ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI SASSARI ________ CORSO DI SCULTURA
… COSTANTIN BRANCUSI … La forma, la composizione modulare e il parco Târgu Jiu
Relatore: PROF. FEDERICO SORO
Tesi di diploma accademico di:
GIUSEPPE LAI
Anno Accademico 2010-2011 2
… COSTANTIN BRANCUSI …
La forma, la composizione modulare e il parco Târgu Jiu
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INDICE I INTRODUZIONE ……………………………………... p.5 II COSTANTIN BRANCUSI…......................................... …“ 9
2.1BIOGRAFIA…………………………………….. …...“11 2.2 RETROTERRA CULTURALE , FORMAZIONE, CONTESTO ARTISTICO, INFLUENZE . INTRODUZIONE … .. .. .. .. . .. .. ..
“23
2.2a RETROTERRA CULTURALE, FORMAZIONE, CONTESTO ARTISTICO, INFLUENZE … … … … … … … … … … … … … … … “24
III RICERCA FORMALE E POETICA … … … … … … … .“36
3.1 FORMA E POETICA INTRODUZIONE AL CAPITOLO … … . ...“37 3.2 FORMA E POETICA … … … .. … … … … … … … … ..“43 IV FRAMMENTAZIONE E RIPETIZIONE … … … … ... .“57 4.1 INTRODUZIONE AL CAPITOLO … … … … … … … … ...“60 4.2 IL BASAMENTO I GRUPPI MOBILI, MODULO E RIPETIZIONE ..“62 V PARCO TÂRGU JIU … … … … … … … .. … … … ... “75 CONCLUSIONI … … … … … … … … ... … ... … … .... … …“84 BIBLIOGRAFIA ………………………………… …….. … ..“89 INDICE DELLE ILLUSTRAZIONE …………… …….. ….“ 4
I
INTRODUZIONE
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La scultura del novecento parte da una matrice figurativa, eredita i modelli dell’ottocento per sconvolgerli attuando una rivoluzione della forma e della regola che porta alla sintesi estrema e all’astrattismo, in Brancusi si trova l’emblema di questa trasformazione, dove il punto di snodo può essere considerato Auguste Rodin, ‘l’artista guida’ del Brancusi che cerca di liberarsi dall’accademia per reinterpretare l’arte occidentale. Brancusi è da ritenersi fondamentale nello sviluppo di ciò che era latente in Rodin, in altre parole i valori della frammentazione e ripetizione modulare reconditi in molti lavori dell’artista francese e che saranno ereditati dagli artisti di tutto il novecento e oltre. Il lavoro di Brancusi si erge in modo autonomo e autorevole per l’originalità e il rigore dello stile teso alla definizione di una forma essenziale, l’artista si isola, elaborando in questo suo isolamento un linguaggio molto personale, la critica ha sempre trovato difficoltà nel collocare la sua figura in un movimento ben determinato all’ interno del tessuto della Parigi di inizio secolo, inserendolo nella cosiddetta “École de Paris”. La Parigi di inizio novecento è crocevia di innumerevoli apporti culturali, e La maturazione dell’artista rumeno e del suo stile così personale avviene in un momento cruciale della storia dell’arte, dove all’alba del ventesimo secolo l’arte in tutte le sue forme, inizia a porsi dei problemi, sulla rappresentazione, sulla forma , sulla materia e sull’ identità dell’arte stessa, si dibatte tra la questione dell’oggetto estetico, e il primitivismo introdotto da Gaguin e poi sviluppato da Derain e Picasso che Brancusi coglie e ripudia contemporaneamente, fornendone una sua singolare interpretazione, unendo un primitivo vagamente africanista o orientale a forme arcaiche e forme che gli derivano da modelli architettonici popolari rumeni. Ciò che in questo contesto lo accomuna agli altri artisti suoi contemporanei è il desiderio di rompere con le tradizioni, verso la ricerca di nuovi modi di espressione dell’ arte. Brancusi a suo modo volge la sua ricerca verso un forma essenziale, che consenta di sprigionare la tensione e l’energia insita nelle forme e nei materiali, giungendo ad’una stilizzazione estrema di forme complesse, sopratutto umane o animali, ridotte a uno stato primordiale nella ricerca della realtà vera delle cose nascosta dietro alle apparenze esteriori. Sintetizza la forma antropomorfa di una testa fino a farla divenire una sorta di sasso, un uovo, riducendolo infine a puro principio tattile. Una sintesi plastica e 6
geometrica che cerca l’essenza e la sostanza concettuale piuttosto che la mimesi della parvenza superficiale. È questa sua ossessione per la semplificazione dei concetti che lo porta all’ estrema depurazione della realtà, sottoponendo la sua opera ad un processo di astrazione che la rende quasi irriconoscibile attribuendole un valore simbolico che Va oltre l’apparenza, con forme estremamente semplici ma estremamente significative nelle quali i particolari sono ridotti al minimo, e la materia estremamente levigata e lucidata sembra dissolvere l’opera stessa nella propria luminosità. Brancusi riesce a cogliere tutto il fermento che ha attorno, unendo il primitivismo e l’arcaismo a un’estetica moderna che rispecchia modelli sia industriali che artigianali, senza cadere nel mero citazionismo africano e orientale e senza alcuna traccia di ready made, unendo le doti di un grande artigiano a un’arte che riflette su se stessa, attenta alla propria contemporaneità e che riunisce naturale e artificiale ragionando sulla forma e sul concetto. Le sue opere raggiungono un’ eccezionale eleganza di forme, ma sempre nel rispetto delle singole caratteristiche fisiche e del valore intrinseco di ogni materiale. << Archipenko e Epstein gli devono molto, e Gaudier-Brzeska fu un suo dichiarato ammiratore. In seguito, Carl Andre dichiarò di essersi ispirato alla Colonna senza fine, convertendo la ripetizione del modulo in un andamento orizzontale di identiche unità. Henry Moore scrisse di Brancusi: "A partire dal gotico, la scultura europea aveva rappresentato un eccesso di muschi e fogliami -ogni sorta di escrescenza nascondeva completamente le forme. Fu la speciale missione di Brancusi quella di sbarazzarsi di questa sterpaglia e renderci più consapevoli delle forme" >>1. È soprattutto questo che ha suscitato la mia attenzione per Brancusi, l’amore per la semplicità, che (per citare l’artista stesso) non è altro che una complicazione risolta. Nel simbolo elementare, derivato dalla scomposizione di qualcosa di più complesso si può ricercare il vero senso di quella complessità, senza pretendere di giungere alla verità e senza le pretese illusionistiche che paradossalmente ne limitano la ricerca, dandone una copia ingannevole.
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Note
1
http://www.myword.it/arte/dictionary/534
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II
CONSTANTIN BRANCUSI:
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(Le baiser) Il bacio1916 10
2.1 BIOGRAFIA Constantin Brancusi (Pestisani Gorj 1876 – Parigi1957) Scultore rumeno nasce a Hobita, uno dei sette villaggi che formano il comune di Pestisani Gorj nella regione dell’Oltenia. Costantin è il quinto figlio di Nicolae Brancusi, la madre, sposata in seconde nozze è la giovane Maria Daconescu. Il padre gestisce dei possedimenti nel monastero di Tismana. Fin da bambino non ha un buon rapporto con la numerosa famiglia, scappa più volte da casa, la prima volta a sette anni. Alla morte del padre nel 1885 riprende gli studi elementari precedentemente interrotti che si concludono alla quarta classe. La sua infanzia Da quel momento è un continuo fuggire da casa per poi essere recuperato continuamente dalla madre, durante le sue fughe si mantiene con i lavori più disparati, da commesso in un negozio ad apprendista tintore a servo pastore, è qui che inizia la sua formazione come artigiano, con i pastori acquisì la passione per l’intaglio, elemento che caratterizza molti dei suoi lavori in legno e che ritornerà spesso nel corso della sua carriera. A dodici anni si trasferisce a Craiova, capoluogo della regione dell’Oltenia, dove fa il garzone contemporaneamente in una drogheria e in un’osteria. Nel tempo libero si dà all’intaglio, crea piccoli oggetti utilizzando il legno di scarso valore delle casse per imballaggi. Da quello stesso legno di recupero creerà l’aneddotico violino per lui importantissimo del quale amava molto raccontare la storia. Il suo violino, ripeteva l’artista, aveva un suono straordinario e gli zigani di Craiova facevano a gara per suonarlo. Fu molto importante per la sua carriera, racconta egli stesso che furono i clienti del locale nel quale lavorava che affascinati dal suo lavoro, spronarono il Brancusi ormai diciottenne a far domanda all’atelier di scultura in legno della scuola d’arti e mestieri di Craiova. Alla scuola concluse brillantemente il compito postogli dallo scettico direttore, che consisteva nel completare un intaglio in legno che egli stesso aveva iniziato, Brancusi rese indistinguibili il suo lavoro dalla parte realizzata dal direttore e nel 1895 la scuola 11
gli concesse presto una borsa di studio che gli permise di abbandonare il lavoro e concentrarsi maggiormente sugli studi. Terminerà la scuola con ottimi voti soprattutto in matematica e disegno industriale. Nel 1897 all’età di diciannove anni lavora a Vienna da un ebanista che lavora per la celebre fabbrica di mobili Thonet. Nel 1898 si trasferisce nella capitale per inscriversi alla scuola nazionale di belle arti di Bucarest dove segue il corso di scultura di Ion Georgescu e usufruisce di una borsa di studio offertagli da un istituto religioso. Fa il lavapiatti e canta in un coro come tenore. La scuola di Bucarest è uniformata a un certo accademismo, per cui Brancusi si dedica alle copie romane e classiche, tra le quali un busto di Vecellio che gli varrà Una prima menzione di lode, seguiranno ulteriori premi per altri lavori, un busto tratto dal gruppo ellenistico Laocoonte e un Antinoo, ma soprattutto uno scorticato, uno studio che riprendeva l’Ermes dei musei capitolini a Roma, prova che gli valse una medaglia di bronzo (l’opera sarà poi acquistata dallo stato per il gabinetto anatomico dell’università). Lo studio anatomico era un esame ritenuto molto importante dall’accademia di Bucarest data l’impostazione didattica decisamente accademica della scuola. E’ qui che Brancusi inizia a sentire una certa oppressione data dall’impostazione classicista dell’arte e inizia ad allontanarsi idealmente dall’interpretazione che di essa ne faceva il mondo accademico. Si diploma nel 1902. Vorrebbe partire per l’Italia ma è costretto dalla mancanza di fondi a tornare a Craiova. A Craiova scolpirà un ritratto per un amico per poi continuare una scoraggiante involuzione nei paesini vicino a Pestisani Gorj e in particolare a Tirgu Jiu dove si mantiene come falegname. Di lì a poco tornerà alla riconquista di Bucarest dove nel 1903 realizzerà un busto del generale Carol Davila copiandone le fattezze da una fotografia. Risoluto a raggiungere Parigi, considerata al tempo capitale mondiale dell’arte, parte il 1904 all’età di 28 anni attraversando a piedi l’Ungheria, l’Austria, la Baviera, la Svizzera e l’Alsazia, soffermandosi un periodo a Monaco dove prova a frequentare l’accademia di belle arti, ma ad attrarlo è sempre 12
Parigi, quindi proseguirà ancora a piedi verso il lago di costanza, dove senza un soldo baratterà l’orologio con il trasporto in traghetto. Giunge in Francia a Epinal, poi a Langres sarà aiutato dall’amico pittore Daniel Poiana già installato a Parigi. Brancusi arriverà nella capitale francese il 14 Luglio. La sua prima permanenza fu facilitata non poco dalla folta presenza di suoi connazionali immigrati a Parigi tra i quali diversi artisti, Tra gli altri ci fu sopratutto il pittore di Bucarest Theodor Pallady, amico di Matisse e fondamentale fu l’incontro con il collezionista Victor N. Popp che successivamente divenne uno dei suoi maggiori sostenitori. Conoscerà anche lo scultore spagnolo Julio Gonzalez. Nel 1905 riesce ad ottenere un modesto contributo finanziario dal governo rumeno che gli consente di mantenersi all’Ecole nationale des beaux arts, dove è solito Partecipare alle riunioni del club degli studenti e frequenta il corso di scultura di Antonin Mercié, quest’ultimo è un artista alquanto stimato dall’elite rumena a Parigi, tanto da ottenere alcune commesse anche in Romania, improntato a un gusto tradizionale e a un forte accademismo. Ma sono altri i punti di riferimento di Brancusi, i suoi modelli sono quelli che lo allontanano dalla interpretazione classica intesa in senso accademico, rivolto a un rinnovamento della visione del corpo e dell’uomo.. L’artista fin dal suo arrivo a Parigi volge l’attenzione soprattutto verso lo scultore italiano Medardo Rosso, del quale vedrà una retrospettiva nell’autunno del 1904. << Rosso testimonia in quegli anni un radicale mutamento nel concepire la scultura come oggetto artistico[…] [e volge la sua ricerca verso] un nuovo processo di selezione dei particolari da rappresentare >>1 . Un altro scultore, Auguste Rodin, avrà grande influenza sull’artista rumeno. Rodin espone ai salon busti acefali con arti mozzati, riutilizza particolari anatomici inizialmente creati come studi, li ingrandisce, li fa diventare opere autonome. Nell’Aprile 1906 Brancusi partecipa al XVI Salon de la Société Nationale de beauxarts con il ritratto di M.G. In Ottobre dello stesso anno espone tre opere al Salon d’automne, del quale Medardo Rosso è membro della giuria presieduta da A. Rodin. 13
Oltre al ritratto di Stefan Lupascu, tra le opere esposte da Brancusi bisogna ricordarne due in particolare: busto di bambino e orgoglio, incentrate sul ritratto psicologico e con particolare attenzione all’effetto prodotto dalla luce. Il 1906 modella anche il Ritratto di Nicolae C. Darascu, ritratto dell’amico pittore con il quale aveva frequentato l’accademia di belle arti di Bucarest, anche lui trasferitosi a Parigi. In questo periodo scolpisce una serie di testa di bambino addormentato che deve aver avuto un discreto successo, di quest’opera infatti son note ben tre versioni in bronzo e due in marmo. Il 1907, fu decisivo per la carriera dello scultore rumeno, partecipò al XVII Salon de la Société Nationale de beaux-arts esponendo tre opere in gesso e una in bronzo tra le quali un ottimo gesso con il titolo di Abbozzo, che riprendeva il busto di bambino della precedente mostra fornendone una versione più coraggiosa e disinibita, modellata più velocemente e psicologicamente più incisiva, determinante fu il bronzo Tormento II, il quale fu pubblicamente lodato da Rodin, che tuttavia esortò il giovane artista a <<“non correre troppo”>> 2 riferendosi evidentemente alla velocità di modellazione delle opere e in particolare ad Abbozzo. Tormento II è un busto molto espressivo che tratta della sofferenza infantile, il tema era abbastanza diffuso tra gli artisti che esponevano allora nelle mostre ufficiali, ne furono realizzate tre copie in bronzo, una delle quali fu fusa con una tecnica particolare nel laboratorio di Adrin Hebrard che diede una speciale colorazione dorata al bronzo, per essere poi ripresentata da Brancusi al Salon d’Automne del 1909. Il busto è composto da un taglio netto del torso e un moncone di braccio che pare in stato embrionale. Non valse l’approvazione del suo docente di scultura Mercié che pare affermò <<“è facile fare sculture senza testa e senza braccia”>>3 riassumendo così in un unico giudizio l’opera del giovane Brancusi e del già affermato Rodin, la quale opera l’uomo che cammina era anch’essa esposta nella medesima occasione. Tramite l’amica Otilia Cosmuta, la stessa che gli presenterà la baronessa Reneé Frachon modella che ispirerà la musa addormentata, Brancusi fa visita a Rodin. In Marzo ne frequenta l’atelier come aiuto, ma già in Aprile decide di lasciare il 14
laboratorio di Rodin per intraprendere una carriera personale, affermando che: <<“non cresce nulla sotto i grandi alberi”>>4. Lo stesso anno tramite amici ed estimatori ebbe una prima importante commissione, lavorò a Preghiera, scultura in bronzo per il monumento funebre dell’avvocato Petre Stanescu Di Buzau da erigersi in Romania. Grazie a questa commissione l’artista poté migliorare le sue finanze e permettersi di affittare uno studio in rue du Montparnasse. L’opera fu successivamente esposta a Parigi nel 1910 e in Romania nel 1914 alla quattordicesima edizione della Tinerimea artistica di Bucarest. Sempre nel 1907 Conobbe il fotografo e pittore Edward Steichen. Espose anche al Salon d’Automne di Parigi; e alla settima Tinerimea Artistica di Bucarest. L’anno successivo Abbozzo sarà fusa in bronzo in tre versioni. Sarà poi rinominato Testa di bambino e riproposto al Salon d’Automne del 1909. Il periodo tra la fine del 1907 e il 1908 è l’anno dell’ondata primitivista, influenzato dalle ricerche di André Derain, che proprio nel settembre del 1907 espose Figura accovacciata nella galleria di Kahnweiler in Rue Vignon, facendo scalpore tra i suoi contemporanei. Incisa direttamente in un blocco cubico di pietra, la scultura di Derain ha geometrie essenziali che si contrappongono violentemente alla tradizione accademica classica del modellato e della fusione in bronzo. Colpito dall’opera di Derain, e dalla tecnica dell’incisione diretta già precedentemente osservata in una retrospettiva su Gaguin vista al Salon d’Automne nel ottobre del 1906, Brancusi sospende la sua produzione in bronzo per produrre il suo primo lavoro in pietra, Una Testa di ragazza (1907) che riprendeva certe maschere africane. Successivamente scolpisce Il bacio (1907-1908) inscrivendolo come fece Derain in un blocco geometrico, ma proponendo una diversa soluzione formale divide lo spazio verticale del parallelepipedo con un solco che separa i due amanti, per poi ricucire le due figure con il rilievo orizzontale delle braccia. Nel 1909 riproporrà un'altra versione del Bacio per un monumento funebre a Parigi, da collocarsi nel cimitero di Montparnasse sulla tomba della giovane Tania Rasewsky, suicidatasi per amore. Altre versioni in pietra e
