I rapporti italo-spagnoli durante la prima guerra mondiale (1914-1918)

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I RAPPORTI ITALO-SPAGNOLI DURANTE LA PRIMA GUERRA MONDIALE (1914-1918) Relatore: PROF. RAFFAELE D’AGATA

Correlatrice: PROF.SSA FIAMMA LUSSANA

Tesi di Laurea di: MARIA LUISA D IBERTULU

ANNO ACCADEMICO 2010/2011



Alla mia famiglia



Indice

1. Due politiche di neutralità a confronto ……………………………………………………….1 1.1 Le ambizioni mediterranee di Roma e Madrid: Marocco e Libia ……………………..1 1.2 Le ragioni della neutralità spagnola nel 1914………………………………….……….5 1.3 Opinione pubblica e partiti di fronte alla guerra europea in Italia e Spagna….……….7 1.4 Italia e Spagna di fronte al blocco navale britannico………………………………….11 1.5 L’intervento italiano visto da Madrid..…………………………………………………13

2. Italia e Spagna neutrale fino all’intervento americano………………………………………15 2.1 I primi tentativi di mediazione da parte di Madrid……………………………………..15 2.2 La Spagna e l’offensiva di pace tedesca del dicembre 1916……………………………17 2.3 La Spagna e i tentativi di mediazione degli Stati Uniti………………………………...21 2.4 La Spagna e i tentativi di mediazione della SantaSede………………………………...24

3. Italia e Spagna di fronte a Wilson……………………………………………………………. 29 3.1 L’atteggiamento italiano nei confronti dei Quattordici punti………………………….29 3.2 Valutazioni italiane circa gli orientamenti di Madrid………………………………….35

Conclusioni ……………………………………………………………………………………...…39 Bibliografia…………………………………………………………………………………………42


Spagna e Italia condivisero solo per alcuni mesi il loro status di neutralità, fino a quando quest’ultima, nel maggio 1915, non decise per l’intervento al fianco delle potenze dell’Intesa. Una decisione che destabilizzò decisamente gli orientamenti di Madrid, e del suo re Alfonso XIII, il cui scopo principale era quello di occupare una posizione di rilievo in una futura conferenza di pace con la mediazione congiunta delle altre potenze neutrali. La Spagna, ancor più che l’Italia, si trovava di fronte ad un’economia arretrata. Il suo esercito era male organizzato e il paese si trovava inoltre in una situazione di isolamento tale da non essere mai presa seriamente in considerazione dalle grandi potenze per una qualsiasi possibile alleanza. L’intervento italiano fu visto, così, come un ulteriore scacco alle speranze di Madrid di abbandonare questa posizione di mera passività. In Italia come in Spagna l’opinione pubblica fu divisa circa la guerra. Vi era chi spingeva per un intervento al fianco dell’Intesa, chi al fianco degli Imperi Centrali e chi invece preferiva si mantenesse lo stato di neutralità. In Italia gli interventisti, alla fine, ebbero la meglio su una, se pur forte, corrente neutralista guidata dall’allora presidente del consiglio Giolitti che nulla poté fare contro la decisione del ministro degli esteri Sonnino di firmare segretamente il famoso patto di Londra decretando l’entrata in guerra del paese. Differente la situazione spagnola dove la neutralità divenne, nell’arco degli anni, non una scelta ma una condizione; una necessità per mantenere un equilibrio interno precario spaccato dai numerosi cambi di governo e da una forte organizzazione tedesca ben instaurata in territorio spagnolo tendente a far mantenere a Madrid il proprio stato di neutralità e, allo stesso tempo, danneggiare gli interessi dell’Intesa nella penisola. In questo lavoro si cerca di mettere a confronto le due situazioni, e i rispettivi orientamenti circa i problemi della politica internazionale, delle ipotesi di mediazione, e dell’ordine post-bellico, essenzialmente sulla base dei principali risultati della storiografia spagnola, sui rapporti tra la Spagna e la Grande Guerra e sui documenti raccolti nella Quinta serie dei Documenti diplomatici italiani.


1. Due politiche di neutralità a confronto (agosto 1914 – maggio 1915) 1.1. Le ambizioni mediterranee di Roma e Madrid: Marocco e Libia Le mire espansionistiche delle varie nazioni, europee e non, furono uno dei punti cardine nello sviluppo del primo conflitto mondiale. Uno dei continenti maggiormente appetibili era quello africano. Diverse furono le motivazioni che spingevano le grandi potenze ad occuparne i territori, dallo sfruttamento delle risorse locali al commercio nazionale ed internazionale. Agli albori della prima guerra mondiale l’Africa era ormai totalmente spartita fra le potenze europee. In particolare, le sue regioni settentrionali erano state oggetto di vive attenzioni da parte di Inghilterra, Germania, Francia, Spagna e Italia nel corso dei decenni precedenti. Nei primi anni del secolo, la Spagna manifestava chiaramente il suo interesse per il Marocco, mentre l’Italia faceva altrettanto circa la Libia. Tra il 1900 e il 1904 ci fu a un timido contatto diplomatico tra Italia e Spagna all’interno del quale vi furono una serie di accordi che la Francia propose ad entrambi i vicini. Il risultato di questi contatti fu un doppio accordo bilaterale (tra Francia e Spagna, e tra Francia e Italia) circa le rispettive aree d’influenza nell’Africa settentrionale: da una parte L’Italia si garantiva l’esclusività dei rapporti con la Tripolitania, mentre dall’altra la Spagna manteneva il controllo sul Marocco settentrionale. Fu questa la prima occasione che permise un dialogo bilaterale italo - spagnolo relativamente ad un futuro trattato per regolarizzare l’area di interesse navale tra Baleari e Sardegna.1 Le perdite coloniali subite dalla Spagna in conseguenza della guerra del 1898 contro gli Stati Uniti (ossia la rinuncia alle Filippine, a Cuba e a Portorico) modificarono sensibilmente la sua situazione nel panorama internazionale. Questa sconfitta non solo diede origine al movimento d’opinione e d’iniziativa politica che prese il nome di regeneracionismo, ma comportò anche, per la Spagna, una presa di coscienza dei propri limiti. La perdita dell’ impero americano e filippino provocò nella classe politica spagnola un’insicurezza tale da indurla a ricercare con particolare attenzione accordi e compromessi con le

altre potenze.

Inoltre tale sconfitta aveva limitato

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M. Tomasoni , “L’Italia alla periferia del Mediterraneo. Le relazioni italo-spagnole tra XIX e XX secolo: politica, economia e società”, Diacronie, n. 5 , 1/2011 (www.studistorici.com/2011/01/29/tomasoni_numero_5).

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notevolmente le possibili azioni coloniali al solo continente africano e precisamente al Marocco come zona di maggior interesse. La Spagna vide così il Marocco come l’unico modo per mantenere comunque un ruolo attivo nella politica internazionale. Nessuno pensava che la Spagna dovesse avere un ruolo fondamentale nella zona, però la sua situazione geografica di stretta vicinanza al continente africano obbligava le nazioni a tenerne conto e la sua presenza poteva servire da garanzia anche per le altre potenze. Il Marocco divenne così non solo una possibilità di espansione coloniale ma anche il fulcro della politica estera spagnola. L’ Inghilterra, che controllava lo stretto di Gibilterra, seguiva molto da vicino l’evolversi della situazione marocchina in quanto era interessata principalmente a proteggere i suoi interessi commerciali tenendo sotto controllo soprattutto Tangeri. Il problema principale per la Spagna, però, era la Francia, con la quale fin dal 1902 intrattenne contatti diplomatici per la delimitazione delle rispettive zone di influenza nell’Africa settentrionale. Nello stesso anno la Francia propose alla Spagna un trattato che affidava a quest’ultima tutta la zona a nord del fiume Sebù e il controllo di una zona agricola e alcune città importanti come Fez2. La Spagna però rifiutò di sottoscrivere quest’accordo per timore che non venisse accettato dall’Inghilterra. Nel 1904 Inghilterra e Francia raggiunsero un’intesa in base alla quale la prima rinunciava alle proprie pretese riguardanti l’Egitto in cambio del riconoscimento della preminenza dell’ultima dei propri interessi in Marocco. L’Inghilterra sottopose però un tale riconoscimento alla condizione che la Francia prendesse a sua volta accordi con la Spagna. Questa volta l’offerta francese fu ben diversa dalla precedente: limitava infatti l’area di influenza spagnola tra il fiume Uerga e il Muluya, molto più al nord, in una regione povera e montagnosa e tagliava fuori la città di Tangeri, che aveva una posizione chiave per quanto riguarda il commercio. Nonostante la magra prospettiva questa volta la Spagna firmò.3 L’interesse delle grandi potenze aumentò fortemente nel 1904 con la prima crisi marocchina o crisi di Tangeri, quando il giovane sultano Abd el Aziz, smanioso di modernizzare il Paese, spalancò le porte al capitale straniero.

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La causa scatenante della contesa fu data proprio dal

Sultano stesso che accolse l’Imperatore di Germania Guglielmo II a Tangeri provocando la preoccupazione della Francia la quale era orientata a fare del Marocco un suo protettorato. Inoltre l’indebitamento del sultano con l’estero complicò notevolmente le condizioni di vita dei suoi sudditi che iniziarono a far sentire il loro malcontento. La Germania, guidata dal cancelliere Bülow, per non permettere ai francesi di avere carta bianca sul Marocco, propose, per riesaminare la situazione marocchina, una Conferenza Internazionale di tutte le potenze firmatarie del trattato di Madrid del 1880, in base al quale tutte queste le potenze avrebbero dovuto avere pari diritti nei confronti di 2

J. Tusell, Historia de España en el siglo XX, Tauros, Madrid, 1998, p.98 Ibidem, p.99 4 G. Carocci, L’età dell’imperialismo, Bologna, il Mulino, 1979 p. 220 3

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quel paese. Nonostante l’opposizione del ministro degli esteri francese Delcassé, che sarebbe giunto anche alla guerra pur di non cedere alle richieste tedesche, la conferenza ebbe luogo nel 1906 ad Algeciras nella Spagna meridionale. L’atto stipulato il 17 aprile dello stesso anno riconobbe alla Francia un diritto preminente d’influenza sul Marocco e l’internazionalizzazione dello stesso da punto di vista economico. Negli accordi firmati dalle potenze presenti, la Spagna acquisiva insieme alla Francia, grazie alla mediazione inglese, il controllo sulla polizia del Sultano. 5 Nel 1906 iniziarono anche le trattative spagnole con El Roghi, il capo locale della zona di Melilla, per ottenere delle concessioni minerarie. Un anno dopo fu costituita la società Minas del Rif e nel 1908, per facilitare i trasporti nella zona mineraria

e Melilla, le truppe spagnole

occuparono la Restinga e Cabo del Agua. Quest’azione può essere considerata come il primo vero atto di penetrazione in Africa da parte spagnola6. Intanto El Roghi iniziò a perdere l’appoggio degli indigeni che attaccarono gli operai spagnoli impegnati nella costruzione della ferrovia mineraria7. Il nuovo Sultano Abd el Hafid per riprendere in mano la situazione chiese degli armamenti alla Spagna che dovette rifiutare perché supponeva che questi si sarebbe poi alleato alle file francesi. Nel 1909 Madrid, sotto il governo del leader del partito conservatore Antonio Maura, cercò di consolidare la propria posizione militare facendo giungere dalla penisola un esercito di circa 40.000 uomini. La spedizione fallì miseramente e i tumulti dell’opinione pubblica spagnola si fecero subito sentire, nel luglio dello stesso anno, con la celebre Settimana Tragica di Barcellona, sedata con una violenta repressione da parte del governo. Azione che costrinse il Re a destituire Maura per evitare ulteriori ripercussioni nel resto della Spagna8. Nel 1911 la storia interna in Marocco finì col ripetersi. Per pagare gli interessi dei prestiti, il Sultano fu costretto ad aumentare ancora le tasse. Ne conseguì una ribellione che richiese l’intervento militare francese. La Francia arrivò ad occupare Fez e questo provocò la protesta della Germania, dando luogo così alla seconda crisi marocchina o crisi di Agadir9. La Germania inizialmente seguì la corretta procedura diplomatica richiamandosi agli accordi di Algeciras che vietavano ogni intervento unilaterale da parte delle potenze europee

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ma in

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Cfr. R. Albrecht-Carrié, Storia diplomatica d’Europa 1818-1968, Laterza, 1978, p.283 J. Tusell, op. cit p.99 7 ibidem, p.99 8 cfr ibidem,p.100; E. Moradiellos, La politica europea (1898-1939), http://www.ahistcon.org/docs/ayer/ayer49/ayer4902.pdf, 2003; R. Menendez. Pidal, Historia de España. La España de Alfonso XIII el estado y la politica 19021931 (de los comienzos del reinado a los problemas del posguerra) 1902- 1922, Madrid, Espansa Calpe, 1996, pp.143-144 9 G. Carocci, op. cit., p. 221 10 A. Camera, R. Fabietti, Le dimensioni mondiali della storia il XX sec., Bologna, Zanichelli 1995 p.1065; J. Ponce Marrero La política exterior española de 1907 a 1920:entre regeneracionismo de intenciones y la neutralidad condicionada, Historia contemporánea, n°34, 2007 6

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seguito si fece più minacciosa inviando una nave da guerra ad Agadir ottenendo dalla Francia vantaggi territoriali sulla sua colonia del Camerun. L’intervento dell’Inghilterra, che non gradiva tali politiche, ostacolò ulteriori intimidazioni e portò al Trattato di Fez del 30 marzo 1912. Con quest’ultimo il Sultano cedette la sovranità del Marocco alla Francia, rendendo la nazione un protettorato. In base agli accordi precedenti tra Francia e Spagna, la Spagna assunse il protettorato sul Nord del Marocco, cioè sulla città di Tangeri, che fu però anche internazionalizzata come porto franco, sul Rif e anche su alcune zone a sud/ sud-ovest quali Ifni e Tarfaya. Inoltre il trattato concesse il diritto di sfruttamento delle miniere di ferro del monte Uixian alla Compañía Española de Minas del Rif11. Anche l’Italia, che non era nuova alle avventure coloniali, approfittò di questa seconda crisi marocchina avendo reso noto da tempo il suo interesse in territorio libico già dal 1902 quando con la Francia stipulò accordi con i quali si concedevano rispettivamente campo libero in Marocco e Tripolitania12. Liberali, cattolici e nazionalisti erano favorevoli alla conquista della Libia per svariati motivi di carattere economico, geopolitico e di prestigio nazionale considerando il territorio libico una miniera di ricchezze naturali che avrebbero sopperito alla mancanza di materie prime in territorio italiano. I nazionalisti furono coloro che pressarono maggiormente per la spedizione: secondo loro l’impresa era necessaria per riportare prestigio alla nazione dopo le sconfitte di Dogali nel 1887 e di Adua nel 1896. Ma vi era anche chi si opponeva all’impresa. Una parte dell’opinione pubblica considerava una follia, o quanto meno un rischio inutile, la spedizione in Libia, definita dal Salvemini come “uno scatolone di sabbia”, (giudizio allora non infondato perché le ingenti risorse petrolifere della regione non erano ancora state scoperte)

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.

