando a fornire una vasta gamma di servizi d’informazione e comunicazione ai propri utenti, grazie a tutta una serie di reti collegate reciprocamente l’una all’altra. Lo stesso OED attesta l’entrata del termine nel vocabolario dell’uso inglese al 1974: V. G. CERF et al. Request for Comments (Network Working Group)(Electronic text) No. 675. 1 (title) Specification of Internet transmission control program. La ricerca web offre circa 400 milioni di risultati elencati da Google UK.
Jack: s. m. ‘Spinotto utilizzato come connettore di apparecchiature audio e video’: “Nella barra sono inoltre presenti un ingresso AUX con jack da 3,5.” (AF p. 23). Ritroviamo il termine in tutti i dizionari: il GRADIT e lo ZING 09 attestano al 1937 l’entrata della parola nel vocabolario italiano e definiscono l’oggetto a cui la voce si riferisce “spina”; il GARZ 09 utilizza semplicemente il termine “presa”. La versione italiana di Google elenca 16.500.000 risultati, tra cui scarseggiano quelli in grado di ricollegare il vocabolo al contesto considerato, come ad esempio: “Il connettore jack o connettore TRS è un connettore utilizzato spesso nel campo dell'audio e in particolar modo per i dispositivi portatili.” Da: http://it.wikipedia.org/wiki/Connettore_Jack. La ricerca sui dizionari online ha prodotto interessanti spunti riguardo questo termine. Il MW, infatti, definisce il vocabolo “a female fitting in an electric circuit used with a plug to make a connection with another circuit”; la ricerca sull’OED è stata più complessa, a causa dell’ elevatissimo numero di accezioni collegate alla parola: ritroviamo l’accezione riguardante l’ambito tecnologico sotto la voce composta jack-plug, definita “a single-pronged plug for use with a jack”, definizione che rimanda a quella inerente all’ambito telegrafico: “a socket or receptacle having one or more pairs of terminals and designed so that insertion of a suitable plug enables a device to be quickly intoduced into a circuit”. Questo “spinotto” è stato dunque concepito come strumento da utilizzare nel campo delle comunicazioni telegrafiche, come si può dedurre dalla prima attestazione della parola in lingua inglese, datata 1891; con l’evoluzione tecnologica il vocabolo ha acquisito anche altre funzioni, tra cui quella relativa al contesto considerato. Il motore di ricerca utilizzato, nella sua versione inglese, visualizza circa 48 milioni di risultati.
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Joystick: s. m. ‘Periferica che trasforma in impulsi elettronici i movimenti messi in atto da una persona su una leva, consentendo così di giocare ai videogiochi o di manovrare oggetti telecomandati’: “Serve per gestire l’NXT tramite il joystick della Sony Playstation 2 (oppure ogni altro controllo/joystick PS2 compatibile).” (EI p. 116). Il termine, accolto in tutti i dizionari, è considerato dal GRADIT e dallo ZING 09 (che ne attestano la prima apparizione nelle nostra lingua nell’anno 1984) come il composto delle parole joy, propriamente “gioia” e stick, che significa “barra”; il GARZ 09 si spinge oltre, specificando come la parola sia “di origine gergale con significato osceno, composto di stick «barra» e joy «piacere»”. La ricerca effettuata mediante Google Italia mette a disposizione quasi 2 milioni di risultati, tra cui: “Esistono alcune categorie di videogiochi per le quali i normali joystick analogici dei PC non sono molto adatti.” Da: http://zeligplanet.altervista.org/zgm/arcade.htm. Il vocabolo è rinvenibile in entrambi i dizionari online. L’OED lo segnala nella forma joystick, specifica che esso è un termine gergale inglese e indica tale definizione: “a small lever that can be moved in each of two dimensions to control the movement of an image on a television or VDU screen”. Il MW offre una definizione molto simile: “a control for any of various devices (as a computer) that resembles an airplane’s joystick especially in being capable of motion in two or more directions”, e sottolinea come la parola derivi dalla voce gergale inglese joystick “penis” (pene). Google UK reperisce circa 2.770.000 indirizzi Internet in cui la voce è reperibile.
Kit: s. m. ‘Insieme di strumenti in dotazione destinato ad uno specifico scopo o funzione’: “Gli utenti verranno invitati a registrarsi a DesignSpark ed avere così accesso a migliaia di recensioni sui kit di sviluppo.” (EI p. 37). A questa parola possono essere ricollegate diverse accezioni, ritrovate in tutti i dizionari utilizzati finora: lo ZING 09 traduce questa voce con i termini “equipaggiamento, corredo, attrezzatura”, il GARZ 09 lo traduce con i vocaboli “utensili, attrezzi”. La data di prima attestazione risale al 1963 secondo lo ZING 09, al 1973 secondo il GRADIT. Google Italia indica circa 24 milioni di siti web contenenti questa parola, ad esempio: “Abbiamo pertanto ritenuto utile allestire questo kit del giornalista, ovvero una sorta di cassetta degli attrezzi pensata per tutti quelli che oggi scrivono e parlano di università, ma che forse non l’hanno
mai
conosciuta
a
fondo
dall'interno
http://sites.google.com/site/protestaunipi/kit-del-giornalista.
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(se
non
come
utenti).”
Da:
Il vocabolo è presente in entrambi i dizionari online. Il MW accoglie la voce con una definizione piuttosto generica: “a packaged collection of related material”; l’OED offre la definizione più inerente al contesto considerato: “a set or outfit of tools, equipment, etc.; spec., a collection of parts sold for the buyer to assemble”, e attesta l’entrata della parola nell’uso inglese al 1859 (G. W. MATSELL Vocabulum 48 Kit..the implements of a burglar). Il termine, secondo Google UK, è reperibile in circa 67.500.000 di indirizzi web.
Laptop: s. m. ‘Computer portatile di dimensioni ridotte così chiamato perché ideale ad essere appoggiato sulle gambe dell’utente durante l’utilizzo’: “E lo stesso vale per la computer grafica: Su Sanctum abbiamo lavorato in 60 persone, io stesso ho creato 110 inquadrature a base di effetti visivi sul mio laptop.” (J p. 90). Il termine è presente in tutti i dizionari, anche se viene tradotto in maniera differente in ciascuno di essi: “grembo” dallo ZING 09 (che attesta al 1986 la comparsa della parola nella lingua italiana) e dal GRADIT (che ne attesta l’entrata all’anno successivo); “ginocchia” dal GARZ 09. Google Italia reperisce la voce considerata in quasi 8 milioni di siti web, tra cui: “Chiamali laptop. Chiamali notebook. O chiamali computer portatili. Qualsiasi nome preferisci, resta il fatto che questi PC «monovolume» stanno rimpiazzando rapidamente i computer desktop.” Da: http://www.microsoft.com/italy/pmi/tecnologia/themes/mobilebusiness/laptop.mspx. Il MW definisce l’oggetto a cui il vocabolo si riferisce un computer “of a size and design that makes operation and use on one’s lap convenient”, e attesta al 1984 la comparsa del termine nell’uso anglo-americano. L’OED offre una definizione analoga, anche se la voce è presente in esso nella forma lap-top: “(of a computer) small and light enough to be used on one’s lap”. La ricerca effettuata su Google UK offre 47.600.000 risultati.
Layout: s. m. ‘Struttura grafica o disposizione di una pagina web, documento o, più in generale, di un oggetto’: “Mai come nel caso del BD-HP90, la progettazione, la costruzione e il layout interno risultano una diretta conseguenza delle decisioni prese dai designer.” (AF p. 50). Il GRADIT e lo ZING 09 attestano entrambi al 1957 l’entrata della parola nella lingua italiana; lo ZING 09 però, a differenza degli alti due dizionari, non offre una accezione di tipo informatico al termine, limitandosi a tradurlo come “disposizione” (ZING 09). Il vocabolo è anche tradotto in “disporre ordinatamente” e “il disporre fuori” (GARZ 09). I risultati visualizzati dalla versione italiana di Google sono 11 milioni, ad esempio: “Il layout di un sito web è la sua impaginazione e comprende sia la struttura delle singole pagine, sia la grafica utilizzata.” Da: http://www.oneminutesite.it/layout.html. 34
I dizionari online forniscono diverse definizioni riguardanti questa parola, tra cui quella che coglie meglio l’accezione riguardante il contesto considerato è contenuta nell’OED: “a scheme, plan, or arrangement; a course of action”; il MW indica ben due definizioni che si riferiscono all’ambito tecnologico: “the plan or design or arrangement of something laid out” e “the act or process of planning or laying out in detail”. Un’altra definizione, sempre contenuta nel MW, sottolinea come il termine sia stato utilizzato inizialmente in ambito tipografico: “final arrangement of matter to be reproduced especially by printing”. Grazie al sempre più frequente utilizzo nei programmi di computer grafica, la parola rientra ufficialmente tra i termini utilizzati nel linguaggio informatico. La versione inglese del motore di ricerca utilizzato elenca quasi 31 milioni di risultati inerenti questa voce.