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in gesso saranno realizzate successivamente e saranno esposte tra il 1912 e il 1913 a Parigi al Salon des indépendants e a New York all’Armory show Del 1908, immediatamente successive alla prima versione del Bacio, sono: La saggezza della terra e la Danaide, da inscriversi anche queste due all’interno della serie primitivista delle figure scolpite direttamente in pietra. Nello stesso anno l’artista si allontana da una lavorazione più primitiva che contraddistingue le opere a intaglio diretto e rivolge la sua attenzione verso il marmo. Con: Il sonno e la traduzione in marmo della precedente Testa di bambino. Elaborando Il sonno riprende un tema già sperimentato in bronzo negli anni precedenti, ma pare che l’impostazione formale di quest’opera sia tratta da un gesso perduto del 1906, intitolato Il riposo e visibile in una fotografia. L’anno Espone al XVIII Salon de la Société Nationale de Beaux-Arts a Parigi e alla Tinerimea Artistica di Bucarest. In novembre conosce Modigliani e partecipa al celebre pranzo in onore di Rousseau organizzato da Apollinaire nello studio di Picasso. Nel 1909 conoscerà il pittore scrittore e poeta Max Jacob e lo scultore ucraino Archipenko. Viaggerà di nuovo a Bucarest e viaggerà a Livorno con Modigliani. Vende a privati Il sonno e Busto di bambino, il ministero dell’istruzione rumeno acquista il Busto di Nicolae Darescu. Scolpirà Torso altrimenti intitolato Frammento di un torso, rimettendo in discussione la concezione di classicità e la sua possibile riproposizione in epoca moderna, concezione che terrà presente anche gli anni successivi, riprendendo il tema del sonno e dell’incompiutezza anatomica con le tre Muse addormentate del 1910, rispettivamente in marmo bianco, in bronzo e in bronzo lucidato. Sempre sull’onda della mitologia greca lavorerà alle due versioni (una in marmo bianco e una in bronzo lucidato) del Prometeo del 1911, da affiancare idealmente e morfologicamente alle muse dell’anno precedente; poi venne Una musa del (1912); le due Danaide del 1913; Chimera; Cariatide; Leda; Narciso. Si rivolgerà anche alla 16
mitologia rumena scolpendo le varie Maiastra, la prima in marmo del 1910, quella in ottone lucidato del 1912 e una in bronzo esposta al Salon des Indépendants del 1911 e acquistata in quell’occasione dall’amico Edward Steichen. Esiste anche un’altra versione in marmo grigio del 1923-1940. Al Salon des Indépendants parteciperà Dal 1910 fino al 1913, dove tra le altre opere espone nel 1912 le prime versioni in marmo di Musa addormentata, di Prometeo e la scultura in pietra del Bacio,in quella stessa edizione riceverà un elogio particolare da parte di Apollinaire Nel 1912 si reca con Marcel Duchamp e Fernand Leger all’esposizione della locomozione aerea. Visitano il suo studio I pittori futuristi Umberto Boccioni e Gino Severini Nel 1913 Incontra lo scultore Henri Gaudier-Brzeska nel corso di una mostra collettiva alla Royal Albert HAll di Londra, durante la quale il critico Robert Fray mostrerà un certo apprezzamento per le sue opere. Il 17 Febbraio dell’anno partecipa all’inaugurazione dell’Armory show a New York e a Chicago, esponendo cinque sculture: il Bacio; Una musa; Torso; Madmoiselle Pogany; e Musa addormentata, accostate a dipinti di Picasso e Duchamp. la mostra fa scalpore, non trova troppi apprezzamenti tra i media e ancor meno da parte degli studenti dell’accademia locale. Dall’esposizione americana emerge l’interessamento per Brancusi del famoso avvocato self made man e collezionista John Quinn, finanziatore dell’evento organizzato da Walter Pach e da un gruppo di artisti moderni newyorkesi. Brancusi inviò una copia in pietra del Bacio su richiesta al collezionista americano, entusiasta dopo aver visto la mostra di New York. John Quinn diverrà suo grande estimatore e mecenate, tra i due s’instaura un importante amicizia e un folto contatto epistolare che aiuterà a comprendere molte delle riflessioni estetiche dell’artista. 17
Nascono varie sculture in legno che richiamano il primitivismo. Forse sotto l’influenza di Modigliani Brancusi crea in questo periodo molte opere che ricordano la scultura africana: Primo passo; Cariatide; Eva; Ragazzina Francese. Opere che poi ricusò arrivando addirittura (a detta dell’amico scultore J. Epstein) a distruggerne alcune nella convinzione che il primitivismo di matrice africana dilagante in quel periodo fosse paragonabile a una sorta di nuovo accademismo, emblematico in questo senso fu la sorte di primo passo, scultura visibilmente creata su un modello che richiama il Niger e il Mali e del quale è rimasta soltanto la testa, quest’ultimo particolare anatomico fu poi riutilizzato per dei calchi in bronzo e riproposto dallo stesso Brancusi in veste di Primo grido nella versione in cemento del 1917. Nel 1914 grazie all’amico Edward Steichen ha luogo la prima personale dell’artista, alla Photo-Secession Gallery di Alfred Stieglitz. Brancusi ha trentotto anni, esporrà la scultura ancora intera di Primo passo, l’occasione richiamerà l’attenzione di altri collezionisti quali Arthur Jerome Eddy che acquista il marmo della Musa addormentata Inizia a fotografare da se i suoi lavori non contento delle foto finora eseguite da altri. Grazie a questa sua presa di posizione e alla sua evidente passione per il medium fotografico, i suoi lavori e il suo studio possono vantare un’ampia documentazione, utile anche per far rispettare il suo lascito testamentario. Il quale prevedeva fosse mantenuto un certo ordine nelle composizioni tra le sculture e i basamenti-scultura. 1916 Trasferisce il suo atelier all’impasse Ronsin 8 e gli viene dedicata un’altra personale a New York . Espone Principessa x in marmo all’apertura della Society of Indipendent Artist, organizzata da Duchamp e Katherine Dreier e sostenuta da Arensberg nel 1917. L’anno dopo alla Cubist and Postimpressionist Exhibition sarà presente con la Musa addormentata affiancata da opere di Manet e Whistler della collezione Eddy. Realizza in legno la prima versione della colonna senza fine.
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Duchamp e Dreier fondano nel 1920 la Société Anonyme, Brancusi parteciperà alla prima esposizione della stessa. Lo stesso anno fa scandalo a Parigi l’esposizione di Principessa x, estromessa dal Salon des indépendants e riammessa poco dopo grazie a una petizione firmata da vari artisti tra i più in vista del tempo sul Journal du Peuple. Brancusi deluso si rifiuterà di esporre alla mostra della Section d’Or a Parigi e profondamente risentito esporrà nella città soltanto altre tre volte per i successivi vent’anni. L’anno dopo conoscerà Ezra Pound, che dedicherà un saggio all’artista sulla rivista d’avanguardia Little Review. Vende a Jacques Doucet una Danaide, conosce James Joyce e Man Ray che lo aiuta tecnicamente per quanto riguarda i materiali fotografici e per l’installazione di una camera oscura. Riprende a Viaggiare per l’Europa, si reca nuovamente in Romania. 1922 si vede implicato nello scontro Tzara Breton per la questione riguardante il congresso di Parigi, si schiera a sostegno del poeta rumeno assieme a Satie, Man Ray, Cocteau e altri artisti e intellettuali. Mette a disposizione il suo atelier per il balletto Gimnopedies ideato ed eseguito dalla coreografa ballerina Lizica Codreanu su musiche di Erik Satie, i costumi sono disegnati e realizzati dallo stesso Brancusi. L’anno dopo riceverà una decorazione dal re Ferdinando di Romania. Realizza il primo Uccello nello spazio in marmo. 1924 realizza le illustrazioni per il programma dello spettacolo dadaista bal banal insieme a Picasso, Pascin e André Lothe. È invitato alla biennale di Venezia esponendo nel padiglione rumeno due opere. Quell’anno scolpisce il ritratto di Nancy Cunard. La scultrice Irina Codreanu sorella di Lizica frequenta il suo laboratorio come assistente. L’anno seguente quarantuno sue fotografie vengono pubblicate sulla rivista This Quarter assieme ad alcuni suoi aforismi, cinque disegni e un racconto scritto di suo pugno Storia di briganti. Nel 1926 riacquista le sculture della successione di John Quinn, morto l’anno precedente, e si reca per la prima volta in America per pulirle e restaurarle 19
personalmente, andranno poi esposte nella grande personale alla Brummer Gallery di New York. Quell’anno Brancusi espone in quattro diverse occasioni: alla Memorial Exhibition della collezione John Quinn, alla Wildenstein Gallery a New York per la tappa della Tri-National Exhibition, e in un'altra personale nuovamente alla Wildenstein Gallery. Si recherà nuovamente negli Stati Uniti in Settembre. Durante questo spostamento Marcel Duchamp ha il compito di seguire il trasporto di 20 opere dell’amico da esporre, ma che arrivate in dogana si troveranno al centro di una lunga controversia, che porterà Brancusi davanti a un tribunale che dovrà decidere se le opere, (considerate dal doganiere tutte uguali e quindi passibili di tassazione come una qualunque merce prodotta in serie), siano appunto merce oppure opere d’arte uniche. Il processo inizia a Ottobre del 1927. L’animata discussione si svolge attorno alla scultura Uccello nello spazio, posta al centro di quello che diventerà un vero e proprio processo pubblico all’arte moderna e all’autonomia e alla libertà creativa dell’artista. Il dibattito si concluderà nel 1928 con il riconoscimento di Uccello nello spazio come opera esemplare di <<“una nuova direzione”>>5 artistica che si basa su una forma di piacere estetico percepito dal fruitore grazie all’impiego di una certa armonia di forme. Tre anni dopo l’Uccello nello spazio in bronzo sarà venduto al maharajah di Hindore in India che ne ordinerà altre 2 versioni in marmo bianco e in marmo nero da collocarsi in un tempio della meditazione che Brancusi stesso dovrà progettare, e al quale lo scultore lavorerà per diversi anni. Nel 1933 Marcel Duchamp organizza una seconda personale dedicata allo scultore, nuovamente alla Brummer Gallery, per l’allestimento arrivano cinquantasette sculture e un progetto di affresco per il maharajah di Indore 1934 realizza degli schizzi che rappresentano un mondo futuro per le scene del film Cent vingt années à venir 1935 gli viene affidata la costruzione di un monumento nel parco di Tirgu Jiu dedicato agli eroi rumeni caduti nel respingere l’offensiva tedesca durante la prima guerra mondiale, è la sua prima opera pubblica che gli consente di confrontarsi con lo spazio
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ma soprattutto con la luce naturale. Il lavoro gli è commissionato da Aretia Tatarescu presidentessa della lega delle donne di Gorj. 1936 partecipa alla mostra Cubism and Abstract Art del M.O.M.A. di New York con sei sculture. L’anno seguente. Nel Febbraio 1938 torna dall’india, dove avrebbe dovuto chiarire gli ultimi dettagli per il progetto del tempio di Indore, ma per motivi mai chiariti il lavoro va a monte. Il ventotto Luglio dello stesso anno lavora al parco Tirgu Jiu in Romania, completando La porta del bacio e la Colonna senza fine dopo alcune modifiche Al tavolo del silenzio, il parco sarà inaugurato il ventisette Febbraio 1938. In Ottobre la Colonna senza fine sarà consacrata secondo il rito cristiano ortodosso. Nell’Aprile 1939 ritorna per la terza e ultima volta negli Stati Uniti esponendo al M.O.M.A. La foca – Il miracolo in marmo e Uccello nello spazio in bronzo durante la mostra Art of Our Time. L’anno dopo conoscerà la famosa collezionista Peggy Guggenheim e lavorerà alla Tartaruga, ribattezzata poi Tartaruga volante. Durante il periodo della guerra sarà a Parigi nel suo studio all’Impasse Ronsin. Finita la guerra vende Il gallo e La foca al Musée National d’art Moderne. Nel ’48 tiene due assistenti rumeni nel suo atelier Aleksadr Istrati e Natalia Dimitresco. Nel 1955 concede in via eccezionale ad Alexandre Liberman di fare una serie di fotografie al suo atelier. In ottobre il Solomon Guggenheim Museum di New York dedica a Brancusi una vasta retrospettiva comprendente cinquantanove sculture e numerosi disegni. Muore il 16 Marzo del 1957. Nel testamento redatto l’anno precedente dispone la donazione di tutto il contenuto del suo atelier al Musée National d’Art Moderne di Parigi con la clausola che l’ordine delle opere rimanga secondo la disposizione originale. È ora sepolto nel cimitero di Montparnasse, lasciando il resto dei suoi beni ai suoi due assistenti che l’avevano supportato durante i suoi ultimi anni di vita. Le sculture di Brancusi sono ora esposte definitivamente nell’allestimento dell’atelier 21
Brancusi nello spazio appositamente edificato in un piazzale al Centre Georges Pompidou.
Note 1
Maria Elena Versari “Constantin Brancusi” in Maria Elena Versari, Alessandro Del
Puppo, Gabriele Fattorini, Aldo Galli, Francesca Petrucci, Sabina Spannocchi, Nico Stringa. Marco Campigli, Alessandro Del Puppo, Aldo Galli [a cura di] Grandi scultori vol. XIII Roma gruppo editoriale l’espresso 2005 p9 2
Ivi, p11
3
Ivi p12
4
Ibidem
5
Ivi p 34
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2.2 RETROTERRA CULTURALE, FORMAZIONE, CONTESTO ARTISTICO, INFLUENZE. INTRODUZIONE Brancusi nasce in un contesto culturale popolare, in Romania l’arte e l’artigianato dall’architettura alle suppellettili sono ancora molto legate alla tecnica dell’intaglio in legno. L’incontro dell’artista con questo materiale inizia prima per necessità che per passione, lavora prima in paese come bottaio, poi come ebanista, anche nel suo soggiorno a Vienna e alla scuola di arti e mestieri di Craiova si troverà a studiare il medesimo materiale, un materiale che amerà e sul quale ritornerà fortemente dopo essersi liberato del tanto sofferto accademismo, in un’evoluzione che lo porterà a cogliere con entusiasmo la sfida innovativa dell’intaglio diretto lanciata dai grandi maestri nel primissimo ‘900, e in particolare da Gaguin, Picasso, Derain. L’attività di Brancusi Attraversa mezzo secolo di avanguardie e di rinascita dell’arte, di rivoluzione delle forme e dei concetti, si lascia coinvolgere dai vari movimenti intellettuali e artistici senza tuttavia perdere mai le sue radici e una certa autonomia stilistica che nonostante le numerose influenze lo contraddistingueranno sensibilmente dai suoi contemporanei. Difatti Brancusi lascerà appena possibile la Romania, consapevole che l’arcaicità di questa terra non è molto incline all’innovazione, ma ne rimarrà sempre influenzato com’è visibile in numerose opere che costeggeranno tutta la sua carriera, soprattutto nei basamenti lignei intagliati che spesso ricordano i pilastri dei rustici porticati romeni. La maturazione delle sue idee e del suo stile così personale avviene in un momento cruciale della storia dell'arte. Brancusi vive a Parigi, crocevia di innumerevoli apporti culturali. Trae spunto dall'incontro con la scultura negra, la scultura cicladica, orientale e arcaica. Si trova nel mezzo della ridefinizione estetica della scultura, il concetto stesso di scultura stava cambiando agli inizi del ‘900, e lui non manca di dare la sua personalissima interpretazione, vive questo fermento di inizio secolo a stretto contatto con tanti altri artisti che faranno la storia dell’arte moderna tra cui Modigliani, Léger, Duchmp. 23
2.2a RETROTERRA CULTURALE, FORMAZIONE, CONTESTO ARTISTICO, INFLUENZE
La formazione artistica di Brancusi si può dividere in diverse fasi: la prima qui sopra descritta è quella quasi interamente artigianale che comprende l’intaglio, l’ebanisteria, e la scuola di arti e mestieri cui seguirà una seconda all’insegna del modellato e della fusione in bronzo, quella assolutamente classica e accademica, che inizia con l’accademia di Bucarest e prosegue con il corso di scultura tenuto da Antonin Mercié all’Ecole Nationale des Beaux-Arts, e che poi declinerà con l’esempio di Medardo Rosso e August Rodin. Difatti nonostante l’impegno e i numerosi riconoscimenti ricevuti dall’artista per i lavori di matrice classica e gli studi anatomici, cresce in lui un forte senso di insoddisfazione riguardo all’interpretazione accademica della scultura, già dal suo soggiorno nella scuola nazionale di belle arti di Bucarest, dove inizia a guardare con sospetto quel plasticismo enfatico, le tormentate anatomie greche e le contorte figure michelangiolesche che a suo dire coincidono con quel culto romantico del tormento creativo, sintomo di decadenza morale e artistica. Un’interpretazione, quella accademica, che non potrebbe essere più lontana dal suo modo pratico, sintetico, antiromantico, di vedere la vita e l’arte e dalla semplicità di valori che aveva cercato così tante volte di raggiungere quando da ragazzino fuggiva tra i pastori nelle montagne dei Carpazi. Emblematica di questo suo fondamentale punto di vista è una affermazione qui di seguito fatta dallo stesso artista: “osservate gli antichi greci, quando la loro scultura si apre ai movimenti convulsi e al dolore, da quel preciso momento ha inizio la loro decadenza". C’è cascato anche Michelangelo[…]. Michelangelo –sostiene Brancusi- non si è liberato dal suo tormento interiore. Gli rimprovero il suo dinamismo demoniaco […]. Io non credo al tormento creativo. Il fine dell’arte è creare la gioia. “Si crea artisticamente solo nell’equilibrio e nella pace interiore”1.
