A.D. MDLXII
U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI S ASSARI F ACOLTÀ
DI
S CIENZE P OLITICHE ___________________________
CORSO
DI
LAUREA
IN
S C I E N ZE
DELLA
C OM U N I C A ZI O N E
E
G I OR N A L I S M O
ANALISI STORICA E COMPARATIVA DELL’USO DELLA METAFORA NELLA STAMPA ITALIANA E AMERICANA
Relatore: PROF. LIVIO LIUZZI
Tesi di Laurea di: MARCO MARGOTTI
ANNO ACCADEMICO 2010/2011
Indice
Introduzione
2
1. Analisi storica della metafora 1.1 Antichità e Medioevo: Aristotele, Quintiliano, Dante 1.2 L’età moderna: Tesauro, Vico, Fontanier
4 8
2. La metafora nel linguaggio 2.1 La retorica e la poetica 2.2 La tropologia
12 15
3. I grandi problemi 3.1 La coerenza metaforica 3.2 La verità 3.3 L’oggettivismo
19 23 25
4. Il linguaggio giornalistico 4.1 Scrittura oggettiva e soggettiva 4.2 Il linguaggio figurato 4.3 Il linguaggio brillante 4.4 Gli effetti sul pubblico 4.5 Il lessico dei giornali on-line
27 30 32 34 36
5. Il linguaggio dei generi giornalistici 5.1 La politica 5.2 Lo sport 5.3 L’economia
38 43 46
6. Il giornalismo in Italia e USA 6.1 Le differenze tra il giornalismo americano e il giornalismo italiano 6.2 Il new journalism
49 54
7. I giornali e le metafore: la ricerca nei quotidiani
56
Bibliografia
66
1
Introduzione
Con il termine “metafora” si indica molto più che una semplice figura retorica o un modo di esprimersi considerato arcaico o erudito e sbaglia chi sostiene che l'uso della metafora sia di competenza solo di poeti, romanzieri, giornalisti e politici. Pochi altri argomenti hanno avuto, nel corso della storia, un' attenzione e una ricerca diffusa come quella sulla metafora. Fin dalle prime riflessioni sul pensiero e sul linguaggio, questo tema è stato affrontato da filosofi, psicologi, studiosi della poesia e del linguaggio che con le loro interpretazioni dell'argomento hanno rimpinguato la mole di testi e teorie sulla metafora. Spesso in maniera inconsapevole, tutti noi abbiamo a che fare quotidianamente con espressioni metaforiche, figure retoriche e linguaggio figurato, tanto nella lingua parlata come nello scritto. Basti pensare a quando si affronta una discussione e la si vive in termini di una battaglia: attaccare i punti deboli, sostenere tesi indifendibili, usare strategie e distruggere degli argomenti. Secondo molti autori la metafora non è solo una questione di parole, bensì di pensiero e di interpretazione della realtà. È questo che rende la metafora centrale tanto nei nostri ragionamenti come nelle nostre espressioni. La facilità con cui la metafora è in grado di veicolare un concetto per renderlo più chiaro e comprensibile fa si che questa tecnica sia molto diffusa nella comunicazione, in particolare nel giornalismo sia radiotelevisivo che scritto. In questa tesi affronterò per primo il problema della definizione della metafora come oggetto linguistico, delineandone i caratteri, l'utilizzo e le problematiche che solleva, riportando le teorie di chi nel tempo ha affrontato l'argomento. La trattazione prenderà le mosse dalle teorie antiche, a partire da Aristotele e Quintiliano, passando per il periodo medievale e le opere di Dante Alighieri, fino ad arrivare alle età moderna e le opere di Emanuele Tesauro, Giambattista Vico e Pierre Fontanier. Grande attenzione sarà dedicata alle teorie di grandi studiosi della materia quali George Lakoff e Mark Johnson e la loro opera Metafora e vita
2
quotidiana, pietra miliare della ricerca sulla metafora, e La metafora viva di Paul Ricoeur. La seconda parte sarĂ dedicata allo studio dell'uso della metafora nel linguaggio giornalistico in generale e nei generi giornalistici che fanno maggior uso della metafora, oltre a una panoramica sulle differenze tra il giornalismo italiano e statunitense. Saranno analizzate le teorie sulla brillantezza e la vivacitĂ del linguaggio giornalistico, sull'uso del linguaggio figurato e sulle caratteristiche del lessico di alcuni generi giornalistici quali la politica, lo sport, l'economia e lo spettacolo. L' ultima parte sarĂ dedicata all'esposizione di alcuni esempi dell'uso della metafora e del linguaggio metaforico nei siti internet dei principali quotidiani italiani e statunitensi, tra cui Il corriere della sera, La gazzetta dello sport, The New York Times e ESPN, frutto di una ricerca condotta tra i mesi di giugno e di luglio 2011.
3
Capitolo 1. Analisi storica della metafora
In questo capitolo sarà sviluppata una ricognizione storica delle teorie sulla metafora, a partire dalle prime nozioni filosofiche di Aristotele nel rapporto tra la dialettica e la retorica, nell’ambito delle teorie delle funzioni del linguaggio. Successivamente si passerà dal mondo ellenico a quello latino e alle opere di Quintiliano, all’interno di una revisione del concetto di metafora nel passaggio tra le due epoche. Per concludere la prima parte riguardante il periodo antico e medievale, sarà analizzata la visione di Dante Alighieri sulla metafora all’interno dell’ allegoria. Si passerà quindi ad analizzare le teorie nate durante il periodo moderno, a cominciare dalle opere di Emanuele Tesauro e le teorie sulla metafora nel periodo barocco. Sarà poi la volta di Giambattista Vico che offre una teoria sull’aspetto non razionale della metafora. Per concludere si affronterà la teoria di Pierre Fontanier che nella sua opera distingue le figure del discorso classificandole in tropi e non tropi.
1.1
Antichità e Medioevo: Aristotele, Quintiliano, Dante
La ricerca sulla metafora prende le mosse, nei primi secoli della civiltà greca, dall'opposizione tra retorica e dialettica. Subito dopo Platone, che alla verosimiglianza e al tentativo di convincere della retorica contrappone il vero e il certo della dialettica, è Aristotele che studia le figure del discorso nel tentativo di dimostrare la superiorità della dialettica sulla retorica. Secondo Aristotele il discorso si divide in tre momenti: la disposizione o invenzione, il momento della raccolta e della messa in ordine dei fatti; l'elocuzione, cioè la redazione del discorso; la declamazione. Laddove nel momento della disposizione prevale il contenuto logico e razionale del discorso, l'elocuzione e la declamazione sono momenti principalmente emotivi e espressivi. All'interno di questo percorso, le
4
figure
del
discorso
sono
considerate
elementi
propri
dell'elocuzione,
fondamentali nella redazione del discorso. Nonostante la netta separazione tra la logica e il sentimento, Aristotele tende a prediligere l'elemento logico anche nelle fasi prevalentemente
emotive e riporta nei suoi confini ciò che è proprio
dell'elocuzione. Per riuscire in questo intendo si servirà della metafora come di un elemento “di frontiera” tra logica e sentimento. Affrontando per primo il tema della natura della metafora, Aristotele nella Poetica sostiene che la metafora consiste nel dare a una cosa il nome di un'altra. La parola “metafora” deriva da metafarein, che letteralmente significa “trasportare”. Il senso che si vuole dare è il trasferimento di una parola da un contesto in cui ha un senso a un altro contesto in cui sostituisce un'altra parola, detta parola “propria”. Un brillante esempio è dato da Briosi: “Il verbo “ridere” significa qualcosa tanto nell'espressione “l'uomo ride” quanto nella locuzione metaforica “il prato ride” riferita ad un prato illuminato dal sole e coperto di fiori”. Il concetto del verbo “ridere”, proprio del contesto delle espressioni facciali degli esseri umani, viene qui trasportato in un altro contesto, completamente diverso, in cui viene associato a un prato. Lo sopo di questa operazione è principalmente estetico per evitare la banalità del discorso, senza però trasgredire ad alcune regole che Aristotele indica nell'eccedere dei termini e delle ricorrenze e il rischio di nascondere il concetto a cui la metafora si riferisce. Queste regole sono necessarie per misurare “l'appropriatezza” della metafora: l'analogia non deve riguardare termini troppo distanti tra loro, poiché essa esiste già in natura e la metafora è un mezzo rapido, ma non per forza necessario, per esprimerla. Come detto, per Aristotele la metafora non ha semplicemente una funzione estetica ma una vera e propria relazione con la realtà, tanto di conoscenza del mondo che di processo di relazione con esso. All'interno del processo metaforico, Aristotele assegna all'individuo che intraprende il percorso una funzione conoscitiva della realtà: si tratta della capacità di cogliere i caratteri di somiglianza tra i due oggetti associati nella metafora. E' attraverso questa
5
funzione che si può cogliere la possibilità di ridere sia per l'uomo che per il prato. Secondo Aristotele la capacità di saper cogliere le somiglianze è una dote naturale e non si può imparare. Basare la metafora su una somiglianza di fatto tra le cose è necessario, perché indicando il coraggio di un uomo col termine "leone", oltre a rendere vivace il discorso, si rende la somiglianza attraverso il coraggio in modo dinamico: la metafora "significa le cose in atto", come sostiene Aristotele nella Retorica. La resa dinamica del concetto indica la differenza tra la conoscenza "astratta", secondo la corrispondenza delle cose alle categorie semiotiche e differenziali, e la conoscenza come "atto intenzionale", di partecipazione alla vita delle cose stesse. La riflessione di Aristotele sull'importanza del valore conoscitivo e innovativo della metafora lo porta a sostenere che essa è superiore al paragone: se la funzione della metafora fosse solo di riferirsi a una qualità oggettiva di un primo termine attraverso un secondo termine che ha la stessa qualità, allora il paragone dovrebbe essere più adatto a un tale procedimento di pensiero. Dovrebbe essere più chiaro sostenere che " A assomiglia a B per la qualità X" piuttosto che dire " A è B". Aristotele invece sostiene che la metafora, grazie alla sua forma breve, è preferibile per la sua eleganza e rapidità, con cui ci da una conoscenza nuova. (Briosi, 1985). Il trasferimento del significato nella metafora avviene, come indica lo stesso Aristotele nella Poetica, in quattro modi: - dal genere alla specie: "Qui è ferma la mia nave": "essere fermo" è il genere, "essere all'ancora" è una specie, uno dei modi di essere fermo; - dalla specie al genere: "Diecimila azioni": un numero specifico al posto del generico "molte"; -da una specie a un'altra: "Spegnere la vita col bronzo" , al posto di "troncare"; ambedue sono speci di "togliere"; -per analogia: quando tra quattro elementi il secondo ha col primo la stessa relazione che il quarto ha col terzo; così Dioniso ha con la coppa la stessa relazione che Ares ha con lo scudo.
6
L'aspetto ornamentale ed estetico della metafora è quello su cui si insiste maggiormente, dopo Aristotele, con l'intenzione di riportare la retorica dentro i confini dell'elocuzione, staccandola dai contenuti e dai momenti dell'invenzione e della disposizione. Questa tendenza resiste fino alla reazione in epoca romana di Cicerone e soprattutto di Quintiliano. La retorica latina ripropone la metafora come momento di attività dell'oratore, di conoscenza e di pensiero. Nelle Istitutiones oratoriae Quintiliano affronta il tema dell'uso della metafora analizzando gli stili e gli ornamenti del discorso: gli arcaismi, i neologismi, l'esagerazione, la diminuzione, la similitudine. L'uso della metafora risponde alle regole che già Aristotele aveva stabilito: aderenza alla realtà e appropriatezza della decorazione. Nella visione quintilianea, la metafora è uno dei tropi e viene vista come una similitudine abbreviata, laddove per Aristotele la similitudine era una metafora allungata. La funzione della metafora è quella di trasportare un termine da un luogo in cui è proprio a un luogo in cui manca un termine proprio o dove il traslato risulta essere una scelta migliore. Per essere considerato migliore, il traslato deve rispondere ad alcune caratteristiche: deve essere sia di buon gusto che di buon senso, deve sia commuovere gli animi che esprimere meglio un concetto. Queste caratteristiche
nascondo
un'apparente
contraddizione
tra
la
necessaria
somiglianza dei termini, la licenza dei poeti di "forzare" le somiglianze e la necessità di non rendere umile e volgare la metafora. In realtà queste contraddizioni rivelano il carattere duplice della metafora e allo stesso tempo una costante tensione tra i sensi di verosimiglianza e di gusto, tra la ragione e la bellezza. Quintiliano sostiene che le cause per cui viene usato il traslato sono fondamentalmente tre: la necessità di usare un particolare linguaggio; la capacità di esprimere meglio un concetto; la forma più elegante. Nella sua teoria Quintiliano fa riferimento anche all'allegoria, distinguendone due tipi: la prima è quella prodotta da una serie ininterrotta di metafore e come esempio porta un passo di Orazio in cui si parla di guerra civile, pace e repubblica in termini di
7
tempesta, porto e nave; ognuna di queste parole ha un senso traslato e il loro insieme è un'allegoria della situazione politica. Il secondo tipo di allegoria si realizza quando l'insieme del discorso ha un secondo significato, dando vita a un'unica, grande metafora. In ogni caso, Quintiliano preferisce la metafora pura all'allegoria per la sua maggior chiarezza con cui si può cogliere il senso a cui riconduce il termine metaforico. Nel Medioevo la funzione conoscitiva del linguaggio perde di credibilità e di importanza a causa dell' affermazione della rivelazione cristiana, insieme alla svalutazione dell'esperienza personale rispetto alle verità propugnate dalla fede. L'allegoria viene considerata come uno strumento per rappresentare un'idea astratta con un'immagine convenzionale. La natura non è più alla portata dell'uomo ma viene considerata a un livello così alto che all'uomo è dato solo cogliere i segnali da interpretare. Allo stesso modo, le figure retoriche non sono più uno strumento per realizzare relazioni e analogie tra gli oggetti del mondo esterno, ma le funzione che vengono loro riconosciute sono unicamente quella decorativa del linguaggio e una paternalistica capacità di coprire le verità troppo elevate e complesse per renderle comprensibili a chi non potrebbe apprendere il significato attraverso la visione diretta. All'interno di questa panoramica si colloca la visione di Dante. Secondo il poeta fiorentino l'universo altro non è che una foresta di allegorie, creata da Dio e che i poeti riproducono nelle loro opere.