Link: s. m. ‘Collegamento ipertestuale che permette, cliccandoci sopra, di accedere al contenuto di una diversa pagina web’: “Nella pagina è indicato l’indirizzo del link corrispondente, contenente il nome dell’account.” (EI p. 59). La voce viene tradotta in “anello ( di una catena)” dallo ZING 09, e semplicemente “anello, catena” dal GRADIT. I due dizionari attestano in due momenti differenti l’accoglimento della parola all’interno della nostra lingua: lo ZING 09 indica il 1996 mentre il GRADIT il 1917. Il GARZ 09 traduce il vocabolo con il termine “legame”, tuttavia le definizioni date alla voce all’interno del contesto informatico sono molto simili tra loro. Google Italia indica 300 milioni si indirizzi Internet nei quali compare tale vocabolo, ad esempio: “L'area Link costituisce un elenco di collegamenti a siti nazionali e internazionali di informazione e di servizi che l'utente potrà utilizzare per approfondire i temi del Magazine.” Da: http://www.magazine.unibo.it/Magazine/link.htm. Il MW definisce la parola “an identifier attached to an element (as an index item) in a system in order to indicate or permit connection with other similarly identified elements; especially: one (as a hyperlink) in a computer file”; l’OED indica ben due definizioni che permettono di collocare il termine in ambito informatico: “an instruction or code which serves as a connection between two parts of a program, or between consecutive elements of a list”, definizione ritrovata sotto la voce link, mentre sotto la voce link farm troviamo: “a set of web pages created with the sole aim of linking to a target page, in an attempt to improve that page’s search engine ranking”. Risulta chiaro come la traduzione “anello, catena” sia da collegare alla particolare funzione del link, cioè quella di legare tra loro, come in una catena, le pagine web presenti nella rete globale. Google UK segnala la presenza di tale voce su Internet in 543 milioni di siti. 35
Live: agg. m. o f. ‘Trasmissione di un evento registrato dal vivo’: “Mi sono regalato la tv 3D: per ora ho visto solo un paio di blu ray e qualche evento live su Sky, ma le immagini sono spettacolari.” (J p. 14). Il termine è accolto come aggettivo m. o f. in tutti i dizionari e viene tradotto letteralmente in “vivo”; lo ZING 09, che attesta al 1979 l’accoglimento della parola nella lingua italiana, antepone al vocabolo la preposizione articolata “dal” (“dal vivo”). Google Italia elenca circa 150 milioni di risultati relativi a questa parola, tra cui: “Grazie al grande palco di circa 70 mq. è l'ideale per concerti live, set TV, convention, party privati, cene aziendali, sfilate e serata in discoteca.” Da: http://www.landoflive.it/. La ricerca sui dizionari online ha restituito una duplice definizione in ciascuno di essi: l’OED definisce il termine “of a performance event, etc.; heard or watched at the time of its occurrence; esp. (of a radio or television broadcast, etc.) not pre-recorded”; “of a recording, film, etc.: taken from or made at a live performance rather than in a studio”; il MW conferma così queste due definizioni:“of or involving a presentation (as a play or concert) in which both the performers and an audience are physically present”; “broadcast directly at the time of production”. Lo stesso MW chiarisce come il vocabolo derivi dalla parola alive (vivo). La ricerca su Google UK sottolinea l’alta diffusione di questa parola, con 464 milioni di risultati visualizzati.
Look: s. m. ‘Aspetto fisico o il modo di apparire di una persona o di un oggetto’: “Un look retrò che contrasta con il cuore tecnologicamente avanzato della macchina.” (AF p. 59). I dizionari italiani traducono il termine in “aspetto”, inteso come apparenza esteriore di una persona o cosa. Lo ZING 09, oltre a concordare con il GRADIT sull’anno di attestazione della voce nella lingua italiana (1970), traduce questo vocabolo in “stile”. Google Italia indica circa 47 milioni di siti web in cui compare tale parola, tra cui: “Aggiornati quotidianamente sui look delle star. Guarda le foto gallery con le ultime tendenze e i video dei look star più alla moda tra i vip e le star.” Da: http://gossip.pourfemme.it/s/look-star/. La traduzione “aspetto” è accettata sia dal MW che dall’OED. Quest’ultimo definisce il termine“appearance, aspect”, aggiunge l’esempio “of a good look=of a good appearance” e sottolinea l’antica origine di questa accezione risalente, nell’uso inglese, addirittura al 1385 (CHAUCHER L.G.W. 1605 HYPSIP., And of his lok as real as a leoun). Il MW, invece, offre una definizione più significativa: “a combination of design features giving a unified appearance”, accezione capace di cogliere appieno l’accezione inerente al contesto tecnologico. La versione inglese di Google segnala 183 milioni di risultati relativi a questo termine. 36
Metal-detector: loc. s. m. ‘Apparecchio che consente di individuare la presenza di corpi metallici su persone o oggetti di natura non metallica’: “Di recente mi è capitato di notare, entrando in banca, che il metal-detector nei giorni di pioggia scatta già con qualche monetina in tasca e null’altro, mentre nei giorni di sole sembra meno sensibile.” (EI p. 7). Il termine è considerato, da tutti i dizionari, una locuzione composta dalle parole metal “metallo” e detector “rilevatore”. Secondo lo ZING 09 il termine fa la sua comparsa nella lingua italiana nel 1977; il GRADIT ne posticipa l’entrata al 1979. È molto interessante sottolineare come lo stesso GRADIT ammetta tutte le forme ortografiche possibili per questa parola: metal detector, metaldetector e metal-detector. Google Italia segnala circa 496.000 indrizzi Internet in cui si può reperire il vocabolo, ad esempio: “Vendita metal detector per usi amatoriali, hobby, per usi professionali e per ricerche in acqua ad elevate profondità.” Da: http://www.zetalab.it/offerte/metal/metal_detector.htm. Il MW non accoglie questa locuzione, mentre l’OED la definisce: “any of various electronic instruments for detecting the presence of metallic objects by means of their effects on an electromagnetic field”. Sempre l’OED sottolinea come la parola sia nata successivamente all’ideazione del mine detector (rilevatore di mine), e aggiunge che tale voce identifica un rilevatore di metalli. La prima attestazione rilevata dall’OED (1924) offre un interessante spunto sulla creazione di tale apparecchio, ideato da “un uomo di Vancouver”: Lincoln (Nebraska) State Jrnl. 28 May 10/1 The expedition carried all necessary working implements, including a metal detector, an invention of a Vancouver man. The detector was truthful in pointing to metal, great masses of which were uncovered. Google UK elenca circa 1.540.000 risultati riguardo questo vocabolo.
Monitor: s. m. ‘Periferica video necessaria per visualizzare i dati elaborati da un computer’: “Il grafene, grazie alla sua trasparenza e alle sue ottime proprietà di conduzione, è adatto alla produzione di touch-screen, schermi per monitor e tv.” (EI p. 144). L’anno d’accoglimento della parola nella lingua italiana è il 1963, sia secondo il GRADIT che per lo ZING 09. Quest’ultimo e il GARZ 09 traducono questo vocabolo inglese in “avvisatore”; il GRADIT, posponendo ad esso la parola screen “schermo”, lo traduce in “schermo avvisatore” (variante capace di richiamare in modo un po’ più chiaro la funzione di tale apparecchio elettronico che, non è altro che uno schermo video). Google Italia visualizza quasi 12 milioni di siti in cui la parola è reperibile, ad esempio: “alaTest.it ha raccolto e analizzato milioni di recensioni da 1898 fonti per aiutarti a scegliere il
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miglior Monitor fra i marchi più importanti come Samsung, ViewSonic, NEC Corporation, BenQ, LG Electronics e altri.” Da: http://alatest.it/recensioni/monitor/c3-29/. Il MW definisce così il vocabolo: “a cathode-ray tube used for display (as of television pictures or computer information)”. L’OED, oltre a offrire una definizione analoga (“a cathode-ray tube screen or other device used to monitor electrical or radio output, spec. an oscilloscope”), ne elenca un’altra che si avvicina molto all’accezione da noi considerata in questo contesto (“a television screen used in a studio, etc., to display the picture from a particolar camera or the picture being broadcast”), mentre al terzo tentativo coglie in pieno il significato che tale parola acquisisce all’interno della nostra ricerca: “a visual display unit connected to a computer to display text and images; a computer screen”. La prima attestazione del termine viene offerta sempre dell’OED, che indica il 1976 (Jrnl. Financial & Quantitative Anal. 11 603 The cost of such a terminal, including acoustic couplet, is approximately $1800. Each monitor costs approximately $400). La ricerca effettuata su Google UK segnala l’utilizzo della voce in 41.600.000 di siti web.
Mouse: s. m. ‘Dispositivo che consente di muovere un puntatore sullo schermo di un computer rendendo possibile l’interazione con quest’ultimo e i programmi in esso presenti’: “Ma l’epoca dei computer collegati al televisore sembra ormai superata in favore di dispositivi più agili da gestire e soprattutto alla, portata di tutta al famiglia (immaginate vostra mamma davanti alla TV alle prese con una tastiera, un mouse o peggio uno di quei complicatissimi telecomandi che equipaggiavano i mai decollati media center, e capirete subito il perché di questo nuovo inevitabile trend).” (AF p. 73). Il termine viene universalmente tradotto da tutti i dizionari con la parola “topo”. Appare piuttosto chiaro, come sottolineano sia il GRADIT che il GARZ 09, che tale dispositivo è così chiamato a causa della sua forma, che richiama in maniera vistosa la sagoma di un topo. Lo ZING 09 attesta la comparsa del vocabolo nella lingua italiana al 1978, mentre il GRADIT indica il 1985. Google Italia segnala la presenza della parola in circa 14.600.000 indirizzi Internet, tra cui: “Il mouse è un dispositivo in grado di inviare un input ad un computer in modo tale che ad un suo movimento ne corrisponda uno analogo di un indicatore sullo schermo detto puntatore.” Da: http://it.wikipedia.org/wiki/Mouse. Le definizioni fornite dal MW e dall’OED sono piuttosto simili; ciò è dovuto alla relazione biunivoca esistente tra significante e significato del termine nel contesto tecnologico. Il MW definisce la voce “a small mobile manual device that controls movement of the cursor and selection of functions on a computer display”; l’OED offre tale definizione: “a small hand-held device wich is moved over a flat surface to produce a corresponding movement of a pointer on a monitor screen 38
or to delimit an area of the screen, and which usually has fingertip controls to select or initiate a computer function, or to place a cursor at the pointer position”. L'OED indica anche il nome dell’inventore di tale dispositivo, cioè Douglas C. Engelbart, che brevettò questo apparecchio nel 1970. La parola mouse non è però citata nel brevetto, dove il dispositivo in questione è definito position indicator control o semplicemente indicator control. La ricerca su Google UK offre 39.400.000 risultati inerenti questa parola.
News: s. f. pl. ‘Notizie che riguardano eventi appena accaduti’: “Di questo vantaggio, l’aggiornamento costante delle news, vuole approfittare anche Project, magazine per il tablet Apple che Richard Branson, patron della Virgin, ha lanciato a fine 2010.” (J p. 82). Il vocabolo viene lemmatizzato da tutti i dizionari, che specificano come esso sia il plurale dell’aggettivo inglese new “nuovo”; il termine fa riferimento alle notizie trasmesse dai diversi tipi di notiziari, sia televisivi che radiofonici. Lo ZING 09 attesta l’entrata della parola nella nostra lingua al 1987; il GRADIT indica il 1983 e aggiunge che la voce definisce, per estensione, il notiziario stesso. La versione italiana del motore di ricerca utilizzato visualizza circa 271 milioni di risultati inerenti questa parola, tra cui: “Ora puoi inserire le news di zam.it sul tuo sito.” Da: http://www.zam.it/lenews.php. La voce è presente in entrambi i dizionari online. Il MW la definisce “a report of recent events” e “previously unknow information”, due definizioni direttamente collegate tra loro e che sono in grado di far comprendere il ruolo fondamentale rappresentato dalla nozione di “novità” caratterizzante le news, definite anche “material reported in a newspaper or news periodical or on newscast”. L’OED definisce così il vocabolo: “the report or account of recents (esp. important or interesting) events or occurrences, brought or coming to one as new information” e “such information as published or broadcast”, e fa risalire l’entrata del termine in lingua inglese al 1417 in H. ELLIS Orig. Lett. Eng. Hist. (1827) 2nd Ser. I.55 The gracious prosperitie..of your renowed person.[is] soe gracious and joyous newes..to the principal comforte and especiall consolation of us and all your faythfull subjects. Il motore di ricerca Google UK mette a disposizione una vastissima serie di risultati: 732 milioni.