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Questa sua notevole affermazione preconizza quello che sarà, una volta arrivato a Parigi il volgersi della sua attenzione verso l’interpretazione moderna di Medardo Rosso e di Rodin. Medardo Rosso è uno scultore italiano trapiantato a Parigi che utilizza in modo incredibilmente innovativo la materia, facendo emergere dalle masse di cera e di bronzo dei volti tra la forma e l’informe, simili a maschere, creando dei giochi di luce che smuovono la percezione visiva, scoprendo un nuovo modo di definire e di concepire l’anatomia umana come materia scultorea, attraverso un nuovo procedimento di selezione dei particolari anatomici, che sono ben definiti e sottolineati, oppure lasciati volutamente incompiuti in base a una gerarchia decisa dall’artista, è un procedimento basato sulla resa psicologica dell’impressione.Rosso era un grande della scultura impressionista, veniva da quel contesto socio politico culturale della scapigliatura democratica, e a suo dire la raffigurazione non si poteva esaurire nel mero ritratto naturalistico. August Rodin è considerato da Brancusi il grande innovatore della scultura, benché legato a tematiche ereditate da un certo romanticismo storico letterario e monumentalistico ottocentesco, rivela una grande trasformazione nel concepire la forma umana in senso anatomico e concettuale, e nel ridefinire e vivificare i temi imbalsamati della tradizione. Con la reiterazione e la suddivisione delle parti che compongono la statua, mostrando le linee di giunzione dei tasselli nella quale essa è fusa, la scultura di Rodin mostra la propria artificialità, suggerendo un’arte che si libera dai suoi vecchi modelli e che fa riferimento soltanto a se stessa, che riflette su se stessa e sulla propria tradizione, anche e soprattutto attraverso una visualizzazione più espressiva e meno retorica dell’opera, conferitagli da un’anticlassica mutilazione dei corpi rappresentati. Sostenne Brancusi riguardo al maestro francese: “Grazie a lui la scultura tornò ad essere umana, sia nelle dimensioni che nel contenuto spirituale” 2. Brancusi avrà modo di ‘affrontare’ sia Rodin che Medardo Rosso al Salon d’Automne del 1906, dove Rosso è membro di una giuria presieduta dallo stesso Rodin. In quell’occasione tra i tre lavori presentati dall’artista rumeno emerge la sua prima opera 25
in bronzo: L’orgoglio, la scultura ritrae una ragazzina con uno stile abbastanza tradizionale, ma è visibile, nel trattamento della materia e soprattutto nei capelli, un certo interesse del giovane artista alle innovazioni impressioniste di Medardo Rosso che influenzeranno visibilmente anche le altre opere che segnano quell’anno e soprattutto “Busto di bambino”, presentato anch’esso alla stessa edizione del Salon d’Automne. Brancusi in questo suo gesso dipinto, presta particolare attenzione all’effetto luce sulla fisionomia che emerge da una massa lavica, lavorata in modo piuttosto materico, il tema dell’infanzia infelice, molto di moda nel periodo, è reso in maniera fortemente patetica, con la testa leggermente inclinata lateralmente e con lo sguardo a sinistra, dando una nota di dinamismo in più rispetto ai suoi precedenti lavori. È evidente in quest’opera anche l’ascendente di August Rodin, soprattutto nella modellazione del braccio destro lasciata incompiuta con un’operazione di sintesi concettuale che Brancusi ripeterà più volte in futuro. Nel busto in bronzo Ritratto di Nicolae Darascu si rende ancor più chiara l’influenza del maestro parigino e della ‘amputazione concettuale’, l’artista mozza entrambe le braccia a diverse lunghezze, lascia abbozzati particolari come la capigliatura e ne sottolinea invece altri come la nervatura del collo. Elemento primario rimane invece la modellazione vigorosa e realista dei tratti del viso. Simile ma lavorato in modo molto più efficace e tagliente è Testa di bambino, opera presentata in gesso al XVII Salon de la Société Nationale de beaux-arts del 1907 con il titolo di Abbozzo, questo lavoro punta tutto su una resa psicologica piuttosto incisiva, semplificando e riducendo gli elementi anatomici che non concorrono alla resa emotiva. Rispetto al precedente Busto di bambino, l’artista solleva lo sguardo del soggetto facendolo guardare direttamente in direzione dell’osservatore, il bambino dischiude la bocca e si rivolge direttamente in direzione del pubblico. Il modellato ha una resa fisionomica più realistica, molto più coraggiosa e disinibita, ottenuta tramite una modellazione della creta velocissima, Qualità quest’ultima di cui lo scultore andava particolarmente fiero, (egli stesso confidò a un amico di riuscire a portare a termine tre gessi in un pomeriggio). A riguardo Rodin, che in occasione della stessa esposizione esibisce l’uomo che cammina, suggerisce a Brancusi di <<“non correre
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troppo”>>3 riferendosi soprattutto a quest’ultima creazione, tuttavia loda pubblicamente l’artista, in particolare per la scultura in bronzo Tormento II, un busto anch’esso riguardante il tema della sofferenza infantile. In questo lavoro si nota un riferimento agli studi classici accademici, una posa contorta che ricorda vagamente il Laocoonte, soprattutto nella posizione della testa sulla spalla. Il bimbo tiene un’espressione leggermente contratta e anche in quest’occasione l’artista opera una selezione dei particolari a scopo espressivo, rendendo il braccio in primo piano come un moncone in stato embrionale, e attenuando la resa realistica di altri particolari anatomici che potrebbero distogliere l’attenzione dall’intensa espressività data dal viso e dalla posa . Com’era prevedibile il lavoro non valse l’approvazione del suo docente di scultura Mercié che pare affermò <<“è facile fare sculture senza testa e senza braccia”>>4 riassumendo così in un unico giudizio l’opera del giovane Brancusi e del già affermato Rodin. Brancusi è molto colpito da Rodin ma rimane visibilmente suggestionato per lungo tempo anche da Medardo Rosso, lo dimostra la Testa di bambino addormentato, concepita tra il 1906 e il 1907. Difatti nonostante Brancusi in questo periodo sia sotto la diretta influenza di Rodin in quanto suo assistente, la testa di bambino riporta quella resa materica che può essere ricondotta solo allo scultore italiano, tuttavia l’elemento più significativo di questo lavoro rimane l’espressività della ‘mutilazione’, e l’efficace isolamento della parte anatomica. E’ il primo lavoro che si rivolge al tema del sonno, e la testa, trattata come elemento autonomo prefigura i successivi e più noti lavori che trattano il tema del sonno e delle muse. La ‘terza fase’ della carriera di Brancusi va dall’allontanamento dal laboratorio e dalla sfera d’influenza di Rodin verso il primitivismo e l’intaglio diretto, ma rimarrà sempre presente la lezione data dal maestro francese e della sua frammentazione anatomica. A questo proposito Preghiera (anche se più moderatamente) è ancora legata a quest’ultimo.
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La scultura in bronzo, commissionatagli per un monumento funebre, presenta un’interpretazione dell’anatomia semplificata e per niente classica, a differenza delle prime elaborazioni grafiche dell’opera, nelle quali l’artista opta inizialmente per una rappresentazione piuttosto convenzionale e accademica. l’accordo prevedeva una raffigurazione allegorica della preghiera, che l’artista nei primi bozzetti preparatori risolve con una figura femminile accasciata su se stessa e coperta da un consueto panneggio, con le mani che coprono il viso in una dichiarazione di estrema contrizione, gradualmente la figura fu posta in posizione più eretta, spogliata dai drappi e sintetizzata nelle linee e nei volumi anatomici sia del corpo che del viso, nel realizzarla Brancusi si tormenta sopratutto nel posizionare le braccia, le dispone sulla testa e poi giunte nella classica posizione di implorazione religiosa, <<più che pregare mi dava l’impressione di aver freddo>>5. disse l’artista, decidendo infine di lasciare abbozzato il braccio sinistro e portare il braccio destro sul petto, concludendo con un’operazione di selezione anatomica tipicamente rodiniana. La medesima soluzione la ripropone in un’altra emblematica scultura: Torso Frammento di un torso. L’artista ragiona ancora sul significato di classicità, la citazione dall’antico e la sua possibile riproposizione in epoca moderna, Rodin in quel periodo inizia a esporre pezzi delle sue opere come lavori a se stanti. A differenza del maestro, la suddetta scultura pare sia stata staccata a forza da un’opera classica, il titolo stesso “ frammento..” pare voler rafforzare il concetto di incompletezza, di rottura, in questo modo Brancusi porta la pratica rodiniana all’estremo, rendendo brutalmente visibile la frattura del marmo. Così come accade nei reperti archeologici in cui il pezzo emerge già come parte di un intero, l’artista, rendendo visibile un particolare, cerca di esprimere concettualmente una mancanza. Il fuori campo in questo caso è importante quanto il visibile, è la parte che suggerisce il tutto. L’opera è stata modellata dal vero prima di essere scolpita nel marmo bianco, e fa parte di quelle opere di transizione che porteranno l’artista attraverso un percorso di sintesi, e attraverso l’innovazione primitivista, ad emanciparsi dagli esempi prima accademici e poi rodiniani ridefinendoli ed elaborandoli fino a trovare una propria autonomia di forme e di concetti, una serie che parte dalle forme scarne e anti 28
naturalistiche della già citata Preghiera, e a seguire saranno i lavori in pietra più esplicitamente primitivisti del Bacio, di La saggezza della terra, di Danaide. Riprendendo infine il tema a lui molto caro del Sogno con appunto Il sonno fino a maturare un suo concetto più personale di sintesi anatomica avviandosi alla serie delle muse. L'influenza dell'arte negra contagia indubbiamente quasi tutti gli scultori cubisti del tempo, Archipenko con Torse noir sembra voler annunciare tale sodalizio, quest’opera del 1909 è considerata da molti la prima scultura cubista, altrettanto [ farà Gargallo col suo lavoro sulle maschere (1911-13) ed ancora Lipchitz, Zadkine e Gonzales (che con i suoi lavori in metallo ha aperto la strada alla moderna scultura metallica)].6 il primitivismo nasce in polemica e contraddizione alla tradizione artistica occidentale intesa come continuatrice della Grecia classica e del rinascimento, tradizione che ha finito per appiattirsi sul gusto pomposo e borghese e sull’accademismo, nasce in seno alla cultura illuminista, con il “mito del buon selvaggio”, basato su una lettura romantica e ingenua delle civiltà meno industrializzate e di quello stato evolutivo dell’uomo denominato idillicamente “età dell’oro”. È Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), secondo il quale lo stato di natura è pervaso da una inarrivabile purezza mentale, e lo stato evolutivo del selvaggio che asseconda le sole leggi naturali rappresentano la miglior condizione di vita possibile, a diffondere la figura del "buon selvaggio", che agisce solo secondo il proprio istinto, in armonia con la realtà e quindi in giustizia e correttezza morale. Il Primitivismo di Rousseau proclama quindi la necessità di una liberazione dell'uomo dalla civiltà intesa come costrizione innaturale della spontaneità e della libertà individuale, ed auspica un ritorno alla genuinità perduta. Di conseguenza Nel XX secolo anche l’arte inizia a guardare più polemicamente e più criticamente l’effimero benessere dei consumi, rivolgendosi piuttosto alle civiltà africane e oceaniche, all’arcaismo e all’arte barbara e primitiva. In aperto contrasto con la cultura industriale occidentale, gli artisti, nella loro ricerca di un nuovo linguaggio, sono attratti dallo stile semplificato di quelle civiltà, che corrisponde alla tanto agognata genuinità d’altri tempi.
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Sono Pablo Picasso e Andree Derain che afferrano l’opportunità di rinnovare l’arte occidentale destabilizzando i suoi canoni estetici, utilizzano la tecnica dell’intaglio diretto sul materiale grezzo introdotta da Gaguin, escludendo i consueti passaggi del modellato, del calco o della fusione, e introducendo un senso inedito di immediatezza, come è ben visibile in Figura in piedi di Picasso e Figura accovacciata di Derain, entrambe del 1907. Questi risultati sono fortemente alimentati dal sospetto e dal pessimismo che questi e molti altri artisti e intellettuali covano nei confronti della società borghese e industrializzata del periodo, spingendoli alla ricerca di un espressività più spontanea e lontana nel tempo e nello spazio. Brancusi nel 1906 frequenta il Salon D’automne , vede la retrospettiva dedicata a Gaguin, e questo da modo anche a lui di studiare sui modelli del periodo polinesiano ‘tradotti’ dall’ artista francese, tra cui le sculture dirette in legno e soprattutto il suggestivo cilindro intagliato denominato quando il narratore parla (1892-1893), una sorta di lingam, un emblema di forma fallica, raffigurante due persone l’una di fronte all’altra. Nel bacio del 1907 Brancusi fa probabilmente riferimento proprio a quest’opera, come è visibile nella disposizione dei soggetti raffigurati. Ma per le caratteristiche del materiale, il trattamento rude delle superfici, nonché per la compattezza globale della figura e per il rispetto della forma del blocco d’origine, trova un forte eco anche nella Figura accovacciata di Derain. Ma mentre Gaguin con i suoi lavori esprimeva la volontà di rinnovarsi di un artista ormai saturo di civiltà, e attinge potenza vitale dalle arti primitive, Brancusi nel realizzare il bacio non è attratto allo stesso modo da quell’energia sessuale primordiale, ne è interessato alle stereotipate immagini di mondi selvaggi abitati da innocenti creature. L’attenzione di Brancusi indugia sopratutto, sulla capacità di Gaguin nell’ assorbire le diversità di lontane tradizioni per poi proiettare nella modernità. Per Picasso l’arte tribale ha un forte valore di esorcismo, Brancusi invece curiosamente vede gioia nella scultura negra, adottando come suo solito un atteggiamento ottimista, semplice, e popolare, mentre le soluzione plastiche di matrice africana o dell’Oceania, così come si vedono in questo periodo in Picasso e Derain, e che daranno inizio al percorso cubista, (anche
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Le Damoiselles d’Avignone è di questo periodo), interesseranno Brancusi molto più avanti, e con esito molto diverso. Il bacio è sicuramente per Brancusi l’inizio di un nuovo modo, una sorta di manifesto della sua secessione dall’ambito artistico e intellettuale di Rodin, Il bacio sembra porsi come un controcanto all’omonima opera realizzata dallo scultore parigino, mantenendosi fedele nel tema e nel soggetto ma differendo nel linguaggio. L’influenza primitivista rimarrà sempre ed è ben visibile anche in opere tarde come le figure totemiche di Adamo ed Eva del 1921 o del Re dei re del 1938. Molte delle opere primitiviste hanno un più o meno esplicito rimando all’arte africana, a titolo di esempio si possono citare le linee e scanalature orizzontali che mimano i tipici anelli africani al collo di Cariatide e di Ragazzina francese, due sculture concepite durante la grande guerra, come altri lavori di questo periodo costruite con legni recuperati da vecchie travi di cantieri dismessi. Il rapporto di Brancusi con la scultura africana è controverso, nei modelli di queste culture trova una via di fuga dall’odiato accademismo e dalla pratica occidentale del modellato e della fusione in bronzo di cui egli stesso dichiarava <<“non porta che a scolpire cadaveri”>>7, d’altra parte prende le distanze da un certo modo africanista di concepire le forme, con il timore che sia l’alba di un nuovo accademismo di inizio novecento. Riguardo ciò sappiamo, da una testimonianza dello scultore e amico di Brancusi Jacob Epstein che, l’artista rumeno, preoccupato che l’eccessiva influenza africana in alcuni suoi lavori potesse nuocere alla propria ricerca personale, distrusse varie sculture che a sua detta eccedevano in quel senso8 . Emblematica da questo punto di vista fu la sorte di primo passo, scultura visibilmente creata su un modello che richiama l’esempio di alcune sculture dell’alto Niger, e in particolare una scultura Bambara del Mali allora presente nelle collezioni del Musée d’Éthnologie di Parigi, e del quale l’artista ha conservato soltanto la testa, facendola evolvere come opera a se stante e riproponendola più tardi in veste di primo grido.