Gli interessi italiani venivano

ostacolati dalla Turchia che sospettava a sua volta che l’Italia avesse mire espansionistiche sulla sponda meridionale del Mediterraneo. Questo, insieme con lo sviluppo di un maggior orgoglio nazionalistico nell’Impero ottomano in seguito alla rivoluzione dei Giovani Turchi portò l’Italia ad inviare un ultimatum alla Turchia seguito immediatamente da una dichiarazione di guerra. La guerra italo-turca costituì un motivo di preoccupazione per tutte le potenze: esso poteva considerarsi un’estensione della situazione marocchina e soprattutto l’indesiderata possibilità di una riapertura della questione d’oriente. 14 L’impresa si rivelò più complicata del previsto ma la potenza italiana fu sufficiente e prevalse occupando con successo la Tripolitania e la Cirenaica. Austria e Germania, preoccupate per l’indebolimento turco e quindi di un probabile intervento da parte della Russia nei Balcani, proposero un compromesso tra Italia e Turchia, riconoscendo l’occupazione di fatto della 11

Wikipedia , http://it.wikipedia.org/wiki/trattato_di_fez cfr. G. Mammarella, P. Cacace, , La politica estera dell’Italia, dallo Stato unitario ai giorni nostri, Bari, Laterza, 2010. 13 A. Camera, R. Fabietti, op. cit., p. 1039 14 R. Albrecht-Carrié, op. cit., p.313 12

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Libia da parte dell’Italia sotto la sovranità formale dell’impero turco. Il presidente del consiglio Giolitti vide in queste trattative una limitazione dell’impresa italiana e tempestivamente riuscì ad ottenere dal Re Vittorio Emanuele III un decreto che proclamava la sovranità assoluta dell’Italia in Tripolitania e Cirenaica ancora prima del concludersi della guerra15. Nel 1912, con l’intento di un’azione negli stretti, l’Italia si volse verso l’Egeo e procedette con l’occupazione delle isole del Dodecaneso. Questa mossa aumentò i timori delle potenze e le loro proteste contro l’estensione della zona delle operazioni. In particolare l’Austria sosteneva che ciò andava contro agli accordi della Triplice. Seguì un’intensa attività diplomatica finchè i turchi furono costretti a venire a patti per il timore di complicazioni nei Balcani16. Nell’ottobre dello stesso anno si ebbe l’accordo tra le due parti. L’atto prevedeva che: il Sultano concedesse l’autonomia a Tripolitania e Cirenaica e ritirava le truppe dalle due regioni; l’Italia si ritirava dalle isole dell’Egeo e la Turchia non rinunciava ufficialmente alla sovranità sulla Libia ma solo all’amministrazione e all’occupazione militare.17 Col pretesto, però, che le truppe turche erano rimaste in Cirenaica l’Italia mantenne l’occupazione nel Dodecaneso dove rimase fino al 1946.

1.2 Le ragioni della neutralità spagnola nel 1914 In relazione alla crisi europea dell’estate 1914 il governo spagnolo analizzò le possibili conseguenze di un intervento. Il Re Alfonso XIII sembrava incline ad appoggiare Francia e Inghilterra nel caso di un eventuale scontro con l’impero tedesco ma una volta iniziato il conflitto vero e proprio, riconoscendo di trovarsi di fronte ad ostacoli insormontabili, lo stesso Re, con il consenso del governo presieduto dal conservatore Eduardo Dato, decise per la neutralità, anche se quest’ultimo si riservava la possibilità di abbandonare questo stato in caso che pressioni esterne lo rendessero inevitabile18. Questa presa di posizione fu vista come una dichiarazione d’impotenza da parte della nazione ad affrontare il conflitto. In effetti ciò non si allontanava di molto dalla verità. La situazione spagnola era tutt’altro che florida. In primo luogo, infatti,l’economia del paese accusava ritardi nei confronti delle altre potenze europee, specialmente dal punto di vista dello sviluppo industriale. Ma anche l’instabilità politica data dai numerosi cambi di governo influì non poco nella scelta della neutralità. E dal punto di vista militare la situazione non era di certo migliore: l’esercito appariva antiquato e mal armato, e 15

cfr. http:// cronologia.leonardo.it/storia/a1911b.htm; G. Mammarella, P. Cacace, op. cit., p.58 Cfr. R. Albrecht-Carrié, op. cit 17 cfr. http:// cronologia.leonardo.it/storia/a1911b.htm; R. Albrecht-Carrié, op. cit , p.314 18 R. Pardo Sanz, España ante el conflicto bélico de 1914-1918: una espléndida neutralidad?, in Salvador Forner (ed), Conyuntura internacional y politica española, Alicante, 2010 p. 4 16

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la flotta insufficiente. Infine un altro fattore di cui non si poteva non tener conto era dato dai precedenti accordi con Francia e Inghilterra per quanto riguarda il Marocco. Accordi che riducevano notevolmente la libertà di movimento della Spagna nella politica estera e la legavano con un filo sottile con le potenze dell’Intesa19. Fin dall’inizio della guerra esisteva in Germania la convinzione che il Re Alfonso XIII fosse dalla parte tedesca. Convinzione che nasceva da una relazione diplomatica e amichevole tra lo stesso Alfonso e Guglielmo II. In realtà la neutralità spagnola era l’obiettivo della diplomazia tedesca in quanto la Germania sapeva bene di non poter pretendere altro dalla Spagna che non un atteggiamento neutrale perché indifesa di fronte a Francia e Inghilterra. Se avesse affiancato Berlino, Madrid avrebbe perso immediatamente le isole Baleari e le Canarie, tutti i porti importanti e i collegamenti con le proprie truppe in Marocco, eventualità dalla quale la Germania non avrebbe potuto proteggerla. Per questo motivo la neutralità conveniva alla Germania come sola realistica alternativa rispetto a una possibile inclinazione spagnola verso l’Intesa20.

La decisione del governo di Madrid fu presa nella consapevolezza delle difficoltà in cui verteva il paese. Il discorso di Dato del 25 agosto 1914 racchiude le motivazioni, già citate precedentemente, della scelta neutrale. Esso cercava di dimostrare come questa neutralità potesse essere sfruttata per far uscire la nazione dal suo isolamento diplomatico confidando in una pozione di prestigio in una futura conferenza di pace, intervenendo attivamente nella politica internazionale, e rafforzando così la propria posizione nel panorama mondiale: “De la neutralidad sólo no apartaría una agresión de hecho o una conminación que se nos dirigiera en términos de ultimátum para prestar nuestro concurso activo a algunos beligerantes. Ni lo uno ni lo otro es de temer, en buena hora lo diga. Alemania y Austria parecen satisfechísimas de nuestra neutralidad, que sin duda tuvo algo de sorpresa para ambas naciones, que nos creyeron comprometido con la Triple Entente. Inglaterra y Francia no nos han podido dirigir el menor reproche, ya que nuestros patos con ambos países estaban circunscrictos a la acción en Marruecos”. […] “¿ No serviríamos mejor, a los unos y a los otros, conservando nuestra neutralidad, para tremolar un día la bandera blanca y reunir, si tanto alcanzáramos, una Conferencia de la Paz en nuestro país, para que pusiera término a la presente lucha? Para eso tenemos linaje y autoridad moral, y quién sabe si a ello seremos requeridos. Por lo pronto, gestionaremos con los Estados Unidos, y aun con Italia, para apercibirnos a esa intervención”21.

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cfr. ; E. Moradiellos, op.cit.; J. Tusell, op. cit., p.100; Bernan Gerald, Storia della Spagna 1874-1936, Torino, Einaudi, 1970 p. 55; J. Ponce Marrero, La neutralidad española durante la primera guerra mundial: nuevas perspectivas, http://www.ahistcon.org/docs/murcia/…/javier_ponce_marrero_taller15.pdf 20 cfr J. Ponce Marrero, op.cit.,; Id ,La política exterior española de 1907 a 1920:entre regeneracionismo de intenciones y la neutralidad condicionada, Historia contemporánea, n°34, 2007 p.105 21 R. Menéndez Pidal, op. cit., p.333

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1.3 Opinione pubblica e partiti di fronte alla guerra europea in Italia e Spagna.

Quando in Italia il 28 giugno 1914 giunse notizia dell’attentato di Sarajevo, questa venne accolta senza particolare apprensione, dato che l’arciduca Francesco Ferdinando veniva considerato ostile all’Italia e quindi la sua ascesa al trono austriaco sarebbe stata una potenziale minaccia per gli interessi nazionali. L’Italia, se pur legata all’Austria con il patto della Triplice Alleanza, dichiarò il 2 agosto la sua neutralità, in quanto il trattato vincolava all’intervento a fianco di un alleato solo nel caso in cui questo fosse stato attaccato e non nel caso in cui questo avesse fatto ricorso alle armi per primo. In una lettera inviata a Berlino e Vienna il 2 agosto 1914 il governo espone le sue ragioni dichiarando che in Italia non era possibile fare una guerra contro la volontà e il sentimento della nazione22. Infatti, salvo una piccola minoranza,la nazione si è subito rivelata unanime contro la partecipazione ad una guerra originata da un atto di prepotenza austriaca. La guerra avrebbe dovuto imporre al bilancio dello Stato ed alle economie nazionali immensi sacrifici che avrebbero aggravato il già presente malcontento per le non floride condizioni economiche. Inoltre si sarebbero esposte le città marittime a gravi offese, con pericolosa ripercussione politica in tutto il Paese e si sarebbe rischiato di perdere le colonie23. Intanto Roma assisteva agli eventi e valutava le eventuali alternative: un possibile intervento a fianco di Vienna e Berlino, dal quale, in caso di vittoria, non avrebbe certo ottenuto adeguati ricompensi; il mantenimento ad oltranza della neutralità, con il rischio di perdere la possibilità di avere Trento e Trieste, vedere chiusa ogni possibilità commerciale nei Balcani e nel caso peggiore subire la pressione austriaca; una neutralità negoziata con Vienna con la quale avrebbe potuto ottenere almeno il Trentino; l’entrata in guerra al fianco della Triplice Intesa e le valutazioni su cosa potesse offrire un eventuale alleanza.24 Di conseguenza anche l’opinione pubblica e i partiti iniziarono a scindersi tra coloro che spingevano per un’entrata in guerra al fianco dell’Intesa, coloro che spingevano per un’entrata in guerra a fianco degli alleati, e chi naturalmente preferiva rimanere neutrale. Principalmente ci furono due schieramenti: gli interventisti e i neutralisti. Gli interventisti annoverano fra le loro file i repubblicani, gli irredentisti, i social-riformisti, i radacal-progressisti e i democratici che pressano per un intervento al fianco dell’Intesa vedendolo come il proseguo delle lotte risorgimentali per 22

I documenti diplomatici italiani, vol I, serie V, p.2 I documenti diplomatici italiani, vol I, serie V, p.3 24 cfr. wikipedia http//it.wikipedia.org/wiki/neutralit%C3%A0_italiana_(1914-1915); J Hürter – G. E. Rusconi, L’entrata in guerra dell’Italia nel 1915, Bologna, Il Mulino, 2010. 23

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l’indipendenza nazionale. Favorevoli all’intervento erano anche i nazionalisti che esaltavano gli ideali imperialistici e di potenza, appoggiando all’inizio un eventuale intervento a fianco degli alleati della Triplice, passando poi a sostenitori dell’Intesa25. I neutralisti erano fondamentalmente socialisti e in misura minore cattolici, entrambi facevano della neutralità una questione di principio, in quanto consideravano la guerra come un affare borghese e capitalistico. Ma i cattolici in particolare mantengono un atteggiamento cauto perché la Chiesa lascia intravedere sia una propensione per gli Imperi Centrali sia il timore che un’entrata in guerra possa ulteriormente compromettere la situazione diplomatica della Santa Sede che già verteva in difficili condizioni26. La possibile partecipazione del Vaticano alle trattative di pace era una vera e propria ossessione per la classe dirigente italiana: questa temeva infatti che la Santa Sede potesse ottenere, in ambito internazionale, la ridiscussione della legge delle guarentigie e della sua situazione di dipendenza dallo Stato italiano. Per questo motivo, il governo e specialmente il ministro degli esteri Sonnino, considerano il Papa Benedetto XV un pericoloso avversario per gli interessi nazionali.27 Decisamente neutralista la posizione del presidente del consiglio Giolitti che, conoscendo bene le condizioni dell’Italia ancora piene di problemi interni, sostiene che un’entrata in guerra sarebbe stata troppo gravosa per la nazione. Fra i socialisti fa capolino Benito Mussolini allora direttore dell’ “Avanti!” che al contrario promuove l’interventismo, fatto che gli causerà l’espulsione dal partito. La maggior parte della stampa è comunque a favore dell’intervento. La politica di Sonnino si orienta (a parte le iniziali prudenze tattiche) in senso interventista: egli ritiene infatti che la guerra sarà un’occasione per rafforzare l’autorità dello Stato, dando alla nazione il senso di una missione comune e più tardi il comune ricordo di una grande esperienza collettiva28. Dalla pace potranno ricavarsi alcuni vantaggi territoriali, ma nessuno di essi è forse paragonabile al grande vantaggio morale che le istituzioni, ovvero la monarchia, appare destinata a ricevere. La monarchia non sarebbe sopravvissuta alla conclusione di una pace dalla quale l’Italia non fosse uscita politicamente e territorialmente ingrandita.29 Su questo pensiero, il 26 aprile 1915, all’insaputa del parlamento, Sonnino firma il Patto di Londra che sancirà l’intervento dell’Italia al fianco dell’Intesa. Il prezzo dell’intervento sarebbe stato costituito dall’acquisizione de: il Tirolo meridionale fino al Brennero, da Trieste, dalle contee di Gorizia e di Gradisca, dall’”Istria intera fino al Quarnaro” più le isole istriane di Cherso, Lussino, altre isole minori e isolotti vicini; dalla Dalmazia con le sue isole

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cfr. P.Pieri, L’Italia nella prima guerra mondiale (1915-1918), Torino, piccola biblioteca einaudi, 1968 B.Vigezzi, L’Italia di fronte alla prima guerra mondiale, vol 1, l’Italia neutrale, Milano-Napoli, R. Ricciardi editore, 1966 p. 202; G. Rumi, , Benedetto XV e la pace 1918, Brescia, Morcelliana, 1990, p.9 27 cfr. A. Giannelli, A Tornielli, Papi e Guerra. Il ruolo dei pontefici dal primo conflitto mondiale all’attacco in Iraq, società europee di edizioni s.p.a, Milano, 2003; I Documenti diplomatici italiani, serie V, vol II p.472 28 cfr. P.Pieri, op. cit. 29 cfr. S. Romano, Storia d’Italia dal risorgimento ai giorni nostri, Longanesi&C., Milano, 1998 pp. 211 – 212 26

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maggiori situate a Nord e ad Est della medesima; dalla sovranità su Valona, l’isola di Saseno, l’intera sovranità delle isole del Dodecanneso; da una zona di influenza riconosciuta in Anatolia in caso di un totale smembramento dell’Impero Ottomano.30 Intanto continuano le manifestazioni nazionaliste, anche contro Giolitti che veniva additato dalle masse interventiste come capro espiatorio di una politica mediocre incapace di suscitare quel senso di unità nazionale di cui l’Italia aveva bisogno. Contro questi, lo stesso Giolitti, ignaro del patto e sostenuto dalla maggioranza del parlamento, combatte la sua ultima battaglia per tenere la nazione al di fuori del conflitto31, mentre il primo ministro Salandra confermato alla guida del governo dal Re senza convocare il Parlamento malgrado il diverso orientamento manifestato da una maggioranza di deputati, dichiara l’entrata in guerra il 24 maggio 191532. Con l’art. 15 del Patto di Londra lo Stato italiano si assicura anche di escludere la Santa Sede dai futuri negoziati di pace, limitando così eventuali libertà della Chiesa33. La prima guerra mondiale suscitò una profonda impressione anche in Spagna, provocando la divisione dei partiti storici, conservatori e liberali, e potenziando l’influenza elettorale di democratici, socialisti e regionalisti. Gli allineamenti ideologici furono fondamentali nel prendere posizione sulla guerra creando due grandi schieramenti “aliadófilos” e “germanófilos”, che rappresentavano le due parti della contesa dal punto di vista dell’opinione pubblica e simbolizzavano determinate idee e valori. Gli Imperi centrali, e specialmente la Germania, erano visti come i paesi che rappresentavano l’ordine, la disciplina e il principio di autorità, mentre Francia e Inghilterra rappresentavano il liberalismo, la democrazia, la ragione e il progresso. Gli orientamenti predominanti nel movimento operaio spagnolo, e buona parte degli intellettuali, facevano parte di quest’ultimo gruppo, mentre l’aristocrazia, la stampa, i conservatori, l’esercito e l’episcopato erano sostenitori del primo. Il Re era germanofilo come la maggior parte dei militari (i quali volevano prendere parte al conflitto più che altro per emulare le grandi potenze in campo); ma la sua situazione familiare imponeva la neutralità per non far torto a nessuno. Infatti si trovava stretto fra due fuochi in quanto la regina madre, l’arciduchessa Maria Cristina era austriaca, mentre la consorte, la regina Victoria Eugenia era inglese. Alcuni politici come il Conte di Romanones (maggior esponente del partito liberale),Lerroux (repubblicano socialista) e Maura tenevano per le potenze dell’Intesa (quest’ultimo pur annunciando nel 1912 il suo ritiro dalla politica attiva non mancò di esporre la propria opinione riguardo alla guerra34). Il conte di Romanones in particolare fu

