A.D. MDLXII
U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI S ASSARI F ACOLTÀ
DI
L ETTERE
E
F ILOSOFIA
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CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DEI BENI CULTURALI
IL BANCHETTO ETRUSCO IN ETÀ ORIENTALIZZANTE
Relatore: PROF. MARCO RENDELI
Tesi di Laurea di: FRANCESCO URAS
ANNO ACCADEMICO 2010/2011
INDICE
INTRODUZIONE
p. 2
CAPITOLO II - Il Commercio (una premessa)
p. 5
CAPITOLO III - Il L’ideologia del vino e del banchetto nelle tombe orientalizzanti di Pontecagnano
p. 22
CONCLUSIONI
p. 42
BIBLIOGRAFIA
p. 51
ALLEGATI
p. 56
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INTRODUZIONE
L’interesse per questo argomento, è suscitato anzitutto dal profondo rispetto e dall’infinita curiosità nei confronti di quello che ritengo, uno dei popoli più complessi della storia, culturalmente diverso da Greci e Romani, particolarmente restio, a mio avviso, a dare testimonianza completa di sé: forse anche per questo oggetto di innumerevoli studi, pareri, riflessioni e discordie da parte di storici ed archeologi. In particolare, il tema che ho cercato di approfondire è legato proprio ad uno di questi aspetti: il sistema del banchetto con il consumo cerimoniale ed ideologico del vino nelle tombe principesche dell’Italia tirrenica durante l’età Orientalizzante, che dal punto di vista cronologico si definisce fra la metà dell’ VIII secolo, e il VII secolo a.C. A tale scopo, lo studio si è basato su di un’assidua ricerca bibliografica, ottenuta dalle fonti e gli scavi archeologici. Per questo motivo, ho scelto di suddividere il lavoro in due capitoli: nel primo ho cercato di analizzare, attraverso un panorama generale quello che il periodo sotto esame comporta dal punto di vista commerciale partendo dalla metà dell’ VIII secolo a.C., ovvero dal momento della fondazione di importanti colonie come Pitecusa e Cuma. Come afferma M. Rendeli, “grazie anche all’apporto delle nuove fondazioni coloniali, il circuito dei legami diviene ancora più chiaro ed esplicito: in altre parole compaiono figure dalle alte qualità tecniche, che recano con loro esperienza manuale, cultura, immagini messe a disposizione
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della élite “dei rappresentanti” che connotano le comunità dell’Italia centrale tirrenica”1. Quindi, a partire da questo momento avverrà un sostanziale cambiamento che porterà, almeno sino alla metà del VII secolo a.C., alla definizione di elites dalle quali emergono dei principes
che manifesteranno il loro potere e la loro ricchezza
attraverso il fenomeno delle tombe principesche2. “Possiamo, quindi, cogliere lo splendore di questa fase grazie a una forma di tesaurizzazione di questi oggetti che vanno a formare i corredi delle tombe principesche, dalla Campania al Latium Vetus, dall’Etruria Meridionale a quella centro settentrionale: nel momento stesso in cui questi oggetti vengono immessi nel corredo del defunto, essi vengono tolti dal circuito della vita di tutti i giorni, in altre parole vengono tolti alla società dei vivi per entrare a far parte del circuito della comunità dei defunti”3. Con questo nuovo fenomeno, al contempo si segna un nuovo modo di rappresentare questi personaggi i quali, per loro stessa volontà, o per volontà del gruppo di appartenenza vengono eroizzati in quanto capostipiti di grandi gruppi, legati da forme di patronato e da parentela. Ed è a questo punto che con il secondo capitolo ci si addentra nello specifico del rituale del banchetto ed il simposio. Prendendo come punto di partenza, tra le necropoli, quella di Pontecagnano, ho esaminato quelle che sono considerate tra le tombe più esemplari del sito, ovvero la tomba principesca femminile 2465 e quella maschile 4461 (ma non solo). Attraverso il corredo, gli strumenti del mangiare, del bere, la loro collocazione all’interno (ed 1 2 3
Rendeli 2007, p. 243. La definizione di “tombe principesche” è di B. d’Agostino 1977. Rendeli 2007, p. 244.
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all’esterno) del contesto funerario, ho cercato di risalire a quelle che sono le pratiche ideologiche che si sono svolte in onore dei defunti, considerati personaggi “speciali”, guerrieri, eroizzati, detentori del potere. Questi oggetti, collocati secondo un preciso sistema, esaltano il rango, la condizione e la funzione del defunto nella società dei vivi: sono, come dice M.Cristofani, “ status symbol, spie che informano sui legami, sulle reti sociali esistenti attorno al principe, e che lui stesso ha contribuito a tessere”4. Dunque, il simposio, seguendo nelle grandi linee le forme diffuse nel mondo greco, rielaborato “all’etrusca”, diviene quindi un momento socializzante, necessario a legittimare lo status dei nuovi ceti aristocratici. Il banchetto va oltre al semplice concetto del bere e del nutrimento, connesso alla religione ed al culto dei morti, diviene l’ occasione per delineare la figura del principe nella comunità. Per concludere questo breve excursus, ciò che segue non vuole essere una trattazione esaustiva su ogni aspetto del problema, ma un primo strumento utile per comprendere questa civiltà.
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Cristofani 2001, p. 94.
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CAPITOLO II: Il COMMERCIO (una premessa)
Nell‘ affrontare questo aspetto del mondo etrusco, tenendo fede all’affermazione di Cristofani, non si deve dimenticare la base documentaria su cui si lavora5. Infatti le grandi città etrusche, che ebbero un ruolo decisivo nella nascita e nello sviluppo delle relazioni commerciali, sono conosciute spesso attraverso una serie di grandi tombe che hanno offerto ricchi materiali di corredo; ma un’altra considerazione di cui bisogna tener conto, la rileviamo quando si è tenuti ad interpretare il materiale rinvenuto cercando di evitare di ricondurre ad una realtà moderna, situazioni economiche, sociali e mentali che nell’antichità erano ovviamente differenti6. Partendo da questo, possiamo ora delineare uno quadro d’insieme che permetta poi di collegarci con quello che è il tema principale di questo lavoro, ovvero l’importanza del vino e del banchetto nella società etrusca ed il suo uso all’interno della comunità durante l’età Orientalizzante. Innanzitutto si è soliti ritenere che lo sviluppo economico dell’Etruria venne favorito dalla presenza di considerevoli giacimenti minerari. Nell’Etruria meridionale infatti, tra Caere e Tarquinia, vi erano le miniere di metallo e di allume dei monti della Tolfa7; ma le maggiori risorse erano concentrate nell’Etruria settentrionale sui Monti
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Cristofani 2001, p.93. Cristofani 2001, p.94. 7 Cfr. Grant 1982 per un approfondimento sui metalli dell’Etruria; Parise 1986 pp. 37-53 sulle forme di circolazione metallica fra Etruria e Lazio dall’ VIII al VI secolo a.C. 6
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Metalliferi situati nel retroterra di Populonia, e sull’isola d’Elba8. Queste risorse, attrassero in Etruria l’interesse dei Fenici e dei Greci, aperti del resto ad ogni occasione di contatti e di scambi9: l’incontro con essi si verificò in un arco di tempo compreso tra la seconda metà del IX e la prima metà dell’ VIII secolo a.C. I Fenici che toccarono i porti dei principali centri costieri dell’Etruria, da Populonia a Pontecagnano, raggiungevano le coste tirreniche dalla Sardegna, che fin dall’ XI secolo era stata meta delle loro navigazioni. La testimonianza di questi contatti, che si rinvengono nelle tombe di questo periodo, è fornita soprattutto da bronzetti sardi: figurine, bottoncini sormontati da immagini di animali, modellini in miniatura di barche o di oggetti d’uso10. Ben più importante, invece, fu il rapporto con il mondo greco iniziato nella dalla fine del IX secolo ad opera di naviganti provenienti principalmente dall’Eubea e dalle Cicladi. Ancora una volta, la testimonianza di questi contatti sono i corredi tombali che prevedono vasi dipinti in argilla depurata destinati al consumo del vino: principalmente coppe, con decorazioni a semicerchi penduli, a chevrons, a meandro, ad uccelli. Questi vasi, provenienti dall’Eubea e dalle Cicladi, si ritrovano sia nei centri dell’Etruria come Veio, Caere e Tarquinia, e sia in quelli posti fuori 8
Prayon 1999, p.17; D’Agostino 2003, pp. 14-15. M.Rendeli sottolinea che in una fase precedente la fondazione di colonie in area tirrenica, le testimonianze archeologiche che dimostrano un contatto con altre civiltà le possiamo constatare attraverso i rinvenimenti di materiale nell’area salernitana con al centro Pontecagnano, la bassa valle tiberina sia sul versante villanoviano (Veio ad esempio), sia sul versante latino (Osteria dell’Osa, Decima), l’Etruria meridionale costiera da Cerveteri a Vulci, l’Etruria centro settentrionale costiera fra Vetulonia e Populonia; cfr. Rendeli 2007, pp. 227-234 nella sezione II, volume III di Grecia e Mediterraneo. Dall’ VIII secolo a.C. all’età delle guerre persiane. 10 D’Agostino 2001, p.84. 9
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dall’Etruria propria, come Capua e Pontecagnano in Campania. Per i Greci dunque, il consumo del vino secondo regole stabilite, legato a un servizio particolare di vasi, aveva un significato molto importante: non a caso, coloro che bevevano insieme si riconoscevano come membri di uno stesso ceto sociale e stabilivano tra loro vincoli di solidarietà. Quest’uso venne poi introdotto dai Greci in Etruria per avviare rapporti con i maggiorenti locali i quali se ne appropriarono accogliendo i vasi per il consumo del vino nei loro corredi tombali11. Il successo di questo costume fu tale che le botteghe locali cominciarono a produrre imitazioni di questi vasi, per far fronte alle esigenze crescenti della committenza locale; ne nacque così una produzione di vasi “ alla greca “, molto diversi per tecnica e qualità dalla produzione locale, in argilla depurata e non depurata, con superficie di colore scuro (impasto) e decorazione incisa o impressa12. Questo è solo uno degli esempi che dimostrano come il contatto con il mondo greco esercitò un’influenza importante sul gusto degli Etruschi che, a loro volta, seppero riadattare tali modelli alla loro mentalità, trasformandoli o reinterpretandoli in modo originale. Ma tutto questo diviene ancora più esplicito nel corso del periodo seguente. Intorno alla metà dell’ VIII secolo a.C.13 poi, i Greci dell’Eubea crearono un 11
La testimonianza più rilevante del consumo del vino nei banchetti funerari dei personaggi eminenti delle comunità dell’Italia centrale tirrenica è la presenza, nei corredi funerari, di un tipo particolare di coppa biansata, di produzione medio e tardo-geometrica greca, dapprima d’importazione euboica per lo più, poi d’imitazione locale, indubbiamente segno di rapporti di ospitalità, di usi acquisiti dall’esterno e forse della presenza occasionale dei Greci in quelle località, Bartoloni 2003, pp. 196-198. 12 D’Agostino 2001, pp.81-83; Cristofani 2001; D’Agostino 2003, p. 18. 13 Sempre Prayon afferma che a partire dalla metà dell’ VIII secolo a.C. sotto l’influsso delle colonie greche di nuova fondazione nel meridione d’Italia,
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loro
insediamento
Pithekoussai,
stabile
Pitecusa14.