Notebook: s. m. ‘Computer portatile di medie dimensioni che racchiude tutte le componenti, anche se in proporzioni ridotte, che possiamo ritrovare in un personal computer fisso’: “Questo bel
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notebook ha assecondato per tutto il giorno la mia smania di fare più cose assieme (pure vedere i video in hd).” (J p. 42). Questa voce viene ritrovata nel GRADIT e nello ZING 09 nella forma ortografica notebook, mentre il GARZ 09 accoglie la forma note-book. I primi due dizionari forniscono la traduzione letterale del termine, composto da note “appunto, nota” e book “libro”, mentre il GARZ 09 afferma che la voce è una locuzione avente il significato di “taccuino”. Il GRADIT attesta al 1990 la comparsa del vocabolo sul palcoscenico linguistico italiano; lo ZING 09 indica il 1981. I risultati segnalati da Google Italia, relativamente a questo termine, sono circa 19.600.000, tra cui: “Olidata, attraverso il marchio U Leader Design, ha presentato Altro, una serie di notebook dalle specifiche avanzate che cerca di proporsi come alternativa a modelli compatti e leggeri quali il MacBook Air.” Da: http://blog.pmi.it/03/06/2009/serie-altro-notebook-di-punta-da-olidata/. L’OED definisce la voce “a portable computer, a laptop”; il MW la definisce: “a portable microcomputer that is similar to but usually smaller than a laptop computer”. L’OED attesta la comparsa del termine nell’uso inglese al 1893: N.Y. Times 26 Mar. 31 (heading) Tandy to introduce ‘notebook’ computer. I risultati reperiti su Google UK ammontano a circa 23.600.000.
Online: avv. ‘Condizione in cui un computer è connesso ad Internet, stato di connessione di un utente alla rete globale’: “Interessante è anche la dotazione di funzioni, che include tutto quello che è possibile desiderare: da una completa sezione online all’accesso diretto alle diverse impostazioni di elaborazione dell’immagine, dalla possibilità di programmare le registrazioni tramite l’Epg integrata a un player multimediale efficace, che supporta anche i server remoti compatibili con lo standard Dlna.” (AF p. 46); “Hai tante specialità, dal salto agli slalom, puoi fare «carriera» e perfino giocare online” (J p. 8). La parola, presente in tutti i dizionari, è tradotta letteralmente come “in linea”. L’anno di entrata della voce nella lingua italiana è il 1983 sia secondo il GRADIT che per lo ZING 09; quest’ultimo, in accordo con il GARZ 09, ammette l’utilizzo del termine sia in posizione aggettivale che avverbiale: “essere on line” (ZING 09) e “vendere on line” (GARZ 09). Lo ZING 09 accoglie questa voce sia nella forma on line che in quella univerbata, mentre nel GARZ 09 troviamo solo quest’ultima; nel GRADIT troviamo entrambe le forme e, in aggiunta, la forma on-line. Google Italia segnala la voce in 254 milioni di indirizzi Internet, tra cui: “Benvenuto nella Biglietteria Online dei Musei Vaticani. Su questo sito è possibile acquistare i biglietti d'ingresso dei Musei Vaticani con i quali si potrà entrare direttamente evitando la fila.” Da: http://biglietteriamusei.vatican.va/musei/tickets/index.html. 40
Il vocabolo viene registrato da entrambi i dizionari online come aggettivo o avverbio. L’OED elenca diverse definizioni, ognuna delle quali è in grado di chiarire i diversi utilizzi del termine in relazione al fatto che si riferisca a dispositivi, persone o organizzazioni: “of a device: directly connected to a computer and receiving input from it and sending an ouput to it as soon as it is generated”; “designating or relating to a service, resource, etc., avalaible on or performed using a computer network (esp. in the Internet), or a person or organization that can operate or accesses this”. L’OED, inoltre, chiarisce il significato della parola quando questa viene a trovarsi in posizione avverbiale: “with processing of data carried out simultaneously with its production; while connected to a computer, or under direct computer control”. Il MW offre due definizioni più dirette: “connected to, served by, or avalaible through a system and especially a computer or telecommunications system (on the Internet)” e “done while connected to such a system”. Entrambi i dizionari online attestano l’entrata del vocabolo all’interno dell’uso inglese e di quello angloamericano al 1950: W. W. STIFLER High-speed Computing Devices (Engin. Res. Associates) ii. 7 In on-line operation the input is communicated directly..to the data-reduction device (OED). Secondo la versione inglese di Google il termine è reperibile in circa 752 milioni di siti web.
Output: s. m. ‘Insieme di dati elaborati da un computer che vengono indirizzati verso una delle periferiche di quest’ultimo, come ad esempio stampanti, monitor, porte seriali o modem’: “La new entry di Tivoli Audio dispone di un output per i formati S-Video.” (AF p. 21). Il vocabolo, presente sia nel GRADIT che nei restanti due dizionari, viene tradotto dal GARZ 09 e dallo ZING 09 con il termine “produzione”; lo ZING 09 traduce la parola anche in “rendimento”. La voce è composta dalle parole out “fuori” e put “mettere”; secondo lo ZING 09 venne accolta nella lingua italiana a partire dal 1957, data discordante da quella trovata nel GRADIT (il 1970). Il termine viene considerato, da tutti i dizionari, in contrapposizione con la voce input. La versione italiana del motore di ricerca utilizzato elenca 5.820.000 risultati inerenti questa voce, ad esempio: “Ci sono parecchi modi per mostrare l'output di un programma; i dati possono essere stampati in una forma leggibile, o scritti in un file per usi futuri.” Da: http://docs.python.it/html/tut/node9.html. Il vocabolo è rinvenibile sia nel MW, che lo definisce “the terminal for the output on an electrical device”, che nell’OED: “data or results produced by a computer. Also: the physical medium on which these are represented”. La comparsa di questa parola nella lingua italiana è attestata, sempre secondo l’OED, al 1941 (Jrnl. Math. & Physics 20 340 The dependent variables must appear either as the output of adders or integrators). 41
Il motore di ricerca Google offre, nella sua versione inglese, circa 42.400.000 siti Internet in cui è possibile reperire il termine.
Password: s. f. ‘Parola d’ordine, serie di caratteri alfanumerici che collegata ad un nome utente risulta indispensabile per permettere l’accesso ad un computer, sito Internet o alla stessa rete globale’: “A tale riguardo ricordiamo che la password è la stessa impostata nel telecontrollo per il comando normale da SMS.” (EI p. 74). Questa voce fa la sua comparsa nel nostro vocabolario, sia secondo lo ZING 09 che per il GRADIT, nel 1972. Nel GARZ 09 è definita “parola d’accesso”, “parola d’ordine”. Quest’ultima accezione è accolta in entrambi i restanti due dizionari, tra cui il GRADIT è quello che offre più alternative di traduzione della parola: “chiave di protezione”, “chiave di memoria”, “chiave di accesso”. Google Italia elenca circa 157 milioni di siti Internet in cui compare questa parola, tra cui si segnala: “Ogni servizio che utilizziamo in Rete, dall'account di posta elettronica al servizio di online banking, richiede l'uso di una password che, associata al nome utente scelto (username) permette
di
proteggere
le
proprie
informazioni
dagli
accessi
non
autorizzati.”
Da:
http://www.ilsoftware.it/articoli.asp?id=1386. La voce è definita in maniera quasi identica sia dal MW (“a sequence of characters required for access to a computer sysyem”) che dall’OED (“a sequence of characters, know only to authorized persons, which must be keyed in to gain access to a particular computer, network, file, function, etc.”); quest’ultimo attesta l’entrata del vocabolo all’interno della lingua inglese al 1965: Proc. AFIPS Conf. 27 218/1 The file structure may be essentially closed, with initial access restricted for any user to a particular initial directory (assuming his ability to give a password, for example). La ricerca su Google UK mette a disposizione circa 132 milioni di risultati relativi a questa parola.
Player: s. m. ‘Lettore in grado di riprodurre file audio e video’: “Si tratta di un device capace di proporsi come vero e proprio centro di intrattenimento multimediale, concentrando su di sé le funzioni di registratore video, player multimediale, client per l’accesso ai contenuti in rete locale e (ultimo, ma non ultimo) lettore di dischi ottici, anche 3D.” (AF p. 35). Il termine non viene accolto dal GARZ 09, mentre i restanti dizionari attestano la sua comparsa nella lingua italiana al 1971. Lo ZING 09 indica un’unica accezione inerente all’ambito
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della tecnologia, mentre il GRADIT offre solo accezioni connesse all’ambito sportivo, teatrale e musicale. La versione italiana di Google reperisce circa 98 milioni di risultati riguardanti la voce, ad esempio: “Ottimo Player DVD con molte funzioni al suo interno, zoom digitale, un decoder di video avanzato, il settaggio del Region Code dei lettori e il supporto per il Dolby Digital.” Da: http://www.pc-facile.com/download/?cat=19. Il vocabolo è presente in entrambi i dizionari online; sia il MW che l’OED sottolineano come la parola abbia numerose accezioni, tra cui quella inerente all’ambito tecnologico da noi preso in considerazione: “a record player; (in later use) any other machine for playing back pre-recorded discs, cassettes, etc.” (OED) e “a device that reproduces recorded material (as video images or music) from a usually specified medium” (MW). L’OED attesta la comparsa di questa parola nel panorama linguistico inglese al 1948: Mod. Plastics Mar. 84 (heading) Inique design of portable player, molded in phenolic, matches polystyrene record carrier. Google UK visualizza circa 125 milioni di siti web in cui compare tale voce.