1.2 L’età moderna: Tesauro, Vico, Fontanier
Nell'età umanistica e rinascimentale non si hanno sostanziali innovazioni nella riflessione sulla metafora. Al linguaggio figurato non viene riconosciuta una funzione didattica e i tropi rientrano nell'ambito degli ornamenti del discorso, finché il loro utilizzo viene limitato alla sola funzione poetica. Accade così che, ritornando semplice ornamento, la metafora non è più legata alla rigidità delle
8
verità e delle rivelazioni della fede cristiana; si ha il ritorno alla visione aristotelica che vedeva l'utilizzo della metafora nei casi di abbellimento del discorso o di necessità per esprimere una somiglianza. Nel periodo barocco la più interessante teorizzazione sul linguaggio ci viene fornita da Emanuele Tesauro, in una visione che predilige l'uso della metafora nelle forme della decorazione e dell'ingegno. Il pensiero di Tesauro, di cui l’opera principale è il Cannocchiale aristotelico, ricalca le orme di Aristotele salvo poi discostarsi dalle linee guida della teoria del filosofo greco. Come egli stesso scrive nella sua opera, le metafore sono “argomenti urbanamente fallaci”, e “se le mordi ti lasciano le fauci piene di cenere e fumo”, ma l’apparente falsità delle metafore in realtà è un mezzo usato per ricercare la verità. E’ per questo che Tesauro preferisce la metafora, arrivando a definirla pedagogica, alla dialettica, considerandola insidiosa e in grado di schiavizzare l’ascoltatore e soffocarne la libertà della fantasia, più di quanto non facciano le menzogne del linguaggio metaforico. Secondo Tesauro unico scopo della metafora è rallegrare gli animi degli uditori, senza preoccuparsi della verità delle affermazioni, mentre la dialettica mira a corrompere l’interesse. Se da una parte il linguaggio metaforico sotto l’immagine di falsità presenta una verità, la dialettica pretende di insegnare una falsità spacciandola per vera. L’argutezza della metafora si contrappone, secondo Tesauro, sia alle fredde insidie della dialettica sia a quelle “calde” della retorica, poiché l’immaginazione metaforica è in grado, indagando e penetrando la realtà delle cose, di divenire “intelletto materiale”, superando
l’astrazione e il pericolo di “affetto
commosso”, che egli indica come effetto essenziale della metafora. La brevità della metafora costituisce la novità che è in grado di imprimere nella mente un concetto inizialmente nascosto: nel tentativo di indovinare questo significato, il lettore riesce a cogliere un senso nuovo del concetto, che lo rendo più simile a un indovino che a un solutore di indovinelli: come dice nel Cannocchiale, la metafora è una “ennimmatica voce, oscuramente chiara e tacitamente parlante, per fare indovino l’ascoltatore”.
9
A differenza di Aristotele, Tesauro ritiene che la metafora sia più bella quanto più sono lontani i termini che intende unire, dato che si ritiene sia scollegata dai generi e dalle specie cui prima era collegata e ora viene considerata autonoma. Superando le convinzioni di Aristotele, che vedeva le cose organizzate in generi e specie e legate da somiglianze insite nelle cose stesse, Tesauro rafforza il concetto secondo cui le somiglianze non sono create dall’uomo ma dalla natura stessa e la metafora altro non fa che riprodurre il motto della vita della natura e della creazione divina. Secondo Tesauro la sanità mentale è data dal rapporto tra assenza e eccesso di argutezza, poiché la pazzia è una sorta di metafora che fa si che una cosa venga presa per un altra. L’equilibrio dell’argutezza è lo specchio di ciò che avviene nella natura e la metafora è un’imitazione della realtà e del suo movimento: da qui nasce il principio tipicamente barocco secondo cui il dovere del poeta è fare a gara con la natura nell’inventare argutezze. Dopo Tesauro un’importante testimonianza ci è data dai lavori di Giambattista Vico. Nei Principi della scienza Vico cerca di indagare sulle circostanze in cui è nato il linguaggio figurato e per primo afferma che la metafora è la forma originaria del linguaggio. Il suo carattere non-razionale deriva dal fatto che l'uomo non è in grado di organizzare le cose secondo un sistema univoco di concetti, cioè distinguere gli oggetti tra di loro e da lui stesso. Vico arriva a questa conclusione osservando che la maggior parte delle figure retoriche si basa sul trasferimento di caratteri tipicamente umani agli oggetti: le prime metafore sono dunque nate come errori che poi sono stati lasciati nel linguaggio. Ugualmente la metonimia e la sineddoche sono nate per l'ignoranza di chi indicava la parte per il tutto (es: tetto per intendere casa, poiché era sufficiente un riparo sotto cui vivere per intenderlo come una casa) o il materiale per l'oggetto (es: ferro per spada, poiché non erano in grado di distinguere la spada da un qualunque altro oggetto di ferro). Rimane il fatto che la metafora ha per Vico un senso proprio, legato all'esperienza, alla pratica e quindi "vero". L'opposizione tra passione e ragione, tipica della filosofia vichiana, rispecchia il rapporto tra la
10
metafora e la percezione concreta delle cose. Gli studi successivi tendono a isolare la metafora dal discorso, rendendola oggetto di uno studio puramente linguistico da parte dei linguisti francesi come Dumarsais e, in opposizione a questo, di Pierre Fontanier nell'opera Les figures du discours. Si tratta di un ritorno della retorica in cui si scopre come la metafora sia presente in tutti i livelli del discorso e del ragionamento, riducendo di fatto la creatività della metafora ma indicandone la capacità di inserirsi nel linguaggio e differenziarsi dall'uso proprio o naturale delle parole. Nonostante la creatività sia rimessa in ombra, si dimostra indirettamente, ma concretamente, che la metafora esiste grazie alla distinzione tra "metafore d'invenzione" e "metafore d'uso". Fontanier nella sua opera distingue le figure del discorso, dividendole in "tropi" e "figure diverse dai tropi". Fra i primi indica anzitutto quelli "a una sola parola": la metonimia, la sineddoche, la metafora e la sillessi. Tra i “tropi in più parole” indica quelli il cui carattere di figura si percepisce solo se si considera l'insieme del discorso: sono figure basate sulla riflessione (iperbole, litote, allusione,...) e sull'opposizione tra ciò che è detto e ciò che viene taciuto (ironia, preterizione,...). Le figure diverse dai tropi sono indicate da Fontanier come deviazione dall'uso corrente di una parola, che non implica un mutamento del significato delle parole ma solo dell'ordine (ellissi, pleonasmo, inversione, sintesi,...) o dei suoi contenuti (eufemismo, perifrasi,...). Nella sua ricerca l'autore indica le cause generatrici delle metafore, riconducendole all'immaginazione, allo spirito e alla passione, e gli effetti dei tropi, indicando la chiarezza, la forza, l'adeguatezza e la nobiltà, facendo notare che questi criteri sono ugualmente validi come regole per l'uso delle metafore. Per sua natura, la metafora occupa quindi una posizione di frontiera tra i vari tropi studiati da Fontanier e viene infine definita come un "discorso che gioca col linguaggio per esprimere un pensiero che senza quel gioco non si sarebbe mai potuto comunicare".
11
Capitolo 2. La metafora nel linguaggio
Il secondo capitolo affronta il percorso all’interno del quale la metafora è stata analizzata e studiata, venendo inserita di volta in volta nelle dissertazioni riguardanti le funzioni del linguaggio e gli elementi del discorso. Il primo passaggio riguarda il contrasto, sollevato da Aristotele nelle sue opere, tra la retorica e la poetica, nell’ambito dell’annoso dilemma tra la ragione e la passione, tra l’eloquenza e la bellezza.
2.1. La retorica e la poetica
Quando si intraprende una ricerca sulle origini e sulle funzioni della metafora il punto di partenza è obbligatoriamente la retorica e l’autore di riferimento in questo campo è Aristotele. E’ a lui che dobbiamo l’introduzione della retorica come disciplina deputata all’argomentazione, all’elocuzione e alla composizione di un discorso. Prima di Aristotele si faceva della parola un uso selvaggio e si cercava, mediante tecniche speciali, di recepirne ambiziosamente la sua pericolosa potenza. Come sostiene Paul Ricoeur nel suo libro La metafora viva, “la parola fu un’arma destinata ad influenzare il popolo, di fronte al tribunale, nell’assemblea pubblica, o ancora con l’elogio o il panegirico: un’arma chiamata ad attribuire la vittoria
in quelle lotte nelle quali il discorso provoca la
decisione”. Prima che ne trattasse Aristotele, fu Platone a condannare la retorica e accusarla di essere arte di illusione e di inganno e appartenere al mondo della menzogna. Il confronto della retorica con la giustizia e con la filosofia, cioè con le arti che ricercano la verità piuttosto che “il ben dire”, vede soccombere la retorica, etichettata prima come pericolosa e poi come futile. Per ovviare a questa tensione, Aristotele propone di tracciare una linea di demarcazione che separi i due ambiti e sopratutto l’uso dall’abuso: creare una sfera in cui è valida la retorica e una in cui regna la filosofia. Sotto questo nuovo
12
punto di vista, le arti del discorso non potevano più essere indipendenti dalla riflessione filosofica che delimita il concetto di ciò che può essere persuasivo e, quindi, “violento” nei confronti dell’ascoltatore. La vera innovazione che Aristotele introduce è il concetto di “verosimiglianza”: se le arti più rigorose come la geometria e la filosofia prima non possono trascurare il concetto di “necessità”, cioè l’essenzialità che i termini su cui si tratta corrispondano esattamente alla realtà, l’eloquenza e le vicende umane che vengono
discusse
nei tribunali e
nelle
assemblee
si fondano
sulla
“verosimiglianza”, ovvero quella facoltà dell’uso pubblico della parola che separa l’opinione dalla scienza e allo stesso modo separa la retorica dalla sofistica. L’intuizione di Aristotele fa sì che nasca una retorica filosofica sul legame tra il concetto retorico di persuasione e il concetto logico di verosimile. Come si è detto la retorica si prefigge lo scopo di produrre la persuasione. Ma questa funzione, per quanto vasta sia la sua portata, non copre tutti gli usi del discorso. E’ qui che secondo Aristotele nasce il dualismo tra la retorica e la poetica, poiché a entrambi gli ambiti può essere riferito l’uso della metafora. La poetica è l’arte di comporre poemi, prevalentemente tragici, e per questa funzione non si serve della retorica e delle sue funzioni di biasimo, elogio o difesa. Non ha l’obbiettivo di persuadere ma piuttosto di “purificare le passioni dai terrori e dalla pietà” (Ricoeur, 1981). La metafora può essere ricondotta a entrambi gli ambiti: per la sua struttura è considerata un’operazione di trasferimento del senso delle parole, ma per la sua funzione può seguire sia l’eloquenza sia la tragedia. Quindi la stessa struttura avrà due funzioni: una retorica e una poetica. I punti fermi della teoria aristotelica sono che la metafora è qualcosa che si collega al nome, alla parola e non al discorso; inoltre è definita in termini di movimento, di trasferimento e di trasposizione dei termini. Per spiegare la metafora Aristotele crea una metafora, riconducendola al movimento: il termine phora indica lo spostamento secondo il luogo; quindi il termine stesso di metafora è metaforico, poiché preso in prestito da un campo
13
non proprio. Risulterà chiaro che non è possibile parlare della metafora in termini non metaforici e che la sua nozione è ricorrente e non riconducibile a una classificazione secondo la retorica, come per la metafora così per tutte le figure in generale. Non è possibile, per Aristotele, rimpiazzare la metafora con altri concetti non metaforici, poiché non esiste un luogo che non sia metaforico; tutte le metafore e le figure del discorso sono un gioco che si dispiega sotto i nostri occhi (Ricoeur, 1981). La definizione di metafora come “termine che si riferisce a un altro oggetto” si contrappone alla definizione di “comune, corrente” di quelle parole di cui si servono tutte le persone . Così la metafora viene accostata all’uso di termini rari, forestieri, allungati, abbreviati, definiti “scarti”. La teoria degli scarti sostiene che il linguaggio ordinario si avvalora con l’uso di una terminologia che sia chiara ma non “pedestre”. L’elocuzione fatta di termini nella loro forma e accezione ordinaria risulta chiarissima, ma pedestre. Viceversa è elevata, e si distingue dal linguaggio volgare, l'elocuzione fatta di termini “peregrini”, cioè metafore, parole allungate e tutto ciò che non sia di uso comune. A questa teoria negativa degli scarti viene accostata l’idea positiva di “presa a prestito”: se il trasferimento di senso avviene dall’esterno, è sempre possibile definire l’ambito d’origine o di prestito. Il fatto che un nome appartenga in modo proprio a un’idea non significa che sia necessariamente connesso con l’uso corrente di quel temine. L’accostamento detto prima tra chiarezza e uso normale non preclude la possibilità di separare la nozione di uso ordinario da quella di senso proprio. E’ possibile quindi prendere a prestito un termine per sostituirne uno usato nel suo senso proprio e adottarlo come uso ordinario. Parallelamente a queste due teorie viene sviluppata da Aristotele la teoria della “sostituzione”: riempire con una metafora una lacuna semantica. Per spiegare questo concetto, strettamente associata alla teoria del prendere in prestito, viene fatto un esempio tramite le regole della metafora proporzionale (B sta ad A come D sta a C): l’espressione “disseminando la divina fiamma” intende rapportare l’azione del sole che sparge la luce all’azione del contadino che getta la semente.
