A.D. MDLXII
U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI S ASSARI F ACOLTÀ
DI
G IURISPRUDENZA
___________________________
CORSO
DI
LAUREA
IN
G I U R I S P R U D E N ZA
LA RISERVATEZZA DEI DATI PERSONALI RELATIVAMENTE ALLA SCELTA IN MATERIA RELIGIOSA
Relatore: PROF. FRANCESCO FALCHI
Tesi di Laurea di: MARIA VITTORIA PISCHEDDA
ANNO ACCADEMICO 2010/2011
A Giovanni
SOMMARIO
Introduzione..........................................................................................1
Capitolo I Il diritto alla riservatezza e principi strettamente collegati ad esso
1. La riservatezza............................................................................3 2. L'identitĂ personale...................................................................11 3. La libertĂ religiosa....................................................................15
Capitolo II Dalla legge 675/96 al Codice in materia di protezione dei dati personali del 2003
1. La legge 675/96.........................................................................24
2. Fattore religioso e dati sensibili................................................30 3. Modifica dei dati sensibili.........................................................37 3.1 Il decreto legislativo 468/2001............................................43 4. Il Codice del 2003.....................................................................47
Capitolo III Chiesa cattolica e privacy
1. La tutela della buona fama e riservatezza.................................56 2. La tutela della privacy-intimitas..............................................64 3. Dal CIC '17 al CIC '83..............................................................70 4. Decreto generale “Disposizioni per la tutela del del diritto alla buona fama e riservatezza�............................... 75 4.1 La disciplina dei registri, elenchi e schedari.......................82 5. Il diritto alla cancellazione dei dati contenuti negli elenchi e negli schedari....................................90
Capitolo IV Stato, Chiesa e diritto alla privacy
1. Garanzie confessionali e diritti individuali...............................94 2. I limiti alla buona fama e riservatezza del fedele e del cittadino: il caso.............................................................102 2.1 Il provvedimento del Garante...........................................109 2.2 I limiti del provvedimento................................................117 2.3 Le due pronunce a confronto............................................127 3. Casi simili e questioni ancora aperte......................................130 4. Matrimonio concordatario e diritto di accesso alla documentazione sanitaria coniuge...................................139 5. Critiche e osservazioni in merito alla decisione del Consiglio di Stato del 28 settembre 2010, n.7166..................153
Conclusioni........................................................................................160 Indicazione bibliografica...................................................................164
Introduzione
Colui che ha impresso una parte di sé medesimo su certi avvenimenti è naturalmente portato a considerarli inclusi nella sua sfera di riserbo personale e a non tollerare altrui discrezione (A. De Cupis 1982). La riservatezza è un diritto che ha accompagnato lo sviluppo della società; essa nasce inizialmente come semplice protezione di intrusioni indebite da parte dei vicini nelle mura domestiche per fare spazio ad una tutela più ampia che garantisce l'individuo sul controllo di tutte le informazioni che lo concernono. Regolata in Italia mediante l'iniziale l. 675/96, l'attuale Codice in materia di protezione dei dati personali, sotto il profilo generale si è lamentata da subito una scarsa attenzione alle confessioni religiose. Qualcuna di queste, tuttavia, ha ritenuto opportuno emanare disposizioni per la tutela dei propri fedeli. In particolare si può notare che la Chiesa cattolica attraverso la Conferenza episcopale italiana ha promulgato il Decreto generale intitolato Disposizioni per la tutela del diritto alla buona fama e 1
riservatezza, il quale ha disciplinato gli aspetti religiosi non toccati da tale legge. Tale iniziativa legislativa si è rivelata necessaria, per i casi che si sono presentati in seguito a controversie implicanti gli aspetti religiosi e la privacy. Ăˆ il caso ad esempio dei fedeli che una volta maturate convinzioni ateistiche decidono di voler cancellare i dati relativi al proprio battesimo dal registro dei battezzati, o ancora il caso di persone interessate alla richiesta di copie dei dati sanitari del coniuge per poter ottenere la dichiarazione di nullitĂ di matrimonio dal Tribunale ecclesiastico. A questi temi si rivolgerĂ l'attenzione dopo aver ricordato nelle linee essenziali i principi posti dall'ordinamento italiano in ordine alla privacy e i dati e la normativa confessionale.
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CAPITOLO I
IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA E PRINCIPI STRETTAMENTE COLLEGATI AD ESSO.
1. La riservatezza
I diritti sono sempre figli del proprio tempo, della società in cui nascono e si sviluppano. La maggior parte di essi finisce col diventare il riflesso della società stessa che, dapprima, ne ha avvertito il bisogno, quindi reclamato la tutela e, da ultimo, modellato le forme; la riservatezza è tra questi1. Essa rappresenta quel modo di essere della persona che consiste nell'esclusione dall'altrui conoscenza di quanto ha riferimento alla persona medesima, appartiene alla grande categoria dei modi d'essere morali della persona e traduce il bisogno di ogni uomo (d'ordine spirituale) ad isolarsi dagli altri, dal vivere sociale, quando, come e nella misura in cui vuole. 1 G. BUSIA, “Riservatezza (diritto alla), in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, p. 477.
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Questo modo di essere assume, nel tessuto umano in cui l'uomo vive, la veste di un interesse: al riserbo della propria immagine o del proprio aspetto fisico così come percettibilmente visibile, al segreto sui fatti e vicende della propria, alla solitudine vera e propria, all'intimità di una propria vita, familiare o di gruppo, all'anonimato, alla riservatezza quale barriera psicologica contro le indiscrezioni altrui. Non
si
tratta
soltanto
dell'esigenza
di
essere
difeso
dall'indiscrezione del proprio vicino ma di poter essere arbitro e protagonista dei propri rapporti sociali2. Espressioni normative di tutela della cd. privacy sono rinvenibili nella Costituzione, la quale garantisce all'articolo 2 i diritti inviolabili dell'uomo, tra i quali è compreso il principio dell'identità personale; e all'articolo 19 il principio della libertà religiosa, diritti questi strettamente connessi all'ampio concetto di riservatezza. Il diritto alla riservatezza, nella sua lunga evoluzione, ha accompagnato gli sviluppi società. Nel secolo scorso, nella tranquilla Boston dell'800, con l'aumento 2 A. SCALISI, Il diritto alla riservatezza, il diritto all'immagine, il diritto al segreto, la tutela dei dati personali, il diritto alle vicende della vita privata, gli strumenti di tutela, Milano, 2002, p. 6- 8.
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della popolazione nelle città, la riservatezza veniva vista come una richiesta di protezione da intrusioni indebite da parte dei vicini nelle mure domestiche; tradizionalmente quindi si tende ad attribuire la nascita del diritto alla privacy a questa città3. La nozione più tradizionale del diritto alla privacy, che è quella di diritto ad essere lasciati soli, inteso come right to be alone: diritto ad essere lasciati tranquilli, a non essere disturbati da intrusioni, ha fatto spazio ad una tutela più ampia che garantisce l'individuo sul controllo di tutte le informazioni che lo concernono, e attribuisce ad esso la possibilità di autorizzarne le diverse elaborazioni, rettificarle e bloccarne la diffusione ove se ne faccia uso illegittimo. Questa mutevolezza del diritto alla riservatezza non ha reso facile una sua
individuazione marcata, lasciandone scoperti i confini e
sovrapponendovi altri diritti ad esso strettamente collegati, quali il diritto all'identità personale, il diritto all'intimità, all'immagine, all'onore, alla reputazione ecc.4 3 Come è evidente, l'individuazione di un momento specifico nel quale il diritto sarebbe nato assume un valore meramente simbolico e convenzionale. E' quindi possibile trovare chi riconduce la sua origine ad altri episodi. A riguardo si vedere anche V. FROSINI, “Banche dati e tutela della persona”, in Camera dei deputati, Quaderni di documentazione, a cura di R. PAGANO, 4, Roma, 1983, p. 3 e ss; M. G. LOSANO, “Introduzione”, in La tutela dei dati personali Commentario alla l. 675/96, Padova, 1997, p. XXII. 4 Per tutti, A. DE CUPIS, “I diritti della personalità”, in Tratt. Cicu e Messineo, Milano, 1982, p. 283 e ss.
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Anche nel nostro ordinamento si sono presentate tali difficoltà facendo rimanere il diritto alla riservatezza a lungo privo di una specifica disciplina; non solo ma il nostro sistema giuridico, quando ha riconosciuto l'esistenza di tale diritto, è stato fortemente influenzato dall'esperienza
estera,
sopratutto
dall'elaborazione
dei
paesi
anglosassoni intorno al concetto di privacy. E proprio la nozione di privacy comprende in sé anche i diritti contigui alla riservatezza di cui prima si è fatto cenno. Nella nostra Carta Costituzionale è possibile individuare il fondamento del diritto alla riservatezza e di altri diritti ad esso contigui a cominciare dall'art. 2 e dall'art. 13. Nell'art. 2, “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Nell'art. 13, “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non nei soli casi e modi previsti dalla legge. ...”.
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Questa sorgente normativa mostra che talvolta può dipendere dal soggettivo modo di vedere dell'interprete il fatto di attribuire un determinato diritto o una tutela specifica ad una categoria piuttosto che un'altra5. Questo proprio a causa delle profonde interrelazioni che legano i diversi diritti della personalità tutti riconducibili al valore integrale ed unitario della persona umana cosi come è intesa nel richiamato art. 2 della Costituzione6. Il riferimento alla Costituzione fa comprendere l'esigenza di bilanciare il diritto alla riservatezza con altri diritti ugualmente tutelati nella Costituzione. Come detto, la Costituzione non contiene una disciplina specifica del diritto alla riservatezza e questo perché i costituenti, “stendendo il testo all'indomani del secondo conflitto mondiale”7, non sentirono il bisogno di dedicare ad esso una specifica disposizione, ad ogni modo il riferimento è l'art. 2 della Costituzione. 5 In questo senso è anche possibile domandarsi se sia adeguato configurare un unitario e generale diritto della personalità, o se si debbano invece individuare singole figure con caratteri tipici. 6 F. MODUGNO, “I nuovi diritti nella giurisprudenza costituzionale”, Torino, 1995, p. 11 e ss.; P. RESCIGNO, “Personalità (diritti della)”, in Enc. Giur. XXIII, Roma, 1990, par. 4.1, p. 5. 7 G. BUSIA, Riservatezza (diritto alla) in Digesto delle Discipline pubblicistiche, cit., p. 476 e ss.
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La Corte Costituzionale8 già in passato aveva avuto modo di affermare che fra questi diritti primari rientra “ quello del proprio decoro, onore, della propria rispettabilità, riservatezza, intimità e reputazione”. Il riconoscimento del diritto alla riservatezza sboccia attraverso il principio di uguaglianza sostanziale per collegarsi alla tutela della libertà personale. Questi riferimenti trovano corrispondenza nel dibattito sulla privacy sviluppatosi negli Stati Uniti9. In particolare nella distinzione fra una privacy della sfera intima, relativa alle relazioni più personali che investono, ad esempio, la libertà sessuale; una privacy personale, relativa alla libertà di domicilio o i diritti di difesa; una privacy di natura politica, diretta a tutelare le libertà di espressione, riunione, associazione, religione o petizione ecc. Fondamentale importanza ha avuto l'entrata in vigore, nel nostro ordinamento, della l. 4 Agosto 1955 n. 848, che ha dato esecuzione 8 SENT. 12-4-1973, n. 38. Per una ricostruzione della giurisprudenza costituzionale in materia, si veda F. MODUGNO, “I nuovi diritti nella giurisprudenza costituzionale”, cit., p. 11 e ss. 9 A. BALDASSARRE, “Privacy e Costituzione. L'esperienza Statunitense”, Roma, 1974, p. 458 e ss.
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alla Convenzione Europea del 4 Novembre 1950, relativa alla salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dove all'art. 8 stabilisce il diritto di ciascuno al rispetto della sua vita privata e familiare.10 L'evoluzione giurisprudenziale in materia di riservatezza, testimonia il tentativo dei giudici di colmare una lacuna nel nostro ordinamento ricorrendo a vari strumenti interpretativi tesi a “consentire un ambito di autonoma determinazione della sfera privata, e sopratutto a limitare lo sfruttamento a fini di lucro di tale sfera da parte di soggetti estranei11”. La riservatezza può essere definita come “quel modo di essere della persona il quale consiste nella esclusione dall'altrui conoscenza di quanto ha riferimento alla persona medesima... la riservatezza consiste, precisamente, in un modo di essere negativo della persona rispetto ad altri soggetti, e più precisamente rispetto alla conoscenza di questi.
10 V. PIGNEDOLI, “Privacy e libertà religiosa”, Milano, 2001, p. 20 e ss. 11 G. GIACOBBE, “Riservatezza (diritto alla)”, in Enc. Giur., XL, Milano, 1989, p. 1253.; CASS. 29 aprile 1963, n. 990 “la personalità è il presupposto di diritti... postula un diritto di concretizzazione, un diritto di autodeterminazione nei limiti consentiti dall'ordinamento, il quale come diritto assoluto, astratto, si distingue dal potere di autonomia inerente ai singoli concreti diritti e alle concrete manifestazioni”.
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Tale modo di essere non fa parte dell'essenza fisica della persona; soddisfa quel bisogno di ordine spirituale che consiste nella esigenza di isolamento morale, di non comunicazione esterna di quanto attiene all'individuo persona: costituisce quindi una qualità morale della persona stessa 12”.
12 A. DE CUPIS, “Riservatezza e segreto (diritto a)”, in Novissimo Digesto Italiano, XVI, Torino, 1969, p. 115.
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2. L'identità personale.
Il concetto di identità personale viene inteso come il risultato del processo di identificazione di un soggetto che, per il fatto di esistere, costituisce un unicum nella storia della umanità. Esistono molti ambiti nei quali si può parlare di identità: identità fisica, si ottiene dalla semplice attribuzione del nome; identità sociale, collocazione del soggetto all'interno della società; l'identità ideale, il patrimonio di valori di cui è portatore il soggetto13. La dottrina e la giurisprudenza hanno rivolto attenzione a tale concetto, cui è seguito il riconoscimento effettuato dalla Cassazione con la sentenza 3769 del 22 Giugno 1985. Tale sentenza, che consacra il diritto all'identità personale e ne individua il fondamento nell'art. 2 della Costituzione, ne dà la propria definizione: “ciascun soggetto ha interesse, ritenuto generalmente meritevole di tutela giuridica, di essere rappresentato nella vita di relazione, con la sua vera identità, così come questa nella realtà sociale, generale o particolare, è riconosciuta con l'applicazione dei 13 In merito alla nozione di identità, si vedano gli scritti pubblicati in Studium Iuris,1997, p. 466 e ss.
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criteri della normale diligenza e della buona fede soggettiva; ha cioè interesse a non vedersi all'esterno alterato, travisato, offuscato, contestato il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale, ecc. quale si era estrinsecato o appariva, in base a circostanze concrete ed univoche, destinato ad estrinsecarsi nell'ambiente sociale”14. Così, da questo momento, il concetto di identità personale entra a far parte a pieno titolo di quegli aspetti della personalità tutelati dal nostro
ordinamento,
affiancandosi
a
quelli
già
previsti
normativamente (nome, immagine, reputazione) e a quelli recepiti tradizionalmente (riservatezza). Nonostante si mostri strettamente collegato ad essi, il concetto di identità personale si configura in maniera del tutto autonoma e caratteristica sia rispetto all'interesse ai segni distintivi, come il nome, che identificano il soggetto sul piano materiale e della condizione civile; sia al diritto all'immagine, che richiama le sembianze fisiche; sia all'onore e sia alla riservatezza cui si riconnette l'aspetto negativo
14 Principio ribadito in Foro It., 1994, I, p. 1668, Corte Cost., sentenza 3 febbraio 1994, n. 13 (G. U. 1 serie speciale, 9 febbraio 1994, n. 7): “tra i diritti che formano il patrimonio irretrattabile della persona umana l'art. 2 della Cost. riconosce e garantisce anche il diritto all'identità personale”.
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di non rappresentazione all'esterno delle proprie vicende personali, e l'aspetto positivo di fedeltà nella rappresentazione che connota l'identità personale15. Da ciò si coglie l'importanza della legge in materia di trattamento dei dati personali che fornisce uno strumento volto a consentire la libera collocazione della persona nella società16. Già il primo progetto governativo di disciplina della materia del trattamento dei dati personali, della Commissione Mirabelli, conteneva un espresso riferimento all'allora neonato diritto all'identità personale.
15 Il Foro It., I, Sent. Cass. 990/1963, 1963, p. 877; Il Foro It., I, Sent. cass. 2129/1975, 1976, p. 2995; Il Foro It., I, Sent. Cass. 978/1996, 1997, p. 1259.; V. ZENO-ZENCOVICH, “Identità personale”, in Digesto disc. Priv. - sez. civ., Torino, IX, 1993, p. 294 ss. 16 S. RODOTA', “Persona, riservatezza, identità”, in Riv. Dir. Priv., 1997, Milano, p. 603.
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3. La libertà religiosa
La libertà religiosa, giuridicamente intesa come “libertà garantita dallo Stato a ogni cittadino di scegliere e professare la propria credenza in fatto di religione17”, rappresenta storicamente la prima libertà dei moderni18. Nonostante questo primato storico, cui corrisponde un primato quantitativo e qualitativo della speculazione su di essa, la libertà religiosa continua ad essere oggetto di dibattito teorico e di pratica rivendicazione19. Il discorso sulla libertà religiosa è caratterizzato da ambiguità di fondo sia per ciò che attiene al concetto stesso di tale libertà, sia per ciò che attiene ai suoi contenuti concreti. In particolare si può rilevare che nella nostra esperienza culturale, nella speculazione filosofica, politica e giuridica il problema della libertà religiosa mostra di subire un singolare processo di 17 P.A. D'AVACK, voce Libertà religiosa (dir. Eccl.), in Enc. Dir., XXIV, Milano 1974, p. 595. 18 Con questa espressione si intende dire che tutto il monopolio delle libertà costituenti ormai il patrimonio comune dell'uomo contemporaneo, nel divenire della storia si viene costituendo a partire dalla rivendicazione progressiva della libertà religiosa e dal suo progressivo riconoscimento. 19 G. DALLA TORRE, “Il fattore religioso nella costituzione; analisi e interpretazioni”, Torino, 1995. p. 51 – 53.
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ripensamento e di riformulazione teorica di concetti, di categorie, di configurazioni istituzionali che si ritenevano ormai definite Si deve notare come l'impostazione classica degli studi storici e degli studi giuridici in materia di libertà viene attualmente sottoposta a progressiva critica; è il caso della configurazione della libertà religiosa come “concetto prettamente giuridico20” considerata oggi da parte della dottrina come valore essenzialmente etico-politico, mettendone tra l'altro in evidenza l'intrinseca storicità e relatività21. Parte della dottrina, sotto evidenti influssi del pensiero marxista, tende a ricondurre sempre più l'idea della libertà religiosa modernamente intesa22 al manipolo delle cosiddette libertà borghesi, cioè alle formulazioni teoriche ed alle realizzazioni politicoistituzionali della libertà, che nascono e si affermano in un contesto storico, politico, sociale, culturale ben preciso, quale appunto il mondo occidentale tra Ottocento e Novecento. Attorno quindi al concetto di libertà religiosa vi è l'insorgente 20 F. RUFFINI, “La libertà religiosa come diritto pubblico subiettivo”, Bologna, 1992, p. 217. Configurazione intorno alla quale si si era impegnata la miglior dottrina del secolo scorso e del nostro, giungendo a conclusioni che fino a qualche tempo fa si ritenevano non essere messe in discussione. 21 L. GUERZONI, “Libertà religiosa ed esperienza liberaldemocratica”, in Teoria e prassi delle libertà di religione, Bologna 1975, p. 229 ss. 22 Cioè quella così come affermatasi nella speculazione e nella normativa.
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ambiguità che emerge nella speculazione contemporanea, da un lato arroccata sulle posizioni tradizionali acquisite, e dall'altro tesa a demolire tali posizioni attraverso un processo di revisione critica. Le idee sovrastanti alla progressiva evoluzione, nell’area occidentale, dallo Stato liberale ottocentesco (Stato di diritto) allo Stato solidarista e sociale contemporaneo (Stato di democrazia pluralista), influiscono in qualche modo anche nella concezione del diritto di libertà religiosa. Difatti si afferma progressivamente la coscienza che questa non si esaurisce nei contenuti concreti storicamente determinati nell’età del liberalismo, e cioè nel diritto di manifestare apertamente la propria appartenenza confessionale (libertà di coscienza), di esercitare pubblicamente il culto (libertà di culto), di svolgere attività di proselitismo (libertà di propaganda), bensì anche il diritto del singolo e delle formazioni sociali religiosamente qualificate di vivere nella realtà sociale conformemente alla visione della vita, alla scala dei valori, che derivano all’individuo ed al gruppo dalla fede religiosa professata. Così come si afferma la coscienza che lo Stato contemporaneo, 16
proprio in quanto Stato sociale, non può limitarsi a garantire il diritto di libertà religiosa, bensì deve operare secondo una direttiva di valore data dalla rimozione degli ostacoli di qualsivoglia natura che impediscono il concreto esercizio del diritto in questione, pure astrattamente riconosciuto. A voler ricercare le cause che, a livello dottrinale, sono a monte della tendenza ad una più ampia, comunque diversa concezione della libertà religiosa, bisognerebbe forse risalire al momento in cui si iniziò a ricomprendere anche l’ateismo nell’area garantita dal diritto di libertà religiosa. Giacché le difficoltà, che ad un certo tempo dovettero sembrare insormontabili, incontrate dalla dottrina, tesa ad estendere all’ateo la titolarità del diritto di libertà religiosa e le relative garanzie, si incentravano in definitiva proprio sul fatto che i classici contenuti del diritto di libertà religiosa – e cioè il diritto di manifestare la propria fede, di farne propaganda e di esercitare il culto in pubblico o in privato – si erano venuti storicamente determinando in relazione all’esigenza di tutelare il fenomeno religioso inteso in senso positivo23. 23 G. DALLA TORRE, “Il fattore religioso nella Costituzione”, cit., p. 54.
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La necessità di trovare entro e non fuori i princìpi giuridici consolidati,
propri
dei
c.d.
ordinamenti
liberal-borghesi,
giustificazioni e garanzie per l’ateo24, portò la dottrina a forzare quei princìpi, ad allargare progressivamente i contenuti del relativo nomen iuris, con l’effetto peraltro di dare l’avvio ad un moto destinato a condurre allo stravolgimento, se non addirittura al superamento, degli antichi assetti teorici e normativi25. Tornando al fenomeno della generale tendenza verso una più ampia concezione del diritto di libertà religiosa, si deve notare che esso nasce dalle pressioni della realtà sociale. Una realtà sociale che preme per l’affermazione di una libertà in materia religiosa che non subisca limitazioni o condizionamenti e possa trovare esplicitazioni nella sua integralità e una realtà sociale che tende a ricomprendere nel nomen iuris della libertà religiosa una serie di situazioni soggettive un tempo del tutto sconosciute o, comunque, ad essa estranee. Situazioni soggettive che possono essere totalmente svincolate da 24 Necessità derivanti dal trasformarsi dell'ateismo da fenomeno individuale a fenomeno collettivo, o di massa. 25 G. DALLA TORRE, “Il fattore religioso nella Costituzione”, cit., p. 55.
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un referente religioso; che possono prescindere da un’appartenenza confessionale dell’individuo ma che sono accomunate tutte dalla medesima istanza alla rivendicazione del primato della coscienza individuale. Mentre nelle fattispecie tradizionali entra in rilievo il rapporto fra il soggetto e la credenza religiosa, quale che esso sia (cioè positivo, nel caso del credente; negativo, nel caso dell’ateo); nelle nuove fattispecie poste dall’obiezione di coscienza entra in primo luogo e soprattutto in rilievo l’individuo in sé stesso, nella normatività della propria coscienza. In altri termini, la libertà religiosa va presa in considerazione sia in senso positivo che in senso negativo. In senso positivo, la libertà di religione postula un agire dell’individuo rivolto verso l’esterno e consiste, per il credente, nel diritto di professare pubblicamente la propria fede religiosa, di farne propaganda, di esercitarne in privato ed in pubblico il culto. Anche per il non credente vale questa definizione, tranne, logicamente, per quel che concerne l’esercizio del culto, posto che
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questo è fatto propriamente religioso. In senso negativo, invece, la libertà di religione indica l’immunità di cui ciascun individuo deve godere in materia religiosa e di coscienza, rispetto a coercizioni provenienti dall’esterno, sia da parte dei pubblici poteri, sia da parte dei privati. In altri termini, viene in tal modo affermato il diritto e la libertà per ciascuno di credere e di non credere. Si deve notare come nella Costituzione l'art. 1926, strettamente collegato all'art. 827, vada ad integrare le garanzie costituzionali in materia e, sin dalla sua formulazione, rifletta una cultura giuridica storicamente datata. Esso ricalca, infatti, le espressioni formali ed i contenuti concreti propri a tutte le esperienze costituzionalistiche che, fra ‘800 e ‘900, si maturano nella forma di Stato moderno che si definisce Stato di diritto, e che sotto il profilo delle dottrine politiche ispiratrici può chiamarsi Stato liberale.
26 Il quale recita: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume” . 27 Il quale recita: “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge” .