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Molti artisti influenzati dal primitivo passano per il medium scultoreo, Brancusi avverte particolarmente questo connubio e nell’ intento di superare l’ ideale classico di bellezza, trova realizzazione alle proprie aspettative in quell'approccio nuovo col lavoro, carico di istintiva energia di cui Le Baiser incarnerà l'idea. Anche Modigliani che lavora a stretto contatto con lui non rimane indifferente, e si fa coinvolgere volentieri dal modo di lavorare dell’amico rumeno, assorbendo quella capacità di sintesi che convoglierà potentemente sia nella sua attività scultorea quanto in quella pittorica con risultati esaltanti. Anche per quel che riguarda i lavori di Brancusi di questo periodo è da ritenersi importantissimo l’incontro e la collaborazione con Modigliani, che lavorerà per un certo lasso di tempo nel suo studio condizionandolo e facendosi condizionare. Riferibili a tal proposito sono dei disegni dello stesso Brancusi concernenti lo studio delle cariatidi molto simili a quelli dell’amico italiano e che porteranno alla relativa scultura lignea del 1914, riallacciabile oltre che tematicamente anche cronologicamente con la corrispettiva in pietra del Modigliani. Tra Modigliani e Brancusi c’erano profonde differenze intellettuali, Modigliani non era particolarmente radicato al suo luogo d’origine, aveva un retroterra culturale completamente diverso da Brancusi, che al contrario era forte di un eredità culturale in cui credeva fermamente. Nonostante ciò sono molti anche i punti in comune dei due artisti, entrambi non si allacciarono mai direttamente alle varie avanguardie, alle loro spalle non c’era nessun mito collettivo, di conseguenza erano anche più duttili nei riferimenti, e si distinsero da quella visione di primitivismo prettamente africanista ampliando i loro riferimenti, Modigliani, guardava non solo all’arte negra, ma anche agli esempi indo-turchi, persiani e mongoli dei musei Guimet-Cernuschi, agli egizi del Louvre, al trecento e al quattrocento italiano di Tino Da Camaino e Botticelli, Anche di Brancusi si sa per certo che frequentò oltre al museo del Louvre il museo Guimet, dove sono esposti molti pezzi d’arte orientale ai quali si ispirerà successivamente per le musa e le Danaide. << L’interpretazione del primitivismo di Modigliani batte su di una ricerca intima di
linguaggio, nasce soprattutto dall’accanita volontà di individuare i modi più sottili e penetranti per giungere all’enunciazione essenziale di un volto, di un personaggio[…] 32
Il primitivismo di Modigliani in altre parole, non derivava da un astratta ricerca programmatica, bensì dall’urgenza di trovare fuori dalla ripetizione di modi ormai usurati, una nuova possibilità di formulare un’immagine poeticamente viva.[…] l’identità dell’assunto stilistico, punta risolutamente alla riduzione essenziale di tutti gli elementi somatici, senza tuttavia trascurarne uno solo. Così ogni volto ha un suo carattere, una sua fissità, o dolcezza o malinconia, o ironia. La ‘sommarietà’ del processo d’essenzializzazione dell’immagine non elimina nessuno dei dati caratterizzanti. >> 9 Brancusi è un artista inquieto e in continua formazione, è attento a ciò che gli accade attorno, cattura il fermento artistico e culturale di inizio secolo, ma nonostante questo mantiene sempre la sua autonomia, senza legarsi mai direttamente a nessun movimento specifico, ne a una galleria o a un mercante in esclusiva come avevano fatto già da tempo i maggiori interpreti del cubismo quali Braque e Picasso, presenta i suoi lavori ai periodici Salon e sono solo alcuni selezionati mecenati a frequentare il suo atelier. Si accompagna ai maggiori esponenti delle avanguardie, dal dadaismo al cubismo, conoscerà i pittori futuristi Umberto Boccioni e Gino Severini. Soprattutto stringerà una profonda amicizia con Marcel Duchamp che sicuramente ne influenza la ricerca sia dal punto di vista estetico che da un punto di vista concettuale portando Brancusi ad un tipo di trattamento della materia metallica e del marmo che esula fortemente dalle precedenti opere in bronzo che subivano inevitabilmente l’influsso di Medardo Rosso e di Rodin, approdando a un tipo di lavorazione del materiale che rende le superfici più polite e le forme più sintetiche e che ricorda, forme di matrice industriale, in marmo finemente levigato o fuse in metalli dalla superficie patinata e scintillante. per quanto riguarda la direzione presa da Brancusi in questo senso, l’influenza di Duchamp, o comunque delle frequenti discussioni estetiche intraprese dai due artisti, è chiara in un aneddotico dialogo sviluppato durante la famosa visita Con l’amico Fernand Leger all’esposizione della locomozione aerea del 1912, dove tra i primi modelli di aereo si soffermarono a osservare un enorme scintillante elica davanti alla quale Duchamp affermò <<“la pittura è finita, chi potrà far meglio di quest’elica?” e 33
rivolgendosi a Brancusi asserì “dì, credi tu di poterlo fare?”>>10. Non si seppe mai cosa Brancusi rispose, ma sicuramente questa come altre discussioni simili ebbero un certo peso nella maturazione stilistica dello scultore allora trentaseienne, che aveva già iniziato da due anni la serie delle Muse, e in questo periodo scolpisce la prima maiastra in marmo bianco. Sicuramente l’artista è molto colpito dal design industriale, la stessa maiastra ne è un esempio, e il già citato uccello nello spazio può essere visto come una rivisitazione della famosa elica vista con Leger e Duchamp, ma nonostante questo nel suo studio non c’è traccia di forme e oggetti meccanici, piuttosto trae spunto da queste, reinterpretandone le fattezze e le superfici nei vari materiali ma nel suo ambiente non esiste nulla che non sia costruito da lui, tranne gli attrezzi da lavoro (compresa la macchina fotografica) e la radio, smontati e rimontati nelle loro parti essenziali. Come testimonia Man Ray: nello studio di Brancusi << non c’era nulla che fosse uscito da un negozio, neppure mobili e sedie >>11, utilizzava casualmente gli elementi incompiuti del suo lavoro facendoli diventare di volta in volta sedie o tavoli a seconda dell’occorrenza. Altrettanto si evince in un appunto di Sonia Delunay : << “ Ho frequentato Brancusi più assiduamente quando era un vecchio saggio che emanava serenità, fiducia nella vita spirituale e aiutava a vivere quando si era inquieti. Un bel vecchio con uno sguardo vivace, occhi neri pieni di vitalità, capelli bianchi e indosso una salopette bianca. Grande artista, è rimasto grande artigiano con una coscienza professionale esigente eccezionale. Era la sua qualità essenziale. Tutto doveva passare dalle sue mani, da lui solo. Questo aumentava la sua rinomanza ed era il segno distintivo tra gli artisti della sua epoca ” >>12. In tutto questo si può anche rintracciare un lascito del suo retroterra culturale, l’Oltenia alla quale rimane legato indissolubilmente, è una regione rude e agropastorale, situata tra i monti dei Carpazi, dove i contadini e i pastori son soliti costruirsi tutto il necessario, soddisfacendo quell’elementare esigenza estetica che influenza visibilmente i modi e l’arte di Brancusi.
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Note
1
Maria Elena Versari “Constantin Brancusi” in Maria Elena Versari, Alessandro Del
Puppo, Gabriele Fattorini, Aldo Galli, Francesca Petrucci, Sabina Spannocchi, Nico Stringa. Marco Campigli, Alessandro Del Puppo, Aldo Galli a cura di Grandi scultori vol. XIII Roma gruppo editoriale l’espresso 2005 p. 8 2
Ivi p 44
3
Ivi p. 11
4
Ivi p. 12
5
Ivi p.53
6
Beppe Berna “Alle origini del primitivismo, l'arte primitiva ed il suo ruolo ispiratore
dei principali movimenti artistici del nostro secolo” 20 / 5 / 2011 http://www.debberna.it/z.Alle origini del primitivismo.htm 7
M. E. Versari. M.Campigli, A Del Puppo, A. Galli a cura di, op. cit., p 20
8
Ibidem
9
Storia della scultura italiana del ‘900 Torino Unione tipografico editrice torinese
1981 pg 43 – 44 10
M. E. Versari. M.Campigli, A Del Puppo, A. Galli a cura di, op. cit., p19
11
Gabriella Di Milia “Brancusi” Firenze Giunti 2003 p 29
12
Ivi p.24
35
III
RICERCA FORMALE E POETICA
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3.1 FORMA E POETICA: INTRODUZIONE AL CAPITOLO Brancusi dedica tutta la sua esistenza all’arte, trascorre tutte le ore della sua vita nel laboratorio, Frequenta poco i caffè, ma non è un eremita, riceve spesso gli amici nello studio e adopera la stufa bianca con cui fonde i metalli per arrostire le carni durante i banchetti. La semplicità di valori con cui conduce la sua vita è assolutamente coerente con l’incessante ricerca della semplificazione nell’arte. Soleva dire: << “l’arte è la realtà stessa”; “L’arte è trasfigurazione della vita”>>1 Nel capitolo precedente abbiamo visto le influenze e il contesto storico artistico in cui si è formato l’artista dalla Romania a Parigi.
In questo capitolo mi occuperò di un
Brancusi più indipendente e maturo. Con questo non intendo assolutamente dire che prima d’ora fosse soggiogato da questo o quel movimento o da questo o quell’intellettuale o artista. È cosa certa come già accennato in precedenza, il fatto che Brancusi abbia sempre mantenuto una certa autonomia, pur restando sempre alta l’attenzione, secondo i casi e il periodo, ai vari maestri e movimenti, parigini e non, e senza mai nascondere la sua ammirazione per quelli che possono essere considerati i rivoluzionari della scultura nel ventesimo secolo, sopratutto Rodin, e per gli amici e colleghi quali Modigliani, Duchamp etc. . Il periodo che tratteremo ora è considerabile una nuova fase della sua lunga carriera, fase nella quale Brancusi sviluppa una poetica molto originale e spesso incompresa, sintetica e che punta a catturare l’essenza delle cose più che la di loro apparenza. Verrà anche coinvolto in un surreale processo all’arte moderna durante il quale sarà accusato di << “abuso delle forme”>>2 e che contribuirà a riformare l’obsoleta idea d’arte che da sempre hanno le istituzioni. La ricerca dell’essenza delle cose tramite l’interpretazione e l’epurazione delle forme, inizia parallelamente a quella primitivista. Già nella struttura geometrica del bacio del 1907 ispirato da Derain e Gaguin, si riconosce un’essenzialità che, nelle versioni successive si stilizza e si evolve sempre di più, verso una “pulizia” delle superfici e delle forme.
37
Riprende più volte gli stessi temi e le stesse forme studiando i materiali e le superfici. Come si può vedere chiaramente nella serie delle muse dove il processo di sintesi parte dal famoso ritratto della baronessa Renée Frachon e ancor prima dalla testa di bambino addormentato in marmo del 1908 e giunge nel 1916 alla limpida e pura massa ovoidale della scultura per ciechi, e de L’inizio del mondo che possono essere tranquillamente considerate nella loro ripetizione ed’ evoluzione un unica opera, le une la prosecuzione delle altre.
Note
1
G.Di Milia op. cit. p 26
2
http://nettunotsforumnonufficiale.forumcommunity.net/?t=44010421
38
Costantin Brancusi, Musa addormentata (Muse endormie), 1910 bronzo, lung. Cm 27,7. Chicago, The Art Institute of Chicago, Artur Jerome Eddy Memorial Collection.
39
Costantin Brancusi, Mademoiselle Pogany , 1913, bronzo lucidato e patinatoin nero, h cm 43,8, New York, The Museum of Modern Art.
40
Costantin Brancusi, Uccello nello spazio (Oiseau dans lâ&#x20AC;&#x2122;espace), 1932 â&#x20AC;&#x201C; 1940, ottone lucidato, h. cm 137,7 41
Costantin Brancusi, Socrate 1922 circa, Parigi, Musée National d’Art
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3.2 FORMA E POETICA Come già accennato precedentemente il Bacio del 1907 può essere considerato una prima svolta nell’affermazione di una poetica personale e personalizzata di Brancusi. Prima di tutto in quanto affrancava l’artista, in misura anche maggiore di preghiera, dall’accademia e da Rodin, e seppur l’opera si può far derivare dall’esempio di Gaguin, Derain o Picasso, l’artista rumeno fornisce una sua personale interpretazione di primitivismo. A differenza di questi grandi pionieri dell’arte moderna Brancusi non è coinvolto dal cosiddetto “mito del buon selvaggio”, come invece lo è sicuramente Gaguin, (mito a cui quest’ultimo deve molto). Il concetto di primitivismo di Brancusi, ha come riferimento l’arte arcaica, l’antico Egitto e l’India, Propone una sua alternativa al realismo occidentale, e lo fa in una maniera molto personale. Mentre scolpisce Il bacio, non guarda i modelli africani, come invece fa sicuramente Picasso che in quello stesso anno scolpisce figura in piedi, il modo di Brancusi si può ricondurre anche al suo essere stato artigiano, tant’è che di quest’opera è facile notare nell’elemento ripetuto dei capelli, i motivi intagliati nei portoni, colonne e porticati delle architetture lignee popolari rumene, ma soprattutto è la sua smania di semplificare il linguaggio e di raggiungere l’essenza delle cose attraverso l’essenzialità della forma e della composizione che lo distingue e che lo porta a far evolvere quest’opera. Analizzando il successivo bacio del 1916, anch’esso in pietra calcarea, si evince che il lavoro pur rimanendo sempre inscritto in un parallelepipedo come il precedente, rispetto a questo mostra una geometria più netta e squadrata, ed è visibile una forte differenza nel trattamento delle superfici, che sono considerevolmente più piatte e levigate delle due relative opere che lo precedono, le braccia diventano come due nastri appiattiti e paralleli che terminano con la fine incisione delle dita, anche capelli e occhi sono risolti come delle incisioni lineari e regolari, più simboliche che naturalistiche. Il bacio è dunque da considerarsi la ricerca di un nuovo linguaggio simbolico, estraneo alla tradizione naturalistica, l’artista vuole indagare a fondo la natura evitando le 43
apparenze. << “Capii quanto sia lontana dalla vera essenza l’immagine esteriore delle forme di due persone. Quanto distanti siano queste statue dall’evento grandioso della loro nascita, della loro felicità e tragedia. Esse non dicono nulla della nobiltà della vita e della morte” >> 1 versari pg15-16 Brancusi pronunciò queste parole osservando i modelli forniti dall’accademismo riguardo il tema del bacio. Nella versione del 1909, (ora al Craiova, Muzeul de Artà ), dovendo rielaborare la scultura de Il bacio per un monumento funebre a una ragazza suicidatasi per amore realizzò le due figure sempre una di fronte all’altra, l’opera è quasi immutata ma i due giovani sono realizzati a figura intera e con le gambe che intrecciandosi formavano la lettera M che stava per morte. E volendo dedicare quest’opera a tutte le coppie che si sono amate e all’amore come valore eterno che vince sulla morte commentò: << “Avevo voluto creare qualcosa che raccontasse non di quella sola, ma di tutte le coppie che sulla terra si sono amate e che questa terra hanno lasciato. Perché ogni mia scultura ha la sua ragion d’essere in un’esperienza vissuta.” >>2 versari pg61 Brancusi va in una direzione decisamente alternativa rispetto i suoi contemporanei, ha diversi intenti, e infatti non confluirà mai nel cubismo, come nonostante tutto poteva far prevedere questa scultura, e il suo percorso divergerà sensibilmente portandolo di li a poco, nello stesso anno, a intraprendere la serie delle muse, ma ricorderà sempre l’esperienza del bacio come la sua personale <<via di Damasco>>.3 La prima musa addormentata è del 1909 -1910, ma Il percorso che porta alla realizzazione di questa serie in continua evoluzione, inizia all’incirca nel 1906-1907 con la testa di bambino addormentato, realizzata in diverse versioni e materiali, e nel quale è ancora visibilissimo il legame sia con Rodin che con Medardo Rosso. Il punto focale di questo studio è l’efficace isolamento di una parte anatomica trattata come elemento autonomo, che preannuncia i successivi e più noti lavori che trattano il tema del sonno e delle muse. É il primo lavoro che si rivolge al tema del sonno, ma La sua particolarità rimane appunto l’espressività della “mutilazione”, ereditata dallo stesso Rodin al quale Brancusi in quell’anno presta servizio come assistente. In testa di bambino addormentato La resa fisiognomica è ancora piuttosto naturalistica, lo è anche nel 44
successivo e omonimo marmo, e ancor più nel marmo de Il sonno, anche se in quest’ultimo lascia volutamente metà viso in un michelangiolesco non finito dal quale emerge una parte levigatissima, il viso sembra immerso in una materia indefinita che rende efficacemente la sensazione di torpore. Di qui a poco concepirà la prima musa addormentata che con il suo isolamento simbolico e metafisico si può pacatamente associare a Il pensiero di Rodin del 1893 – 1895, l’opera del maestro francese consiste in un blocco di marmo lasciato grezzo, dal quale emerge in contrasto una testa di donna ben rifinita, l’assenza del corpo o di qualsiasi altro elemento naturalistico isola la testa pensante decontestualizzandola e concentrando l’attenzione di chi osserva sul concetto di mente e di pensiero, allo stesso modo Brancusi isola la testa della musa da qualsiasi contesto atto ad indicare un qualsiasi luogo fisico naturalistico, immergendo l’opera in una dimensione onirica, semplifica l’anatomia sintetizzando i lineamenti del volto, che invece in Rodin parlano ancora con il linguaggio della mimesi, e della fedeltà ai dati più esteriori dell’essere umano. Brancusi raccoglie la sfida di Rodin e la fa sua, ripulisce l’opera proprio da quelle caratteristiche troppo antropomorfe che impediscono di andare oltre, di varcare la soglia delle apparenze per concentrarsi su ciò che non si vede e che in definitiva è la vera essenza delle cose, la musa di Brancusi non è una testa pensante, ma piuttosto una riflessione sul sonno, momento in cui l’uomo esce dal mondo reale, per entrare in un momento estraniante, un momento in cui la visione naturalistica del mondo viene meno. non è un ritratto, ma una rappresentazione dell’essere umano chiuso silenziosamente in se stesso, abbandonato ad’una serena estasi sensoriale. Da questo punto di vista non si può non far riferimento alle teste dei Budda, ai molti pezzi d’arte orientale esposti nei musei del Louvre e Guimet che l’artista in quegli anni frequenta abitualmente, molto interessato al linguaggio formale e alla sintesi stilistica di quelle sculture che si presentano come ibridi culturali tra l’arte ellenistica e l’arte orientale, si può anche facilmente notare l’analogia tra i lineamenti delle teste dei Budda li esposte e le linee taglienti dell’arco sopraciliare, prima nel ritratto della baronessa R. F. poi in tutte le muse a venire. In tutte le versioni di musa addormentata si può chiaramente notare il contrasto della ruvidezza non finita della capigliatura con la superficie liscissima del volto. Secondo
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Margit Rowell4Brancusi utilizza il non finito in alcune zone, per suggerire l’effetto frammento archeologico, riscontrabile anche nel già citato frammento di torso, anch’esso del 1909-1910, e di conseguenza dare l’impressione di un oggetto temporalmente decontestualizzato. Allo stesso tempo dà l’impressione di una materia in formazione che va definendosi, dal ruvido della testa al finemente levigato dei tratti del volto in una rappresentazione cosmogonica dell’essere vivente e della creazione legata ai miti religiosi, un linguaggio concettuale e formale che nella sua semplicità unisce tutte le culture. Dal marmo originale Brancusi tirò ben cinque versioni in bronzo nel 1910, e questo non solo perché l’opera ebbe un successo straordinario sia in Europa che negli Stati Uniti, ma soprattutto perché era l’artista a voler ripetere l’esperienza e far evolvere l’opera. Effettivamente tutta la numerosa serie delle muse potrebbe facilmente essere inquadrata in unica opera in continua evoluzione, Brancusi sa quando inizia il lavoro ma non sa come, quando e se finirà. Così, mentre Duchamp riflette sul movimento studiando da vicino la pittura futurista esposta quell’anno a Parigi, Brancusi continua la sua ricerca sulle figure del mito, pertanto nel 1911 vedrà la luce il prometeo. che pare la prosecuzione naturale della serie delle muse, differisce da queste per un livello più alto di astrazione, di sintesi e di innaturalezza. Nell’analizzare l’opera è importante soffermarsi sulla posizione della testa, che presenta una forte torsione indicata dal particolare del moncone del collo, accentuata dalla ormai consueta posizione orizzontale adagiata su un fianco, ricorda fortemente il contorcimento di Tormento II del 1907, a sua volta tratto dal Laocoonte. Tutti questi fattori confluiscono in una sfera quasi perfetta che racchiude l’opera in una muta eterna sofferenza, ma nonostante questo il patetismo è fortemente attenuato, i volumi sono trattati con estrema dolcezza, e la superficie gradevolmente liscia, interrotta solo dalla ‘ferita’, leggermente ma visibilmente più profonda, che indica la bocca. Nelle successive versioni, in bronzo e in cemento, la bocca sparirà completamene, rendendo il lavoro più sintetico e omogeneo.