14
Poiché nella lingua greca non esisteva un termine dell’accezione ordinaria che indicasse la profusione dei raggi solari, Aristotele effettua la sostituzione. L’idea aristotelica di termine “forestiero” comprende quindi tre idee distinte: l’idea di scarto in rapporto all’uso ordinario; l’idea di presa a prestito da un ambito d’origine; l’idea di sostituzione di una parola ordinaria assente ma disponibile. In quest’ultimo caso se il termine metaforico è un termine sostituito allora l’informazione contenuta è nulla, quindi la metafora ha semplicemente un valore ornamentale e decorativo. La connessione tra poetica e retorica è ancora meglio espressa nel confronto tra la metafora e la similitudine. Aristotele ha sempre ritenuto la metafora superiore alla similitudine in quanto, sebbene entrambe si enunciano a partire da due termini, la similitudine ha una maggior lunghezza e una minor eleganza. Ma la superiorità della metafora si evince dal fatto che la similitudine esprime una relazione, la stessa che opera e su cui si basa la metafora, ma che in essa non viene mai enunciata. La similitudine esibisce il momento di somiglianza che è operante nella metafora (Ricoeur, 1981). Nella Poetica si dice che il poeta è colui che coglie la somiglianza; la Retorica ribadisce che in filosofia è buona intuizione cogliere l’analogia anche tra cose molto differenti. Quindi le operazioni di cogliere, contemplare e vedere somiglianze, tanto nel poeta quanto nel filosofo, sono l’elemento geniale che permette di connettere la poetica all’ontologia.
2.2 La tropologia
La retorica, dopo il mondo ellenico, ha subito un lento declino dovuto alla riduzione del suo campo: inizialmente è stata limitata alla sola teoria dell’elocuzione, lasciando da parte l’argomentazione e la composizione. Successivamente, la teoria dell’elocuzione, o dello stile, è stata ridotta a una classificazione delle figure, e quest’ultima a una teoria dei tropi; la tropologia poi è stata limitata allo studio della metafora e della metonimia.
15
La più importante teoria sui tropi ci è data dalle opere di Pierre Fontanier. Introducendo la sua teoria egli sostiene che i tropi sono dei sensi diversi dal senso primitivo, dati dall’espressione del pensiero, cioè dalle parole applicate a idee nuove. Viene subito posta in primo piano la coppia “idea-parola”, su cui si basa la definizione di tropo, ma l’idea prevale sempre sulla parola. Tutto ciò che può essere detto sulle parole è conseguente alla loro corrispondenza con le idee. Parlare delle parole e delle idee vuol dire parlare due volte delle idee: una prima volta delle “idee in se stesse”, una seconda volta delle idee in quanto “rappresentate mediante le parole” (Fontanier, Les figures du discours,1830). I tropi hanno luogo in merito a un rapporto tra due idee: la prima è legata alla parola, cioè al significato primitivo della parola presa a prestito, mentre la seconda è l’idea nuova che si annette alla parola, cioè il senso tropologico sostituito a un’altra parola propria che non si è voluto usare. Fontanier indica due poli da cui viene generata l’espressione del pensiero: la parola e la proposizione. Questa separazione è data anche dalla diversa definizione che egli da di “senso” e di “significazione”. In merito alla parola Fontanier dice che il senso è “ciò che quella parola ci fa intendere, pensare, sentire attraverso la sua significazione; a sua volta la sua significazione è ciò che la parola significa, ciò di cui è segno”. Ma il senso oltre che alla parola è riferito anche a una preposizione e a un intero discorso. In questo caso si dice che una proposizione è una frase quando, secondo una certa costruzione, presenta un senso completo e finito: si possono distinguere il senso obiettivo, il senso letterale e il senso spirituale o intellettuale. Il senso obiettivo non è contrapposto agli altri due: è il senso stesso della proposizione, quello dell’oggetto su cui si basa la proposizione. La contrapposizione si ha rispetto alle due altre categorie, che si distinguono in base al carattere delle parole: il senso letterale è quello delle parole prese alla lettera, della loro accezione nell’uso comune; “è quel senso che si affaccia allo spirito di coloro che capiscono una lingua”. Viceversa il senso spirituale, detto anche senso deviato o figurato di un insieme di parole, viene generato dal senso
16
letterale attraverso le circostanze del discorso, il tono della voce e la congiunzione dei termini espressi con quelli taciuti. La superiorità della teoria della parola rispetto a quella della proposizione è di importanza decisiva, poiché stabilisce che i tropi si fondano sulla singola parola e non sulla preposizione. Come per Aristotele, anche per Fontanier il tropo parte da due cose: sebbene il tropo consista in una parola, è tra due idee che esso a luogo, per trasferimento da una all’altra. I rapporti tra le idee si realizzano secondo una teoria costruita da Fontanier che vede tre categorie di rapporti: il rapporto di correlazione o corrispondenza; il rapporto di connessione; il rapporto di somiglianza. Le tre specie di tropi indicate da Fontaniera hanno luogo attraverso questi tre rapporti: esse sono, rispettivamente, la metonimia, la sineddoche e la metafora. Nella metonimia, per corrispondenza si intende la relazione che avvicina due oggetti che consistono ciascuno in un tutto assolutamente distinto. Ciò che distingue quindi la metonimia è la varietà dei rapporti secondo le condizioni generali della corrispondenza: causa-effetto; mezzo-fine; contenente-contenuto; cosa-luogo; segno-significato; ordine fisico-ordine morale; modello-cosa. Nella relazione di connessione due oggetti formano un insieme fisico o metafisico e l’idea di uno si trova compresa nell’idea dell’altro. A differenza della corrispondenza, che evidenzia l’esclusione, la differenza e la separazione nel rapporto tra le idee, nella connessione prevale l’inclusione, il comprendere l’esistenza di un' idea dentro un’altra: dalla parte al tutto; dalla materia alla cosa; dal singolare al plurale; dalla specie al genere; dall’astratto al concreto; dalla specie all’individuo. In questi rapporti la comprensione aumenta o diminuisce sempre in relazione al numero e alla quantità. In entrambi i casi un oggetto viene designato con il nome di un altro oggetto; sono gli oggetti che entrano in un rapporto di inclusione o di esclusione. A questa relazione si contrappone il concetto di somiglianza che contraddistingue la metafora: nel suo ambito non rientra solo il nome, ma anche il predicato, il
17
verbo, l'aggettivo e tutte le speci di parole. Ha quindi un'estensione maggiore e, non comportando delle peci, fa riferimento solo al rapporto tra le idee. Come dice Fontanier, fare di un uomo feroce una tigre o di un poeta un cigno, è molto di più che attribuirgli un nome
nuovo. In realtà così lo si sta caratterizzando,
qualificando, effettuando una trasposizione del nome fuori dalla specie; per fare questo però tutta la frase deve essere coinvolta nel processo metaforico: il nome, ma anche l'aggettivo, l'avverbio, il predicato e il verbo, realizzando il rapporto non solo tra due idee, ma tra due parole. Fontanier afferma che la metafora può essere ricavata da tutto ciò che ci circonda, tanto dalle entità reali che da quelle immaginarie, da quelle intellettuali e morali e da quelle fisiche. Per avvalorare questa tesi, fissa il criterio discriminante tra animato e inanimato. Inizialmente recupera una classificazione che individua cinque tipi di metafora: • applicazione a una cosa animata di ciò che è proprio di un'altra cosa animata; • da una cosa inanimata, ma fisica, ad una cosa inanimata, puramente morale o astratta; • da una cosa inanimata a una cosa animata; • metafora fisica da una cosa animata a una cosa inanimata; • metafora morale da una cosa animata a una cosa inanimata. • Queste cinque categorie possono essere ridotte, secondo Fontanier, a due più estese: • metafora fisica, ovvero quella in cui due oggetti fisici, animati o inanimati, sono tra loro confrontati; • metafora morale, quella in cui qualcosa di astratto o metafisico, che appartiene all'ordine morale, si trova confrontato con qualcosa di fisico e che modifica il senso di entrambi, sia che il passaggio sia dal secondo al primo sia dal primo al secondo (Fontanier, Les figures du discours,1830).
18
Capitolo 3 I grandi problemi della metafora
Con questo capitolo entreremo nel vivo degli studi moderni sulla metafora: attraverso l'opera di George Lakoff e Mark Johnson "Metafora e vita quotidiana" analizzeremo alcuni aspetti dello studio condotto dai due autori sulla penetrazione della metafora nella concezione della società e della cultura moderna. Il testo parte dall'asserzione che la metafora non è un artificio retorico o uno strumento dell'immaginazione poetica, che opera unicamente a livello linguistico. In realtà la metafora non solo è presente ovunque nel linguaggio quotidiano, ma influisce, oltre che sul linguaggio, sul pensiero e sull'azione, sul nostro sistema concettuale, che è essenzialmente di natura metaforica. Analizzeremo poi le considerazione degli autori sul tema della verità della metafora: come si affronta il tema della verità e quali sono i criteri per stabilire se le proiezioni di una metafora sulla realtà la rendono vera, variando da cultura a cultura. Il capitolo si concluderà con l’analisi dei miti dell’oggettivismo e del soggettivismo, che offrono due visioni opposte della realtà e del sistema concettuale umano. Queste teorie saranno riprese nel capitolo 4 in cui inizierà la trattazione dei temi giornalistici.
3.1 Il sistema concettuale umano Le nostre attività quotidiane, i nostri ragionamenti, le opinioni e le azioni sono regolate da dei concetti che strutturano la percezione che abbiamo della realtà, del movimento nello spazio e dei rapporti con gli altri individui. Quindi il nostro sistema concettuale svolge un ruolo fondamentale nella definizione della realtà quotidiana. Se, a ragione, gli autori sostengono che il nostro sistema concettuale è in larga parte metaforico, vien da sé che la metafora riveste un ruolo centrale nel nostro pensiero, nella nostra esperienza e nelle nostre azioni quotidiane. Solitamente però noi non svolgiamo consapevolmente le nostre azioni, ma
19
semplicemente seguiamo delle linee di comportamento generali inconsciamente, reagendo in modo automatico a determinate situazioni, anche nelle più piccole azioni quotidiane. Si tratta di stabilire e definire la natura e le modalità di esecuzione di queste linee di comportamento. In questo processo Lakoff e Johnson partono dalla considerazione del linguaggio, dato che la comunicazione si basa sullo stesso sistema concettuale che regola il nostro pensiero e le nostre azioni. Quindi il linguaggio è un punto di partenza per investigare la natura del sistema concettuale. In questa ricerca gli autori hanno constatato che gran parte del nostro normale sistema concettuale può definirsi di natura metaforica e propongono un percorso per identificare nel dettaglio quali sono le metafore che che strutturano la nostra percezione. Il primo esempio per spiegare come un concetto può essere metaforico e come questo struttura la nostra attività quotidiana si considera il concetto di "discussione" e della metafora concettuale "la discussione è una guerra". Analizzando il nostro linguaggio quotidiano si potranno trovare molte espressioni frutto di questa metafora: • Le tue richieste sono indifendibili. • Egli ha attaccato ogni punto debole della mia argomentazione. • Le sue critiche colpito nel segno • Ho demolito il suo argomento. • Non ho mai avuto la meglio su di lui. • Se usi questa strategia, lui ti fa fuori in un minuto. Nel nostro immaginario non solo la discussione è vissuta nei termini di una guerra, ma noi riteniamo effettivamente di uscire vittoriosi o sconfitti da una discussione. Il nostro interlocutore è visto come un nemico, attacchiamo le sue posizioni, difendiamo le nostre, pianifichiamo il discorso e vi adattiamo delle strategie, perdiamo e guadagniamo terreno, scegliamo delle linee di attacco. Durante una discussione noi progettiamo e realizziamo dei procedimenti che
20
realizzano la struttura del concetto di guerra, dando vita a un vero combattimento (non fisico, ma verbale). In questo senso la metafora "la discussione è una guerra" è una di quelle metafore con cui viviamo in questa cultura: essa struttura le azioni che noi compiamo quando discutiamo. L'essenza della metafora è comprendere e vivere un tipo di cosa nei termini di un altro ("Metafora e vita quotidiana" , p.21). Le discussioni sono discorsi verbali, le guerre sono conflitti armati e le loro azioni sono diverse, ma una discussione è in parte strutturata, compresa, eseguita e definita come una guerra: il concetto, l'attività e il linguaggio sono strutturati metaforicamente. Attraverso lo studio delle espressioni metaforiche, che nel nostro linguaggio sono sistematicamente collegate con i concetti metaforici, è possibile analizzare i concetti metaforici per comprendere la natura metaforica delle nostre attività quotidiane. Servendoci come esempio del concetto metaforico “il tempo è denaro” cercheremo di capire come le espressione metaforiche nel linguaggio metaforico ci fanno intuire le natura metaforica dei concetti che strutturano le nostre attività quotidiane. “Il tempo è denaro” risuona nelle seguenti espressioni: • Mi stai facendo perdere del tempo. • In questo modo risparmieremo alcune ore. • Non ho tempo da dedicarti. • Come avete impiegato il vostro tempo in questi giorni? • Questa gomma a terra mi è costata un’ora. • Ho sprecato un sacco di tempo con lei. • Avete esaurito il tempo a vostra disposizione. • Devi pianificare il tuo tempo. • Vale il tempo che ci perdi. • Non stai usando il tuo tempo in modo proficuo.
21
• Grazie per il tempo che mi hai concesso. Il tempo nella nostra risorsa è una merce pregiata,una risorsa limitata che utilizziamo per conseguire i nostri scopi ("Metafora e vita quotidiana", p.24). Nella nostra cultura il tempo è considerato centrale nella percezione del lavoro, al tempo che esso richiede e a quanto corrisponde la retribuzione sommando ore, giorni, settimane e mesi. Alcuni semplici esempi di questo concetto possono essere gli scatti del telefono, le tariffe delle camere di albergo, i salari a ore, i bilanci annuali e gli interessi sui prestiti. Una teoria riguardo alla possibilità che la metafora finisca per nascondere il concetto iniziale ci viene fornita da Michael Reddy, detta teoria della “metafora del canale”. Osservando il nostro modo di parlare del linguaggio, Reddy ritiene che sia strutturato secondo una metafora complessa: Le idee (o i significati) sono oggetti. Le espressioni linguistiche sono contenitori. La comunicazione è l’atto di spedire qualcosa.
Chi parla mette le sue idee (oggetti) in parole (contenitori) e le spedisce (lungo un canale) ad un ascoltatore che tira fuori le idee/oggetti dalle parole/contenitori. Ecco alcuni esempi delle circa cento espressioni che secondo Reddy rappresentano il settanta per cento di tutte le espressioni usate per parlare del linguaggio: • Io ti ho dato quell’ idea. • È difficile mettere in parole le mie idee. • Cerca di concentrare più pensieri in meno parole. • Il significato è proprio qui nelle parole. • L’introduzione ha un elevato contenuto sociale. • Le tue parole suonano vuote.