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Nell’articolo in esame, infatti, la libertà religiosa risulta sia come diritto soggettivo, da valersi quindi nei confronti dei privati, e sia come diritto pubblico soggettivo, che di conseguenza può essere azionato nei confronti dei pubblici poteri. Titolari del diritto in questione sono tutti gli uomini, non solo i cittadini28 ma anche le formazioni sociali le quali abbiano una qualificazione religiosa. Perciò si dice che si tratta di un diritto sia individuale, sia sociale collettivo. La Costituzione riconosce la facoltà di professare la fede religiosa in forma individuale od associata (libertà di coscienza); la facoltà di esercitare in privato o in pubblico il culto (libertà di culto); la facoltà di fare opera di proselitismo (libertà di propaganda religiosa). Per quanto riguarda i limiti che l’esercizio del diritto in questione può legittimamente incontrare, essi sono esplicitamente dati dalla Costituzione nel solo divieto dei “riti contrari al buon costume29”. 28 Si noti la differenza di formulazione, ad es., con l'art. 3 della cost. per il quale: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione [….]” 29 Si tratta di un’espressione che è stata intesa dalla dottrina in maniera più ristretta, come esclusione della legittimità “dei riti che offendono la libertà sessuale, il pudore e l’onore sessuale”; ovvero in maniera più ampia, come esclusione della legittimità dei riti contrari al
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Il limite in esame opera solo in relazione all’effettiva celebrazione di riti contrari al buon costume, rimanendo di conseguenza inoperante nei confronti di quelle confessioni religiose le quali contemplassero nel loro patrimonio liturgico riti del genere, ma non li esercitassero concretamente (quanto meno sul territorio dello Stato italiano). La libertà religiosa esercita una funzione peculiare qualificandosi come “libertà di ciò che di più intimo esiste nell'animo umano: il rapporto con il trascendente, con la coscienza”. La libertà di coscienza e di religione è un diritto primario e inalienabile della persona, è fondamento di tutte le libertà, la cui ragione di essere è intimamente radicata in ogni persona30.
sentimento etico, o addirittura all’intero vivere civile ed all’intero campo sociale. 30 GIOVANNI PAOLO II, Message de l'Eglise catholique, aux hautes autorités des apys signataires de l'act final d'Helsinky du 1er aout 1975, sur la libertè de coscience et de religion (1 settembre 1980), in Ench. Vat. 7, p. 547.
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CAPITOLO II
DALLA LEGGE 675/1996 AL CODICE IN MATERIA DI PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
1. La legge 675/1996
La legge sulla privacy del 1996/ 675, Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, entrò in vigore in Italia nel Maggio del 1997. Il Decreto legislativo 196/2003, intitolato Codice in materia di protezione dei dati personali31, abroga la precedente legge 675/96 che fu introdotta per rispettare gli Accordi di Schengen32. 31 Pubblicato in Gazzetta Ufficiale della repubblica Italiana, n. 174 del 29 luglio 2003, Supplemento ordinario n. 123. 32 La legge 675/1996, a cui ha fatto seguito, nel 1999, il relativo decreto di attuazione, nasce come adempimento di un obbligo imposto all'Italia dall'Accordo di Schengen. Il nome di tale accordo deriva dalla cittadina lussemburghese, Schengen appunto, dove, il 19 giugno 1990, venne stipulata la Convenzione attuativa di un accordo precedentemente raggiunto, nel 1985, tra Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi. Oggetto del primo accordo dell'85 e di quello, attuativo del 1990, è la graduale abolizione dei controlli sulle persone alle frontiere comuni e dunque la piena libertà di circolazione. All'accordo originario hanno successivamente aderito altri paesi, tra cui anche l'Italia. Proprio all'interno dell'accordo di Schengen ha trovato spazio, nell'ambito della garanzia delle libertà fondamentali e della dignità delle persone, la tutela della riservatezza e dell'identità personale. L'accordo difatti ha imposto ai Paesi aderenti l'adozione, entro il 31 dicembre 1996, di una legge di tutela rispetto al trattamento dei dati personali. La legge 675/1996 costituisce inoltre l'adempimento di obblighi derivanti dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla “Protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati di carattere personale” adottata a Strasburgo il 28 gennaio 1981.
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Con il tempo a tale norma si erano affiancate ulteriori diverse disposizioni, riguardanti specifici aspetti del trattamento dei dati, che sono state riassunte ne Testo Unico vigente, il Codice, entrato in vigore il 1° Gennaio 2004. Sull'applicazione della normativa vigila l'Autorità Garante per la protezione dei dati personali, istituita dalla legge 675/1996 e confermata dal Testo Unico del 2003. La legge 31 Dicembre 1996, n. 675, intitolata “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali”, risponde alla esigenza di tutela della riservatezza, cioè alla cosiddetta privacy dei cittadini. La finalità di tale legge è garantire all'individuo la non utilizzazione dei dati personali se non nei casi consentiti. La legge 675/1996 giunge a disciplinare anche nell'ordinamento italiano un fenomeno che a partire dagli anni Settanta molti Stati hanno provveduto a regolamentare33. 33 Quelle dei Lander tedeschi furono tra le prime legislazioni regionali sulla protezione della riservatezza. La prima ad entrare in vigore tra le leggi nazionali fu quella svedese sulla raccolta dei dati n. 289 del 1973, in seguito la legge tedesca del 21 gennaio 1977 sulla tutela contro l'utilizzo abusivo dei dati di identificazione personale nel quadro del trattamento dei dati; e la legge federale austriaca del 18 ottobre 1978 che, all'art. 1 prevede: “chiunque ha diritto alla riservatezza dei dati personali che lo riguardano, in quanto abbia un interesse meritevole di tutela, con particolare riguardo alla vita privata e familiare”. Allo stesso anno appartengono anche la legge francese: Loi relative à l'informatique.., quella danese: Private Registers, e norvegese: Personal Data Registers Act.
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Al sistema del trattamento dei dati personali, l'Italia si è adeguata essenzialmente per l'esigenza di armonizzare la propria legislazione a livello comunitario, in modo da garantire la circolazione delle informazioni nell'ambito dell'Unione Europea e di assicurare una protezione dei dati in modo equivalente ai diversi Stati della UE. La disciplina sul flusso di informazioni e dati personali non può essere lasciata ad un singolo paese, ma richiede una stretta cooperazione fra gli stati e gli organismi che all'interno si occupano della protezione degli stessi. Per tale ragione è sorta all'interno dei più importanti organismi internazionali la consapevolezza della necessità di predisporre un quadro normativo comune al quale gli stati fossero vincolati. Gli atti più importanti, in quanto rappresentano le cause più immediate dell'approvazione delle leggi sulla tutela dei dati, sono la Convenzione del Consiglio d'Europa n. 108/198134 e la Direttiva n. 95/46/CE.
34 La Convenzione fu adottata dal consiglio d'Europa al fine di realizzare un unione più stretta tra gli stati membri. Essa prevedeva la ratifica, avvenuta con la l. 388/1993, di ulteriori intese internazionale, tra cui l'Accordo di Schengen, 1985, e la successiva applicazione di tale accordo, 1990. Insegnamento fondamentale della Convenzione è stato quello di aver sancito il principio che i diritti dell'individuo devono essere protetti in relazione alla libertà di circolazione delle informazioni.
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La l. 675/96 viene comunemente definita come la prima normativa organica del nostro paese in materia di privacy. A complemento della stessa si aggiunse la l. n.676/96 che conferisce Delega al Governo in materia di tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali35. Questo
complesso
normativo
si
basa
su
due
principi
fondamentali, la libertà nella raccolta, elaborazione, diffusione e gestione dei dati e il rispetto dei diritti della persona; questi fini sono indicati nell'articolo 1 della legge 675/96 che garantisce che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità delle persone con un riferimento particolare alla riservatezza e all'identità personale; garantisce altresì i diritti delle persone giuridiche e di ogni altro ente o associazione. Valore fondamentale di tale normativa è quello di aver contribuito alla individuazione del diritto alla privacy come un diritto fondamentale nel nostro ordinamento, precisandone l'indicazione 35 Vedi in generale: V. ZENO- ZENCOVICH, “Personalità (diritto della)”, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civ., vol. XIII, Torino, 1995, p. 431; G. BUTTARELLI, Banche dati e tutela della riservatezza, Milano, 1997, p. 61 e ss.; G. FINOCCHIARO, “Una prima lettura della legge 31 dicembre 1996, n. 675”, in Contratto e impresa, 1, Padova, 1997, p. 299 ss.
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attraverso il riferimento ai diritti che la compongono, in particolare: la dignità, la riservatezza e l'identità personale36. Non solo, all'art. 1 della l. 675/1996 troviamo alcuni chiarimenti dei termini che individuano i soggetti e i concetti utilizzati nella disciplina dell'utilizzo dei dati personali: 1.
Trattamento: si intende “qualunque operazione o
complesso di operazioni, svolti con o senza l'ausilio dei mezzi elettronici o comunque automatizzati, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione,la conservazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione,
il
blocco,
la
comunicazione,
diffusione,
cancellazione e la distruzione dei dati”. 2.
Titolare: si intende “la persona fisica, la persona
giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro ente, associazione, organismo, cui competono le decisioni in ordine alle finalità ed alle modalità del trattamento di dati personali, ivi compreso il profilo della sicurezza”. 3.
Dato personale: si intende “qualunque informazione
36 C. DE GIACOMO, “Diritto, libertà e privacy nel mondo della comunicazione globale”, Milano, 1999, p. 13 ss.; S. RODOTA', “Persona, riservatezza, identità”, in Riv. dir. priv., 1997, cit. p. 583.
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relativa a persona fisica, persona giuridica, ente o associazione, identificati
o
identificabili,
anche
indirettamente,
mediante
riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”. 4.
Interessato: si intende “ la persona fisica, la persona
giuridica, l'ente o l'associazione cui si riferiscono i dati personali”. 5.
Garante: si intende: “l'autorità istituita all'art. 3037.” Il
Garante ha il compito di decidere sui ricorsi presentati ai sensi dell'art. 2938 e gli interessati e le associazioni che li rappresentano gli possono inviare segnalazioni e reclami, aventi ad oggetto inosservanze di legge o di regolamento. 6.
Blocco: si intende “la conservazione di dati personali con
sospensione temporanea di ogni altra operazione del trattamento.
37 Art. 30, co. 2: “organo collegiale che opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione”. Art. 30, co. 3: “Il garante è un organo collegiale costituito da quattro membri, eletti due dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica con voto limitato. Essi eleggono nel loro ambito un presidente, il cui voto prevale in caso di parità. I membri sono scelti tra persone che assicurino indipendenza e che siano esperti di riconosciuta competenza delle materie del diritto o dell'informatica, garantendo la presenza di entrambe le qualificazioni”. Art. 30 co. 4: “Il presidente e i membri durano in carica quattro anni e non possono essere confermati per più di una volta”. Art. 31 co. 1: “Il Garante ha il compito di tenere un registro un registro generale dei trattamenti sulla base delle notificazioni ricevute”. 38 CAPO VI, Tutela amministrativa e giurisdizionale, l. 675/1996, Art. 29, Tutela. Sancisce il principio in base al quale l'interessato può far valere i propri diritti (art. 13) davanti all'autorità giudiziaria o con ricorso al Garante.
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2. Fattore religioso e dati sensibili
I dati di natura religiosa sono menzionati nell'articolo 22 della legge 675/96, e fanno parte della categoria dei c. d. dati sensibili. Infatti con tale articolo si tutela la rivelazione delle proprie convinzioni religiose. Tale disposizione è una norma eccezionale rispetto al complesso di disposizioni concernenti i dati personali “ordinariâ€? e comporta, per un verso, una forza derogatrice; per altro verso, l'esigenza di una sua interpretazione restrittiva al fine di evitarne una espansione che finirebbe per travolgere la regola. L'art 22 è preposto alla tutela del nocciolo duro della riservatezza; esso coincide in larga misura con l'area della riservatezza quale era concepita prima dell'avvento dei mezzi informatici. Infatti si riteneva che i dati sanitari e relativi alla vita sessuale, quelli concernenti le opinioni o gli orientamenti politici, religiosi o filosofici fossero schermati dalla conoscenza altrui. La principale differenza sta nel fatto che la originaria nozione
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della riservatezza utilizzava prevalentemente un criterio localistico39, mentre l'attuale nozione di riservatezza informatica preferisce avvalersi di un criterio contenutistico40. Se si considera la riservatezza come un diritto a consistenza concentrica, vediamo al cuore di essa i “dati sensibili”, mentre nei cerchi più distanti si collocano i dati “non sensibili”. La variabilità della tutela offerta a seconda del contenuto dei dati risulta evidente ove si consideri che essa taluni aspetti della persona solo se formino oggetto di trattamento, e non se invece essi vengono appresi e diffusi con forme diverse, ad esempio verbali41. L'art. 22 stabilisce al 1° comma che “I dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, possono essere oggetto di 39 “Ciò che avviene fra le mura domestiche o in luoghi privati”. 40 “Taluni dati sono riservati in sé, indipendentemente dalla sede nella quale si manifestano”. 41 Vedi V. ZENO-ZENCOVICH, “Commento all'Art 22”, in La tutela dei dati personali. Commentario alla l. 675/1996, a cura di E. GIANNANTONIO, M.G. LOSANO, V. ZENOZENCOVICH, Padova, 1997, p . 201 ss.
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trattamento solo con il consenso scritto dell'interessato e previa autorizzazione del Garante”. Tali dati sono individuati come dati particolari, sensibili42; essi si distinguono dai dati comuni. I dati comuni, rappresentano una categoria residuale in quanto ne fanno parte tutti i dati non sensibili, dove sono comprese le informazioni il cui trattamento espone le persone interessate a un rischio minore; ad esempio informazioni riguardanti il nome, l'indirizzo, il recapito telefonico. I dati sensibili sono particolari in quanto per la loro elaborazione sono previste specifiche cautele. Il legislatore con i dati sensibili ha voluto individuare alcune categorie di informazioni relative alla sfera intima dell'individuo e capaci di incidere sullo sviluppo e sul libero esplicarsi della sua persona. I dati sensibili sono particolari in quanto per la loro elaborazione sono previste specifiche cautele. La ragione della loro maggiore accurata tutela è da individuarsi 42 I dati sensibili costituiscono il c.d. “nucleo duro” della riservatezza; vedi G. BUSIA, “Riservatezza ( diritto alla)”, in Digesto delle discipline pubblicistiche, p. 493 ss.
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nel rischio che proprio sulla base di essi possano nascere fenomeni di discriminazione. La Costituzione, a difesa di questo, sancisce all'art 3 comma 1 il principio di uguaglianza43: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di razza, di sesso, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. A difesa di ciò la legge 675/1996 ha disciplinato nel dettaglio l'informativa che il titolare del trattamento deve dare all'interessato o alla persona presso la quale sono raccolti i dati. A questo proposito l'art. 10 prevede che questi soggetti devono essere previamente informati oralmente o per iscritto circa le operazioni possibili sui loro dati. La legge 675/96 non ha preso in specifica considerazione il fenomeno dei dati di natura religiosa. Si nota infatti che essi sono collocati in generale nell'art. 22 fra i 43 Tale principio ha lo scopo di impedire che organi legislativi, amministrativi e giudiziari possano assumere le qualità indicate come giustificazione per effettuare discriminazioni nel godimento di diritti di libertà, nell'assunzione di obblighi e doveri, nell'imputabilità di ogni dimensione giuridicamente rilevante. Tale disposizione, infatti, più che un diritto soggettivo di generico significato, vale come principio oggettivo regolatore di ogni rapporto giuridico. Esso concerne i diritti di libertà, gli obblighi, i doveri costituzionalmente sanzionati e gli interessi legittimi, e cioè tutte le manifestazioni della capacità giuridica. Vedi G. CIOPPI, “Tra uguaglianza e libertà. Contributo ad una disciplina giuridica del fenomeno religioso”, Napoli, 1999, p. 25.
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dati sensibili, sottoponendoli così alle stesse garanzie previste per questo tipo di informazioni personali44. La dottrina ha lamentato la mancata distinzione dei dati religiosi dagli altri dati sensibili, vedendo in ciò un difficile coordinamento della nuova disciplina con i principi costituzionali di autonomia confessionale45; infatti il legislatore italiano ha considerato in maniera unitaria tutti i dati sensibili, inserendoli al primo comma dell'art. 2246 della legge, limitandosi ad individuare alcuni caratteri distintivi esclusivamente per i dati sulla salute e sulla vita sessuale47. Lo stesso legislatore ha invece preferito porre delle distinzioni sul versante dei soggetti che trattano i dati, stabilendo regole e garanzie differenti a seconda che questi siano soggetti pubblici ovvero enti pubblici economici o privati. 44 Le informazioni in materia religiosa non possono però essere equiparate a qualunque altra informazione: si configurano come dati degni di una forma particolare di tutela, sia in quanto toccano gli aspetti più intimi della persona, sia in quanto possano essere utilizzate facilmente con finalità discriminatorie. 45 A. G. CHIZZONITI, “Prima considerazioni sulla legge 675/1996 Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali”, in questa Rivista, 1997, 2, pp. 379 ss., spec. p. 382. 46 C. RADAELLI, “Tutela della libertà religiosa e normativa civile sulla privacy”, in Quaderni di diritto ecclesiale,1998, p. 310 ss. 47 Fra le varie disposizioni speciali dedicate a tali più ristretta categoria di informazioni sensibili, già autorevolmente definite come il nucleo duro della privacy, v. ad es. la specifica disciplina dei trattamenti di dati sanitari per la tutela della salute e dell'incolumità delle persone (art. 23, l. 675, ulteriormente sviluppata dal decreto lgs. 30 luglio 1999, n. 282) ed il divieto generalizzato di loro diffusione (art. 23, l. 675/96).
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I primi, possono raccogliere e gestire tale informazioni solo se ciò risulta stabilito da un'espressa norma di legge che prevedesse tre requisiti fondamentali e cioè: finalità di interesse pubblico perseguite dal trattamento; i dati che potevano essere trattati; le operazioni su questi eseguibili. Più controversa è l'applicazione della disciplina da parte di soggetti privati, fra i quali rientrano ovviamente anche le confessioni religiose ed i vari organismi ad esse direttamente o indirettamente collegate. Per i trattamenti di dati sensibili da parte di tali soggetti, il legislatore italiano ha posto quali presupposti di legittimità la contestuale presenza di un'esplicita espressione di volontà da parte dell'interessato e di una autorizzazione del Garante. Ad ogni modo, l'art. 2248 subordina la legittimità del trattamento dei dati sensibili al consenso scritto dell'interessato e alla preventiva autorizzazione del Garante49. Alla preventiva autorizzazione, del Garante, il legislatore italiano 48 La peculiare attenzione dedicata a questi dati dal legislatore va collegata all'esplicito richiamo alla dignità contenuta nell'art. 1 della l. 675/1996, valore forte da salvaguardare e criterio cui fare riferimento ogni qualvolta debba operarsi un bilanciamento di interessi. 49 Il buon senso fa ritenere che si tratti di una autorizzazione di tipo generale essendo impensabile che essa debba essere richiesta per ciascun dato.
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ha più specificatamente affidato il compito di rafforzare il regime di tutela previsto in generale per i dati comuni attraverso la possibilità riconosciuta al Garante di stabilire particolari accorgimenti e misure in relazione alla natura delle informazioni trattate e quindi alla maggiore o minore sensibilità dei dati. Il consenso50 dell'interessato al trattamento dei dati, è sancito all'art. 11 della l. 675/96: “Il trattamento di dati personali da parte di privati o enti pubblici economici è ammesso solo con il consenso espresso dell'interessato. Il consenso può riguardare l'intero trattamento ovvero una o più operazioni dello stesso. Il consenso è validamente prestato solo se è espresso liberamente, in forma specifica e documentale per iscritto, e se sono state rese all'interessato le informazioni di cui all'art. 1051”.
50 Occorre attribuire alla libertà del consenso un significato pregnante: il consenso può essere ritenuto effettivamente libero solo se si presenta come manifestazione del diritto all'autodeterminazione informativa, e dunque al riparo da qualsiasi pressione. Vedi anche S. VICIANI, “Strategie contrattuali del consenso al trattamento dei dati personali”, 1999, pp. 161-162: “il consenso è il mezzo tecnico per esprimere quella libertà di autodeterminazione che è insita nel riconoscimento del valore giuridico della persona”. 51 L. 675/1996, CAPO III, Trattamento dei dati personali, art. 10, Informazioni rese al momento della raccolta.
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3. Interventi di modifica dei dati sensibili sanciti all'art.22 della l. 675/96
Quanto disposto all'art. 22 è stato oggetto di interventi che ne hanno modificato la portata in misura sostanziale. Questi interventi, da un lato, riguardano la scelta fatta dal Garante di non ricorrere ad autorizzazioni rilasciate per i singoli casi ma ad autorizzazioni di carattere generale, concernenti intere categorie di dati; e dall'altro lato riguardano modifiche apportate dal legislatore delegato mediante i decreti n. 135/199952 e n. 467/200153. Anche la direttiva n. 95/46 CE dedica una specifica attenzione alla dimensione religiosa54. L'oggetto di tale direttiva è definito dal suo art. 1, il quale prevede: “gli stati membri garantiscono conformemente alle disposizioni della presente direttiva, la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche e particolarmente del diritto alla 52 Importante a riguardo è l'articolo 5 di tale decreto che inserisce all'art. 22 della l. 675/1996 un ulteriore comma, 1. bis. 53 Il decreto in questione riforma la lett a) dell'art. 22, quarto comma, della l. 675/1996. 54 Direttiva Comunitaria 95/46/CE del 24 ottobre 1995 “relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione dei dati”, pubblicata in G.U. C. E. n. L 281/31 del 23 novembre 1995.
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vita privata, con riguardo al trattamento dei dati personali. Gli Stati membri non possono restringere o vietare la libera circolazione dei dati personali tra Stati membri, per motivi connessi alla tutela garantita a norma del par. 1”. Il n. 35 di tale direttiva, riconosce che gli scopi perseguiti dalle associazioni religiose ufficialmente riconosciute, rispondono a un rilevante
interesse
pubblico55;
la
posizione
degli
organismi
confessionali viene poi in rilievo nella disciplina del trattamento dei cosiddetti dati sensibili. Infatti l'art. 8, intitolato Trattamenti riguardanti particolari categorie di dati, al 1°comma afferma che “gli Stati membri vietano il trattamento di dati personali che rivelano l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, nonché il trattamento di dati relativi alla salute e alla vita sessuale”. Il 2° comma precede delle eccezioni; infatti prevede che il divieto di trattamento di questi dati, non si applica quando il trattamento è effettuato con garanzie adeguate “da una fondazione, un'associazione o qualsiasi altro organismo che non persegua scopi di lucro e rivesta 55 V. MARANO, “Diritto alla riservatezza”, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica 1998/1, p. 309 ss.
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carattere politico, filosofico, religioso o sindacale”. Il divieto non trova applicazione se il trattamento di dati è effettuato nell'ambito dello scopo lecito dell'ente e “a condizione che riguardi unicamente i suoi membri o le persone che abbiano contatti regolari con la fondazione, l'associazione o l'organismo a motivo del suo oggetto e che i dati non vengano comunicati a terzi senza il consenso delle persone interessate”. Nel definirne l'ambito di applicazione si è data attuazione al principio di territorialità sancito dall'art. 1 della citata Convenzione di Strasburgo n. 108/1981, stabilendo che la legge “ si applica al trattamento di dati personali da chiunque effettuato nel territorio dello Stato” (art. 2), sia pure secondo le modalità e con le limitazioni espressamente precisate. I decreti sopra citati, ossia il d. lgs. n. 135/99 e il d. lgs. n. 467 del 2001, dedicano anch'essi uno sguardo particolare alla materia religiosa in relazione alla direttiva. Tanto l'uno quanto l'altro decreto, infatti, sembrano far parte di un unico disegno diretto a correggere le scelte operate dal legislatore italiano in fase di prima attuazione dell'art. 8 della direttiva europea n.
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95/46. Questa, una volta sancito il divieto generale di trattare i dati sensibili, come si è visto sopra, ha previsto una serie di eccezioni, tra le quali merita particolare attenzione, in relazione al tema in oggetto, quella di cui alla lettera d) del paragrafo 2. Tale norma cita, in alternativa al consenso degli interessati, il trattamento effettuato “con garanzie adeguate, da una fondazione, un'associazione o qualsiasi altro organismo che non persegua scopi di lucro e rivesta carattere politico, filosofico, religioso, sindacale nell'ambito del suo scopo lecito e a condizione che riguardi unicamente i suoi membri o le persone che abbiano contatti regolari con la fondazione, l'associazione o l'organismo a motivo del suo oggetto o che i dati non vengano comunicati a terzi senza il consenso dell'interessato56”. A segnare un primo passo nella direzione segnata dalla lett. d) del paragrafo 2 della direttiva comunitari 95/46 è il primo comma dell'art. 5 del d. lgs. n.135/99 recante Disposizioni integrative della legge 31 56 Questa semplificazione, con riferimento ai soli trattamenti “interni” alla confessione o all'organismo associativo dei dati dei relativi aderenti, è stato giustamente notato, si giustifica con la scarsa attitudine di tali informazioni ad essere utilizzati, in quegli ambiti, a fini discriminatori. R. BOTTA, “Trattamento di dati personali e confessioni religiose”, in Dir. Eccles., 1994, 4, pp. 882 ss.
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dicembre 1996/675; che aggiunge un ulteriore comma all'art. 22 della l. 675/96, il comma 1-bis. L'art. 5, intitolato “Modificazioni alla legge 675/1996”, prevede al 1° comma: “Dopo il 1° comma dell'art 22 della legge è inserito il seguente: 1 - bis: il comma uno non si applica ai dati relativi agli aderenti alle confessioni religiose i cui rapporti con lo Stato siano regolati da intese ai sensi degli artt. 7 e 8 della Costituzione57, nonché relativi ai soggetti che con riferimento alle finalità medesime delle confessioni hanno contati regolari con le stesse, che siano trattati dai relativi organi o enti civilmente riconosciuti, sempreché i dati non siano comunicati o diffusi fuori dalle medesime confessioni. Queste
ultime
determinano
autonomamente
idonee
garanzie
relativamente ai trattamenti effettuati”. Per effetto di tale disposto, l'obbligo della preventiva autorizzazione e, dunque, la soggezione all'autorizzazione relativa al trattamento dei dati sensibili da parte degli organismi di tipo associativo e delle fondazioni, continuerebbero a valere soltanto nei 57 In particolare l'articolo afferma a sua volta: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi.”; art. 8 della Costituzione: “ Tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto ad organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”.
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confronti delle confessioni che non hanno stipulato intese con lo Stato. Rimane quindi sancito l'obbligo della preventiva autorizzazione relativa al trattamento dei dati sensibili agli organismi di tipo associativo, alle fondazioni e alle confessioni che non hanno stipulato intese con lo Stato58.