Playlist: s. f. ‘Sequenza di canzoni preimpostata su un lettore di file audio/video per una riproduzione più veloce e diretta dei brani preferiti dall’utente’: “Da tempo, attorno ai sistemi iPhone e iPod è nata una vera e propria pletora di sistemi e accessori che permettono di amplificare l’audio in modo di ascoltare le proprie playlist anche senza l’uso delle cuffie.” (AF p. 21). Il termine è presente in tutti i dizionari. Lo ZING 09ne attesta l’entrata nella nostra lingua al 1996; il GRADIT indica il 2001, e aggiunge che la parola è stata reperita per la prima volta su “L’Espresso”. La voce è composta dalla parola play, tradotta nello ZING 09 in “brani da suonare” e nel GRADIT in “brano musicale” e dal termine list, tradotto in tutti i dizionari in “lista”. Google Italia visualizza 16.300.000 risultati inerenti il vocabolo, tra cui: “La playlist è una lista di canzoni, utilizzata su personal computer e media player portatili per la gestione più rapida dei brani in esecuzione e la loro sequenza.” Da: http://it.wikipedia.org/wiki/Playlist. L’OED definisce questo termine attraverso un’accezione relativa al settore radiofonico: “a list of songs or pieces of music to be played; spec. a list of the musical tracksto be broadcast by a radio station over a given period”, e indica il 1975 come anno di prima attestazione del vocabolo; il MW anticipa l’entrata della voce nell’uso anglo-americano di 3 anni, rispetto all’uso inglese. Lo stesso MW offre una definizione (“a list of recordings to be played on the air by a radio station”) che, oltre a confermare quella indicata dall’OED, chiarisce come il termine sia utilizzato anche riguardo ai sistemi di riproduzione musicale diversi: “a similar list used for organizing a personal digital music collection”. È chiaro che l’aumento dei campi in cui la parola può essere utilizzata sia 43
dovuto allo sviluppo tecnologico, che ha introdotto appositi dispositivi per la riproduzione di brani musicali digitalizzati (organizzabili in playlist). La ricerca sul web, e in particolare su Google UK, mette a disposizione circa 23 milioni di siti in cui il termine è reperibile.
Poster: s. m. ‘Manifesto di elevate dimensioni, ideato per essere affisso alle pareti’: “In pratica puoi stampare bene le sue foto anche in formato poster.” (J p. 13). Sia il GRADIT che lo ZING 09 indicano il 1971 come anno di prima attestazione di questo vocabolo nella nostra lingua. Tutti e tre i dizionari offrono definizioni concordanti tra loro, e specificano che il termine deriva dal verbo to post “affiggere”, essendo appunto il poster un “manifesto” da appendere alle pareti. Google Italia indica 9.570.000 risultati riguardanti questa parola, ad esempio: “La Mostra del Poster nasce a Milano nel 1981. Fin dal principio si è occupata della vendita di «poster», di «manifesti d’arte» e di «cornici», sviluppando in questo campo una notevole esperienza.” Da: http://www.mostradelposter.it/. Il vocabolo è presente in entrambi i dizionari online. Il MW lo definisce “a bill or placard for posting often in a public place; especially: one that is decorative or pictorial”. L’accezione relativa alla nostra ricerca riguarda la seconda parte di questa definizione, accezione che abbiamo modo di reperire anche sull’OED: “a large printed (which may or may not be an advertisement) suitable for decorative display”. Secondo l’OED la parola viene attestata per la prima volta nell’uso inglese nel 1818; il MW indica il 1838 come anno d’entrata del termine nell’uso anglo-americano. La voce è presente, secondo Google UK, in circa 32 milioni di indirizzi web.
Privacy: s. f. ‘Il diritto alla riservatezza di un individuo’: “Google ormai conosce un’infinità di dati su ognuno di noi (in barba a ogni forma di privacy) e può utilizzarli per prevedere quello che cerchiamo.” (J p. 114). Questa parola, che ritroviamo in tutti i dizionari, si riferisce alla vita privata di un individuo. Il GARZ 09 traduce il vocabolo con i termini “privatezza”, “intimità”, mentre sia il GRADIT che lo ZING 09 sottolineano come il termine derivi dalla voce inglese private “privato”. Entrambi i dizionari non concordano, però, sull’anno di prima attestazione della voce nella lingua italiana: il 1950 per lo ZING 09; il 1951 per il GRADIT. Google Italia mette a disposizione circa 211 milioni risultati relativi a questa parola, tra cui: “Noi di Google siamo perfettamente consapevoli della fiducia che riponi in noi e della nostra responsabilità di proteggere la tua privacy.” Da: http://www.google.com/intl/it/privacy/. 44
Ritroviamo il vocabolo sia nel MW che nell’OED, che forniscono definizioni concordanti tra loro:“freedom from unauthorized intrusion” (MW) e “freedom from interference or intrusion” (OED). Il MW attesta l’entrata della parola, nell’accezione relativa alla nostra ricerca, al secolo XV (per quanto riguarda l’uso anglo-americano); l’OED chiarisce come il termine sia entrato a far parte dell’uso inglese nel 1534 . Da: J. Imrie et al. Burgh Court Bk. Selkirk (1960) 141 That he resaiffit never the bell cros..nouder in prevyce nor part. Lo scarto di vari secoli esistente tra l’entrata della voce in lingua inglese e in quella italiana si deve al fatto che il vocabolo è stato introdotto in quest’ultima per indicare una delle libertà fondamentali del cittadino garantite dalla costituzione italiana. Tale libertà riguarda il “diritto alla protezione dei dati personali” del cittadino, garantito dal primo articolo del “codice in materia di protezione dei dati personali”, anche noto come “decreto legislativo
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giugno
2003,
n.
196
o
Testo
unico
sulla
privacy”.
(http://www.compliancenet.it/content/cos-e-la-privacy-parte-prima-le-domande-piu-frequenti) La versione inglese del motore di ricerca utilizzato reperisce circa 467 milioni di risultati riguardanti questo vocabolo.
Record: s. m. ‘Primato, un evento unico, un obiettivo non raggiungibile e non superabile se non con difficoltà e massimo impegno’: “D’altronde, una nave da record non può che incontrare ostacoli da record, come conferma Herman Zini, il capitano.” (J p. 17). L’entrata del vocabolo all’interno della lingua italiana è attestata al secolo XIX (il 1894 secondo il GRADIT, il 1895 secondo lo ZING 09); nell’accezione inerente alla nostra ricerca, il termine viene tradotto in italiano con la voce “primato”. Tutti i dizionari sottolineano come la parola abbia avuto origine dal verbo inglese to record “registrare”, con la quale si allude alla “registrazione di un primato”. Google Italia elenca circa 18.500.000 siti web in cui è possibile reperire questa parola, ad esempio: “I record del mondo dell'atletica leggera sono uno degli aspetti delle competizioni internazionali
sportive
che
sanno
attirare
anche
i
non
addetti
ai
lavori.”
Da:
http://www.albanesi.it/Corsa/record.htm. Il MW definisce il termine “an attested top performance”; “an unsurpassed statistic”, definizione che trova accoglimento anche nell’OED: “the best performance or most remarkable event of its kind; spec. the best officially recorded achievement of a particular kind in a competitive sport”. L’OED attesta la comparsa del vocabolo nell’uso inglese, con significato inerente a questo contesto, al 1860: Milwaukee (Wisconsin) Daily sentinel (Electronic text) 7 July, If any other locomotive can beat this record we should like to have the particulars. Google UK segnala circa 75 milioni di risultati relativi a questo termine. 45
Replay: s. m. ‘Funzione che permette una ulteriore visualizzazione di un evento appena trasmesso, utilizzato soprattutto per chiarire la regolarità delle azioni durante manifestazioni sportive’: “Oltre a sfruttare l’opzione replay per rivedere una seconda o terza una particolare scena di un film o un gol durante una partita di calcio.” (AF p. 70). I dizionari italiani hanno opinioni differenti riguardo questo termine: lo ZING 09 e il GARZ 09, infatti, traducono letteralmente il vocabolo in “rigiocare”, e specificano che la sua interpretazione principale sia quella relativa alla “ripetizione” di immagini televisive (specialmente riguardanti trasmissioni sportive); il GRADIT parla di “nuova esecuzione”, e traduce la voce in “eseguire di nuovo”. La versione italiana di Google segnala quasi 3 milioni di risultati inerenti il vocabolo, tra cui: “Essenzialmente il problema si pone quando scaricate un vecchio replay e cercate di visualizzarlo, un errore viene visualizzato tipo «Questo replay è per una versione diversa di Warcraft III».” Da: http://www.replays.it/guide/come-vedere-vecchi-replay-di-warcraft-3.aspx. Il termine è accolto in entrambi i dizionari online. Il MW utilizza semplicemente la definizione “the playing of a tape (as a videotape)”; l’OED coglie al meglio l’accezione di nostro interesse: “the act or an instance of replaying a sound recording or piece of film”. Tuttavia, la voce che coglie meglio l’accezione relativa a questo contesto (reperibile sempre nell’OED) è action replay: “a playback (at normal speed or in slowmotion) of a recorded incident in a sport match, esp. immediately after the action occurs”. Ricercando questa voce sulla versione inglese di Google, appariranno 7.460.000 risultati relativi ad essa.
Scanner: s. m. ‘Strumento che tramite dei sensori permette di acquisire immagini o documenti testuali e visualizzarli sotto forma di immagine digitale sullo schermo di un computer’: “Il laser è alla base anche dei lettori di codici a barre (scanner) dove punta la propria luce sulle barre ed il riflesso viene analizzato da un fotodiodo.” (EI p. 48). Il termine è definito in maniera analoga da tutti i dizionari. Esso deriva dal verbo inglese to scan, che viene tradotto in “scrutare attentamente” (GARZ 09), “esaminare” (GRADIT) ed “esaminare minuziosamente” (ZING 09). Lo ZING 09 attesta l’entrata del termine nella lingua italiana al 1965, il GRADIT indica il 1974. Google Italia elenca circa 5.670.000 risultati riguardanti il vocabolo, ad esempio: “Acquistare uno scanner significa dotare il vostro PC di un dispositivo per acquisire ogni genere di immagine e con questa guida vi aiuteremo a scegliere lo scanner che meglio si adatta ai vostri fini.” Da: http://www.migliorscelta.it/gu/scanner-77-bf.htm. 46
Il MW elenca due definizioni relative al contesto considerato: “a device for sensing recorded data (as in a bar code)” e “a device that scans an image (as a photograph) or document (as a page of text) especially for use or storage on a computer”; l’OED offre una definizione più generica: “any device for scanning or systematically examining all parts of something”. Google UK visualizza 9.720.000 indirizzi web in cui questa voce compare.