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Lo scultore, rimase affascinato dalla leggenda dell’eroe che rubò il fuoco agli dei per donarlo agli uomini, e si cimentò in quest’opera realizzandone diversi esemplari. Il mito narra che il protagonista, Prometeo figlio di Giapeto il titano, dopo aver affrontato l’immane impresa sfidando le proibizioni divine in favore dei mortali, venne condannato da Zeus re degli dei al supplizio eterno, legato a una rupe e divorato nel fegato da un avvoltoio per sempre, ogni notte il fegato gli sarebbe ricresciuto e ogni mattina sarebbe riiniziata la tortura. Probabilmente Brancusi si appassionò al tema dopo aver letto la versione di Goethe, divenuta simbolo della lotta dell’umanità contro l’oscurantismo, e già celebre nell’ottocento, il testo gli fu donato dalla pittrice e sua personale modella e ispiratrice Margit Pogany, la donna che ispirò uno dei suoi più celebri capolavori. Il suo ritratto appunto, di cui si hanno diciassette versioni 1912 – 1933 in vari materiali, marmo, marmo bianco, in particolare una in bronzo del 1913 con delle interessanti patinature nere che ne accentuano le linee degli occhi, e le parti non lucide, come i capelli e la superficie materica che indica il taglio delle braccia. << “ sono contenta che mi abbia riservato il bronzo: mi piace ancor più del marmo. I tocchi di colore che ha aggiunto ne accentuano l’effetto selvaggio e insieme arcaico, pur rendendolo al tempo stesso più naturale ” Margit Pogany >> 5. L’artista si sofferma sulla disposizione delle braccia, le addossa al corpo come fece poco prima con Una Musa, anch’essa del 1912, e in precedenza con preghiera, del 1907. In Una Musa la composizione e più frontale e la testa del soggetto è adagiata sulla mano, in Mademoiselle Pogany invece l’artista dà una nuova interpretazione, dando un senso di ascesa a spirale della composizione. Da una testimonianza diretta della stessa Margit Pogany riguardo il suddetto ritratto si può captare il modus operandi di Brancusi, che fa posare la modella per numerose volte, modellando continuamente diversi busti senza mai trasformare la creta in niente di concreto, questo esercizio serviva allo scultore per assimilare i particolari e gli elementi formali che poi mentalmente selezionava, trasformava e distribuiva nella composizione. Di quest’opera disse Hans Jean Arp: << “ La signora Pogany è la favolosa nonna della scultura astratta” >>,6 ma Brancusi non cerca l’astrattismo, L’arte di Brancusi passa da 47
una fase antinaturalistica e antiromantica verso una stilizzazione delle forme, tramite una ricerca interiore che si estrinseca nei volumi conchiusi, tenta di arrivare al nucleo interiore, originario, contemporaneamente ideale e concreto, non cerca nemmeno la forma, pura, procede verso la semplicità, e la raggiunge attraverso la progressiva eliminazione degli accessori inconsistenti, Una 'sintesi sensoriale' che colpisce e coinvolge emozionalmente l'osservatore . A riguardo disse l’artista stesso << “La semplicità non è un fine dell’arte ma si arriva alla semplicità malgrado se stessi avvicinandosi al senso reale delle cose. – ti devi nutrire della sua assenza per comprenderne il valore” >>7. << “Non cerco mai quella che chiamano forma pura o astratta”>>8 La continua evoluzione del tema delle teste, attraverso le varie muse e Danaidi sposterà continuamente il limite del dato oggettivo, portando l’artista all’estrema sintesi, con l’estrema forma ovoidale che racchiude tutte le precedenti, Scultura per ciechi 1916-1920. Nella seconda versione del 1926 fu ribattezzata musa addormentata - scultura per ciechi, a sottolinearne la provenienza stilistica e concettuale, e il legame con le precedenti. Fu esposta nel 1917 a New York, come un 'opera tattile', all’interno di un sacco con due fori per le mani attraverso i quali si poteva fruire della scultura senza guardarla, utilizzando esclusivamente il senso del tatto. Nel titolo si può leggere anche una fine polemica nei riguardi dell’arte tradizionale, alludendo alla simbolica cecità di chi non vede oltre il dato oggettivo esterno. L’evoluzione di quest’opera si placa con l’ovoidale opera in bronzo lucidato del 1924 dal titolo l’inizio del mondo, è un opera limite nella sintesi, e che rimanda esplicitamente al tema cosmogonico di cui l’artista ha sempre parlato indirettamente, è un oggetto che racchiude in se una certa sacralità, Brancusi stesso non ha mi nascosto il suo intento mistico nel realizzare questi “oggetti di meditazione”, è una forma che racchiude in sé tutte le forme, è una sintesi di tutti gli studi sulla forma realizzati nel corso della sua vita. A proposito di quest’opera disse Ezra Pound << “non so con quale perifrasi metaforica potrei spiegare la relazione di questi ovoidi con il resto della scultura di Brancusi. Ad interim possiamo apporvi l’etichetta di chiavi base al mondo della forma – non al suo mondo della forma ma a tutto ciò che egli ha scoperto del mondo della
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forma” >>9. L’artista stesso disse: << “Cerco la forma in tutto quel che intraprendo, per risolvere il difficile e folle problema dell’ottenere tutte le forme in una sola … Credo che una forma vera debba suggerire l’infinito. Le superfici dovrebbero sembrare come se partissero dalla massa verso un’esistenza perfetta, completa” >> 10. Un altro tema molto caro a Brancusi e che lo coinvolgerà in un impresa simile a quella appena descritta delle muse è il tema degli uccelli, o meglio del volo, è possibile rintracciare l’inizio di questa evoluzione a partire dal 1910 – 1912 con le prime Maiastra, il tema poi apparentemente abbandonato, verrà ripreso a distanza ne1 1919 con l’opera L’oiseau jaune - Uccello Giallo, sempre attorno agli anni ’20 realizza L’oiseau d’or ossia L’uccello d’oro, e nel 1924 concepirà quella che è senza dubbio una delle sue opere più importanti e famose, Oiseau dans l’espace - Uccello nello spazio. Lo sviluppo del tema del volo è dei volatili è cruciale nella carriera dell’ artista, egli stesso affermò: << “il volo ha occupato tutta la mia vita” >>11. La maiastra, il cui nome completo in lingua rumena è Pasarea Maiastra, ossia uccello meraviglioso, è un animale fantastico presente in numerose fiabe popolari della Romania, assiste l’eroe nelle sue imprese, e solo un principe di sangue reale può catturarlo o ferirlo, trasformandolo così in una bellissima fanciulla. L’artista che in questo periodo scolpisce anche prometeo e alcune muse, è piuttosto interessato dalle tematiche mitologiche, in maiastra cerca forse di rappresentare il soggetto intento in una sua trasformazione, come si potrebbe intuire dallo sforzo, dalla posizione impettita con la testa alta e il lungo collo che sembra dare un certo slancio verso l’alto.<< “Ho voluto che la Maiastra drizzasse la testa senza tuttavia esprimere con questo movimento la fierezza, l’orgoglio o la sfida. Fu il problema più difficile e solo dopo un lungo sforzo sono riuscito a rendere questo movimento integrato allo slancio del volo” >>12. molti critici hanno voluto rintracciare, nella singolare conformazione di Maiastra, una similitudine con la tipica rappresentazione egizia del dio - falco Orus, in particolare nella forma bombata del petto e nella diversa dimensione del occhio destro rispetto al sinistro, che rimane una costante anche in tutte le versioni successive, ( gli occhi di Orus nella mitologia egizia rappresentano il sole e la luna). La ricerca in quest’opera è sia formale che concettuale, oltre ad essere uno studio sulla tematica del 49
volo e dell’ uccello è sopratutto un ragionamento sulle forme dell’ arte arcaica rapportate all’arte moderna, questo è almeno quanto si può dedurre dalla prima Maiastra (1910 – 1912 ) in marmo, eretta sopra un basamento molto particolare, suddiviso in tre parti a partire da un imponente blocco geometrico in pietra, sul quale è collocata un’altra scultura appena abbozzata che raffigura due amanti nell’atto di baciarsi, (molto probabilmente con riferimento ai protagonisti del mito sopra descritto), al di sopra di questi, sopra un altro blocco di pietra più piccolo, si erge la Maiastra che sovrasta tutta la composizione e dall’alto protegge la coppia, mentre sembra lanciare un urlo di vittoria al cielo. nel racconto implicito alla composizione, si può scorgere una metafora che indica nella base in pietra un riferimento all’arte arcaica, che pur decrepita sorregge le forme dell’arte moderna, in un magistrale dialogo tra linee geometriche ed elementi organici e tra finito e grezzo. Nell’evolversi delle successive versioni verrà accentuato il fattore dello slancio e del volo, con forme sempre più affusolate e proporzioni più eleganti rafforzate dallo slancio del collo. È molto interessante la sintesi e la semplicità del risultato rispetto alla complessità del concetto elaborato, le forme sono quasi industriali, la superficie polita, sia nella versione in marmo che in quella in ottone lucidato, accosta spigoli geometricamente perfetti a forme tondeggianti, Ma rispetto ai successivi uccelli sono ancora individuabili tutte le principali caratteristiche anatomiche dell’animale, punti di riferimento che vengono già a mancare nel successivo L’uccello giallo e L’uccello d’oro, e poi ne L’uccellino. Queste opere sono tre importanti passi nella progressione verso un astrazione formale, una compattezza e un’aerodinamicità che sono a un passo dalla ‘soluzione finale’ che verrà con Uccello nello spazio. Questo, con la sua conformazione estremamente minimalista può dirsi una sintesi di tutti i relativi precedenti, così come lo è L’inizio del mondo per la saga delle muse. È un uccello Privo di caratteristiche che lo possano identificare come tale, in quanto ogni riferimento troppo mimetico ostacolerebbero quello che è il vero intento di Brancusi, ossia rappresentare il volo, o meglio in questo caso, l’attimo nel quale l’animale si lancia verso il cielo, ha una forma così sfuggente che sembra schizzare verso l’alto per poi dissolversi nella luce creata dai riflessi della sua stessa superficie levigatissima,
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specchiante. È questa forse per lui l’opera più importante, capace di racchiudere in sé tutto il suo percorso precedente, la riprende numerose volte, (ne sono stati identificati 16 esemplari databili tra il 1923 e il 1940), egli gli attribuiva una tale importanza da sostenere: << “la sua realizzazione ideale, dovrebbe essere un ingrandimento tale da riempire la volta celeste” >>13 L’opera ha avuto grande risonanza anche in quanto posta al centro di un surreale dibattito in tribunale, dibattito che si potrebbe definire un processo nei confronti dell’arte moderna. Tutto ha inizio con il culmine di un viaggio da Parigi a New York per trasportare delle opere da esporre alla Brummer Gallery, (compito affidato all’amico Marcel Duchamp). All’arrivo del piroscafo al porto statunitense Duchamp viene fermato da uno zelante doganiere che gli intima di pagare quattromila dollari, ovvero il corrispondente della tassa imposta su un qualsiasi materiale importato a scopo commerciale, ( il solo Uccello nello spazio, che dopo la contesa sarà acquistato da Steichen, deve corrispondere un imposta allora considerata esorbitante pari a duecentoquaranta dollari). L’opera d’arte di Brancusi viene trattata dall’impiegato come facente parte di una serie di manufatti identici, ideati a scopo commerciale, di conseguenza considera le varie versioni di Uccello tutte eguali, e le classifica come kitchen utensils, non riusciendo a vederci l'essenza del volo descritta dall’artista e di conseguenza rifiutandosi di applicare l'esenzione fiscale (duty free) relativa alle opere d'arte. Duchamp si ribellò a tale mancanza e Brancusi intentò causa al governo degli Stati Uniti, il processo durò due anni, deposero a favore di Brâncuşi: il fotografo Edward Steichen, lo scultore Jacob Epstein, l'editore della rivista The Arts Forbes Watson, l'editore di Vanity Fair Frank Crowninshield, il direttore del Brooklyn Museum of Art William Henry Fox ed il critico d'arte Henry McBride. Il punto cruciale di questo processo all’arte è che le istituzioni così come l’opinione pubblica hanno un concetto di arte che non riesce a staccarsi dalla nozione di imitazione e mimesi, e da questo punto di vista Brancusi lascia decisamente troppo all’immaginazione, risultando la sua interpretazione di realtà incomprensibile ai molti. Difatti l’istituzione doganale difende l'operato del proprio funzionario, appellandosi ad un precedente giudiziario: il caso Stati Uniti contro Olivotti del 1916, dove si era riconosciuta la qualifica di "opera d'arte" solo a quei manufatti che sono "imitations of natural objects" (imitazioni di oggetti della natura). A questo proposito, è chiara la 51
posizione della corte in questo estratto del processo: Il giudice Waite chiede a Steichen «Lei come lo chiama questo?», e Steichen risponde: «Lo chiamo come lo chiama lo scultore, oiseau, cioè uccello». Waite continua: «Come fa a dire che si tratti di un uccello se non gli somiglia?», e Steichen: «Non dico che è un uccello, dico che mi sembra un uccello, così come lo ha stilizzato e chiamato l'artista».Waite incalza: «E solo perché egli (l'artista) lo ha chiamato uccello, questo le fa dire che è un uccello?» Steichen: «Si, vostro Onore». Ma Waite insiste: «Se lei lo avesse visto per strada, lo avrebbe chiamato uccello? Se lo avesse visto nella foresta, gli avrebbe sparato?» e Steichen: «No, vostro Onore»14. Una parte dei testimoni di Brâncuşi afferma che uccello nello spazio è effettivamente la rappresentazione (ideale) di un uccello, un’altra parte si ostina a ripetere che il nome dato all'opera non è importante quanto le proporzioni armoniose e la bella manifattura, di contro gli accusatori definiscono l’opera [ (troppo astratta), un <<abuso delle forme>>. 15. Il processo si conclude a favore di Brancusi, e il 26 Novembre 1928 il tribunale assolve l’artista esonerandolo dal pagamento del dazio e ammettendo che Uccello nello spazio è di fatto un opera d’arte. Negli atti relativi alla sentenza si legge: «L'oggetto considerato... è bello e dal profilo simmetrico, e se qualche difficoltà può esserci ad associarlo ad un uccello, tuttavia è piacevole da guardare e molto decorativo, ed è inoltre evidente che si tratti di una produzione originale di uno scultore professionale... accogliamo il reclamo e stabiliamo che l'oggetto sia duty free». Steichen affermò dopo il processo: «Bird in Space è stato il miglior testimone di sé stesso. È stato l'unica cosa che fosse chiara alla Corte: splendeva come un gioiello».16].Da questa controversia possiamo comprendere quanto l’arte non mimetica di Brancusi sia paradossalmente una rappresentazione tanto semplificata da risultare incomprensibile agli occhi di molti, e come la massa e le istituzioni rimangano aggrappati a una concezione di piacere che non vuole andare oltre il ‘bello rassicurante’ della rappresentazione fedele, e anche quando si decide ad ammettere, seppur a malincuore, che un oggetto stilizzato come Uccello nello spazio è un opera d’arte, si sente in dovere di giustificare questa decisione appellandosi alle qualità 52
decorative dell’oggetto, alla simmetria e alle ‘corrette’ proporzioni, le opere di Brancusi hanno queste qualità, ma non può essere questo a fare di un oggetto un opera d’arte, queste caratteristiche sono da considerarsi solo una parte all’interno dell’universo comunicativo di Brancusi, l’intento principe dell’artista, in questo caso, era quello di esprimere la sensazione contemporaneamente fisica, mistica e trascendentale dell’Uccello nel momento in cui questo si stacca dal suolo per spiccare il volo, di conseguenza passano in secondo piano anche tutte le caratteristiche anatomiche atte a identificare l’animale come tale, e sarebbe deviante in questo dialogo dare evidenza alle piume, al becco o alle zampe. Per questo la sintesi rimane un punto fondamentale nella poetica brancusiana. Ne il pesce del 1922 ad esempio, lo scultore seleziona pochi essenziali particolari. Il suo obbiettivo non è rappresentare il pesce in modo che sia riconoscibile e di un bello rassicurante, ma di rendere l’idea del guizzo, come un lampo, di conseguenza non sente assolutamente il bisogno di incidere sulla pietra squame, occhi o particolari che caratterizzano l’animale in senso descrittivo. << “Quando vedete un pesce non pensate alle sue scaglie, vero? Pensate alla sua velocità, al suo corpo sinuoso e luminoso visto attraverso l’acqua. Bene, io ho tentato di esprimere proprio questo. Se avessi fatto le pinne, gli occhi e le scaglie avrei fermato il suo movimento e vi avrei dato un calco o un ombra della realtà. Io voglio invece dare il lampo del suo spirito” >>.17 per far questo Brancusi utilizza una forma semplicissima vagamente ellittica ricavata in una sottile lastra di marmo di poco più di due centimetri, sostenuta su un perno che, quasi miracolosamente, sostiene la lastrina perpendicolarmente su di un vetro di forma circolare. La poetica di Brancusi è estremamente legata alla forma, ma anche al materiale, che viene scelto per il suo valore comunicativo, nel caso de il pesce, la lastrina di marmo è, non a caso venata, la trama di questo materiale rende un idea di movimento, di vaghi riflessi dati dal sole o dall’acqua e il disegno si infittisce sulla testa del pesce, questa è indicata semplicemente con una forma appuntita che indica vagamente anche la direzione presa dall’animale. Il pesce guizza fuori dall’ acqua , questa è evidentemente rappresentata dal vetro orizzontale del basamento che riflette, gioca con la luce e fa prendere vita al pesce immergendolo nei riflessi luminosi. Il senso non esiste a priori nella forma, ma sta nell’evoluzione mentale che 53
trasforma la forma in sensazione, ma anche nella discussione, nel rapporto comunicativo che si instaura tra il comunicante e il ricevente. Disse l’artista: <<“La naturalità in scultura è nel pensiero allegorico, nel simbolo, nella sacralità e nella ricerca dell’essenziale nascosto nel materiale, e non nella riproduzione fotografica delle apparenze esteriori. Lo scultore è un pensatore e non un fotografo delle apparenze instabili, multiformi e contraddittorie”>>18. Anche la visione arcaico-primitivista continuò la sua evoluzione, e dopo le sculture in legno africaniste concepite nel periodo tra il 1913 e il 1916, elabora delle opere che si allontanano dagli esempi più primitivi, e che rifiutando l’immagine mimetica naturalistica delle parti anatomiche, ne indicano degli equivalenti simbolici. In Socrate 1921 - 1922 per esempio, l’artista mima la bocca gli occhi e la mente con dei fori che attraversano di parte in parte l’opera, in realtà rappresentando la bocca in quel modo vuole rappresentare il concetto di orazione, e con il foro superiore indica il concetto di apertura mentale, spiegando l’opera l’artista commentò: << “L’universo intero lo attraversa. Nulla sfugge al grande pensatore. Sa, vede, comprende tutto. Ha gli occhi nelle orecchie e le orecchie negli occhi” >>19 L’arte di Brancusi non sta nella rappresentazione mimetica del visibile, non vuole rappresentare le cose per come si vedono esteriormente, ma opera una rappresentazione del significato più profondo dell’ oggetto in discussione, andando oltre le apparenze, separando l’apparenza dalla verità, e tramite una sintesi, una selezione che diventerà sempre più estrema e minimale, punta dritto al significato intrinseco e nascosto dell’impressione. <<Chi parla di astrazione guardando una mia scultura è completamente fuori strada e dimostra di non capire niente ne ora ne mai. Poichè quello a cui mira il mio lavoro è innanzitutto il realismo: il mio scopo è cogliere la realtà segreta, nascosta, la pura essenza degli oggetti nella loro intrinseca natura fondamentale: questa è la mia sola profonda preoccupazione>>.20 In questo contesto Brancusi si rivolge a generi scultorei semplici: la testa, la stele, la cariatide. Lavora con forme solide elementari: l'uovo, la sfera, il cubo i solidi trapezoidali, le combina tra loro e con i diversi materiali. 54
Lo scultore dà notevole importanza ai materiali utilizzati, Sperimenta l'interazione di vari tipi, grezzi e lucidati: pietra, legno, bronzo, ottone, marmo. Le sculture in legno presentano alcune differenze rispetto a quelle in bronzo e marmo, mentre queste ultime risultano lisce ed eleganti, quelle in legno (quasi sempre in legno di quercia), risultano generalmente più rozze e primitive, in qualche modo si possono considerare le più vicine all'anima rumena. L’importanza del legame tra l’opera e la materia con la quale viene concepita quest’ultima, ma anche il legame e il dialogo che l’artista, vuole instaurare con il materiale, è piuttosto chiara in questo estratto, in cui Brancusi stesso sostiene: << “la semplicità fine a se stessa non è più il mio obbiettivo, cerco infatti soltanto di far in modo che il mio pensiero si identifichi con il materiale che ho davanti. Ognuno di essi ha una propria lingua, e il mio scopo non è di sopprimerla per sostituirvi la mia, bensì di riuscire a fargli esprimere nella sua lingua ( il che costituisce di per sé una parte di bello) ciò che penso, ciò che vedo. Così, né il legno, né il marmo sono in alcun modo risultato del caso, ma di un lungo, enorme lavoro, sorretto dallo scrupolo della più assoluta equità” >>21
Note 1
M. E. Versari. M.Campigli, A Del Puppo, A. Galli a cura di, op. cit., pp 15 - 16
2
Ivi p61
3
Ada Masoero, "Brancusi racchiuso in Serra" 17 Agosto 2011
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2011-07-17/brancusi-racchiuso-serra081601.shtml?uuid=AardopoD 4
Rowell di milia pg15
5
M. E. Versari. M.Campigli, A Del Puppo, A. Galli a cura di, op. cit., p 22
6
Ibidem
7
Ivi pg70
55
8
Ivipg35
9
Ivi P 163
10
Mariana Brunel, Brâncuşi "La Tavola del Silenzio… parla”
http://cartesensibili.wordpress.com/2009/05/06/costantino-brancusi-e-la-ricerca-dellaforma-2/ 11