nell’isola
di
Soffermandoci
Ischia,
denominata
solo
brevemente
sull’insediamento, è giusto sottolineare che si è soliti ritenere Pitecusa una colonia ma in realtà nessun testo afferma che lo era perché non sembra presentare quegli sviluppi d’organizzazione urbana che riscontriamo nelle successive colonie greche15. Tra l’altro, lo studio della necropoli, dei vari corredi e dei riti utilizzati in funzione delle classi d’età e del sesso del defunto, ha svelato l’esistenza di un sepolcreto misto con greci e orientali, etruschi e locali, permettendoci così di comprendere il carattere aperto dello stanziamento nel quale coabitavano greci ed orientali integrati a tal punto nella comunità da seguire gli stessi rituali funerari. È di Strabone infatti, l’idea che l’insediamento di Pitecusa poté svilupparsi grazie al buon raccolto ma soprattutto all’esistenza di miniere d’oro (Geogr. V,4,9). Data però la mancanza del minerale prezioso, secondo Cristofani, l’ affermazione viene interpretata come “botteghe di orefici“16. Proprio i corredi e le
l’usanza di porre ceramica greca nelle tombe locali, diventa in questo periodo sempre più diffusa; infatti, solo poco tempo dopo, negli insediamenti in espansione come Tarquinia e Vulci si stabilirono delle officine ceramiche, alcune delle quali imitavano il vasellame greco, impiegando per la produzione il tornio e un’argilla di migliore qualità. Nello stesso periodo arrivarono in Etruria altri oggetti importati dall’Oriente e dalla Grecia che contribuirono in maniera fondamentale allo sviluppo artistico dell’epoca successiva, quella che sarebbe divenuta la << fase orientalizzante>> della cultura etrusca, cfr. Prayon 1999, p.37. 14 Grant 1982, pp. 54-58, sul rapporto tra Pitecusa, Fenici ed Etruschi; Colonna 2005, pp. 1907-1921, Prayon 1999, pp. 45-54. Sul rapporto tra Pitecusa e gli Etruschi durante l’ VIII secolo a.C. 15 Cristofani 1989, p. 20. 16 Il ritrovamento di un peso di bronzo avvenuto nel quartiere metallurgico di Mezzavia, evidenzia come lo strumento poteva appartenere ad un orefice. Infatti la tecnica orafa era in questo periodo esclusiva dei fenici e nel quartiere di Mezzavia dovevano abitare nuclei parlanti lingue semitiche, testimoniato anche da
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numerose anfore testimoniano e confermano che si trattava di un sito nel quale vivevano e lavoravano mercanti levantini accanto ai Greci dell’ Eubea. Dunque, alla luce di ciò, come definire Pitecusa? Dobbiamo forse assumere, tra le varie interpretazioni ciò che afferma M. Gras17, ovvero considerarla una comunità tradizionale trapiantata nel mondo occidentale, o, un emporio secondo il pensiero di B. D’Agostino
18
prima, apoikia19 poi, oppure, come afferma G.
Bartoloni20, considerarla uno stabilimento o una sorta di base industriale e commerciale più che una colonia? Nel voler trovare la corretta
definizione,
dobbiamo
riflettere
sulla
natura
e
l’organizzazione di questi insediamenti21; infatti confrontando quanto avviene nell’Italia tirrenica con il mondo ellenico, possiamo interpretare questa prima forma di strutturazione dei grandi centri dell’Etruria costiera, e Pitecusa rientra dunque nello schema, riprendendo una citazione efficace di A. Mele22, delle poleis kata komas (‘città suddivise in rioni’23). In ogni caso, come riferisce B. alcune iscrizioni in fenicio ed aramaico su anfore commerciali greche; Cristofani 1989, p. 20-21. 17 Gras 1997, p. 63. 18 D’Agostino 1994, p. 19, 19 D’Agostino 1999. 20 Bartoloni 1992, pp. 179-180. 21 Rendeli 2007, p. 233. 22 Mele 2002, p. 19. 23 Rendeli 2005, p. 176-177, sottolinea inoltre che il problema nell’interpretare la natura dell’insediamento, risiede nel fatto che la sua strutturazione avviene in un momento in cui nella madrepatria, l’Eubea, e segnatamente Calcide ed Eretria, non esisteva ancora una polis nel senso classico del termine. E dunque, la strutturazione per nuclei differenziati, o rioni, potrebbe riflettere una situazione non coesa geograficamente e politicamente della madrepatria, anche se i siti sono nella maggior parte concentrati nella zona nord occidentale dell’isola. Allora, l’anomalia della nuova colonia, va ricercata nella sua area funeraria, ovvero la necropoli di San Montano, la quale risulta unica e unitaria, mentre in Eubea a
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D’Agostino, qui facevano capo le navi euboiche che in quegli stessi anni frequentavano gli approdi del Vicino Oriente, stabilendo così intensi contatti con la Fenicia, la Siria settentrionale e Cipro24. Gli artigiani euboici ed orientali, esperti sia nella produzione ceramica e sia nella lavorazione dei metalli, si trasferirono nelle città etrusche impiantando officine specializzate nella produzione di vasi dipinti e di oggetti preziosi riccamente decorati. Quindi in definitiva dopo la fondazione di Pitecusa e successivamente Cuma
25
, i rapporti
sembrano divenuti più stabili al punto da permettere un’integrazione degli artigiani stranieri nelle comunità indigene e intorno al 700 a.C., in centri come Tarquinia, così come già era avvenuto per Vulci, abbiamo ora importazioni di vasi dipinti secondo lo stile adottato a Cuma, con una forte influenza corinzia per esser poi seguita da imitazioni attribuite a maestranze greche operanti in loco. Tuttavia accanto alla produzione euboica, corinzia e cicladica, possiamo constatare come in Etruria, ed in particolare in località come Veio e Tarquinia, vi siano non solo imitazioni più o meno fedeli di vasi greci, ma anche forme vascolari indigene, sia di argilla depurata che di impasto coperto a una spessa ingubbiatura chiara ed in impasto sottile eseguita al tornio anziché a mano. Ben presto, l’uso del tornio si Eretria presenta nuclei differenti che dovevano rispondere alle diverse comunità di villaggio o rioni. Rendeli 2007, pp. 240-241 per approfondire l’argomento; cfr. Mele 2002, per una maggiore comprensione di Pitecusa. 24 La presenza di mercanti fenici è documentata nell’isola sia dagli oggetti di lusso come sigilli, scarabei – importati dall’Egitto, dalla Siria e dalla Fenicia, sia dalla ceramica fenicia di uso comune, a superficie rossa (red slip), che serviva quotidianamente per imbandire le mense degli stessi mercanti, cfr. D’Agostino 2003, p.19. 25 Cristofani 1989, pp. 21-24, sulla fondazione di Cuma; De Juliis 2004, pp. 5-10 sui rapporti tra Pitecusa e Cuma; Ridgway 1992, pp. 59-95.
10
applicò a tutte le produzioni ceramiche da mensa dando luogo ad officine specializzate e ad artigiani a tempo pieno; per il vasellame più propriamente da cucina e da fuoco continuò ad esser usato l’impasto non depurato. Attraverso l’introduzione dell’impasto rosso, a sottile ingubbiatura rossa ispirato a modelli d’area fenicia (red slip) precocemente imitati a Pitecusa e nell’Etruria meridionale, si ascrivono anche nuove forme: piatti a larga tesa e scodelline carenate, scodelle a quattro prese, olle biansate con labbro e corpo con solcature talora accompagnate da stampiglie; grandi sostegni con rigonfiamento mediano, alti fino a un metro, per sostenere calderoni a protomi di grifo, crateri per mescolare il vino, che denotano forme funzionali a nuove abitudini alimentari in cui la carne ed il vino occupano il primo posto26: sembra evidente che il sistema del banchetto si afferma ora a livello aristocratico, con le varie valenze sociali e cerimoniali, seguendo modi di comportamento venuti dal Vicino Oriente e giunti direttamente o mediati dai Greci27: ed è così che, attraverso i primi immigrati Greci, gli Etruschi stabilirono rapporti di una certa consistenza tanto da assorbirne tecniche e modelli figurativi e ben presto anche culturali 28. L’Etruria meridionale diventa il luogo in cui i segni della penetrazione dei Greci sembra influenzare lo stile di vita aristocratico. Il banchetto diventa ora una delle manifestazioni più documentate ed inoltre fornirono le occasioni in cui si trasmisero le prime fabulae greche reinterpretate figurativamente per la prima volta su “ oggetti d’arte “ usati per il consumo aristocratico. Un’ulteriore 26
Colonna 2005, pp. 1207-1211 con fig. 5 .6. 7. Per approfondire sulla varie forme vascolari frantumate intenzionalmente in relazione con il rituale funerario cfr. Colonna 2005, pp. 1213-1218. 28 Cristofani 1987, p.9. 27
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testimonianza è data dal repertorio di beni suntuari accumulati come keimelia nelle tombe principesche della zona tirrenica nelle quali accanto agli ori e argenti levantini, ai metalli della Siria settentrionale, agli avori fenici, figurano oreficerie e vasellame prodotto a Caere che durante il VII secolo a.C. presenta (apostrofando Cristofani) “novità tecnologiche applicate a un repertorio che non include le tipologie ellenizzanti adottate nell’area meridionale”29. È dunque alle genti egee che frequentano le coste tirreniche che si deve forse attribuire l’introduzione
dell’uso
del
banchetto
e
una
più
ampia
somministrazione del vino nella vita quotidiana e nei rituali funerari: ciò ovviamente non significa che le componenti greche siano responsabili dell’ introduzione della viticoltura, ma piuttosto esse fungono da miccia per forme di una più intensiva coltura della vite che nel VII secolo sarà poi determinata da varie fasi30. Di fatto, già dalla seconda metà dell’ VIII secolo fino all’ultimo quarto del VII a.C., si attiva un processo di normalizzazione delle tecniche viticole e si perfeziona la tecnica di
coltivazione con la selezione e il
miglioramento delle piante più produttive, incentivando al tempo stesso l’innesto di piante importate attraverso i flussi coloniali greci che investono l’Italia centro – meridionale e la Sicilia dalla metà dell’ VIII secolo a.C.; tuttavia, se il vino è ancora considerato una bevanda di pregio e ne viene vietato l’uso per cerimonie funebri (come ci dice Plinio , NH, XIV, 88), si afferma comunque il consumo per scopi cerimoniali. Comunque questa offerta di beni di lusso, in parte importati dall’Oriente, dalla Grecia e in parte prodotti in Etruria stessa 29 30
Ientile 1983, p. 55; Cristofani 1987, pp. 11-13. Bartoloni 1992, p. 189.