Set: s. m. ‘Insieme di più componenti che, riuniti, vanno a formare un gruppo di elementi unitario’: “La versione testata (che, lo ricordiamo, potrebbe non essere esattamente identica al modello destinato al mercato europeo) offre quindi l’obbligatoria connessione Hdmi, con supporto alle specifiche 1.4 dello standard, un set di tre prese Rca per il collegamento Component e una seconda serie di connettori che si occupano delle uscite audio e video analogiche di base (video composito e audio stereofonico).” (AF p. 53). Il termine accoglie diverse accezioni, di stampo sportivo, musicale e cinematografico ed è tradotto in “serie completa”, “gruppo”, “servizio”, “corredo” (GARZ 09), “partita” (ZING 09) e “assortimento” (GRADIT). Lo ZING 09 e il GRADIT indicano il 1905 come anno d’entrata del termine all’interno della lingua italiana. Secondo Google Italia il termine è reperibile in circa 160 milioni di indirizzi web, tra cui: “Battute a parte questo set di coltelli è un prodotto assolutamente originale. Specialmente di colore rosso contribuisce a dare un tocco di ironia e anche di design a qualunque cucina.” Da: http://www.dottorgadget.it/2011/03/set-di-coltelli-voodoo-per-lex/. Il vocabolo è caratterizzato dalla presenza di un’innumerevole serie di accezioni, sia nel MW che nell’OED, tra cui si ritrova anche quella relativa alla nostra ricerca; il MW definisce la voce “a number of things of the same kind that belong or are used together”, l’OED offre tale definizione: “a collection of instruments, tools, or machines customarily used together in a particolar operation; a complete apparatus employed for some specific purpose”. La parola è presente, secondo la versione inglese di Google, in circa 615 milioni di siti Internet.
Set-up: s. m. ‘Messa a punto di un apparecchio elettronico o meccanico’: “L’interfaccia, dicevamo, è quindi particolarmente amichevole, guidando per esempio l’utente durante tutte le operazioni di impostazione iniziale: interessante è anche la segnalazione (al termine del set-up) della presenza di una versione aggiornata del firmware.” (AF p. 35). Il GRADIT e lo ZING 09 concordano nell’attestare l’entrata del termine nella lingua italiana al 1992. Tuttavia non concordano sull’esatta definizione da attribuire alla voce: il GRADIT (dove il 47
vocabolo è presente nella forma setup, come nel GARZ 09) parla di “installazione”, “avviamento”; il GARZ 09 e lo ZING 09 traducono la parola in “predisposizione”, e specificano come tale voce derivi dal verbo inglese to set up, che significa “predisporre”. Google Italia elenca circa 6 milioni di risultati relativi a questa voce, ad esempio: “Questa mini-guida vuol essere una sintesi e un punto di partenza per coloro che si avvicinano al simracing, giusto qualche dritta per farsi il primo setup da soli.” Da: http://www.simracing.biz/guida-al-setup. L’accezione relativa al contesto considerato è reperibile in entrambi i dizionari online. Il MW elenca due definizioni: “the assembly and arrangement of the tools and apparatus required for the performance of an operation”; “the preparation and adjustement of machines for an assigned task”. Nell’OED ritroviamo l’esatto significato che questa parola ha acquisito in ambito informatico: “the arrangement of interconnections and setting of parameters in a computer, esp. an analogue one, necessary for the performance of a particolar calculation”. Google UK segnala quasi 83 milioni di siti in cui è possibile ritrovare questa parola.
Show: s. m. ‘Spettacolo di natura teatrale, cinematografica, musicale o canora’: “Il resto, per fortuna, è più tranquillo: ci aspetta uno show acquatico con i pupazzoni di Madagascar e con Po, di Kung Fu Panda, il mio preferito.” (J p. 21). Il GARZ 09 e lo ZING 09 traducono la parola in “spettacolo di varietà”, e specificano che il termine Il deriva dal verbo inglese to show “mostrare”, teoria condivisa anche dal GRADIT; il GRADIT e lo ZING 09 attestano al 1954 l’entrata del vocabolo nella lingua italiana. Google Italia segnala circa 196 milioni di risultati relativi a questo termine, ad esempio: “Niente più show per giovani docenti bisognosi di denaro. È stato cancellato «Non è mai troppo tardi», lo show di Canale Cinque che era inizialmente previsto per maggio.” Da:
http://www.corriere.it/spettacoli/11_aprile_15/cancellato-show-professori-precari_b4749250-
6791-11e0-82d9-fefb5323b337.shtml. Nei dizionari online ritroviamo numerose accezioni relative al vocabolo: il MW la definisce “a theatrical presentation” e “a radio or television program”, e fa riferimento alla voce entertainment, dove troviamo la definizione “amusement or diversion provided especially by performers”; l’OED indica la definizione più adatta a cogliere l’accezione inerente a questo contesto: “a spectacle elaborately prepared or arranged in order to entertain a number of spectators”. Secondo Google UK il vocabolo è presente in circa 648 milioni di siti Internet.
Smart card: loc. s. f. ‘Tessera all’interno della quale è inserito un chip, utilizzata soprattutto per accedere ai contenuti a pagamento, come film o eventi sportivi, forniti dalle emittenti televisive 48
private’: “RFID, codici a barre, smart card, biometria sono termini con cui abbiamo familiarizzato un po’ tutti e che il mondo dell’industria ha incontrato da tempo.” (EI p. 13). Questa locuzione è reperibile in tutti i dizionari. Lo ZING 09 attesta al 1992 l’entrata della parola nella nostra lingua, il GRADIT ne attesta la comparsa al 1994, e aggiunge che quest’ultima è stata registrata sulla rivista “Quattroruote”. Il vocabolo è composto dai termini smart “intelligente” e card, che viene tradotto in “carta” dal GRADIT e dallo ZING 09 e in “tessera” dal GARZ 09. Google Italia elenca poco più di un milione di risultati relativi a questa voce, tra cui: “La smart card consente una gestione ottimale dei crediti e del profilo utente con la possibilità di fidelizzazione
e
dell'offerta
di
servizi
a
valore
aggiunto.”
Da:
http://www.internavigare.it/smart_card.asp. L’OED fa riferimento unicamente all’utilizzo del termine in ambito bancario: “a plastic bank card or similar device with an embedded microprocessor, used in conjuction with an electronic card-reader to authorize or provide particolar services, esp. the automatic transfer of funds between bank accounts”; il MW, pur fornendo una definizione più generica, chiarisce come tale parola possa indicare anche altri referenti: “a small plastic card that has a built-in microprocessor to store and process data and records”. Secondo il MW il termine è entrato a far parte dell’uso anglo-americano nel 1980. Il web, e in particolare Google UK, offre circa 2,5 milioni di risultati inerenti questo termine.
Smartphone: s. m. ‘Telefono cellulare avente un sistema operativo autonomo, con funzionalità simili a quelle di un computer palmare’: “Io gli iPhone li ho avuti tutti e ora che ho in tasca la versione 4 sono sempre più convinto che sia lui il migliore tra gli smartphone.” (J p. 56). Il termine, secondo tutti i dizionari, risulta essere un composto formato dai vocaboli smart “intelligente” e phone “telefono”. È stata scelta tale parola perché l’apparecchio a cui la voce si riferisce è più simile ad un computer palmare piuttosto che ad un normale telefono. Lo ZING 09 attesta l'entrata del vocabolo nella lingua italiana al 1996; il GRADIT ne segnala la comparsa su “La Repubblica” nel 2003. Google Italia indica 14.400.000 siti in cui la voce compare, ad esempio: “Se avete intenzione di comprare uno smartphone nuovo, tutti abbiamo il problema della scelta del modello e del budget, ma sorge un altro problema, quale sistema operativo è più congeniale al nostro uso e alle nostre aspettative?” Da: http://www.mrcnetwork.it/socialnews/telefonia/differenze-sistemioperativi-per-smartphone/. Entrambe le risorse online forniscono definizioni concordanti riguardo questa voce: il MW lo definisce “a cell phone that includes additional software functions (as e-mail or an Internet 49
browser”, e indica il 1999 come anno d’entrata del termine nel vocabolario anglo-americano. L’OED definisce la voce “any of various telephones enhanced with computer technology; (now) spec. a type of mobile phone which incorporates the function of a palmtop computer, personal digital assistant, or similar device”, e attesta al 1997 la comparsa di questa parola nell’uso inglese. (Computing 6 Nov. 3/5 It said sales of smart phones__mobile phones loaded with data communications software__will nearly treble next year) Google UK segnala la presenza di questa parola in circa 20 milioni di indirizzi web.
Software: s. m. ‘Programma attraverso il quale un computer esegue le funzioni di cui è fornito’: “In quest’ultimo caso il software invia al telecontrollo la nuova rubrica” (EI p. 71). Le definizioni fornite da tutti i dizionari rivelano un quadro piuttosto omogeneo: ognuno di essi, nel definire il vocabolo, fa riferimento all’insieme di programmi necessari al funzionamento di un computer. I dizionari, però, oltre a non concordare sulla data di prima attestazione (il 1969 per lo ZING 09, il 1960 per il GRADIT), offrono una differente traduzione ai lemmi che compongono l’espressione: il GRADIT traduce soft in “morbido, adattabile”; il GARZ 09 aggiunge a queste traduzioni quella di “soffice”; lo ZING 09 utilizza addirittura “molle”. Il termine ware è tradotto, invece, in tre modi diversi: “merce, prodotto” (GRADIT); “oggetti” (ZING 09); “elemento” (GARZ 09). Il vocabolo definisce le parti non visibili di un computer, contrapponendosi al termine hardware che, al contrario, indica le parti fisiche di quest’ultimo. La versione italiana di Google elenca 14.400.000 di siti che accolgono questa parola al loro interno, tra cui: “I processi di fabbricazione digitale e i software di progettazione parametrica stanno influenzando i metodi, le teorie ed il pensiero progettuale architettonico.” Da: http://www.wikio.it/high_tech/computer/software. Il MW definisce la voce “the entire set of programs, procedures and related documentation associated with a system and especially a computer system; specifically: computer programs”, e specifica che il termine fa la sua comparsa nel panorama linguistico anglo-americano nel 1958. L’OED elenca, invece, due diverse accezioni relative al nostro ambito di ricerca: “the programs and procedures required to enable a computer to perform a specific task, as opposed to the physical components of the system”; “the body of system programs, includine compilers and library routines, required for the operation of a particular computer and often provided by the manufacturer, as opposed to program material provided by a user for a specific task”. Secondo l’OED il termine è comparso per la prima volta in lingua inglese nel 1960. (Communications Assoc. Computing Machinery June 381 Nearly every manufactures is claiming compatibility with all other equipment via such software as COBOL) 50
Il motore di ricerca utilizzato, nella sua versione inglese, segnala circa 314 milioni di risultati riguardanti questa parola.