58 Ciò significa che la Chiesa e le altre confessioni sottoscrittrici di intese, per trattare i dati relativi ai propri fedeli, non sono tenute a essere autorizzate dal Garante, né ad avere il preventivo consenso scritto dell’interessato, ma devono porre in essere idonee garanzie relativamente ai trattamenti effettuati (vedi anche art. 22, comma 2). In altre parole la Chiesa Cattolica e le altre confessioni religiose «i cui rapporti con lo Stato siano regolati da accordi o intese ai sensi degli articoli 7 e 8 della Costituzione» (art. 22 L. 675/96, comma 1-bis) possono detenere archivi in piena libertà e trattare dati sensibili senza consenso scritto dell’interessato e senza previa autorizzazione del Garante.
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3.1. E il decreto legislativo n. 467 del 28 dicembre 2001
Con il d. lgs n. 467/2001 recante Disposizioni correttive ed integrative della normativa in materia di protezione dei dati personali, a norma dell'art. 1 della legge 24 marzo 2001, n. 127, l'assetto normativo preposto alla tutela dei dati personali di natura religiosa si è arricchito di una nuova disposizione che ha riformato la lettera a) del quarto comma59 dell'art. 22 della legge 675/199660: “I dati personali indicati al comma 1 possono essere oggetto di trattamento previa autorizzazione del Garante: a) qualora il trattamento sia effettuato da associazioni, enti od organismi senza scopo di lucro, anche non riconosciuti, a carattere politico, filosofico, religioso e sindacale, ivi compresi partiti e movimenti politici, confessioni e comunità religiose, per il perseguimento di finalità
59 Il quarto comma dell'art. 22, l. 675/96, prevede: “i dati personali indicati al comma 1 possono essere oggetto di trattamento previa autorizzazione del Garante: a) qualora il trattamento sia effettuato da associazioni, enti od organismi senza scopo di lucro, anche non riconosciuti, a carattere politico, filosofico, religioso o sindacale, ivi compresi i partiti e movimenti politici, confessioni o comunità religiose, per il perseguimento di finalità lecite, relativamente ai dati personali degli aderenti o dei soggetti che in relazione a tali finalità hanno contatti regolari con l'associazione, ente od organismo, sempre che i dati non siano comunicati o diffusi fuori dal relativo ambito e l'ente, l'associazione o l'organismo determinino idonee garanzie relativamente ai trattamenti effettuati”. 60 D. MILANI, “Dati sensibili e tutela della riservatezza: le novità introdotte dal D. LGS. n. 467/2001”, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, n. 2, 2002, p. 453 e ss.
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lecite, relativamente ai dati personali degli aderenti o dei soggetti che in relazione a tali finalità hanno contatti regolari con l'associazione, ente od organismo, sempre che i dati non siano comunicati o diffusi fuori del relativo ambito e l'ente, associazione od organismo determinino idonee garanzie relativamente ai trattamenti effettuati”. Inoltre tale decreto, sostituendo l'originaria formulazione dell'ultimo comma dell'art. 2261 con il suo articolo 8, ha previsto che i dati idonei a rivelare le convinzioni religiose così come l'adesione ad organizzazioni a carattere religioso “possono essere oggetto di trattamento
previa
autorizzazione
del
Garante”
qualora
il
trattamento stesso sia effettuato... per il perseguimento di finalità lecite...”. Per effetto delle novità introdotte dal D. lgs. n.135 del 1999 e dal n.467 del 2001 il trattamento dei dati sensibili di natura religiosa è soggetto a regimi differenti a seconda che il titolare dello stesso sia una confessione munita o meno di accordo o intesa con lo Stato.
61 La lettera iniziale della norma in questione si limitava a prevedere che “i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale possono essere oggetto di trattamento previa autorizzazione del Garante, qualora il trattamento sia necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni di cui all'art. 38 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, e successive modificazioni, o, comunque per far valere o difendere in sede giudiziaria un diritto di rango pari a quello dell'interessato....”
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All'origine di tale diversità risiede la scelta del legislatore delegato di non rinunciare alla tutela di tali dati se non in presenza di indici di affidabilità che legittimano la non applicabilità del regime di protezione rafforzata previsto dal primo comma dell'art. 22. Tali indici sono stati identificati col criterio restrittivo all'esistenza di un accordo o di una intesa e in mancanza degli stessi, cioè di accordo o intesa della Chiesa con lo Stato, l'unica concessione ammessa dal D. lgs. n.467 del 2001 è quella di derogare al requisito del
consenso
scritto,
ferme
restando
le
garanzie
connesse
all'autorizzazione preventiva del Garante. Lo stesso decreto legislativo del 2001 ha inserito nella l. 675/96, mediante il suo articolo 9, l'articolo 24 – bis che indica un'altra categoria di dati chiamati dati particolari: “il trattamento dei dati diversi da quelli di cui agli articoli 22 e 2462 che presenta rischi specifici per i diritti e le libertà fondamentali, nonché per la dignità dell'interessato, in relazione alla natura dei dati o alle modalità del trattamento o agli effetti che può determinare, è ammesso nel rispetto di misure ed accorgimenti a garanzia dell'interessato, ove prescritti”. 62 Art. 22 relativo ai dati sensibili, art. 24. relativo ai dati dei provvedimenti di cui all'art. 686 del codice di procedura penale.
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Al comma 2 stabilisce: “Le misure e gli accorgimenti di cui al comma 1 sono prescritti dal Garante sulla base dei principi sanciti dalla legge nell'ambito di una verifica preliminare all'inizio del trattamento, effettuata anche in relazione a determinate categorie di titolari o di trattamenti, sulla base di un eventuale interpello del titolare”. Per ultimo, viene in considerazione il decreto legislativo n. 196 del 2003, intitolato Codice in materia di protezione dei dati personali63. Mediante tale decreto, si è concluso il processo di riforma della legge n. 675 del 1996.
63 Per un commento sul decreto legislativo vedi J. MONDUCCI, G. SARTOR, “Il codice in materia di protezione dei dati personali, commentario sistematico al D. Lgs. 30 giugno 2003”, n. 196, 2004, p. 1 e ss.; R. ACCIAI, (a cura di), “Il diritto alla protezione dei dati personali. La disciplina sulla privacy alla luce del nuovo codice”, Rimini, 2004, p. 347 e ss.
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4. Il codice in materia di protezione dei dati personali
Gli interventi correttivi si sono susseguiti nel corso degli anni e la delega conferita nel 1996 al Governo fu piĂš volte prorogata, fino alla legge 24 marzo 2001, n. 127, la quale, all'articolo 1 comma 464, ha richiesto all'esecutivo l'emanazione di un testo unico in materia di protezione dei dati personali, che apporti correzioni e integrazioni necessarie per il coordinamento delle norme vigenti in materia e per assicurare una attuazione migliore. Il Governo, per realizzare tale obbiettivo, ha istituito un'apposita commissione presso il Dipartimento per la funzione pubblica, che grazie ad un'ulteriore proroga, concessa dall'articolo 26 della legge 3 febbraio 2003 n. 14, ha concluso la propria attivitĂ licenziando un testo che, esaminato dal Consiglio dei ministri il 9 maggio 2003 in via preliminare, è stato approvato definitivamente il 27 giugno successivo ed ha assunto veste formale di decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante appunto il titolo di Codice in materia di protezione dei dati personali. 64 Legge 24 marzo, n. 127, intitolata “Differimento del termine per l'esercizio della delega prevista dalla legge 676/96 per il trattamento dei dati personaliâ€?.
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Da un punto di vista contenutistico il Codice ha come primo dichiarato scopo, quello di avviare una sistemazione delle norme vigenti e di agevolarne la comprensione e la lettura. Questo proposito si è tradotto in una divisione del testo in tre parti: la prima parte contiene le disposizioni generali applicabili a tutti i trattamenti e quelle proprie dei trattamenti in ambito pubblico e privato; la seconda parte riguarda i trattamenti specifici, in materia di sanità, scientifica e del lavoro, ecc.; la terza parte è dedicata ai meccanismi di tutela dell'interessato e alle sanzioni65. Accanto a quest'opera di sistemazione delle norme vigenti, il Codice pone in essere anche interventi di armonizzazione e di adeguamento della disciplina66. Gli aspetti forse più interessanti ed innovativi sono quelli fissati nella prima parte del decreto dedicata ai principi67. 65 E' inoltre annesso al codice un disciplinare tecnico contenente il dettaglio delle misure minime di sicurezza che tutti i titolari dei trattamenti devono obbligatoriamente adottare, nonché i codici deontologici già approvati in collaborazione con il Garante per la protezione dei dati personali in materia di giornalismo, ricerca storica e statistica pubblica. E' altresì previsto che allo stesso d. lgs. n. 196/2001 vadano successivamente allegati gli ulteriori codici deontologici previsti e gli atti con cui il Ministero della giustizia, il CSM e gli altri organi di autogoverno della magistratura dovranno disciplinare l'applicazione dei principi in materia anche alle banche dati di rispettiva competenza. 66 In esso trovano spazio il tentativo di completare o perfezionare il recepimento a direttiva comunitaria di riferimento, la 95/46/CE e l'aggiornamento delle norme vigenti in materia di protezione della vita privata nel mondo delle telecomunicazioni. 67 L. MELCHIONNA, “I principi generali”, in R. ACCIAI (a cura di), “Il diritto alla protezione dei dati personali. La disciplina sulla privacy alla luce del nuovo codice”, Rimini, 2004, cit.,
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I principi ispiratori dello stesso non differiscono comunque da quelli posti a fondamento della normativa precedente68. L'art. 1 ribadisce il contenuto della norma di apertura della legge 675/96, in base alla quale “chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano”; l'art. 2 precisa che “il trattamento dei dati deve svolgersi nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell'interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all'identità personale e al diritto di protezione dei dati”. Altrettanto rilevante è l'introduzione del c.d. principio di necessità del trattamento dei dati, previsto all'art. 3, con il quale si è sancito l'obbligo di configurare i sistemi informativi ed i programmi informatici in modo tale da ridurre al minimo l'uso di dati personali e di dati identificativi, rispondendo così alle richieste di quella parte della dottrina che da tempo chiede di concentrare l'attenzione anche sugli strumenti con cui la protezione può essere messa in pericolo. Medesima, a quella prevista dalla l. 675/96, è anche la condizione di legittimità posta alla base di ogni trattamento, ossia il
p. 30 e ss. 68 V. RESTA, La protezione dei dati personali di interesse religioso dopo l'entrata in vigore del Codice del 2003, per www.olir.it, p. 25.
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consenso del titolare dei dati, che è fondamentale per poter procedere ad ogni tipo di operazione. Il consenso deve essere effettivo, espresso liberamente, riferito ad un trattamento individuato ed espresso in forma scritta. L'art. 7 del Codice, richiama i diritti sanciti dall'articolo 13 della legge 675/96 che derivano dalla necessità di acquisire il consenso dell'interessato al trattamento dei dati che lo riguardano. Con tale norma si assicura la possibilità per il titolare di seguire le vicende relative ai propri dati e di ottenere la conferma dell'esistenza o meno dei dati personali ad esso relativi, della logica e della finalità su cui si basa il trattamento e ancora si assicura la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione della legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono raccolti o successivamente
trattati, l'aggiornamento, la
rettificazione e l'integrazione degli stessi69. L'ampio margine dei diritti riconosciuti dalla legge e legati alla possibilità di ottenere la rettifica, cancellazione, aggiornamento dei 69 D. MILANI, “Il trattamento dei dati sensibili di natura religiosa tra novità legislative e interventi giurisprudenziali”, in Il diritto ecclesiastico, 1, 2001, p. 270-271, si parla di tutela dinamica che permette all'individuo di seguire i propri dati lungo tutta la durata del trattamento.
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dati, ha sollevato non pochi dubbi in campo civilistico e sopratutto riguardo ai dati di natura religiosa, dove il contrasto tra le esigenze del soggetto titolare e quelle delle confessioni religiose si è sentito in modo particolare. Da un lato, la tutela assicurata ai titolari dei dati trova fondamento nella Costituzione, la quale stabilisce che il trattamento dei dati avvenga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e senza violazione della dignità umana; principi sanciti dagli artt. 2 (diritti inviolabili dell'uomo); 3 (principio di uguaglianza); 13 (inviolabilità delle libertà personale). Dall'altro lato, l'autonomia e l'indipendenza, garantite dagli articoli 7 e 8 della Costituzione alla Chiesa cattolica e alle altre confessioni religiose, dovrebbero comprendere la possibilità di trattare i dati relativi ai propri aderenti per le finalità istituzionalmente connesse alla loro missione. Vi è dunque l'esigenza che tali soggetti operino in armonia gli uni con gli altri affinché i loro diritti non contrastino tra loro. Il Codice in materia di protezione dei dati personali, all'art. 2670 70 Ribadisce la necessità per il trattamento dei dati sensibili del consenso dell'interessato, nonché dell'autorizzazione del garante.
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comma 3, lett. a), concede una agevolazione a tutte le confessioni religiose. Prevede, infatti che le confessioni possano prescindere sia dal consenso dell'interessato che dall'autorizzazione del Garante qualora i trattamenti, effettuati dagli organi della confessione o dai suoi enti civilmente riconosciuti, si riferiscono ai dati relativi agli aderenti ed ai soggetti che , con riferimento a finalitĂ di natura esclusivamente religiosa, hanno con esse contatti regolari. L'esenzione opera solo se i dati trattati non vengono diffusi o comunicati al di fuori della confessione religiosa e purchĂŠ questa abbia predisposto idonee garanzie relativamente ai trattamenti effettuati, nel rispetto dei principi indicati al riguardo con autorizzazione del Garante. Considerando la situazione particolare delle confessioni religiose rispetto alla disciplina prevista dall'articolo 26 di cui sopra, per comprendere se esse possano godere delle esenzioni previste o se debbano agire sulla base del regime comune occorre effettuare una distinzione di massima tra la Chiesa Cattolica e tutte le altre confessioni religiose.
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Per la Chiesa cattolica non si pongono problemi particolari, in quanto precedentemente all'emanazione del Codice essa si è dotata di un “corpus” proprio organico di norme in materia di protezione dei dati personali71. In proposito l'art. 181, comma 6, di tale “corpus”, stabilisce che: “le confessioni religiose, le quali prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo abbiano determinato e adottato nell'ambito del rispettivo ordinamento le garanzie di cui all'articolo 26, comma 3, lett. a), possano proseguire l'attività di trattamento nel rispetto delle medesime, cioè con le semplificazioni stabilite dallo stesso articolo 26 per i dati relativi agli aderenti”. Diverse questioni si pongono non appena si considera la posizione di tutte le altre confessioni religiose che abbiano o meno stipulato un intesa con lo Stato. Per esse, il Codice in materia di protezione dei dati personali, prevede l'adozione all'interno dei rispettivi ordinamenti di idonee garanzie per i trattamenti effettuati nel rispetto dei principi indicati a
71 Decreto CEI n. 1285 del 1999, in forza di tale decreto la Chiesa cattolica si trova in una particolare posizione rispetto a tutte le altre confessioni che non risultano abbiano ancora elaborato un corpus di norme organico in materia di protezione dei dati dei propri aderenti.
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proposito da una apposita autorizzazione del Garante72. Riguardo a tale autorizzazione del Garante, occorre chiedersi se in mancanza di ulteriori specificazioni essa debba intendersi come un provvedimento preventivo valido per tutte le confessioni ai cui criteri esse si devono adeguare; oppure se sia concepito come atto singolo da emanarsi ogni volta che una confessione religiosa comunichi all'Autorità garante l'avvenuta adozione di garanzie di cui bisogna accertare l'idoneità. Sembra potersi considerare la prima ipotesi non essendovi indici normativi che fanno ritenere che l'autorizzazione in questione sia stata concepita in termini diversi. A ogni modo nessuna confessione, fatta eccezione per la Chiesa cattolica, ha adottato norme specifiche in merito né sotto la vigenza della legge 675/96, né all'entrata in vigore del Codice; di conseguenza qualora le altre confessioni non dovessero conformarsi a quanto disposto dall'articolo 26 comma 3, lett. a), esse dovrebbero essere sottoposte al regime di tutela sancito dall'articolo 26 comma 1 per il
72 Per un commento sul sistema delle autorizzazioni generali si veda C. REDAELLI, “Tutela della libertà religiosa e normativa civile sulla privacy”, in Quaderni di diritto ecclesiale, 11, 1998, p. 310 ss; D. MILANI, “Le autorizzazioni generali al trattamento dei dati sensibili”, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2, 2000, p. 391 ss.
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trattamento dei dati sensibili:
“I dati sensibili possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell'interessato e previa autorizzazione del Garante, nell'osservanza dei presupposti e dei limiti stabiliti dal presente codice, nonché dalla legge e dai regolamenti. Il Garante comunica la decisione adottata sulla richiesta di autorizzazione entro quarantacinque giorni, decorsi i quali la mancata pronuncia equivale a rigetto. Con il provvedimento di autorizzazione, ovvero successivamente, anche sulla base di eventuali verifiche, il Garante può prescrivere misure e accorgimenti a garanzia dell'interessato, che il titolare del trattamento e' tenuto ad adottare”. Con il decreto che ha realizzato l'entrata in vigore del codice si è posto ordine alla disciplina complessa e numerosa del trattamento dei dati personali creandone un corpo organico e unico73.
73 La distinzione tra testi unici e codice non è solo di carattere lessicale, giacché questi ultimi non si limitano a sostituire una pluralità di leggi, ma si caratterizzano come insiemi unitari e coerenti di norme volti a disciplinare l'intera materia. Questa era l'originaria intenzione della Commissione governativa che aveva tentato di inserire all'interno del Codice la maggior parte delle disposizioni afferenti alla riservatezza.
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CAPITOLO III
La Condizione della Chiesa cattolica in riferimento alla normativa italiana concernente la tutela della privacy
1. La tutela della buona fama e riservatezza
Il delicato tema della tutela della riservatezza ha ricevuto negli ultimi anni un'attenzione crescente nell'ordinamento canonico sia a livello normativo sia in sede giudiziale. Alla predisposizione da parte del legislatore italiano della disciplina a tutela della riservatezza, a partire dalla legge 675/1996, è seguita una normativa canonica predisposta dal Consiglio Permanente della C.E.I. valida nel diritto proprio della Chiesa Cattolica che è in Italia. E' stato promulgato il 20 ottobre 1999 il Decreto generale n. 1285/1999 recante “Disposizioni per la tutela del diritto alla buona fama e riservatezzaâ€?. Il confronto fra la disciplina dello Stato italiano e della Chiesa
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cattolica si è svolto anche in sede giudiziale quando, avverso il rifiuto dell'autorità ecclesiastica competente di provvedere alla cancellazione del proprio nominativo dal registro dei battezzati, l'interessato ha investito della questione l'Autorità garante per la protezione dei dati personali e il giudice italiano. Oltre a riproporre in termini sempre attuali la questione dell'indipendenza e sovranità nel rispettivo ordine della Chiesa e dello Stato, questo procedimento è di grande interesse perché offre l'occasione per riflettere sulla reale portata delle concorrenti discipline, le quali non sembrano dirette a tutelare le medesime situazioni giuridiche, dato non appare perfettamente coincidente il significato che la buona fama e la riservatezza assumono nel diritto dello Stato e in quello della Chiesa. A tutt'oggi risulta che solo la Chiesa cattolica abbia predisposto al proprio interno un apposito corpo normativo al fine di garantire il rispetto e la riservatezza nel trattamento dei dati degli aderenti. La tutela della buona fama e della intimità personale è prevista dal can. 220, e rappresenta una delle tante novità del CIC '8374. 74 Il CIC, dal titolo latino Codex Iuris Canonici, è il codice normativo della Chiesa cattolica di rito latino. Il nuovo CIC è stato promulgato da Giovanni Paolo II il 25 gennaio 1983 ed è entrato in vigore il 27 novembre dello stesso anno. L'attuale CIC sostituisce quello pio-
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Il diritto alla buona fama vanta un'antica tradizione nel pensiero cattolico, dal momento che già San Tommaso, trattando le ingiurie verbali, considerava l'insulto o la contumelia intenzionali, quali lesioni dell'onore e la maldicenza, lesione della fama, peccati mortali, ed anzi precisava che “tra tutti i beni temporali la fama è il più prezioso, e per la sua perdita un uomo viene impedito dal compiere molte cose buone”75. Il canone 220 del codex stabilisce l'illiceità della lesione illegittima della buona fama altrui e della violazione del diritto di ogni persona a difendere la propira intimità: “Nemin licet bonam famam, qua quis gaudet, illegitime laedere, nec ius cuiusque personae ad propriam intimitatem tuendam violare”, ossia “non è lecito ad alcuno
benedettino del 1917 (elaborato durante i pontificati di San Pio X e Benedetto XV). Giovanni XXIII, il 25 gennaio 1959 annunciando la convocazione di un concilio ecumenico per la Chiesa universale, manifestò l'intenzione di procedere alla revisione del codice piobenedettino. I lavori di codificazione iniziarono solo dopo che il Concilio Ecumenico Vaticano II terminò nel 1965. Infatti pur venendo nel marzo 1963 istituita la Pontifica Commissio Codici iuris canonici reconoscendo, i lavori veri e propri di revisione furono avviati dopo il 1965, di modo che la nuova codificazione potesse effettivamente recepire sul piano normativo le decisioni dell'assise ecumenica. I lavori si protrassero per tutto il pontificato di Paolo VI e terminarono durante i primi anni del pontificato di Giovanni Paolo II. Così il 25 gennaio 1983, con la Costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges Giovanni Paolo II promulgò l'attuale codice di diritto canonico (Codex Iuris Canonici) per la Chiesa cattolica di rito latino, entrato in vigore la prima domenica d'Avvento successiva. Consta di 1752 canoni ed è diviso in sette libri, ognuno dei quali è diviso in parti, a loro volta suddivise in titoli, poi capitoli e quindi articoli. Norma generale del CIC è la salus animarum, la salvezza delle anime: finalità del diritto canonico è quindi quella di aiutare l'opera di evangelizzazione e della cura pastorale che la Chiesa realizza. 75 S.TOMMASO Summa Teologica, II-II, q. 72, a. 2c.
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ledere illegittimamente la buona fama di cui uno gode, o violare il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità”. Questo diritto, già indicato nella costituzione Gaudium et Spes tra i diritti fondamentali naturalmente connessi alla dignità dell'uomo76, protegge quanto si riferisce al foro interno ed anche la riservatezza in ciò che non è pubblico e notorio, vale a dire in ciò che è proprio della sfera privata delle persone e delle istituzioni, sicché non esisterebbe l'obbligo di fornire informazioni a chi non abbia strettamente diritto di riceverle77. La peculiarità della norma sta nel fatto che, pur posta nel titolo I della parte I del libro II, titolo riguardante i diritti e gli obblighi dei fedeli, essa tutela beni che spettano a chiunque, alla persona in quanto tale, indipendentemente dalla sua appartenenza religiosa, e certo anche al fedele in quanto persona. Il can. 220 parla infatti della buona fama che spetta a chiunque “qua quis gaudet”, parla della dignità propria “cuiusque personae”. 76 Vedi §26 della Gaudium et Spes, “Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo”, dove si rileva che cresce la coscienza dell'eminente dignità della persona umana, superiore a tutte le cose e i cui doveri e diritti sono universali e inviolabili. Occorre perciò che sia reso accessibile all'uomo tutto ciò di cui ha bisogno per condurre una vita veramente umana, come il vitto, il vestito, l'abitazione, il diritto all'educazione, al lavoro, alla reputazione, al rispetto, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso. 77 J. HERVADA, “Diritto costituzionale canonico”, Milano, 1989, pp. 138 – 140.
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La tutela di questi beni, che non è collegata ad un fatto ecclesiale (essere fedele), trova nel diritto canonico un autonomo fondamento normativo rispetto agli eventuali apprezzamenti che di tali beni danno gli ordinamenti secolari78. Lo Statuto fondamentale del battezzato non prescinde dalla dimensione naturale dell'uomo79. Da ciò è palese che la formalizzazione dei diritti e dei doveri fondamentali del fedele ricomprende anche i diritti umani, diritti cioè che spettano all'uomo come tale. Il canone 220 fa parte di quel gruppo di norme, relative agli obblighi e diritti di tutti i fedeli80, la cui titolarità deriva all'uomo dall'incorporazione a Cristo mediante il battesimo, il quale, come afferma il can. 96 lo costituisce persona nella Chiesa, cioè soggetto di diritto titolare quindi di tutti i diritti e gli obblighi propri del cristiano. 78 A. SOLFERINO, “Diritti fondamentali del fedele”, in Diritto per valori e ordinamento costituzionale della Chiesa, Torino, 1994, p. 372. 79 Così si esprime il c. 3 della LEF, “Legis Ecclesiae Fundamentalis”: “La Chiesa riconosce e professa in tutti e singoli gli uomini, in quanto creati ad immagine di Dio, la dignità propria della persona umana; così riconosce i diritti e doveri che da essa derivano e anche li difende in considerazione della chiamata di tutti gli uomini alla salvezza”. Norma generale, che rimanda all'enciclica di Giovanni XXIII, Pacem in Terris, la quale ai nn. 3-21, sviluppa l'argomento in modo organico. Il tema è stato ripreso da Giovanni Paolo II nella Redemptor hominis, nn. 8-10, che considera l'uomo alla luce della creazione e della redenzione, ponendo cosi un solido fondamento per stabilire il rapporto esistente fra i diritti della persona umana e del battezzato. 80 Tali norme originano dai corrispondenti canoni che furono elaborati per la Lex Ecclesiae Fundamentalis.