22
• La frase è senza significato. • L’idea è nascosta in paragrafi terribilmente oscuri. In questi esempi ci si può rendere conto come a volte le metafore oscurino alcuni aspetti del processo comunicativo.
3.2 La verità
Come abbiamo visto nel capitolo precedente, la tradizione filosofica non attribuisce alla metafora una funzione di verità ma solamente di espressione linguistica, poetica e immaginativa. Per i filosofi la verità corrisponde alla verità assoluta, oggettività, e la metafora non è direttamente in grado di asserire la verità. Secondo Lakoff e Johnson la verità è sempre relativa a un certo sistema concettuale che è in gran parte definito dalla metafora. Perciò gli autori sostengono che “in una cultura in cui il mito dell’oggettivismo è molto vivo e la verità è sempre una verità assoluta, le persone che arrivano ad imporre le loro metafore nella cultura, arrivano a definire ciò che noi consideriamo vero – assolutamente ed oggettivamente vero. È per questa ragione che consideriamo importante dare una descrizione della verità che sia libera dal mito dell’oggettivismo (secondo il quale la verità è sempre una verità assoluta). Poiché consideriamo la verità basata sulla comprensione e vediamo la metafora come il principale mezzo di comprensione, pensiamo che una spiegazione di come le metafore possano essere vere, rivelerà il modo in cui la verità dipende dalla comprensione” ("Metafora e vita quotidiana", p.182). Il modo in cui noi quotidianamente agiamo, ci comportiamo e cerchiamo di sopravvivere nel mondo, sia fisicamente che socialmente, dipende dalla nostra concezione di “verità”. Il campione delle verità che ci circondano è molto vasto: a partire da dove è ubicata la nostra casa, fino ad arrivare a riconoscere quali sono le nostre responsabilità.
23
Per arrivare a comprendere e usare tali verità è necessario che comprendiamo il nostro mondo e per fare ciò ci riferiamo a determinate categorie in cui raccogliamo le nostre esperienze dirette. Per indicare un oggetto in uno spazio noi proiettiamo queste categorie sugli aspetti del mondo fisico. Per esempio proiettiamo un orientamento contestuale “davanti-dietro”, ma non sempre il risultato è chiaro e univoco. Se prendiamo un oggetto come un albero, posto nel nostro campo visivo, e una palla tra noi e l'albero, a circa un metro, siamo portati a dire che la palle è davanti all'albero, quando gli alberi fanno parte di una serie di oggetti che non ha un davanti e un dietro. Nella stessa situazione, ci sono altre culture al mondo che direbbero che la palla è dietro l’albero. Ne risulta che l’orientamento “davantidietro” non è una proprietà intrinseca degli oggetti come gli alberi, ma piuttosto un orientamento che noi proiettiamo su di essi e i modi di questa proiezione non sono sempre gli stessi, ma possono variare da una cultura all’altra. Allo stesso modo, quando parliamo proiettiamo sugli oggetti, in relazione al nostro modo di agire rispetto ad essi, dimensioni spaziali anche “dentro-fuori” e “su-giù”. Per il primo caso l’esempio a cui si rifanno Lakoff e Johnson riguarda una radura in una foresta: identificando questa come un contenitore, è possibile considerare noi stessi come dentro la radura o fuori di essa. Ugualmente anche l’orientamento “su-giù” emerge dalla nostra esperienza diretta con il terreno, il pavimento e le altre superfici orizzontali: diciamo infatti di essere sul pavimento o sul terreno se siamo in piedi in posizione eretta e allo stesso modo diciamo che una mosca è sul muro se le sue zampe sono a contatto con esso e sul soffitto, piuttosto che sotto il soffitto, se è appoggiata su di esso. Alla luce di queste considerazioni sulle proiezioni di confini e superfici sugli oggetti, una frase come “c’è una palla davanti all’albero” può essere vera. La verità risulta quindi relativa alla comprensione e la verità su quella frase è relativa al modo normale in cui comprendiamo il mondo proiettandovi sopra un orientamento.
24
3.3 L’oggettivismo e il soggettivismo
Dopo aver sostenuto che la verità è basata sulla comprensione, affrontiamo due teorie che attribuiscono al sistema concettuale umano una natura oggettiva o soggettiva. Secondo il mito dell’oggettivismo la realtà è una, assoluta e incondizionata ed è data per scontata. I principali momenti di questa teoria possono essere riassunti in alcuni punti: • Il mondo è fatto di oggetti. Essi hanno proprietà indipendentemente da ogni persona o altri esseri che ne hanno esperienza. • Ricaviamo la nostra conoscenza del mondo attraverso l’esperienza che facciamo degli oggetti in
esso e attraverso la conoscenza delle loro
proprietà e del modo in cui gli oggetti sono in relazione gli uni con gli altri. • Comprendiamo gli oggetti del nostro mondo in termini di categorie e di concetti. Queste categorie e questi concetti corrispondono alle proprietà intrinseche degli oggetti e alle relazioni fra gli oggetti. • Vi è una realtà oggettiva su di essa noi possiamo dire cose che sono oggettivamente, assolutamente e incondizionatamente vere o false. • Il linguaggio oggettivo prevede l’uso di termini chiari e precisamente definiti, che siano semplici e diretti e che possano corrispondere alla realtà. La metafora e gli altri tipi di linguaggio poetico, ipotetico e figurato possono essere evitati e dovrebbero sempre essere evitati, dal momento che i loro significati non sono chiari e precisi e non corrispondono alla realtà in alcun modo evidente.
Viceversa il mito del soggettivismo sostiene che: • Nella maggior parte delle nostre attività pratiche noi ci affidiamo ai nostri sensi e sviluppiamo intenzioni di cui ci possiamo fidare. • Le cose più importanti nella nostra vita sono le nostre sensazioni,
25
sensibilità estetiche, pratiche morali e coscienze spirituali. Queste sono puramente soggettive; nessuna di esse è razionale o oggettiva. • L’arte e la poesia trascendono l’oggettività e la razionalità e ci pongono in contatto con la più importante realtà delle nostre sensazioni e intuizioni, attraverso l’immaginazione piuttosto che la ragione. • Il linguaggio dell’immaginazione, soprattutto la metafora, è necessario per esprimere gli aspetti unici e più significativi, a livello personale, della nostra esperienza ("Metafora e vita quotidiana", pp .207-210).
Nel capitolo seguente vedremo come l’oggettività e la soggettività caratterizzino anche la scrittura giornalistica, analizzando le tecniche fondamentali di esposizione del linguaggio giornalistico.
26
Capitolo 4
Il linguaggio giornalistico
Dopo aver trattato i temi riguardanti la metafora sotto un punto di vista prevalentemente filosofico, nei prossimi capitoli si analizzeranno gli aspetti e gli usi della metafora all’interno del linguaggio giornalistico. La trattazione prenderà le mosse dalle tecniche di scrittura giornalistica, iniziando dalle due tecniche fondamentali di scrittura oggettiva e soggettiva. Riallacciandosi ai miti dell’oggettivismo e del soggettivismo analizzati del capitolo precedente, il paragrafo spiegherà, anche grazie a degli esempi, le modalità di utilizzo di queste tecniche e come il linguaggio cambi nel passaggio da una all’altra. Il secondo paragrafo analizza l’uso del linguaggio figurato, riportando alcuni esempi di come questa tecnica sia spesso abusata, fino quasi all’incomprensibilità delle frasi traslate comunemente usate in particolare nel giornalismo sportivo. Nel terzo paragrafo sarà studiata l’evoluzione del linguaggio giornalistico verso uno stile brillante e elevato, spesso deleterio per l’informazione. Il quarto paragrafo sarà dedicato all’analisi del linguaggio dei giornali on-line, il cui consumo è in costante aumento negli ultimi anni. Saranno esaminate le differenza tra la struttura e il lessico degli articoli in rete, in relazione agli articoli dei quotidiani cartacei. L’ultimo paragrafo si occuperà di investigare come e in che misura la comprensione degli articoli da parte dei lettori influenza la loro creazione, secondo regole e orientamenti volti a semplificare la lettura e venire in contro alle esigenze di chi legge i quotidiani.
4.1 Scrittura oggettiva e soggettiva
Quella oggettiva e quella soggettiva sono due tecniche fondamenteli della scrittura giornalistica, differenziate dal fatto che il punto di vista cambia da esterno a interno.
27
Nella tecnica oggettiva i fatti sono oggettivati dall’esterno: il giornalista li riferisce direttamente al lettore, apertamente. Viceversa, nella tecnica soggettiva i fatti sono esposti attraverso un punto di vista interno agli stessi. Per comprendere il passaggio da una tecnica all’altra si usa come esempio la tecnica cinematografica, in cui un’azione può essere vista oggettivamente dal solo spettatore o attraverso lo sguardo di uno dei personaggi. La scrittura giornalistica è caratterizzata dal frequente passaggio da uno stile all’altro, grazie al contributo di singoli giornalisti, delle redazioni con la scelta di diversi stili, di scrittori che hano intrapreso la via del giornalismo e di testate che hanno spezzato la tradizione. I pezzi redatti con la tecnica della scrittura oggettiva si caratterizzano per la distinzione dei ruoli tra giornalista e lettore senza che ci possa essere confusione. Il giornalista è in primo piano, scende in campo; il lettore segue i suoi movimenti per capire la storia che si svolge attraverso le sensazioni che ha il giornalista. Il punto di vista esterno favorisce il formarsi di un’idea propria. “L’oggettività va intesa come un’impostazione del pezzo in cui il giornalista non vuole rimanere nell’ombra, ma si mette in campo e spiega al lettore che ciò che legge è la sua versione.” Un limpido esempio è dato da Papuzzi richiamando un articolo scritto da Indro Montanelli, inviato del Corriere della Sera a Budapest durante la rivolta d’Ungheria del 1956:
“Questa è la storia della battaglia di Budapest e il lettore mi perdonerà se la riferiamo con tanto ritardo. [...] È una storia parziale, naturalmente, come lo sono tutte le storie. Non abbiamo che due occhi e siamo stati costretti a scriverne con parsimonia, usandone uno per osservare ciò che accadeva a Budapest e l’altro per sorvegliare che non succedesse altrettanto a noi. Tenete a mente che nessuno ha visto tutto. Vi dico solo quello che ho visto io. E vi chiedo preventivamente scusa se vi parrà troppo poco”.(Professione giornalista, 2003, p. 85).
28
Fin dalle prime righe, Montanelli chiarisce il suo ruolo di mediatore mettendo in gioco la sua parzialità. Come esempio della scrittura soggettivo Papuzzi propone un pezzo di Oriana Fallaci scritto durante la guerra del Golfo del 1991, sempre per il Corriere della Sera:
“On the spot, ci siamo” mi dice il tenete colonnello Jeff Knight, quando il KC135 entra nell’area stabilita: un punto la cui latitudine e longitudine devono restare ovviamente segreti. [...] “May I go, posso andare?” domando con distacco del professionista abituato alla guerra [...] . Il tenente colonnello Jeff Knight fa un cenno affermativo [...]. D’un tratto una sagoma scura, una specie di rondine, sbuca dalla parete di nubi. In pochi istanti diviene un Phantom che si avvicina e, accelerando [...] disinvolto come un autista che raggiunge un camion per tallonarlo, si piazza a pochi centimetri dalla bocca del boom...
Agli antipodi rispetto al pezzo di Montanelli, il reportage della Fallaci tende sempre a “escludere e annullare la presenza del giornalista e la sua mediazione, per creare un’identificazione tra il giornalista sul teatro degli avvenimenti e il lettore. [...] La Fallaci non è una spettatrice ma una protagonista, e con lei il lettore, dalla prima all’ultima riga del pezzo” (Professione giornalista, p.88). Non esiste una regola per cui uno stile è preferito all’altro, ma ogni giornalista può scegliere di volta in volta, anche facendo convivere le due scritture. Si può dire che la scrittura oggettiva sia un modello classico i cui caratteri sono soprattutto la chiarezza e la precisione: si adatta quindi a articoli ricchi di numeri, date, nomi, quantità e ai casi in cui è più consigliabile tenere la distanza dall’argomento. Al contrario la scrittura soggettiva è più vicina al linguaggio cinematografico e per ciò si adatta ai pezzi i cui contenuti sono strettamente collegati con l’atmosfera di un fatto, con la psicologia e le emozioni dei personaggi e il clima di un epoca storica.
29
Il rischio, per quanto riguarda il linguaggio, è di usare una terminologia ricca che metafore e figure retoriche per nascondere la debolezza di una notizia, col solo risultato di rendere il pezzo oscuro, pesante e spesso incomprensibile. Le frasi fatte e gli stereotipi sono una minaccia per la lingua dei giornali e il tentativo di abbreviare il percorso di comprensione di un articolo per un lettore si rivela spesso un tentativo che rende la scrittura stucchevole e approssimativa. Per ovviare a questo rischio, George Orwell, famoso scrittore, giornalista e saggista inglese, indicò un elenco di sei regole elementari sulla chiarezza della lingua:
1. Mai usare una metafora, una similitudine o un’altra figura retorica che siete abituati a vedere pubblicate. 2. Mai usare una parola lunga dove una parola breve funziona a dovere. 3. Se è possibile eliminare una parola, eliminatela sempre. 4. Mai usare il passivo dove si può usare la forma attiva. 5. Mai usare un’espressione straniera, un termine tecnico o un termine gergale se si può pensare a un comune equivalente inglese. 6. Infrangete qualunque di queste regole al più presto, piuttosto che scrivere qualcosa che suoni apertamente barbaro.