Speaker: s. m. ‘Altoparlante in grado di convertire in onde sonore vari impulsi elettrici’: “Vanta uno schermo TFT a colori da 2,4 pollici, batteria in grado di assicurare 22 ore di riproduzione, uno speaker, un microfono e un ingresso line-in per registrare da fonte esterna.” (AF p. 23). Il termine è accolto in tutti i dizionari, tuttavia nessuna delle accezioni fornite riguarda l’ambito della tecnologia. Infatti, pur sottolineando l’antica attestazione del vocabolo nella nostra lingua (1748 secondo il GRADIT e lo ZING 09), alla voce non viene mai affiancata l’accezione “altoparlante”, significato che tale parola ha acquisito nel linguaggio tecnologico. Si accenna a tale accezione solo in definizioni inerenti l’ambito sportivo, ad esempio: “chi, durante una manifestazione, specialmente sportiva, comunica informazioni o aggiornamenti al pubblico mediante gli altoparlanti” (GRADIT). Google Italia visualizza circa 4 milioni di risultati relativi a questa parola, tra cui: “Gli speaker integrati hanno una potenza di 2 W. Il dispositivo possiede anche l’ingresso per le schede SD
e
una
porta
USB
per
collegare,
per
esempio,
una
fotocamera.”
Da:
http://www.gadgetblog.it/categoria/speakers. Anche durante la ricerca sui dizionari online, sotto la voce speaker non è stata reperita alcuna definizione relativa al contesto tecnologico. Tuttavia è possibile rinvenire l’accezione inerente alla nostra ricerca sotto la voce loudspeaker, sia nel MW (“a device that changes electrical signals into sounds loud enough to be heard at a distance”), che nell’OED: “Any instrument for converting variations in an applied electric current or voltage (of appropriate magnitude and frequency) into corresponding sound waves that are able to be heard at a distance from the instrument” (anche se troviamo questa definizione sotto la forma loud-speaker). Il MW attesta la comparsa della parola nell’uso anglo-americano al 1920. La ricerca su Google UK mette a disposizione 24.600.000 di siti web in cui il vocabolo è accolto. Spot: s. m. ‘Messaggio pubblicitario di tipo televisivo o radiofonico, sempre più diffuso anche nel settore della telefonia mobile’: “E secondo alcuni arriverà il giorno in cui dovremo pagare per non ricevere gli spot sul telefonino.” (J p. 114). L’accezione che meglio definisce il termine in questione è “messaggio pubblicitario”, e viene accolta dai tutti i dizionari. Il GARZ 09 si limita ad indicare la traduzione letterale “punto, macchia”; il GRADIT si spinge più in là, attestando al 1942 l’entrata della voce nel vocabolario italiano, e chiarendo come il vocabolo sia l’accorciamento di spotlight, composto da spot “punto” e 51
light “luce”, parola che indica un “riflettore, faretto”. A chiarire del tutto la questione ci pensa lo ZING 09, che definisce il termine “proiettore atto a concentrare un fascio luminoso su un’area assai limitata”; “punto, piccolo spazio delimitato”. Combinando queste due accezioni si è in grado di arrivare alla piena comprensione dello slittamento semantico subito dal vocabolo. Google Italia visualizza circa 22,7 milioni di risultati riguardanti questa voce, tra cui si segnala: “«Uno Spot per Ravello» consiste in un concorso creativo dove i partecipanti sulla base del materiale (video della città di Ravello, loghi etc) fornito dall’Associazione Happy Hours si cimentano nella realizzazione di uno spot promozionale per la città di Ravello.” Da: http://www.acortodiidee.it/uno-spot-per-ravello. La parola è rinvenibile sia sul MW (“a brief announcement or advertisement broadcast between scheduled radio or television programs”) che sull’OED: “a short interval for an advertisement or announcement; an advertisement or announcement occupying such an interval”. Sempre secondo l’OED il termine è comparso per la prima volta, con questa accezione, nel 1923. I risultati reperiti sulla versione inglese di Google, riguardo questa parola, sono circa 45,5 milioni.
Stand-by: s. m. ‘Modalità in cui l’attività di un’apparecchiatura elettronica è momentaneamente ridotta al minimo, permettendo così di minimizzare anche il consumo di energia,senza il bisogno di spegnere la macchina, che è comunque pronta per l’immediato utilizzo al semplice tocco di un tasto’: “Sul pannello superiore, vicini agli spigoli destro e sinistro, si trovano invece i pulsanti di accensione/stand-by dell’unitàe quello di espulsione dei dischi.” (AF p. 33). La voce è accolta in tutti i dizionari: il GRADIT e lo ZING 09 ne collocano la prima attestazione nella lingua italiana nel 1980. La traduzione “attesa” è universalmente accolta, ma è interessante notare come lo ZING 09 sottolinei che il termine, per estensione, possa essere considerato un senso figurato attraverso il quale la parola può essere utilizzata in riferimento a persone. Google Italia segnala circa 15,5 milioni di indirizzi web in cui è possibile reperire questa parola, ad esempio: “Il Regno Unito sperpera ogni anno l’incredibile cifra di £76 milioni a causa degli utenti che optano per la modalità di standby, invece di spegnere completamente il proprio apparecchio.” Da: http://www.ee-tv.org/index.php/standby/it. Il vocabolo è presente in entrambi i dizionari online. L’OED lo definisce “the state of being immediately avalaible to come on duty if required; readiness for duty”, definizione che ricalca perfettamente l’accezione inerente a questo contesto. L’OED sottolinea, inoltre, come tale accezione sia comparsa per la prima volta nell’uso inglese nel 1946 (R. E. Higginbotham Wine for 52
my brothers iv. 75 I’m on stand-by__take the wheel in fifteen minutes). Il MW, invece, offre la corretta definizione a tale accezione sotto la voce on stand by: “ready or avalaible for immediate action or use”. Google UK elenca 111 milioni di siti Internet in cui compare questa parola.
Standard: s. m. ‘Modello a cui ci si attiene come punto di riferimento’: “La parte del leone, come logico, la fa l’uscita audio/video digitale Hdmi, naturalmente compatibile con la versione 1.4 dello standard” (AF p. 33); “Passando ad analizzare le prestazioni nella riproduzione dei dischi in risoluzione standard.” (AF p. 43). Tutti i dizionari accolgono il vocabolo e forniscono numerose accezioni relative ad esso, tra cui quella più direttamente collegata al contesto considerato è “modello, punto di riferimento”. La parola deriva da un termine inglese (entrato a far parte della nostra lingua, secondo il GRADIT, nel 1764) avente il significato letterale di “insegna”, e che deriva dall’antico francese estendart “stendardo” (quest’ultimo comparso nel 1711, sempre secondo il GRADIT). La particolarità principale della voce è il suo possibile utilizzo sia come sostantivo che come aggettivo (collocando il termine in posizione post-nominale). La ricerca effettuata mediante Google Italia mette a disposizione circa 76 milioni di siti che accolgono questo vocabolo, tra cui: “Gli standard elettrici non sono uguali in tutto il mondo. Alcuni sono caratterizzati da tensioni a 50 herz, altri 60; in alcuni casi la tensione nominale della rete BT di distribuzione è pari a 110-120 volt, altri 220-240.” Da: http://wikitravel.org/it/Standard_elettrici. Il vocabolo è accolto da entrambi i dizionari online. Il MW indica una precisa definizione: “something established by authority, custom, or general consent as a model or example”; all’interno dell’OED (che concorda con il GRADIT riguardo alla derivazione francese del termine) ritroviamo due definizioni riconducibili all’accezione di nostro interesse: “a normal uniform size or amount; a prescribed minimum size or amount”; “an authoritative or recognized exemplar of corructiness, perfection, or some definite degree of any quality”. L’OED fa risalire la prima attestazione del vocabolo in lingua inglese al 1477. La parola, secondo Google UK, è presente in circa 151 milioni di indirizzi Internet.
Streaming: s. m. ‘Sistema che permette l’invio e la ricezione di dati audio e video in modo continuo, evitando così il processo preventivo di scaricamento dei dati stessi’: “La nuova Apple TV non ha alcuna unità di memoria, fatto salvo gli 8 GB flash utilizzati come cache per lo streaming dei file (sezione di memoria in ogni caso non raggiungibile in alcuna maniera dall’utente).” (AF p. 74).
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La voce è presente in tutti i dizionari. Il GRADIT e il GARZ 09 concordano nel tradurre la voce in “emissione in continuo”; lo ZING 09 specifica come il sostantivo derivi dal verbo inglese to stream “scorrere, fluire”, e ne attesta l’entrata nella lingua italiana al 1993; il GRADIT indica il 2001, e aggiunge che il termine è comparso per la prima volta su “La Repubblica”. La versione italiana di Google mette a disposizione quasi 19 milioni di risultati inerenti questa parola, ad esempio: “Lo streaming è una trasmissione audio/video in forma digitale. L'emittente codifica le immagini e i suoni in forma di dati digitali (informatica) e li trasmette per via telematica, ad esempio tramite Internet ma anche via etere (digitale terrestre, digitale satellitare).” Da: http://www.lapaweb.com/streaming.html. I due dizionari online forniscono analoghe definizioni del vocabolo: “the transfer of video and audio material over a network (now esp. the Internet) or (less commonly) from a disk as a continuous, real-time stream of data” (OED); “relating to or being the transfer of data (as audio or video material) in a continuous stream especially for immediate processing or playback” (MW). Quest’ultima definizione si ritrova sotto la categoria “aggettivo”, mentre l’OED considera il termine un “sostantivo verbale”. Il MW attesta al 1980 l’entrata del vocabolo nell’uso anglo-americano; l’OED indica il 1987 come anno d’entrata della voce nell’uso inglese. Google UK visualizza circa 21 milioni di risultati rigurdanti questa voce.
Subwoofer: s. m. ‘Altoparlante ideato per una riproduzione ottimale delle frequenze audio più basse’: “Nuovo anche l’amplificatore digitale XW-NASS, un 2.1 canali che promette una riproduzione precisa del suono e un’armonia calda, mentre il subwoofer down-firing punta a restituire bassi dinamici e potenti.” (AF p. 16). Tra i dizionari italiani il termine viene lemmatizzato solo dal GARZ 09, con tale definizione: “altoparlante in grado di riprodurre frequenze molto basse”, e sottolinea come la parola sia una voce inglese composta dalle parole sub e woofer. La versione italiana di Google elenca 3.270.000 risultati relativi al vocabolo, tra cui: “Impara a costruire un elegante e potente subwoofer. Utilizzando un driver di base subwoofer, un hobbista ha creato un sistema audio eccezionale.” Da: http://it.emcelettronica.com/subwoofer-faida-te. Il MW definisce il termine “a loudspeaker responsive only to the lowest acoustic frequencies”, e ne attesta l’entrata nell’uso anglo-americano al 1978. L’OED definisce la voce in maniera analoga (“a loudspeaker designed to riproduce very low bass frequencies”), ma anticipa al 1975 la comparsa del vocabolo nell’uso inglese: Winnipeg Free Press 14 June (New Leisure Sat. Mag) 3/1 Is a *sub-woofer speaker system worthwhile? 54
Il motore di ricerca utilizzato, nella sua versione inglese, reperisce circa 4 milioni di siti web contenenti questo termine.