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da artigiani immigrati, presuppone ora la nascita di un ceto agiato, con uno stile di vita tale da giustificare lo sfoggio della ricchezza e del lusso. Tutto ciò corrisponde ad una profonda trasformazione della società etrusca negli ultimi anni dell’ VIII secolo a.C. che segna il passaggio dalla prima età del Ferro al periodo Orientalizzante31. In questo momento, dunque, si consolida in Etruria una organizzazione sociale di tipo gentilizio, ed ogni centro è articolato in un certo numero di famiglie allargate (gentes) , ciascuna delle quali è composta non solo da parenti ed affini, ma anche da servi e clienti. Ciascuna gens, raccolta intorno al culto dei proprio antenati, si occupa dunque della difesa del territorio nel quale ricadono le sue terre, intrattiene rapporti con gruppi simili esistenti in altre città, pratica il commercio e permette l’inserimento dello straniero attraverso il procedimento dell’adozione. Nel corso del VII secolo, i capi delle gentes più prestigiose, i principes, affermano dunque il loro potere personale, che si manifesta in maniera eclatante nelle “tombe principesche“32 che si diffondono nell’area tirrenica tra gli ultimi anni dell’ VIII secolo e nella prima metà del VII secolo a.C. Questo fenomeno segna, inoltre, una nuova maniera di rendere chiaro un messaggio familiare e gentilizio di defunti che vengono eroizzati per loro stessa volontà o per volontà del gruppo di appartenenza in quanto capostipiti di grandi 31
Come sostiene Rendeli 2007, p. 243, è questa una fase che, dalla Campania all’Etruria Padana, si apprendono nuovi linguaggi e nuovi alfabeti sociali tra i quali, quello che maggiormente colpisce, il linguaggio della auto – rappresentazione attraverso un nuovo alfabeto del lusso. Emerge un nuovo modo di rappresentare se stessi, utilizzando strumenti e iconografie, trasformate dai protagonisti per un uso e un consumo rimodulato sui parametri delle nascenti società gentilizie d’ Etruria. 32 Bartoloni 2003, pp. 30-35 per un maggiore approfondimento sull’emergere delle aristocrazie nell’Italia centrale tirrenica; D’Agostino 2003, pp. 20-26.
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gruppi, legati da forme di patronato e di parentela33. A questi personaggi, poi, si addice il rito della cremazione, che si utilizza solo per persone di alto rango. Il rito, dunque, evoca una sorta di eroizzazione del defunto. Nel recupero della cremazione e in altri aspetti del rituale che accomuna queste tombe, è evidente l’ispirazione agli eroi del mondo omerico34: nei loro corredi ricorrono infatti gli stessi tipi di oggetti lussuosi35, in parte di origine esotica, in parte imitati in Etruria. Essi sembrano definire una sorta di costume funerario riservato al principe36 che si ritrova
su tutta la costa
tirrenica, dall’Etruria propria (Vetulonia, Caere, Veio) al Lazio antico (Praeneste), al mondo greco coloniale (Cuma) alla Campania etruschizzata (Pontecagnano). Dalla costa tirrenica poi l’uso si estende anche verso il versante adriatico (Fabriano, S. Severino). Le tombe quindi presentano una ricchezza di materiale assai variegata, con vasi 33
Rendeli 2007, p. 244. A tal proposito, G.Bartoloni 2003, pp. 55-57, sostiene che soprattutto nel VII secolo, assistiamo in Italia a una omologazione dei contesti funerari riferibili a uomini eminenti nelle singole comunità. Il modello di riferimento appare quello dell’ eroe guerriero diffuso dall’epopea omerica in cui “l’eroe ha il carattere del progenitore mitico”. Non a caso, come nell’Iliade e nell’Odissea, il rito prevalente in queste sepolture è quello dell’incinerazione, rituale che garantisce la permanenza nell’aldilà. 35 Da questo punto di vista, nell’interpretare il lusso principesco delle tombe dell’Italia centro meridionale tirrenica si può evidenziare un collegamento con le feste del marzeah, per una maggiore comprensione si veda Tomasi - Cremonesi 2000, pp. 64-69, negli atti del simposio internazionale di Conegliano, 30 settembre – 2 ottobre 1998. 36 O come afferma M. Rendeli 2007, p.247, “questi si autorappresenta nello sfarzo dei suoi beni e delle sue ricchezze e vuole sottolineare mediante questi grandi apparati funerari un controllo totale dei rapporti di scambio con mercanti stranieri, dei mezzi di produzione e delle risorse della comunità che rappresenta. Un personaggio che nella propria mentalità della comunità che lo seppellisce, ha un legame forte e una forma di omologazione con le figure eroiche, mitizzate, quasi divine e con le loro forme di rappresentazione che circolavano in quel momento per il Mediterraneo”. 34
14
di tipo orientale come grandi calderoni decorati con protomi di leone e di grifo, coppe d’oro e argento con decorazione figurata, eseguita forse da artigiani immigrati dalla Siria settentrionale e soprattutto da Cipro, così come altrettanto ricco è il repertorio degli avori importati dalla Fenicia e dalla Siria settentrionale e in parte lavorati in Etruria. Inoltre la nascita di una ricca committenza non si limita a richiedere l’importazione di oggetti di lusso ma stimola a sua volta il sorgere di produzioni locali innovative, come il bucchero, che sarà ricercato anche fuori dall’Etruria in tutto il bacino del Mediterraneo. Una piccola parentesi: per quel che riguarda la Sardegna ad esempio, la presenza del bucchero e della ceramica è attestata a partire dalla metà del VII secolo a.C.; inoltre materiali maggiormente presenti sono quelle forme connesse all’uso del vino (quindi kantharos , skyphoi , kyathoi e ancora calici e coppe varie37) che testimonia da un lato come il vino abbia ora un ruolo importante, e dall’altro come il peso delle colonie fenicie sia decisivo (ad esempio le colonie fenicie da Sarcapos a Tharros che hanno influito notevolmente per i traffici trans tirrenici, così come Karales nella parte orientale, Sulcis, Nora e Bitia per quella occidentale38). Tuttavia due problemi sembrano porsi in luce: da una parte quello che riguarda la redistribuzione dei materiali etruschi da parte dei centri coloniali: infatti se centri come Nora e Bitia non irradiano materiali verso l’interno, al contrario centri come Sulkì ,
37
Rendeli c.s. sottolinea però che pochi sono i centri coloniali che hanno restituito resti che appartengono a questa fase attraverso scavi sistematici avvenuti nei centri come Sulcis, Monte Sirai e Nora. 38 Per un approfondimento legato al tema, si veda Ugas - Zucca 1984.
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Tharros e Neapolis sembrano assai attivi con materiale39 che si ritrova in maniera abbastanza uniforme sia nelle aree abitate che in quelle funerarie. Il secondo problema invece si pone quando dobbiamo capire se tutti questi materiali importati (coppe in bucchero, i contenitori per il vino, la ceramica corinzia ecc..) sono destinati unicamente ai coloni oppure ne beneficiano anche le componenti locali dal momento in cui accettano nelle loro aree la presenza dei “nuovi arrivati“ ed i loro flussi. Se dunque si accetta un processo di omologazione da parte dei locali, i materiali rinvenuti nelle varie parti della Sardegna (frammenti di bucchero e ceramica etrusco – corinzia rinvenuta nel Campidano e verso l’interno, nelle aree che vanno dal bacino del Temo alla Nurra) sono indice di una certa vitalità dal punto di vista economico,politico e organizzativo, e di un dialogo attivo tra componenti locali e mercanti con la presenza negli scambi sia di Fenici che Greci. Questo fenomeno, infine, potrebbe aver portato a forme di organizzazione autonome nel gestire gli scambi e i traffici, e con un controllo organizzato del territorio dove la pratica dello scambio si articola attraverso i mercanti che provengono dai centri coloniali costieri o dagli empori. Se però sulle coste etrusche, negli empori e nelle necropoli la presenza di prodotti fenici non appare molto consistente dopo il VII secoloa.C., a Cartagine, ben collegata con la Sardegna, le necropoli della fine del VII e prima metà del VI, hanno restituito un gran numero di buccheri e ceramica etrusco –
39
Ivi, evidenzia come la presenza del materiale etrusco potrebbe indicare un interesse fenicio verso la nascita di centri satellite e l’occupazione o la rinascita di centri indigeni.
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corinzia40. Qui le anfore dominano sui servizi potori, così come dominano il settore degli aryballoi ed alabastra etrusco – corinzi per quel che riguarda i porta unguenti, e questo delinea una situazione in cui Cartagine non sembra raggiunta dal commercio del vino, prodotto a sua volta in loco. La stessa cosa non può dirsi della Sicilia, dove la concentrazione di buccheri e anfore vinarie etrusche, più la presenza di bacili bronzei attribuiti a officine dell’Etruria nelle coste meridionali della Sicilia41, indicano che i kantharoi rappresentano un circuito di scambi particolarmente fiorente. In ogni modo, se alla base dell’economia gentilizia sta lo sfruttamento di un vasto territorio agricolo, non bisogna sottovalutare un’altra forma di accumulazione della ricchezza, ovvero quella derivante dalla guerra e dalla pirateria42. In ogni caso attorno alla prima metà del VI secolo a.C. l’assetto sociale si modifica ancora dando vita ad una nuova e fiorente attività mercantile. La vecchia aristocrazia gentilizia, ancorata al possesso della terra e all’agricoltura estensiva, nonostante conservi parte del suo potere, vede ora l’emergere di un nuovo ceto benestante che trae le sue ricchezze attraverso la coltivazione della vite, alla quale gradatamente si affianca quella dell’olivo. Le grandi città dell’Etruria marittima, come Caere e Vulci, avviano ora un intenso commercio con le coste della Francia meridionale che si basa soprattutto 40
Rendeli c.s. Cristofani 1989 , pp. 50-51. 42 D’Agostino 2003, p. 24, il quale sottolinea infatti che nell’esercizio di questa attività, Greci ed Etruschi si distinsero fin da età molto antica, come mostrano fra l’altro le immagini del cratere di Aristonothos, un artigiano di origine siceliota operante forse a Caere intorno alla metà del VII secolo a.C. Alla Sicilia mitica rimanda la scena con l’accecamento di Polifemo da parte di Odisseo, mentre sul lato principale è rappresentato lo scontro tra una nave pirata greca e una nave mercantile etrusca. 41
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sull’esportazione del vino; ma come avveniva l’esportazione di questa bevanda? Il vino, poteva essere trasportato con le anfore. Le anfore infatti permettevano di trasportare liquidi (vino ma anche olio) ma ciò non significa che fosse anche una mercanzia, al contrario la sua funzione era quella di contenere un certo prodotto fino al momento della vendita
e soprattutto veniva utilizzato per tragitti a lunga
distanza43; potevano a loro volta essere di vari tipi ed esser addirittura usati fra le altre cose, come afferma M. Gras, per inumare i bambini44. Le grandi anfore vinarie si differenziano per le loro dimensioni dalle anfore da tavola, usate invece per la conservazione dei liquidi nell’ambiente domestico. Ma nonostante questo, non possiamo a priori affermare se quel tipo di anfora servisse proprio al trasporto del vino o dell’olio. Un altro problema è comprendere come si fabbricavano queste anfore e quale fosse il rapporto fra la produzione del vino nei centri principali come Caere e Vulci e la loro commercializzazione mediante l’esportazione verso zone come la Francia meridionale. Ma, la loro importanza crebbe per le grandi città greche e nelle principali città fenicie, cartaginesi ed etrusche dal momento in cui bisognava immagazzinare questi liquidi. L’importanza economica di questi scambi è data attraverso i numerosi relitti di navi che, ad esempio, durante tutto l’arco del VI secolo a.C., percorrono la rotta verso Marsiglia e le coste della Provenza. Che il vino fosse protagonista del commercio lo testimonia il carico che era in gran parte composto da anfore vinarie etrusche, costituendo da sole l’80 o il 90 % delle
43 44
Cristofani 2001, pp. 99-100. Gras 1997, p. 171.