4.2
Il linguaggio figurato
Il linguaggio figurato è l’arma più usata dai giornalisti per rendere più efficace un discorso o addirittura per esprimere un semplice concetto, in particolare quando è consigliabile evitare l’uso di neologismi o giri di parole. L’uso, e spesso l’abuso, di questo linguaggio è dovuto alla necessità di rendere vivaci e interessanti degli eventi che nella sostanza con cambiano mai, come ad esempio quelli sportivi. Il cronista deve essere in grado di uscire fantasiosamente dai limiti che restringono le azioni in un vocabolario fatto di termini tecnici, spesso incomprensibili alla maggior parte dei lettori. Il rischio ovviamente è
30
quello di incorrere in frasi traslate che eccedono in banalità o nell’ermetismo, nell’ esagerazione fino anche all’assurdo. Sempre in riferimento al mondo dello sport e al suo linguaggio, molti termini sono ormai diventati delle “metafore obbligate” poiché nessuno chiama il calcio “lo sport in cui si spinge a pedate una palla” o il collo del piede “l’articolazione tibiotarsiale”, ma è anche vero che si fa abuso di certe immagini figurate fino a renderle stucchevoli; pensiamo alla “giacchetta nera” per definire l’arbitro, “il tappeto verde” per il campo o l’allenatore definito “la panchina”. Nel suo Manuale del linguaggio giornalistico, Buldrini offre un esempio di una raccolta di frasi riguardo una serie di azioni di una partita di calcio, raccogliendo traslati e frasi fatte ormai di uso comune. Il risultato è il seguente:
“Dopo aver giocato a lungo sottovoce il centravanti rispolvera le armi migliori, irrompe come una catapulta sullo spigolo dell’area, schioda la palla dai piedi del terzino e indirizza un bolide verso il sette ma il portiere dice no e, volando da un palo all’altro, manda miracolosamente il cuoio a stamparsi sul legno, salvando il gol e l’incolumità della rete. La lancetta dei minuti non ha compiuto però ancora un giro che il cannoniere sigla il successo, complice l’ex pigliatutto che questa volta fa “tilt” ed esce a caccia di farfalle, lasciando la porta spalancata: un angolo attraversa tutto lo specchio dell’area e piove addosso al numero nove che con una splendida incornata, benché francobollato da due avversari, spedisce la sfera nel sacco ed evita così il risultato ad occhiali” (Manuale del linguaggio giornalistico, p. 94).
Nell’esasperazione del linguaggio figurato per ottenere delle frasi originali e piacevoli spesso si perde il contatto con la realtà e si incorre in equivoci che modificano il significato delle frasi: è il caso della catapulta, che in realtà non si muove del suo posto dopo aver lanciato il proiettile, o del portiere, che “salva il gol” anziché evitarlo, come se giocasse per gli avversari; oppure la lancetta dei minuti confusa con quella dei secondi, dato che un giro di orologio della lancetta
31
dei minuti rappresenta un’ora. È sufficiente usare solo un aggettivo per creare una metafora, per esempio accostando allo “sbaglio” la qualità di “clamoroso”, definendo la classe “cristallina”, la prestazione “maiuscola”, la palla gol “nitida” o il punteggio “tennistico”. Il linguaggio figurato è quindi diventato imprescindibile, ma i consigli per un uso corretto non mancano e non sono mai fuori luogo: è sempre meglio non passare mai da un traslato all’altro (“trasformando il portiere all’improvviso da biliardino elettrautomatico a entomologo”); bisogna tenersi nei limiti dell’intellegibile, evitando un uso smodato degli aggettivi. Importante è anche evitare le metafore d’importazione: alcune traduzioni “asinesche” ci hanno dato il campo da baseball come “diamante”, riportando il diamond statunitense che indica anche i quadri delle carte da gioco, unica somiglianza tra le due cose; senza cambiare sport, col termine “lasciare al piatto” si è indicata l’eliminazione del battitore senza che questo possa muoversi da casa base (chiamata “plate” negli Stati Uniti). Questi sono esempi di come spesso si cerca una traduzione il più possibile simile all’italiano incorrendo però in termini gergali che difficilmente sono comprensibili per tutti.
4.3
La scrittura brillante
Don Lorenzo Milani scrisse, con i suoi alunni della scuola di Barbiana, nella celebre Lettera a una professoressa che “la scrittura è un’arte seria fatta da una tecnica piccina” (L’italiano nei giornali, R. Gualdo, 2007). Molti giornalisti dimenticano questo principio e spesso eccedono nella ricerca di un linguaggio elevato, trascurando gli elementi basilari delle tecniche di scrittura. Come riporta lo stesso Gualdo, in Italia le persone che hanno un livello di istruzione non superiore alla terza media sono ancora moltissime e per queste la differenza tra lessico attivo e lessico passivo, cioè le parole che si sanno usare e quelle che si capiscono, è molto elevata.
32
Il discorso brillante rappresenta un modello di scrittura praticato soprattutto da Repubblica dalla seconda metà degli anni Settanta. Questa tecnica “pretende di giocare con se stessa, addensando in poche righe traslati e similitudini, mimesi del parlato con inserti di battute del discorso diretto , esibizionismo colto e sfoggio di allusioni, intenso sfruttamento di neologismi alla moda. Se non è ben controllata da un severo lavoro di limatura, la prosa brillante può stingere nella prosa grigia o, peggio, opaca e confusa” (L’italiano nei giornali, p. 79). Riportando i noti fatti accaduti a Novi Ligure nel febbraio del 2001, un giornalista di Repubblica, Gabriele Romagnoli, apre il suo articolo il questo modo: “Il seme del male germoglia non visto in giardini di rose intorno a villette salmone protette da cani festosi?” In queste poche parole sono nascosti molti indizi che sottolineano la ricercatezza della frase: sinalefe, assonanze, rime, oltre la divisione in tre versi di sei sillabe (senari) e due di nove (novenari). Risuonano alcuni riferimenti ai semi del piangere del Purgatorio dantesco e i fiori del male del poeta francese Charles Baudelaire. Oltre a servirsi di termini ricercati e riferimenti illustri, la scrittura brillante può esprimersi anche attraverso “usi sintattici inconsueti”. È il caso degli studi svolti sullo stile di un noto collaboratore del “Sole 24 ore” e di “Repubblica”, Ilvo Diamanti. Definito come “ipotassi paratattizzata”, cioè un “periodare che frantuma le strutture subordinanti dando origine a una successione di brevi frasi coordinate e giustapposte le une alle altre”. Il 30 giugno 2000 appariva sul “Sole 24 ore” un suo articolo, di cui riportiamo uno stralcio:
[...] D’Alema in pochi anni, infatti, ha proposto e sostenuto diversi modelli di partito. Parallelamente all’evoluzione della sua biografia politica. Per verificarne e sancirne, ogni volta, l’impraticabilità. D’Alema. Da segretario dal PDS, vessillifero della riforma dei partiti di massa. Dimagriti. Ripuliti. Ma con le radici ben piantati nella tradizione. D’Alema. Che dopo essere
33
diventato premier si è impegnato per affermare il “Partito del presidente”. (L’italiano nei giornali, p.81)
Questa tecnica rischia di scivolare verso l’oscurità, passando da brillante a difficilmente comprensibile, se non fosse sostenuta da un ottimo controllo della scrittura. L’andamento spezzato ricorda il linguaggio parlato, che gode di maggior libertà per giocare in questo modo con le parole e la costruzione, piuttosto che la scrittura giornalistica.
4.4
Il lessico dei giornali on-line
Analizzare la nascita, lo sviluppo e le caratteristiche della scrittura dei giornali su internet significa riconoscere che questo medium è attualmente uno dei più importanti tra tutti mezzi di comunicazione e che è il più idoneo a diffondere informazioni perché risponde alle necessità di un pubblico alla ricerca di informazioni sintetiche ma complete, mette in relazione i produttori e i fruitori di notizie e può aggiornare i notiziari in tempo reale. Il linguaggio dei quotidiani on-line è strettamente collegato a quello dei giornali cartacei, dai quali i primi sono indipendenti solo in minima parte. Se si escludono alcune testate che sono presenti solo on-line, si può notare che gran parte dei quotidiani che hanno la versione in rete non differenziano gli articoli rispetto al corrispondente cartaceo, per cui su internet viene presentato lo stesso articolo. Nonostante ciò la situazione è in rapida evoluzione. Alcune caratteristiche strutturali e linguistiche sono specifiche del mezzo telematico e connotano la scrittura dei quotidiani on-line: “l’immediatezza e l’aggiornamento continuo delle informazioni, l’ipertestualità, la leggibilità, la chiarezza e la brevità” (La lingua italiana e i mass media, Bonomi, p.136). La testualità e l’organizzazione della pagina, contrariamente a quanto lasci crede la sconfinatezza del web, è molto ridotta ed è strutturata per essere costantemente aggiornata, per cui solitamente il testo è diviso in blocchi su cui si opera
34
l’aggiornamento; i pezzi vengono spesso collegati intertestualmente e la presenza di link favorisce il passaggio da un articolo a un altro al quale è collegato. Il risultato è un articolo che propone l’esposizione del fatto secondo il modello delle 5 W: la tendenza è di attenersi all’avvenimento e alla scrittura oggettiva, rispettando quattro concetti divenuti fondamentali nel giornalismo on-line: • La capacità di sintesi; • La precisione del fatto; • La chiarezza espositiva; • La suggestione dell’approfondimento. Anche la sintassi richiama lo stile dei giornali cartacei: si predilige l’uso di periodi monoproposizionali e della paratassi rispetto all’ipotassi, ricorrendo spesso a incisi e frasi nominali. Il mancato o errato uso della punteggiatura, esclusi i refusi, rimanda al legame con il linguaggio parlato, che a sua volta lascia intuire altri caratteri generali del linguaggio on-line, come ad esempio l’apertura alla colloquialità e la forte presenza dell’attualità, soprattutto neologismi e stranierismi principalmente anglo-americani: sono molto ricorrenti termini bellici come tank e raid, termini informatici come notebook e termini economici come briefing; rimangono in uso anche nella stampa in rete, principalmente nella stampa sportiva, le metafore e il linguaggio brillante ed espressivo, mentre risulta contenuto il ricorso a burocratismi e termini giornalistici classici come “recarsi, operare un arresto” o gli stereotipi come “ fitta nebbia, bruciante ricordo, tunnel della droga” (La lingua italiana e i mass media, Bonomi, p.136). I tratti fondamentali della scrittura dei quotidiani on-line risultano essere quindi chiarezza, linearità, semplicità, brevità e denotatività, aprendo una distinzione con i quotidiani cartacei che prediligono l’espressività e la tendenza a colpire il lettore, anche a discapito dell’informazione prettamente denotativa. I quotidiani on-line rappresentano uno strumento ancora giovane e in costante crescita, veicolo “di una lingua moderna, funzionale, poco appesantita da orpelli
35
e scorie del passato, ma devono tuttavia perfezionare un codice innovativo, alla formazione del quale concorrono esigenze tecniche cui la lingua deve adeguarsi” (La lingua italiana e i mass media, Bonomi, p.137).
4.5
La comprensione del linguaggio giornalistico
Dopo aver discusso riguardo alle tecniche del linguaggio giornalistico, è necessario soffermarsi ad analizzare quali sono gli effetti che questi hanno sul pubblico, verificare la comprensione dei testi giornalistici da parte dei lettori e degli ascoltatori, in generale di chi riceve delle notizie giornalistiche sotto varie forme. Chi scrive deve sempre tener conto di chi riceve il messaggio, immedesimarsi in lui e chiedersi cosa viene capito. È da questa preoccupazione che nasce la dizione “la casalinga di Voghera”. Ne Le tecniche del linguaggio giornalistico, di Gianni Faustini, si spiega come nasce questo concetto e cosa significa: il servizio opinioni della RAI, nell’ambito di un’indagine sulla comprensione del linguaggio politico, fece un sondaggio su un gruppo di casalinghe di Voghera, un gruppo di agricoltori di Andria e un gruppo di operai di Milano. Veniva chiesto di indicare, tra quattro opzioni, la corretta definizione di alcuni termini tecnici di uso comune nei notiziari e suoi giornali,come ad esempio
scrutinio,
leader,
alternativa,
coalizione
governativa,
governo
monocolore, crisi di governo, disegno di legge, rami del Parlamento, rimpasto, gruppo parlamentare, promulgazione di una legge, ministro senza portafoglio, emendamento, potere esecutivo, dicastero, partiti laici, ratificare, gruppo parlamentare, mozione, legislatura. La più bassa percentuale di risposte esatte fu appunto delle casalinghe di Voghera e ora questa categorie viene richiamata per indicare i vari livelli di comprensione del linguaggio giornalistico. Anche negli Stati Uniti è presente una simile classificazione: come ricorda Indro Montanelli, i capi redattori ricordano costantemente che “bisogna scrivere per farsi capire dal macellaio del paese. In questo senso assumono grande importanza i codici che vengono utilizzati per
36
riferirsi ad un oggetto, ad una circostanza o ad una persona. I codici sono soggetti ad una certa variabilità per modifica il senso di una frase a seconda di chi è il ricevente del messaggio. Riportando un esempio di Faustini, “ la dizione “difesa della terra” assume diverse connotazioni, per un piccolo possidente oppresso dai debiti, per un contadino dell’Alto Adige, per un manipolo di franchi tiratori che resistono all’invasione straniera”. Oltre alla variabilità, i codici soffrono anche dell’usura: non si dice più sordo, ma “uno che non ci sente”, non si dice più spazzino, ma “operatore ecologico”, non si dice più domestica, ma “collaboratrice familiare” (Le tecniche del linguaggio giornalistico, p 36).
37
Capitolo 5. Il linguaggio dei generi giornalistici
Benché il linguaggio giornalistico presenti delle modalità e delle nozioni di base unitarie e diffuse, al suo interno si possono distinguere diversi generi, ovvero ambiti “in cui la concezione e il trattamento della notizia presentano le medesime specificità” (Professione giornalista, Papuzzi, p. 177). Nell’analizzare le caratteristiche del linguaggio e l’uso delle espressioni metaforiche si terra conto di quattro generi giornalistici: la politica, lo sport, l’economia e lo spettacolo. Per poter approfondire l’analisi sul linguaggio sarà comunque necessario allargare il raggio e studiare i generi giornalistici più in generale, analizzando anche i contenuti e le interpretazioni.