Time-out: s. m. ‘Breve periodo di sospensione di un’attività’: “Se lo switch SW1 risulta aperto (per una rottura del meccanismo o perché la corda si è incastrata) si attende il time-out di due minuti scandito dal TMR1.” (EI p. 138). La parola è reperibile in tutti i dizionari, tuttavia questi non forniscono accezioni di tipo informatico o tecnologico inerenti tale parola. Di conseguenza, l’utilizzo del termine in tale contesto è possibile unicamente mediante una estensione di significato del vocabolo. Il vocabolo è utilizzato soprattutto nel linguaggio sportivo ed indica una “sospensione del gioco” (GARZ 09) o più esattamente una “sospensione del tempo regolamentare” (GRADIT). Il GARZ 09 e il GRADIT traducono il termine in “fuori del tempo”, mentre lo ZING 09 utilizza l’espressione “fuori dal tempo”, e fornisce questa spiegazione: “perché nelle competizioni disputate a tempo effettivo, il cronometro viene bloccato per l’intera durata del time out”. Lo ZING 09 e il GRADIT concordano nell’attestare al 1964 l’entrata del termine all’interno della lingua italiana. Google Italia segnala quasi 3 milioni di siti che accolgono questo termine, ad esempio: “Quello del «time out» è un altro dei casi frequenti fra i Clienti che hanno problemi con l'ADSL. Spesso la causa risiede nei collegamenti fra PC e modem (o router), nelle loro configurazioni o compatibilità.” Da: http://assistenza.libero.it/adsl/soluzioni/timeout.phtml. L’OED, inizialmente, si limita a fornire la definizione relativa al gergo sportivo: “in various games: a deduction of playing time for a stoppage; a (usu. brief) break in play called by a coach, referee or player”, ma successivamente offre una definizione più inerente al contesto considerato: “a break from one’s occupation”; tuttavia è il MW a cogliere nel modo migliore l’accezione di nostro interesse: “a brief suspension of activity: break; especially: a suspension of play in an athletic game”. Il vocabolo, secondo Google UK, è presente in circa 60 milioni di indirizzi web.
Timer: s. m. ‘Dispositivo che fa scattare un conto alla rovescia per un periodo predeterminato’: “Il componente al livello più basso è detto HAL (Hardware Abstraction Layer) e si occupa di gestire le operazioni più a stretto contatto con il microprocessore, come la gestione dell’I/O, gli interrupt e i timer, nonché l’intero processo di bootstrap.“ (EI p. 90). Il vocabolo è definito in maniera analoga da tutti e tre i dizionari. Esso è tradotto con il termine “temporizzatore”, a cui il GRADIT aggiunge anche le voci “contaminuti” e “cronoscopio”. Mentre il GARZ 09 e lo ZING 09 si limitano a descrivere la parola come un derivato di time 55
“tempo”, il GRADIT specifica che il vocabolo deriva dal verbo to time “misurare il tempo”, e attesta al 1935 l’entrata della voce nella nostra lingua; lo ZING 09 indica il 1964. Google Italia segnala 3,5 milioni di risultati relativi a questo vocabolo, ad esempio: “Avendo un timer attivo sul computer infatti si potrebbero pianificare le pause di lavoro oppure si può avere sempre sott'occhio il tempo che scorre, nel caso si debba finire un progetto o un compito non oltre una certa ora o una certa data.” Da: http://www.navigaweb.net/2007/12/conto-alla-rovescia-e-timersul-desktop.html. Il MW e l’OED forniscono una definizione del termine piuttosto simile: “a device (as clock) that indicates by a sound the end of an interval of time or that starts or stops a device at predetermined times” (MW); “an instrument for automatically timing a process or activiting a device at a set time or set times; a time-switch” (OED). L’OED attesta al 1908 la comparsa di tale voce nel vocabolario della lingua inglese (Sears, Roebuck Catal. 266/1 Stem wind, jeweled horse timer. This timer is operated from the crown by rarely pressing down the..mechanism). Google UK reperisce circa 10,5 milioni di risultati inerenti questa voce.
Touch-screen: loc. s. m. ‘Tipologia di schermo che permette l’interazione diretta con l’utente mediante tocco o sfioramento con le dita su quest’ultimo’: “Grazie alle classi base è inoltre possible costruire controlli personalizzati particolarmente attrattivi nel mondo embedded, specie se combinati, ad esempio, con un touch-screen.” (EI p. 95). I tre dizionari concordano nel descrivere il vocabolo come il composto delle parole touch “tocco” e screen “schermo”. Il GRADIT attesta al 1987 la comparsa della voce nella lingua italiana, mentre lo ZING 09 indica il 1992. La versione italiana elenca 4.600.000 di siti in cui compare questa parola, tra cui: “I touch screen vengono realizzati con varie tecnologie: tecnologia resistiva, tecnologia capacitiva, tecnologia a infrarossi, tecnologia ad onde acustiche, tecnologia piezo-elettrica.” Da: http://relaxdesign.wordpress.com/2006/08/04/tecnologia-touch-screen/. L’OED definisce la parola “a VDU screen that is also an input device operated by touching it”; il MW, che attesta al 1974 l’entrata del termine nell’uso anglo-americano, lo definisce: “a display screen on which the user selects options (as from a menu) by touching the screen.” La versione inglese di Google segnala 16.200.000 siti Internet in cui la voce è reperibile.
Username: s. m. ‘Nome utente, una serie di caratteri alfanumerici che, collegata ad una password, risulta indispensabile per permettere l’accesso ad un computer, sito Internet o alla stessa rete globale’: “Nel caso di collegamento wireless, all’accensione occorre naturalmente selezionare il 56
proprio network Wi-Fi, digitare la password selezionando con le frecce del telecomando i caratteri alfanumerici dalla tipica schermata video e quindi inserire username e password del proprio account iTunes per iniziare da subito a noleggiare i film dalla vetrina dell’iTunes Music Store.” (AF p. 75). Il termine viene tradotto da tutti i dizionari in “nome utente”. Il GARZ 09 aggiunge che “negli indirizzi di posta elettronica l’username è tutto ciò che precede il segno @”; lo ZING 09 attesta la comparsa di tale parola all’interno della lingua italiana al 1995; il GRADIT indica il 1982. Su Google Italia la parola è presente in circa 25.400.000 indirizzi web, tra cui: “Se non ricordi i tuoi username e/o password inserisci l'indirizzo di posta elettronica che hai usato per la registrazione e premi il pulsante «Ricordami la password».” Da: http://www.fruttolo.it/servizio/registrati_club/dati_dimenticati.html. Tra i dizionari online il vocabolo è reperibile solo nell’OED, che offre la definizione “a unique name or set of characters by which each user of a shared network, system, or program is identified, used (freq. in conjuction with a password) to log in”. Viene dunque sottolineato il rapporto biunivoco esistente tra nome utente e parola d’ordine, rapporto di tipo complementare. La voce appare per la prima volta nell’uso inglese, sempre secondo l’OED, nel 1971: A. Bhushan Request for comments (Network Working Group) (Electronic text) No. 172 7 *Username e password identifiers contain the respective identifying information. Normally, the information will be supplied by the user of the file transfer service. Il motore di ricerca Google UK reperisce quasi 70 milioni di risultati riguardanti questo termine.
Videogame: s. m. ‘Videogioco elettronico, proietta su uno schermo le immagini elaborate da un computer tenendo conto dell’interazione effettuata da un utente mediante periferiche come joystick, mouse, pistole o volanti elettronici’: “Visto quanto Sony celebra l’accuratezza della simulazione, non l’ho valutato da esperto di videogame, ma con occhi da pilota.” (J p. 25). Il termine è universalmente considerato da tutti i dizionari come il composto di video “video” e game “gioco”; il GRADIT e lo ZING 09 attestano l’entrata della voce nella lingua italiana al 1982. Google Italia elenca circa 3.230.000 di risultati relativi a questa voce, tra cui si segnala: “Prosegue la diffusione «virale» da parte del publisher Sega di elementi multimediali dedicati al videogame di Hulk.” Da: http://hulkblog.screenweek.it/tag/videogame-hulk. Entrambi i dizionari online accolgono questo termine. L’OED lo definisce “a game played by electronically manipulating images displayed on a television screen”; il MW offre tale
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definizione: “an electronic game played by means of images on a video screen and often emphasizing fast action”, e attesta la comparsa del vocabolo nell’uso anglo-americano al 1973. I risultati, riguardanti questa parola, reperiti su Google UK sono circa 2.660.000.
Walkman: s. m. ‘Apparecchio in grado di riprodurre o registrare tracce audio su cassette magnetiche’: “Combattere con sua maestà iPod non è facile, ma Sony, che ha inventato il walkman, se la gioca alla grande.” (J p. 63). Riguardo questo vocabolo, che si ricorda essere un marchio registrato, lo ZING 09 e il GARZ 09 concordano nel considerarlo il composto di walk “passeggio” e man “uomo”; il GRADIT considera walk un verbo, e lo traduce in “camminare”; lo ZING 09 e il GRADIT attestano al 1981 l’entrata del vocabolo nella lingua italiana, e affermano che tale comparsa è avvenuta sul quotidiano “La Repubblica” (GRADIT). Google Italia segnala circa 1.160.000 siti web in cui è possibile reperire questa parola, ad esempio: “Sony annuncia la fine della produzione e la vendita del vecchio Walkman a cassette. Ironicamente, l'annuncio della morte del prodotto cade durante i giorni del nono compleanno dell'iPod.”