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importazioni nel periodo compreso tra il 600 ed il 540/30 a.C.45 Quindi, il vino, acquisito inizialmente tramite commercio fenicio e greco appare ben presto negli usi cerimoniali degli aristocratici per esser poi prodotto ed esportato nelle anfore, durante il VII secolo nel Lazio, in Campania e nella Sicilia orientale, in Sardegna e in Corsica, a nord sulle coste della Francia e della Spagna nel corso del VI secolo a.C. Inoltre, se il suo consumo appare fatto usuale nell’ambito della società urbana, è perché alla base vi è un sistema di coltura specializzato, bisognoso di cure, che doveva avvenire presso i centri abitati, i quali vanno poi a moltiplicarsi nel territorio, ad esempio come quello vulcente, che nel corso del VII e VI secolo a.C.46 darà vita ad una massiccia produzione. Per concludere questo breve percorso, dunque, abbiamo visto come le città giocano un ruolo specifico nel commercio e soprattutto quelle situate a breve distanza dal litorale per approfittare dei vantaggi della vicinanza del mare senza subire inconvenienti. Tuttavia, a cavallo tra la fine del VII e inizio VI sec. a.C., ci sarà una trasformazione importante in Etruria che investirà proprio i centri urbani costieri. Infatti, da questo momento le città muovono i primi passi verso iniziative di carattere sociale che coinvolgono tutto il corpo dei cittadini a scapito del potere 45
D’Agostino 2003, pp. 35-36, ritiene significativo, tra i vari esempi che si possono citare, il caso della nave affondata presso l’isola del Giglio, sulle coste della Toscana, tra il 590 ed il 580 e diretta probabilmente verso la Gallia meridionale. Il suo carico comprendeva almeno 130 anfore etrusche che, oltre al vino, contenevano resina, olive e pinoli. Una parte molto importante del carico era costituita dal vasellame di bucchero, vi erano anche unguentari prodotti in varie città greche, pani di rame, lingotti di piombo e spiedi di ferro e ambra non lavorata. Conclude D’Agostino, dicendo che probabilmente questa nave proveniva dall’Asia Minore, ed aveva scambiato il suo carico originario di oggetti importati dall’Egeo con le anfore etrusche ed il bucchero. 46 Cristofani 2001, pp. 74-77.
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che le singole famiglie allargate avevano mantenuto47. Da un punto di vista commerciale comincia quel processo che porta alla formazione e all’apertura di specifiche aree dedicate alle transazioni commerciali, denominati ports of trade o empori48, ovvero di forme complesse di organizzazione, dove al commercio si affiancano ora aree sacre e aggregati abitativi; in altre parole si vanno a formare dei “centri satellite” delle città costiere che completano al loro interno la concessione agli stranieri di luoghi, o aree, nelle quali hanno la possibilità di praticare i propri culti49. Ma come spiega M.Rendeli, perché ciò avvenga vi è il bisogno di avere due contraenti: ovvero il mercante da una parte e dall’altra una struttura che offre ospitalità con un suo peso specifico per concedere agli stranieri una porzione, sia pur limitata, del proprio territorio50. Per l’Etruria, un esempio lo si può trovare in Pyrgi, nel territorio di Cerveteri, Gravisca, in quello di Tarquinia, dove infatti son stati trovati edifici di piccole dimensioni e 47
Rendeli 2007, p.252; Torelli 1973, p.18. Cristofani 1983 49 Gras 1997, pp. 155-158, Cristofani 2001, p.95.; Rendeli 2007, p.252. 50 Questa nuova fase del commercio, che si sviluppa dunque durante la fase tardo orientalizzante e arcaica porterà alla nascita delle prime forme di emporìa, superando così la precedente fase del commercio di tipo préxis. L’emporìa dunque si differenzia in maniera netta dal commercio di tipo prexis perché si perde quella connotazione dello scambio fra persone che si riconoscono pari, e non si nota l’esclusività dello scambio fra due contraenti; in sostanza, il commercio emporico è commercio d piccolo cabotaggio, dove le tappe sono molte e il naùkleros della nave diventa colui che trasporta merci fra le più differenti. Non esistono più a questo punto carichi particolari o legati all’origine del proprietario della nave, ma le merci acquisite con una transazione commerciale andranno vendute e scambiate nel porto successivo. In conseguenza di ciò, non si può parlare pù di commercio etrusco, foceo o corinzio per il semplice fatto che si impone ora una profonda dicotomia fra trasportatore e oggetti trasportati. Per una maggiore comprensione del passaggio del commercio dalla prexis all’emporia, soprattutto per quel che riguarda la Grecia, si veda Mele 2007, pp. 609-616.; Rendeli 2007, pp. 252-256; e soprattutto Mele 1979. 48
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altari, soprattutto da Gravisca51 provengono numerosi oggetti votivi che recano dediche in lingua greca, che differenti mercanti avevano dedicato in queste piccole aree sacre alle loro divinitĂ , in particolare Afrodite, Demetra, Era52.
51 52
Per approfondimenti, cfr. Boitani â&#x20AC;&#x201C; Torelli 1999. Rendeli 2007, p.253.
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CAPITOLO III : L’IDEOLOGIA DEL VINO E DEL BANCHETTO NELLE TOMBE ORIENTALIZZANTI DI PONTECAGNANO
"Il vino, antidoto di ogni dolore, venne donato ai mortali: senza vino l'amore non vive ed ogni altra gioia muore". (Euripide, Le Baccanti)
Come abbiamo potuto vedere, il vino, da un punto di vista commerciale,
era
una
bevanda
assai
ambita
che
veniva
commercializzata in tutto il Mediterraneo: ma a quale scopo gli Etruschi se ne servivano durante l’età Orientalizzante? Per rispondere a tale quesito, possiamo riflettere partendo da una base: ovvero, se per i Greci, riprendendo un espressione di Oswyn Murray 53, il consumo del vino era l’espressione del modo di vivere degli aristocratici ed il simposio una sorta di istituzione sociale o associazione privata tra individui che volevano far valere la propria identità. Possiamo oltremodo affermare che bere il vino, per gli Etruschi, era un fattore dall’altrettanto forte valore sociale. Le élite infatti vedevano nel vino e nel simposio un fattore di aggregazione e socializzazione nonché uno strumento per ribadire il loro stato sociale: bere insieme voleva dire riconoscersi come membri di una stessa comunità, stabilendo così i vincoli di solidarietà54. Riprendendo l’uso greco, anche il vasellame etrusco per il vino presentava una tipologia di forme specifiche per i 53
Murray 1990, p.15 sull’argomento si veda Murray 1990; Rosler 1995, pp.106-107-108-109; D’Agostino 2003, in particolare pp. 18-19-20. 54
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diversi momenti del simposio: il cratere che conteneva il vino mescolato all’acqua; l’olpe e il kyathos che servivano ad attingere, e l’oinochoe per versare il vino ai commensali, gli skyphoi, le kylikes, i kantharoi e poi i calici di bucchero
usati come coppe per bere.
Attraverso questi oggetti rinvenuti nelle case o nelle tombe, possiamo avere un’idea dell’importanza del vino in epoca etrusca poiché esso è un importante veicolo di trasmissione dello stile di vita ellenico alle aristocrazie etrusche. E il simposio, come cerimonialità connessa al consumo del vino, modellerà in profondità lo stile di vita di queste aristocrazie a partire da una fase avanzata del VII secolo a.C. Momento socializzante, necessario a legittimare lo status dei nuovi ceti aristocratici, il simposio etrusco segue nelle grandi linee le forme diffuse nel mondo greco a eccezione, non priva di importanza, della presenza di donne di alta condizione sociale. Ma il banchetto va oltre il semplice concetto del bere e del nutrimento, esso è connesso alla religione ed al culto dei morti55, è un’occasione per mostrare lo status del defunto; la ritualità connessa al convivio è probabile che fosse occasione sociale soprattutto nei rituali festivi56. Il contatto tra Etruschi e Greci delle colonie, l’arrivo in Etruria di ceramica con scene di simposio permettono di illustrare lo svolgimento e le caratteristiche di questo cerimoniale. Ora, ripercorrendo il periodo 55
Tuttavia, come è riportato in D’Agostino – Cerchiai (1999, p. 28), nonostante si denoti un processo d’integrazione con il mondo greco, tra gli Etruschi troviamo un’inedita compatibilità tra il mondo del simposio e quello della morte che differisce in maniera netta dai Greci. 56 Cerchiai – D’Agostino 2005, pp. 254-255-256, che ritengono vi sia una netta distinzione tra il tema del banchetto e quello del simposio , due categorie distinte connesse a forme di consumo e di rappresentazione sociale che non è possibile omologare, pena la perdita della rispettiva carica significativa.
23
Orientalizzante e considerandolo come corrente che tocca tutto il bacino centro-occidentale del Mediterraneo fra la seconda metà dell’VIII e la fine del VII sec a.C.,57 possiamo dedurre che in Etruria, citando A.Rathje58, il banchetto ha assunto un ruolo centrale dal momento che si verifica un vero cambiamento nella cultura materiale che corrisponde ad un mutamento delle abitudini alimentari. In effetti, attraverso la diffusione di materiali preziosi opera di artigiani orientali, soprattutto siro-fenici,
ma anche mesopotamici, egizi e
ciprioti che arrivarono nei luoghi in cui le condizioni economiche erano floride, come nei centri dell’area tirrenica, nel Lazio e nella Campania 59, con la nascita dei primi insediamenti stabili nel golfo di Napoli e di antri come Capua, e le colonie Cuma e soprattutto Pitecusa, si ebbe un incremento di botteghe ed officine locali specializzate nella produzione di vasi dipinti e oggetti preziosi riccamente decorati60. La necropoli di Pontecagnano, ad esempio, durante il VII secolo a.C., si configura come espressione di una società aperta che accoglie e integra gruppi di diversa provenienza. 57
De Juliis 1996, p.105 , ma anche Cristofani 1985, p.200 che indica L’Orientalizzante come un momento propizio per la diffusione ed imitazione di oggetti e motivi orientali nel Mediterraneo occidentale ,fra l’ VIII e VII sec a.C. 58 Rathje 1995, pp. 167-168 ; poi Cerchiai 2005 ,p 254, il quale reputa il banchetto in epoca orientalizzante funzionale ad esprimere lo stile di vita proprio dell’aristocrazia e che proclama la propria affinità con il mondo degli eroi omerici. 59 De Juliis 1996, p.106. 60 D’Agostino 2001; pp. 81-83 , Cristofani 2001; ed in particolar modo D’Agostino 2003 che parlando di Pitecusa si sofferma sul fatto che proprio qui i greci dell’Eubea stabilirono intensi traffici con la Fenicia , la Siria settentrionale e Cipro, facendo sì che gli artigiani euboici ed orientali si trasferirono nelle città etrusche impiantando officine specializzate nella riproduzione di vasi per far fronte alle esigenze delle committenze locali, dando vita ad una produzione di vasi “ alla greca “ diversi per qualità e tecnica.