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Tuttavia, all'interno di questo gruppo vi sono alcuni diritti e corrispondenti doveri che competono all'uomo in quante tale, quindi anche al non credente, diritti discendenti dallo stesso ius naturale; diritti puramente umani che spettano a qualsiasi persona, e fra questi rinveniamo il diritto alla buona fama ed alla intimità81. La dottrina ha individuato che queste posizioni giuridiche discendono da una duplice matrice, morale e giuridica; giuridica in presenza della nota della esigibilità sociale e morale in assenza. Qualunque sia la matrice, le precedenti classificazioni nulla tolgono al carattere precettivo di queste norme nell'ordine ecclesiale, anche quando rispondenti ad una esigenza morale; le norme giuridiche nel diritto della Chiesa, infatti, si collocano in posizione subalterna rispetto a quelle etiche, perché proprio queste ultime sono quelle che consentono di perseguire lo scopo ultimo dell'edificazione spirituale degli Homines viatores82. Come sottolineato sopra, la loro peculiarità sta innanzitutto nell'essere
stati
riconosciuti
dal
legislatore
a
chiunque,
81 R. CASTILLO LARA, “I doveri e i diritti dei christifideles”, in AA. VV., Città del Vaticano, 1987, pp. 21 – 40.; A. DEL PORTILLO, “Laici e fedeli nella Chiesa”, Milano, 1969, p. 140. 82 Uno degli esempi più rilevanti dell'importanza della buona fama per il fedele è il n. I 1 della Cost. Ap. Divinus Perfectionis Magister, che fonda il presupposto per l'avvio dell'istruttoria della causa di canonizzazione di un servo di Dio, proprio nella fama di santità o di martirio.
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indipendentemente dal fatto di essere battezzati. Il codice dedica molto spazio al diritto alla buona fama, dovere fondamentale per il fedele83 e requisito necessario anche per l'espletamento di tutte le funzioni connesse ai “munera gerarchici”84; il fedele per l'esercizio ed il godimento dei diritti derivanti dal battesimo85 deve godere prima di tutto di una buona fama. In questo modo il diritto in esame assume rilevanza non solo sul piano personale ma anche in quello comunitario, in quanto il suo contenuto principale, ovverosia le facoltà di esigere il rispetto del proprio nome, della propria dignità e decoro personale, giova non solo al titolare ma a tutta la comunità dei fedeli. L'ambito dei diritti dell'uomo è la comunità politica, e in essa versano la proiezione della dignità della persona umana; tali diritti si definiscono diritti della personalità in quanto diritti che tutelano la 83 L. F. NAVARRO, “Il principio costituzionale di uguaglianza”, in Persona y derecho, suppl. fidelium iura, 2 , 1992, pp. 155-159. 84 Molti canoni in proposito stabiliscono che si debba avere integra fama per ricoprire determinati uffici, così come per ricevere l'ordine sacro il candidato deve godere di buona stima. Vedi A. CAUTERUCCIO, “ Il diritto alla buona fama ed alla intimità. Analisi e commento del can. 220”, in Commentarium pro religiosits et missionaris, 73, 1992, p. 3955. 85 Tutti funzionali alla salute delle anime, perché attraverso la loro titolarità si è posti in condizione di poter scegliere liberamente la via della salvezza ultraterrena. La libera scelta del bene, come spontanea adesione al messaggio evangelico, può considerarsi la principale espressione della libertà religiosa nella Chiesa.
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persona nei suoi valori essenziali86. I diritti dell'uomo, basati sulla dignità della persona umana, fanno parte dei diritti fondamentali del fedele in quanto l'ordinamento giuridico ecclesiale promuove, al suo interno, il diritto naturale come valore giuridico e come valore morale, così da far nascere l'inscindibile unità fra ordine naturale della creazione e ordine soprannaturale dell'elevazione alla dignità di figli di Dio87.
86 C. M. BIANCA, “Tutela della privacy. Note introduttive”, in Nuove leggi civili commentate, fascicoli 2 – 3, 1999. 87 Occorre ricordare che i diritti naturali dei cristiani e anche dei non cristiani hanno rilevanza canonica in quanto si collegano con i rapporti giuridici ecclesiali. Vedi A. SOLFARINO, “Diritti fondamentali dei fedeli”, cit.
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2. La tutela della privacy - intimitas
Il diritto alla buona fama e il diritto all'intimità sono due fattispecie connesse per quanto distinte. Il diritto alla buona fama coincide con il diritto al buon nome 88, alla dignità e al decoro personale, alla considerazione sociale, cui si oppongono rispettivamente l'ingiuria e la diffamazione89; inoltre implica tra le altre cose la possibilità di ricorrere all'autorità superiore quando questa si considera lesa. Il diritto all'intimità è configurato nel diritto alla riservatezza, vale a dire il diritto a che non siano divulgati fatti della vita privata della persona; esso comprende anche il diritto dei fedeli a che non sia data pubblicità a tutto quello che fa parte dell'ambito personale. In questo senso non esiste l'obbligo di fornire informazioni a chi non abbia strettamente diritto a riceverle90. 88 Analogamente a quanto stabilito dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, proclamata dalle Nazioni Unite (New York, 10 dicembre 1948): “Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesioni del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto a essere tutelato dalla legge contro tali interferenze. 89 S. TOMMASO pone la buona fama tra i beni più importanti di cui gode la persona. “Summa Theol.”, cit. 90 G. DALLA TORRE, commento al can. 220 in “Commento al codice di diritto canonico”, Roma, 1985, p. 125.
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La lesione illegittima, illegittime laedere, degli anzidetti diritti è vietata dal can. 220. La previsione nel codex della tutela dell'intimità deriva dal bisogno assoluto di tutelare lo specifico diritto del fedele di vivere il proprio rapporto con Dio nell'intimo della coscienza, senza dover subire interferenze da parte degli altri battezzati o della stessa autorità ecclesiastica. Costituisce, infatti la parte più profonda di ogni persona, quella parte che non si manifesta all'esterno e nella quale sono racchiusi i segreti più intimi; pertanto non è lecito entrare all'interno di tale ambito, così segreto e riservato, senza il consenso esplicito e libero di colui al quale appartiene. Solo Dio può conoscere liberamente la persona nella sua più profonda essenza91, conseguentemente si ha diritto a non rendere note quelle informazioni attinenti all'ambito personale e non legate alla condizione canonica pubblica di un soggetto. Non è un caso il termine intimità, nella sua accezione di intimitas, venga reso nella traduzione americana del Codice con 91 V. MARCOZZI, “Il diritto alla propria intimità nel nuovo codice di diritto canonico”, in La Chiesa cattolica, IV, 1983, pp. 573-580.
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privacy92. Nel CIC '1793 non esisteva nessuna indicazione che portasse al riconoscimento di un diritto alla buona fama e all'intimità; si prevedeva una tutela indiretta in alcune norme di carattere penale94 con riguardo solo alla buona fama alle quali si ricollegano le applicazioni penali del can. 220 nell'attuale CIC. Per capire le ragioni che hanno indotto il legislatore al riconoscimento di tale diritto occorre fare un salto indietro negli anni. Già negli anni precedenti al Concilio Vaticano II95 il magistero pontificio aveva rivolto attenzione agli orientamenti tendenti ad affermare positivamente che ogni essere umano è persona, soggetto di diritti e di doveri universali, inviolabili e inalienabili. Nella enciclica Pacem in terris, Giovanni XXIII così scriveva: 92 The Code of Canon Law. A text and commentary, a cura di J. A. CORIDEN, T. J. GREEN, D. E. HEINTSCHEL, NEW YORK-MAHWAH 1985, pp. 152-153. 93 Codice pio-benedettino del 1917, così chiamato perché elaborato tra il pontificato di Pio X e Benedetto XV. 94 Cann. 2147 § 2, n. 3; 2157, 2355 del Codice del 1917, in materia di tutela del diritto alla buona fama e all'intimità. 95 Il Concilio Vaticano II è stato il ventunesimo e ultimo dei concili della Chiesa Cattolica. Si svolse in nove sessioni e in quattro periodi dal 1962 al 1965, sotto i pontificati di Giovanni XXIII e Paolo VI. L'annuncio dell'indizione di un concilio fu dato da papa Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, a soli tre mesi dalla sua elezione al soglio pontificio, nella basilica di San Paolo, insieme all'annuncio di un sinodo della diocesi di Roma e dell'aggiornamento del Codice di Diritto Canonico. Fu aperto ufficialmente l'11 ottobre 1962 da papa Giovanni XXIII all'interno della basilica di San Pietro in Vaticano. Promulgò quattro costituzioni, tre Dichiarazioni e nove Decreti.
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“Posto che nel nostro tempo il bene comune si fa consistere nella tutela dei diritti della persona umana, compito principale di coloro che governano sarà quello di far si che, da una parte, tali diritti siano riconosciuti, siano osservati, siano compaginati con i diritti degli altri e siano difesi; e da un'altra parte, che sia resa facile l'osservanza dei doveri a ciascuno propri96”. Da queste affermazioni il Concilio Vaticano II, considerando l'accresciuto riconoscimento tra gli uomini della grande dignità che compete alla persona umana, indicò come diritto universale e inviolabile “il diritto al buon nome, al rispetto di tutti gli altri97”; inoltre si previde la necessità di un adeguato sistema attraverso il quale poter conseguire una adeguata ed efficace protezione dei diritti di tutti gli uomini. Già nel 1966, nelle questioni preliminari del Coetus studiorum De Laicis98 , si evidenziava il fatto che la tutela della dignità cristiana
96 Giovanni XXIII, Enc. Pacem in terris p. 273 ss. 97 Conc. Vat. II, Cost. Past. Gaudium et spes, n. 26 cit. “Simul vero conscentia crescit eximiae dignitatis quae personae humanae competit, cum ipsa rebus omnibus praestet, ut eius iura officiaque universalia sint atque inviolabilia. Oportet igitur ut ea omnia homini pervia reddantur, quibus ad vitam vere humanam gerendam indiget, ut sunt... ius ad bonam famam, ad reverentiam.”. 98 Ex actis pontificiae commissionis Codex Iuris Canonici reconoscendo, sessio I, in Communicationes, 17, 1985, p. 64-91, in part. p. 165 sub a.
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del
fedele
fosse
successivamente
unità
nello
alla
dignità
Statutum
dello
stesso99;
generale
omnium
umana
Iuridicum
christifidelium, del 1967 viene espressa esplicitamente la norma della tutela della buona fama100 ma non quella sulla tutela dell'intimità, limitandosi a formulare solo la tutela del segreto sulla corrispondenza nel can. 18101. Questo canone, relativo al segreto sulla corrispondenza, fu soppresso dal Coetus studiorum De Populo Dei nel 1979, in quanto si ritenne che potesse essere applicato in riguardo dei soli religiosi; nello schema Codicis102 del 1980 non si faceva nessun riferimento ad esse, buona fama e intimitas, fin quando poi fu abbandonato il progetto di promulgazioni di una legge fondamentale della Chiesa e fu proposto di inserire la norma sulla tutela della buona fama, come emendata103, nel codice, non più sotto forma di diritto del solo fedele ma come 99 Si fa riferimento al diritto a conoscere il nome del denunciante e il diritto al segreto nella corrispondenza, cann. 25 e 27, in Communicationes, cit, p. 190. 100“Fidelibus ius est ut bona fama qua gaudent ab omnibus in honore habeatur; quapropter nemini licet illegitime eamque laedere”, ex actis pontificiae commissionis codex iuris canonici reconoscendo, sessio II, in Communicationes 1985, p. 237. 101“Christifidelis officium et ius habent servandi secretum commerci epistolaris” in Communicationes, 17, 1985, cit. 102 Pontificia Commissio Codicis iuris Canonici Reconoscendo, Codex iuris canonici. Schema patribus commissionis reservatum, Lib. Ed. Vaticana, 1980. 103“Nemini licet bonam faman quae quis gaudet illegittime laedere” can. 220, Codice di diritto canonico, 1983.
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dovere di non lederla rivolta ad ogni uomo. In seguito alla lettura dello schema codicis da parte del Romano Pontefice, con l'aiuto di alcuni periti104, alla prima parte della norma relativa alla buona fama, (Nemini licet bonam famam, qua quis gaudet, illegitime laedere), fu aggiunto il dovere di non violare l'intimitĂ di alcuno. La nuova previsione rispecchia le previsioni conciliari che hanno ispirato la riforma del Codice.
104 PREFATIO CODEX IURIS CANONICI, testo ufficiale e versione italiana, sotto il patrocinio della Pontificia UniversitĂ Lateranense e della Pontificia UniversitĂ Salesiana, sec. ed. Roma, 1984, p. 67.
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3. Dal CIC '17 al CIC '83: buona fama e intimità, novità e limiti
Nel codice piobenedettino non vi era alcuna norma generale di tutela della buona fama ma esso prevedeva il delitto di ingiuria e diffamazione nel can. 2355105. I canonisti distinguevano, in relazione a tale canone, la lesione dell'onore dalla lesione della buona fama e configuravano la prima come contumelia o ingiuria, l'altra come diffamazione in base alla presenza o assenza della persona offesa. A sua volta si distingueva ulteriormente la diffamazione in due specie: • detrazione, quando si attribuisce a taluno un fatto o una qualità disonorante vera; • calunnia, quando si attribuisce un fatto o una qualità disonorante falsa. La dottrina e la giurisprudenza della Rota106 insegnavano che in 105 LIBRO V, parte III, “Delle pene contro ciascun delitto”, titolo XIV, la cui rubrica recitava: “dei delitti contro la vita, la libertà, la proprietà, la buona fama e i costumi”. 106 In relazione ad essa vedi P. CIPROTTI, “De iniuria et diffamationes in iure poenali canonico”, Roma, 1937, p. 80 e ss; G. DE MATTIA, “Il diritto penale canonico nella
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caso di detrazione e non di calunnia non si aveva delitto se il fatto e la qualità attribuiti fossero notori, mancando il tal caso il presupposto della buona fama; inoltre se la denuncia penale consisteva nell'attribuzione di fatti falsi costituiva delitto di diffamazione, mancando altrimenti l'illiceità dell'azione. Nei confronti di queste impostazioni si lamentò, agli inizi degli anni '60107, la mancanza di una delimitazione normativa della buona fama, e si volle ricostruire una concezione unitaria dell'onore legata alla dignità della persona evidenziandone i limiti di una tutela solo parziale dell'onore108: i soggetti attivi del delitto potevano essere qualunque battezzato, esclusi il Sommo Pontefice, i cardinali, a norma del can. 2227 § 2, mentre i soggetti passivi potevano essere qualunque persona, anche non battezzata. Gli elementi costitutivi del delitto di ingiuria erano le parole, i gesti e le azioni che ledevano l'onore o il decoro di colui al quale era
giurisprudenza della Rota, in Ephem. Iur. Can.”, XVI, 1960, p. 171. 107 G. DE MATTIA, “La diffamazione in persona disonorata nel diritto canonico”, in Ephem. Iur. Can., XVII, 1961, p. 68 e ss. L'autore in questo scritto esplica, de iure condendo, l'ampliamento della tutela canonica della buona fama. 108 A. DEL PORTILLO, “Laici e fedeli nella Chiesa”, Milano, 1969, pp. 83-85. L'autore compie una riflessione sui limiti legislativi circa la tutela della buona fama e sul sistema delle azioni.
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diretto109; mentre costituivano elementi del delitto di diffamazione le parole, i gesti e le azioni che ledevano, presso almeno due persone, la reputazione di un'altra persona. In entrambi i casi la pena era facoltativa110 e rientrava nel potere discrezionale del giudice la facoltà di applicarla o meno111. In questo campo la previsione del dovere di non ledere la buona fama e l'intimità privata nel CIC '83 non diede luogo a sostanziali cambiamenti di quanto stabilito dal codice precedente. Nel CIC '17 non vi era una norma posta a garanzia dell'inviolabilità della coscienza, sebbene una tutela indiretta e parziale poteva rintracciarsi nelle disposizioni sull'inviolabilità del sigillo sacramentale, cioè del segreto assoluto su tutto ciò che si è appreso in confessione e del segreto naturale che vieta di divulgare il contenuto del colloquio112. 109 Posta la natura offensiva delle parole o dei gesti, si applicava all'ingiuria la presunzione di dolosità do ogni azione delittuosa. (can. 2200 § 2). 110 Can. 2355, “Potest..... puniri”. 111 Can. 2223 § 2. Vedi anche i cann. 2147 §§ 2-3 e 2157 che affermavano una tutela indiretta della buona fama riguardante i processi di rimozione del parroco. 112 Su questo diritto naturale si basa il dovere del segreto, al quale sono tenute tutte le persone che sono venute a conoscenza dei peccati o delle circostanze narrate in confessione. La norma è stata riproposta negli stessi termini nell'attuale codice anche nella distinzione dei due delitti, conservata nelle diverse pene previste dal can. 1388 §§ 1 e 2, nel senso del rispetto della intimità e della riservatezza del fedele.
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Alla tutela indiretta della buona fama e intimità si può ricollegare il decreto della Congregazione della Dottrina della Fede113, che nel 1988 ha ripristinato la scomunica latae sententia nei confronti di colui che registra e diffonde quanto detto in confessione. Queste norme rappresentano un orizzonte troppo stretto in quanto come previsioni di carattere penale non possono garantire una compiuta tutela del dovere enunciato nel can. 220. Il can. 220 formalmente enuncia un dovere di natura giuridica rivolto ad ogni uomo, non solo ai battezzati e rischia di finire, per i non fedeli, come l'affermazione di un principio di carattere solamente morale. A rigor di logica sembra pertanto non trattarsi di diritti e di doveri propriamente detti ma piuttosto di interessi giuridicamente protetti, perché beni dovuti secondo un criterio naturale di giustizia. Sono una manifestazione della condizione naturale vissuti all'interno della società ecclesiale e in essa rilevanti in quanto esprimono contenuti propri di questa e tutelabili dalla Chiesa114. 113 CONGREGATIO PRO DOCTRINA FIDEI, Decretum, 23, IX, 1988, in A.A.S., LXXX 1988, p. 1367: “.... ad poenitentia sacramentum tuendum, excommunicatio latae sententiae illi quicumque ea quae a confessario et poenitente dicuntur vel per instrumenta technica captat vel per communicationis socialis instrumenta evulgat, infertur”. 114 Vedi “Relatio” in Communicationes, 2 ,1970, p. 91.
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E' con il Concilio Vaticano II che si è fatto un decisivo passo in avanti enunciando il diritto a difendere la propria intimità e dichiarando universale e inviolabile il diritto alla buona fama
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4. Il decreto generale intitolato “Disposizioni per la tutela del diritto alla buona fama e riservatezza”
La tutela dei dati personali da qualche tempo viene considerata con attenzione crescente nella società civile e nella pubblica opinione. Con l'entrata in vigore della normativa civile in materia, la cosiddetta legge sulla privacy sono stati introdotti nell'ordinamento italiano procedure e adempimenti finalizzati a tutelare in concreto il trattamento dei dati personali. Contestualmente è stata istituita una autorità di garanzia, alla quale è demandata la vigilanza sulla corretta interpretazione e applicazione della legge. L'ordinamento canonico a sua volta, pur non prevedendo attualmente precise disposizioni al riguardo, enuncia in ogni caso il diritto di ciascuno alla buona fama e alla tutela della riservatezza nella vita privata, can. 220. In considerazione di ciò il Consiglio Episcopale Permanente ha valutato
l'opportunità
di
predisporre
una
normativa
che
regolamentasse l'acquisizione, la conservazione e l'utilizzazione dei 74
dati personali nel diritto particolare della Chiesa che è in Italia. La XLV Assemblea Generale straordinaria dei Vescovi italiani, svoltasi a Collevalenza dal 9 al 12 novembre 1998, ai sensi del can. 455, § 1115, ha richiesto alla santa Sede, con lettera n. 1113/98 del 27 novembre 1998, il mandato speciale per l'emanazione di un “Decreto generale” che disciplinasse la tutela dei dati personali116. Concesso
il
“peculiare
mandatum”
con
lettera
della
Congregazione per i Vescovi, in data 23 febbraio 1999, prot. n. 960/83, la Commissione Episcopale per i problemi giuridici ha approvato una bozza di decreto, predisposta da un gruppo di lavoro, successivamente emendata e approvata dal Consiglio episcopale Permanente nella sessione del 15-18 marzo 1999117. La XLVI Assemblea generale, svoltasi a Roma dal 17 al 21 maggio 1999, ha approvato il “Decreto generale” con la maggioranza richiesta. 115 Can. 455 - §1. Episcoporum conferentia decreta generalia ferre tantummodo potest in causis, in quibus ius universale id praescripserit aut peculiare Apostolicae Sedis mandatum sive motu proprio sive ad petitionem ipsius conferentiae id statuerit. “La Conferenza Episcopale può emanare decreti generali solamente nelle materie in cui lo abbia disposto il diritto universale, oppure lo stabilisce un mandato speciale della Sede Apostolica, sia motu proprio, sia su richiesta della conferenza stessa”. 116 L'originaria l. 675/96 e l'attuale Codice del 2003, relativi alla tutela in materia di protezione dei dati personali, non disciplinavano in modo sufficiente la tutela dei dati relativa alla materia religiosa. 117 Recognitio della Santa Sede, Decreto Generale della C.E.I., 1999, su www.governo.it.
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Ottenuta la prescritta “recognitio118” della Santa Sede con decreto della Congregazione per i Vescovi in data 4 ottobre 1999, prot. n. 960/83, il “Decreto generale” viene promulgato in data 20 ottobre 1999 con decreto n. 1285/99 del Card. Camillo Ruini, Presidente C.E.I. La prevedibile conoscenza e l'auspicata consultazione del decreto da parte di soggetti esterni all'ordinamento canonico ha suggerito di inserire delle “note” documentali contenenti le norme richiamate nel testo, al fine di consentire un più agevole riscontro delle fonti da parte dei lettori, sopratutto di coloro che hanno poca dimestichezza con le stesse. La Conferenza episcopale italiana, con il Decreto in esame ha cercato di predisporre una normativa per la Chiesa in Italia, in grado di offrire una protezione rigorosa dei beni della riservatezza e buona 118 La recognitio applicata sistematicamente a tutti i Concili particolari, provinciali e plenari, risale al tempo di Sisto V. Nella legislazione ecclesiastica la recognitio della Santa Sede è richiesta: per la promulgazione degli atti e dei decreti generali del Concilio particolare (can. 446 CIC); per l'emanazione i decreti generali delle Conferenze episcopali (can. 455 CIC); per la pubblicazione degli atti e dei decreti delle Assemblee plenarie delle Conferenze episcopali (can. 456 CIC); per la traduzione e dei decreti delle Assemblee plenarie delle Conferenze episcopali; per la redazione di un proprio rito del matrimonio da parte di una Conferenza episcopale (can. 1120 CIC). La recognitio di questi testi giuridici o liturgici non è una generica o sommaria approvazione e tanto meno una semplice “autorizzazione”. Si tratta, invece, di un esame o revisione attenta e dettagliata: per giudicare la legittimità e la congruità con le norme universali canoniche o liturgiche dei relativi testi che le Conferenze episcopali desiderano promulgare o pubblicare». Sulla errata traduzione di recognitio con «autorizzazione», questo Dicastero ha fatto notare che «la traduzione esatta di recognitio, utilizzata tra l’altro anche nell’edizione italiana della Costituzione Apostolica Pastor Bonus non è autorizzazione ma revisione».
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fama, riferibili ai fedeli, enti ecclesiastici, aggregazioni ecclesiali e alle persone che entrano in contatto con i medesimi soggetti119, rafforzando quanto già stabilito dalla disposizione del can. 220120. Quanto sin qui osservato evidenzia come l'ordinamento canonico non sia di per sé stesso indifferente alla tutela della intimità delle persone e induce a riconoscere che l'interesse ad essa sotteso ha una sua peculiare natura rispetto a quello perseguito in sede civile121. Il fine primario di tale ordinamento non è quello di interferire il meno possibile nella sfera di intimità delle persone ma è la verità, la verità dello stato canonico dei fedeli nel presente e nella storia. Il Decreto generale ha così per un verso rivendicato 122 il diritto nativo proprio della Chiesa cattolica di acquisire, conservare ed utilizzare per i suoi fini istituzionali i dati relativi alle persone dei fedeli, agli enti ecclesiastici e alle aggregazioni ecclesiali e per l'altro ha preso spunto dalla normativa civile per integrare il disposto del can. 119 Previsione stabilita all'art. 1 del DECRETO GENERALE DELLA C.E.I. del 20 ottobre 1999. 120 Secondo il quale vi è illiceità della lesione illegittima della buona fama altrui e della violazione del diritto di ogni persona a difendere la propria intimità. 121 D. MILANI, “La tutela dei dati personali nell'ordinamento canonico: interessi istituzionali e diritti individuali a confronto”, per www.olir.it 122 Nei limiti delle garanzie offerte dall'articolo 7 della Costituzione e ribadite dall'accordo di revisione del Concordato lateranense, essendo la Chiesa dotata di indipendenza e autonomia nel proprio ordine.
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220 del codice di diritto canonico del 1983. L'espressione diritto nativo e proprio viene utilizzata poiché la conservazione e custodia dei documenti, nonché l'uso dei dati in essi conservati, costituiscono elementi indispensabili per lo svolgimento dell'attività istituzionale e promozionale della Chiesa nell'ottica del fine ultimo della cura e della salvezza delle anime e sono anche strumenti atti a mantenere intatta la storia dell'Istituzione nel suo complesso123. La promulgazione del Decreto generale CEI è avvenuta in data 20 ottobre 1999, successivamente al d. lgs. 11 maggio 1999, n. 135 che ha modificato la legge statale e in particolare l'art. 22 relativo al trattamento dei dati sensibili, con il nuovo comma 1-bis124 il quale prevede che le confessioni religiose siano esonerate da alcuni obblighi previsti dalla legge e che determinino idonee garanzie relativamente ai trattamenti effettuati. 123 Si pensi ad esempio agli archivi storici, estremamente preziosi per la ricerca di studiosi e ricercatori. In proposito si ricorda la stipulazione tra la CEI e il ministro per i beni culturali dell'Intesa per la conservazione e la consultazione degli archivi di interesse storico e delle biblioteche appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche, del 18 aprile 2000. 124 Esclude l'applicazione del comma 1, dell'art 22 della l. 675/96 ai dati relativi agli aderenti alle confessioni religiose i cui rapporti con lo Stato sino regolati da intese ai sensi degli att. 7 e 8 della Cost., nonché relativi ai soggetti che con riferimento alle finalità delle medesime confessioni hanno contatti regolari con le stesse, che siano trattati dai relativi organi o enti civilmente riconosciuti, sempreché i dati non siano comunicati o diffusi fuori dalle stesse confessioni. Queste ultime determinano autonomamente idonee garanzie relativamente ai trattati effettuati.