5.1. La politica
L’informazione politica può essere considerata la più importante tra i generi giornalistici per la sua centralità nella vita democratica e dell’opinione pubblica. Diversamente dalle notizie non politiche, il trattamento di notizie politiche acquista un peso maggiore poiché l’avvenimento riportato ha valore sia in sé sia in riferimento al contesto politico. Alla luce di questa considerazione si evince che questo tipo di informazione gode di una funzione attiva e di una passiva: oltre a essere un servizio per il lettore, è anche un momento di esternazione di opinioni personali dei giornali in quanto strumenti di opinione pubblica. Negli anni Cinquanta e Sessanta la notizia politica era concentrata nel cosiddetto “pastone”, un articolo di anche due colonne in prima pagina che raccoglieva tutte le notizie riguardanti la politica collegate da vaghi espedienti linguistici. Per questa sua struttura è stato ampiamente criticato e tacciato di creare una falsità oggettiva che andava a discapito sia dei lettori che dei partiti. Dopo essere stato progressivamente abbandonato, il pastone ha messo allo scoperto la problematica su come si tratta e cosa costituisce notizia nella politica. Nel giornalismo politico, come disse Enzo Forcella, i fatti o dicono troppo o
38
dicono troppo poco: “Quando dicono troppo bisogna farli parlare sottovoce, quando dicono troppo poco bisogna integrarli per renderli al loro significato, ma la chiarezza , in questo lavoro, è una virtù ingombrante. Le note di servizio che raccomandano: “tenersi ai fatti, senza commenti o interpretazioni” sono un invito ad accettare come autentica la verità propagandistica che i politici hanno interesse a diffondere” (Professione giornalista, Papuzzi, p. 180). Non è l’avvenimento in sé che produce la notizia politica, ma l’interpretazione che si dà di quell’avvenimento. Il punto di partenza non è il fatto, ma le valutazioni su di esso. Per interpretare e valutare i fatti, il giornalismo politico si serve di un linguaggio che, come il giornalismo stesso, è in evoluzione costante. Nel passaggio dagli anni 80 e 90 fino ad oggi si può notare la riduzione dei tecnicismi e degli astrattismi, a vantaggio di un linguaggio più popolare. In ogni caso il politichese è ben lontano dallo scomparire. Se si volesse fare una raccolta dei termini usati e abusati nel linguaggio politico si potrebbero riempire intere pagine: addetti ai lavori, portaborse, portavoce, polemica, intorno a un tavolo, ammortizzatori sociali, provocazione, polo moderato, aggregazione, avviso di garanzia, uomo della strada, grandi vecchi, demonizzare, elemosinare, zoccolo duro, alternanza, scorporo, uninominale, scheletri nell’armadio, complotto, occhio del ciclone, polverone, progressisti, proporzionale, maggioritario, e la lista sarebbe ancora molto lunga. Gianni Faustini, nel suo libro Le tecniche del linguaggio giornalistico (NIS, 1995), offre tre contributi in merito allo sviluppo del linguaggio giornalistico politico. Il primo, del 1990, è di Giuseppe Pitano:
“il vocabolario politico si è arricchito in fretta anche grazie all’appendice degli insulti che arricchiscono la già larga schiera dei nuovi vocaboli […]. Per non parlare del contagio di stereotipi che tornano sempre a galla, quali: a monte, a valle, la punta dell’iceberg, il grado di degrado, lo sfascio del
39
sistema, la trasparenza dei bilanci, lo spessore dei contenuti,il valzer delle monete, i finanzieri d’assalto, la devianza dei servizi segreti, la corsia preferenziale, il congelamento della scala mobile, la disaffezione degli elettori, l’impennata dei prezzi, la crisi pilotata e così via. Il linguaggio politico, se qualche volta cerca di essere persuasivo per convincere il pubblico e dare ragione a chi parla, quasi sempre però si rivolge a un uditori scelto e ben preparato. Per questo il politico, spesso, passa sopra la testa del pubblico e raggiunge solo chi conosce il codice per decifrare i messaggi introdotti da parole e locuzioni come: centro, centralismo, centralità, centrismo, vertice, cane sciolto, equilibri più avanzati, convergenze parallele, salto qualitativo, garantisti, antigarantisti, decisionisti, miglioristi, minimalisti, presenzialisti […]. Sulle ultime crisi di governo si è sviluppata addirittura una sterminata letteratura: governo di staffetta, governo di programma, governo pentapartito, pentarebus, pentagramma, pentagramma, pentaproblema, pentasfratto, ultra-pentapartito, pentaparalisi, governo di decantazione, governo referendario, governo di alternanze tattiche, governo propositivo, governo di orientamento, governo consuntivo, governo congelato, governo dei nuovi avanzamenti, governo vattelappesca, governo del non voto, governo di latitanza, governo movimentista, governo di sfarinamento, governo di compromesso organico, governo trilaterale, governo di garanzia, governo a termine, governo di transizione, governo di emergenza, governo di emergenti, […].”
Il secondo contributo è di Sergio Lepri:
“meritano una sezione le metafore coniate per “legge”, “governo” e “sciopero”: legge capestro, cornice, ponte, quadro, stralcio, governo allo sbando, a luci rosse, a rischio, a termine, balneare, congelato, del non voto, di latitanza, di maggioranza elastica, di parcheggio, di programma, di transizione, di trasparenza, fantoccio, fotocopia, ponte, propositivo, sexyecologico, anche governo vattelappesca; sciopero articolato, a catena, alla
40
rovescia, a scacchiera, a singhiozzo, bianco, di disturbo selvaggio.”
Tra i vizi del linguaggio, Lepri aggiunge:
“a) la suffissazione in –ismo; l’elenco dei nomi è infinito e ne daremo soltanto un campione, scelto tra i meno comprensibili per i non “addetti ai lavori”:
avventurismo,
continuismo,
bipolarismo,
dirigismo,
cattocomunismo,
doroteismo,
entrismo,
collateralismo, europessimismo,
frazzionismo, funzionismo, garantismo, grupposcolarismo, kabulismo, migliorismo,
marginalismo,
paleocapitalismo,
milazzismo,
paleocomunismo,
millenarismo,
nostalgismo,
panzercomunismo,
pentitismo,
perbenismo,
perdonismo,
permissivismo,
piduismo,
presenzialismo,
rambismo,
rampantismo,
sfascismo,
stragismo,
terzaforzismo,
terzomondismo, tripolarismo, verticismo; b) la suffissazione dei verbi in –izzare ( e dei relativi nomi in –izzazione); anche qui un breve elenco dei più brutti: deindustrializzare, ghettizzare, marginalizzare, meridionalizzare, prefettizzare, quotidianizzare, robotizzare, roulottizzare, saragattizzare, satellizzare, scolarizzare, scristianizzare, semestralizzare,
sottocapitalizzare,
spettacolarizzare,
sprivatizzare,
tecnicizzare, terziarizzare, vietnamizzare; c) l’aggettivazione in –ista o in –iano da nomi propri; tutti ovvi e accettabili, da stalinista, leninista, gollista (ma non titoista, invece di titista), a fanfaniano,
berlingueriano,
gorbacioviano
(qualche
difficoltà
per
occhettiano e ingraiano); ricordiamo qui anche doroteo che ha una diversa origine ( il convento di Santa Dorotea nel quale, nel 1958, avvenne la scissione della corrente che nella DC faceva capo a Fanfani), ma che ha poi figliato il discutibile moroteo, poi doromoroteo e quindi i ridicoli tavianeo, colombeo e piccoleo; d) gli ossimori ossia gli accostamenti paradossali di termini di significato contrario o contraddittorio: le famosissime convergenze parallele da cui divergenze convergenti e divergenze parallele […]; la fiducia nella non sfiducia, il partito di lotta e di governo, gli equilibri più avanzati,
41
un’opposizione costruttiva, la maggioranza delle minoranze, il totalismo pluralistico, le ruote quadrate, un impegno contestativo e un disimpegno che non contesti, una critica fiancheggiatrice; tutti coniati, però, più dai giornalisti politici che non dagli uomini politici; e) le espressioni che si richiamano a particolari momenti o episodi della vita politica, usate senza una contestuale spiegazione: Aventino, autunno caldo, boia chi molla, convegno del Midas, Domus Mariae, linea dell’EUR, Kennedy Round, legge truffa, notte di San Gregorio, operazione Sturzo, opposti estremismi, opzione zero, patto d’unità d’azione, politique d’abord, Pralognan, regime dei colonnelli, repubblica conciliare, scissione di palazzo Barberini, Sessantotto, spaghetti italiani in salsa cilena, terza, quarta e quinta repubblica; alcune di queste espressioni sono scomparsa o stanno scomparendo quanto più ci si allontana dalla vicenda cui si riferiscono, salvo Aventino (ritirarsi sull’Aventino), che riappare ogni tanto a tanti anni di distanza (1924); la loro comprensibilità è pertanto più o meno circoscritta agli ambienti politici; quanti capiranno al telegiornale la frase “i sindacati hanno confermato la linea dell’EUR?”; f) i forestierismi non necessari e comunque non spiegati nel contesto: gentlemen’s agreement, apartheid, auditing, austerity, budget, cash flow, deregulation, export-import, fiscal-drag, hearing, impeachment, prime rate, understatement; ma anche questi prosperano fra i giornalisti politici più che fra i politici.
Il terzo contributo è di Maurizio Dardano:
“nel sottocodice politico c’è un fondo di vocaboli permanenti , la maggior parte dei quali ha origini non prossime. Risale infatti alle vicende che accompagnano la nascita e il consolidarsi del sistema parlamentare, alla Rivoluzione francese, all’affermarsi di ideologie e dottrine politiche nel corso dell’Ottocento. Ne diamo qui un rapido elenco esemplificativo: anarchia, assemblea, autorità, autonomia, borghesia, capitalismo, causa, cittadino, classe, collettivo, comitato, commissione, comunità, comune,
42
comunismo, congresso, conservatore, consiglio, […] estremismo, fiducia, fusione, governo, governativo, imperialismo, internazionale, interno, leader, legalità, liberale, libertà, lotta, lotta di classe, […] opinione, opposizione, ordine del giorno, organizzazione, parlamento[…].
5.2. Lo sport
Il giornalismo sportivo si basa su quella che Papuzzi definisce “la retorica dell’avvenimento”, ovvero che l’avvenimento consiste non tanto in qualcosa che accade veramente, ma sulle affermazioni e considerazioni che i giornalisti riferiscono ai lettori, stabilendo con essi un colloquio. Contrariamente agli altri generi, il giornalista sportivo gode di una straordinaria libertà di invenzione poiché gli avvenimenti che riferisce hanno un significato nell’immaginario collettivo degli sportivi; lo sport è considerato per molti versi un mondo a parte per le sue leggi, i valori, la storia e il linguaggio e “lo status di sportivo si acquisisce per il semplice fatto di dichiararsi tale, riconoscendo e accettando le regole del gioco” (Professione giornalista, Papuzzi, p. 208). Lo sport è il banco di prova nella carriera di molti giornalisti e i requisiti fondamentali sono la conoscenza tecnica delle discipline sportive e la padronanza del linguaggio, il possesso di uno stile. Giacomo Devoto nel 1939 sulla rivista “Lingua nostra” indicava le quattro caratteristiche che doveva avere il linguaggio che si adopera per descrive una partita di calcio: • Un minimo di tecnicismo, secondo le abitudini e le possibilità degli appassionati; • Il trasferimento dell’ “algebra scacchistica dei movimenti del pallone” su un
piano figurato e immaginario;
• Avvicinare la mentalità agonistica del gioco di squadra alla lotta per raggiungere a qualsiasi costo lo scopo;
43
• Riuscire a contenere questa bellicità nei limiti dell’incontro sportivo, poiché “dopo novanta minuti siamo tutti quanti cittadini inoffensivi” (Le tecniche del linguaggio giornalistico, Faustini, p.211).
L’evoluzione del giornalismo sportivo può essere divisa in quattro fasi: • La prima fase è quella dei giornalisti dilettanti, dirigenti di associazioni sportive che non hanno profonda conoscenza dello sport, ma sono in grado di scrivere in quando dottori o avvocati, che scrivono sui fogli di propaganda per diffondere la pratica e il messaggio sportivo; • Nel primo dopoguerra si apre la seconda fase; lo sport è diventato un fenomeno di massa, nascono nuove testate e le pubblicazioni entrano in concorrenza; si cercano persone che conoscano lo sport, anche se non “letterati”; piuttosto che mirare alla sintassi, si cerca di diffondere la passione per lo sport, il tifo, la venerazione per l’atleta, la coscienza sportiva e tecnica. • La terza fase coincide con l’avvento del fascismo e della magniloquenza; la vittoria sportiva è l’ “impresa”, la sconfitta è l’ “umiliante disfatta”, il pugile suonato è lo “stoico eroe”. Il racconto degli eventi sportivi trascende il fatto in sé per esaltare il lettore , entusiasmare le masse facendole sognare o soffrire. • La quarta fase è quella attuale. Senza censura, senza enfasi e senza retorica, ritornano i giornalisti giovani e entusiasti degli anni Cinquanta. Le innovazioni principali riguardano un interesse non verso le modalità con cui si generano i fatti, ma piuttosto verso le cause che li hanno generati, grazie a un linguaggio meno immaginifico e più incisivo. Gli avvenimenti vengono investigati secondo le relazioni con gli altri settori che condizionano lo sport, dal sociale al politico, dall’economico allo scientifico.