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Inoltre le élites dimostrano non solo un legame con le aristocrazie greche attraverso la rielaborazione e l’adozione di quelle ideologie connesse all’uso rituale del vino nel simposio e nel banchetto, ma anche uno stretto rapporto con i greci di Pitecusa e Cuma, con il mondo etrusco – laziale, nonché legami con componenti levantine e le complesse relazioni con le comunità enotrie ed italiche circostanti61. Si formano dunque settori funerari ben distinti dove alcuni gruppi sociali privilegiati di stampo gentilizio vogliono mettere in evidenza gerarchie indicate in relazione al diverso grado di integrazione sociale62. La ricca necropoli etrusca offre una notevole gamma di reperti ceramici ed utensili destinati sia a contenere offerte solide, sia adatti a versare e consumare liquidi, da interpretare non come singoli elementi inseriti in una tomba, ma come sistema rapportabile ad una pratica. È da sottolineare però che la pratica della libagione e del banchetto non è semplicemente prerogativa di uomini o donne dal carattere principesco, ma può accompagnare anche giovani fanciulli/e: sono i materiali che consentono di confermare tale pratica. È questo il caso della tomba 8390
63
, situata nel settore occidentale di
Pontecagnano e strutturata all’inizio del VI secolo a.C., dove il rituale accompagna una giovane di 15 – 18 anni sepolta insieme ad un infante deposto ai suoi piedi64. Il corredo ceramico è composto da oltre cinquanta vasi tra cui spiccano sia prodotti locali, come una serie di
61
Cuozzo 2003, pp. 230-231 ; Pontrandolfo 1995, pp. 182-183 ; Giudice – Panvini 2003, p. 194; Irollo 2008, pp. 117 – 118. 62 Pontrandolfo 1995 ,pp. 182-183. 63 Per maggiori chiarimenti sulla tomba ed altri contesti , cfr. Pellegrino 2004 – 2005, pp. 167 – 205. 64 Pellegrino 2004 – 2005, p. 172 fig.4, p.201 fig. 26.
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oinochoai e kotylai attribuibili ad un’unica officina e dalla quale emerge sia il carattere delle produzioni locali tardo – orientalizzanti con elementi decorativi di tipo etrusco – corinzio, sia prodotti d’importazione come la kotyle di fabbrica corinzia, mentre le importazioni di bucchero comprendono tre oinochoai, un kantharos, un calice – pisside con coperchio a decorazione incisa e un’olla di fabbrica ceretana. Il set del banchetto comprende invece servizi potori (oinochoai, kylikes e kotylai), vasi connessi al consumo dei cibi solidi (piatti, coppette e le stesse kotylai). Completano il repertorio le anforette e il vaso funerario cinerario che durante l’Orientalizzante sono sempre presenti. Anche la loro collocazione suggerisce un ruolo differenziato durante il rituale, tanto che i vasi posti ai piedi e spesso infilati l’uno nell’altro potrebbero rimandare al banchetto funebre, mentre i vasi posti lungo il corpo e mai impilati, potrebbero aver accolto le offerte ed appartenere alla sfera personale della defunta65. Si parte quindi dalla evidenza che il corredo vascolare a Pontecagnano non permette di individuare servizi maschili e femminili ma piuttosto un corredo base presente in tutte le componenti di genere e classe d’età
66
, testimone di un rituale adottato dalla comunità nel corso
dell’VIII secolo e mantenuto senza variazione almeno sino alla metà 65
Pellegrino 2004-2005, p.203 – 205. Un esempio di come la ritualità investisse ogni classe d’età è documentato oltre che dalla tomba appena citata ,dalla tomba 5938 di Pontecagnano , documentata da M.Cuozzo (2003, p. 150) ,destinata ad una giovinetta di 12 anni e che presenta oltre al tipico corredo base, un’olla biconica , uno scodellone con ansa a cavallini d’impasto frammentato ritualmente insieme ad una oinochoai per tutta la lunghezza del lato sinistro del corpo, ed una phiale italo-geometrica infranta sulla copertura. Inoltre per un maggiore approfondimento sulle tombe con caratteri principeschi di diversi generi e gradi d’età cfr. cap. 5, §§ 5, 8, 9, cap. 6, §§ 5.1, 6.1, 8.3 .
66
26
del VII secolo a.C. Noteremo che Il corredo base è caratterizzato dalla costante presenza dell’associazione oinochoe – skyphos – kylix, connessa al consumo e all’offerta del vino, ai quali poi si affiancano la coppa/scodella o il piattello italo- geometrico e l’anforetta d’impasto, unico elemento di tradizione locale molto frequente. L’oinochoe a sua volta si ascrive a diverse classi di materiale, di imitazione protocorinzia e/o di bronzo e/o d’impasto (es: l’oinochoe di bronzo della tomba 2465 )67. La presenza costante di questo servizio dimostra la rielaborazione e l’appropriazione dell’ideologia greca fondata sull’uso sociale del vino e sembra delineare funzioni legate al simposio, al banchetto, alla libagione e, quindi, tra spazi riservati al defunto e spazi dei vivi che celebrano i riti. Di tipo greco, ancora, appaiono
le ceramiche che compongono il servizio da vino con
produzioni a decorazione lineare o figurata68. Ciò che invece sembra essere differente tra le tombe è la disposizione del corredo vascolare, soprattutto in quelle maschili, che offre almeno tre varianti. Nella prima i vasi sono concentrati in prevalenza nella metà inferiore della tomba, ai piedi del defunto (es. tomba 1998): possono far eccezione una o più forme aperte destinate all’offerta di cibi solidi come lo scodellone, il piattello d’impasto e il piatto italo-geometrico che venivano appoggiati in corrispondenza del petto, del bacino al centro 67
Cuozzo 2003, pp. 196-197-198; ma anche Pontrandolfo 1995, pp. 184-185, che riguardo al corredo base, evidenzia come la componente kylix-skyphos-oinochoe non sia solo riferita al sito di Pontecagnano, ma trova testimonianze note anche negli insediamenti di Nola, Capua e Fratte. 68 Per un approfondimento legato alle varie forme di ceramica presenti a Pontecagnano, Cuozzo 2008, pp. 60-61-62-63-64, attraverso il sito internet “ Bollettino di Archeologia On Line “ ; Cuozzo 2003, pp. 52-56 sulle ceramiche d’importazione e imitazione con fig.4-5-6-7.
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delle cosce; nella seconda il corredo sembra coprire del tutto o in parte le gambe fino ai piedi; nella terza infine, alcune parti sembrano sottolineare punti precisi del corpo come il bacino o la spalla, mentre il resto dei vasi era deposto ai piedi, o tra le gambe e i piedi del defunto (es. tomba 1750) 69. Inoltre il corredo base, ed in particolare il servizio di tipo greco, offre lo spunto per comprendere l’ambito rituale condiviso dalla comunità, ovvero il rapporto interno/esterno. L’idea di un tale rapporto è avvalorato dal fatto che la maggioranza dei vasi duplica il servizio di tipo greco presente nel corredo. Dunque nello spazio riservato al defunto, è lo stesso ad esser protagonista, come suggerisce ad esempio la posizione del vaso potorio nella mano destra; nell’ambito esterno sono i vivi che svolgono e partecipano al rito funebre coinvolgendo a vari livelli la famiglia, il gruppo di parentela e la comunità. Quindi se il servizio da vino è situato all’interno della tomba, esso diviene il simbolo della sua individualità e della sua funzione sociale, se al contrario è situato all’esterno, allora si allude con ogni probabilità alla sfera della libagione funebre, al sacrificio e all’offerta cerimoniale del vino o di alimenti solidi70. Rimanendo nell’ambito del rapporto interno/esterno, l’oinochoe potrebbe far riferimento alla sfera della libagione, o talvolta anche skyphoi, coppe o phialai posti in maniera anomala all’interno della sepoltura; le si possono trovare isolate presso il fondo o appoggiate al di sopra di altri vasi come se fossero gli ultimi oggetti posti prima della chiusura. Inoltre l’anforetta d’impasto risulta essere l’unico vaso ad essere deposto presso la testa del defunto, ai due lati di esso o tra la testa e le 69 70
Cuozzo 2003, p. 114. D’Agostino 1977, p.57.
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spalle; mentre forme aperte come kylikes, scodelle e coppe si trovano solitamente in corrispondenza delle braccia. Ancora uno o più skyphoi d’imitazione protocorinzia potevano trovarsi in corrispondenza delle mani del defunto mentre la grande olla d’impasto era deposta sul fondo della tomba insieme con un’unica oinochoe71. Osservando il corredo della tomba maschile 1750, del primo/secondo quarto del VII sec. a.C., ad esempio notiamo come il corredo vascolare comprenda, oltre alle forme del corredo base duplicate o moltiplicate, uno skyphos d’impasto bruno d’importazione. Di notevole importanza sono anche i vasi trovati sulla copertura usati probabilmente come offerta funebre e poi infranti, che duplicano il servizio di base (oinochoe e 2 skyphoi d’imitazione protocorinzia). Un’offerta analoga è presente anche nella tomba 1998 dove, anche in questo caso, sono presenti frammenti di oinochoe e di skyphos d’imitazione protocorinzia, nonché alcune coppe italo geometriche72. Se il corredo base aiuta a comprendere la sfera rituale legata al simposio, fondamentali diventano pure gli insiemi di oggetti che formano il “kit” da banchetto presenti all’interno delle sepolture. A differenza del corredo base, presente in tutte le classi d’età e genere, il set connesso alla sfera del banchetto è prerogativa, a Pontecagnano, solo di alcune tombe a carattere principesco ed in particolare modo, anche se non esclusivamente, delle sepolture femminili73. La presenza infatti del coltello
74
, degli
spiedi, degli alari, talvolta anche della scure e dell’ascia all’interno di 71
Su questo argomento cfr. Cuozzo 2003. Cuozzo 2003, p.113. 73 Ibid., pp. 215-218. 74 Bartoloni 2003, pp. 124-126, per una maggiore comprensione del significato ed uso del coltello nelle donne dell’aristocrazia etrusca. 72
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tombe femminili, se da una parte evocano tutto ciò che è connesso al rito sacrificale del taglio e della distribuzione della carne, dall’altro indicano come la donna in età Orientalizzante avesse il controllo nell’organizzazione delle risorse alimentari nonché un ruolo principale nella sfera del sacrificio e dell’offerta75.A questo proposito, vale la pena citare due eccezionali tombe poste l’una, femminile, nel settore orientale della necropoli (la tomba 2465), l’altra maschile, nel settore occidentale (la tomba 4461). Le due tombe possono introdurre un aspetto molto importante che riveste il carattere ed il ruolo dei due personaggi sia attraverso la ricchezza del materiale sia sul rituale adottato. Iniziando nella tomba 4461, datata all’ultimo quarto del VIII secolo a.C., l’uomo sepolto doveva avere 50 anni, dotato di una potente muscolatura e di statura medio - alta. La tomba rappresenta un’eccezione poiché il principe non è stato incinerato ma inumato, riesumato e solo dopo le ossa sono state sepolte; sembra dunque evidente che il corpo è stato sottoposto a più riti76. Inoltre, fattore più unico che raro a Pontecagnano, i sacrifici cruenti che hanno accompagnato il cerimoniale sono documentati da numerosi resti di caprovino che mostrano evidenti tracce di macellazione e anche da un unico reperto osseo combusto proveniente da un altro animale non identificato. Le spoglie del defunto, frazionate e smembrate, risultano dunque deposte in tre luoghi differenti e, in due casi, frammiste ai resti del caprovino. L’eccezionale rituale delinea l’immagine funeraria di un personaggio al di fuori della norma e l’insieme dei materiali che 75
D’Agostino 1994, pp. 82-84 ; Cuozzo 2003, p.198 ; Rallo 1989, p. 45 ; PéréNoguès 2008, pp.154-155. 76 cfr. Cuozzo 2004 – 2005, pp. 147 – 149.
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fungono da corredo documentano la vasta rete di interrelazioni del principe in ambito mediterraneo. Di particolare importanza rileviamo : - la totale assenza nella tomba di qualunque reperto riguardante il cranio e l’apparato dentario; -
lo svolgimento di sacrifici cruenti e incruenti differenti per singoli contesti nella tomba;
-
la selezione di alcune parti scheletriche relative alla parte centrale del corpo umano e l’assenza di resti ossei di animale all’interno della situla77.