M. E. Versari. M.Campigli, A Del Puppo, A. Galli a cura di, op. cit., p 178.
12
Ivi p. 74.
13
Ivi p.181
14
http://nettunotsforumnonufficiale.forumcommunity.net/?t=44010421.
15
Ibidem.
16
Ibidem
17
M. E. Versari. M.Campigli, A Del Puppo, A. Galli a cura di, op. cit., p 152
18
Ivi p. 182
19
Ivi p.150
20
Kirk Varnedoe Una squisita indifferenza, perché l’arte moderna è moderna, Milano,
Leonardo editore, 1990 p. 256. 21
E. Versari. M.Campigli, A Del Puppo, A. Galli a cura di, op. cit., p 22 - 23
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IV FRAMMENTAZIONE E RIPETIZIONE
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Adamo ed Eva, (Adame et Eve), 1921,legno di castagno e di quercia, h totale cm 238,7, base in pietra calcarea, New York, The Solomon R. Guggenheim Museum 58
Costantin Brancusi nel suo atelier
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4.1 FRAMMENTAZIONE E RIPETIZIONE INTRODUZIONE AL CAPITOLO Nell’ultima fase dell’ottocento le forme acquisiscono una certa importanza e preminenza nella pittura e nella scultura, mentre sembra diventare secondario il contenuto, inteso come la riconoscibilità degli oggetti e delle figure, l’ordine delle scene e la leggibilità della narrazione. Pionieri come Degas o il già citato Rodin forniscono numerosi aspetti innovativi per quanto riguarda la frammentazione della struttura spaziale e della composizione, iniziando un processo di evoluzione della forma che influenzerà gli artisti di tutto il novecento. In pittura Edgar Degas riforma lo spazio, tagliando a metà le figure e le scene, ispirando sicuramente la successiva segmentazione di Piet Mondrian, allo stesso modo la modularità che è latente in Rodin si evolve indipendentemente dal contenuto, e diventa evidente in Brancusi. La maniera in cui Rodin riutilizza gli stessi gessi della medesima figura per formare il gruppo scultoreo delle ombre, oppure la ripetizione ne, I borghesi di Calais sono sintomi di una rivoluzione della forma che porterà ad’una sintesi degli elementi, una sintesi che tralascia quelle che sono le esteriorità del soggetto o dello spazio rappresentato cercando invece di guadagnare la sostanza nascosta delle cose. I primi esponenti dell’ arte moderna tra cui Mondrian e lo stesso Brancusi [sostenevano che le forme purificate dell’arte del XXsecolo esprimono un elevato idealismo, poiché catturano l’essenza del mondo anziché occuparsi delle apparenze illusorie],1. A suo modo Brancusi Sviluppa l’idea della frammentazione, concependo un inedito rapporto tra il basamento e l’opera principale, tra l’oggetto e il suo sostegno, facendo diventare quest’ultimo un’opera a se stante. Frammenta l’opera in basamento e scultura, poi eleva il supporto a parte integrante dell'opera, quest’ultimo contribuisce con la sua massa, la sua forma e il suo colore a sprigionare la tensione e l'energia 60
racchiusa nella forma che vi appoggia. Il basamento a questo punto pretende la sua autonomia e l’opera diventa una scultura composta, una sorta di gruppo scultoreo che si estende in verticale con potente aria totemica, una doppia o tripla scultura in cui gli elementi possono essere invertiti dall’autore un numero imprecisato di volte, il piedistallo perciò non è da considerarsi assolutamente un aspetto secondario nella scultura di Brancusi, in quanto è evidente come esso non funga da semplice supporto ma sia egli stesso un opera d’arte, che l’artista compone e scompone, accoppia con diverse sculture e con diversi basamenti, in base a forme, dimensioni, tipo di superficie e colore dei materiali, ripetendo e frammentando il gruppo di oggetti, sovvertendo le gerarchie più e più volte, fino a realizzare l’enorme serie di moduli che compongono la colonna infinita.
Note 1
Kirk Varnedoe Una squisita indifferenza, perché l’arte moderna è moderna, Milano,
Leonardo editore, 1990 p. 103
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4.2 IL BASAMENTO, I GRUPPI MOBILI, MODULO E RIPETIZIONE la sperimentazione in Brancusi tocca anche aspetti complessi, come la combinazione di elementi diversi, o la moltiplicazione di una forma modulare, la sovrapposizione di una forma principale a una secondaria. In questo contesto Brancusi crea dei basamenti che come tali dovrebbero sorreggere una scultura che è situata fisicamente e gerarchicamente al di sopra di questa, ma l’artista facendoli evolvere, da loro un prestigio che mai prima d’ora gli era stato conferito, e nel tempo anche questi inizieranno a pretendere il loro status di opere a se stanti. I supporti divengono sculture autonome, e a volte i basamenti si sovrappongono ad altri basamenti che dialogano con l’opera che sta sopra o sotto di loro, come nel caso de Il gallo del 1935, sovrapposto a una base in pietra che sorge a sua volta su una base in legno, è lampante in quest’opera come i due basamenti non abbiano funzione di sostegno, ma siano una continuazione della scultura, o meglio come la scultura sia il proseguimento dei due basamenti - scultura sottostanti. Le tre opere hanno un profilo ritmicamente seghettato, che si ripete modularmente lungo tutto il gruppo scultoreo, con questo l’artista intende alludere vagamente anche alla cresta, o come sottolineava l’artista e amico di Brancusi Jean Arp, alla forma che prende il collo dell’animale intento ad annunciare l’alba con il suo verso caratteristico, << “ Il gallo cantava chicchirichì e ogni suo suono faceva uno zig o uno zag nel suo collo, Questo gallo sega il giorno dell’albero della luce” ” >>1, ma soprattutto la forma zigzagante ripetuta allude al suono vibrante e ascendente emesso dall’animale che canta, lo zoccolo in legno che sta al di sotto di tutta la composizione è di grandi dimensioni, gli elementi spigolosi sono massicci e più spaziati tra loro, la base in pietra soprastante questa è più minuta e con gli spigoli più stretti, in questo modo l’artista crea l’equivalente visivo di una scala armonica, che sale stringendosi fino a concludersi con lo splendente Gallo che si protende verso l’alto a chiudere la composizione con un acuto lanciato al cielo. È un opera simbolo e un omaggio al paese che lo ospita, tant’è che successivamente, negli anni trenta, ne concepirà una serie di dimensioni monumentali, Il gallo difatti è l’emblema della Francia, e Brancusi concepisce la prima versione di quest’opera in un clima post 62
bellico di rinascita nazionale, l’opera che avvia la serie e della quale rimangono solo alcune fotografie, fu realizzata in legno e si intitolava appunto Gallo francese. Nel 1923 lo scultore ne crea una versione più grande in argilla, e nel 1924, un’altra versione in legno che verrà trasformata a sua volta in basamento. A subire la stessa sorte sarà anche Cariatide, come accennato prima gli accostamenti nei lavori di Brancusi non escludono che sculture vengano accoppiate con altre sculture, e non si esclude nemmeno che una scultura possa diventare basamento e viceversa. Ad accompagnare Il gallo, anche se temporaneamente, sarà proprio Cariatide. Quest’opera inizialmente molto alta fu venduta a John Quinn, e presentata come scultura a se stante anche alla Sculptor’s Gallery nel 1922, ma nel 1926 dopo essere stata accorciata di sessanta centimetri perse la sua allusività antropomorfa, diventando ideale per sostenere Il gallo, esposto quell’anno alla Brummer Gallery e inizialmente sistemato su un semplice cilindro. Anche in Cariatide è visibile una ritmica ripetizione, ( anche se meno accentuata che ne Il gallo ), nelle scanalature orizzontali che si giocano in contrapposizione a quelle verticali e nel contrasto tra pieni e vuoti, spazi lisci e frastagliati. L’opera è ricavata molto probabilmente da vecchie travi di un edificio in demolizione nel quale l’artista veniva spesso visto a recuperare il legno di quercia, vista anche la difficoltà nel reperire materiale nel periodo bellico. Il primo basamento, concepito dall’artista come tale, è considerato il complesso piedistallo che sorregge la Maiastra del ( 1910 – 1912 ), mentre il secondo sostiene l’omonima opera del ( 1915 ). Cariatide è invece considerata il terzo. Il basamento è per definizione un oggetto separato dalla scultura che le sta sopra, che la innalza e la separa, creando un distacco fisico è concettuale dell’opera d’arte dal terreno e dal fruitore dell’opera, un simbolico spazio di rispetto che storicamente e per comune convinzione contraddistingue l’opera d’arte da un qualsiasi oggetto artigianale o industriale, per Brancusi il basamento serviva anche a distaccare l’oggetto artistico da un contesto banale e dargliene uno più adatto, personalizzato, ponendolo anche ad un’ altezza adeguata di volta in volta al soggetto raffigurato, e che allo stesso tempo facesse partire l’opera d’arte da terra. Brancusi decide che l’oggetto scultoreo deve partire dal terreno, ma piuttosto che eliminare il basamento destituendo la scultura dal 63
rango di oggetto superiore agli altri, preferisce innalzare questo a opera d’arte in se autonoma, è a questo punto quindi che i suoi basamenti iniziano a trasformarsi diventando parte portante della scultura stessa, ed essi stessi opere a se stanti. Questo ragionamento deriva probabilmente dalla concezione di opera d’arte come oggetto, la scultura è un oggetto molto particolare, ma pur sempre un oggetto, Brancusi a Parigi trova terreno fertile per l’elaborazione del problema, ed elabora una soluzione parallelamente alla questione della forma. A differenza di Marcel Duchamp, che affermava che qualsiasi oggetto fabbricato poteva essere definito un’opera d’arte, egli concluse che la forza doveva venire dalla forma, scaturire dalla configurazione dell’ oggetto stesso. Duchamp parte con un bagaglio differente rispetto all’artista rumeno, e pur muovendo dallo stesso problema va in direzione completamente diversa, approdando appunto al ready made. Brancusi viene invece dall’est Europa, dove imperversa il culto ortodosso e di conseguenza il culto dell’icona religiosa, contesto nel quale è annoso il problema della forma e dell’ oggetto estetico, un contesto culturale nel quale la rappresentazione più mimetica non ha attecchito, lasciando il posto ad una raffigurazione più simbolica, e che ha prodotto oltre allo stesso Brancusi artisti quali Malevič o Tatlin, artisti che sentono particolarmente il problema dell’oggetto estetico e della forma . Le icone russe rifiutano la prospettiva lineare in polemica contro le seduzioni della vista carnale, in favore di una più spirituale prospettiva rovesciata,2 basata su una visione più simbolica che mimetica, forse è anche per questo che Brancusi pur concependo anche lui la scultura come oggetto mantiene una visione dell’oggetto estetico più mistica e immateriale rispetto Duchamp. La relazione fra i basamenti e l’oggetto che sostengono, è sempre motivata, da una sorta di parentela formale, nonostante questa similitudine tra scultura dominante e sostegno, Brancusi mantiene sempre una gerarchia tra l’oggetto principale e il suo supporto, concettualmente i due elementi si supportano a vicenda, e dialogano tra loro anche per similitudine di forme, ma ognuno dei due oggetti mantiene la sua autonomia, ed effettivamente è anche ben visibile come i basamenti in generale sembrino ispirati da un diverso atteggiamento rispetto alle sculture che sorreggono, un atteggiamento meno spirituale e molto più terreno, un controcanto alle scintillanti 64
superfici polite e lasciate in balia della loro stessa luce riflessa. Spesso questo atteggiamento si riflette nel forte contrasto visibile anche nella lavorazione dei due oggetti, e nel trattamento dei materiali che l’artista lavora, ( sempre stando attento a non snaturarli da quella che è la loro essenza originaria). Tutti i basamenti sono realizzati con la tecnica dell’intaglio diretto e sono sempre in pietra o legno, Brancusi sembra voler creare un vincolo fra opposti, tra materia grezza e levigata, tra curvature organiche e strutture geometriche, in un crescendo di forme che con uno spirito forse derivante dalla sua attenzione per il pensiero e le filosofie orientali, sembrano volersi simbolicamente liberare da una certa condizione materiale verso una più spirituale, dal basso verso l’alto, fare scultura per Brancusi significa compiere un atto che ha in se qualcosa di mistico e di spirituale. Per molti l’idea della scultura è associata a qualcosa di immobile e immutabile, il concetto di gruppo mobile dimostra che per Brancusi è il contrario. Il gruppo mobile Si basa sul concetto di scultura come opera transitoria e stabile, una soluzione temporanea tra tutte le possibili combinazioni, trattenuta da una similitudine formale e concettuale. Sono due valori combinati ognuno dei quali detenente la sua autonomia, spesso non sono realizzati in funzione di una precisa combinazione con un' altra opera, ma ‘si trovano’, come nel caso di Eva, concepita inizialmente pensando a una donna africana, come è deducibile anche dalla conformazione delle labbra molto simili alla negra bianca del 1923 , Eva fu ideata nel 1916 come scultura isolata, da innalzare su una gamba sola come Madame L.R., e abbinata, (come si vede in una foto scattata dallo stesso artista) ad uno zoccolo cilindrico di gesso, si incontrerà con Adamo, suo compagno naturale, nel 1921 <<senza sapere come >>3 , in una utopica fusione di maschile e femminile. Adamo scultura molto simile per conformazione a cariatide ( 1914 ) e probabilmente derivante da questa, ha un carattere che pare essere votato al ruolo di sostegno, è improbabile che sia stato concepito come opera ‘superiore’ piuttosto che come base, e rimane incerta anche una sua possibile autonomia, sembra concepito per stare sotto Eva, [ Anche Henri – Pierre Roché, primo proprietario dell’Adamo ed Eva lo indicò una volta con il nome di Adambase, ad indicare la sua duplice e inscindibile valenza di figura e piedistallo ] 4 Eppure in principio anch’esso, (nel 1920) era presente come scultura autonoma, era più alto e fu accorciato per essere 65
accoppiato con Coppa in legno. In Adamo non esistono elementi che potrebbero far pensare ad’una raffigurazione maschile, la conformazione anatomica è piuttosto limitata, vagamente antropomorfa, molto meno evidente che in Eva, le forme contratte e ripetute sembrano modellate al solo scopo di esprimere lo sforzo fisico dell’uomo – sostegno, senza rimandare a nessuna simbologia sessuale, al contrario di Eva che contiene nelle sue forme tondeggianti un’esplicita valenza simbolica sensuale e una dichiarata femminilità nella forma sferica dei seni e nelle carnose labbra di matrice africanista. In entrambi i due elementi esiste un forte richiamo all’arte negra, una tendenza che lo scultore interpreta magistralmente, indicandola ( come in ragazzina francese ) nelle linee orizzontali che attraversano ripetute come un modulo quello che pare essere il collo di Adamo, e che oltre ad essere un elemento di sicuro carattere tribale africano, rivela anche la discendenza dell’opera dalla precedente cariatide. Modularmente si ripetono anche le spigolosità che corrono per tutta l’altezza di Adamo e che accentuano ancor più il senso di sforzo fisico, l’uomo sembra quasi schiacciato dal peso della donna che si erge libera e slanciata sopra di lui e sopra un ulteriore parallelepipedo che gli fa da base e che si ripete poi nello zoccolo, Eva lo sovrasta e lo contrasta morfologicamente con il ripetersi delle mezze sfere, delle forme tondeggianti che si distinguono nettamente dalle spigolosità dell’Adam - base << “Eva è la fertilità, il fiore che si apre, la pianta che germoglia. Adamo al di sotto, lavora la terra. Pena e suda.” >>5 I gruppi mobili rendono il laboratorio di Brancusi un luogo in continua mutazione, si può definire lo studio stesso un ambiente - scultura, un’ installazione. Oltre alle sculture in corso di lavorazione, si muovono infatti nello studio anche le sculture “finite”, cambiano basamenti, vanno a far parte di diversi “groupe mobile”, quasi famigliole di sculture che possono presentarsi in diverse composizioni, e rivelare, per confronto, i caratteri nuovi di ciascuna scultura. È forse proprio il suo vedere il laboratorio come ambiente scultoreo, che porta Brancusi a elaborare il concetto di gruppo mobile, lo studio è un luogo dove non può 66
entrare nessun oggetto che contamini la sua opera, niente che non sia passato per le sue mani, un luogo dove le sculture nascono, si accoppiano, crescono e si riducono, si invertono, risalgono e discendono le gerarchie. Uno spazio - installazione che è un opera a se e in continua mutazione, come ci mostra l’artista stesso con le numerose fotografie che sembrano voler documentare alcuni momenti transitori e le fortuite combinazioni della vita del laboratorio. Un luogo popolato da personaggi e oggetti emblematici, con i quali l’artista crea delle situazioni e racconta delle storie. Alcune sculture vengono riutilizzate in diverse composizioni, si muovono associandosi a diversi partner in base alla situazione creata dall’artista, e in base a questa cambiano anche di significato. La scultura denominata Coppa o Tazza è riutilizzata ad esempio nel gruppo mobile Il bambino nel mondo,( composto da Tazza, Ragazzina francese, e una Colonna senza fine), dove Tazza pare rappresentare un oggetto, forse pericoloso per la protagonista, posto troppo in alto per la bambina che si muove in un mondo esageratamente grande per lei. La scultura della Tazza, della quale esistono tre versioni, è nata come simbolo di unione tra il primordiale e il contemporaneo, in quanto molto probabilmente è uno dei primi utensili tra quelli inventati dagli esseri umani, un oggetto ancestrale che accompagna l’uomo da sempre. L’opera è concepita all’interno di una serie di oggetti insoliti, creati parallelamente alla serie di opere in legno che inizia nel 1913 con Il primo passo. È un oggetto di carattere ironico e giocoso, un contenitore che non si può riempire perché pieno lo è da sempre, e poggia con equilibrio instabile a causa della sua forma tondeggiante. Il destino di questo insolito oggetto è quello di far parte di vari gruppi mobili, accompagnandosi con diversi altri lavori, e di vedersi continuamente modificato nel contesto e nel significato che cambia completamente quando viene associato a Socrate, piuttosto che ad Adamo o alla bambina. In Socrate ad esempio la tazza ( posta sul capo del personaggio) non può che fare riferimento alla ciotola di cicuta che il filosofo greco ha dovuto ingerire nella sua condanna a morte. Anche Ragazzina francese, che è anch’essa prima di tutto una scultura a sé, viene contestualizzata in un gruppo mobile che le cambia l’identità facendola diventare Platone nel gruppo mobile denominato Socrate e Platone.