44
Il linguaggio dello sport è stato definito da Giacomo Devoto una “lingua speciale”, “anzi specialissima, per l’abbondante coniazione di nuovi termini, per l’uso ricchissimo di metafore, per il gusto fantasioso delle iperboli, per l’amore barocco delle immagini, per l’enfasi magniloquente dei toni, per la disinvoltura con cui, spesso, si affrontano effetti di involontaria comicità” (Le tecniche del linguaggio giornalistico, Faustini, p.214). La fortuna del linguaggio giornalistico sportivo, che ha permesso lo sviluppo negli anni di ben tre testate giornalistiche specializzate, è che ha saputo conquistare il suo pubblico grazie ai neologismi, agli arcaismi, ai forestierismi, alle metafore, alle figure retoriche e grammaticali. Anche i contenuti contribuiscono alla fortuna del giornalismo sportivo, poiché più degli altri settori informativi risulta essere vicino al lettore ed è stato sempre considerato come un tema di evasione, di cui si può parlare senza sentirsi esclusi, come potrebbe essere ad esempio per la politica. La ricchezza del linguaggio figurato nello sport è data dal fatto che gli avvenimenti che si susseguono sono spesso gli stessi, ma se essi non cambiano mai lo stesso non può valere per i termini con cui devono essere raccontati. Per uscire dai confini di un linguaggio tecnico che rischia di appiattire la narrazione dei fatti sportivi è, dunque, necessario fare ricorso a termini figurati e di immaginazione che rendano piacevole e intrigante la lettura, o l’ascolto, degli eventi sportivi. Tra i termini propri di altri settori cui il linguaggio sportivo si serve possono esser ricordati come esempio: bolide, un tiro potente; campanile, un tiro che manda la palla molto in alto; cannoniere, colui che segna molti gol; catenaccio, il gioco tatticamente difensivo; catino, lo stadio; questi esempi si limitano al gioco del calcio, ma allargando il raggio sugli altri sport, sicuramente meno comuni, sarà possibile trovarne molti altri. Non solo nei sostantivi, ma anche nei verbi il traslato è ben visibile. Sempre restando nel mondo del calcio possiamo ricordare: addormentare la palla; agganciare la palla; andare in barca; balbettare; cincischiare; falciare;
45
francobollare; imbastire; incornare; macinare; sforbiciare; svirgolare. Esistono alcuni esempi di metafore create con termini di settori diversi dallo sport che sono state poi a loro volta adottate da altri linguaggi. È il caso di salvare in corner e prendere in contropiede; si possono inserire in questa categoria anche alcuni tecnicismi, come competizione, tabella di marcia, tappa, round, e termini particolari, come serie B, mettere alle corde, tenere la ruota. Bisogna sottolineare che molti sport, con il loro carico di vocaboli e tecnicismi, sono arrivati in Italia dall’estero, per cui ci si è dovuti adattare a delle traduzioni che rendessero il concetto comprensibile; è il caso di rete, portiere, calcio di rigore, calcio d’angolo. Altri termini tecnici sono risultati intraducibili in italiano e, per evitare di avere parole che nulla avevano a che vedere con il concetto del termine originario, si è preferito lasciare nella lingua d’origine; alcuni esempi sono: inning, strike, ball e out nel baseball; net, set, smash, tie break e volèe nel tennis; outsider, sprint e pavè nel ciclismo; box, chicane e pole position nell’automobilismo; break, playmaker e pivot nella pallacanestro.
5.3. L’economia
A differenza della notizia politica che, per quanto poco chiara
o poco
interessante, tocca tutti i cittadini-lettori, e a differenza della notizia sportiva che è, o dovrebbe essere, un piacevole passatempo, la notizia economica è caratterizzata da una specificità e da una serie di dinamiche che la rendono ai più incomprensibile. Ma l’aspetto economico della società non può essere tralasciato. Inoltre questo settore conta un gran numero di addetti ai lavori e appassionati. Questa doppia identità del pubblico, cioè da una parte un pubblico universale che si avvicina all’economia come aspetto della vita sociale, dall’altra il pubblico particolare del mondo degli affari che lavora nel settore, ha generato due diversi livelli di informazione: un livello generalista, ovvero una parte di quotidiani o telegiornali dedicati agli
46
aspetti dell’economia, e un livello specialista, ovvero testate specializzate in argomenti economici. Il linguaggio de giornalismo economico, pur perseguendo gli obiettivi di chiarezza e comprensibilità comuni a tutti i settori dell’informazione, ha a che fare con un gran numero di termini tecnici e gerghi specialistici, con molte parole in lingua inglese, con il bisogno di associare spesso dei numeri ai testi informativi e con un largo uso di sigle. Per avvicinare i lettori ai temi economici a volte complessi si ricorre spesso ad analogie e metafore, cosicché
spesso gli accordi tra aziende diventano dei
matrimoni e le collaborazione interrotte diventano dei divorzi. Questi mezzi sono molto utili per alleggerire un pezzo, ma a lungo andare un loro abuso diventa fastidioso. La componente numerica dei pezzi economici per non risultare oscura deve essere aggiustata sotto forma di grafici o tabelle, che siano in grado di portare le informazioni alla conoscenza del lettore meglio di ciò che farebbe una lunga serie di numeri o una lunga descrizione. Spesso l’enfasi porta a distorcere l’informazione fornita al lettore. Per evitare ciò è sempre consigliabile controllare la terminologia per evitare che ogni crescita diventi un boom e ogni diminuzione diventi un crollo. Come sostiene Maurizio Dardano, “due fattori caratterizzano fortemente la cronaca economico-finanziaria: l’eufemismo e la metafora che sono usati secondo modalità particolari. […] Se ne ha una prova considerando i due poli dell’aumento e della diminuzione, con la loro ricca corte di sinonimi; da una parte: (un valore) sale, progredisce, raggiunge il corso di …; si parla di movimento al rialzo, moto ascensionale, di risveglio dei valori; dall’altra: ( un valore) cala, si flette, rifluisce, si ripiega, si ridimensiona, cede il terreno, si arresta su livelli più bassi, dà segni di pesantezza (di disagio) etc. origine eufemistica hanno dunque quei termini, ormai diffusissimi, i quali, grazie alla loro polivalenza, si possono applicare a diversi contesti: si pensi per esempio ad assestamento, contrazione, flessione, liquidazione, pressione, ritocco, variazione.
47
Vi è tutta una serie di aggettivi che esprimono in modo riservato e convenzionale una gradualità di esiti e di giudizi: l’andamento del mercato può essere fiacco, dimesso, moderato, modesto, calmo, pacato, fermo, riflessivo, sostenuto, animato, vivace, aggressivo. E tale gradualità è ottenuta anche con l’uso di avverbi (decisamente debole, sensibilmente debole) e di vari procedimenti attenuativi: la presenza frequente di certo ( una certa rigidità, una certa prevalenza), l’aggiunta di una correzione: “sostenuti ma più cauti”, “sostenuti ma senza particolari attenzioni”, “più attivi […] anche se di ampiezza moderata”. Una larga percentuale dei termini e delle espressioni del sottocodice economicofinanziario è costituita da eufemismi. Si pensi ai sinonimi di cambiale (effetto cambiario, effetto, pagherò, farfalla) o alle locuzioni del tipo: esposizione di una banca, scoperto di un cliente, lievitazione dei prezzi, dinamica calante dell’economia, spostamenti dell’attuale parità della lira.” Ricordiamo anche uno dei tecnicismi più originali del panorama economico: il “periodo orso” in contrapposizione al “periodo toro”. Questi termini indicano rispettivamente un momento di ribasso e un momento di rialzo. Questa terminologia di origine anglosassone deriva probabilmente del modo con cui questi animali attaccano una preda o un avversario; il toro carica con le corna e butta in aria l’avversario, simboleggiando il rialzo dei mercati, mentre l’orsa abbatte la preda con una zampata, idealizzando una fase di ribasso dei mercati.
48
Capitolo 6. Il giornalismo in Italia e USA
Dopo aver analizzato le teorie filosofiche sulla nascita e sugli usi della metafora, dopo aver trattato il linguaggio giornalistico e dei generi giornalistici e prima di concludere il percorso riportando alcuni esempi delle metafore nei titoli dei giornali on-line italiani e statunitensi, in questo capitolo saranno analizzate e messe a confronto le principali caratteristiche del giornalismo italiano e statunitense. Per iniziare si affronteranno i temi sulla nascita e lo sviluppo del giornalismo, prima negli Stati Uniti e poi in Italia, a partire dagli anni Trenta del XIX secolo con l’avvento della penny press a New York e dai giornali di fine Ottocento in Italia. In conclusione sarà analizzato il new journalism, ovvero lo sviluppo, a partire dagli anni Settanta a New York e in California, di un modello di giornalismo rivoluzionario e aspramente criticato.
6.1 Le differenze tra il giornalismo americano e il giornalismo italiano Nel 1833 a New York nasce il “Sun”, il primo quotidiano venduto nelle strade al prezzo di un penny. Questa rivoluzionaria introduzione segna una rottura col passato e con i giornali venduti in abbonamento che trattavano temi riservati alle élite sociali, quali avvenimenti internazionali, conflitti bellici, prezzi delle merci, tariffe dei noli e produzioni e andamento dei mercati. La penny press aprì un nuovo mercato in cui editori e direttori entrarono con l'obbiettivo di portare la stampa e l'informazione verso i ceti esclusi fino a qual momento e portati al centro del nuovo assetto sociale americano dall'elezione del presidente Jackson. Con la penny press anche gli eventi più irrilevanti potevano essere una notizia poiché ogni fatto faceva parte della vita quotidiana della cittadinanza e dei nuovi lettori. Per investigare i fatti, scoprirli e portarli alla conoscenza dei lettori
49
nasceva la professione del giornalista. Grazie all’introduzione dell'intervista come mezzo di informazione la posizione del giornalista acquista obiettività e attendibilità. L’interesse nella ricerca delle notizie non è più rivolta unicamente alla politica e all’economia, ma acquistano interesse tutti gli avvenimenti di human interest, cioè ogni evento singolare e strano, capace di catturare l’attenzione dei lettori. La riservatezza della sfera privata viene abbattuta, l’informazione sembra addirittura che difenda i cittadini dai poteri forti, come chiese, tribunali e banche, fino a rafforzare l’unità nazionale. Il risultato di questa serie di innovazioni è la mercificazione della notizia: la “cultura delle notizia” che si sviluppa ha come unico parametro di riferimento il mercato, creare informazione di qualità che sia venduta in grande quantità, che attiri una fetta sempre più grande di pubblico. La verità della notizia non è un problema che riguarda la stampa: essa come vocazione ha unicamente quella di ricoprire una posizione di filtro tra i fatti e i lettori. Se da una parte i giornali popolari venivano accusati di ricercare solo il sensazionalismo, assecondando i gusti dei lettori e allontanandosi sempre di più dai circoli politici, i cui problemi erano sempre più distanti dai problemi dei cittadini, dall’altra parte i giornali settoriali vivevano una costante diminuzione di pubblico, poiché erano ritenuti servi dei poteri forti e corrotti dalla politica. La concorrenza tra le testate diveniva sempre più spietata e per coinvolgere sempre più pubblico e vendere sempre più copie si correva una serrata corsa allo scoop, al fatto più eclatante da mettere in rilievo. Tra le numerose testate spiccava il New York Times, fondato nel 1851, il quale intendeva rivolgersi a tutti i lettori, indipendentemente dalla loro fede politica, introducendo alcune novità che si riveleranno vincenti: dalle consuete quattro pagine, si passava a otto pagine a sei colonne al prezzo di due penny; venivano trattate anche notizie sgradite all’editore, cercando di separare i fatti dai commenti; la parte dedicata a gli editoriali veniva gestita da un giornalista diverso dal direttore, come nella migliore tradizione americana.