È durante il rituale secondario che è avvenuta la collocazione definitiva degli ossuari metallici; il lebete e la situla di tipo Kurd contenente la phiale. Nella zona centrale dello spazio funerario, accanto al lebete stesso, è deposto il set di strumenti in ferro come la scure ed il coltello, mentre il resto si trova all’estremità sud della tomba con la presenza dell’anfora biconica in bronzo, le importazioni di tipo greco
(oinochoai e aryballoi globulari), il piatto
fenicio in red slip, il servizio in impasto e in ceramica italo – geometrica comprendente oinochoe, coppa carenata, anforette e scodelline. Da rilevare l’oinochoe con ansa a treccia posta sulla lastra di fondo forse usata per un’ultima libagione e, forse, ultimo oggetto ad esser deposto nella sepoltura. La moltiplicazione del materiale rivela ancora la volontarietà della selezione e separazione rituale delle ossa in quattro fasi principali:
77
Cuozzo 2004 – 2005, p. 149 con fig. 4 e 5.
31
- in primo luogo il corpo è stato riesumato nel corso di un cerimoniale accompagnato da sacrifici cruenti e incruenti, offerti al defunto e alle divinità ctonie; resti di uno degli animali sacrificati, un caprovino, sono state disposte con le ossa del principe. -
nella seconda fase del cerimoniale, sono state selezionate parti del corpo per farne oggetti di rito e deposizioni differenziati (forse il cranio è stato prelevato in questa circostanza e posto da un’altra parte).
- un rituale distinto è avvenuto anche per alcune parti selezionate appartenenti alla parte centrale del corpo (bacino, pube e forse torace – ventre): tali distretti ossei sono stati in parte prelevati e deposti nella situla di bronzo. Questa cerimonia è stata seguita da un sacrificio incruento a base di vino, per il quale è stata adoperata la phiale per la libagione e collocata all’interno della situla, di sopra delle ossa. - la parte principale delle ossa del defunto sono state selezionate insieme a quelle del caprovino e raccolte dentro un panno chiuso da una coppia di fibule per essere poi disposte nel grande lebete al centro della tomba. Infine frammenti ossei e resti del sacrificio son stati sparsi sul piano di deposizione78. Come si è detto, è possibile che sia avvenuta un’ultima libagione di vino prima della chiusura definitiva della tomba, per la presenza dell’oinochoe d’impasto rinvenuta presso la sponda sud. Se ci si 78
Cuozzo 2004 – 2005, p. 151. Fig. 6.
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domanda il perché di una cerimonia così prolungata, ripetuta ed amplificata, forse la risposta si può trovare nella volontà ideologica di fermare il tempo e lo spazio: il rituale diventa l’occasione per celebrare nel tempo una figura così eccezionale e preservarne la memoria delle sue gesta e della sua personalità eroicizzandone il passato. Nella tomba 4461, il corpo diviene protagonista del rito e le singole parti selezionate rispondono ad una precisa scelta. La presenza delle ossa del caprovino mescolate con quelle del principe evoca non solo la pratica del sacrificio, ma forse vi è la volontà di miticizzare la figura attraverso un una pratica già vista nell’Iliade con la morte di Patroclo (Il. XX , 395 – 400). A tal proposito, come afferma L. Cerchiai, forme di seppellimento secondario sono sempre connesse nelle società antiche a personaggi di certa importanza: in effetti, se l’evocazione del modello “eroico” greco, sembra rievocato nella tomba 4461 attraverso la deposizione nel lebete di bronzo, tuttavia non possiamo non notare che il rapporto con questo rituale si rivela problematico dal momento che il defunto non è stato cremato e la mancata cremazione non coincide con la persistenza o il ripristino della sua integrità fisica. Un’altra contraddizione si rileva anche nella concezione dello spazio interno della tomba, il quale viene “letto“ come se si trattasse di un inumato, con il corredo che è concentrato al fondo della tomba e gli strumenti collocati su un solo lato, presso il lebete, contenitore del corpo del defunto79. Il corpo infine, non sembra costituire un’unità connessa e indivisibile, ma il suo frazionamento sembra effettuato per attribuire valori e significati per ogni singola 79
Per altri raffronti con tombe di carattere principesco, cfr. Cuozzo 2003, pp.149, 174, 187, 226.
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parte: in particolare resta ancora difficile da comprendere il significato del trattamento differenziato per quel che riguarda sia il cranio che i resti scheletrici
(bacino, pube, coste), deposti nella situla del tipo
“Kurd“. Non possiamo ignorare che la deposizione dei resti all’interno della situla corrisponde ad una precisa scelta: infatti sono del tutto assenti i resti del caprovino che invece si ritrovano, frammisti alle ossa umane, sia nel lebete che sul piano della tomba. Infine, possiamo supporre che anche per il cranio vi sia stato un cerimoniale specifico che ne ha richiesto il suo prelievo per esser poi collocato al di fuori della tomba, in un luogo privilegiato forse all’interno della stessa necropoli. Diversamente, la principessa della 246580, databile verso la fine dell’ VIII secolo a.C., è l’unica figura della necropoli orientale paragonabile ai principi del sepolcreto occidentale. Sono tre i punti che dobbiamo evidenziare: - La donna è il centro ideologico della rappresentazione funeraria di quest’area e non è un caso se consideriamo che le figure femminili sono sempre il fulcro di tutti i probabili tumuli o circoli funerari. - Il corredo della principessa sembra alludere a particolari poteri che, al contrario, nella necropoli occidentale sembrano spettare solo ai principi maschili. - Nel settore settentrionale, nessuna figura maschile sembra possedere quei segni che contraddistinguono ideologicamente la principessa; non vi è vasellame metallico, né oggetti preziosi né 80
Cuozzo 2003, pp. 108-112 con fig. 20-21.
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simboli del sacrificio e del focolare, e nemmeno oggetti in impasto locale dal valore simbolico (ad es. le scodelline con ansa a cavallini). Il corredo testimonia dunque un rituale che accompagna ed esalta la condizione e soprattutto il potere esercitato da una figura femminile. Qui infatti, oltre al già più volte citato corredo base tipico delle tombe maschili, sono connessi all’ambito dell’uso sociale del vino e dell’offerta elementi vascolari in bronzo come il lebete, il bacino, l’oinochoe di tipo fenicio cipriota, la “Zungenphiale” ed una grande olla duplicata all’interno ed all’esterno della sepoltura che probabilmente sostituiva la funzione del cratere. Sempre legati alla sfera della libagione sono da elencare quattro coppe di tipo Thapsos con ornati a sigma ed una lekane italo-geometrica. Le forme aperte come le coppe ed una tazza sono deposte aderenti alle braccia e ai femori mentre nella mano sinistra si trovano due skyphoi d’imitazione protocorinzia e nella destra la “Zungenphiale” di bronzo. Lungo le gambe, a sinistra, troviamo l’oinochoe di bronzo e a destra un grande bacino contenente una serie di anforette; ancora ai piedi ricorrono lo scodellone con ansa a cavallini, alcune anforette, il lebete di bronzo e un olla globulare. A questi poi si unisce il set di strumenti in ferro connessi alla sfera del sacrificio e del focolare, vale a dire gli spiedi, gli alari, il coltello e la scure. Gli stessi strumenti li ritroviamo anche nelle due tombe principesche 926 e 92881 del secondo quarto del VII sec a.C. Per quanto riguarda i reperti inerenti alla sfera del banchetto e del simposio, fanno parte del ricco corredo sia vasi di bronzo e 81
Per avere ulteriori approfondimenti sulla straordinaria ricchezza delle due tombe principesche, cfr. D’Agostino 1977.
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d’argento esotici, legati alla sfera della libagione, provenienti dalla Siria e da Cipro82. All’interno del recinto di lastre di pietra, si trova un’anfora vinaria e il set da banchetto composto da spiedi, alari e pinze per il focolare nonché scalpelli interpretati come attinenti alla sfera sacrificale83. Un piccolo riferimento va fatto anche a proposito della grattugia di bronzo della tomba 928: di forma rettangolare con il bordo liscio su tre lati, i fori sono disposti secondo due diagonali che si incrociano al centro84. Come afferma D.Ridgway85, seppur si cerca ancora funeraria
di
comprenderne grattugia-vino
l’effettivo è
attestata
significato, l’associazione più
volte
nelle
tombe
dell’Orientalizzante lungo il versante tirrenico dell’isola. Non a caso l’alta concentrazione di questo strumento (17 da almeno 13 centri, da Pontecagnano a San Marzano e Cales in Campania, da Lavinium, Castel di Decima e Praeneste nel Lazio, da Caere e Mazzano Romano nell’Etruria meridionale, e da Marsiliana d’Albegna, Poggio Buco, Vetulonia e Populonia nell’Etruria settentrionale) sottintende una forma di uso specifica connessa ai costumi propri al ceto più elevato delle comunità indigene tirreniche già dalla prima metà del VII sec. a.C. Dando uno sguardo fuori dalla necropoli picentina, la forte influenza con modelli orientali, la si ritrova anche all’interno della ricca tomba 871 (associata a un basileus) di Casal del Fosso, a Veio, 82
De Juliis 1996, pp. 105-108, con fig. 102 p. 107, per vedere pianta della tomba 926; fig.103 p.108, per l’immagine dell’oinochoe d’argento e oro della tomba 928; Coldstream 1998, p. 309 a proposito della kotyle d’argento della tomba 928 con geroglifici egizi. 83 Bartoloni 2003, p.183 ; De Juliis 1996 p. 108, afferma che questi oggetti non sono solo pertinenti alla sfera del sacrificio e del focolare domestico, ma simboleggiano e assicurano la continuità dell’oikos gentilizio; D’Agostino 1994. 84 Bartoloni 1972, p. 64 , fig.28, tav. 31. D. 85 Ridgway 1998, pp. 312 – 314.
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inquadrabile tra la fine del Villanoviano e l’inizio dell’Orientalizzante (730/720 a.C.)86. Che il tema del simposio abbia un ruolo caratterizzante lo si deduce dal ricco corredo messo alla luce che prevede una coppa in argento associata con un poggia piedi di lamina di bronzo, due patere bacellate in bronzo, un vaso biconico, una situla ed una fiasca in bronzo, una kotyle euboica forse d’imitazione, un’anfora crestata di importazione laziale, due anfore a spirali di medie dimensioni e due tazze ad ansa sopraelevate in impasto bruno87; è evidente dunque come vi sia un chiaro riferimento al vino. Ma ciò che lega la tomba ai modelli orientali è soprattutto il ritrovamento di un rhyton a testa leonina prodotto con molta probabilità a Sam’al (Zincirli) del tutto simile a quelli rappresentati sui rilievi del palazzo di Sargon II, datato al 710 a.C, con scene di simposi ufficiali. Anche a Veio, alla fine dell’VIII secolo, vengono utilizzati vasi da bere di carattere cerimoniale e essi sono l’esito di un dono tra capi o una cerimonia avvenuta per celebrare un rapporto d’affari: è comunque innegabile il suo riferimento al rituale del bere vino88. Dunque, dalle tombe descritte emergono vari livelli di lettura inquadrabili attraverso il rapporto che si instaurò tra Etruschi e Greci (e non solo) fra l ’VIII e il VI secolo a.C. che generò l’accettazione di modelli culturali in funzione dell’utilità e del prestigio che ne derivavano89:
86
Bartoloni 2003. Sciacca 2005, p.337 ; Bartoloni 2003, p.201, che in merito alla tomba sottolinea che non essendo presenti oggetti legati alla sfera del banchetto carneo, come coltelli , alari o spiedi, il carattere cerimoniale dei vasi da bere riguarda la sfera simposiaca. 88 Bartoloni 2003, p.202. 89 Cristofani 1987, p.9. 87
37
- innanzitutto la qualità dei materiali, ovvero lo strumentario misto presente all’interno delle tombe, in parte greco, in parte vicino orientale
o
d’imitazione
e
riutilizzati
per,
utilizzando
un’espressione di M. Rendeli, “ragioni sociali” diverse rispetto all’uso che ne era stato fatto nelle regioni di provenienza90. - in secondo luogo, osservando le sepolture principesche descritte, emergono un insieme di oggetti che celebrano e caratterizzano lo status
del
personaggio,
rappresentati
come
eroi
o
autorappresentatosi come tali. - in terzo luogo gli oggetti stessi, protagonisti della cerimonia all’interno ed all’esterno della tomba, come gli strumenti collegati al bere (anfore d’importazione e vasi per miscelare vino, servizi da tavola e misti metallici e vascolari), strumenti collegati al banchetto (spiedi, alari, lebeti, coltelli, e arnesi per la macellazione)91. - ultimo, ma non per importanza, la loro collocazione all’interno del contesto funerario accanto al defunto.