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Le opere di Costantin Brancusi sono fortemente legate al luogo della loro realizzazione, il laboratorio è un’ installazione ed uno spazio espositivo in continuo mutamento che solo lui può muovere, è come un enorme gruppo mobile, come una delle sue sculture ‘totemiche’ in continua metamorfosi, del quale com’è ovvio che sia, solo lui doveva decidere il rapporto più consono nella sovrapposizione tra le basi e la relativa opera principale, fino a fissarle definitivamente, affinché non venissero scombinate da qualche acquirente o museo che potesse fraintendere questa logica, pensando fosse legittimo scomporre il suo lavoro in più opere autonome, separando gli zoccoli dalle sculture, oppure com’è poi irriguardosamente accaduto, scambiare le varie accoppiate ponendo un opera estranea al di sopra di uno zoccolo ideato per sostenere e rafforzare un altro lavoro. Poco prima di morire lo scultore fece dono di tutto, attrezzi e taccuini compresi, allo stato francese, al musée d’Art Moderne di Parigi, a condizione che lo studio all’Impasse Ronsin non venisse scomposto come spesso accade. Questa volontà fu disattesa poco dopo la sua morte, visto che le costruzioni della strada vennero demolite, e lo studio ricomposto, provvisoriamente, non molto lontano dalla sede attuale e vennero scomposte anche le sue creazioni. Come temeva l’artista, il suo modo di fare scultura fu frainteso, ne è lampante esempio l’attuale disposizione, al Centre Pompidou nell’ Atelier Brancusi, di una Maiastra posta sopra lo zoccolo Cariatide – Gatto nonostante l’artista avesse definitivamente accoppiato questa con l’opera in pietra calcarea timidezza durante l’esposizione alla Brummer Gallery del 1933 - 1934, e nonostante nel corso di questa stessa esposizione avesse chiaramente dichiarato l’inscindibilità di queste due opere, come è visibile nel catalogo della suddetta mostra esposto al Centre Georges Pompidou6.
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Il percorso iniziato da artisti come Degas con la frammentazione dello spazio e la ripetizione dei soggetti e dei vari elementi all’interno di esso, ( ballerine, ventagli, scarpe, piedi, braccia e gambe che si muovono all’unisono ) nonché dalla frammentazione e ripetizione in Rodin, nasce da una nuova consapevolezza dello spazio, della forma e dell’arte, elementi questi che iniziano a far riferimento a se stessi, piuttosto che essere utilizzati come mezzi per rappresentare un illusione di realtà, una rivoluzione graduale che porta all’astrattismo e alle forme pure e che sarebbe stata impossibile senza il lavoro di grandi individualità pioniere dell’arte moderna, che contribuirono fortemente a liberare l’arte dall’illusionismo mimetico, grazie al loro distima per la precisione convenzionale della prospettiva e per la riproduzione. Grazie a loro, l’arte inizia a perdere quella volontà esclusivamente mimetica e retorica che l’ ha limitata per tanto tempo. I primi esempi di ripetizione e frammentazione si sono attuati alla fine del diciannovesimo secolo, i precursori dell’ arte moderna agirono forse sull’onda del contemporaneo clima scientifico, da menzionare a questo proposito sono le sperimentazioni fotografiche di Eadweard Muybridge ed Etienne - Jules Marey, per avere un idea generale di questo clima medico - scientifico possiamo citare anche le teorie del chirurgo e amico di Marey Claude Bernard, che insisteva sullo scomporre un processo o una sostanza in più parti e studiarla entro una struttura di condizioni uniformi e ripetibili, allo scopo di comprendere i segreti delle creature viventi con gli stessi metodi razionali utilizzati nelle scienze fisiche, teorie appoggiate anche da molti altri pensatori progressisti tra cui Zola e Charles Darwin, quest’ultimo in particolare condivideva l’idea che sapere come funziona un organismo sia la chiave per capirlo, tali idee influenzarono certamente la cerchia di amici di Degas. La frammentazione è un tassello fondante di tutta l’arte moderna, insieme all’ introduzione di diversi paradigmi derivanti da culture ‘non occidentali, e la voglia degli artisti più audaci di scomporre e mettere in discussione gli elementi 69
caratterizzanti e ormai desueti dell’arte occidentale. La frammentazione è elemento caratterizzante anche del Cubismo, dove questo consiste nell'abbandono dell'unico punto di vista, a favore della scomposizione e della fusione di ogni punto di vista e ogni piano del reale. Un altro fattore che potrebbe avere influenzato l’arte di fine ottocento, con ovvie ricadute sull’arte del ventesimo secolo, potrebbe essere insito nella realtà industriale che avanzava distruggendo l’opera artigianale e inserendo la mentalità industriale. La cultura dell’oggetto industriale costruito in serie che finirà poi per prendere il sopravvento. È l’innesco di quel meccanismo che in futuro diverrà la riproduzione seriale e meccanizzata delle merci, descritta a suo tempo nelle opere di Andy Warol. La modernità, attraverso l’uso di forme sempre più pure, sembra andare, tramite forme oggettive e autoreferenziali, verso opere prive di alcun significato associativo se non quello che lo spettatore vede nel dato momento della fruizione, oppure verso la ricerca di un arte totalmente contenutistica che ricerca la realtà più pura attraverso l’epurazione formale del soggetto o concetto raffigurato, in questo contesto Brancusi pare decisamente più vicino alla seconda via. Il lavoro di Brancusi è da ritenersi fondamentale nello sviluppare e concretizzare ciò che era latente in Rodin, e cioè la frammentazione e la ripetizione modulare recondita nel modus operandi dell’artista francese. Rodin nel suo laboratorio si giostrava tra braccia, gambe, mani e teste in gesso, pezzi che poi componeva in varie soluzioni prima di arrivare all’opera definitiva. Questa non è da considerarsi solo un’ennesima similitudine con il suo allievo, ma potrebbe essere interpretata come l’evidenza che ci sia una strada comune intrapresa dai due artisti, un intuizione di Rodin che viene colta da Brancusi che la ‘catalizza’ aprendo la strada a numerose altre intuizioni e tante realtà artistiche che seguiranno dopo di lui. Brancusi è fondamentale nel passaggio che porta dalla nascita della scultura moderna fino alla scultura minimalista degli anni ’60, quest’ultima è sicuramente influenzata tra l’altro, dalla struttura seriale della colonna senza fine, a questo proposito non si può non citare Carl Andre, il quale dichiarò di essersi ispirato alla Colonna senza fine, convertendo la ripetizione del modulo in un andamento orizzontale di identiche unità. 7 70
La Colonna senza fine è un opera che tiene Brancusi impegnato per gran parte della sua carriera, inizia ad occuparsene nel 1916, a partire dalla piccola base dentellata alta pochi centimetri di una Maiastra, ricomparsa poi nel piedistallo di Uccello d’oro del 1919 – 1920, e che negli anni l’artista cerca di sviluppare come scultura a sé stante. Ne realizzerà diverse versioni, fino a concretizzare quella che diverrà una delle opere più celebri dell’ artista. Una colonna di dimensioni colossali, realizzata in ghisa e ottone, che misura oltre trenta metri di altezza e il cui ottaedro di base misura un metro e ottanta centimetri, realizzata tra il 1930 e il 1937 ed eretta nelle vicinanze del famoso complesso monumentale in Targu – jiu. Le numerose versioni precedenti di quest’opera sono tra i più celebri esempi di sculture in legno realizzate dall’artista, vennero utilizzate più che altro come basamenti, come se l’opera faticasse ad ottenere lo status di scultura a sé stante. Una prima affermazione di questo modello nel passaggio dalla condizione di piccolo basamento per la Maiastra, a scultura autonoma, è visibile nella versione lignea decisamente più alta dell’ originaria basetta, denominata Colonna e inserita in vari gruppi mobili, come si vede nelle numerose fotografie scattate alla fine degli anni dieci, dove compare nel gruppo mobile già citato dell’ Enfant au monde. Questa versione del 1918 è alta due metri, (realizzata come molte opere lignee di quegli anni, completamente in legno di quercia ricavato sempre da cantieri in demolizione). Nella colonna All’interno del gruppo L’Enfant au mond (pur se disposta al di sotto di coppa), è visibilmente attribuibile importanza pari agli altri elementi della composizione mobile. Dalla disposizione della coppa in questo contesto, cioè dalla sostituzione del Socrate (che in un precedente gruppo mobile sorreggeva sulla sua testa l’oggetto in questione), con la colonna senza fine, si potrebbe azzardare l’ipotesi che l’artista voglia per la prima volta comparare la colonna all’uomo. In altre parole Ne “L’enfant au monde”, come appena detto, Coppa, in una versione più stilizzata, Viene posta sopra la colonna piuttosto che sopra Socrate. La commutazione dei rapporti mette in risalto un significato, un’intenzione dell’artista di identificare le due unità in correlazione nel paradigma uomo-colonna, attraverso la collocazione successiva della Coppa dalla testa di Socrate alla Colonna. L’uomo diventa egli stesso Colonna. 71
Un’altra versione dell’opera è del 1920, formata da nove moduli romboidali che, come nella versione colossale, terminano alla base e all’apice con un mezzo romboide, determinando un effetto visivo di completamento, cioè suggerendo allo spettatore di completare quel percorso visivo creato dalla continua ripetizione modulare dello stesso elemento e che ad un certo punto si interrompe con un taglio di netto. l’opera alta all’incirca sei metri venne ricavata da un albero del giardino dell’amico fotografo americano Edward Steichen, e successivamente posizionata nel giardino stesso sopra una stretta base in pietra. La colonna senza fine potrebbe, analogamente a tante altre opere lignee di Brancusi, essere accostata nell’aspetto, alle staccionate rurali rumene, sia per le fattezze artigianali dei diversi modelli in legno, sia per il suo accento arcaico. Nonostante queste sue caratteristiche popolari e artigianali è per certo considerabile uno dei maggiori esempi di pura ripetizione nell’arte moderna, esempio di come Brancusi riesca a coniugare queste diversissime qualità fondendole e trasportandole nella modernità, esprimendo concetti anche complessi, con la semplice ripetizione di forme geometriche piramidali. Alla colonna senza fine è sicuramente attribuibile un significato religioso d’ascesa, insito tra l’altro nel titolo stesso dell’opera, rappresenta una sorta di tramite tra una realtà concreta umana e un’altra ultra terrena, l’individuo è spinto verso una dimensione superiore tramite un’estensione concettuale di se. Questa scala verso il cielo racchiude in se tutto un intero percorso di creazione dello scultore rumeno, è l’opus magnum dell’artista, formata da “scalini” che proseguono inesorabilmente in un incessante ascensione, canti “zigzaganti” di galli, lunghe file di silhouette femminili, e non manca di certo un riferimento all’aspetto primitivista e arcaista che insinua tutta l’opera di Brancusi, è un totem, una cariatide grondante del sudore dell’Adamo, rappresenta la statua astratta dell’uomo: << “ gli elementi della mia colonna infinita non sono che il respiro stesso dell’uomo, il suo proprio ritmo […]. chiamiamola una scala verso il cielo perché può essere prolungata nel cielo cinquecento metri e più, permettendo di raggiungere dio a questo ritmo ” >>9 più che chiara in questa affermazione dell’artista l’identificazione tra uomo e colonna e altrettanto è visibile una esplicita e fortissima componente mistica, e mitologica. È un 72
axis mundi che con una forza vibrante e ascendente sostiene la volta del cielo, consentendo all’uomo di comunicare con le forze divine essendo l’individuo stesso una vertebra che compone questo interminabile pilastro. Pilastro emblematico della vita e dell’aspirazione del mortale, all’interno del quale l’essere umano si moltiplica come modulo nell’ascesa verso una condizione ultraterrena, l’uomo è la forma ripetuta che in esso si frammenta e si ripete, rinasce in un ciclo infinito che ogni volta lo solleva di un gradino verso una condizione superiore. È questa una riflessione in perfetta sintonia con le filosofie mistiche orientali, nelle quali il culto si basa su una promessa di rinascita continua, un percorso di reincarnazione fino al raggiungimento dello status di illuminato. D'altronde, anche in tutte le religioni monoteiste occidentali è presente un concetto di ascensione al cielo, che spesso è elemento fondante della dottrina. Senza fossilizzarsi sull’ attenzione che Brancusi sicuramente aveva nei confronti delle dottrine mistiche orientali, si può dirottare il concetto ispiratore di quest’ opera verso il folclore rumeno, e al mito riscontrabile presso tutte le culture dell’est e del centro Europa in cui la columna ceruli (colonna del cielo) sostiene la volta celeste. L’impatto emotivo è sicuramente molto forte per chi sta sotto questa colossale opera, il fruitore viene coinvolto efficacemente a livello pathemico dall’effetto di infinità dato dalla percezione prospettica e rafforzato dalla ripetitività dei moduli << “Vai! Abbracciala (sanciva lo scultore) Poi, alza gli occhi e guarda: penetrerai nel profondo del cielo” >>10 .