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R. D’Agata, idee potere e società.Dalla presa della Bastiglia alla caduta del muro di Berlino, Soveria Mannelli, Rubettino, 2003 p. 223 31 cfr S. Audoin-Rouzeau– J .J., Becker ed. italiana Gibelli A., La Prima Guerra Mondiale, vol 1 , Torino, Einaudi, 2007 pp.193-194 32 I Documenti diplomatici italiani, serie V, vol.III pp. 603-608 33 www.treccani.it/enciclopedia/benedetto -XV(enciclopedia_dei_papi) 34 http://es.wikipedia.org/wiki/antonio_maura#V.C3.A9ase_tambi.C3.A9n

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colui che espose palesemente il proprio pensiero interventista con un editoriale pubblicato il 19 agosto 1914 intitolato Neutralidades que matan :

“ España, aunque se proclame otra cosa desde la Gaceta, está, por fatalidades económicas y geográficas, dentro de la órbita de attracción de Triple inteligencia: Francia, Inglaterra y Rusia; el asegurar lo contrario es cerrar los ojos a la evidenzia. España, además, no puede ser neutral, porque, llegado el momento decisivo, la obligarán a dejar de serlo. Si triunfa el intéres germánico, ¿se mostrare agradecido a nuestra neutralidad? Seguramente no. La gratitud es una calabra que no tiene sentido cuando se trata del interés de las naciones […] por el contrario, si fuese vencida Alemanna, lo vencedores nada tendrían que agradecernos; en la hora suprema no tuvimos para ellos ni una calabra de consuelo; nos limitamos tan sólo a proclamar nuestra neutralidad, y entonces ellos, triunfantes, procederán a la variación del mapa de Europa como crean más adecuados a sus intereses” […] “ La suerte està dechada; noy hay más rimedio che jugarla; la neutralidad no es un rimedio; por el contrario, hay neutralidades que matan”35.

La maggior parte dell’opinione pubblica approvava invece la neutralità decretata dal governo Dato. Quest’ultimo fu il difensore più attivo della neutralità fin dall’inizio del conflitto. Rifiutò infatti anche di schierare delle truppe alla frontiera francese per evitare qualsiasi tipo di influenza sull’evolversi della guerra. Per moderare le dispute interne ricorse anche alla censura e alla sospensione delle sedute parlamentari. Maura a sua volta, pur essendo favorevole alle potenze dell’Intesa, ne criticò l’atteggiamento verso la Spagna come tale da non sollecitare adeguatamente un suo intervento dalla loro parte, così da ribadire la sua posizione marginale e subalterna; provocatoriamente, poi, menzionò Tangeri e Gibilterra come i prezzi che le potenze dell’Intesa avrebbero dovuto mostrarsi disposte a pagare36. Quando alcune nazioni inizialmente neutrali entrarono in guerra, come l’Italia nel maggio 1915 e il Portogallo nel marzo 1916, il concetto di neutralità iniziò ad acquisire radicalmente differenti significati37. La discussione pubblica sul tema si focalizzò sul grado di rispetto della neutralità.

“Aliadofilós” reclamavano

maggior impegno

ufficiale

con

l’Intesa,

mentre

“germanofilós” si nascondevano dietro una ristretta neutralità che favoriva gli Imperi Centrali38. Solo gli anarcosindacalisti non presero posizione, condannando la guerra come una lotta capitalista. Si può affermare generalmente che la destra voleva la vittoria delle potenze centrali e la sinistra dell’Intesa. Ma era comunque evidente che con il Paese circondato dagli alleati un intervento a favore della Germania sarebbe stato un suicidio militare.

35

R. Menéndez Pidal, op. cit., p.331;cfr. J. Tusell, op.cit. . J. Tusell, op.cit., p. 101 37 Francisco J. Romero Salvadò, Twentieth-Century Spain: Politics and Society in Spain 1898-1998, printed in china, 1999 p. 30 38 cfr. R. Pardo Sanz, op.cit., p.8; F. Romero Salvadó “Fatal neutrality “: Pragmatism or capitulation? Spain’s foreign policy during the Great War, European History Quarterly, 2003 p.297 36

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1.4. Italia e Spagna di fronte al blocco navale britannico.

Il blocco navale operato dall’Inghilterra fin nei primi mesi di guerra (novembre 1914) apportò non pochi cambiamenti economici e sociali sia per i Paesi belligeranti che per coloro che rimasero neutrali39. Per capire meglio la situazione sarà utile dare una definizione a questa strategia militare : per embargo o blocco navale si intende il blocco degli scambi commerciali deciso da uno o più Paesi nei confronti di un Paese terzo per motivi politici o economici. Nonostante le differenti tipologie di applicazione, il comune denominatore di questa strategia di offese indiretta e preventiva è quello di isolare il più possibile il Paese nemico strangolandone l’economia e riducendone drasticamente le risorse derivanti dagli scambi commerciali con il resto del mondo. Il proclama reale britannico dell’11 marzo 1915 sancì il diritto incontrastato di impedire alla Germania qualsiasi tipo di commercio marittimo (e non soltanto, quindi, quello di armi, proiettili, esplosivi, equipaggiamenti bellici ecc)40. Per aumentarne l’efficacia, l’Intesa ordinò alle nazioni neutrali (Olanda, Islanda, Svezia, Norvegia e Spagna) di controllare minuziosamente i propri scambi commerciali al fine di verificare la legittimità di ogni singola transazione41. Le navi da guerra dei paesi belligeranti potevano sostare in un porto neutrale solo per riparare eventuali avarie e una volta operative dovevano abbandonare il porto entro 24 ore, con il combustibile minimo per arrivare al porto più vicino del loro paese. Le navi che trasportavano materiale di contrabbando per la guerra come alimenti, abbigliamento e scarpe militari non potevano essere soggette alla requisizione del carico nel caso fossero dirette a un paese neutrale, ma sarebbero state condotte in porto; se invece fossero state dirette verso un paese nemico era lecita la requisizione del carico. I belligeranti dovevano astenersi dal realizzare atti di guerra nei territori o nelle acque neutrali42. Col blocco totale, l’Inghilterra violava palesemente le norme di diritto internazionale. Gli Stati Uniti e gli altri paesi neutrali cercarono di protestare contro questa manovra che tuttavia venne permessa per far fronte alle attuali esigenze di guerra (in seguito alla scoperta dell’efficacia del sommergibile). Questa infrazione venne eseguita come misura di rappresaglia ad un’altra violazione precedente data dalla dichiarazione della zona di guerra intorno alle isole britanniche da parte della Germania43. Inoltre nel Mare del Nord, nel canale della Manica e nel Mediterraneo tutte le navi che 39

cfr. P. Pieri, op.cit. cfr. B. Bianchi, L’arma della Fame. Il blocco navale e le sue conseguenze sulla popolazione civile (1915-1919), DEP, 2010; )”, in Deportati, esuli, profughi: 2010 - Rivista telematica sulla memoria femminile, 2010 (www.unive.it) C. L Droste. – R. Prinzhofer., Il caso Lusitania, Milano, Mursia, 1974 41 La grande guerra, http://www.lagrandeguerra.net/ggembargo.html 42 cfr. Pardo Sanz R., op. cit., p.6; . B. Bianchi, op.cit., p. 4; C. L Droste. – R. Prinzhofer, op. cit., p.14; I documenti diplomatici italiani, V serie, vol III, p.41 43 C. L Droste. – R. Prinzhofer., op. cit., p.102-103 ; cfr. I documenti diplomatici italiani, serie V, vol II p. 312 40

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trasportavano merci destinate alla Germania, anche quando battevano bandiera neutrale,venivano intercettate dalla flotta inglese e i loro carichi confiscati in quanto l’Inghilterra era convinta che alcuni mercantili potessero utilizzare la bandiera neutrale come un trucco per avvicinarsi alle coste. Esortava così i neutrali ad evitare quei mari a scanso di pericoli44. La Spagna beneficiò fin da subito del suo stato di neutralità e posizione strategica rifornendo i belligeranti e trovando nuovi sbocchi commerciali là dove alcuni di questi potessero più accedere. L’operato di Dato in questo periodo fu cauto: preparò l’acquisto di vettovagliamento primario in vista dei problemi di mancanza di approvvigionamento in sostituzione del mercato tedesco chiuso dal novembre per il blocco britannico nella zona del Mare del Nord. Optò anche per mantenere un modesto programma di modernizzazione della marina militare urgente per garantire la neutralità spagnola e poter vigilare efficacemente sulla costa e nelle acque territoriali45.

La nuova situazione economica provocò la radicale caduta delle importazioni e l’aumento dei prezzi delle esportazioni. Questo significò, per una nazione relativamente povera come la Spagna, vedere improvvisamente circolare attraverso le sue frontiere un enorme flusso d’oro e scambio commerciale che portò il paese da una situazione di deficit cronico a una di enormi profitti. Comunque, questa improvvisa prosperità finì di fatto anche per rivelare la debolezza del sistema economico spagnolo, in quanto contribuì ad allargare il divario tra le aree ricche e quelle povere. La difficoltà di importare le materie prime , l’irregolarità delle esportazioni di grandi quantità delle produzioni locali spagnole e l’incremento del capitale monetario portò ad una inflazione galoppante e ad un aumento spropositato dei prezzi. Anche il sistema di trasporti precario collassò sotto le nuove pressioni. Le regioni industrializzate del Nord e dell’ Est, libere da qualsiasi concorrenza, si svilupparono ulteriormente, ma all’aumento dei profitti che vi ebbe luogo, generato dai prezzi crescenti, non corrispose né un parallelo aumento dei salari né un corrispondente sviluppo delle altre aree della penisola, al contrario penalizzate dall’inflazione e quindi (in particolare) dal peggioramento delle ragioni di scambio tra prodotti agricoli e prodotti industriali46. Dopo il 1915 crebbero i segnali del malcontento popolare che si trasformarono ben presto in tumulti per il cibo e in assalti ai negozi: era solo l’inizio di un malcontento generale che sfociò nella crisi del 1917 .

44

A Astorri. – P Salvatori., Storia illustrata della Prima Guerra Mondiale, Firenze, Giunti, 1999 p.74; I Documenti diplomatici italiani, serie V, vol II pp.684-685 45 F. Romero Salvadó, op. cit., p.31 46 cfr ibidem, p.31; G. Hermet, Storia della Spagna nel Novecento, Bologna, Il Mulino, 1999 p.69; I Documenti Diplomatici Italiani, serie V, vol. VIII, p.176

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Anche la situazione economica dell’Italia, all’inizio della guerra appariva ancora arretrata in confronto ad alcuni dei maggiori paesi industrializzati, anche se nonostante tutto nel ventennio precedente aveva avuto uno sviluppo senza precedenti. Questo sviluppo era caratterizzato da persistenti debolezze come in particolare, e soprattutto, il divario economico tra Nord e Sud. Ma la difficoltà maggiore per lo sviluppo dell’economia italiana era la mancanza di dotazioni finanziarie capaci di sostenere le varie iniziative imprenditoriali. Fu quest’ultima necessità a portare la nazione sulla strada dell’indebitamento facendo ricorso alle imposte, al debito pubblico, all’emissione di carta moneta e al prestito all’estero con Inghilterra e Stati Uniti mediante l’emissione di speciali buoni del tesoro47. Il conflitto bloccò ulteriormente lo sviluppo industriale in quanto in questo periodo l’Italia era un paese trasformatore di materie prime e in parte anche consumatore di prodotti esteri. Gli scambi durante il conflitto si mostrarono più costosi, inoltre le materie prime erano meno disponibili perché i vari paesi ne limitavano le esportazioni a causa del blocco. La bilancia agricola era sempre in deficit nei prodotti cerealicoli il che impose una razionalizzazione dei consumi di farina. Inizialmente a causa del blocco britannico l’apporto di alcuni prodotti come i generi alimentari era limitato, in seguito le limitazioni si tramutarono in divieti allargandosi ad una varietà di prodotti tra i quali quelli farmaceutici, il carbone, ecc., la penuria di questi elementi provocò un rialzo dei prezzi che colpì con durezza il potere di acquisto della popolazione48. Gli industriali che prima erano neutralisti perché puntavano a rifornire prodotti ai paesi belligeranti videro svanire con la riduzione delle materie prime questa possibilità abbracciando così l’idea della partecipazione alla guerra al fianco degli alleati, gli unici che avrebbero potuto garantire un giusto apporto di materie prime e altri prodotti durante il conflitto. Ma così non fu, nonostante l’entrata in guerra e l’aiuto degli Alleati che iniziarono a fornire le materie di prima necessità come grano e carbone per poter andare avanti49, l’Italia continuò a soffrire a causa del blocco navale fino alla fine della guerra

1.5. L’intervento italiano visto da Madrid.

Il governo spagnolo cercò di uscire dalla tradizionale passività e isolamento del passato rendendosi arbitro tra i belligeranti, puntando così ad un eventuale posizione di prestigio in una futura conferenza di pace per giocare un ruolo centrale negli affari europei50, vista anche la posizione geografica strategica della Spagna tra il Mediterraneo e l’Atlantico che le permetteva di 47

cfr. Fausto Domenicantonio, Lineamenti dell’evoluzione del debito pubblico in Italia (1861-1961),CIRSFI, www.delpt.unina.it/stof/15_pdf/ 15_6.pdf 48 cfr. J. Maynard Keynes, Le conseguenze economiche della pace, Milano, Adelphi, 2007 49 I. Montanelli ,Storia d’Italia, Milano, Rizzoli, 1979 p.450 50 F. Romero Salvadó, The Great War and the crisis of liberalism in Spain, 1916-1917, The Historical journal, 2003 p.908

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fornire servizi più o meno importanti ai belligeranti. Iniziò così ad intrattenere rapporti diplomatici con tutti i Paesi, in particolare con i neutrali e quindi anche con l’Italia. In un incontro nell’agosto 1914 con l’ambasciatore italiano Bonin, il Re esprime la sua compiacenza sull’atteggiamento neutrale italiano. Alfonso XIII rivela che la dichiarata neutralità spagnola lo ha

portato ad

intrattenere rapporti migliori che mai con Vienna e Berlino. Propone così una collaborazione tra Italia e Spagna a favore della pace nella speranza che la loro voce fosse ascoltata da tutti i governi belligeranti51. Quando trapelò la notizia che l’Italia molto probabilmente avrebbe abbandonato il proprio stato di neutralità Madrid fece note le proprie perplessità. Il Re Alfonso in persona, pur esprimendo le sue simpatie per la causa degli alleati, si augurava vivamente che l’Italia non uscisse dalla neutralità. Qualunque cosa l’Italia potesse guadagnare con la guerra non compenserebbe, secondo lui, la gravità dei sacrifici che si andrebbero ad incontrare. Egli crede di sapere che la Germania è disposta a concentrare contro Roma i propri sforzi anche a costo di perdere terreno su altri fronti e desidera la neutralità italiana anche nel proprio interesse in quanto potrebbe a suo tempo agire con lei nella mediazione di pace con vantaggio reciproco52.