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La specifica disciplina canonica sull'acquisizione, conservazione ed utilizzazione dei dati personali risponde, dunque, ad una duplice esigenza: da una parte mira a regolare in modo più specifico e articolato il diritto alla riservatezza125; dall'altra, costituendo diritto particolare della Chiesa in Italia, si collega e si adegua, per motivi di opportunità, alla normativa statale sulla privacy, tenendo conto che i fedeli e i soggetti dell'ordinamento canonico vivono e operano anche nell'ordinamento . Infatti la Chiesa, sebbene sia espressione dell'ordine spirituale e sia come tale autonoma e indipendente dallo Stato, per il perseguimento delle proprie finalità religiose si muove e vive nell'ordine temporale; essa costituisce “una presenza diffusa e confusa nella dimensione propria dell'ordine temporale126”. Il decreto disciplina minuziosamente tutte le attività di redazione, gestione e custodia dei registri, archivi, elenchi e schedari e ogni altro metodo di raccolta, conservazione ed utilizzazione dei dati personali, attinenti allo svolgimento delle attività istituzionali, strumentali e
125 Già riconosciuto, ma in via generale, dal can. 220 CIC. 126 G. LO CASTRO, “Il matrimonio tra giurisdizione civile e giurisdizione canonica”, in Il diritto ecclesiastico, 1994, I, p. 147.
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promozionali dei soggetti appartenenti all'ordinamento canonico. Quanto agli specifici contenuti del decreto, occorre mettere in rilievo le finalità che esso si propone di realizzare: nella specie come è enunciato nell'art. 1127, mira a regolamentare il trattamento dei dati personali. La normativa si divide in articoli contenenti separatamente la disciplina relativa ai registri (art. 2), agli archivi (art. 3). agli elenchi e schedari (art. 4), al segreto d'ufficio (art. 7), alla funzione di vigilanza del Vescovo diocesano (art. 9) e infine al risarcimento dei danni e alle sanzioni (art. 10).
127 “La presente normativa è diretta a garantire che l'acquisizione, conservazione e utilizzazione dei dati (di seguito denominati 'dati personali') relativi ai fedeli, agli enti ecclesiastici, alle aggregazioni ecclesiali, nonché alle persone che entrano in contatto con i medesimi soggetti, si svolgano nel pieno rispetto del diritto della persona alla buona fama e alla riservatezza riconosciuto dal can. 220 del codice di diritto canonico”.
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4.1. La disciplina dei registri, elenchi e schedari
Un rilievo particolare è dato, dal decreto, alla bipartizione tra la disciplina dei registri e la disciplina degli elenchi e schedari. I registri sono strumenti di cui la Chiesa si serve per lo svolgimento dei compiti e degli obbiettivi propri delle istituzioni ecclesiastiche e in relazione ai quali il Decreto prevede, all'art. 2, un insieme di disposizioni volte a specificare in maniera ulteriore la tutela già predisposta dalle norme del Codex del 1983 e da altre fonti dell'ordinamento canonico, mettendo in risalto la posizione del christifidelis, ed in particolare la tutela della riservatezza e della buona fama128. L'art. 2, del decreto CEI, al par. 1, precisa che per registro si intende: il volume nel quale sono annotati, in successione cronologica e con indici, l'avvenuta celebrazione dei sacramenti o altri fatti concernenti l'appartenenza o la partecipazione ecclesiale”, in modo che risulti lo stato canonico di ciascun fedele. 128 Un'evidente indicazione della rilevanza di tali strumenti nella vita della Chiesa si trova a livello codicistico, nel can. 535, par. 4, dove dopo aver indicato i vari tipi di registri richiede alcune cautele per la conservazione e il controllo di tali libri e documenti. Nella parte finale dispone “parochus caveat ne ad extraneorum manus perveniant”, (il parroco provveda che tali libri siano redatti accuratamente e diligentemente conservati).
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Questa disposizione richiama il can. 535 del CIC129, che individua con esattezza i vari tipi di registri funzionali alla svolgimento della vita della Chiesa e prevede che in ogni parrocchia siano accuratamente redatti e diligentemente conservati ad opera del parroco i libri parrocchiali, cioè il libro dei battezzati, dei matrimoni e dei defunti. La CEI ha aggiunto a tali libri130 il registro delle cresime, il registro dell'amministrazione dei beni e il registro dei legati e, ancora il registro dello status animarum, il registro delle prime comunioni e il registro della cronaca parrocchiale131. Per quanto riguarda la disciplina relativa al trattamento dei dati contenuti nei libri in questione, la normativa canonica dispone che chiunque ha il diritto di chiedere la correzione di dati che lo riguardano, se risultano errati o non aggiornati” (articolo 2, par. 6); e 129 Can. 535, § 1, In ogni parrocchia vi siano i libri parrocchiali, cioè il libro dei battezzati, dei matrimoni, dei defunti ed altri secondo le prescrizioni della Conferenza episcopale o del Vescovo diocesano; il parroco provveda che questi libri siano redatti accuratamente e diligentemente custoditi. § 2. Nel libro dei battezzati si annoti anche la confermazione, ed ugualmente tutto ciò che riguarda lo stato canonico dei fedeli rispetto al matrimonio, salvo ovviamente disposto del can. 1133, all'adozione ed ugualmente all'ordine sacro, alla professione perpetua emessa in un istituto religioso e al cambiamento di rito; tali annotazioni vengano sempre riportate ne registro del battesimo [….] 130 Delibera n. 7 promulgata il 23 dicembre 1983. 131 Delibera n. 8 promulgata il 23 dicembre 1983. Si vedano i testi in MARTIN DE AGAR J.T., “Legislazione delle conferenze episcopali complementari al CIC”, Milano, 1990, p. 377.
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ancora “l'iscrizione nei registri di annotazioni o integrazioni congruenti” (articolo 2, par. 7). In queste specifiche norme si mira a tutelare, più che la riservatezza in senso stretto, il diritto del soggetto a costruire una sua identità; in senso stretto la tutela della riservatezza è presa in considerazione dal par. 8: “l'estrazione e la trasmissione di dati contenuti
nei registri” è ammessa purché sia preceduta da una
richiesta dell'interessato o dal consenso scritto dello stesso132. Questa disposizione realizza una garanzia rafforzata. Se dunque si attribuisce un ruolo primario alla garanzia e protezione dei diritti dei christifidelis non può non recepirsi l'importanza che hanno la tenuta e l'uso dei registri per il funzionamento della Chiesa, sia come comunità e come istituzione; importanza che può determinare la prevalenza delle esigenze istituzionali sulle richieste dei singoli, sempre che sia garantita la riservatezza di quest'ultimi, vale a dire quella sfera intima e profonda alla quale può accedere liberamente soltanto la stessa persona nel suo
132 Art. 2, par. 8, punto a): su richiesta della persona interessata o con il suo consenso, espresso previamente e per iscritto.
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rapporto con Dio133. Non può avere minore attenzione la tutela che il decreto dedica agli archivi nell'articolo 3, par. 1134, il quale fa riferimento alle disposizioni contenute all'art. 2. L'importanza degli archivi, e la specifica attenzione nella custodia a essi riservata, è data dal fatto che essi devono contenere “disposti secondo un ordine determinato e chiusi accuratamente, i documenti e le scritture riguardanti le pratiche spirituali e temporali della diocesi135”. L'archivio è indicato come l'insieme di documenti ovvero scritti che sono stati redatti oppure ricevuti da un ente qualsiasi o da una persona privata in relazione alla propria attività, e che, per la loro funzione, gli stessi sono destinati alla conservazione presso il medesimo devono essere custoditi136. In esso sono custoditi i libri parrocchiali, le lettere dei Vescovi e 133 In questo senso si pone il par. 9 dell'art. 2, il quale stabilisce l'inammissibilità della richiesta di cancellazione di dati dai registri, quando essi riguardano l'avvenuta celebrazione di sacramenti o siano comunque attinenti allo stato delle persone. 134 Art. 3, par. 1, “per gli atti e i documenti di qualunque provenienza custoditi negli archivi degli enti ecclesiastici e contenenti dati personali si applicano, in quanto compatibili le disposizioni contenute all'articolo precedente”. 135 Can. 486, par. 2, CIC. 136 R. COPPOLA, “Il nuovo accordo tra Italia e santa Sede”, Milano, 1987, p. 55 e ss.
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altri documenti 137 rispetto ai quali il Decreto CEI contiene una serie di disposizioni volte a garantire il massimo riserbo circa i dati in essi contenuti, per la tutela della buona fama e della riservatezza delle persone cui i dati si riferiscono138. Gli elenchi e gli schedari sono “gli strumenti ordinari di raccolta e di gestione di dati necessari per lo svolgimento delle attività istituzionali, strumentali e promozionali dei soggetti appartenenti all'ordinamento canonico139”. Per quanto attiene all'uso dei dati personali contenuti negli elenchi e negli schedari, l'art. 4 del decreto non prevede direttamente alcunché di specifico ma opera un rinvio formale alle leggi dello Stato italiano, relative alla tutela del trattamento dei dati personali, purché siano applicate nel rispetto della struttura e della finalità degli enti ecclesiastici140; in questo caso i dati personali sono semplicemente 137 Can. 535, par. 4. 138 Per gli archivi si veda F. E. ADAMI, “Archivi e biblioteche di enti ed istituzioni ecclesiastiche, in Atti del convegno nazionale di studio”, su Il nuovo accordo tra Italia e Santa Sede, a cura di R. COPPOLA, Milano, 1987, p. 231-253, cit. 139 Art. 4, decreto generale CEI, par. 1. 140 Ai sensi di quanto dispone l'art. 7, 3° comma, dell'Accordo del 18 febbraio 1984 che apporta modificazioni al Concordato Lateranense. L'art. 7 si riferisce alle attività degli enti ecclesiastici diverse da quelle di religione e di culto, attività che sono individuata in quelle di assistenza e beneficienza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali e a scopo di lucro.
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connessi con le attività svolte dagli organismi in cui si articola la struttura della Chiesa. Per tutte le fattispecie rientranti nella categoria dei registri, concernenti lo status canonico delle persone o un particolare tipo di coinvolgimento nella vita della Chiesa, il decreto generale CEI ha escluso la soggezione alla normativa prevista dalle leggi dello Stato. Tale considerazione non ha impedito alla Chiesa cattolica italiana di affrontare il problema della tutela dei dati contenuti nei registri mediante apposite disposizioni; in forza di queste la redazione, gestione e custodia dei registri e l'utilizzazione dei dati in essi contenuti, continuano ad essere regolate dalle norme vigenti nell'ordinamento canonico. Riconosciuti per la prima volta sono, invece, il diritto di chiedere la correzione dei dati errati o non aggiornati141, così come quello all'iscrizione nei registri di annotazioni o integrazioni congruenti142. Tali annotazioni, fatte a margine dell'atto, ne costituiscono parte integrante e in questo modo il dato diviene oggetto di letture differenti 141 Art. 2, par. 6, decreto generale CEI, “Chiunque ha diritto di chiedere la correzione di dati che lo riguardano, se risultano errati o non aggiornati”. 142 Art. 2, par. 7, decreto generale CEI, “Chiunque ha diritto di chiedere l'iscrizione nei registri di annotazioni o integrazioni congruenti”.
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a seconda che venga considerato dalla confessione religiosa o dal soggetto, senza che l'una o l'altro possano materialmente lamentare il mancato rispetto dei loro diritti. Il decreto generale CEI fa ricorso alla tecnica delle annotazioni per fronteggiare le richieste di cancellazione dei dati relativi all'avvenuta celebrazione dei sacramenti o attinenti allo stato delle persone; esclusa la loro ammissibilità l'unica via per dare credito alla richiesta dell'individuo è per l'appunto la sua annotazione143. Diversamente dai registri gli elenchi e gli schedari sono sottoposti ad un regime misto, che tiene distinto il profilo della tenuta dei dati da quello del loro uso, uno coperto dall'autonomia confessionale e l'altro attratto dal diritto comune. Tale diversità di disciplina è dovuta alla diversa rilevanza che questi strumenti di gestione dei dati personali hanno nell'ordinamento hanno nell'ordinamento canonico: è dalla stessa immagine della Chiesa come popolo di Dio, che si ricava l'importanza dei registri per la Chiesa cattolica, quindi si comprende la rivendicazione assoluta
143 Art. 2, par. 9, decreto generale CEI, “la cancellazione di dati dai registri è inammissibile se concerne dati relativi all'avvenuta celebrazione di sacramenti o comunque attinenti allo stato delle persone. Tale richieste deve essere annotata nel registro, e obbliga il responsabile dei registri a non utilizzare i dati relativi se non con la autorizzazione dell'Ordinario diocesano”.
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della libertà nella loro gestione144. Il registro dei battezzati assolve al compito fondamentale di individuare coloro che costituiscono il popolo di Dio; gli elenchi e gli schedari invece, oltre che i dati attinenti alle finalità istituzionali degli enti ecclesiastici, possono contenerne anche altri collegati ad attività diverse da quelle di religione o di culto e ciò giustifica la sottoposizione di tali dati, esterni all'ambito religioso,alle leggi dello Stato, secondo quanto stabiliscono in proposito le norme pattizie.
144 Can. 204, par. 1, “i fedeli sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo sono costituiti popolo di Dio”.
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5. Il diritto alla cancellazione dei dati contenuti negli elenchi e negli schedari
I diritti che l'interessato può esercitare sui propri dati contenuti negli elenchi e negli schedari, contemplati espressamente dal decreto, riguardano solamente la loro cancellazione. Essa è disciplinata dall'art. 2, relativo alla disciplina dei registri, dove al § 9 si esprime l'inammissibilità della richiesta di cancellazione se questa concerne la celebrazione di sacramenti: la richiesta di cancellazione di dati dai registri è inammissibile se concerne dati relativi all'avvenuta celebrazione di sacramenti o comunque attinenti allo stato delle persone. Tale richiesta deve essere annotata nel registro, e obbliga il responsabile dei registri a non utilizzare i dati relativi se non con l'autorizzazione dell'ordinario diocesano; e dall'articolo 4 al § 4, il quale sostiene che debba essere eseguita in ogni caso: la cancellazione dei dati personali da elenchi e schedari, richiesta per iscritto dal soggetto interessato al responsabile dei registri, deve essere eseguita in ogni caso; essa comporta il trasferimento degli stessi dati dall'archivio dell'ente perché vi siano 89
custoditi unicamente a titolo di documentazione; e dall'art. 2, relativo alla disciplina dei registri, dove al § 9 si esprime l'inammissibilità della richiesta di cancellazione se questa concerne la celebrazione di sacramenti: la richiesta di cancellazione di dati dai registri è inammissibile se concerne dati relativi all'avvenuta celebrazione di sacramenti o comunque attinenti allo stato delle persone. Tale richiesta deve essere annotata nel registro, e obbliga il responsabile dei registri a non utilizzare i dati relativi se non con l'autorizzazione dell'ordinario diocesano. Nella legge 675/1996 tali diritti sono sanciti nell'art. 13145, confluito ora nell'art. 7 del decreto legislativo n. 196/2003. Tale norma assicura la possibilità per il titolare di seguire le vicende relative ai propri dati e di ottenere la conferma dell'esistenza o meno dei dati personali ad esso relativi, della logica e delle finalità su cui si basa il trattamento; e ancora la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o in blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente
145 L'articolo elenca i diritti che fanno capo all'interessato al trattamento dei dati personali.
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trattati, l'aggiornamento, la rettificazione e l'integrazione degli stessi146. L'ampio ventaglio dei diritti riconosciuti dalla legge e legati alla possibilità di ottenere la rettifica o cancellazione dei dati ha suscitato non pochi dubbi sia in campo civilistico che con riguardo al trattamento dei di natura religiosa, dove il contrasto tra le esigenze del soggetto titolare e quelle delle confessioni religiose si è sentito in modo particolare147. La tutela assicurata ai titolari dei dati, da un lato, trova fondamento nella costituzione, quando viene sancito che il trattamento avvenga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e senza violazione
della
dignità
umana;
dall'altro
l'autonomia
e
l'indipendenza148 dovrebbero comprendere la possibilità di trattare i dati relativi ai propri aderenti per le finalità istituzionalmente connesse alla loro missione. In generale si può affermare che i diritti dei singoli e quelli delle 146 Tutela dinamica che permette all'individuo di inseguire i propri dati lungo tutta la durata del trattamento, vedi D. MILANI, Il trattamento dei dati sensibili di natura religiosa tra novità legislative e interventi giurisprudenziali, in Il diritto ecclesiastico, 1, 2001, p. 270 – 271. 147 V. RESTA, “La protezione dei dati personali di interesse religioso dopo l'entrata in vigore del Codice del 2003”, cit., per www. olir. It 148 Garantite dagli artt. 7 e 8 della Costituzione alla Chiesa Cattolica e alle altre confessioni religiose.
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confessioni religiose non contrastano fino a che tali soggetti operino in armonia gli uni con gli altri. L'intento della Conferenza episcopale italiana risponde alla funzione della Chiesa come assemblea visibile che opera nella realtà terrena e che per la realizzazione dei suoi scopi spirituali necessita di mezzi umani149. Dovendo vivere ed operare nel mondo ha cercato di soddisfare, con una propria disciplina, l'esigenza di provvedere ad una più puntuale protezione di questi diritti. Va riconosciuto che la C.E.I ha certamente conseguito il risultato di una maggiore chiarezza in ordine alla individuazione dei soggetti, organi ed enti responsabili del trattamento dei dati personali, come in ordine alla regolamentazione delle attività di questi; è questo verosimilmente il contenuto del Decreto che contribuisce ad una più efficace protezione dei diritti alla buona fama e riservatezza150.
149 La Chiesa cattolica non si pone come alternativa alle realtà terrene, ma vive nel mondo, cercando di contemperare le esigenze spirituale degli homines viatores, con quelle concrete della permanenza terrena, vedi P. BELLINI, “Magistero conciliare e diritto ecclesiastico civile”, in Libertà e dogma, 1984, p. 167. 150 A. VITALONE, “Buona fama e riservatezza in diritto canonico”, in Ius ecclesiae, rivista internazionale di diritto canonico, 2002, p. 278 – 279.
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CAPITOLO IV
STATO, CHIESA E DIRITTO ALLA PRIVACY
1. Garanzie confessionali e diritti individuali
L'introduzione nell'ordinamento giuridico italiano di una apposita normativa per la protezione dei dati (l. 675/1996), se da un lato ha segnato l'ingresso nel nostro paese di un sistema di norme dirette a tutelare l'identità delle persone di fronte ai rischi connessi con il trattamento delle informazioni ad esse inerenti, dall'altro ha sollevato più di un problema. Nel caso più specifico delle informazioni a carattere religioso la questione più rilevante è sorta in relazione alla scelta del legislatore di ricondurre dette informazioni alla categoria generale dei dati sensibili, per poi assoggettarle al regime comune di tutela rinforzata per essi previsto anche nel caso in cui a trattarle fossero le confessioni religiose. Per questo tale normativa ha subìto nel corso del tempo diverse
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modifiche da ultimo sfociate nella scelta operata dal codice in materia di trattamento dei dati personali (d. lgs. 2003) di esentare dal regime comune le informazioni a carattere religioso trattate da quelle confessioni che offrono al loro interno idonee garanzie. Apparentemente risolta, la questione torna ad essere spinosa quando il singolo fedele decide di uscire dalla confessione di appartenenza e di esercitare nei suoi confronti i diritti di cui è titolare in base alla normativa civile. Questo è quanto accade, ad esempio, con riferimento alle numerose richieste di cancellazione dal registro dei battezzati della Chiesa cattolica, sulle cui conseguenze giuridiche si è pronunciato il Pontificio Consiglio per i testi legislativi del 2006. Il Pontificio Consiglio ha ricevuto non poche richieste di chiarimento a proposito del cosiddetto actus formalis defectionis ab Ecclesia catholica151, in quanto si tratta di un concetto nuovo nella legislazione canonica e diverso dalle altre modalità di abbandono “notorio” o semplicemente “pubblico” della fede152 nelle quali i battezzati nella Chiesa cattolica o in essa accolti sono tenuti alle leggi 151 Vedi i cann. 1086, § 1, 1117 e 1124 del CIC, Codex Iuris Canonici PII X Pontificis maximi. 152 Vedi cann. 171, § 1, 4°; 194, § 1, 2°; 316, § 1; 694, § 1, 1°; 1071, § 1, 4° e § 2, del CIC, cit.
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meramente ecclesiastiche.
Il problema è stato esaminato dai Dicasteri della Santa Sede al fine di precisare innanzitutto i contenuti teologico-dottrinali di tale actus formalis defectionis ab Ecclesia catholica, e successivamente i requisiti o le formalità giuridiche necessarie perché esso si configuri come un vero “atto formale” di defezione.
Il Pontificio Consiglio comunica ai Presidenti delle Conferenze Episcopali quanto segue:
1. L’abbandono della Chiesa cattolica perché possa essere validamente configurato come un vero actus formalis defectionis ab Ecclesia, anche agli effetti delle eccezioni previste nei predetti canoni, deve concretizzarsi nella:
a) decisione interna di uscire dalla Chiesa cattolica;
b) attuazione e manifestazione esterna di questa decisione;
c) recezione da parte dell’autorità ecclesiastica competente di tale decisione.
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2. Il contenuto dell’atto di volontà deve essere la rottura di quei vincoli di comunione – fede, sacramenti, governo pastorale – che permettono ai fedeli di ricevere la vita di grazia all’interno della Chiesa. Ciò significa che un tale atto formale di defezione non ha soltanto un carattere giuridico-amministrativo (l’uscire dalla Chiesa nel senso anagrafico con le rispettive conseguenze civili), ma si configura come una vera separazione dagli elementi costitutivi della vita della Chiesa: suppone quindi un atto di apostasia, eresia o scisma.
3. L’atto giuridico-amministrativo dell’abbandono della Chiesa di per sé non può costituire un atto formale di defezione nel senso inteso dal CIC, giacché potrebbe rimanere la volontà di perseverare nella comunione della fede.
D’altra parte l’eresia formale o (ancor meno) materiale, lo scisma e l’apostasia non costituiscono da soli un atto formale di defezione, se non sono concretizzati esternamente e se non sono manifestati nel modo dovuto all’autorità ecclesiastica.
4. Deve trattarsi, pertanto, di un atto giuridico valido posto da 96
persona canonicamente abile e in conformità alla normativa canonica che lo regola (cfr. cann.124-126). Tale atto dovrà essere emesso in modo personale, cosciente e libero.
5 Si richiede, inoltre, che l’atto venga manifestato dall’interessato in forma scritta, davanti alla competente autorità della Chiesa cattolica: Ordinario o parroco proprio, al quale unicamente compete giudicare l’esistenza o meno nell’atto di volontà del contenuto espresso al n. 2.
Di conseguenza, soltanto la coincidenza dei due elementi – il profilo teologico dell’atto interiore e la sua manifestazione nel modo così definito – costituisce l’actus formalis defectionis ab Ecclesia catholica, con le relative sanzioni canoniche (cfr. can. 1364, § 1).
6. In questi casi, la stessa autorità ecclesiastica competente provvederà perché nel libro dei battezzati (cfr. can. 535, § 2) venga fatta l’annotazione con la dicitura esplicita di avvenuta “defectio ab Ecclesia catholica actu formali”.
7. Rimane, comunque, chiaro che il legame sacramentale di
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appartenenza al Corpo di Cristo che è la Chiesa, dato dal carattere battesimale, è un legame ontologico permanente e non viene meno a motivo di nessun atto o fatto di defezione153.
Fra le disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali da parte delle confessioni religiose, rientra l'art. 7 dedicato ai diritti dell'interessato, tra i quali il diritto ad ottenere la cancellazione o la riduzione in forma anonima del dato relativo al battesimo. Nell'ipotesi che un soggetto decida di distaccarsi da una confessione religiosa risulta di fondamentale importanza trovare un equilibrio tra i diritti del singolo e quelli della confessione a detenere i dati che lo riguardano nonostante la volontà del soggetto di esercitare i diritti garantiti dalla normativa in esame. Nella pratica, gli organi giudiziari si sono trovati a dover decidere su tale contrasto; infatti a tale livello si confrontano le prerogative dello Stato, che non può rinunciare a tutelare i diritti inviolabili delle persone (come quello ad avere una immagine di sé in cui riconoscersi che corrisponda a verità) con quelle delle confessioni a cui sono riconosciute autonomia e indipendenza nel proprio ordine. 153 La presente comunicazione è stata approvata dal Sommo Pontefice, Benedetto XVI, che ne ha disposto la notifica a tutti i Presidenti delle Conferenze Episcopali.
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Da questa esigenza sono maturate le correzioni apportate alla legge 675/96154 e si è giunti alla soluzione adottata dal Codice in materia di protezione dei dati personali, mediante la quale è prevista la sottrazione dal regime comune (preventivo consenso dell'interessato e autorizzazione del garante) dei dati relativi agli aderenti alle confessioni religiose e ai soggetti che con riferimento a finalità di natura religiosa hanno contatti regolari con le stesse . La Chiesa cattolica, oltre ad essere l'unica confessione religiosa ad aver adottato un provvedimento in tale materia, è l'unica che è stata oggetto di richieste di cancellazione di dati giunte davanti ad organi dello Stato; anche se l'art. 2, § 9 del decreto stabilisce l'inammissibilità della richiesta di cancellazione dei dati dai registri quando riguardano l'avvenuta celebrazione di sacramenti o siano attinenti allo stato delle persone. La ratio di tale divieto si ha nelle funzioni assunte dalla
154 Occorre ricordare che l'art. 22 comma 1- bis, della l. 675/96, così come modificato dal decreto 135/1999, prevedeva l'esenzione dal regime aggravato sancito per la tutela dei dati sensibili (consenso dell'interessato e preventiva autorizzazione del garante) solo per quelle confessioni religiose che, munite d'intesa, avessero predisposto idonee garanzie. La stipulazione di un intesa come condizione per poter godere delle semplificazioni normative ha suscitato perplessità in dottrina riguardanti l'incompatibilità di tale norma con gli artt. 3 della costituzione concernente l'uguaglianza, 8 che riconosce alle confessioni una uguale libertà e 19 sulla libertà individuale; vedi R. BOTTA, “Trattamento di dati personali e confessioni religiose”, p. 911 – 915, il quale notava che riservare un ambito privilegiato alla Chiesa cattolica e alle confessioni religiose munite di intesa accresceva i dubbi elaborati dalla dottrina.