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Note 1
M. E. Versari. M.Campigli, A Del Puppo, A. Galli a cura di, op. cit., p 166
2 “
L'icona è un immagine Prospettiva lineare e prospettiva rovesciata”
http://www.orthodoxworld.ru/it/icona/2/index.htm 15 oct 2001 3
G.Di Milia op. cit. p.34
4
M. E. Versari. M.Campigli, A Del Puppo, A. Galli a cura di, op. cit., p 148
5
G.Di Milia op. cit. p.36
6
G.Di Milia op. cit. p 6
7
Brancusi costantin http://www.myword.it/arte/dictionary/534 30 Agosto 2011
8
Artdream S.r.l “Constantin Brancusi Le sculture in legno di Brancusi” 23 /8/2011 http://www.artdreamguide.com/_arti/brancusi/_work/bois.htm
9
M. E. Versari. M.Campigli, A Del Puppo, A. Galli a cura di, op. cit., p. 175
10
Giuseppe Genna, "Contro la deriva fascista: certi rumeni" 7 Novembre 2007 http://www.giugenna.com/materiali/contro_la_deriva_fascista_tre.html
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V IL PARCO TÂRGU JIU
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Costantin Brancusi colonna senza fine (Coloana Infinitului), 1937 â&#x20AC;&#x201C; 1938, ghisa e ottone, h.300 cm, base 180cm. Tirgu Jiu 76
Costantin Brancusi Tavolo del silenzio (Masa Tacerii), 1937 â&#x20AC;&#x201C; 1938, pietra, tavola h. Cm 95, sgabelli h.cm 55. Tirgu jiu,
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Costantin Brancusi Porta del bacio (Poarta Sarutului), 1937 â&#x20AC;&#x201C; 1938, pietra, h. Cm 510. Tirgu jiu
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Il complesso si sviluppa lungo un viale che parte dalla riva del fiume Jiu, e correndo lungo il 45º parallelo si trova, non a caso, in asse con la principale chiesa ortodossa della città, la chiesa dei Santi apostoli Pietro e Paolo. Circa due chilometri oltre, sempre sullo stesso asse ed ormai all’esterno dell’abitato, si erge in un altro parco la Colonna senza fine.1 Durante gli anni Trenta Brancusi compie numerosi viaggi, visitando India, Egitto e diversi paesi europei, per poi dirigersi in Romania e realizzare quella che costituisce l’opera più importante che lascerà al proprio Paese. Il lavoro gli venne commissionato nel 1935 da Aretia Tatarescu presidentessa della lega delle donne di Gorj e moglie di un influente ministro rumeno. L’artista deve realizzare un gruppo monumentale dedicato ai rumeni caduti contro i tedeschi nella prima guerra mondiale, e da disporsi all’interno del parco di Târgu Jiu, vicino al villaggio in cui nacque l’artista. Il parco scultura è composto da tre grandi ed emblematici elementi: La colonna senza fine, La porta del bacio e Il tavolo del silenzio. Tre opere d’estrema sintesi e di profonda spiritualità, ottenute tramite la disposizione di pochi e semplici elementi modulari che si ripetono simmetricamente. La ripetizione modulare e la simmetria sono le principali strategie utilizzate dall’artista per esprimere i vari concetti di: spiritualità e ascesa (nella colonna senza fine); di erotismo (nella porta del bacio); di unificazione della comunità familiare o della società (nel tavolo del silenzio) . Le forme qui impiegate non erano mai state caricate di tali significati prima che Brancusi le ordinasse in questa particolare maniera. Le sculture prese in discussione, pur essendo tre, sono considerate un’unica opera dallo stesso Brancusi, che le denomina Trigemea, ovvero le tre ipostasi dell’Uno primordiale)2 questo nonostante la Colonna senza fine come già detto, sia a circa due chilometro di distanza dal parco, e situata in uno spazio pensato appositamente per lei , L’universalità dell’oggetto percepito resta condizionata dai suoi dati sensibili, divisa nell’opposizione tra singolarità e molteplicità. Brancusi, cinquantanovenne, è alla sua prima commissione pubblica (escludendo il tempio progettato per il mahraja di Indore e rimasto poi soltanto sulla carta), questo lavoro consente oltretutto all’artista di confrontarsi con lo spazio esterno e con la luce naturale, Brancusi non sottovalutava affatto il concetto di site specific e dava molta 79
importanza agli agenti che circondano e influenzano la fruizione del suo lavoro, con particolare attenzione per la luce, come abbiamo visto nei capitoli precedenti riguardanti la lavorazione delle superfici e dei materiali, esempio lampante ne è l’Uccello nello spazio e la sua profonda immersione in questo elemento, tanto da diventare la luce stessa una componente fondamentale dell’opera, concorrendo alla colorazione e alla percezione dei volumi. A questo proposito, riferendosi forse proprio al luogo di erezione della colonna senza fine Brancusi disse: << “Un monumento dipende dal luogo che s’è scelto per erigerlo, dal modo in cui il sole si alzerà e tramonterà sopra di lui, e dalla materia che lo avvolge” >>. Per questo Brancusi sceglie personalmente il luogo deputato alla fondazione della colonna senza fine, optando per una collinetta alla periferia della città di târgu – jiu, in un grande prato con sentieri tracciati e bassi cespugli. L’opera in questione è la rappresentazione di quella tendenza all’infinito tipica dello scultore, << “La colonna senza fine è come una canzone eterna che ci riporta all’infinito, oltre ogni dolore, oltre ogni gioia apparente.” >> disse l’artista. 3 Da tempo Brancusi aveva in progetto di realizzare una versione colossale della colonna, tant’è che confidò ad alcuni giornalisti americani di voler creare su questo modello un grattacielo, dotato di ascensori e appartamenti abitabili 4 e che non riuscì mai a concretizzare. Superate le difficoltà tecniche nel trasformare l’opera da modello in legno o in gesso di pochi metri a opera colossale fusa in ghisa e ottone, nell’Ottobre 1936 la Colonna senza fine verrà consacrata secondo il rito cristiano ortodosso, gli elementi divennero più bombati e meno taglienti, e gli spigoli saranno smussati per facilitare la fusione. Il parco di Târgu Jiu viene inaugurato invece il ventisette Febbraio 1938 dopo qualche perplessità da parte dell’artista stesso, e varie modifiche soprattutto per quel che riguarda la terza opera: La mensa del silenzio, altrimenti detto Il tavolo del silenzio, un complesso in pietra (di una varietà locale di travertino), formato da 12 sedili identici ed equidistanti tra loro, tutti di aspetto circolare e composti ognuno da due moduli identici, che a ben vedere ricordano la già citata Coppa socratica in legno, rovesciati l’uno sull’altro, quasi due mezze sfere che vanno contrapponendosi l’una 80
contro l’altra e che circondano un ulteriore disco che va a formare un grande tavolo al centro della composizione. Brancusi nell’opera in questione ottiene un atmosfera che si potrebbe definire metafisica, esprime una società ordinata, centralmente organizzata, tramite la metafora della mensa familiare di forma circolare. Queste forme semplicissime vengono caricate di significati forti, importanti, che esprimono alla perfezione nella loro immensa semplicità il concetto di unità e coesione sociale e familiare, ma soprattutto crea uno spazio dedicato al ricordo e alla silenziosa meditazione, è un opera che invita a riflettere sul silenzio, sul tempo e sull’eternità, sulla vita e sulla morte,
<< “sia la vita sia la morte, come la materia, si fondono
infine in un'unica forma – il silenzio. Poiché tutto scorre nel vasto silenzio – il mare oceanico dove si riversa l’intero nostro universo. Le nostre azioni, ciascun atto dell’esistenza terrena, tutto ciò che è vivo si rovescia in questo muto immenso vaso: il silenzio - la cui forma presenta ai nostri occhi le idee antitetiche del tempo e dell’eternità” >> 5, riconducibile al concetto di temporalità è soprattutto la forma circolare che implica un senso di rotazione suggerendo il circolare e inesorabile moto del tempo, emblematico è anche il riferimento al valore simbolico del numero dodici, associabile oltre che agli apostoli di Gesù Cristo, anche ai pianeti dello zodiaco e ai mesi dell’anno. << “Le sculture sono strumento di meditazione. I templi e le chiese sono stati e sono rimasti luoghi di culto della meditazione” >>. All’estremo opposto del parco, in prossimità dell’entrata principale, si trova la Porta del bacio, finemente e riccamente scolpita, in cui coppie che si baciano appaiono sia sulle colonne che sull’architrave. È evidente che si tratta di un prosieguo architettonico tratto dalla famosa scultura del Bacio, realizzata in varie versioni a partire dall’ originale del 1907 e che Brâncuşi aveva infatti denominato Frammento di capitello, effettivamente tutte le versioni successive di quest’opera sono a carattere architettonico in predisposizione di una successiva realizzazione del Tempio dell’amore, rimasto purtroppo anch’esso solo alla fase di progettazione, del quale avrebbe dovuto far parte anche la Colonna del bacio del 1933, esposta alla Brummer Gallery con il titolo di “Frammento di un tempio dell’amore”. il simbolo che appare nella Porta del bacio e che si ripete inciso su tutta l’architrave altro non è che la
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configurazione sotto forma di segno del diagramma preesistente nel 1907 nella prima variante del Bacio. Le tre componenti che costituiscono il parco sono semplici elementi architettonici ordinari, quotidiani: la porta, la colonna, il tavolo, a loro volta composti da forme altrettanto elementari che Brancusi carica di significati che prima non avevano. Gli elementi geometrici quali semisfere cerchi rombi, orizzontalità e verticalità, sono tratti dal lungo repertorio di forme che nella sua evoluzione artistica si erano stabilizzate all’ interno della sua opera, forme originali ma anche forme derivate dall’attenzione dello scultore verso modelli ornamentali popolari e tribali, strutture dalla grande potenzialità espressiva ed evolutiva, che Brancusi con lo stesso iter utilizzato nei gruppi mobili isola, accoppia, scambia e ripete, dandogli di volta in volta significati diversi in base al contesto al titolo dell’ opera e al significato che l’artista vuole dargli. Ne deriva che il cerchio, che nel tavolo del silenzio esprime unità sociale, o i moti del sole e di conseguenza la ciclicità del tempo, l’eternità, la meditazione e il silenzio, viene riutilizzato nella porta del bacio diviso lungo la metà, in due semicerchi che si baciano come simbolo di erotica unificazione della dualità. Il ridotto linguaggio formale può essere un obbiettivo come può essere un punto di partenza verso un ulteriore ampliamento di significati, per questo una semplice forma piramidale può diventare una base, un tavolo, una scultura a se, o un elemento che va a formare un’opera più complessa.
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Note 1
http://ledicolaonline.blogspot.com/2011/02/brancusi-lo-scultore-romeno-nel-logo.html
2
Mariana Brunel â&#x20AC;&#x153;Costantino Brancusi e la ricerca della formaâ&#x20AC;? 7 novembre 2007 http://cartesensibili.wordpress.com/2009/05/06/costantino-brancusi-e-la-ricerca-dellaforma-2/
3
M. E. Versari. M.Campigli, A Del Puppo, A. Galli a cura di, op. cit., p 172
4
Ibidem
5
Ivi p 176
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VI
CONCLUSIONI
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La scultura da me proposta, oltre che alla semplicità delle forme geometriche Brancusiane si ispira alle strutture megalitiche che da sempre si ergono potenti e impassibili nei paesaggi che mi sono più familiari, le steli, le porte dei giganti, i menhir che dominano le campagne sarde e che mi hanno sempre affascinato. Il menhir è la scultura perfetta, avo di tutte le opere scultoree e architettoniche, racchiude nella sua sintesi significati che rimandano a funzioni mistiche e sociali. È un opera concettuale, simbolica, una forma semplice ma che esprime concetti anche molto astratti, quali il rapporto tra l’uomo e le entità naturali e soprannaturali, dove queste due coincidono. In una cultura in cui il dio corrispondeva alla natura e alle sue manifestazioni spesso inspiegabili, si ergeva come tramite dalla profondità della terra verso il cielo. Lascia intravedere una doppia funzione: di “monumento” da contemplare, e di oggetto con il quale si deve interagire, razionale in quanto solido e tangibile, e allo stesso tempo irrazionale e misterioso, con una certa sacralità e un enigmaticità riflessiva. È espressione materiale delle rappresentazioni mentali della comunità che lo erige a proprio intermediario, e passibile di varie interpretazioni: “l’accoppiamento” tra la terra (simbolo di fertilità nella maggior parte delle culture) e un simbolo fallico, che Simbolicamente si compenetrano, oppure può più semplicemente essere una prima rappresentazione dell’uomo. una presa di coscienza dell’uomo verso lo spazio che lo circonda, individuandone in quest’ultimo le due dimensioni fondamentali della verticalità e dell’orizzontalità. Qualunque cosa abbia significato per chi lo ha sollevato da terra, o qualunque interpretazione se ne dia, è di sicuro da considerarsi il primo lampante gesto atto a modificare l’architettura del paesaggio tramite un sensazionale gesto estetico. Ho denominato il mio lavoro ( La stele donna – uomo – terra) in quanto è una rappresentazione simbolica, un allegorica raffigurazione di questi tre. I primi due sono concepiti come “strutture, costruzioni” indipendenti che si incastrano tra loro senza difficoltà, ma in modo non definitivo, sono due strutture mobili e compenetranti che vanno a formare un’ unica massa che si sviluppa verticalmente a partire dal terreno. La 85
terra è rappresentata da un simbolo di fertilità in rilievo sulla terra stessa dalla quale emerge la stele. La scultura, vista nell’ insieme è una figura vagamente totemica, composta principalmente dai due elementi suddetti, maschile e femminile, che emergono uniti dal terreno. L’uomo che è delineato da una sorta di pilastro verticale spaccato lungo tutta la sua lunghezza è una vaga figura fallica, che si lancia verso il cielo stingendosi gradualmente verso la parte superiore, in modo da favorire la percezione di uno slancio verso l’alto. La struttura della donna è invece scavata da una profonda concavità nella metà lungo tutta la sua altezza, in modo da offrire una sede nella quale si possa “incastrare” la “struttura uomo”. Le due rappresentazioni sono depurate da qualunque caratteristica che possa ricordare una rappresentazione di tipo mimetico dell’anatomia umana, ho praticato una sintesi della forma portandola ad un livello simbolico e astratto. Il complesso femminile è costituito ai due lati da una superficie liscia e piatta sulla quale si stagliano emergendo degli inserti simbolici convessi che rappresentano dei seni o dei sessi femminili, aventi anche una funzione decorativa, ma principalmente sono metafore emblematiche della fertilità. Tutta la composizione è geometrica e perfettamente simmetrica, dalle forme lineari e semplificate, levigato e rifinito, ho optato per un’altezza considerevole di 300 cm perché l’oggetto si potesse imporre anche con le dimensioni a rafforzarne l’impatto visivo e il carattere contemplativo, e a sottolineare l’eredità di quelle opere primitive monumentali che nella loro imponente semplicità minimale mi hanno ispirato. Come le steli e i menhir , suoi avi, l’oggetto che ho concepito mantiene in se un vago sentimento di sacralità e contemporaneamente di profanità, e come esso si apre a più interpretazioni, sembrerebbe rappresentare un unico e molteplice essere-idolo contemplativo, un bettile primitivo e sessualmente ambiguo, che sorge dal ventre della terra e si staglia verso il cielo. Può essere considerata una raffigurazione allegorica di un monumento contemplativo, si può scorgere, insita nel ragionamento, una polemica alla contraddizione e all’ambiguità dell’idolo sacro e dell’oggetto contemplativo, con questo lavoro non ho 86
voluto costruire un monumento megalitico, ma piuttosto descrivere una situazione, aprire un dibattito alternativo al tema delle religione e della contemplazione, fornendo provocatoriamente un idolo contemplativo che fa riferimento a civiltà precristiane, preislamiche, orientali, arcaiche e preistoriche, in contrapposizione agli equivalenti forniti dalle attuali religioni monoteiste, prevaricatrici e pretenziose che non mostrano di essere più attendibili e più logiche di queste o di atre pur pretendendo di essere le sole giuste. I loro dogmi nei millenni si sono complicati sempre di più, contorcendosi su se stessi e perdendo quella semplicità primordiale che avevano in origine i culti elementari. Con questo non voglio proporre una nuova religione del “buon selvaggio”, ma semplicemente porre l’accento su quanto l’arroganza e l’inutile complicazione di questi culti sia inversamente proporzionale alla loro attendibilità. Questo lavoro è una ricerca di semplicità, e per realizzarlo mi sono ispirato alle forme che a mio avviso sono le meno contaminate, cercando un analogia con culti e opere che hanno un carattere universale e onnicomprensivo, l’idea è di realizzare un opera che abbia dei concetti intrinseci alle sue forme sintetiche e universali, uno studio sulla forma come mezzo di comunicazione veramente globale, in contrapposizione alla proposta globalizzatrice di forme e concetti culturalmente unilaterale, proveniente da un tipo di globalizzazione prettamente economica e consumistica che annienta la specificità e i valori delle singole culture a favore di una più facile e superficiale cultura massificata. Il mio intento è quello di costruire un idea di rappresentazione che raccoglie elementi da qualsiasi linguaggio e cultura, smontarli nelle loro parti essenziali e riunirli in un'unica opera sintetica, nella convinzione che l’operato artistico è un’operazione culturale che serve a intavolare delle discussioni o a rappresentare situazioni e concetti senza mai trarre conclusioni.
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BIBLIOGRAFIA • Maria Elena Versari “Constantin Brancusi” in Maria Elena Versari, Alessandro del Puppo, Gabriele Fattorini, Aldo Galli, Francesca Petrucci, Sabina Spannocchi, Nico Stringa. Marco Campigli. Alessandro Del Puppo, Aldo Galli [a cura di] grandi scultori vol. XIII Roma gruppo editoriale l’espresso 2005 • Beppe Berna “alle origini del primitivismo, l'arte primitiva ed il suo ruolo ispiratore dei principali movimenti artistici del nostro secolo”, 20 / 5 / 2011, http://www.debberna.it/z.alle origini del primitivismo.htm • Gabriella Di Milia “brancusi” firenze giunti 2003 • Kirk Varnedoe Una squisita indifferenza, perché l’arte moderna è moderna, Milano, Leonardo editore, 1990
• http://aimse.blogspot.com/2011/02/la-scultura-incontra-i-sensi-omaggio.html
• http://www.golemindispensabile.it/index.php?_idnodo=6651&_idfrm=107
• http://www.artdreamguide.com/_arti/brancusi/_work/bois.htm
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INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI
• Il bacio: p10 da (http://creatordevelopment.com/brancusi/opere.html) • Musa addormentata: p39 da (https://tonykospan21.wordpress.com/2011/05/05/constantin-brancusi-laleggenda-della-scultura-arte-del-900/) • Mademoiselle Pogany: p.40 da ((https://tonykospan21.wordpress.com/2011/05/05/constantin-brancusi-laleggenda-della-scultura-arte-del-900/) • Uccello nello spazio: p.41 da (httpnettunotsforumnonufficiale.forumcommunity.nett=44) • Socrate: p.42 da (http://www.bluetravelguide.com/us/oeuvre/photo_ME0000067917.html) • Adamo ed Eva: p.58 da (http://sandrobarbagallo.blogspot.com/2011_01_12_archive.html) • Costantin Brancusi nel suo atelier: p.59 da (http://ngravitystudio.wordpress.com/2011/03/)
• Colonna infinita: p.76 da (http://creatordevelopment.com/brancusi/opere.html) • Tavolo del silenzio: p.77 da (https://tonykospan21.wordpress.com/2011/05/05/constantin-brancusi-laleggenda-della-scultura-arte-del-900/) • La porta del bacio: p.78 da (httpstatic.panoramio.com photos original 11909114)
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Ringraziamenti Grazie ai miei genitori che mi hanno supportato e sostenuto economicamente e moralmente in questi anni, grazie anche al Mobilificio Tala e Addis e agli amici che mi hanno aiutato nella realizzazione del lavoro: Giuseppe Addis; Luigi Solinas; Giuliano Masala; Giuseppe Delogu; Federico Canu; Pierluigi Canu; Gianfranco Gennori â&#x20AC;Ś
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