Ma l’allineamento dell’Italia alle potenze dell’Intesa prima e del Portogallo poi cambiò decisamente le carte in gioco. Con l’Italia dalla parte dell’Intesa quest’ultima non avrebbe avuto più interesse a legare un alleanza con la Spagna che avrebbe avuto troppo da perdere soprattutto a livello territoriale. La notizia dell’intervento provocò delle spaccature all’interno della stampa spagnola, anche se una parte dei quotidiani mantenevano verso l’Italia un contegno corretto e in molti casi benevolo, altri come i quotidiani carlisti promulgavano una violenta campagna di calunnie ed ingiurie che andavano ad irritare non poco il governo di Roma53. La decisione italiana generò immediatamente a Madrid un senso di disagio: la Spagna, infatti, si sentì più isolata che mai nel proprio atteggiamento d’inazione forzata e vide scemare sempre di più il peso che essa poteva esercitare sugli avvenimenti. A questo timore di vedere diminuito il suo prestigio s’aggiunge quello non meno fondato di trovarsi, al momento in cui si concluderà la pace, sola e in posizione assai delicata fra tanti belligeranti prevedibilmente avidi di assicurarsi compensi ai sacrifici sostenuti54.

51

I documenti diplomatici italiani, vol I, serie V, p. 162 I documenti diplomatici italiani, vol III, serie V, p.542 53 I documenti diplomatici italiani, vol IV, serie V, p. 188 54 I documenti diplomatici italiani, vol V, serie V, p. 441 52

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2. Italia e Spagna neutrale fino all’intervento americano. 2.1. I primi tentativi di mediazione da parte di Madrid.

Durante tutta la durata del conflitto la Spagna perseguì tenacemente l’obiettivo di occupare una posizione di rilievo in una futura conferenza di pace e rafforzare così la propria posizione a livello internazionale mantenendo la propria neutralità fino alla fine della guerra e offrendosi come mediatore tra i vari Paesi coinvolti, il tutto nonostante i numerosi cambi di governo ( da Dato al conte di Romanones a Prieto, ancora a Dato e poi a Maura) e la rivoluzione del 1917. Lo stesso Re Alfonso XIII si espose in prima persona, assieme ai suoi ministri e alla diplomazia spagnola, con un’attività costante, generosa ed efficace55 atta a raggiungere l’obiettivo prefissato. Il Re si distinse seguendo tre linee d’azione: attuare manovre diplomatiche alla ricerca di offerte interessanti da parte dei belligeranti; cercare di occupare un’importante parte come mediatore; dedicarsi ad un intenso lavoro umanitario. Di queste tre solo l’ultima si concretizzò al massimo. Infatti nel maggio del 1915 fu istituito un organismo di informazione (Oficina Pro Captivis del Palacio Real) diretto dal marchese Torres Mendoza, dal quale si potevano avere notizie sulla posizione di soldati e civili fatti prigionieri o dati per dispersi, rifugiati, ostaggi o deportati. Tale organismo intendeva facilitare la corrispondenza fra famiglie separate e inoltre si occupava del rimpatrio di soldati feriti o malati e cercava di alleviare la situazione dei prigionieri di guerra e delle popolazioni occupate. L’ Oficina era composta da diplomatici, giornalisti, monache, medici e militari; questi ultimi avevano l’incarico di visitare i campi di internamento, le prigioni militari, gli ospedali e qualsiasi altro tipo di insediamento. Il lavoro dell’Oficina si rinforzò quando la Spagna fu incaricata di proteggere gli interessi dei paesi belligeranti56. Il Re Alfonso XIII si espose in particolar modo quando il 5 agosto 191457 la Germania invase il Belgio, che si era dichiarato neutrale, con un’energica protesta contro 55

cfr. N. Aguirre de Carcér, El impulso de Alfonso XIII a la España neutral en la Primera Guerra Mundial ochenta años despues, 1914-1994, http://www.cuentayrazon.org/revista/pdf/087/Num087_005.pdf 2 R.Pardo Sanz, España ante el conflicto bélico de 1914-1918: una espléndida neutralidad?, in Salvador Forner (ed), Conyuntura internacional y politica española, Alicante, 2010.,p.5; J. M. Delaunay, España trabajó por la victoria, Historia 16, n.63, 1981, p. 19 57

N. Aguirre de Carcér, La neutralidad de España durante la primera guerra mundial, I- Belgica, Ministerio de asuntos exteriores, Biblioteca diplomatica española, Madrid, 1995, p.15

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la violazione del diritto internazionale. Davanti all’insistenza spagnola si ottennero condizioni che alleggerivano notevolmente il peso della situazione ottenendo il rimpatrio di molti in Belgio, la riunificazione familiare e la libertà di corrispondenza58. L’azione mediatrice spagnola non fu certo priva di difficoltà in quanto alcuni contatti, soprattutto con gli Imperi Centrali, rischiavano di mettere a repentaglio il mantenimento del proprio stato di neutralità. Quando la Germania dichiarò guerra al Portogallo nel marzo 1916 l’ambasciatore tedesco pregò Madrid di assumere la protezione degli interessi tedeschi sul territorio portoghese. La Spagna accolse questa richiesta non senza riserve in quanto temeva che con l’avvicinarsi del conflitto ai propri confini e

l’attività della stampa filo-tedesca, tendente ad

attizzare le latenti ambizioni spagnole sul Portogallo, la situazione sarebbe degenerata con un inasprimento degli attriti che già esistevano fra i due Stati iberici fin dalla proclamazione della repubblica a Lisbona59. Inoltre, quella che l’ambasciatore italiano a Madrid definiva (in un dispaccio al suo governo) “la brama di Re Alfonso di assumere un ruolo importante” lo mise in alcuni casi (come nella negoziazione di pace tra l’Austria e il Montenegro del febbraio 1916) in una posizione scomoda di fronte alle altre potenze che credevano che egli subisse in particolar modo l’influenza della regina madre e del suo entourage tutto devoto agli interessi austriaci60. Il desiderio di mettersi in luce a tutti i costi portava Madrid a prendere come oro colato qualsiasi notizia le giungesse alle orecchie senza valutarne effettivamente la veridicità e ciò di certo portava a mettere in dubbio quelle capacità mediatrici che tanto voleva far notare creando terreno fertile per le attività propagandistiche, soprattutto tedesche, che cercavano di attirare le simpatie dei paesi neutrali61. Tutto ciò che veniva riportato dal Re Alfonso o dai suoi collaboratori era ormai messo in dubbio in quanto si era notata la tendenza di questi ad ingigantire le notizie cercando di convincere il proprio interlocutore dell’opportunità di una pronta pace62 che non sarebbe giunta poi così presto come credeva. Strettissimi furono i rapporti con la vicina Francia sia per quanto riguarda i comuni interessi in Marocco sia perché Madrid si interessò di proteggerne gli interessi in territorio tedesco63. Questi rapporti come si dirà, subiranno un peggioramento in relazione con lo sviluppo di agitazioni antimonarchiche destinate a culminare nei moti insurrezionali del 1917, in quanto si diffonderà il sospetto che questi fossero fomentati da Parigi. Negli anni non mancarono comunque le possibilità di porre fine alle ostilità. Nel dicembre 1916 ci fu una proposta di negoziazione della pace da parte

58

cfr. N. Aguirre de Carcér, El impulso de Alfonso …op.cit. I Documenti Diplomatici Italiani, serie V, vol. V, p.440-442 60 ibidem, p. 362-363 61 ibidem, p. 600-602 e p. 688-689 62 I Documenti Diplomatici Italiani, serie V, vol. VII, p.113 63 J. M. Delaunay, op. cit. p. 18 59

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della Germania che affidò a Madrid il compito di mediatore. La Spagna insistette così nel far prestare orecchio e attenzione alle proposte di pace sostenendo che queste

erano “alcune

accettabili, altre discutibili, nessuna assurda”64. Un oggettivo possibile aiuto a questa mossa tedesca giunse il 18 dicembre dello stesso anno, quando il presidente degli Stati Uniti, Wilson, emanò una nota che invitava i belligeranti a lavorare insieme per il raggiungimento della pace richiedendo alle parti belligeranti una pubblica dichiarazione circa le condizioni e gli accomodamenti in base ai quali la guerra avrebbe potuto essere chiusa65. Le potenze dell’Intesa respinsero la proposta tedesca con varie motivazioni. Dichiaratamente, esse sostenevano la tesi che la Germania avesse provocato la guerra e pertanto non avesse titolo a trattare alcunché se non questo riconoscimento e dunque la propria resa. Più riservatamente, ciascuna (e l’Italia in modo particolarmente sospettoso) temeva che l’offerta tedesca, e più ancora i singoli sondaggi riservati che Berlino conduceva tramite emissari, finissero per rimettere in questione l’insieme di affidamenti reciproci che tenevano insieme la loro alleanza (a cominciare, ovviamente, dal Patto di Londra)66. La proposta messa in circolazione dal governo imperiale fu bollata dall’Intesa più che come un’offerta di pace come una manovra di guerra; e per questa stessa ragione anche i tentativi di Papa Benedetto XV con l’allocuzione della notte di Natale dello stesso anno rivolta ai belligeranti e la nota del 1 agosto 1917, esito di una trattativa segreta fra la Santa Sede e Berlino, non ebbero esito felice (come è noto e come si tratterà più avanti in relazione al tema di questo studio67.

2.2.

La Spagna e l’offensiva di pace tedesca del dicembre 1916

Il ruolo che Berlino cercò di assegnare alla Spagna nella sua “offensiva di pace” aveva alcuni presupposti nello sviluppo delle relazioni tra i due paesi nelle precedenti fasi della guerra europea. La Germania era l’unica nazione ad aver prestato un minimo d’attenzione alla Spagna non tanto per le sue potenzialità come possibile alleato quanto per la sua posizione strategica nel Mediterraneo. Fu così che fin dai primi mesi di guerra, grazie alla sua splendida organizzazione, la propaganda tedesca si mobilitò per trovare consensi in territorio spagnolo dove riuscì ad ottenere immediatamente grossi successi68. Mentre le potenze centrali seguivano una diplomazia aggressiva che cercava di assicurare ad ogni costo il mantenimento della neutralità spagnola e allo stesso

64

ibidem, vol. VI, p.665 cfr. P.Giudici; Storia d’Italia, vol.5, Firenze, Nerbini 1929; Cronologia Leonardo, http://cronologia.leonardo.it/storia/a1917d.htm 66 I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. VI, pp. 614-616 67 cfr. P.Giudici, op. cit; Giorgio Rumi, Benedetto XV e la pace – 1918, Brescia, Morcelliana, 1990 p. 13 68 C. H. Cunningham, Spain and the war, American Political Science Review, vol II, n.3, 1917 pp.423-424 www.jstor.org/stable/1944246 65

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tempo danneggiare gli interessi dell’Intesa nella penisola iberica, le potenze dell’Intesa non erano pronte a pagare un prezzo eccessivo per un alleato che non consideravano indispensabile quindi la loro strategia era di ottenere da Madrid una partecipazione limitata agli eventi in modo tale da lasciare esclusivamente alla Spagna l’eventuale e autonoma decisione di entrare in guerra69. Le prime tensioni nelle relazioni tra Berlino e Madrid si ebbero già nel dicembre 1915 quando il governo conservatore di Eduardo Dato si dovette dimettere a causa di problemi interni causati dalla guerra. Gran Bretagna e Francia passarono all’azione facendo pressioni su Re Alfonso per far salire al governo il conte di Romanones le cui inclinazioni favorevoli alla causa alleata erano ben conosciute70. Le potenze alleate riuscirono nell’intento e il 9 dicembre dello stesso anno il conte fu eletto alla presidenza del consiglio dei ministri71. Nonostante ciò l’Intesa covava il sospetto che in realtà Madrid simpatizzasse per gli Imperi centrali. Il 12 dicembre 1916 la Germania e i suoi alleati si offrirono di negoziare, incoraggiando Alfonso XIII a sostenere la loro iniziativa di pace. Alfonso credette che il momento per diventare arbitro di pace in Europa fosse finalmente arrivato72. Un potenziale fattore di rafforzamento dell’iniziativa tedesca (che, per altro, il governo di Berlino non avrebbe saputo utilizzare) giunse, pochi giorni dopo (18 dicembre), con la nota del presidente americano Wilson ai belligeranti nella quale chiedeva si rendessero pubblici i propri obiettivi di guerra come punto di partenza per una negoziazione di pace73. Madrid si mobilitò per portare avanti la proposta tedesca, e si tenne, così, in stretto contatto non soltanto con Parigi e Londra ma anche con l’Italia. La diplomazia spagnola suggerì che l’Italia era nelle condizioni migliori per negoziare in quanto occupava territori nemici, anche se quest’ultima fece notare che nessuno degli alleati avrebbe esaminato condizioni offerte in forma separata. Da parte sua l’ambasciatore italiano, Bonin, riferiva di percepire un certo malcontento di Madrid per non essere stata consultata sul da farsi dagli Stati Uniti, ma comunque osservava che la Spagna si teneva contemporaneamente all’erta per offrire la sua azione mediatrice non appena le potenze dell’Intesa avessero dato il loro consenso74. Il tenore ufficiale della proposta di pace tedesca si manteneva generico in quanto non specificava le basi di partenza della trattativa stessa, ma in realtà Berlino condusse sondaggi indiretti e separati nei confronti di Francia, Russia, Italia e anche Spagna. Il dubbio sulla buona fede dell’offerta tedesca si faceva così sempre più forte. Perché non rendere fin da subito ufficiali e 69

F. Romero Salvadó “Fatal neutrality “: Pragmatism or capitulation? Spain’s foreign policy during the Great War, European History Quarterly, 2003 p.299 70 J. Ponce Marrero La política exterior.., op. cit, p.107 71 http://es.wikipedia.org/wiki/Conde_de_Romanones 72 cfr. . N. Aguirre de Carcér, El impulso.. op. cit. ; F. Romero Salvadó, The Great War and the crisis of liberalism in Spain, 1916-1917, The Historical journal, 2003, p.912 73 R. Pardo Sanz, op. cit., p.11 74 I documenti diplomatici italiani, serie V, vol VI, p. 665

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pubbliche le condizioni territoriali? La proposta tedesca, molti sospettavano o volevano credere in seno all’Intesa, doveva dunque avere uno scopo recondito che poteva essere solo quello di destabilizzare i rapporti fra gli Alleati75. Per quanto riguarda la Spagna la Germania si accontentava del fatto che questa non alterasse il proprio stato neutrale anche se in contatti segreti non mancava di sondare l’eventuale prezzo di un più deciso appoggio di Madrid alle proprie posizioni in una futura conferenza della pace. Promise così Gibilterra, Tangeri e mano libera sul Portogallo. Questa offerta, per quanto seccamente respinta dal governo Romanones, diede comunque la possibilità a Re Alfonso di chiedere ai governi di Londra e Parigi una controfferta apprezzabile76. Il comportamento di Romanones non poteva avere conseguenze decisive, data la ferma determinazione del re nel mantenere la neutralità. Tuttavia le potenze centrali risposero organizzando (con l’aiuto della stampa germanofila) una devastante campagna contro il primo ministro. Visti i numerosi interessi che la Germania aveva nella penisola , inclusi investimenti economici, la presenza di un primo ministro pro-alleati era una seria minaccia per i loro obiettivi. Era quindi indispensabile far cadere il governo. Il risultato raggiunto fu solo quello di spingere ulteriormente il conte di Romanones verso l’Intesa77. La resa dei conti sembrò inevitabile quando la Germania annunciò la campagna sottomarina indiscriminata all’inizio del febbraio 1917. Indistintamente qualsiasi nave che battesse o meno bandiera neutrale poteva essere affondata . Il conte di Romanones dichiarò in parlamento che il governo era determinato a prendere i provvedimenti necessari per evitare qualunque tipo di interruzione alla vita economica del Paese e i francofili proposero di seguire l’esempio degli Stati Uniti, che proprio a causa della guerra sottomarina, decisero di rompere le relazioni diplomatiche con la Germania78. Una possibilità che venne seriamente valutata dal governo Romanones preoccupato per l’isolamento sempre maggiore a cui andava incontro la nazione79. Il conte di Romanones si era già trovato in situazioni sgradevoli causate dalle azioni sottomarine tedesche.