Da:
http://www.tomshw.it/cont/news/addio-vecchio-sony-walkman-tanti-auguri-
ipod/27697/1.html. Il termine è reperibile in entrambi i dizionari online. Il MW lo definisce: “used for a small portable audio player listened to by means of headphones or earphones”; l’OED elenca diverse interessanti informazioni riguardo al vocabolo, oltre la sua definizione: “a proprietary name for: a portable music player able to play one of a variety of recording formats (chiefly audio cassettes)”. Tale marchio registrato è stato ideato, secondo l’OED, dopo Pressman, un registratore a cassette portatile creato per i giornalisti e prodotto dalla Sony Corporation nel 1977 in Giappone, mentreil Sony Walkman è stato svelato al pubblico in una conferenza stampa il 22 giugno 1979 a Tokio. La parola è entrata a far parte dell’uso inglese nel 1980: N.Y. Times 7 July B12/2 They were both possessors of the newest status symbol around town: the Walkman, a portable stereo unit (pricetagged in most stores at $200). Google UK elenca circa 2.180.000 indirizzi Internet in cui il vocabolo è accolto.
Web: s. m. ‘L’insieme dei collegamenti ipertestuali che formano la rete globale di Internet’: “L’idea di «essere clonati» sul web è già di per sé inquietante, ma può diventare un vero incubo se vieni trascinato nel girone infernale delle frodi creditizie.” (J p. 29); “Se navighi, le pagine web continuano sullo schermo in basso” (J p. 12).
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La parola, rinvenibile in tutti i dizionari, è tradotta in “rete” dal GARZ 09 e in “ragnatela” da entrambi i restanti dizionari. Il GARZ 09 aggiunge, però, che la parola è l’abbreviazione della locuzione world wide web “rete dell’intero mondo”, mentre il GRADIT attesta la comparsa del termine nella lingua italiana al 1996; lo ZING 09, invece, fa riferimento all’anno precedente. La voce può essere anche utilizzata come aggettivo, ad esempio: “sito, pagina web” (ZING 09 e GARZ 09) e “documento web” (GRADIT). Google Italia visualizza circa 321 milioni di risultati rigurdanti questo vocabolo, tra cui: “Siamo in grado di realizzare siti web sia per la piccola realtà commerciale che si affaccia per la prima volta sul web, offrendo servizi semplici ed ai più bassi prezzi di mercato, che alla grande azienda con specifiche e peculiari esigenze di comunicazione e di business, offrendovi la possibilità di avere un appuntamento presso la vostra sede con un nostro consulente senza impegno.” Da: http://www.sitowebflash.com/. Entrambi i dizionari online accolgono il termine nella forma World Wide Web. Il MW definisce il vocabolo: “a part of the Internet accessed through a graphical user interface and containing documents often connected by hyperlinks”, e ne attesta l'entrata nell’uso angloamericano al 1990. Possiamo integrare la definizione del MW con quella offerta dall’OED: “the network of interlinked information that is accessibile via this system”. World Wide Web e Internet sono spesso utilizzati, sempre secondo l’OED, come sinonimi, ma in realtà il Web è solo uno dei vari sistemi (insieme a e-mail e applicazioni peer-to-peer) attraverso la quale comunicare via Internet. Sia l’OED che il MW indicano il 1970 come anno di prima attestazione del termine: T. BERNERS-LEE & CAILLIAU (title of electronic document) Worldwideweb: a proposal for a Hypertext project. Google UK elenca circa 592 milioni di risultati relativi a questo termine.
Wireless: agg. m. o f. ‘Modalità di collegamento mediante onde elettromagnetiche che consente di mettere in comunicazione, senza l’ausilio di fili, due o più apparecchi elettronici’: “All’interno non manca poi l’antenna Wi-Fi integrata che permette il collegamento a qualsiasi router wireless negli standard 802.11b/g/n (per lo streaming video è ovviamente d’obbligo un dispositivo 802.11g o 802.11n).” (AF p. 75). Il GARZ 09 e il GRADIT concordano nel definire il vocabolo il composto di wire “filo” e less “senza”. Il GRADIT attesta l’entrata del termine all’interno del vocabolario della lingua italiana al 2000, lo ZING 09 indica il 1950. Google Italia elenca quasi 13 milioni di siti web in cui la parola è accolta, tra cu si segnala: “Da qualche anno uso vari apparecchi per reti wireless e ho pensato che la mia esperienza potrebbe 59
interessarvi se state pensando di realizzare anche voi una piccola rete amatoriale di computer collegati
senza
cavi,
o
se
l'avete
già
e
volete
proteggerla
dalle
intrusioni.”
Da:
http://www.attivissimo.net/howto/wlan/miniguida_al_wireless.htm. La parola è presente sia nel MW che nell’OED. Nel primo riusciamo a cogliere appieno l’accezione richiamata dal contesto attraverso due definizioni: “operating by means of transmitted electromagnetic waves” e “of a relating to data communications using radio waves”; l’OED fornisce la corretta definizione del termine, nell’accezione inerente all’ambito informatico, sotto la voce Wi-fi (termine con cui viene solitamente indicato un dispositivo senza fili): “any of several standards for the high-speed wireless transmission of data over a relatively small range”, e il possibile utilizzo della parola come aggettivo viene così sottolineato: “designating or relating to appliances or system using this standard”. Il motore di ricerca utilzzato, nella sua versione inglese, reperisce circa 40 milioni di siti Internet che accolgono questa voce al loro interno.
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Conclusioni Al termine dell’analisi dei prestiti rinvenuti all’interno delle riviste esaminate, è possibile fare una serie di considerazioni. Innanzitutto, tutte le 71 parole esaminate in questa tesi sono reperibili all’interno dei 3 dizionari italiani consultati, ad eccezione di blu-ray (rinvenibile esclusivamente nel GARZ 09), player (presente nello ZING 09 e nel GRADIT, ma assente nel GARZ 09) e subwoofer (accolto solo dal GARZ 09), e questo nonostante molti dei vocaboli presi in considerazione siano di recente accoglimento nella lingua italiana (l’entrata di quasi tutti i termini risale prevalentemente alla seconda metà del XX secolo, e in particolare dagli anni Settanta in poi). Se ciò era preventivabile, il fatto che le versioni online dei dizionari di inglese e di anglo-americano consultate non accolgano tutte le voci analizzate lo è certamente di meno: in questo caso le eccezioni sono rappresentate da bluetooth (assente nel MW), blu-ray (non accolto da entrambi i dizionari), hard disk e home theater (non lemmatizzati dall’OED), metal-detector e username (non accolti dal MW). La maggior parte dei termini analizzati è costituita da sostantivi maschili (58 su 71); le eccezioni sono rappresentate da e-mail, password, playlist e privacy (sostantivi femminili), hit e internet (sostantivi maschili ambigenere), live e wireless (aggettivi maschili o femminili), metal-detector e touch-screen (locuzioni sostantivali maschili), smartcard (locuzione sostantivale femminile), news (sostantivo femminile plurale) e online (aggettivo). Inoltre, è interessante sottolineare come alcune parole analizzate spesso rientrino in differenti categorie grammaticali a seconda del contesto in cui si ritrovano: online può essere utilizzato sia come aggettivo che come avverbio, mentre internet, standard, web e wireless possono essere sia sostantivi che aggettivi. Come immaginabile, i termini considerati trovano maggior riscontro nella versione inglese di Google piuttosto che in quella italiana, sebbene si possano rilevare anche in questo caso delle eccezioni: i vocaboli decoder, film, flash, password e videogame vengono reperiti in quantità maggiore su Google Italia che su Google UK, mentre la ricerca delle parole flop e hard disk fornisce un numero di risultati simili. Ciò può accadere quando un prestito è radicato da anni in una lingua straniera, o quando l’entrata di una voce in quest’ultima è così recente da impedire la formazione di una valida alternativa nella lingua ricevente. Nel caso di termini quali film, il motivo principale di tale fenomeno può essere ricercato nello slittamento semantico subito dal vocabolo durante il passaggio dalla lingua inglese all’italiano. Alcuni prestiti infatti, non vanno a designare nella lingua ricevente lo stesso significato assunto nella lingua d’origine: in inglese film è utilizzato prevalentemente con il significato di ‘pellicola’; in realtà l’equivalente inglese del termine preso in considerazione è movie. Molti forestierismi subiscono tale slittamento; tra di essi si possono citare 61
anche altri termini esaminati in questo lavoro: spot, che tradotto letteralmente significa ‘punto, macchia’, ma che è utilizzato in italiano con il significato di ‘messaggio pubblicitario’, (in realtà l’equivalente inglese di quest’ultimo è advertisement); display, che ha il significato di ‘schermo’ ma che in inglese definisce anche la presentazione visiva di dati visualizzati su quest’ultimo. Inoltre è necessario ricordare che solitamente il prestito assume in italiano solo una delle diverse accezioni ad esso attribuite nella sua lingua originale. Un’altra rilevante osservazione che è possibile fare è relativa alla data di prima attestazione dei termini esaminati: la metà dei prestiti oggetto di studio di questa tesi ha fatto il suo ingresso nell’uso italiano dagli anni Settanta in poi, ossia da quando il linguaggio informatico ha iniziato a diffondersi e a mescolarsi con il linguaggio comune. Di conseguenza, si può affermare che il fenomeno degli anglicismi provenienti dal linguaggio tecnologico è relativamente recente, nonostante non manchino anche in questo caso le eccezioni:film (1889), standard (1764) e altri vocaboli risalenti alla prima metà del XX secolo, tra cui set (1905), flash (1924), timer (1935), jack (1937) e blackout (1949). Infine, è importante sottolineare come gli anglicismi analizzati nel presente lavoro, reperiti nell’ambito delle novità tecnologiche, siano solo una parte dei forestierismi accolti finora nella nostra lingua. Il fenomeno dei prestiti investe tutti i livelli di una lingua, ogni suo ambito o settore; tuttavia, i forestierismi provenienti dal mondo delle nuove tecnologie, a causa di una loro sempre più rapida ed elevata diffusione, possono essere considerati come un preciso termometro dell’influenza linguistica straniera sulla lingua italiana.
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Dardano Maurizio, Il lessico, in Id., Manualetto di linguistica italiana. Zanichelli, Bologna (1996)
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Sitografia http://dictionary.oed.com/entrance.dtl
www.google.co.uk
www.google.it
www.merriam-webster.com
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Alla fine di questo lungo percorso, desidero rivolgere un sentito ringraziamento ai miei genitori. Grazie per il vostro aiuto e per questi nove anni di infinita pazienza!
Un ringraziamento particolare va al prof. Luigi Matt, relatore di questa tesi. Con la sua disponibilitĂ e cortesia, ha reso questo lavoro piĂš semplice e piacevole del previsto.
Ringrazio anche il correlatore di questa tesi, il prof. Antonio Pinna.
Un grazie va anche a tutti i miei amici: finalmente potremo festeggiare insieme questa benedetta laurea!
Un ultimo ringraziamento va alla mia fidanzata, Angela. Grazie per avermi sostenuto ed consigliato negli ultimi tre anni di questo mio travagliato cammino universitario.