Un ultimo punto che vorrei approfondire per concludere questo percorso, riguarda la presenza di recinzioni, già citate per le tombe 2465 e 928, che delimitano l’area in cui spesso è sepolto il “princeps“. È interessante notare come durante l’Orientalizzante a Pontecagnano
90
Rendeli 2004 - 2005, p.6. Ovviamente, a questi si aggiungono tutta quella serie di oggetti che definiscono lo status del personaggio (spade , lance , scudi) , per il suo rango (carri, troni, litui) ed ornamenti lussuosi (letti, flabelli, contenitori di oli profumati); D’Agostino 1994, pp.82-83; Rendeli 2004-2005, p. 6; Pontrandolfo 1995, pp. 176-178.
91
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si attui di fatto una radicale riorganizzazione dello spazio funerario attraverso la formazione di nuove aree sepolcrali attive in zone prima non occupate. Quindi, attorno alle tombe in cui sono sepolti i “principes“ si strutturano luoghi di culto funerario che tendono ad idealizzare e sacralizzare tali figure, come l’imposizione di recinti, o di altri fattori connessi al culto (canali per offerte , piccoli altari ecc …) e a rituali prolungati nel tempo. Questo processo di monumentalizzazione dello spazio
attraverso l’imposizione dei
recinti92, ha un significato particolare che non solo determina un cambiamento del paesaggio funerario ma rivela almeno tre tipi di comportamento: - nella recinzione vengono racchiuse aree libere con probabile destinazione culturale e rituale. - i recinti creati per sacralizzare una o più tombe divengono sede di culti funerari attivi nel tempo attraverso ristrutturazioni o creazioni di piccoli altari per offerte. - il terzo dato pone in evidenza un’ampia serie di strutture sorte in relazione di una o più tombe dove , dopo lo svolgimento del cerimoniale funebre , vengono edificati tumuli. Il comportamento funerario tuttavia si diversifica a tal punto che emergono dunque due settori che sembrano distinguersi fra loro dividendo la necropoli in orientale ed occidentale. Nella parte orientale, la recinzione sembra rappresentare uno stretto vincolo ideologico e topografico con la tomba principesca 2465. La struttura 92
Strutturalmente i recinti sono formati da lastre di travertino tra loro ortogonali che formano aree di forma quadrata, Cuozzo 2009, p. 193.
39
infatti
sembra
divenire
elemento
di
attrazione
e
coesione
nell’organizzazione dello spazio circostante, testimoniando dunque la continuità del gruppo attraverso l’ampliamento della recinzione stessa93. Inoltre la struttura era destinata a contenere individui di età non adulta e la presenza di un canale ci consente di comprendere come, probabilmente, la struttura sia rimasta aperta per cerimonie ed eventi rituali tributati per bambini di sesso femminile presenti nelle tombe 1885 e 188994. Differenze poi si riscontrano anche nell’uso degli strumenti: si verifica che la presenza degli alari è appannaggio esclusivo delle sepolture femminili così come il coltello o l’associazione spiedi/coltello, mentre raramente tali oggetti li ritroviamo nell’area occidentale dei principi maschili e quando sono presenti, più che simboleggiare la continuità del gruppo, costituiscono oggetti di appropriazione e potere assoluto, per questo motivo la necropoli orientale sembra avere un carattere “conservativo”. Per quel che riguarda invece i sepolcreti occidentali , le forme presentano una certa differenza nella funzione e nella morfologia, dove più che la continuità del gruppo, emerge la figura del principe/eroe di ascendenza greca e rielaborazione etrusca. A questo punto, dopo aver descritto alcune tombe ed averne elencato i principali strumenti adoperati, siano essi per bere o banchettare, l’affermazione di Gras forse riesce nell’intento di far comprendere che ruolo abbia il vino 93
Cuozzo 2009, pp. 193 – 194 con fig.10, sottolinea come la continua attività culturale accompagnata da sacrifici , libagioni ed offerte di vario tipo è documentata dal rinvenimento, nello spazio interno del recinto, da una gran quantità di ceramica frammentata del VII e VI secolo a.C. 94 La presenza del coltello poi, connesso alla sfera sacrificale, ci induce a pensare che il recinto servisse a contenere, così come le definisce M.Cuozzo, “ bambine speciali “. Cuozzo 2003 p.195.
40
nella società etrusca: “…. Il vino, non è indispensabile alla vita, ma è indispensabile allo spirito; è un prodotto della cultura, è una droga che permette una comunicazione diretta con il mondo divino (……) ed insieme alla coppa formano un sistema”95. Quindi nella necropoli di Pontecagnano (ma non solo), possiamo cogliere il riflesso di comportamenti sociali riutilizzati simbolicamente, dove le onoranze funebri attraverso la libagione o il banchetto, diventano l’occasione nella quale la comunità sottolinea nel modo più completo la somma delle identità sociali che costituiscono la persona sociale di ognuno dei suoi membri96 e gli oggetti presenti non sono collocati lì per caso , ma esaltano il rango, la condizione e la funzione del defunto nella società dei vivi, sono a loro volta, come afferma M.Cristofani “status symbol, spie che informano sui legami, sulle reti sociali esistenti attorno al principe , e che lui stesso ha contribuito a tessere97“.
95 96 97
Gras 1997, p. 172. Bartoloni 1992, p.30. Cristofani 2001, p.94.
41
CONCLUSIONI
In conclusione, per riassumere ciò che si è detto nei precedenti capitoli, seppur brevemente, riguardo l’uso simbolico del vino all’interno dei contesti funerari (in questo caso Pontecagnano) e la sua importanza e diffusione durante il periodo Orientalizzante dal punto di vista commerciale attraverso il vasellame importato lungo tutto il Mediterraneo, possiamo focalizzarci su vari punti: per quel che riguarda Pontecagnano, abbiamo visto come la necropoli, durante l’Orientalizzante si ponga come società aperta che accoglie e integra gruppi di diversa provenienza. I materiali sono testimoni di stretti rapporti con particolari centri e colonie che articolano il panorama durante tutto il VII secolo a.C. divenendo così un centro aperto alla circolazione di genti, di idee e saperi artigianali, legami con il mondo laziale, con componenti fenicie e comunità campane, relazioni con i Greci di Pithecusa e Cuma. Essi evidenziano un continuo interscambio di flussi attraverso la presenza di gruppi o maestranze artigianali98. I gruppi che compongono il tessuto funerario si rappresentano secondo un linguaggio elitario dando vita a quello che M. Cuozzo definisce “violenza simbolica”
99
che porta verso la rielaborazione di nuovi
modelli culturali i cui protagonisti sono proprio quei gruppi elitari che tendono a rappresentarsi secondo un nuovo sistema immaginario sociale con l’impiego di nuovi simboli e comportamenti. In effetti i 98 99
Pontrandolfo 1995, p. 183; Cristofani 2001; Cuozzo 2003. Cuozzo 2003, p.230.
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principi sembrano detenere il potere economico, sociale e politico che si manifesta attraverso un processo di ristrutturazione – transizione – ridefinizione delle ideologie nell’immaginario sociale con continue contrapposizioni tra sfera della comunità e strategie di gruppi. Alla sfera della comunità si rivolgono soprattutto quattro aspetti principali: - La creazione di un nuovo paesaggio funerario. - La nascita di luoghi di culto attivi nel lungo periodo. -
La visibilità e rappresentazione della categoria infantile.
- La selezione di un corredo base fondato sull’uso sociale del vino ed esteso a tutte le classi di età e genere con una nuova concezione del corpo e dello spazio interno/esterno. Per quel che riguarda invece le strategie di gruppi, si evidenziano: - La ripartizione della necropoli in appezzamenti funerari distinti e l’uso riservato in lunghi periodi - La coesistenza di una molteplicità di ideologie principesche sia all’interno del medesimo contesto e sia nella dialettica tra figure principesche femminili contrapposte a quelle maschili. - La presenza di gruppi che mostrano legami privilegiati con ambienti esterni100.
100
Cuozzo 2009, pp.193 – 195; Pellegrino 2005, p.167.
43
Si istituiscono dunque luoghi di culto dove i riti regolano la vita della famiglia, dei diversi gruppi e della comunità. Inoltre la costruzione dei recinti e strutture come canali per offerte, spiazzi di forma quadrata o sub circolare e piccoli altari nel periodo tardo Orientalizzante, formano un punto di coesione ed attrazione che permane nel tempo. La conseguenza del processo di rielaborazione, costruzione e acquisizione dei modelli ideologici porta alla nascita di un sistema di segni simbolici di tipo principesco. I Simboli che si richiamano al potere ispirato direttamente dal mondo greco101 e orientale e che ora diventano segno di omologazione alle altre elités tirreniche: esse, a loro volta, testimoniano il legame con le aristocrazie greche ed etrusche attraverso l’adozione delle ideologie connesse all’uso sociale del vino – simposio, del banchetto e della libagione che caratterizzano il nuovo servizio funerario, il corredo base, che si estende a tutte le componenti dei gruppi sepolti102. Il vino, col suo nuovo utilizzo, diviene l’elemento principale che getta le basi fondamentali nella nuova concezione dell’immaginario da parte dei principi tirrenici attraverso le molteplici e
complesse
cerimonie evocate, la
duplicazione dei vasi connessi alla sfera del simposio ed alla libagione dentro e fuori la tomba che sembra delinei la volontà di comunicazione tra defunto e comunità dei vivi. Un altro aspetto riguarda la differenza tra necropoli occidentale ed orientale, come emerge dai principi delle tombe 4461, 926 e 928 del settore occidentale, i quali vengono rappresentati, o si autorappresentano, 101
Si veda Rosler 1995, pp. 107-108 per approfondire il tema del simposio nella Grecia; Murray 1990. 102 D’Agostino 1999, p.81-82; Cuozzo 2003, pp. 231-232.