Alcuni incidenti avvenuti nelle coste spagnole sembravano addirittura

confermare i sospetti dell’Intesa che la Spagna cercasse di favorire la Germania. Il 17 aprile 1916, per la prima volta dall’inizio della guerra, la bandiera spagnola fu attaccata da sottomarini tedeschi (anche se già precedentemente ci furono dei casi sospetti su alcune navi che vennero affondate e i cui responsabili non furono mai trovati). La stampa che si occupò del caso era divisa: alcuni giornali filo-tedeschi osservavano uno stretto silenzio sull’accaduto, mentre quelli che riflettevano il

75

ibidem, p.614-617; G. Candeloro, La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l’avvento del fascismo 1914-1922, storia dell’Italia moderna vol. VIII, Feltrinelli, Milano,1978, p.150 76 R. Pardo Sanz, op. cit., p.7 77 F. Romero Salvadó, Fatal neutrality.. op. cit, p. 301; J. Ponce Marrero, La neutralidad…, op. cit. 78 F. Romero Salvadó, Fatal neutrality.., op. cit, p. 302 79 I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. VII, p. 518

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pensiero del governo mantenevano commenti molto misurati e raccomandavano la calma per non compromettere le trattative diplomatiche. Ma i giornali liberali e quelli dell’estrema sinistra protestavano vivamente ricordando che questi attentati si stavano compiendo mentre la Spagna stava osservando da quasi due anni una scrupolosa neutralità offrendo anche asilo nei suoi porti a numerosi transatlantici tedeschi. Come riferiva a Roma da Madrid l’ambasciatore Bonin, il governo spagnolo, “giustamente infastidito dall’accaduto, si preoccupava da un lato dell’offesa arrecata alla bandiera” e soprattutto della minaccia di una diminuzione degli arrivi degli approvvigionamenti al Paese (se questi fatti si fossero ripetuti anche con le altre navi neutrali), mentre da un altro lato temeva “il fanatismo germanofilo” (tanto più che un atteggiamento troppo risoluto verso il governo imperiale, in questa situazione, avrebbe a poco a poco trascinato la Spagna nel conflitto)80. Un ulteriore fatto che destò particolare interesse fu l’arrivo nel porto di Cartagena nel giugno 1916, senza previa notizia, di un sottomarino tedesco (U-35) che si supponeva fosse autore di numerosi attacchi contro gli Alleati nel Mediterraneo. La versione ufficiale fu che questo portava ad Alfonso XIII una lettera personale di gratitudine da parte del Kaiser per per l’eccellente trattamento degli ufficiali tedeschi durante la resa alle autorità spagnole dopo la perdita delle colonie in Camerun. Tuttavia si credeva che fosse piuttosto una missione atta a coordinare una nuova azione con altri sottomarini vicino alle coste di Bilbao. Le potenze dell’Intesa esortarono così la Spagna a restringere la libertà di manovra tedesca81. Qualunque fosse in realtà il messaggio che il sottomarino portava, quello che disturbava maggiormente l’Intesa era la campagna portata avanti dalla Germania per convertire la Spagna in un teatro attivo per le operazioni di guerra82. La campagna sottomarina indiscriminata fu la goccia che fece traboccare il vaso così: il 6 febbraio 1917, Romanones fece dichiarazioni che attribuivano alla Germania la responsabilità per lo scoppio della guerra e condannavano le sue violazioni del diritto internazionale83. Nei mesi successivi al febbraio 1917 in assoluta segretezza, la diplomazia spagnola cercò di concludere un accordo favorevole con gli alleati. La Spagna chiese alla Francia, in cambio della rottura diplomatica con la Germania e un più attivo contributo alla parte alleata, ciò che già gli era stato offerto in precedenza dalla Germania ovvero Tangeri, Gibilterra e mano libera sul Portogallo.

80

I Documenti diplomatici italiani, serie V, vol. V, pp. 525-527 cfr F. Romero Salvadó, op. cit., p.299; R. Pardo Sanz, op. cit., p. 10;J. Ponce Marrero, La politica exterior…op.cit, p.107; Id, La neutralidad española durante la primera guerra mundial: nuevas perspectivas , http://www.ahistcon.org/docs/murcia/…/javier_ponce_marrero_taller15.pdf ; J. Perera Ruíz, Guerra submarina en España, Espacio, Tiempo y Forma, serie V, historia contemporánea, t.16, UNED, 2004, p.204 82 F. Romero Salvadó, op. cit., p.299 83 Nota española en despacho 551, de Willard a Lansing, 7/II/1917. NARA, RG 59, 1910-1929, 763.72/3460 in J. A. Montenero Jiménez, El despliegue de la potencia americana: las relaciones entre España y los Estados Unidos (1898-1930), Universidad Complutense de Madrid, 2006 81

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Il governo francese era pronto a raggiungere un accordo anche se per motivi interni una soluzione in Marocco non poteva essere raggiunta se non alla fine della guerra84. Finalmente, il 19 aprile 1917 l’intento tedesco di far destituire il conte di Romanones venne finalmente raggiunto. Il Conte si dimise dando la motivazione che abbandonava il potere perché non trovava nell’opinione pubblica il consenso necessario per portare avanti quella politica internazionale che egli credeva richiesta dagli interessi della Spagna. Lo stesso giorno salì al governo il liberal-democratico Manuel García Prieto dichiaratamente poco favorevole agli Alleati anche se intenzionato a mantenere una neutralità benevola verso questi ultimi. La situazione segnava comunque un punto a favore degli Imperi Centrali85.

2.3. La Spagna e i tentativi di mediazione degli Stati Uniti

Durante i primi quattro anni di guerra il Re Alfonso XIII confidò sempre nella possibilità che si potessero intavolare, con esito positivo, trattative di pace tra tutti o alcuni dei contendenti. Per raggiungere tali obiettivi era naturalmente disposto ad offrire i suoi servigi insieme agli altri capi di Stato, il presidente degli Stati Uniti o il Papa86. L’occasione di abbracciare una collaborazione con gli Stati Uniti giunse il 18 dicembre 1916 quando il presidente Wilson, che cercava ancora di mantenersi al disopra delle parti in conflitto nella speranza di poter imporre a tutti prima o poi la propria mediazione, inviò ai belligeranti una nota nella quale li invitava a far conoscere le condizioni che, secondo loro, erano necessarie per la conclusione della pace, allo scopo di rendere possibile l’apertura di negoziati, ed offriva in termini cauti se non una vera e propria mediazione, un contributo oggettivo al dialogo fra le parti87. Le pressioni subite dalla Spagna (già impegnata nella trattativa di pace per conto degli Imperi Centrali) per aderire alla nota di pace americana non furono poche e giunsero anche dalla Santa Sede88. La prima risposta alla nota americana fu quella del governo tedesco. Sebbene avesse inizialmente espresso simpatia e piacere verso la proposta americana, il 26 dicembre il governo di Berlino si espresse in modo sostanzialmente negativo, insistendo sull’idea di negoziati diretti tra i belligeranti, e mostrò di non voler ammettere la partecipazione del presidente americano alle trattative89. Il commento dell’ambasciatore italiano a Washington, Macchi di Cellere, riguardo alla risposta tedesca fu che: “per riabilitarsi di fronte agli americani e agli alleati Wilson mette ormai le 84

,R. Pardo Sanz, op. cit., p.11; F. Romero Salvadó, Fatal neutrality.,. op. cit, p. 303 I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. VII, p. 570 86 cfr. . N. Aguirre de Carcér, El impulso.. op. cit 87 G. Candeloro, op. cit.,p.151 88 I documenti diplomatici Italiani, serie V, vol. VI, p.660 89 cfr. G. Candeloro, op. cit.,p.151; P. Giudici, op.cit. 85

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carte in tavola addossando alle minacce alle insidie e alla malafede di Berlino la responsabilità dell’insuccesso della sua iniziativa”90. Inoltre, citando il giornale “World” del 29 dicembre dello stesso anno, comunicava che

vi era il fondato sospetto che la Germania non avrebbe mantenuto gli impegni assunti circa la guerra sottomarina e avrebbe presto ripreso una campagna senza tregua […] Wilson decise di dirigere ai belligeranti una nota da lui concepita non come passo verso la pace ma come un avviso ai belligeranti che gli Stati Uniti erano in pericolo di venire coinvolti, sebbene controvoglia, nella guerra e avevano perciò titolo a conoscere le aspirazioni e i termini di ciascuno. […] Anche se costretto a rompere le relazioni diplomatiche con la Germania, Wilson farà di tutto per evitare la guerra ma lui e i suoi ministri sono consapevoli che, dopo gli ultimi avvenimenti, si poteva escludere una ragionevole speranza di pace. […] Condanna inoltre la Germania per aver indotto la Svizzera, la Svezia e la Spagna a falsare col loro sostegno l’essenza della nota americana facendola apparire agli alleati come iniziativa di pace, sebbene Wilson vi dichiari di non proporre pace e di non offrire mediazione […]91.

L’Intesa per parte sua rispose il 10 gennaio 1917 con una nota comune nella quale respinse ogni parificazione delle ragioni e degli scopi delle due parti in conflitto (come appunto quella accennata da Wilson nella sua nota del 18 dicembre) accusando le potenze centrali di aver provocato la guerra e indicò nel modo seguente i propri fini di guerra: restaurazione del Belgio, della Serbia e del Montenegro; evacuazione dei territori invasi in Francia, in Russia e in Romania; indennizzo per tutti i danni arrecati; restituzione dei territori strappati in passato agli alleati con la forza e contro la volontà delle popolazioni; liberazione degli italiani, degli slavi, dei rumeni, dei cechi e dei slovacchi dalla dominazione straniera; liberazione delle popolazioni sottomesse al dominio turco e l’eliminazione dall’Europa dell’impero ottomano92. Wilson giudicò esagerati e non realizzabili i fini dell’Intesa e propose ai belligeranti una “pace senza vittoria”, la libertà dei mari e la creazione di una lega delle nazioni, che avrebbe dovuto garantire la pace stessa assai meglio del vecchio sistema dell’equilibrio delle potenze93. Anche il governo spagnolo non si assocerà alla nota americana, ma risponderà che pur disposto ad adoperarsi in favore della pace, non crede sia giunto il momento opportuno94. L’ambasciatore italiano a Washington riportò, dopo un colloquio avuto con il segretario di Stato americano, Lansing, 2 gennaio 1917, le impressioni suscitate a Washington dalla risposta spagnola e la propria interpretazione circa le ragioni di quest’ultima:

90

I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. VI, pp.669-670 ibidem 92 G. Candeloro, op. cit.,p.151 93 ibidem, p. 152; C. H. Cunningham,op cit, p. 447 94 I documenti diplomatici Italiani, serie V, vol. VI, p.664 91

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Il rifiuto della Spagna è considerato qui forse come il colpo più duro inflitto all’iniziativa di Wilson. Il modo in cui si svolse la proposta della nota era alquanto ambiguo, infatti, mentre Wilson dichiarava pubblicamente alla stampa che la sua iniziativa era prettamente americana e non si avvaleva dell’aiuto di nessuna potenza europea , nel frattempo faceva rimettere a Madrid la sua nota alle potenze belligeranti accompagnata da un invito del governo spagnolo ad associarsi alla politica degli Stati Uniti. Re Alfonso irritato da questo invito postumo fece chiedere al segretario di Stato, anche in vista delle interpretazioni contraddittorie dei vari comunicati ufficiali giunti da Washington, su quale fosse in questa occasione la politica degli Stati Uniti e fin dove eventualmente questo governo pensava di spingersi. Lansing rispose che Wilson non aveva nessuna politica definita e si sarebbe lasciato guidare dalle circostanze. Dopo di ciò, lo stesso Alfonso telegrafò personalmente […] la risposta per Wilson nella quale dichiara di non potersi associare ad un’iniziativa intorno alla quale la Spagna non è stata previamente consultata e che al momento appare anche inopportuna. La Spagna si riserva inoltre il diritto di ogni futura iniziativa in materia, sia indipendentemente da terzi sia insieme agli Stati Uniti[…]95.

La determinazione spagnola ad assumere un ruolo di rilievo si mantenne comunque anche nei momenti più difficili della guerra come quando la Germania intensificò la guerra sottomarina. All’inizio del febbraio 1917 Alfonso XIII assicurò all’ambasciatore degli Stati Uniti che la Spagna non avrebbe rotto definitivamente le relazioni diplomatiche né avrebbe dichiarato guerra alla Germania anche se si fossero intensificate le perdite di navi e di vite spagnole. Il Re manifestò che era necessario per la Spagna rimanere al di fuori del conflitto per rappresentare gli interessi dei neutrali. L’ambasciatore americano vide in questo un’ulteriore indicazione del ripetuto desiderio del Re di occupare una posizione di onesto intermediario in una futura conferenza di pace96. Tutto ciò mostrava come entro i circoli

dirigenti di Madrid esistesse un intenso spirito di rivalità ed

opposizione verso gli Stati Uniti riguardo alle rispettive possibilità delle due nazioni di giocare un ruolo importante nei negoziati di pace97. Nello stesso periodo (3 febbraio 1917) gli Stati Uniti a causa della nuova guerra sottomarina ruppero le relazioni con la Germania assecondati dalle repubbliche latinoamericane. Questo fu un duro colpo per la diplomazia spagnola e un sicuro pronostico di nuove difficoltà commerciali perché gli Stati Uniti si erano convertiti dal 1916 nel fornitore primario del paese98. La successiva dichiarazione di guerra degli Stati Uniti dell’aprile dello stesso anno non destò meraviglia. L’ambasciatore italiano a Madrid, Bonin, comunicava al suo governo un tale quadro delle reazioni dell’opinione pubblica spagnola:

95

I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. VII, p. 7 e p. 112-113 J. Ponce Marrero, la politica exterior …, op. cit., p. 108; Id, La neutralidad …, op.cit.; I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. VII, p. 543 97 C. H. Cunningham,op cit 445-446 98 R. Pardo Sanz, op.cit, p.11; I documenti diplomatici italiani, serie V, vol VII, p. 517-518 96

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La stampa liberale fa grandi elogi al messaggio del presidente Wilson che, ripudiando ogni tendenza imperialista, dichiara di prendere le armi per quei principi di civiltà e di umanità cari ai governi democratici. […] Nella grande massa poco ragionevole nella quale si colloca principalmente la germanofilia spagnola, l’intervento degli Stati Uniti accrescerà, anzi che attenuare, le simpatie per la Germania. Già molti spagnoli si dicono germanofili semplicemente per antipatia alla Francia o all’Inghilterra; molti più si dichiarano tali ora dando per motivo il rancore sempre vivo contro gli Americani rapitori di Cuba. […] la dichiarazione di guerra giunse tutt’altro che gradita al governo spagnolo il quale costretto, soprattutto dalle condizioni interne del paese, a rimanere ad ogni costo neutrale […] certamente l’entrata in guerra degli Stati Uniti reca se non altro un grave colpo alle speranze che nutriva questo governo di farsi a tempo opportuno il mediatore della pace, compito che esso sperava di assumere insieme con gli Stati Uniti ma che assai più difficilmente potrà intraprendere da solo99.