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registrazione
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e conservazione dei dati all'interno dell'ordinamento
canonico e che in alcuni casi sono indispensabili allo svolgimento delle funzioni istituzionali della Chiesa156. Mediante il battesimo ogni uomo acquisisce uno status non solo religioso ma anche giuridico, così come sancito dal can. 96 del Codice di diritto canonico157, che lo rende parte del popolo di Dio e partecipe della missione salvifica affidata alla Chiesa da compiere nel mondo. Questo sacramento è sia un sigillo indelebile in chi lo riceve ma anche l'atto mediante il quale l'individuo viene costituito parte della comunità di fedeli, acquisendo la pienezza dei diritti e dei doveri relativi.
155 G. PUMA POLIDORI, “Sugli effetti giuridici della registrazione del battesimo”, in Libro baptismali, in Linea nuova, 1983, p. 24- 28. 156 Ad esempio l'annotazione del battesimo è necessaria ai fini del conferimento dei successivi sacramenti. 157 Can. 96: “Mediante il battesimo l'uomo è incorporato alla Chiesa di Cristo e in essa è costituito persona con i doveri e i diritti che ai cristiani, tenuta presente la loro condizione, sono propri, in quanto sono nella comunità ecclesiastica e purché non si frapponga una sanzione legittimamente inflitta”.
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2. I limiti alla buona fama e alla riservatezza del fedele e del cittadino: il caso
Poiché la questione della buona fama e della riservatezza interessa sia l'ordinamento civile158 che quello canonico, ecco che le due realtà si confrontano. Questo è ciò che accade nel caso “dell'ex fedele”, che dopo aver maturato convinte asserzioni ateistiche159 chiede la cancellazione del proprio nominativo dal registro dei battezzati invocando, a tale scopo, la disciplina posta dallo Stato a tutela della privacy volendo cancellare 158 A. CERRI, voce “Riservatezza (diritto alla), III diritto costituzionale”, in Enc. Giur., XXVII, Roma, 1991, sulle origini della tutela alla riservatezza nel diritto dello Stato. 159 Sul fondamento costituzionale della libertà di ateismo si distinguono tre grandi impostazioni dottrinarie: secondo la prima, anche l'ateismo, al pari della libertà religiosa è protetto dall'art. 19 della costituzione, il quale costituisce il riferimento per la tutela di qualsiasi opinione e manifestazione in materia religiosa, sopratutto in quanto, molte volte è difficile disegnare un confine certo tra ateismo e religione, specialmente nei casi in cui questi orientamenti si danno tutta una serie di norme morali particolarmente ricche di significato religioso e qualora fosse anche possibile individuare tale confine, questo non assumerebbe rilievo giuridico; vedi G. CARRA, “Manuale di diritto ecclesiastico”, Bologna, 1999, p. 176. La seconda tesi sostiene che questo movimento di pensiero sia garantito oltre che principalmente dall'art. 19 Cost. nel suo contenuto negativo, di libertà di non aderire ad alcuna religione, di non ascoltare alcuna propaganda, di non partecipare ad alcun culto, anche da una serie di altre disposizioni costituzionali, fra le quali l'art. 21 Cost. Che garantisce il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero e quelle che assicurano l'uguaglianza dei cittadini; vedi F. FINOCCHIARO, “Diritto ecclesiastico”, Bologna, 1997, p. 179. La terza tesi, infine, reputando insufficienti le disposizioni costituzionali per fondare la tutela dell'ateismo, invoca a tale scopo il ricorso ai principi supremi dell'ordinamento costituzionale dello Stato, attraverso i quali ricavare un superiore canone di più generale garanzia dei singoli piani di autodeterminazione umana, tale dunque in questo modo, da coprire anche le forme d'impegno della vita dell'uomo non esplicitamente contemplate nella Costituzione; vedi P. BELLINI, “L'ateismo nel sistema delle libertà fondamentali”, in Quaderni di politica ecclesiastica, 1995, p. 96 – 97.
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le tracce della sua appartenenza confessionale. Il contrasto tra il proposito di cancellare i residui di una avvenuta appartenenza confessionale160, eliminandone la prova esteriore in nome della difesa della propria riservatezza, si è confrontato così a livello pratico con le esigenze istituzionali della Confessione e delle autorità dello Stato per l'identificazione di soluzioni dirette a garantire tanto i diritti del singolo quanto quelli delle confessioni religiose. Avvalendosi del diritto sancito dall'art. 13 della l. 675/96161, un battezzato nella Chiesa cattolica ha richiesto la cancellazione dei propri dati dal registro dei battezzati conservato presso l'archivio parrocchiale162. Il soggetto, dichiarandosi ateo, ha ritenuto che la situazione descritta nei registri non fosse più conforme a verità e per questo motivo ha rivolto un'istanza al responsabile del trattamento, il parroco 160 Secondo il can. 751, vien detta eresia, l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa; apostasia, il ripudio totale della fede cristiana; scisma, il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti. La norma riguarda, in forza del can. 11, i soli battezzati nella Chiesa Cattolica o in essa accolti, e non ha pertanto rilievo per coloro che sono stati battezzati in un'altra Chiesa o comunità ecclesiale e continuano a non appartenere alla Chiesa cattolica. Ai sensi del can. 1364, paragrafo 1, il soggetto che ripudia totalmente la fede cristiana incorre nella scomunica latae sententia, ovvero, per il solo fatto di aver commesso delitto. 161 Articolo intitolato: “ Diritti dell'interessato”, tra i quali rientra il diritto alla cancellazione dei dati. 162 S. BERLINGO', “Si può essere più garantisti del garante? A proposito delle pretese di tutela dai registri del battesimo”, p. 295-298.
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preposto alla tenuta dell'archivio163, per ottenere la cancellazione del proprio nominativo. Dopo aver interessato della questione la Curia vescovile, sulla base dell'assunto che non è possibile cancellare un fatto realmente accaduto, il parroco si è limitato ad allegare la domanda di cancellazione all'atto di battesimo; l'interessato lamentando la violazione delle norme a tutela della riservatezza ha perciò investito della questione gli organi dello Stato, in particolare l'Autorità Garante164. Il ricorrente ha rivolto al Garante un'istanza motivata da convinzioni ateistiche personali per ottenere la cessazione del comportamento, tenuto dal parroco, ritenuto illegittimo ai sensi del comma 4 dell'art. 29 della legge 675/96165, e ha ulteriormente rilevato 163 In questo caso il parroco è l'Arciprete del Duomo d'Este. 164 E' bene ricordare che vi sono attività istituzionali proprie della Chiesa Cattolica cui è legata la redazione e la conservazione dei registri attestanti la celebrazione di sacramenti che sono sottratti alla normativa sulla privacy, in quanto tali attività sono espressione dell'effettivo esercizio del diritto fondamentale di libertà religiosa e dell'autonomia dell'ordinamento proprio della Chiesa. Secondo questa impostazione vi è un ordine, un complesso di materie e di rapporti che è sottratto a priori alla competenza dello Stato, sul presupposto dell'incompetenza di questo a regolare la materia religiosa e spirituale. 165 Art. 29, co. 4: Assunte le necessarie informazioni il Garante, se ritiene fondato il ricorso, ordina al titolare e al responsabile, con decisione motivata, la cessazione del comportamento illegittimo, indicando le misure necessarie a tutela dei diritti dell'interessato e assegnando un termine per la loro adozione. Il provvedimento e' comunicato senza ritardo alle parti interessate, a cura dell'ufficio del Garante. La mancata pronuncia sul ricorso, decorsi venti giorni dalla data di presentazione, equivale a rigetto.
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che in base al disposto dell'articolo 13 comma 1, lett. c)166 della l. 675/96 il comportamento del responsabile del trattamento ledeva il suo diritto all'aggiornamento, rettifica e integrazione dei dati, della cancellazione, della trasformazione in forma anonima. Il ricorrente, indipendentemente dalla correttezza o pertinenza del dato, rivendicava il suo diritto ad opporsi per motivi legittimi al trattamento167, infatti il rimedio in questione può essere esperito anche se i dati sono trattati in modo lecito e secondo correttezza quando vi è un interesse preminente in capo al ricorrente tale da giustificare l'accoglimento del ricorso. In questo caso specifico, l'interesse preminente è ravvisato nella violazione del diritto all'oblio inteso, impropriamente, come possibilità di cancellare ogni traccia del proprio passato senza darne 166 In relazione al trattamento dei dati secondo il comma 1, lett. c) l'interessato ha diritto a ottenere a cura del titolare o del responsabile, senza ritardo:1) la conferma dell'esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la comunicazione in forma intellegibile dei medesimi dati e della loro origine, nonché della logica e delle finalità su cui si basa il trattamento; la richiesta può essere rinnovata, salva l'esistenza di giustificati motivi, con intervallo non minore di novanta giorni;2) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non e' necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;3) l'aggiornamento, la rettificazione ovvero, qualora vi abbia interesse, l'integrazione dei dati;4) l'attestazione che le operazioni di cui ai numeri 2) e 3) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si riveli impossibile o comporti un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato. 167 Art. 13, comma 1 lett. d): “di opporsi, in tutto o in parte, per motivi legittimi, al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta”.
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conto a nessuno168 e come diritto ad essere lasciato solo e del diritto all'identità personale,cioè ad avere un'immagine di sé in cui riconoscersi169. Il ricorrente lamentava la mancata cancellazione dei propri dati personali dal registro dei battezzati dichiarando: di aver richiesto con lettera raccomandata all'arciprete la cancellazione dagli elenchi parrocchiali dei battezzati del proprio nominativo e della data del battesimo ricevuto; che l'arciprete si è limitato ad assicurare al ricorrente l'allegazione della nota al suo atto di battesimo reiterata poi dal Vescovo, il quale sostiene l'impossibilità di dare corso alla richiesta di cancellazione sulla base dell'assunto che non è possibile annullare un fatto realmente accaduto; che tale comportamento lederebbe in primo luogo il disposto dell'art. 13, co. 1, lett. c) della l. 675/96; 3. che tale comportamento violerebbe altresì il comma 1, lett. c) dell'art. 13, l. 675/96; che l'obiezione della parte resistente secondo la quale il battesimo è un fatto storico che nn può essere cancellato sarebbe solo uno pseudo argomento dato che ogni registrazione si 168 Alla stessa stregua della potestà riconosciuta dai romani al titolare del dominium: “usque ad sidera et usque ad inferos” 169 S. BERLINGO', “Si può essere più garantisti del Garante”, cit. p. 297- 298, il quale sottolinea che “l'esigenza di una corretta (ri)costruzione o rappresentazione della propria identità non può essere soddisfatta solo con una tale forma di garanzia”.
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riferisce a fatti accaduti e comunque essa stessa, in quanto tale, è un fatto storico; che se anche si volesse riconoscere la pertinenza del dato registrato rispetto allo scopo della raccolta, il comportamento della parte resistente violerebbe comunque il diritto dell'interessato di opporsi per motivi di legittimità al trattamento dei dati personali. Le argomentazioni addotte dal ricorrente sono molteplici ma fra di esse è possibile effettuare una distinzione in quanto anche se il rimedio rimane il medesimo, ossia il diritto alla modifica del dato, alla base del diritto alla cancellazione, trasformazione in forma anonima, blocco dei dati vi è una violazione di legge nel trattamento, mentre l'aggiornamento,
rettificazione,
integrazione
presuppongono
la
materiale inesattezza del dato170. La possibilità per l'interessato di opporsi ad un trattamento per motivi legittimi è fondata su presupposti ancora diversi. Tale rimedio può essere esperito sempre, quando vi siano motivi preminenti e legittimi derivati dalla sua particolare situazione171, senza che sia presente necessariamente una inesattezza del dato o una 170 V. RESTA, La protezione dei dati personali di interesse religioso dopo l'entrata in vigore del Codice del 2003, cit., per www.olir.it. 171 Vedi Direttiva comunitaria 95/46 relativa alla tutela delle persone fisiche, sezione VII Diritto di opposizione della persona interessata, art. 14 “diritto di opposizione della persona interessata”, comma 1, lettera a).
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violazione di legge.
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2.1. Il provvedimento del Garante
A fronte del ricorso presentato dal soggetto in questione, il garante per la protezione dei dati personali emette, in data 9 settembre 1999, un provvedimento con il quale rigetta l'istanza e dichiara infondato il ricorso172. Il Garante, preliminarmente, ha sottolineato che la domanda non poteva essere accolta né sulla base dell'art. 13, comma 1, lett. c), n. 2 in quanto i dati non risultavano trattati in violazione di legge, né al n. 3, poiché la questione non riguardava dati non aggiornati, inesatti o incompleti, essendo piuttosto riferita a dati che si intendeva eliminare sotto il profilo della loro esistenza materiale. La disposizione suddetta, infatti, afferma che la cancellazione dei dati può essere richiesta in due casi: quando questi sono trattati in violazione di legge o quando la loro conservazione non sia necessaria in relazione agli scopi per i quali essi sono stati raccolti e trattati. L'articolo prosegue sottolineando l'importanza dell'esigenza per il 172 Il provvedimento è consultabile su www.olir.it/areetematiche/80/index.php nell'area tematica dedicata alla tutela dei dati personali ed è inoltre pubblicato in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 3, 2000, p. 874 ss., e in Cittadini e società dell'informazione. Bollettino n. 9, 1999 a cura del Garante alle pp. 54 – 56.
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ricorrente a veder correttamente rappresentata la sua immagine, rimarcando il fatto che l'accoglimento eventuale del ricorso avrebbe trovato una base giuridica solo nell'opposizione per motivi legittimi. Non può passare inosservato, inoltre, il diritto contrapposto consistente nella esigenza della Chiesa per la quale il Battesimo non è solo un atto di carattere confessionale, ma anche un atto giuridico che segna l'ingresso di una persona nella Chiesa cattolica, e la sua registrazione non costituisce solo un dato relativo all'aderente ma rappresenta anche un aspetto della vita del soggetto o organismo che lo detiene173. Il Garante, nel suo provvedimento, rileva che la questione assume un particolare rilievo tenuto conto del fatto che i registri dei battezzati rientrano fra i registri ufficiali della Chiesa cattolica e, quindi, di un ordinamento indipendente e sovrano rispetto a quello dello Stato italiano, così come previsto dall'art. 7 della Costituzione. E' importante sottolineare che non viene negato il diritto degli
173 F. D. BUSNELLI-E. NAVARRETTA, “Battesimo e nuova identità atea: la legge 675/1996 si confronta con la libertà religiosa”, p. 863. Gli autori specificano che solo gli atti giuridici per i quali sia prevista formalmente una forma di pubblicità devono ritenersi a priori sottratti alla normativa sul trattamento dei dati personali e nei limiti della finalità connessa con l'onere pubblicitario. Questo, per rendere il dato giuridicamente incancellabile deve provenire da una fonte statuale, o come nel caso della Chiesa cattolica, da un ordinamento al quale lo Stato attribuisca sovranità e indipendenza nell'ambito della propria sfera di competenza.
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interessati a vedere correttamente rappresentata la propria immagine in relazione alle proprie convinzioni originarie o sopravvenute. Infatti secondo il Garante questo diritto può essere soddisfatto da misure diverse dalla pura cancellazione, con le quali ottenere dai titolari o responsabili che i dati da essi detenuti acquistino un diverso significato. Tali misure alternative alla cancellazione si identificano con l'annotazione a margine del dato da rettificarsi, mentre in altri può essere più idoneo inserire o allegare la richiesta di rettifica degli atti in questione. Le osservazioni con le quali il Garante ha respinto il ricorso, si basano sul presupposto che non è possibile cancellare dalla vita di un soggetto le tracce di un avvenimento realmente accaduto, per poi proseguire con il rilievo che la questione assume alla luce della constatazione dell'ambito di autonomia riconosciuta alla Chiesa cattolica e alle altre confessioni, dalla Costituzione; per concludere con l'affermazione che il battesimo rientra in questo ambito di autonomia. Il garante ha osservato che la Chiesa non può cancellare la traccia
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di un avvenimento che l'ha riguardata storicamente se non a costo di modificare la stessa rappresentazione della propria realtà. Con tale affermazione si rivela la volontà dell'Autorità di tenere in considerazione le esigenze della Chiesa, in quanto la cancellazione non attiene solo al soggetto a cui il battesimo è stato impartito ma anche alla vita di altri soggetti, alla missione salvifica della Chiesa cattolica dal momento che non si può negare l'accadimento174. Nella seconda parte del provvedimento il Garante analizza in particolare la questione alla luce della autonomia confessionale; infatti ha osservato che i registri dei battezzati rientrano tra i registri ufficiali della Chiesa cattolica e, quindi, di un ordinamento indipendente e sovrano rispetto a quello dello Stato italiano, così come previsto dall'articolo 7 della Costituzione. Si può così meglio comprendere la ragione della conservazione dei registri battesimali. Tale attività rientra tra quelle istituzionali della Chiesa cattolica e 174 S. BERLINGO', “Si può essere più garantisti del Garante”, cit. pp. 321-322, il quale sottolinea che la conservazione del dato del battesimo costituisce una fattispecie plurisoggettiva, che, quand'anche non fosse più attuale in ordine alla permanenza dell'adesione del soggetto battezzato, manterrebbe, comunque, la sua attualità con riguardo a una serie di altri soggetti pur essi interessati, sebbene ad altro titolo, e tuttora aderenti alla Confessione. L'argomento è stato utilizzato in Francia dalla Commission Nazionale de l'Information et des Libertés per respingere un'istanza analoga; in proposito si veda anche G. DALLA TORRE, “Registro dei battezzati e tutela dei dati personali: luci e ombre di una decisione”, nota Decreto del Tribunale di Padova del 29 maggio 2000, in Giustizia civile, 1, 2001, pp. 235-241.
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in essi l'ordinamento canonico stabilisce che vada annotato tutto ciò che riguarda lo stato canonico dei fedeli in rapporto al matrimonio, all'adozione, all'ordine sacro, alla professione perpetua emessa in un istituto religioso e al cambiamento del rito175. La loro funzione è pertanto quella di attestare uno status relativo ai fedeli che non cessa per semplice volontà propria e nemmeno in conseguenza di una conversione in senso ateistico, in quanto mediante il battesimo si è incorporati in Cristo e costituiti popolo di Dio, con tutti i diritti e doveri che ne conseguono a norma dell'ordinamento canonico176. L'argomento principale in base al quale il Garante ha rigettato la pretesa del ricorrente di cancellazione dell'atto battesimale è il riconoscimento dell'autonomia e dell'indipendenza della Chiesa cattolica, come sancito ai sensi dell'art. 7 della Costituzione. Pertanto è dall'affermazione dell'indipendenza e della sovranità 175 Vedi can. 535, per un commento alla disciplina dei registri, elenchi e schedari nell'ordinamento canonico; vedasi M. CALVI, “Quali libri nell'archivio parrocchiale?”, in Quaderni di diritto ecclesiale, 3, 1989, pp. 403 – 410. 176 Vedi can. 204: “I fedeli sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi nel modo loro proprio dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo”. Si intende precisare chi sono coloro che formano il popolo di Dio, come si entra a farvi parte e quale compito o missione è loro propria.
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nel proprio ordine che i registri, ritenuti necessari dalla Chiesa per perseguire la sua missione spirituale, sono compresi all'interno delle attività istituzionali tutelate da tale articolo177. Il Garante, sulla scorta di tale affermazione, ha proseguito osservando che il battesimo rappresenta un fatto storicamente accaduto e non trattato in modo illecito, di conseguenza la richiesta del ricorrente e la sua volontà di vedere rappresentata correttamente la propria immagine, può essere soddisfatta con misure diverse dalla cancellazione grazie alle quali si ottiene dai titolari o dai responsabili che i dati da essi detenuti acquistino, appunto, un diverso significato. Dalla constatazione che la Chiesa non può considerare appartenente ad essa un soggetto che esprime la volontà di distaccarsene, discende la volontà di non utilizzare ulteriormente tale dato se non per conservarlo; sicché viene meno anche l'intenzione di servirsene per altri fini, ritenendo che tali diritti assicurati dalla legge al ricorrente assumessero un minor valore178. 177 F. D. BUSNELLI-E. NAVARRETTA, “Battesimo e nuova identità atea: la legge 675/96 si confronta con la libertà religiosa”, cit., pp. 861 – 864. Tali autori non ritengono fondamentale l'argomento per il quale la pretesa della cancellazione non è da ricercare nella natura dell'atto nemmeno se trattasi di atto giuridico costitutivo. 178 A. G. CHIZZONITI, “Le certificazioni confessionali nell'ordinamento giuridico italiano”, Milano, 2000. p. 224. Egli afferma che la produzione di una certificazione di appartenenza supportata dalla contestuale volontà dell'interessato potrebbe ritenersi suscettibile di effetti civili, e che tale condotta potrebbe integrare una fattispecie di trattamento illegittimo di dati
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Da quanto sin qui esposto, emerge che nel caso in questione esistono interessi contrapposti a prima vista difficilmente conciliabili: da un lato quello del ricorrente e dall'altro quello della Chiesa. Il Garante conclude il provvedimento disponendo che resta impregiudicato il diritto del ricorrente di far integrare a sua richiesta la complessiva documentazione che lo riguarda, anche senza che sia necessaria una specifica indicazione delle ragioni che sono alla base di tale istanza. Il provvedimento ha negato che “l'aspirazione a veder correttamente rappresentata la propria immagine” potesse prevalere in un giudizio comparativo sull'interesse al trattamento effettuato dalla Chiesa, tanto da giustificare e fondare giuridicamente la pretesa di cancellazione. Da tali premesse il Garante ha concluso, come si è visto, il suo provvedimento considerando che il battesimo è un fatto storicamente avvenuto, mantiene una mera rilevanza interna e rientra tra le attività istituzionali della Chiesa che provvede a trattarlo in modo lecito e secondo correttezza. Quindi ha rigettato il ricorso negando il diritto alla cancellazione personali punibile in base al disposto della legge 765/96.
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del
dato,
ma
riconoscendo
quello
all'integrazione
mediante
annotazione dello stesso179.
179 F. D. BUSNELLI-E. NAVARRETTA, “Battesimo e nuova identità atea”, cit. Sottolineano che non sono in grado di contrapporsi alla autonomia e indipendenza della Chiesa cattolica nemmeno gli altri interessi fatti valere dal ricorrente, quali la libertà religiosa e l'onore, in concreto non toccate dalla vicenda in esame.
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2.2. I limiti del provvedimento
Dalle considerazioni fin qui svolte si potrebbe concludere sostenendo che il Garante, con il suo provvedimento, ha dichiarato la totale abdicazione da parte dello Stato nella verifica delle garanzie predisposte dalle confessioni religiose rispetto ai diritti della persona. Non si può parlare di un difetto di giurisdizione assoluto da parte dello Stato proprio perché questo deve rimanere sempre garante del rispetto dei diritti inviolabili dell'uomo, nonché della sua dignità, anche di fronte alla particolare posizione che assume la Chiesa nel nostro ordinamento, in quanto soggetto al quale è riconosciuta indipendenza e sovranità nel proprio ordine180. Inoltre occorre ricordare che la previsione del d. lgs. n. 196 del 2003181, la quale esenta dal regime comune le confessioni religiose, trova applicazione solamente fino al momento in cui i dati da esse trattati non vengono comunicati o diffusi all'esterno ma mantengano una rilevanza interna rispettando così il senso delle norme
180 Vedi artt. 7 e 8 della Costituzione. 181 L'attuale Codice in materia di protezione dei dati personali che ha abrogato la precedente l. 675/96 in materia di tutela del trattamento dei dati personali.