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come unici garanti della continuità del gruppo e detentori di un potere politico – militare – religioso; sono eredi di un mondo più antico dove l’adulto maschio è identificato come un guerriero che si permea di atmosfera epica attraverso le armi, il rito dell’incinerazione e la sepoltura entro un lebete di bronzo. Tutto questo è opposto alla figura principesca femminile della tomba 2465 del settore orientale, detentrice a sua volta del potere attraverso il carro, del flabello e degli alari, dell’associazione spiedi – coltello, e della scure che sembrano concederle il ruolo di garante della comunità e della famiglia, del gruppo e del focolare e forse anche di un potere maggiore, quello dei culti e dei sacerdozi103. La cerimonialità investe anche quella categoria ritenuta dapprima “invisibile, ovvero quella dei bambini, con quelle fanciulle definite “speciali“ dove la mortalità infantile ora rielaborata diventa simbolo culturale atto a celebrare il nucleo familiare e il gruppo di parentela attraverso libagioni e banchetti che durano a lungo nel tempo. Il vino e la pratica del banchetto poi, assumono un forte valore simbolico attraverso la centralità del corpo104, che diviene dunque il tramite che permette al rituale di assumere un significato metaforico, così come simbolico è il rapporto interno/esterno evocato dagli oggetti deposti sia all’interno della tomba e che appartengono al defunto, permettendogli di manifestare la sua personalità, il suo rango e il prestigio del suo gruppo di parentela, in opposizione a quelli deposti fuori dalla sepoltura. In definitiva dunque, citando ancora una volta M.Cuozzo, “… la rielaborazione del culto non riguarda il 103
Bartoloni 2003, pp. 124-126;Cuozzo 2003, p.234; in particolare D’Agostino 1999, pp.83-84 per un approfondimento del ruolo della donna in Etruria. 104 Cuozzo 2005, p.154 sulla centralità del corpo nel rituale.
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recupero o la celebrazione di un lontano passato, ma piuttosto evoca una seconda tipologia di comportamenti fondata sulla proiezione nel passato di un culto tributato a morti recenti”105. Come abbiamo potuto osservare poi, sono proprio i ricchi corredi che si ritrovano all’interno delle sepolture che ci permettono di delineare un altro quadro, ovvero le influenze e le relazioni commerciali che si sviluppano e si trasformano durante la fine dell’ VIII inizio VII secolo. innanzitutto già con la metà dell’ VIII secolo, con la nascita di Pitecusa e Cuma, avviene un sostanziale cambiamento: gli artigiani euboici ed orientali, esperti sia nella produzione ceramica e sia nella lavorazione dei metalli, si trasferiscono nelle città etrusche impiantando officine specializzate nella produzione di vasi dipinti e di oggetti preziosi riccamente decorati106. Da questo momento, i rapporti sembrano divenire più stabili tanto da garantire un’integrazione degli artigiani stranieri nelle comunità indigene, ed intorno al 700 a.C. ad esempio, in centri come Tarquinia, così a Vulci, abbiamo ora importazioni di vasi dipinti secondo lo stile adottato a Cuma, con una forte influenza corinzia per esser poi seguita da imitazioni attribuite a maestranze greche operanti in loco. Infatti, accanto alla produzione cicladica, euboica e corinzia, anche in località come Tarquinia e Veio, assistiamo non solo ad imitazioni più o meno fedeli di vasi greci, ma anche forme vascolari indigene, sia di argilla depurata che di impasto coperto a una spessa ingubbiatura chiara ed impasto sottile eseguita al tornio anziché a mano. Con la fine dell’ VIII fino alla prima metà del 105 106
Cuozzo 2009, p.208. Cristofani 1989, pp. 21-24; De Juliis 2004, pp. 5-10; Ridgway 1992, pp. 59-
95.
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VII secolo a.C., i principes , affermano dunque il loro potere personale, che si manifesta attraverso le “tombe principesche“107 , le quali al loro interno presentano una ricchezza di materiale che spazia da vasi di tipo orientale come grandi calderoni decorati con protomi di leone e di grifo, a coppe d’argento con decorazione figurata, eseguita forse da artigiani immigrati dalla Siria settentrionale e soprattutto da Cipro, avori importati dalla Fenicia e dalla Siria settentrionale e in parte lavorati in Etruria, strumenti per il sacrificio, per la libagione. Ma come afferma B. D’ Agostino, uno degli elementi unificante delle tombe di élite, al di là di ogni distinzione etnica e culturale, diviene l’ostentazione del servizio destinato al consumo sociale del vino108 che denotano come il costume del simposio, forse stimolato non soltanto dall’apporto greco, è ormai radicato. Se però, attraverso l’influenza, l’adottamento e la rielaborazione dei modelli greci109, il sistema del banchetto ed il rituale della libagione si afferma a livello aristocratico, questo comunque non sta a significare che i Greci siano responsabili anche dell’introduzione dell’agricoltura in Etruria, ma piuttosto, hanno gettato le basi per una maggiore ed intensiva coltura della vite determinata da varie fasi110. In ogni modo, in Etruria e nelle aree ad essa collegate, la funzione dei principes sembra esaurirsi intorno alla seconda metà del VII secolo a.C. anche se le gentes conserveranno a lungo il potere di condizionare le scelte della comunità attraverso 107
Bartoloni 2003, pp. 30-35 per un maggiore approfondimento sull’emergere delle aristocrazie nell’Italia centrale tirrenica; D’Agostino 2003, pp. 20-26. 108 D’Agostino 1999, p. 83. 109 D’Agostino 2003, p. 18, Murray 1990. 110 Ciacci – Zifferero 2009, pp. 47-52 per un approfondimento legato alle varie fasi della viticoltura dal IX al IV secolo a.C. in Etruria; Bartoloni 2003, pp. 199200.
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forme di controllo aristocratico111. Con la fine del VII e l’inizio del VI secolo a.C. poi, i centri urbani costieri saranno protagonisti di un nuovo, importante cambiamento: come afferma M. Rendeli, “muoveranno i primi passi verso iniziative di carattere sociale che coinvolgono tutto il corpo dei cittadini a scapito del potere che le singole famiglie allargate avevano mantenuto”112. Da un punto di vista commerciale, si arriverà alla formazione e all’apertura di specifiche aree dedicate alle transazioni commerciali, denominati ports of trade113, dove al commercio si affiancano ora aree sacre e aggregati abitativi; si costituiscono così dei “centri satellite” delle città costiere che completano al loro interno la concessione agli stranieri di luoghi, o aree, nelle quali hanno la possibilità di praticare i propri culti114. Nell’ arco della prima metà del VI secolo a.C. le grandi città dell’Etruria marittima, come Caere e Vulci, avviano un intenso commercio con le coste della Francia meridionale attraverso soprattutto l’esportazione del vino che diviene ora una bevanda assai ambita: l’anfora, è il mezzo che garantisce il commercio della bevanda (non dimentichiamo anche l’olio) percorrendo tragitti a lunga distanza; poteva essere di vari tipi e la sua funzione era quella di contenere un certo prodotto fino al momento della vendita115. Detto questo, si è cercato in questo lavoro di esaminare uno degli aspetti, a mio parere, più belli e complessi del mondo etrusco, ma vorrei concludere “rubando” un resoconto, che lo storico Diodoro ci ha 111 112 113 114 115
D’ Agostino 2003, p. 27. Rendeli 2007, p.252; Torelli 1973, p.18. Cristofani 1983. Gras 1997, pp. 155-158, Cristofani 2001, p.95.; Rendeli 2007, p.252. Cristofani 2001, pp. 99-100.
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tramandato (V, 40), di Posidonio di Apamea, un filosofo e diplomatico vissuto tra il 135 e il 51 a.C. che ebbe l’opportunità di occuparsi degli Etruschi più da vicino, approfittando di un viaggio effettuato nell’inverno tra l’87 e l’86 a.C. verso Roma: << ci rimane da parlare dei Tirreni. Essi nei tempi antichi, segnalandosi per coraggio, si impadronirono di molte terre e fondarono molte e importanti città. Parimenti, possedendo una potente flotta ed esercitando il dominio sul mare per lungo tempo, ottennero che il mare che bagna l’Italia prendesse da loro il nome di Tirreno; (…) elaborarono ulteriormente le lettere, la scienza della natura e quella divina, (….) abitano una terra che produce tutto e la coltivano con cura: hanno perciò prodotti agricoli in abbondanza, non solo sufficienti per il sostentamento ma tanti da permettere un ricco godimento e una vita lussuosa. Imbandiscono due volte al giorno mense sontuose, fornite di tutto quanto ben si addica ad un lusso smodato; preparano letti ornati con coperte ricamate, tengono a loro disposizione coppe di argento in gran quantità e di ogni tipo nonché un numero non piccolo di schiavi addetti al servizio, dei quali gli uni spiccano per bellezza, gli altri sono adorni di vesti troppo preziose per essere adatte a chi sia in condizione servile. (…) Per dirla in breve i Tirreni hanno rinunciato all’ardimento che era oggetto di emulazione presso di loro sin dai tempi antichi, e vivendo dediti al bere e ad una oziosità indegna di uomini hanno con giusta ragione perduto la fama che gli avi avevano acquisito in guerra>>. È chiaro che Posidonio si imbatte in una morale, che probabilmente era opinione diffusa tra i Greci e i Romani del suo tempo, ovvero gli Etruschi, grande popolo
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un tempo valoroso, avevano compromesso il loro destino a causa dell’eccessiva dissolutezza, della quale essi erano gli unici responsabili. Ora, al di là dell’opinione, giusta o ingiusta che sia, che Posidonio poteva avere per questo popolo, l’archeologia oggi, grazie alle scoperte, ha reso possibile una maggiore comprensione della società etrusca. Di notevole aiuto sono proprio i corredi di quelle figure principesche, siano essi uomini o donne, che si differenziano dalla comunità proprio attraverso la presenza nelle sepolture di oggetti segnalanti prestigio ed eccezionalità. Da ciò, possiamo quindi ricavare, come afferma Prayon un nostro personale parere116 anche se, ovviamente aggiungerei, la ricerca prosegue.
116
Prayon 1999, p.8.
50
BIBLIOGRAFIA
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ALLEGATI
Fig. 1 â&#x20AC;&#x201C; Un esempio di corredo base, da CUOZZO 2003
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Fig. 2 â&#x20AC;&#x201C; Pontecagnano: carta archeologica.
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Fig. 3 â&#x20AC;&#x201C; La Campania in etĂ Orientalizzante
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Fig. 4 â&#x20AC;&#x201C; Settore settentrionale. Pianta della tomba 2465, da CUOZZO 2003
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Fig. 5 â&#x20AC;&#x201C; Pontecagnano. Settore settentrionale. Area del recinto: pianta di fase (ultimo quarto VIII secolo â&#x20AC;&#x201C; inizi VI secolo a.C.), da CUOZZO 2003
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Fig. 6 – Pianta della tomba 4461; A, B, C: i contesti di deposizione. A – lebete di bronzo; B – piano di deposizione; C – situla di tipo “Kurd”, da CUOZZO 2005
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Fig. 7 â&#x20AC;&#x201C; Il corredo di impasto della tomba 4461 (gli oggetti sono identificati dai numeri di scavo), da CUOZZO 2005
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Fig. 8 - esempio di anfora vinaria. Questo esemplare da Vulci, dellâ&#x20AC;&#x2122;ultimo quarto del VII secolo a.C., reca unâ&#x20AC;&#x2122;iscrizione di possesso: <<io (sono) di Laris Achu>> dipinta in rosso, da CRISTOFANI 2001
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Fig. 9 â&#x20AC;&#x201C; distribuzione dei giacimenti minerari in Etruria, da CRISTOFANI 2001
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