2.4. La Spagna e i tentativi di mediazione della Santa Sede.

Il Vaticano si trovava in una situazione di isolamento diplomatico che riduceva i suoi rapporti ai soli Imperi Centrali e alla Spagna. Quest’ultima in particolare si mobilitò fin dai primi giorni di guerra per far valere la posizione della Santa Sede nelle trattative diplomatiche100. I primi pronunciamenti sulla guerra da parte del Papa Benedetto XV, dell’8 settembre 1914, ripetevano sostanzialmente le richieste del suo predecessore Pio X ovvero di pregare perché la guerra avesse termine e faceva anche una diretta richiesta di pace alle potenze che non ebbe però l’esito sperato101. Un richiamo alla pacificazione venne ribadito il 10 novembre 1915 con l’enciclica “Ad Beatissimi” dove il Pontefice condannava l’egoismo umano, il materialismo, la mancanza di amore tra l’uomo e dipingeva una società barbara e spietata. La soluzione a tutto questo male era racchiusa in un ritorno ai principi cristiani cosa che si sarebbe potuta realizzare se la Chiesa fosse stata libera di operare nel mondo102. Anche l’enciclica non diede buoni frutti anzi contribuì ad un’ulteriore accanimento da parte dell’Italia per evitare che la Santa Sede potesse occupare una qualsiasi posizione ad una futura conferenza di pace103. Madrid cercò in ogni modo di convincere l’Italia a tener conto della possibilità di un’eventuale presenza della Santa Sede alla conferenza, e cominciò a farlo già mentre entrambi i paesi erano ancora neutrali. Un argomento di Madrid fu a questo proposito che, qualora la questione romana non fosse stata sollevata, l’Italia non avrebbe avuto motivo di opporsi (un’ipotesi poco credibile e realistica, come l’ambasciatore italiano a Madrid fece

99

I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. VII, p.512 cfr. A. Giannelli, A Tornielli, Papi e Guerra. Il ruolo dei pontefici dal primo conflitto mondiale all’attacco in Iraq, società europee di edizioni s.p.a, Milano, 2003; M. Italiano, La diplomazia di Benedetto XV, www.lagrandeguerra.net/ggdiplomaziabenedettoxv.html; G. Rumi, op.cit., p. 9 101 J. F. Pollard, Il papa sconosciuto, 1914-1922,Benedetto XV e la ricerca della pace, edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano), 2001, p. 103 102 cfr. M. Italiano, op.cit.; G.Rumi, op. cit.; J. F. Pollard, op. cit., p. 104 103 I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. II, pp. 207-208 100

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notare al rappresentante del governo spagnolo)104. Certo era che una tale soluzione avrebbe facilitato di molto la situazione del governo spagnolo desideroso da un lato di non fare nulla che potesse dispiacere all’Italia, ma dall’altro comunque obbligato a tener conto delle tendenze dello spirito pubblico in Spagna105 . La sorte delle possibilità diplomatiche della Santa Sede in relazione alla guerra europea fu in larga misura decisa con l’entrata in guerra dell’Italia la quale, con la firma del patto di Londra, metteva al bando ogni possibile intervento della Chiesa alla conferenza di pace106. L’ingresso dell’Italia nel conflitto preoccupava notevolmente il Vaticano che vedeva in quest’azione un’ulteriore minaccia alla sua libertà di mediazione. La Spagna, vista la situazione, cercò di utilizzare i suoi antichi legami con Benedetto XV nel tentativo di esercitare una funzione di primo piano negli affari internazionali ospitando ancora una volta una conferenza di pace a Madrid, e per far ciò, offrì al Papa di trasferirsi in Spagna mettendogli a disposizione il santuario dell’Escorial. Benedetto rifiutò l’offerta e non ebbe mai, in effetti, l’intenzione di lasciare Roma anche perché la situazione non meritava un’azione così drastica107. L’Italia, dal canto suo rassicurata dal patto di Londra, si accontentava che governo e Santa Sede convivessero senza urti né conflitti108. Quando nel dicembre 1916 Wilson pubblicò la sua nota, la Santa Sede rimase estranea al passo americano, in quanto preferiva che fosse la Spagna con gli altri paesi neutrali ad appoggiare il passo stesso, anche se ciò non portò a nessun risultato utile. Una delle ragioni di questa prudenza poteva essere il timore che aderendo all’iniziativa americana il Papa sarebbe stato tacciato di parzialità verso la Germania (visto che la nota sembrava a molti, almeno oggettivamente, avvalorare la proposta di pace tedesca di pochi giorni prima). Il ministro degli esteri italiano, Sonnino, sosteneva che: “la Santa Sede restava ora la sola che potesse in una futura migliore occasione farsi avanti come mediatrice o comunque esercitare un’azione efficace per la causa della pace. Un’azione che non avrebbe portato nessun vantaggio a Madrid anzi gli faceva perdere la possibilità di presentare un’azione personale per l’avvenire” 109. Durante quei terribili anni, diversi e infruttuosi furono i tentativi per giungere a un negoziato e porre finalmente termine al conflitto. Già nel gennaio 1915 la Germania insieme all’AustriaUngheria aveva tentato senza successo di ottenere la neutralità dell’Italia e in seguito le occasioni non mancarono: in particolare nel dicembre 1916, sia con la nota delle potenze centrali che con l’appello del presidente Wilson. In quella occasione gli Imperi centrali rimasero molto delusi dalla 104

ibidem, p. 273 ibidem, p. 384 106 www.treccani.it/enciclopedia/benedetto -XV(enciclopedia_dei_papi) 107 J. F. Pollard, op. cit. , p. 122; I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. IV, pp. 13 , 18-19, 23, 41, 515-516 108 I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. V, p.691 109 I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. VI, p.660; cfr. M. Italiano, op. cit. 105

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mancanza di un sostegno pubblico e convinto al loro progetto da parte di Benedetto XV che in effetti lo valutò privo di serie proposte concrete110. Benché potesse sembrare che l’entrata in guerra degli Stati Uniti rendesse la prospettiva di pace ancora più remota, nell’estate del 1917 certi fattori nella situazione generale suggerivano che alcune iniziative di pace a questo punto potessero avere successo111. Così il Papa fece la sua mossa rivolgendo un appello ai belligeranti il 1° agosto 1917. Benedetto XV cominciò la sua nota dalla premessa che solo la volontà da parte della Germania di evacuare i territori occupati avrebbe persuaso gli alleati a sedersi al tavolo dei negoziati e con il nunzio apostolico Pacelli chiarì i termini di discussione sui quali la Germania doveva essere preparata a negoziare la pace: la limitazione generale degli armamenti; l’istituzione di tribunali internazionali;il ristabilimento dell’indipendenza del Belgio; l’Alsazia-Lorena e altre questioni territoriali di tal genere dovevano essere definite da accordi tra i paesi interessati112. Nel corso delle trattative il nunzio non era al corrente delle vere intenzioni tedesche che erano quelle di servirsi della mediazione vaticana all’interno di una più ampia strategia diplomatica il cui asse portante non era il Vaticano, ma l’Inghilterra tramite la diplomazia spagnola113. Pur rendendosi conto ben presto che la genericità delle risposte tedesche nascondeva, in realtà, un sostanziale rifiuto, per tutto agosto, Pacelli conservò un atteggiamento ottimistico114. L’elaborazione del testo non fu cosa semplice: infatti saranno necessarie tre redazioni della nota. Il documento nella sua versione definitiva, risulta composto di tre parti: un bilancio delle precedenti iniziative di pace della Santa Sede, un’esposizione delle richieste concrete e un appello finale115. Nel suo contenuto, la nota del Papa era un notevole miglioramento sia dei suoi pronunciamenti precedenti, sia delle note tedesca e americana del dicembre precedente. Non si accontentava di vaghi riferimenti a “scambi di punti di vista” o ai “diritti” e “alle giuste aspirazioni dei popoli”. Indicava, sistematicamente, proposte per portare la guerra a una conclusione e assicurare una pace giusta e duratura: una diminuzione degli armamenti simultanea e reciproca; arbitrato internazionale; autentica libertà per le comunicazioni nei mari; reciproca rinuncia agli indennizzi di guerra; evacuazione e ricostruzione di tutti i territori occupati; un esame in spirito di conciliazione delle pretese territoriali rivali. Questa fu la prima volta nel corso della guerra che una qualche persona o potenza avesse formulato uno schema dettagliato o pratico per un nagoziato di

110

E. Fattorini, Germania e Santa Sede, il Mulino, Bologna, 1992, p.45 J. F. Pollard, op. cit. , p. 144 112 ibidem., p. 147 113 E. Fattorini, op. cit., p. 58 114 ibidem, p. 53 115 ibidem 111

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pace116. La nota invitava infine i governi ad accettare queste basi di discussione allo scopo di “giungere quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno di più, appare un inutile strage”117. La nota di pace dell’agosto 1917 era l’espressione della fiducia che il Papa aveva nella disponibilità del governo tedesco. La nota fu inviata prima di ottenere dal governo tedesco la dichiarazione del proprio atteggiamento di fronte ai punti presentati da Pacelli proprio per impedire che questa apparisse (come non era, in effetti) il prodotto di una ispirazione tedesca. Anzi, l’anticipazione dell’invio della nota colse di sorpresa la Germania e le vicende diplomatiche di quelle settimane d’agosto furono complicate118. La Santa Sede avrebbe agito in tal senso anche per non essere vincolata da proposte che essa non avrebbe potuto accettare. L’occasione dell’invio della nota era dato anche dal fatto che il 2 agosto cadeva il terzo anniversario dallo scoppio della guerra e le potenze dell’Intesa riunite a Londra, per discutere delle gravissime difficoltà del momento, avrebbero potuto valutare anche il documento pontificio119. Le reazioni da parte delle potenze alla nota furono pressoché similari in quanto o per un motivo o per l’altro portavano tutte alla medesima soluzione: il rifiuto. L’Italia, sempre sospettosa nei confronti delle iniziative della Chiesa, sosteneva che la nota papale non fosse altro che il prodotto di un accordo del Papa con le potenze centrali e un ulteriore tentativo per salvare l’AustriaUngheria, dichiarava perciò che la nota non dovesse essere presa troppo sul serio120. Il governo tedesco assunse invece un atteggiamento dilatorio per diverse settimane prima di opporre un netto rifiuto al punto centrale della trattativa (l’indipendenza del Belgio e la riparazione dei danni) mentre i governi dell’Intesa si rivelarono contrari alla nota fin da subito. Da più parti il pontefice venne accusato di parzialità e di volere favorire l’uno o l’altro dei belligeranti. Per i governi alleati prese posizione Wilson con una risposta diffusa nelle cancellerie, ma anche in tutta la stampa, per tramite della diplomazia inglese, vista la mancanza di rapporti diplomatici diretti tra Washington e il Vaticano:

La nota è da respingersi non per un disaccordo sui singoli punti né perché non fa cenno al fatto che i danni causati dal governo Imperiale tedesco debbano essere riparati. L’obiezione è radicale, riguarda i presupposti stessi della nota e cioè il ritorno alla situazione precedente il conflitto. Ciò sarebbe infatti del tutto insufficiente ad assicurare una pace giusta e duratura, visto che l’oggetto di questa guerra è liberare i popoli del

116

J. F. Pollard, op. cit., pp. 147-148; G. Candeloro, op. cit., p. 178; I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. VIII, pp. 582-583 117 G. Candeloro, op. cit., p. 178 118 G. Rumi, op. cit., p15 119 E. Fattorini, op. cit., p. 53 120 G.Rumi, op. cit., p. 51; E. Fattorini, op. cit., p. 66; G. Candeloro, op. cit., p. 179; I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. VIII, pp. 624-625

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mondo dalla minaccia e dall’effettiva potenza di un esteso regime militare controllato da un governo irresponsabile121.

Più che una base di trattativa, la risposta di Wilson appare sostanzialmente un manifesto che riaffermava le ragioni e gli scopi della guerra condotta dai governi alleati122. Nel frattempo anche la Spagna, impegnata a ristabilire l’ordine interno alterato dalla rivoluzione, risponde alla Santa Sede:

il governo spagnolo riconosce il cuore paterno della Santa Sede e le ragioni per la quale è intervenuta; il governo spagnolo non essendo stato consultato non è in grado di esprimere opinioni in proposito e non può appoggiare l’iniziativa del Papa; il governo spagnolo rende giustizia ai sentimenti che ispirano la nota papale e, senza appoggiarla, vorrebbe trovare una formula che con spirito di giustizia renda al mondo i benefici della pace 123.

Gli effetti politici della nota del Papa furono quindi pressoché nulli, ma sul terreno propagandistico, in particolare la definizione della guerra come “inutile strage”, ebbe larga risonanza poiché contribuì ad accentuare le speranze dei popoli in una prossima pace e al tempo stesso pose il Papa in una posizione di grande prestigio morale rafforzando la sua autorità di capo religioso e di campione dell’umanità tanto gravemente offesa dagli orrori del conflitto in corso124.

121

E. Fattorini, op. cit., p. 63 ibidem 123 G.Rumi, op. cit., p. 55; I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. IX, p.29 124 G. Candeloro, op.cit., p.179 122

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3. Italia e Spagna di fronte a Wilson 3.1. L’atteggiamento italiano nei confronti dei Quattordici punti.

Il governo italiano serbava non poche riserve sull’atteggiamento del presidente americano Wilson. Le preoccupazioni al riguardo aumentarono quando la partecipazione degli Stati Uniti alla guerra fu ormai inevitabile e così anche la conseguente partecipazione alle trattative ufficiali di pace. Il 19 aprile 1917 l’ambasciatore italiano a Washington, Macchi di Cellere, commentava così l’atteggiamento americano:

il contributo dell’America fatalmente utile alla causa degli alleati è un’ipoteca usuraria sulle condizioni della pace[…] l’ambizione di Wilson di dettare pace non è di oggi. Durante due anni egli ha subordinato la sua politica e gli interessi del paese alla speranza di mediare o arbitrare da neutro. Fallitogli il gioco […] per evitare l’isolamento, egli è entrato in guerra in nome di principi elevati e con un’apparenza di nobile disinteresse ma in sostanza per garantire, per quanto è possibile, la futura sicurezza del paese ad esercitare la voluta influenza nel convegno della pace.[…] Alla pace Wilson porterà con se il bagaglio delle sue teorie e delle sue prevenzioni. Fra le prime, la distruzione dell’autocrazia e del potere militare, il sostegno del principio di nazionalità, la rivendicazione del diritto all’esistenza dei piccoli Stati; fra le seconde, l’avversione agli ingrandimenti territoriali e il principio della libertà dei mari, principio mai ben determinato, al quale per altro si connette il diritto degli Stati di non avere precluso lo sbocco al mare […]. Se l’opinione pubblica americana avesse potuto sentire la nostra guerra come la sentiamo noi, e devono sentirla i nostri alleati, la mentalità,[…], di Wilson ne sarebbe rimasta certamente modificata e assoggettata125.