50
La libertà di stampa, che caratterizza da sempre il giornalismo negli Stati Uniti, veniva sancita nel Primo Emendamento della Costituzione: “Il Congresso non farà leggi restrittive della libertà di stampa”. In Italia i primi significativi casi di quotidiani, esclusi quelli artigiani che circolavano durante il Risorgimento e i primi anni dell’ Unità d’Italia, sono i grandi organi di stampa fondati a partire da metà Ottocento. Il panorama dei primi anni del XIX secolo in Italia vedeva un grande parte della popolazione analfabeta, un basso tenore di vita, una situazione generale che non lasciava emergere il mercato della lettura dei quotidiani, considerati un privilegio per gli strati sociali più elevati. Tra il 1859 e il 1896 nascono le principali testate giornalistiche italiane, molte delle quali ancora operanti, tra cui: La Nazione, Il Secolo, l’Osservatore Romano, Il messaggero, Il Corriere della Sera, La Tribuna, Il Resto del Carlino, Il Secolo XIX, Il Mattino, La Stampa Gazzetta Piemontese, La Gazzetta dello Sport. Le caratteristiche che identificano il giornalismo italiano di questo periodo sono: la predilezione per la politica, tralasciando la mercificazione della notizia; la tardiva comparsa della stampa popolare e di intrattenimento, rivolta alla cronaca e alle tirature, contrariamente a quanto accaduto negli Stati Uniti; la frammentazione del mercato dei lettori secondo le realtà regionali degli stati prima dell’unità d’Italia. Il più grande sconvolgimento nella storia del giornalismo italiano è l’avvento del fascismo: a partire dalla nomina di Mussolini a primo ministro nell’ottobre del 1922, i giornali non allineati col partito furono pesantemente contrastati, causando la chiusura di circa 30 testate delle 110 esistenti; allo stesso modo, furono inseriti nei consigli direttivi di molti quotidiani diversi membri del partito fascista. In seguito all’istituzione dell’albo professionale solo i giornalisti allineati col partito potevano esercitare la professione; ma questa non fu l’unica introduzione che il fascismo apporto al giornalismo italiano: venne istituita la prima scuola di formazione per giornalisti e la Federazione della stampa, che si
51
era espressa contraria al regime fascista, fu soppressa e sostituita da un sindacato fascista. Ai giornali viene imposto uno stile preciso, sobrio, privo di retorica. La cronaca nera viene limitata vino all'eliminazione, per poter offrire un’immagine pulita del paese. Solo dopo la fine del fascismo la situazione del giornalismo italiano riprende vita. Il numero delle testate raddoppia rispetto agli anni Trenta; viene reistituita la Federazione nazionale della stampa; attraverso la Costituzione , all’articolo 21, viene decretata la libertà di stampa; nel febbraio del 1963 viene costituito l’Ordine dei giornalisti. La stampa di impronta anglosassone e quella dei paesi latini presenta, dunque, alcune differenze rilevanti che le caratterizzano e ne svelano i retroscena: la stampa americana “distingue profondamente i giornali di qualità da quelli popolari, con un continuo richiamo all’eredità della riforma protestante e dei fondamenti di libertà nati in Gran Bretagna e trapiantati negli Stati Uniti; nei paesi latini, il giornalismo risente fortemente di grandi tradizioni letterarie e forti passioni politiche, tradizioni storiche, culturali e sociali nonché i rapporti con le situazioni politiche ed economiche nelle quali si sviluppano i quotidiani, creano, inoltre, significative differenze nei tempi e i modi di evoluzione delle testate giornalistiche nei vari Paesi” (Il giornale, Murialdi, 1998). Una importante testimonianza ci è data da Gianni Riotta che, durante un’incontro con gli studenti del Liceo Classico “Orazio” di Roma, in una puntata di “Il Grillo” su Rai Educational del 6 maggio 2002, riguardo alle differenze tra il giornalismo italiano e quello statunitense afferma: “Sono le stesse differenze che ci sono tra l’Italia e gli Stati Uniti, che sono due sistemi completamente differenti. Il Presidente degli Stati Uniti, Thomas Jefferson, che è uno dei grandi padri americani della Patria, una volta ha detto : “Tra uno Stato senza giornali e giornali senza Stato, io preferisco i giornali senza Stato”. Ciò vuol dire che la libertà di stampa è per gli Stati Uniti più importante dell’amministrazione statale. Il primo emendamento della Costituzione dice che
52
il Congresso, cioè il Parlamento, non può fare nessuna legge per limitare la libertà di stampa. Essa, in Italia, è cominciata nel 1945, quando è caduto il fascismo; prima, durante questo movimento, erano pochissimi i giornali in circolazione. Nel periodo della Guerra Fredda vi erano i giornali indipendenti che stavano tutti dalla parte atlantica e quelli di opposizione dalla parte filo-sovietica. Si capisce, dunque, come vi fosse un diritto di stampa molto spaccato, molto limitato. La vera libertà di stampa, qui da noi, comincia negli ultimi dieci, quindici anni, ma si tratta di una stampa molto vicina ai gruppi di interesse politico-economici, mentre negli Stati Uniti essa è un potere economico a se. Gli editori del New York Times creano la propria ricchezza vendendo la libertà del loro quotidiano, come quando si vende un panino; ne vendi tanti se il panino è buono e il New York Times si vende perché è un buon giornale. Negli Stati Uniti la libertà di stampa è molto radicata mentre da noi è molto giovane.” Per quanto riguarda le differenze del linguaggio nei quotidiani italiani e americani il discorso può essere ridotto principalmente all’uso delle metafore e dei neologismi. Come si vedrà nel capitolo seguente, dedicato alla raccolta dei titoli di quotidiani italiani e statunitensi on-line, i giornali italiani amano usare molte metafore e figure retoriche, soprattutto nei titoli; con poche parole si crea un’immagine che colpisce prima l’occhio del lettore, poiché usando poche parole si rende semplice la lettura e si possono usare caratteri più grandi di modo che il titolo salti subito all’occhio, e poi la sua curiosità. una tendenza molto ricorrente è inserire nei titoli parti di discorsi o affermazioni, sapientemente adattati per l’occorrenza, perché il lettore colga la notizia direttamente dalle parole dell’intervistato. Il linguaggio americano, viceversa, usa poche le metafore e le figure retoriche, servendosi principalmente di neologismi e di sostantivi derivati da aggettivi, verbi e avverbi. La lingua inglese, contrariamente a quella italiana, la cui pronuncia è pari alla sua scrittura, gode del vantaggio di avere pronuncia simili o addirittura uguali per parole differenti, a volte completamente lontane come
53
significato; ma con un’abile gioco di parole è possibile inserire in una frase una parola estranea per darle un doppio significato. 6.2 Il new journalism
Con il termine new journalism si indica una corrente che ha segnato una profonda svolta nel giornalismo a partire dagli anni Sessanta e Settanta. Questo stile, stravolgendo la tradizione giornalistica, intendeva servirsi di tecniche non convenzionali per il giornalismo di quel periodo e, proprio per questa rivoluzionaria intenzione, ha subìto pesanti critiche. Tra gli scrittori-giornalisti che hanno introdotto questo nuovo stile e ne hanno difeso i principi troviamo Tom Wolfe, Truman Capote, Norman Mayler e Gay Talese. La
rivoluzione
rispetto
alla
tradizione
giornalistica
era
rappresentata
dall’introduzione di tecniche ed espedienti proprio di altri generi, come il romanzo e la fiction, per scrivere gli articoli, con l’intenzione di rendere il pezzo più intrigante per i lettori e la lettura più coinvolgente. Il risultato è un genere chiamato “romanzo-reportage”, “journalistic novel” secondo la definizione di Capote, o “nonfiction novel” secondo Wolfe, che utilizza i tempi e gli stili della letteratura per creare dei personaggi e delle storie reali. Sebbene le storie, i personaggi, le idee, tutti i materiali fossero presi dalla realtà e non creati per l’occasione degli scrittori, erano nello stile e nella tecnica le vere innovazioni: gli stratagemmi letterari erano al servizio del giornalismo e il loro unico scopo era la funzionalità della narrazione e della rappresentazione delle notizie. “La lettura non doveva sostituirsi al giornalismo: “I am talking about thecnique”, scriveva Wolfe, il primato della notizia non doveva essere messo in discussione” (Professione giornalista, Papuzzi, p.81). Secondo Wolfe, il new journalism doveva rispettare quattro regole:
54
• La costruzione degli avvenimenti scene-by-scene, attraverso un montaggio di scene che esclude interventi di raccordo e spiegazioni del narratore; • L’impiego di dialoghi che riproducano il parlato dei personaggi di una storia, trasformando le fonti in caratteri, come farebbe un romanziere; • Il punto di vista in terza persona, o punto di vista interno alla storia, arrivando anche ad alternare molteplici punti di vista; • Descrizioni realistiche, nei minimi dettagli, di ambienti, mode, stili di vita, per la quale Wolfe coniò il termine di “autopsia sociale”
(Professione giornalista, Papuzzi, p.82)
Il nodo intorno al quale si dipanavano le teorie e le discussione era lasciare che i fatti parlassero da soli, limitando il più possibile la presenza e la voce del narratore, fino ad eliminarla. Le critiche che sono state mosse al new journalism sono di tradire la realtà dei fatti, mescolando la verità e la finzione, e anteporre la componente letteraria e il romanzo al giornalismo, dovute al carattere fortemente soggettivo dello stile. Nel suo saggio The new journalism Wolfe respinge queste accuse e ribatte che, al contrario, questo stile garantisce una maggiore aderenza alla realtà, “perché i suoi stratagemmi letterari, dalla costruzione scena per scena alle descrizioni minuziose e dettagliate, dall'immedesimazione in terze persone all’impiego di dialoghi realistici, avrebbero richiesto un trattamento delle fonti e una registrazione dei fatti molto più approfonditi e accurati di quanto non accadeva con i reporting tradizionale. La trasgressività riguardava solo la scrittura, non la concezione della notizia. Non c’erano più “regole sacerdotali” che imponessero e garantissero uno stile ma il lettore sapeva che ciò che stava leggendo era realmente e materialmente accaduto” (Professione giornalista, Papuzzi, p.83).
55
Capitolo 7 . I giornali e le metafore: la ricerca nei quotidiani
Si conclude questo lavoro con una raccolta di alcuni titoli tratti dai principali quotidiani on-line italiani e statunitensi che dimostreranno quanto sostenuto nei capitoli precedenti. La ricerca è stata condotta tra la fine di giugno e l’inizio di luglio 2011. i siti di riferimento sono stati:
per la politica italiana: - Il corriere della sera (www.corriere.it); - La stampa (www.lastampa.it);
per la politica americana: - The New York Times (www.nytimes.com);
per lo sport italiano: - La Gazzetta dello sport (www.gazzetta.it); - Tuttosport (www.tuttosport.com);
per lo sport americano: - ESPN (www.espn.com); - Major League Baseball (www.mlb.com );
per l’economia italiana: - Il sole 24 ore (www.ilsole24ore.com);
per l’economia americana: - The Wall Street Journal (www.europe.wsj.com) .
Saranno proposti per iniziare i titoli della stampa italiana, a cominciare da Il Corriere della sera e da La stampa, proseguendo con i quotidiani sportivi, La
56
Gazzetta dello sport e Tuttosport, e per concludere Il sole 24 ore, tutti in ordine cronologico. Sarà poi la volta dei quotidiani statunitensi: si comincerà con The New York Times, si passerà alla stampa sportiva su ESPN e si concluderà con The Wall Street Journal.
Il Corriere della sera Giovedì 30 giugno 2011
Governo sotto due volte alla Camera Rabbia premier: così si va tutti a casa “Ora è cominciato la scaricabarile (speriamo non finisca pure quello in mare)” (B. Severgnini) Il sole è calmo. Ipotesi di una nuova era glaciale Fisco, le auto nel mirino
57
Domenica 3 luglio 2011
Stretta sulle pensioni, il fronte del no Televisione, Sky spegne MediasetPlus Il Biscione replica chiedendo i danni Il postino non bussa più alla porta: 29 quintali di lettere mai recapitate La Gelmini inciampa sui crepuscolari
Lunedì 4 luglio 2011
La scure Antitrust su Ryanair: «Offerte introvabili e costi aggiuntivi»
58
La stampa MartedĂŹ 4 luglio 2011
Rignano, il processo per gli abusi riparte da zero Manovra, giallo sulle rinnovabili Ecco il testo inviato al Colle
La Gazzetta dello sport MercoledĂŹ 29 giugno 2011
Pier Silvio senza confini "Milan, voglia di Champions" Pato si gode l'aperitivo "Lo scudetto è solo l'inizio" Fratelli Giggs nella tempesta E Ryan pensa al ritiro
59
Sabato scatta il Tour Seguilo su Gazzetta.it Pianigiani ha fatto l'Italia Si riparte dai magnifici tre "L'Europeo è un terno al lotto, con 5 partite in 6 giorni può accadere di tutto." World League, Italia da 10 Altra dura lezione a Cuba
Domenica 3 luglio 2011
Nasce l'ArgentInter Palacio più Alvarez Napoli: ora Lavezzi ha il mal di pancia
60
Conca trova l'oro in Cina Triennale da 10,6 milioni Milano più lunga con Fotsis Cantù prende Parakhouski GP d'Italia, Sic è una scheggia Kvitova regina di Wimbledon Sharapova s'arrende 6-3 6-4 Trials, Dix sulle orme di Gay Sua l'accoppiata 100-200 Tour, Gilbert detta legge Lunedì 4 luglio 2011
Ferrari, carica Montezemolo "Voglio vittorie già nel 2011"
61
Il Ferguson senza portafoglio che ha cambiato il Milan Brasile: le stelle sono spente L'Udinese fa spese in Francia Il Psg a caccia di nuovi Messi Pioli, ricetta Palermo Tuttosport Domenica 3 luglio 2011
Milan, frenata su Hamsik. Assalto a Marchisio Il Sole 24 ore GiovedĂŹ 30 giugno 2011
Borse positive, euro brillante Prese di beneficio su Fonsai Corrono Impregilo e Banco Popolare
62
Domenica 3 luglio 2011
Colpo di freno per 5 milioni di pensioni Lunedi 4 luglio 2011
Il trasporto aereo rialza la testa: 139 milioni di passeggeri nel 2010, la ripresa è cominciata
The New York Times Domenica 3 luglio 2011
Big Banks Ease Terms on Loans Deemed as Risks
Mets Hold Their Breath After Reyes Grabs His Hamstring LunedĂŹ 4 luglio 2011
2 Republicans Open Door to Increases in Revenue
63
ESPN GiovedĂŹ 30 giugno 2011
Phill'er Up! Clock Is Ticking Domenica 3 luglio 2011
Kvitova upends Sharapova in final Finally, David Ragan gets redemption at Daytona
Major League Baseball Martedi 5 luglio 2011
Jays' offense not lacking against Lackey, Red Sox Maholm enjoys fireworks from Bucs' bats Austin's power sends Tribe to win over Yanks
64
Rangers' bats don't take a holiday Mets do double take to rally past Dodgers LunedĂŹ 4 luglio 2011
New World Order Djokovic takes Wimbledon Rafael: Klitschko manhandles idle-hands Haye The Wall Street Journal LunedĂŹ 4 luglio 2001
GOP Opens Door to Ending Tax Breaks
65
Bibliografia
• G. Lakoff- M. Johnson: Metafora e vita quotidiana (Espresso strumenti) • Bonomi: La lingua italiana e i mass media (Carocci) • G. Faustini: Le tecniche del linguaggio giornalistico (NIS) • M. Casonato: Immaginazione e metafora (Editori Laterza) • Papuzzi: Professione giornalista (Manuali Donzelli) • G. Buldrini: Manuale di linguaggio giornalistico (Etas Libri) • F. Tonello: Il giornalismo americano (Carocci) • S. Briosi: Il senso della metafora (Liguori Editore) • Fonzi- E. Negro Sancipriano: La magia delle parole: alla riscoperta della metafora (Piccola biblioteca Einaudi) • H. Blumenberg: Paradigmi per una metaforologia (Il Mulino) • F. Lo Piparo: Aristotele e il linguaggio- Cosa fa di una lingua una lingua (Editori Laterza) • P. Ricoeur: La metafora viva (Jaca Book)
66
Ringraziamenti
Al termine del mio percorso di studi mi sento di fare alcuni ringraziamenti. Ringrazio il gentilissimo professor Liuzzi che con pazienza e professionalità mi ha seguito in questa tesi. Ringrazio i miei genitori che mi hanno sempre sostenuto e aiutato, non solo durante gli studi. Senza la loro presenza e il loro aiuto ora non sarei qui e i ringraziamenti per loro non possono essere espressi a parole, né un libro può contenerli. Ringrazio i miei nonni che mi sono stati vicini emozionalmente e economicamente, i miei fratelli, tutti gli zii e zie, tutti i miei familiari con cui condivido ora uno dei momenti più importanti della mia vita. Ringrazio tutti i miei amici, i compagni di squadra e i colleghi di lavoro con cui ho condiviso le gioie e le soddisfazioni del mio percorso di studi. Per fortuna sono così tanti che cercare di scrivere tutti i nomi e ringraziarli uno per uno sarebbe un vano tentativo. Stilando un elenco certamente dimenticherei qualcuno, quindi nessuno si senta offeso se non cito il suo nome ma mi limito a ringraziarli tutti insieme. Per ultima, ma non per importanza, ringrazio Serena che mi ha appoggiato, sopportato, aiutato, sostenuto, consolato, consigliato con pazienza e amore e spero che vorrà continuare a farlo per molto tempo ancora.
Grazie a tutti!
67