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costituzionali che garantiscono autonomia e indipendenza delle confessioni religiose182. Lo Stato riconosce in questo modo la sovranità di tali soggetti nel proprio ordine, rinunciando ad eventuali interventi che possano incidere sulla loro libertà di organizzazione e, al contempo, rivendica la sua competenza su tutte le materie non rientranti nell'ordine proprio delle confessioni. In tale modo le norme preposte alla tutela dei dati personali hanno piena applicazione non appena il trattamento perde il carattere di rilevanza meramente interna dimostrando che lo Stato non rinuncia del tutto alla sua sovranità in tema di tutela della privacy e delle riservatezza dei cittadini-fedeli. A norma dell'articolo 26, comma 3 lettera a)183 del Codice in 182 R. TERRANOVA, “Buona fama e riservatezza: il trattamento dei dati personali tra diritto canonico e diritto dello Stato”, p. 305. L'autore sottolinea la totale applicazione della normativa giuridica in materia di trattamento dei dati personali comporterebbe, per le confessioni religiose, il rischio della perdita della propria memoria storica, costituita dal patrimonio di documenti che essa si cura di conservare e custodire adeguatamente. 183 Art. 26, Garanzie per i dati sensibili, comma 1, 2, 3 lett. a): 1. I dati sensibili possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell'interessato e previa autorizzazione del Garante, nell'osservanza dei presupposti e dei limiti stabiliti dal presente codice, nonché dalla legge e dai regolamenti. 2. Il Garante comunica la decisione adottata sulla richiesta di autorizzazione entro quarantacinque giorni, decorsi i quali la mancata pronuncia equivale a rigetto. Con il provvedimento di autorizzazione, ovvero successivamente, anche sulla base di eventuali verifiche, il Garante può prescrivere misure e accorgimenti a garanzia dell'interessato, che il titolare del trattamento e' tenuto ad adottare. 3. Il comma 1 non si applica al trattamento:a) dei dati relativi agli aderenti alle confessioni religiose e ai soggetti che con riferimento a finalità di natura esclusivamente religiosa hanno contatti regolari con le medesime confessioni, effettuato dai relativi organi, ovvero da enti civilmente riconosciuti,
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materia di protezione dei dati personali, solo la predisposizione di idonee garanzie permette loro di sottrarsi al regime comune sancito per il trattamento dei dati sensibili, inoltre tale normativa richiede la necessaria idoneitĂ delle stesse da valutarsi alla stregua dei principi stabiliti al riguardo con autorizzazione del Garante. Occorre sottolineare come in assenza di ulteriori specificazioni, non si possa prescindere dall'avere come punto di riferimento i diritti costituzionalmente garantiti, nonchĂŠ i medesimi principi che hanno ispirato la normativa in materia, in particolare con riferimento all'art. 11 del Codice in materia di protezione dei dati personali184. Tale norma deve essere necessariamente correlata con la definizione di trattamento sancita all'art. 1, la quale comprende una vasta serie di operazioni, tra cui anche la conservazione dei dati. Il combinato disposto di queste previsioni permette di concludere sempre che i dati non siano diffusi o comunicati fuori delle medesime confessioni. Queste ultime determinano idonee garanzie relativamente ai trattamenti effettuati, nel rispetto dei principi indicati al riguardo con autorizzazione del Garante. 184 Tale articolo riprende, l'art. 9 della l. 675/96: 1. I dati personali oggetto di trattamento sono:a) trattati in modo lecito e secondo correttezza; b) raccolti e registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, ed utilizzati in altre operazioni del trattamento in termini compatibili con tali scopi;c esatti e, se necessario, aggiornati;d) pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalitĂ per le quali sono raccolti o successivamente trattati;e) conservati in una forma che consenta l'identificazione dell'interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati. 2. I dati personali trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati.
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che l'articolo 7185 del Codice in materia di protezione dei dati personali garantisce il soggetto titolare dei dati anche in ordine alla mera conservazione degli stessi giustificando la richiesta di cancellazione solo quando il trattamento avvenga in malafede oppure in modo illecito. Nel caso in esame dati relativi al battesimo non sono trattati né in modo illecito e né scorrettamente sicché non può essere adottata la misura estrema della cancellazione del dato ma è sufficiente la semplice annotazione contenente la volontà del ricorrente a vedere soddisfatta la sua richiesta. Il ricorrente non soddisfatto dell'esito della vicenda, ha deciso di 185 Art. 7, intitolato “Diritto di accesso ai dati personali e altri diritti”. 1. L'interessato ha diritto di ottenere la conferma dell'esistenza o meno di dati personali che lo riguardano, anche se non ancora registrati, e la loro comunicazione in forma intelligibile.2. L'interessato ha diritto di ottenere l'indicazione:a) dell'origine dei dati personali;b) delle finalità e modalità del trattamento;c) della logica applicata in caso di trattamento effettuato con l'ausilio di strumenti elettronici;d) degli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante designato ai sensi dell'articolo 5, comma 2;e) dei soggetti o delle categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualità di rappresentante designato nel territorio dello Stato, di responsabili o incaricati.3. L'interessato ha diritto di ottenere:a) l'aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l'integrazione dei dati;b) la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non e' necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati;c) l'attestazione che le operazioni di cui alle lettere a) e b) sono state portate a conoscenza, anche per quanto riguarda il loro contenuto, di coloro ai quali i dati sono stati comunicati o diffusi, eccettuato il caso in cui tale adempimento si rivela impossibile o comporta un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato rispetto al diritto tutelato.4. L'interessato ha diritto di opporsi, in tutto o in parte:a) per motivi legittimi al trattamento dei dati personali che lo riguardano, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta;b) al trattamento di dati personali che lo riguardano a fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
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fare opposizione rivolgendosi alla magistratura ordinaria e ha rivolto un'istanza ai sensi dell'art. 29, comma 6 della l. 675/96186 al Tribunale di Padova, richiedendo nuovamente la cancellazione del dato relativo al battesimo oppure in via subordinata la riduzione in forma anonima dei dati. Il Tribunale ha deciso la questione con decreto adottato in camera di consiglio187. Il decreto conferma l'impostazione delineata dal Garante, rigettando il ricorso e ritenendo, in conclusione che la registrazione del battesimo nei libri parrocchiali svolge una funzione interna all'ordinamento della Chiesa, senza assumere rilevanza nell'ambito dello Stato. Più in dettaglio il decreto afferma, in primo luogo, che l'amministrazione dei sacramenti concerne l'attività più squisitamente religiosa della Chiesa cattolica ed attiene alla sua specifica missione
186 Ora articolo 151 del Codice in materia di protezione dei dati personali. 187 Come sottolinea A. G. CHIZZONITI, “Le certificazioni confessionali nell'ordinamento giuridico italiano”, cit., p. 223, il decreto è stato adottato in camera di consiglio e proprio per questo risulta nelle sue affermazioni molto essenziale. Infatti in base all'art. 29, commi 6 e 7, (ora art. 151 del Codice in materia di protezione dei dati) che avverso il provvedimento del Garante il titolare o l'interessato possono proporre opposizione davanti al tribunale del luogo ove risiede il titolare entro 30 gg dalla comunicazione del provvedimento o dalla data del rigetto tacito. Il legislatore ha previsto che il tribunale provveda con decreto emesso in camera di consiglio.
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spirituale, la cui disciplina rientra nell'ordinamento istituzionale della Chiesa stessa, sicché tale attività va ricondotta nello spazio di autonomia confessionale garantito dall'articolo 7 della Costituzione alla Chiesa e che, per effetto di questo riconoscimento, l'attività in questione non può formare oggetto di sindacato da parte degli organi dello Stato188. A differenza di quanto disposto dal Garante, il Tribunale di Padova ha precisato che il difetto degli organi statali, di non poter disciplinare la materia in esame in quanto rientrante (a suo parere) nella sfera religiosa, non può dirsi assoluto ma è previsto solamente nei limiti in cui gli atti dell'autorità ecclesiastica mantengano una
188 “È indiscutibile che l’amministrazione dei sacramenti concerne l’attività più squisitamente religiosa della Chiesa cattolica e attiene alla sua specifica missione spirituale e che la relativa disciplina fa parte dell’ordinamento istituzionale della Chiesa medesima. Si tratta, in altri termini, di attività che rientrano nell’ordine proprio della Chiesa,ossia in quell’ordine che lo Stato italiano riconosce come “indipendente e sovrano” (art. 7 della Costituzione): riconoscimento, questo, che implica anzitutto la scelta dello Stato di non interferire con lo svolgimento di tali attività, le quali di conseguenza non possono formare oggetto di sindacato da parte degli organi, sia amministrativi che giudiziari, dello Stato. Questo principio vale, peraltro, nei limiti in cui gli atti dell’autorità ecclesiastica mantengano, anche per lo Stato, una rilevanza meramente interna a quell’ordinamento e non vengano a incidere su interessi, alla cui tutela lo Stato non può rinunciare: fra questi, in primo luogo, quei fondamentali diritti della persona che sono considerati inviolabili dall’ordinamento statale. Poiché nella materia, di cui ci occupiamo, non esiste alcuna regolamentazione pattizia fra Stato e Chiesa in ordine alle specifiche sfere di competenza, la loro delimitazione spetta in definitiva agli organi dello Stato preposti alla vigilanza e al “giudizio” nella suddetta materia (Garante e autorità giudiziaria): lo Stato, infatti, si riserva il potere di verificare se sussistano i presupposti per escludere il proprio intervento con riguardo agli atti dell’autorità ecclesiastica. È pertanto legittimo l’esercizio, da parte del Garante, della sua funzione di accertamento e controllo, al fine anzitutto di valutare se la fattispecie in esame sia (o meno) irrilevante per l’ordinamento statale, in quanto rientrante nell’esclusivo ambito propriamente confessionale”.
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rilevanza meramente interna a quella del proprio ordinamento e non incidano su interessi alla cui tutela lo Stato non può rinunciare189, neppure di fronte ad un riconoscimento di indipendenza e sovranità, quale quello della chiesa cattolica. Occorre dunque verificare se nel caso in esame gli effetti della conservazione del battesimo si esauriscano nell'ambito interno alla Chiesa oppure se esplichino conseguenze anche all'esterno, con la necessità di individuare gli organi preposti a verificare l'eventuale competenza dello Stato in materia. Secondo affermazione del Tribunale la verifica deve essere compiuta dagli stesi organi statutali ossia il Garante e l' autorità giudiziaria i quali hanno il compito di decidere quali fattispecie rientrano nella competenza dello Stato in materia e quali siano per lui irrilevanti comportando una restrizione del suo potere190. 189 F. D. BUSNELLI-E. NAVARRETTA, “Battesimo e nuova identità atea”, cit. Sottolineano che nel caso in questione il Tribunale ha operato “una peculiare scelta nel senso di non applicare la normativa sulla tutela dei dati personali, escludendo che la materia possa essere di competenza dello Stato. Ed è questo che scoraggia il riferimento a qualsivoglia interesse capace di legittimare pretese anche distinte dalla cancellazione”. 190 La decisione del tribunale di Padova su questo punto non è del tutto condivisibile, in quanto è contraddittoria. Non si può infatti affermare che esistono interessi alla cui tutela lo Stato non può rinunciare, come i diritti fondamentali della persona, per poi sostenere che siccome nella materia in questione non esistono regolamentazioni pattizie tra Stato e Chiesa in ordine alla sfera di competenza, la loro delimitazione spetta agli organi statuali. Infatti se esistono diritti alla cui tutela lo Stato non può rinunciare questi non possono essere oggetto di regolamentazione pattizia, la conseguenza sarebbe la violazione del principio di laicità, così come sancito dalla corte costituzionale. In proposito G. DALLA TORRE, “Registro dei battezzati e tutela dei dati personali”, cit., pp. 238 – 239.
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Verificate queste condizioni la conclusione a cui giunge il decreto è che nessuno dei diritti in gioco è in grado di prevalere in un giudizio di bilanciamento tra interessi contrapposti a tal punto da giustificare la misura estrema della cancellazione del dato. Il Tribunale ha proseguito nella sua argomentazione prendendo in considerazione alcuni diritti tra cui quello alla dignità personale, alla formazione di una identità personale e il diritto alla libertà religiosa del ricorrente che sarebbero potuti risultare violati dalla conservazione del dato nel registro del battesimo. Su questi presupposti la richiesta non è stata accolta in quanto la contestazione del ricorrente si basa appunto sulla violazione di tali diritti considerati personalissimi dal ricorrente medesimo e , alla luce di tale considerazione, inoltre la richiesta non trova fondamento nemmeno sulla base del diritto all'oblio, sulla quale si fonda la pretesa. La
decisione
del
tribunale
di
Padova
appare
drastica
nell'esclusione di ogni possibile coinvolgimento di diritti inviolabili della persona e, in conseguenza, di applicazione della normativa sulla privacy; alla luce di tale considerazione il ricorrente ha ottenuto l'allegazione della lettera contenente la domanda di cancellazione
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all'atto del battesimo e conservata nel relativo registro, come previsto dall' articolo 2, paragrafo 9, del decreto C. E. I. del 1999191. In sintesi, accertati tutti gli interessi che in concreto avrebbero potuto giustificare l'accoglimento della domanda, il Tribunale ha concluso con la considerazione che fino al momento in cui il dato viene conservato per fini interni e non venga diffuso all'esterno la sua conservazione rientra tra le attivitĂ proprie della Chiesa, coperte dall'ambito di autonomia garantito a tutte le confessioni religiose dagli artt. 7 e 8 della Costituzione. Sia il provvedimento del Garante che il decreto del Tribunale di Padova affermano che la non ingerenza negli interna corporis va sempre valutata alla luce di quanto stabilito dall'articolo 22 comma 1bis della l. 675/ 96 e quindi subordinata alla predisposizione da parte delle confessioni religiose di idonee garanzie. Tale verifica affidata agli organi dello Stato risulta necessaria nel momento in cui vi sia un contrasto tra una confessione religiosa e un soggetto ad essa appartenente che per qualsiasi motivo voglia
191 § 9. La richiesta di cancellazione di dati dai registri è inammissibile se concerne dati relativi all'avvenuta celebrazione di sacramenti o comunque attinenti allo stato delle persone. Tale richiesta deve essere annotata nel registro, e obbliga il responsabile dei registri a non utilizzare i dati relativi se non con l'autorizzazione dell'Ordinario diocesano.
124
distaccarsene.
125
2.3. Le due pronunce a confronto
Dall'analisi del provvedimento del Garante e del decreto del Tribunale di Padova si nota che entrambe presentano alcune differenze ma sostanzialmente molti tratti in comune, proponendosi l'una come la specificazione dell'altra. Entrambi i provvedimenti rimarcano il carattere di legittimità e correttezza con cui i responsabili del trattamento, il parroco e le istituzioni ecclesiastiche, utilizzano il dato in questione escludendo che la richiesta possa fondarsi sull'art. 13, comma 1, lett. c) n. 2 della l. 675/96 che presuppone proprio la violazione di legge nel trattamento o la non necessità di conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati vennero raccolti o successivamente trattati. L'iter argomentativo è per le due pronunce il medesimo: il battesimo rientra tra le attività istituzionali della Chiesa e lo scopo per cui viene conservato non cessa neppure con la volontà del titolare; finché il dato rimane tra gli interna corporis non assume rilevanza per l'ordinamento dello Stato che può intervenire solo in caso di utilizzo del dato all'esterno. 126
L'argomentazione centrale delle due pronunce è pertanto la distinzione tra trattamento operato all'interno dell'ordinamento confessionale e trattamento effettuato all'esterno. Fin
quanto
l'ambito
rimane
all'interno
dell'ordinamento
confessionale non vi è spazio per un ulteriore disciplina da parte dello Stato a tutela di eventuali richieste di soggetti interessati, i quali hanno come alternativa l'utilizzo dei mezzi messi a disposizione dagli ordinamenti confessionali purché idonei alla tutela dei dati in questione. Solo se risultano inidonei lo Stato interviene a garanzia dei diritti fondamentali della persona192, mentre per la verifica dei presupposti per escludere un intervento dello Stato il decreto del foro patavino aggiunge che mancando una soluzione accordata spetta agli organi statuali esercitare una funzione di garanzia e controllo sui specifici ambiti di competenza. In merito alla valutazione degli interessi dei terzi la posizione 192 Tali diritti per loro natura trascendono gli ordinamenti civili e richiedono una necessaria tutela. Il problema è la verifica della loro garanzia nelle definite realtà societarie e quindi nei vari ordinamenti giuridici. In questa prospettiva si può parlare di diritti fondamentali dell'uomo in quanto cittadino o in quanto fedele. Anche nell'ordinamento canonico questi diritti trovano tutela al can. 208 e ss., nonché all'articolo 1 del Concordato dove è posto un principio di tutela generale: La repubblica italiana e la Santa Sede si impegnano alla reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo”. In proposito, G. DALLA TORRE, “Registro e tutela dei dati personali: luci ed ombre di una decisione”, cit., p. 224.
127
delle due pronunce si differenzia. Mentre
il
provvedimento
del
Garante
non
prende
in
considerazione la tutela degli altri soggetti (ad esempio i genitori e coloro che vi interagiscono), il decreto del Tribunale di Padova afferma il rilievo di tali posizioni nel bilanciamento da operare al fine di giungere ad una valutazione definitiva della controversia. Esso afferma che tali altri soggetti hanno agito nell'ambito di un diritto costituzionalmente garantito193 quando hanno scelto di somministrare il battesimo al loro figlio esercitando il loro diritto alla libertà religiosa.
193 Così recita l'art. 30, Costituzione: “E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”.
128
3. Casi simili e questioni ancora aperte
Quanto fin qui esposto relativamente alla richiesta di cancellazione del dato attinente al battesimo da parte dell'”ex fedele” è stato il primo fra i tanti casi presentatisi alle autorità parrocchiali e al Garante. Tre di questi meritano una particolare attenzione. Nel primo194 il ricorrente si rivolge al garante dopo aver richiesto l'annotazione al margine del registro dei battezzati della propria volontà a non essere più considerato membro della Chiesa cattolica da parte del parroco della parrocchia di San Pietro in sala di Milano; nel secondo195 il ricorrente si rivolge sempre al Garante non avendo ottenuto risposta alla sua istanza presentata al parroco
della
parrocchia di Nostra Signora del Santissimo Sacramento e dei santi Martiri Canadesi in Roma. A seguito dell'invito il viceparroco comunica al ricorrente che la sua richiesta era stata accolta e, sottolinea il Garante, a norma del codice di diritto canonico. 194 Pubblicato in Cittadini e società dell'informazione, n. 3o, luglio – agosto 2002, p. 18 – 19. 195 Pubblicato in Cittadini e società dell'informazione, n. 31, settembre 2002, pp. 18 – 19.
129
Nel terzo196 dei casi, l'iter seguito è il medesimo ma risulta alquanto singolare la risposta data dal parroco della parrocchia della Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria in Fossalta di Piave. Il parroco, di fronte all'invito rivoltogli dal Garante di aderire alla richiesta del ricorrente, ha dichiarato di non credere di essere autorizzato
dalla
vigente
normativa
canonica
ad
effettuare
l'annotazione richiesta precisando di aver annotato e conservata l'istanza rigettata in un appendice del registro. Tale risposta risulta incompatibile non solo con la normativa civile ma anche con quella canonica197, a norma della quale è inammissibile solamente la richiesta di cancellazione concernente i dati relativi all'avvenuta celebrazione di sacramenti o comunque attinenti allo stato delle persone. Poiché la richiesta del ricorrente consisteva nella annotazione a margine, e questa è consentita dallo stesso art. 2, §9 del decreto della 196 Pubblicato in Cittadini e società dell'informazione, n. 32, ottobre 2002, p. 3 – 4. 197 Art. 2, §9 del decreto della C. E. I.: “La richiesta di cancellazione di dati dai registri è inammissibile se concerne dati relativi all'avvenuta celebrazione di sacramenti o comunque attinenti allo stato delle persone. Tale richiesta deve essere annotata nel registro, e obbliga il responsabile dei registri a non utilizzare i dati relativi se non con l'autorizzazione dell'Ordinario diocesano”.
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C. E. I., il Garante ha ordinato alla parrocchia suddetta di apporre l'annotazione richiesta nel registro dei battesimi. Alla luce di questi interventi sorgono alcune domande in merito che coinvolgono non solo la situazione specifica ma anche l'impianto stessa della legge e dei rapporti tra Stato e Chiesa in materia. Quanto appena osservato permette di sottolineare come siano ancora aperte alcune questioni che non sembrano essere state totalmente risolte nemmeno con l'emanazione del Codice in materia di protezione dei dati personali; più in particolare da un lato i riflessi della atipicità della figura del Garante sui provvedimenti a tutela dei diritti dell'individuo, dall'altro l'esistenza e l'idoneità delle garanzie che le confessioni devono predisporre per godere delle semplificazioni normative nel trattamento dei dati relativi agli aderenti. Per ciò che concerne l'atipicità della figura del Garante, si rileva che né la l. 675/96 e né il Codice in materia di protezione dei dati personali sono stati espliciti nell'identificare la sua natura giuridica, la quale è stata collocata dalla dottrina tra le sue autorità amministrative indipendenti198. 198 G. BUTTARELLI, “Banche dati e tutela della riservatezza”, Milano, 1997, p. 489 – 527; A. CONTALDO, “Commento sub articolo 31”, in La tutela dei dati personali. Commentari alla legge n. 675/96, p. 431 – 452; V. PIGNEDOLI, “Privacy e libertà religiosa”, Milano, 2001, p.
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Esso rappresenta il genus a cui si suole ricorrere per individuare soggetti pubblici preposti a tutelare da una posizione di autonomia e imparzialità, settori della vita sociale nei quali vengono in essere e si contrappongono interessi collettivi di diversi natura ma di pari livello costituzionale199. Tali autorità oltre ad essere dotate di ampi poteri amministrativi racchiudono in sé poteri esecutivi, legislativi e giudiziari in deroga al principio di separazione dei poteri200. Tuttavia, se la natura giuridica del Garante per la protezione dei dati personali è stata più o meno identificata201, non può dirsi lo stesso dei provvedimenti che esso può emanare. Tale provvedimenti infatti possono essere qualificati come giurisdizionali, amministrativi o atipici e proiettano i loro effetti sui 67 – 72. 199 A tale genus appartengono anche altre autorità che si sviluppare nel nostro Paese già a partire dagli anni settanta. Ad esempio la Consob ( l. n. 216/74 ), il Garante per la radiodiffusione e l'editoria (l. 220/1990 ). 200 Tale teoria è confermata dalle previsioni del regolamento 1/2000 sull'organizzazione e il funzionamento dell'ufficio del Garante per la protezione dei dati personali consultabile su www.garanteprivacy.it/garante/navig/jsp/index.jsp sezione normativa italiana, regolamenti interni al Garante. 201 Il decreto legislativo 196/2003 sembra confermare la collocazione della figura del Garante tra le autorità amministrative indipendenti, recitando all'art. 144 comma 3: Il Garante coopera con altre autorità amministrative indipendenti nello svolgimento dei rispettivi compiti, e all'art. 155 che richiama le norme della l. 241/90 in tema di responsabilità e autonomia.
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mezzi esperibili dal titolare del bene202. A questo punto è utile soffermarsi sulla particolare situazione delle confessioni religiose rispetto alla disciplina prevista dall’articolo 26203 di cui si è appena detto per meglio comprendere se esse possano godere delle esenzioni previste o se debbano agire sulla base del regime comune.
A tal fine bisogna anzitutto operare una distinzione di massima tra la Chiesa cattolica, che in forza del decreto C.E.I. n. 1285 del 1999 si trova in una particolare posizione e tutte le altre confessioni religiose le quali a tutt’oggi non risulta abbiano ancora elaborato un corpus organico di norme in materia di protezione dei dati dei propri aderenti. Per quanto riguarda le confessioni religiose, viene in rilievo l’articolo 26 del Codice in materia di protezione dei dati personali che ribadisce la necessità per il trattamento dei dati sensibili del consenso dell’interessato, nonché dell’autorizzazione del Garante, e l’articolo
202 G. P. CIRILLO, “Il provvedimento sanzionatorio delle autorità amministrative indipendenti e la decisione contenziosa alternativa del Garante per la protezione dei dati personali, in Il foro amministrativo”, 1, 1998, p. 261 – 287. Per una panoramica in senso civilistico della figura del Garante. 203 Articolo relativo ai dati sensibili. Cit.
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40204 che riafferma la legittimità del sistema delle autorizzazioni generali205, anche se considerate strumento provvisorio e a tempo determinato. In particolare, le confessioni religiose trattano i dati sensibili degli aderenti e dei soggetti,
con riferimento a finalità di natura
esclusivamente religiosa, che hanno contatti regolari con esse; ma sorgono altre questioni non appena si consideri la posizione di tutte le altre confessioni religiose, che abbiano o non abbiano stipulato un’intesa con lo Stato. Anche per esse il Codice prevede l’adozione all’interno dei rispettivi ordinamenti di idonee garanzie, relativamente ai trattamenti effettuati, nel rispetto dei principi indicati al riguardo da apposita autorizzazione del Garante206. In merito a tale autorizzazione occorre chiedersi se, in mancanza di ulteriori specificazioni, si debba intendere come un provvedimento 204 Articolo relativo alle autorizzazioni generali: 1. Le disposizioni del presente codice che prevedono un'autorizzazione del Garante sono applicate anche mediante il rilascio di autorizzazioni relative a determinate categorie di titolari o di trattamenti, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. 205 C. REDAELLI, “Tutela della libertà religiosa e normativa civile sulla privacy”, cit., p. 316318; D. MILANI, “Le autorizzazioni generali al trattamento dei dati sensibili”, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2, 2000, p. 391-402. 206 Autorizzazione generale n. 3 del 2004, relativa al trattamento dei dati sensibili da parte degli organismi di tipo associativo e dalle fondazioni. Consultabile su www.garanteprivacy.it.
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valido per tutte le confessioni e ai cui suoi criteri esse si devono adeguare; o, invece, se debba intendersi come un atto singolo da emanarsi ogni volta che una confessione religiosa comunichi all’Autorità garante l’avvenuta adozione di garanzie di cui bisogna verificare l’idoneità. Sembra doversi propendere, considerando il tenore della normativa del Codice in materia di protezione dei dati personali, per la prima ipotesi. Occorre ribadire che solamente la Chiesa cattolica, ha adottato norme specifiche in merito a tale ambito normativo, quello della privacy, mediante il decreto della C.E.I. Infatti non risulta che nessun altra confessioni abbia agito in merito né in vigenza della l. 675/96 né con l'emanazione del Codice207. 207 Si possono immaginare tre diverse situazioni con diverse conseguenze giuridiche. Nel primo caso si può supporre che le confessioni non abbiano adottato alcuna garanzia specifica in merito al trattamento dei dati dei propri fedeli, come invece richiesto dall’articolo 26 comma 3 lettera a) e continuino volontariamente a non adottarle. Nel secondo che sebbene non si siano dotate di tali norme prima dell’entrata in vigore del Codice, lo facciano nelle more dell’emanazione dell’autorizzazione del Garante che dovrebbe contenere i principi da seguire. Nel terzo che decidano di non adottare un corpo normativo ad hoc regolante nello specifico la materia ritenendo sufficienti le disposizioni già esistenti all’interno dei singoli ordinamenti confessionali. Nel primo caso bisogna concludere che le confessioni religiose, non avendo adottato alcun tipo di garanzia, non potrebbero che trattare i dati relativi agli aderenti nel rispetto di quanto disposto dall’autorizzazione generale n. 3, soggiacendo in questo modo al regime di tutela rafforzata sancito dall’articolo 26, comma 1 in tema di trattamento dei Nel secondo caso la posizione delle confessioni non sarebbe molto diversa da quella in cui attualmente si trova la Chiesa cattolica. Da ultimo si è detto che le confessioni potrebbero considerare non necessaria la predisposizione di un corpo normativo ad hoc, ritenendo sufficiente reperire all’interno dei rispettivi ordinamenti norme idonee a tutelare i diritti dei fedeli. Questa soluzione non sembra tuttavia accoglibile per più di un argomento letterale:
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La C.E.I. sottolinea che la promulgazione di tale decreto si è resa necessaria proprio in considerazione del fatto che all’interno dell’ordinamento giuridico della Chiesa “è opportuno dare una più articolata regolamentazione al diritto della persona alla buona fama e alla riservatezza riconosciuto dal can. 220 del codice di diritto canonico” e di adeguare tali previsioni alle nuove esigenze poste dall’introduzione “nell’ordinamento giuridico italiano di una normativa concernente il trattamento dei dati personali”. Come ultima analisi, vi è da fare una notazione di carattere generale che vale per tutte le confessioni religiose, indipendentemente dalla loro posizione nei confronti del Codice. I due provvedimenti del Garante e del Tribunale di Padova hanno ritenuto le garanzie predisposte dalla Chiesa cattolica idonee rispetto ai diritti di cui godono i titolari del trattamento; affermando che gli organi statali sono gli unici abilitati a giudicare su tale requisito. A prescindere dal momento in cui tali organi concretamente procedono al controllo sull’idoneità delle garanzie, è spontaneo anzitutto, l’articolo 26 comma 3 lettera a) il quale prevede che le confessioni per non andare soggette al regime di tutela rafforzata devono determinare idonee garanzie; secondariamente l’articolo 181, comma 6 secondo cui le confessioni hanno il diritto di continuare l’attività di trattamento solo se abbiano determinato e adottato le garanzie prima dell’entrata in vigore del Codice; infine, l’autorizzazione generale n. 3 del 2004 che riprende espressamente tali norme.