Fino alla fine del conflitto l’Italia ebbe un atteggiamento diffidente verso le idee americane; tanto più poichè il carattere della guerra in generale e della guerra italiana, in particolare nel 1917, era stato fortemente modificato proprio dall’intervento degli Stati Uniti ma anche dalla rivoluzione russa e dalla sconfitta italiana di Caporetto126. Dall’orrore della guerra, i popoli del mondo uscivano con aspettative e speranze alquanto diverse, e non di rado, in contraddizione tra loro. Comune fu il desiderio di imprimere una svolta radicale capace di allontanare gli spettri di nuovi possibili conflitti. Ma la strada imboccata concretamente fu quella di attribuire agli sconfitti l’esclusiva responsabilità della guerra. E fu una

125

I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. VII, pp. 571-572 G. Candeloro, La prima guerra mondiale, il dopoguerra, l’avvento del fascismo, storia dell’Italia moderna, vol. VIII, Milano, Feltrinelli, 1978, p. 200 126

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strada che non facilitò di certo una solida e profonda pacificazione127. Anche se Wilson con la pubblicazione, l’8 gennaio 1918, dei “quattordici punti” (dove era riassunta la posizione americana rispetto al conflitto mondiale) cercò di creare una base solida per le trattative di pace128. I punti prevedevano: 1. l’abbandono della diplomazia segreta ovvero trattati di pace palesi, apertamente conclusi in seguito ai quali non vi potranno essere accordi internazionali segreti di alcuna specie; 2. la libertà dei mari in pace e in guerra e quindi libertà assoluta della navigazione marittima oltre il limite delle acque territoriali sia in tempo di pace che di guerra, salvo per i mari che potessero essere chiusi in tutto o in parte mediante azione internazionale in vista dell’esecuzione di accordi internazionali; 3. la rimozione delle barriere doganali e la promozione di un sistema commerciale internazionale integrato e quindi, soppressione, fino al limite estremo possibile, di tutte le barriere economiche e la creazione di condizioni di parità nei riguardi degli scambi commerciali fra tutti i paesi che aderiranno alla pace e si uniranno per il mantenimento di essa; 4. la riduzione degli armamenti ossia la concessione ed assunzione di garanzie adeguate che gli armamenti nazionali saranno ridotti al limite compatibile con la sicurezza interna dei singoli paesi; 5. la definizione delle dispute coloniali secondo modalità che tengano conto degli interessi tanto delle potenze occupanti quanto delle popolazioni soggette delle aspirazioni coloniali; 6. l’evacuazione dei territori russi occupati di adozione e in tutte le questioni riguardanti la Russia, delle soluzioni più adatte ad ottenere la migliore e più libera collaborazione di tutti gli altri paesi ai fini di assicurare alla Russia la possibilità di giungere ad un proprio assetto politico indipendente ed ad una propria politica nazionale; 7. il Belgio dovrà essere sgombrato e restaurato senza tentativo alcuno di limitarne la sovranità che gode al pari delle altre nazioni libere; 8. i territori francesi compresa l’Alsazia-Lorena dovranno essere liberati, le regioni invase dovrebbero essere ricostruite e il torto fatto dalla Prussia alla Francia nel 1871 con l’occupazione dell’Alsazia-Lorena dovrebbe essere riparato; 9. la ridefinizione dei confini italiani secondo “criteri di nazionalità chiaramente identificabili” cioè dovrebbe essere attuata una revisione dei confini dell’Italia, sulla base della facilmente riconoscibile frontiera etnografica; 10. l’autonomia delle diverse popolazioni entro l’Impero austro-ungarico : ai popoli dell’Austria- Ungheria dovrebbero essere concesse più ampie possibilità di sviluppo autonomo;11. la risistemazione dell’area balcanica che ricostruisse tra l’altro il territorio di Serbia, Montenegro e Romania, assicurando alla prima adeguati sbocchi al mare; 12. l’autodeterminazione per le popolazioni non turche entro l’impero ottomano e il controllo internazionale degli stretti dei Dardanelli; 13. la costituzione di una Polonia indipendente con

127 128

A. Astori- P. Salvatori, Storia illustrata della prima guerra mondiale, Firenze, Giunti, 1999 p. 163 ibidem

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accesso al mare; 14. la creazione di una società delle nazioni e la stipulazione di un patto per la reciproca garanzia dell’indipendenza politica e dell’integrità territoriale129. Le opinioni del ministro degli esteri Sonnino (che non appoggiava affatto le idee wilsoniane) in proposito giunsero pochi giorni dopo all’ambasciatore italiano a Washington - “prego V.E. di far pervenire al presidente Wilson”- gli telegrafò il 10 gennaio 1918,

[…] i sensi del mio compiacimento e della mia ammirazione per il suo messaggio che così nobilmente mette in evidenza la giustizia della causa per la quale gli alleati combattono. Voglia in pari tempo informare codesto governo che io reputo doverosa sincerità di far presente che la definizione degli scopi di guerra dell’Italia contenuta nel predetto messaggio comporta qualche chiarimento. Il presidente afferma che la sistemazione delle frontiere dell’Italia dovrà essere effettuata secondo linee di nazionalità chiaramente riconoscibili. Non v’è dubbio che nelle regioni confinanti col Regno d’Italia siano chiaramente riconoscibili le linee di nazionalità, ma non deve essere trascurato il fatto che in altre regioni la popolazione è di carattere misto di italiani con slavi e con tedeschi e che pertanto una delimitazione equa non potrebbe aver luogo se non sulla base di mutue concessioni e di reciprochi sacrifici. Il presidente Wilson sembra far consistere le rivendicazioni italiane unicamente nell’aspetto etnico mentre ve ne sono altre il cui fondamento giuridico è egualmente incontestabile. Anzitutto vi è la questione adriatica che per l’Italia significa legittima sicurezza di esistenza e il presidente possiede ampiamente gli elementi atti a dimostrare la legittimità di questo postulato dal quale è esclusa ogni idea imperialistica[…]. Vi è inoltre la questione dell’equilibrio del Mediterraneo orientale. Le diverse locuzioni adoperate dal presidente Wilson per le regioni dell’Impero Ottomano abitate da turchi e per quelle abitate da altre nazionalità farebbero ritenere ammissibile che per queste ultime solamente si stabiliscano delle zone di interesse a favore delle potenze europee.[…] Su tutte queste questioni l’Italia ha concluso accordi specifici con i suoi alleati prima di entrare in guerra. Per sua personale notizia Le comunico che sono contrario ad ogni attuale revisione di quegli accordi i quali legano gli alleati quanto noi stessi.[…]130.

L’occupazione di tutti i territori già austriaci riconosciuti all’Italia dal patto di Londra fu comunque completata dalle truppe italiane subito dopo la fine delle ostilità nel novembre 1918. Questo fatto contribuì a diffondere nell’opinione pubblica italiana la convinzione che ormai ogni problema relativo alla definitiva attribuzione all’Italia dei territori promessi dal patto di Londra potesse considerarsi superato. Questa impressione, tuttavia, non rispondeva assolutamente all’effettiva situazione diplomatica nella quale il governo italiano si trovava e con la quale si apprestava a partecipare alle trattative di pace131. Gli Italiani occuparono il Trentino, l’Alto Adige, il Venezia Giulia, l’Istria e la Dalmazia. Ma per quest’ultima la Serbia fece opposizione e il contrasto provocò una serie di reazioni a catena che lo resero sempre più aspro. La clausola, dello stesso patto, che attribuiva Valona all’Italia con un “adeguato entroterra” fu interpretata in modo che le truppe non si limitarono a estendere l’occupazione a quasi tutta l’Albania, ma si spinsero fin

129

http://it.wikipedia.org/wiki/Quattordici_Punti; R. Albrecht- Carrié, op. cit., pp. 394-395 I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. X, pp. 46-47 131 G. Candeloro, op. cit., pp. 241-242 130

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dentro il Montenegro132. Il presidente Wilson, che non si considerava minimamente impegnato dal patto di Londra, (alla cui stipulazione gli Stati Uniti non avevano partecipato) restava, nei riguardi dell’Italia, sostanzialmente fermo a quanto aveva enunciato nel nono dei suoi quattordici punti133. Il presidente del consiglio italiano Orlando e il ministro degli esteri Sonnino sapevano che il vantaggio di avere in mano militarmente i territori rivendicati era in gran parte annullato da una posizione di sostanziale inferiorità dell’Italia rispetto agli alleati , in particolare rispetto agli Stati Uniti, i cui rifornimenti e appoggi finanziari erano necessari alla sopravvivenza stessa della pace. Essi commisero quindi un grave errore quando, nell’illusione di rafforzare la loro posizione di fronte agli alleati, stimolarono una campagna di stampa favorevole alla totalità delle rivendicazioni riconosciute dal patto di Londra ed evitarono così di diffondere nell’opinione pubblica italiana una visione più realistica della situazione internazionale134. La linea politica tendente a limitare fortemente le rivendicazioni italiane riconosciute dal Patto di Londra si notava chiaramente nelle prese di posizione sui fini di guerra assunte da parte inglese e da parte americana: il discorso del presidente inglese Lloyd George il 5 gennaio 1918 in una riunione delle Trade Unions e il messaggio del presidente americano Wilson al congresso degli Stati Uniti dell’8 gennaio dello stesso anno. Lloyd George affermò infatti che l’Inghilterra si proponeva di ottenere il ristabilimento dell’indipendenza del Belgio, della Serbia e del Montenegro; lo sgombero dei territori occupati dagli Imperi centrali in Francia, in Italia e in Romania; la restituzione alla Francia dell’Alsazia-Lorena e la “soddisfazione delle legittime rivendicazioni degli italiani che vogliono essere uniti ai loro fratelli di lingua e stirpe”; dichiarò inoltre che l’Inghilterra non voleva lo smembramento dell’Austria, né della Germania, né della Turchia135. Di fronte alle prese di posizione di Lloyd George e di Wilson, Sonnino reagì ribadendo la necessità che fossero riconosciute le esigenze di sicurezza strategica che erano alla base delle rivendicazioni adriatiche dell’Italia riconosciute dal Patto di Londra. Orlando invece non esclude la possibilità di una pace di compromesso che implicava un’eventuale rinuncia italiana ad alcune di quelle rivendicazioni136.

La conferenza di pace lavorò a Parigi tra l’8 gennaio e il 28 giugno 1919. I paesi vinti e i paesi vincitori non ebbero eguaglianza di status: i primi non avevano titolo a partecipare ai lavori di elaborazione dei trattati; vennero ammesse soltanto obiezioni scritte nei confronti delle bozze che infine furono loro sottoposte, prima della stesura definitiva da prendere o lasciare. Tra i paesi vincitori si costituì poi in effetti una sorta di direttorio ( il “Consiglio dei Quattro”) costituito dai 132

I. Montanelli, Storia d’Italia, Milano, Rizzoli, 1979, p.450 G. Candeloro, op. cit., pp. 241-242 134 ibidem, p. 242 135 ibidem, pp. 200-201 136 ibidem, pp. 201-202 133

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capi di Stato e di governo degli Stati Uniti (Il Presidente Wilson), della Gran Bretagna (Lloyd Gorge), della Francia ( Clemenceau) e dell’Italia (Orlando), assistiti dai rispettivi ministri degli Esteri e cioè da Lansing, da Curzon, da Tardieu e da Sonnino137. A Versailles gli italiani si trovarono subito di fronte alla ferrea volontà di Wilson di far rispettare il nono dei suoi quattordici punti. Ma il contrasto si accese su tutta la questione del trattato di Londra che gli americani respingevano sia in linea di principio sia in linea di fatto, sostenendo che non erano stati informati ( e non era vero) e che essendo un trattato segreto era in conflitto con il primo dei quattordici punti138; gli italiani dal canto loro erano, invece, ansiosi di vedere soddisfatte le loro rivendicazioni139. Wilson non sollevò obiezioni all’annessione del Tirolo del Sud, sebbene la sua popolazione fosse quasi totalmente austriaca. Dando prova di un certo realismo, in contrasto con la sua nomea di visionario, egli riconosceva un diritto dell’Italia al Brennero come sua frontiera naturale, ma non ammetteva che oltre un milione di slavi venissero trasferiti “ come un gregge” dentro i confini italiani. Questa opposizione mise in imbarazzo i franco- inglesi che erano decisi a rispettare il patto di Londra, ma nello stesso tempo non volevano inimicarsi l’unica potenza in grado di riassestare le loro economie non meno disastrate di quella italiana e ciò aggravò la crisi che covava in seno alla delegazione italiana140. La posizione di Sonnino a riguardo era ancor più ferma di quella di Wilson:

non regge nemmeno in via generale la tesi di Wilson che vorrebbe trovare una sufficiente ragione per attenersi esclusivamente al puro principio di nazionalità nella determinazione dei confini politici, trascurando ogni concetto di difesa strategica e di sicurezza d’indipendenza nella eventuale per quanto ancora assai difficile e problematica costituzione di una forte Lega delle Nazioni alla quale venga affidata la sicura tutela dell’integrità e della incolumità di ogni Stato dalle ingiustificate aggressioni altrui […] occorre che ogni Stato trovi nella delimitazione geografica delle proprie frontiere politiche quel minimo di condizioni difensive che basti a dargli il tempo di ricorrere utilmente al patronato della Lega delle Nazioni e a questa di intervenire efficacemente in sua difesa. […] Per l’Adriatico l’Italia non potrebbe mai riscontrare nella sola potente organizzazione di forza navale messa a disposizione della Lega delle Nazioni, una sufficiente tutela dalle aggressioni del nemico date le condizioni singolarmente diverse delle due sponde di detto mare […]141. Orlando avrebbe volentieri rinunciato alla Dalmazia in cambio di Fiume ma doveva fare i conti oltre che con Sonnino con l’opinione pubblica che reclamava una pace altrettanto vittoriosa. 137

R. D’Agata, Idee, potere e società. Dalla presa della Bastiglia alla caduta del Muro di Berlino, Soveria Mannelli, Rubettino, 2003, p. 247 138 G. Mammarella, La politica estera dell’Italia, dallo stato unitario ai giorni nostri, Bari, Laterza, 2010, p. 79 139 R. Albrecht- Carrié, op. cit, p. 411 140 I. Montanelli, op. cit., p. 451 141 I documenti diplomatici italiani, serie V, vol. X, pp. 95-96

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Perciò, invece di proporre il baratto, che sarebbe stato facilmente accettato, egli chiese sia la Dalmazia che Fiume mentre la Jugoslavia, non soltanto respingeva tutto il patto di Londra, ma chiedeva addirittura l’annessione di Trieste e di Gorizia e proponeva di sottoporre la diatriba all’arbitrato di Wilson. Contro quest’abile mossa gli italiani non fecero nulla, anzi la favorirono assumendo un atteggiamento di rigido rifiuto che trasformò quello italo-jugoslavo in uno scontro italo-americano. Wilson propose una sua linea di compromesso che lasciava dentro la frontiera italiana quasi 400 mila sloveni ma ne tagliava fuori Fiume che considerava molto più necessaria alla Jugoslavia che all’Italia142. Furono proposte altre variazioni come quella di dare a Fiume, Zara e Sebenico, i centri più caratteristicamente ed etnicamente italiani in territorio slavo, uno statuto di città libere sotto controllo della Società delle Nazioni143. La delegazione italiana rimaneva però della propria idea ed era irremovibile, così, alla lunga, su Orlando e Sonnino finì per riversarsi un atteggiamento di supponenza e di fastidio degli altri protagonisti, che confermava la sostanziale disistima sulla rilevanza dell’apporto italiano alla guerra. La situazione precipitò il 23 aprile 1919 quando Wilson, con un gesto particolarmente insolito per le tradizioni diplomatiche, di fronte alla irremovibilità di Orlando e Sonnino, indirizzò un appello direttamente al popolo italiano in cui lo invitava alla moderazione e al rispetto dei diritti delle altre nazionalità. A questo punto i rappresentanti italiani scelsero di rimarcare l’anomalia del gesto “wilsoniano” con un gesto altrettanto clamoroso: l’abbandono della conferenza e il ritorno a Roma, dove furono accolti e acclamati da manifestazioni popolari. Scelsero, così, di cavalcare i sentimenti di frustrazione e di rivalsa nazionalista che né essi né la classe dirigente nel suo insieme sarebbero poi riusciti a governare, gettando il Paese nello sconforto. In quel momento prese forma e vigore il mito della “vittoria mutilata”144. Questo seguito di gesti provocatori provocò all’interno del governo un conflitto fra gli ultranazionalisti, convinti che l’Italia potesse affermarsi come grande potenza solo ingrandendosi territorialmente a spese di altre nazioni, e i democratici che di queste nazioni esigevano il rispetto145. Intanto la conferenza procedeva e Wilson rimaneva irremovibile e al di là della frontiera da lui proposta accettava solo la creazione di uno stato-cuscinetto che, data la preponderanza slava, sarebbe stato alle dipendenze di Belgrado146. In principio Lloyd George e il presidente francese Clemenceau avevano tentato di indurre Wilson ad un gesto conciliante. Ma quando seppero che

142

I. Montanelli, op. cit., p. 451; G. Mammarella, op. cit., p.80 G. Mammarella, op.cit., p. 81;I. Montanelli, op. cit., p. 452 144 S. Audoin-Rouzeau – J.J. Becker, La prima guerra mondiale, vol. II, Torino, Einaudi, 2007, p. 375; A. Astori- P. Salvatori, op. cit.,p.167 145 I. Montanelli, op. cit., p. 450 146 ibidem, p. 453 143

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Sonnino aveva ordinato di testa sua (9 marzo 1919) lo sbarco di un piccolo corpo di spedizione ad Adalia in Asia Minore per assicurarsi i compensi promessi in quella zona dal Patto di Londra, persero la pazienza e decisero di riprendere per contro tutti i negoziati con l’Austria e la Germania. Fu così che tutte le colonie tedesche in Africa vennero spartite tra Francia e Inghilterra senza nessun riguardo per l’Italia, e Lloyd George dichiarò seccamente che se questa seguitava a rifiutarsi di partecipare alle trattative, voleva dire che intendeva stipulare una pace separata, il che annullava il Patto di Londra. Il 4 maggio Orlando e Sonnino risalirono sul treno per Parigi dove furono accolti come degli ospiti poco graditi147. Gli italiani si sentirono frustrati e ingannati, sia per il modo in cui le loro rivendicazioni erano state accolte, sia per non essere riusciti ad ottenere tutto ciò che avevano sperato (ovvero anche Fiume e la Dalmazia)148. Un accordo tra l’Italia e la Jugoslavia per la città di Fiume verrà raggiunto in seguito, nel 1920, riconoscendola come città indipendente149.

3.2. Valutazioni italiane circa gli orientamenti di Madrid.

Madrid non aveva fatto segreto delle proprie intenzioni di ottenere una posizione di prestigio alla conferenza di pace. Fin dai primi mesi di guerra, infatti, si impegnò affinché questo potesse avvenire mantenendo sempre il proprio stato di neutralità. La Spagna cercò di fare di “neutralità virtù” con l’intento di rilanciare il prestigio internazionale del Paese. Puntò, così, tutto sul lavoro umanitario del Re, il suo talento mediatore e i buoni scambi realizzati dai diplomatici spagnoli come rappresentanti degli interessi di molti belligeranti150. Roma non mancò di osservare l’atteggiamento spagnolo durante i suoi negoziati e l’idea che si fece in proposito nell’arco degli anni rimase pressoché invariata. In un comunicato del 14 maggio 1916 rivolto al ministro degli esteri Sonnino, l’ambasciatore italiano a Madrid, Bonin, rimarcava il proprio pensiero sulla politica di Madrid:

[…] la manovra (tedesca) trova poi terreno particolarmente favorevole in Spagna per il vivissimo desiderio dal quale è animato Re Alfonso di rappresentare una parte importante al momento in cui si potrà seriamente parlare di pace. Nei primi tempi della guerra egli vagheggiò forse anche di poter intervenire come mediatore armato; svanito quel sogno dopo le proporzioni gigantesche prese dal conflitto, Sua Maestà non abbandona quello 147

, ibidem, p. 452; G. Mammarella, op.cit., p.80 R. Albrecht- Carrié, op. cit, p. 426 149 A. Astori- P. Salvatori, op. cit., p. 169 150 R. Pardo Sanz, op. cit., p.15 148

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della mediazione pacifica e della scelta di Madrid come sede dei negoziati. Perciò tutte le voci vere o false di disposizioni pacifiche delle potenze belligeranti trovano qui felice credito, e tutti i ministeri spagnoli che si sono succeduti dall’inizio della guerra sono sempre stati alle vedette per cogliere al volo la prima occasione che si offrisse d’iniziare la vagheggiata azione mediatrice. Di questo desiderio vi è traccia evidente e forse troppo accentuata nel discorso della Corona […] Vi è finalmente un’altra ragione per la quale qui si presta facilmente fede a tutte le voci di pace che si diffondono, ed è che ognuno è disposto a credere vero quanto desidera che avvenga, e la Spagna, malgrado i vistosi guadagni realizzati con le forniture ai belligeranti, sente sempre più il disagio economico cagionato dalla guerra […]151.

Queste parole riassumevano quello che Bonin continuava a sostenere fin dal principio del conflitto, inoltre, spesso teneva a specificare che le notizie date dal re Alfonso andavano sempre prese con qualche “beneficio di inventario”.152 Gli stretti rapporti che Madrid manteneva con Berlino creavano ulteriori riserve, come illustrava lo stesso Bonin riportando le sue impressioni sulla conversazione avuta con il re spagnolo il 15 giugno 1916:

[…] Sua maestà ama assai maneggiare le cifre ma spesso trascura l’esattezza dei calcoli di modo che quelli che fa vanno spesso presi con molta discrezione. Ho avuto ieri l’impressione che egli esagerasse alquanto le risorse della Germania allo scopo di persuadermi che la guerra ha da essere ancora lunga […] . Ciò risponde all’intimo desiderio del re di essere l’iniziatore e il mediatore della pace futura che egli sogna possa conchiudersi sotto gli auspici della Spagna e anche negoziarsi in territorio spagnolo. Non lo potrei affermare con sicurezza, ma ho luogo a supporre che non gli manchino da parte dei nostri nemici incoraggiamenti in quel senso. Non sarebbe infatti che naturale che i tedeschi , i quali agognano sempre di negoziare la pace in base alla presente situazione militare, incoraggino tutte le ambizioni mediatrici dei neutri, e come promettevano in principio alla guerra alla Spagna Gibilterra, Tangeri l’unione iberica ecc. promettano ora a re Alfonso di accettare la sua mediazione e Madrid come sede del congresso.[…] Inoltre sua maestà, benché desideri persuadere tutti del contrario subisce tutt’ora assai l’influenza della sua Augusta madre la quale non dimentica un solo momento d’essere arciduchessa d’Austria. Tutte queste influenze cospiranti nello stesso senso spiegano perfettamente perché il re non dimostri più come nei primi tempi aperte simpatie per gli alleati[…]153.

Era chiaro che

gli italiani mantenevano nei confronti della Spagna un atteggiamento

diffidente, sia per quanto riguarda le notizie che Madrid comunicava sia per le ambizioni che questa cercava di perseguire. I primi di marzo del 1917 giunse notizia di una possibile intesa fra Spagna e Portogallo per lo sviluppo di una “armonia iberica” (difficilmente raggiungibile viste le mire spagnole sul territorio portoghese). L’ambasciatore italiano a Lisbona, Serra, comunicava a Sonnino la situazione ed esprimeva il suo pensiero sulla posizione spagnola: 151

I Documenti Diplomatici Italiani, serie V, vol. V, pp. 601-602 ibidem, p. 689 153 ibidem, pp 692-693 152

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[…] allo stato attuale delle cose e per molto tempo ancora è assolutamente impossibile pensare ad una forma qualsiasi di “entente” fra i due popoli iberici […]. Sarebbe infatti molto interessante una disamina per giudicare quale dei due paesi attualmente è il più forte ed a quale dei due più sorrida l’avvenire. La Spagna attualmente si trova in un periodo di prosperità per quelle poche risorse economiche che ha accumulato durante la sua neutralità, e da ciò si sente autorizzata ad assumere un tono di protezione verso il Portogallo, il quale dopo ripetute convulsioni politiche si trova alle prese con le più gravi difficoltà economiche e finanziarie. Però è in questi stessi fatti che si trovano gli elementi che possono portare a conseguenze opposte. Dopo la guerra, per il solo fatto di essere stato belligerante, la situazione morale e politica del Portogallo sarà molto più elevata di quella della Spagna, mentre che la produzione spagnola non più beneficiata dalla rovina della produzione degli Stati belligeranti non potrà sostenere la concorrenza nel mercato mondiale. […] La Spagna la quale dopo che con i suoi barbari metodi di governare ha distrutto il suo impero coloniale e dopo che con una malintesa politica d’isolamento si è preclusa ogni via in Africa, si attacca ora alla speranza di poter allargarsi a spese del suo vicino154

Con

l’entrata in guerra degli Stati Uniti nell’aprile 1917, (dichiarazione tutt’altro che

gradita al governo spagnolo costretto ormai ad una neutralità che diventava sempre più difficoltosa da mantenere) Madrid può dire addio a quella posizione di rilievo a cui tanto ambiva155. I primi di dicembre del 1918 iniziarono a circolare delle voci che sostenevano una possibile occupazione di Tangeri (per altro mai effettuata) per mano spagnola nell’intento di uscire dalla posizione imbarazzante creatale dall’inattesa fine della guerra. Un probabile ultimo tentativo che andasse a soddisfare in qualche modo l’opinione pubblica inquieta e desse forma concreta alle note aspirazioni sulla zona da far poi valere al congresso della pace. L’agente diplomatico a Tangeri, Rinella, informava Sonnino della situazione ed esprimeva le proprie perplessità:

[…] Una simile decisione appare tanto avventata e intempestiva e destinata quindi al più completo insuccesso che è azzardato affermare che possa realmente essere attuata. Se tale minaccia poteva infatti riuscire temibile mesi addietro quando le sorti della guerra sembravano dubbie, per le conseguenti complicazioni facili a fomentarsi dal nemico in questo ambiente offuscato da opposte passioni politiche, oggi che l’Intesa è uscita pienamente vittoriosa dall’immane conflitto, la temporanea occupazione militare di Tangeri da parte della Spagna non avrebbe altro risultato che provocare un’occupazione simile da parte dell’Intesa e specialmente della Francia. La questione non avrebbe fatto un sol passo avanti a vantaggio della Spagna e sarebbe sempre, come ora è, riservata alla decisione degli alleati.[…] il mio collega francese […] signor Boissonnas ha poi francamente dichiarato che ad un eventuale arrivo di truppe a Tangeri seguirebbe immediatamente uno sbarco di truppe francesi. È comunque opinione prevalente dei miei colleghi, da me pienamente condivisa, che la Spagna non si deciderà a precipitare qui gli avvenimenti neppure come estremo diversivo alle proprie difficoltà interne156.

154

I Documenti Diplomatici Italiani, serie V, vol. VII, pp. 313-315 I Documenti Diplomatici Italiani, serie V, vol. VII, p.512 156 I documenti diplomatici italiani, serie VI, vol. I, pp. 232-233 155

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Al termine del conflitto (nonostante i numerosi sforzi) guardando ai benefici concreti ottenuti, era chiaro che la posizione internazionale della Spagna non ne uscì rafforzata. Infatti: la Francia non ricompensò la sicurezza che Madrid gli aveva dato sulla frontiera pirenaica già dal 1914; i numerosi tentativi del Re e di Romanones che davano un prezzo alla loro belligeranza irritarono particolarmente Londra e Parigi che considerarono Madrid come un cavallo perdente, inoltre, le manie di protagonismo spagnolo nelle trattative diplomatiche risultarono alla lunga controproducenti157. Nonostante la petizione di Romanones a Wilson, del dicembre dello stesso anno, i rappresentanti spagnoli non parteciparono alla conferenza di pace di Parigi e il presidente degli Stati Uniti non si recò in Spagna come il Conte aveva richiesto. Oltretutto non conseguirono tutte le compensazioni per le perdite subite perché i vincitori consideravano che i benefici ottenuti rifornendo del necessario i belligeranti erano più che sufficienti per un Paese che non aveva contribuito col sangue al raggiungimento della pace. L’unica cosa che guadagnò fu l’invito a prendere parte del futuro Consiglio della Società delle Nazioni in forma provvisoria fino all’elezione ufficiale dei rappresentanti 158 .

157

R. Pardo Sanz, op. cit., p.15 J. Ponce Marrero, La politica exterior española de 1907 a 1920:entre regeneracionismo de intenciones y la neutralidad condicionada, Historia contemporánea, n°34, 2007,p.110; R. Pardo Sanz, op. cit, p.15 158

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Conclusioni .

La Spagna dichiarò immediatamente la propria neutralità fin dai primi giorni di guerra. Una neutralità, voluta dal Re Alfonso XIII in prima persona, che non sarà affatto facile da mantenere ma che verrà portata avanti fino alla fine con la speranza di vedere, un domani, la nazione occupare un posto di rilievo in una futura conferenza di pace e uscire finalmente dallo stato di isolamento in cui si trovava. Questa scelta non portò a Madrid tutti quei benefici che cercava di ottenere. La nazione non era pronta ad affrontare un conflitto sia a livello militare che economico ma non fu pronta neanche a far fronte a tutti quei problemi che derivarono al paese dai riflessi della guerra cui pure non partecipava militarmente, quindi anche all’instabilità sociale e politica che infine diede luogo a violenti moti. Durante gli anni di guerra si altalenarono circa una mezza dozzina di governi il che non giovò alla stabilità del paese, inoltre, il fervido desiderio di Re Alfonso di occupare un ruolo di prestigio come mediatore di pace si rivelò, alla lunga, un’utopia. A questo punto viene da chiedersi: un cambio di direzione verso l’intervento avrebbe apportato risultati migliori? Decisamente no. Il conte de Romanones fu l’unico che valutò realmente la possibilità di un intervento ma l’allineamento all’una o all’altra coalizione avrebbe portato a risultati disastrosi. Infatti, se la Spagna avesse appoggiato l’Intesa, gli Imperi Centrali avrebbero intensificato le proprie offensive sottomarine e non, e avrebbero potuto facilmente destabilizzare il paese dall’interno sfruttando la presenza di fortissime correnti germanofile. D’altro canto, se avesse appoggiato gli Imperi Centrali, l’Intesa, data la posizione geografica della Spagna, avrebbe potuto facilmente attaccarla; in tal caso, inoltre, la Spagna avrebbe rischiato di perdere il suo protettorato in Marocco che da anni condivideva con la Francia. Il mantenimento della neutralità divenne alla fine una sorta di obbligo per non rischiare di peggiorare ulteriormente una situazione che già stava costando parecchio alla Spagna. Infine, poi, i suoi tentativi di acquisire un posto fra le grandi potenze fallirono miseramente. Spagna e Italia condivisero uno status di potenze neutrali fino al maggio 1915, quando – dopo la conclusione di trattative con le potenze dell’Intesa, sancite dal patto di Londra, l’Italia attaccò l’Austria – Ungheria, in un vero e proprio rovesciamento di alleanze. Da quel momento in poi i principali interlocutori di Madrid, entro il campo dei paesi neutrali furono da un lato gli Stati Uniti e dall’altro (con tutte le peculiarità) la Santa Sede. Proprio i rapporti con la Santa Sede furono, già durante il periodo della neutralità condivisa, una causa di diffidenze e difficoltà nei rapporti tra 39


Roma e Madrid (dato l’interesse di Roma ad escludere ogni ruolo del Vaticano in future trattative di pace che contrastava con l’opposta tendenza di Madrid); e lo diventarono ancora di più dopo l’intervento italiano. La diplomazia italiana considerò con sprezzante diffidenza le ambizioni mediatrici di Madrid, come del resto diffidò ed ebbe timore degli orientamenti del governo americano “e di ogni sua possibile ingerenza negli affari europei”, tanto prima quanto dopo la finale decisione americana di intervenire autonomamente a fianco dell’Intesa nell’aprile del 1917. L’intervento americano isolò ulteriormente la Spagna nel suo status di potenza neutrale; ma del resto la quantità di diffidenze e attriti reciproci, motivati anche dalle ostilità belliche intercorse tra i due paesi non molti anni prima avevano minato ogni seria possibilità di azione congiunta a favore della pace da parte di Madrid e di Washington (mentre, del resto, altri generi di diffidenza, di carattere anche culturale o ideologico, tennero reciprocamente lontane e incapaci di ogni convergenza tutte le iniziative prese rispettivamente dagli Stati Uniti e dalla Santa Sede in direzione di una pace negoziata e poi comunque di un ordine internazionale basato sul diritto anziché sulla forza). L’ostilità italiana, appena dissimulata, fu uno dei pochi elementi che accomunarono tutte quelle politiche e tutte quelle iniziative.

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