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domandarsi che cosa succederebbe se le garanzie venissero ritenute inidonee. Di fronte ad un’affermazione dello Stato di inidoneità delle garanzie la confessione religiosa potrebbe opporre il riconoscimento dell’autonomia garantita dalla Costituzione. Alla luce di tale situazione sarebbe necessario operare un giudizio tra interessi contrapposti, entrambi tutelati dalla Carta fondamentale, che andrebbe necessariamente operato caso per caso. Questo a meno di non ritenere, come è già stato sottolineato da parte della dottrina208, che ci si trova di fronte ad una nuova materia mista, nella quale confluiscono tanto interessi dell’ordinamento confessionale, quanto dello Stato, che rivendica come tale una regolamentazione bilateralmente concordata, al fine di evitare eventuali possibili contrasti.
208 A.G. CHIZZONITI, “Le certificazioni confessionali nell’ordinamento giuridico italiano”, p. 126-131, il quale aggiunge che il riconoscimento di poteri operato da norme statuali si inserisce nel quadro degli strumenti di attuazione del principio di cooperazione tra Stato e confessioni religiose; sul tema anche A. VITALE, “Corso di diritto ecclesiastico. Ordinamento giuridico e interessi religiosi”, Milano, 1996, p. 124-125.
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4. Matrimonio concordatario e diritto di accesso alla documentazione sanitaria
Un altro caso che tocca la materia della riservatezza sia nell'ambito della Chiesa cattolica che in quello dello Stato, è stato oggetto della sentenza del 28 gennaio 2010, n. 183 sul divieto di accesso alla documentazione sanitaria del coniuge209. La richiesta dell'accesso alla documentazione in oggetto è riferita ai dati clinici della moglie del richiedente ricoverata in una Casa di Cura ed è in funzione della dichiarazione di nullità del matrimonio da parte del Tribunale ecclesiastico. Siccome tra le cause sulle quali si può fondare la nullità del matrimonio ve ne sono alcune che investono la sfera intima della persona sotto il profilo psichico e fisico, le prove a sostegno della nullità possono richiedere l'acquisizione di dati sensibili. I motivi che giustificano una dichiarazione di nullità del matrimonio canonico sono i più vari, ma poggiano su un presupposto comune: il motivo deve sussistere e deve essere dimostrato presente al 209 Sentenza pubblicata su http://www.olir.it/documenti/index.php?documento=5505. Vedi “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, n. 3, dicembre 2010, p. 1009.
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momento della celebrazione del matrimonio. Qualsiasi fatto, anche grave (malattie, infedeltà, ecc.), insorto dopo le nozze, non ha rilievo ai fini di una dichiarazione di nullità210. Nelle cause di nullità rientrano: la mancanza di consenso da parte di uno dei coniugi o di entrambi al matrimonio, compresa la riserva mentale e la simulazione; il fatto che uno dei coniugi escluda una delle finalità essenziali del matrimonio religioso, che sono la procreazione dei figli, la fedeltà, l’indissolubilità del vincolo matrimoniale; l’errore sulla persona del coniuge; la violenza fisica o il timore; l’impotenza al rapporto sessuale dell’uomo o della donna. La capacità naturale e giuridica del soggetto è requisito essenziale per poter contrarre matrimonio211. La capacità naturale è determinata dalle condizioni soggettive dei contraenti; quella giuridica dalla legge e consiste nel possesso dei requisiti prescritti. Considerando quanto esposto fin ora in merito, nel caso della sentenza sopra citata, vi è alla base la richiesta di un coniuge che 210 Si veda D. CRESTANI, articolo pubblicato su “Il giornale di Vicenza”, del 12 marzo 2007. 211 M. F. POMPEDDA, “L'incapacità di intendere e di volere nel diritto matrimoniale canonico ( can. 1095 nn. 1 – 2 )” in Studi Giuridici LII, , Città del Vaticano, 2000, p. 18 – 19.
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voleva ottenere la dichiarazione di nullità212 del matrimonio canonico sul presupposto dell'incapacità psichica della moglie e avendo conoscenza di quanto potesse risultare preziosa la cartella clinica contenente i dati sanitari della moglie, ne richiede una copia in vista appunto dell'annullamento davanti al Tribunale ecclesiastico. Tale certificazione è richiesta in quanto l'incapacità lamentata non è apparsa evidente al momento delle nozze ma è emersa in un momento successivo che ha portato alla serie di trattamenti sanitari necessari. Il ricorrente presentò istanza alla Casa di Cura al fine di ottenere copia di tutte le cartelle cliniche in suo possesso, ma essa ha rigettato l'istanza. L'articolo 60213 del Codice in materia di protezione dei dati 212 Nel codice vigente di diritto canonico, la capacità a contrarre matrimonio è regolata dal can. 1095, che disciplina tre casi: la mancanza di un sufficiente uso di ragione; l'esistenza di un grave difetto di discrezione di giudizio circa i diritti ed i doveri matrimoniali essenziali da dare e accettare reciprocamente; l'incapacità, per cause di natura psichica, di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio. Si può affermare che mentre i difetti della psiche presi in considerazione dal can. 1095 nn. 1 e 2 attengono alla struttura del momento genetico del matrimonio (matrimonium in fieri), la fattispecie prevista dal can. 1095 n. 3 attiene alla dimensione funzionale del consenso che si proietta sullo svolgimento del rapporto matrimoniale (matrimonium in facto esse), e si sostanzia nella incapacità di adempiere agli oneri derivanti dal patto nuziale nonostante tali oneri siano stati rettamente compresi, nonché liberamente e consapevolmente voluti. Vedi E. VITALI, S. BERLINGO', “Il matrimonio canonico”, Milano 2003, pp. 60 – 62. 213 Articolo intitolato: “Dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”, d. lgs. n. 196 del 2003.
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personali del 2003, stabilisce che quando il trattamento concerne i dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango almeno pari al diritto dell'interessato, ovvero consiste in un diritto alla personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile. Il TAR del Veneto ha preso visione della giurisprudenza prodotta dal ricorrente a sostegno della istanza e della giurisprudenza richiamata dalla Casa di Cura per opporre il diniego e ha ritenuto il ricorso infondato, in quanto non ritiene presente nel caso in ispecie la necessità di tutelare un diritto della personalità214 o un altro diritto o libertà personale inviolabile215. In realtà tali aspetti di indagine relativi alla validità del 214 Ricordiamo che i diritti alla personalità tutelano le ragioni fondamentali della vita e dello sviluppo fisico e morale della persona; avendo ad oggetto un modo di essere della persona stessa sono collegati ad essa in maniera inscindibile. Tra i principali tipi di diritti della personalità vi è appunto quello della riservatezza. 215 Garantita dalla Costituzione all'articolo 13: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altre restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”.
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matrimonio contratto tra il ricorrente e la signora possono essere esaminati sulla base dell'istruttoria che potrà essere condotta dal Tribunale Ecclesiastico che dispone di ampie possibilità istruttorie, connesse al principio fondamentale, espresso dal can. 1527216 del codice di diritto canonico, secondo il quale possono essere addotte prove di qualunque genere. Si consideri inoltre che le cartelle cliniche non costituiscono, quanto meno isolatamente considerate, un elemento di per sé probante ai fini dell'accertamento della validità del matrimonio religioso e necessario per la valutazione circa i diritti e doveri del matrimonio e relativa capacità di assumere gli obblighi; in quanto tale valutazione spetta unicamente al Tribunale Ecclesiastico. Solo in seguito a tale eventuale pronuncia potrà essere fondata 216 Can. 1527, § 1. “Possono essere addotte prove di qualsiasi genere che si ritengono utili per istruire la causa e siano lecite. § 2. Se una parte insiste perché venga ammessa una prova rifiutata dal giudice, lo stesso giudice definisca la questione al più presto possibile”. Questo precetto si riferisce all'ammissione dei vari generi di prove. Il codice dice probationes cuiuslibet generis. Sono pertanto compresi: 1) quelle dirette, che rappresentano direttamente l'oggetto o che bisogna provare, come documenti, testimonianze, confessione, pareri dei periti; quelle indirette, se l'oggetto offerto dal giudice è diverso dal fatto che bisogna provare, ma in connessione con esso, alla cui conoscenza si perviene passando da ciò che è conosciuto a ciò che non è conosciuto; 2) quelle storiche e quelle critiche, secondo che abbiano o no funzione rappresentativa; 3) quelle fondamentali e quelle contrarie, secondo il fine che le une o le altre perseguono; 4) quelle personali o quelle reali, secondo il mezzo che fornisce la prova; 5) quelle piene, perfette, complete secondo che siano o no sufficienti per dare al giudice la certezza morale; 6) quelle di parte e quelle di ufficio, secondo coloro che le propongono; 7) quelle semplici e quelle articolate secondo che siano formate da uno o vari mezzi; 8) quelle giudiziali e quelle estragudiziali, secondo che vengano fornite nel processo o fuori di esso. Vedi P. LOMBARDIA, J. I. ARRIETA, “Codice di diritto canonico”, 3, Roma, 1987.
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un'istanza di accesso che invece il ricorrente pretende di esercitare di sua autonoma iniziativa e, per quanto precisato, senza fondamento. In relazione a quanto sopra il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto217. Successivamente sulla questione si esprime il Consiglio di Stato, che decide per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto. L'appello che contesta analiticamente la pronuncia di primo grado viene considerato fondato; il trattamento è consentito in quanto la situazione giuridicamente rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di pari rango ai diritti dell'interessato, ovvero consiste in un diritto o libertà fondamentale e inviolabile218. Tale indirizzo è stato posto a fondamento anche della sentenza del TAR della Campania219. Con la sentenza appellata il Consiglio di Stato accoglie il ricorso 217 Vedi TAR VENETO, 28 gennaio 2010, n. 183, pubblicata in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, n. 3, 2010, cit. p. 1010. 218 Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 14 novembre 2006, n. 6681, Nullità del matrimonio concordatario e diritto di accesso alla documentazione sanitaria del coniuge, in http://www.olir.it/documenti/?documento=4376. 219 Sezione I di Salerno, 10 novembre n. 2448, 2010, pubblicata in: http://www.olir.it/documenti/index.php?documento=4117.
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proposto dall'appellato per l'annullamento dell'istanza di accesso ai dati clinici del coniuge. A parere del TAR della Campania il ricorso era fondato in quanto per promuovere efficacemente l'azione davanti al competente tribunale ecclesiastico sarebbe stata necessaria una enucleazione dei motivi di invalidità nuziale che richiedeva la piena conoscenza della patologia sofferta dalla controinteressata, sicché tra i due valori confliggenti del diritto all'ostensione da una parte e alla riservatezza dall'altra, doveva prevalere il primo220; e nella comparazione degli interessi in gioco prevale quello alla difesa del ricorrente. La pronuncia ha chiarito che il fine della dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale costituisce certamente una situazione giuridica di rango almeno pari alla tutela del diritto alla riservatezza dei dati sensibili relativi alla salute, in quanto involgente un significativo diritto della personalità; e secondo il TAR in una situazione siffatta deve, invero, ritenersi sussistente l'interesse personale che legittima la proposizione della domanda di accesso, senza che sia necessaria alcuna penetrante indagine in merito alla essenzialità o meno della documentazione richiesta, né circa le 220 Come disposto dall'articolo 16, comma 7, della legge n. 15 del 2005.
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prospettive di buon esito del rito processuale concordatario; né per avanzare istanza di accesso deve ritenersi necessaria la previa attivazione del giudizio di annullamento da parte del Tribunale Ecclesiastico, ritenendosi sufficiente a reggere l'istanza anche ciò che viene sancito ai sensi degli artt. 22 e ss. della l. 241/1990221. A norma dell'articolo 8, comma 2, l. 25 marzo 1985, n. 121222 , invero, “le sentenze di nullità del matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, che siano munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo, sono, su domanda delle parti o di una di esse, dichiarate efficaci nella Repubblica Italiana con sentenza della Corte d'appello...”. Pertanto si tratta di decisioni che, in base al solenne riconoscimento
normativo
costituito
dall'articolo
7
della
221 L. 241/1990, Nuove norme in materia di processo amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, art. 22: “1. Al fine di assicurare la trasparenza dell'attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale è riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le modalità stabilite dalla presente legge. 2. E' considerato documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell'attività amministrativa. 3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge le amministrazioni interessate adottano le misure organizzative idonee a garantire l'applicazione della disposizione di cui al comma 1, dandone comunicazione alla Commissione di cui all'art. 27”. 222 L. 25 marzo 1985, “Di ratifica ed esecuzione dell'accordo con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato Lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede”.
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Costituzione223, se pure rese da un potere giudiziario non appartenente allo Stato italiano, non di meno sono destinate ad acquisire nello stesso piena efficacia e forza cogente, in una situazione di pari dignità giuridica con le sentenze di nullità del vincolo matrimoniale civile. Con la conseguenza che l'intento di adire la via giurisdizionale concordataria per la declaratoria di nullità del vincolo coniugale va assimilato all'intento di adire il giudice nazionale per il conseguimento del divorzio. In sostanza, l'intento di verificare la validità del proprio matrimonio concordatario con persona afflitta da non lievi disturbi psichici affrontati in una struttura sanitaria, conferisce al coniuge che, intenda adire a tale scopo i tribunali ecclesiastici, il diritto di conoscere e di ottenere in copia le cartelle cliniche sulla infermità in questione, quale che possa essere la valenza probatoria di tali cartelle e senza che possa rilevare se l'esibizione di queste ultime debba avvenire a corredo iniziale del libello224 o in corso di causa. 223 L’art. 7 recita: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.“ 224 L'atto con cui viene chiesto l'intervento del giudice per pronunziarsi circa la nullità di un matrimonio o atto introduttivo della causa, è definito dal codice petizione; di regola questa petizione deve essere rivestita della forma scritta e prende quindi nome di libello. ( can. 1501 – can. 1503 ). Il contenuto del libello è precisato dal can. 1504: “La domanda, con la quale si introduce la causa, deve: 1. specificare dinanzi a quale giudice la causa viene introdotta, che cosa si chiede e da chi; 2. indicare su quale diritto e, almeno in modo generale, su quali fatti e
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E' illegittimo, infatti, il diniego avverso un'istanza presentata da un coniuge finalizzata a ottenere il rilascio di copia dell'integrale documentazione sanitaria afferente la diagnosi e il trattamento terapeutico predisposto nei confronti dell'altro coniuge, nel caso in cui tale istanza sia stata proposta ai fini della proposizione di un' azione di nullità del matrimonio di fronte a un competente Tribunale Ecclesiastico; pertanto, in accoglimento della domanda proposta dall'appellante, la struttura sanitaria intimata dovrà fornire la documentazione richiesta. Il TAR, a parere della parte soccombente, avrebbe operato una sorta di virtualizzazione del processo canonico pervenendo alla conclusione che il ricorrente per poter riuscire nella sua vittoria davanti al tribunale ecclesiastico, non avrebbe potuto fare altrimenti che acquisire quanto richiesto all'amministrazione sanitaria; ne deduce inoltre l'erroneità nella parte in cui l'accesso si considera supportato
prove l'attore si basa per dimostrare ciò che si afferma; 3. essere firmata dall'attore o dal suo procuratore, aggiungendovi il giorno, il mese e l'anno, ed anche il luogo dove l'attore o il suo procuratore abitano o abbiano scelto la residenza per ricevere gli atti; 4. indicare il domicilio o il quasidomicilio del convenuto. La presentazione del libello è di per sé sufficiente ad attivare il ministero del giudice. Questi però, prima di ammettere il libello, ovvero di accettare la causa, è tenuto, ogni qualvolta ne ravvisi la probabilità di successo, di adoperare tutti i mezzi pastorali possibili per giungere ad una convalida del matrimonio o ad una riconciliazione fra le parti ( can. 1446, § 2 e can. 1676 ). Vedi E. VITALI, S. BERLINGO', “Il matrimonio canonico”, Milano, 2003, cit.
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dal disposto della l. n. 241 del 1990 all'art. 24225, come novellato dall'art. 16 della legge n. 15 del 2005 e artt. 19 comma 3, 60 del d. lgs. n. 196 del 2003226. Il 27 luglio 2007, n. 3015, è il TAR della Puglia, Lecce227, a 225 Articolo 24 (1), (Esclusione dal diritto di accesso): 1. Il diritto di accesso è escluso: a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo; b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; c) nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione; d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relativi a terzi. 2. Le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso ai sensi del comma 1. 3. Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni. 4. L'accesso ai documenti amministrativi non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento. 5. I documenti contenenti informazioni connesse agli interessi di cui al comma 1 sono considerati segreti solo nell'ambito e nei limiti di tale connessione. A tale fine le pubbliche amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l'eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all'accesso. 6. Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi: a) quando, al di fuori delle ipotesi disciplinate dall'articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale, all'esercizio della sovranità nazionale e alla continuità e alla correttezza delle relazioni internazionali, con particolare riferimento alle ipotesi previste dai trattati e dalle relative leggi di attuazione; b) quando l'accesso possa arrecare pregiudizio ai processi di formazione, di determinazione e di attuazione della politica monetaria e valutaria; c) quando i documenti riguardino le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell'ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all'attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini; d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono; e) quando i documenti riguardino l'attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi all'espletamento del relativo mandato. 7. Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall'articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale". (1)
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doversi pronunciare sulla medesima richiesta di copia delle cartelle cliniche del coniuge e per il medesimo scopo, cioè ottenere l'annullamento del vincolo matrimoniale, avverso la Casa di cura, la quale rifiutò l'ostensione della cartella suddetta adducendo l'esistenza del segreto professionale, nonché ragioni di tutela della privacy228. La pronuncia è stata, come nelle precedenti disposizioni esaminate, favorevole per l'ottenimento della copia della cartella clinica a favore del ricorrente, il quale anche in tale caso ne ha fatto richiesta in vista dell'annullamento del vincolo matrimoniale. L'azione di nullità del matrimonio, che viene definita dalla dottrina come lo ius accusandi matrimoniium, spetta in linea di principio ai coniugi, e in casi particolari al promotore di giustizia. Per quanto concerne i coniugi, diversamente da quanto affermato nel codice del 1917, il Codice vigente ha riconosciuto loro stabilito Articolo così modificato dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15. 226 Articolo intitolato “Principi applicabili al trattamento di dati diversi da quelli sensibili e giudiziari”. 227 Pubblicata in: http://www.olir.it/documenti/?documento=4376. 228 Disposto all'articolo 622 c. p., intitolato “Rivelazione di segreti professionali”, laddove esprimendo che chi “avendo notizia, per ragione del proprio stato od ufficio o della propria professione od arte, di un segreto lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto (…) se dal fatto può derivare nocumento è punito...”, identifica il diritto della persona al c. d. segreto professionale. Per un approfondimento si veda A. SCALISI, “Il diritto alla riservatezza”, cit., pag. 166 e ss.
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con ampiezza e senza limitazioni il diritto di chiedere all’autorità competente l'accertamento della possibile nullità del loro matrimonio, senza nessun limite per quanto riguarda la colpa o il dolo nella causa della nullità. Prima del 1983 il coniuge a cui si imputava la nullità non aveva la legittimazione ad impugnare il proprio matrimonio. La dichiarazione di nullità di un matrimonio religioso o concordatario si ottiene attraverso una procedura che si svolge dinanzi ai Tribunali ecclesiastici competenti; questo procedimento è composto da varie fasi quali, l'introduzione della causa; la fase istruttoria e la fase decisoria. Il sistema processuale canonico attribuisce efficacia ad ogni tipo di prova, secondo due criteri: uno soggettivo, secondo il libero convincimento del giudice basato sulla valutazione discrezionale; uno oggettivo o formale stabilito dalle regole previste nell'ambito della prova legale. In questo senso, il can. 1608 §3 contiene tale restrizione alla libera valutazione : “il giudice deve poi valutare le prove secondo la sua coscienza, ferme restando le disposizioni della legge su l'efficacia
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di talune prove229”. L'interessato ha richiesto la copia delle cartelle cliniche del coniuge, considerandole fondamentali in vista della dichiarazione di nullità.
229 M. A. ORTIZ, in Studi giuridici LII, “L'incapacità di intendere e di volere nel diritto matrimoniale canonico ( can. 1095 nn. 1 – 2 )”, cit., p. 337; cfr. A. STANKIEWICZ, “Le caratteristiche del sistema probatorio canonico”, Città del Vaticano 1994, p. 590 – 592.
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5. Critiche e osservazioni in merito alla decisione del Consiglio di Stato del 28 settembre 2010, n. 7166
La questione esaminata, ha sollevato qualche dubbio in merito all'attribuzione di competenza e indipendenza dello Stato e della Chiesa. La decisione presa in merito rientra nella categorie delle decisioni per così dire di confine, ossia relativa ad ambiti di ricerca che il diritto ecclesiastico condivide con altre discipline per identità oggettiva di sostrato materiale230. Secondo alcuni, si ritiene che il Consiglio di Stato con l'accoglimento dell'istanza del coniuge sulla richiesta dei dati sanitari della moglie in merito allo scioglimento del vincolo coniugale, abbia parificato il Tribunale Ecclesiastico ad un Tribunale Civile: “Si è fatto braccio secolare dei giudici canonici consegnando loro i dati sanitari che la donna non voleva rivelare alla Chiesa”. I giudici hanno ignorato quella fondamentale differenza tra ordine giudiziario, religioso e civile che la Corte Costituzionale ha 230 Si veda Nota di rinvio, di Emma Graziella Saraceni, in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica”, n. 3, dicembre 2010, p. 1011.
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dichiarato nel 1982 e su cui due anni dopo Italia e Santa Sede hanno basato il nuovo Concordato231: “Che siano i giudici della Chiesa o quelli dello Stato ad entrare nella privacy non fa differenza, uno vale l'altro” ha affermato il Consiglio di Stato, “e non rileva il carattere non nazionale e neppure statuale dei tribunali ecclesiastici232”. Meritano autonoma attenzione, a tal proposito, gli interventi della Corte Costituzionali sul sistema matrimoniale concordatario; infatti le Sue pronunce hanno progressivamente intaccato il sistema del Concordato del 1929233, in particolar modo sulla parte in cui prevedeva
forme
di
recepimento
immediato,
all'interno
dell'ordinamento dello Stato, di atti e di decisioni provenienti dalle autorità ecclesiastiche emanati sulla base del diritto canonico. La linea lungo la quale la Corte si è mossa era già stata tracciata, diversi anni prima, dalla dottrina più lungimirante, che affermava di non concepire “perché mai l'avere lo Stato riconosciuto in massima il valore civile del matrimonio canonico avrebbe importatola rinuncia
231 Accordo di revisione del Concordato lateranense, 1984. 232 Articolo pubblicato nel “Il corriere della sera”, 2010, di M. VENTURA. 233 Legge 27 maggio 1929, n. 810: “Esecuzione del Trattato, dei quattro allegati annessi, e del Concordato, sottoscritti in Roma, tra la Santa Sede e l’Italia, l’11 febbraio 1929”.
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dello Stato al proprio concetto di buon costume e di ordine pubblico234”. La giurisprudenza della Corte Costituzionale si è indirizzata appunto
verso
la
riaffermazione
delle
barriere
inderogabili
rappresentate dall'ordine pubblico anche rispetto a quei varchi nella propria sovranità che lo Stato si è imposto accettando il Concordato235. Il primo intervento è stato del 1971, con l'affermazione dell'illegittimità dell'art. 16 della l. n. 874 del 1929, nella parte in cui non prevedeva l'impugnazione della trascrizione del matrimonio canonico contratto da un soggetto in stato di incapacità naturale . Il sistema del Concordato prevedeva infatti la giurisdizione esclusiva dei tribunali ecclesiastici sul matrimonio e la giurisdizione dello Stato sulla trascrizione del matrimonio stesso. L'articolo 16236 ammetteva l'impugnazione della trascrizione qualora essa fosse avvenuta in violazione dei divieti di cui all'art. 12 della stessa legge, il quale precludeva la trascrizione soltanto 234 A. C. JEMOLO, “Il matrimonio canonico”, Bologna, 1993, p. 263. 235 F. ANELLI, “Il matrimonio, lezioni”, Milano, 1998, p. 90. 236 “La trascrizione del matrimonio può essere impugnata per una delle cause menzionate nell'art. 12 della presente legge. A tali impugnazioni si applicano le disposizioni degli artt. 104, 112, 113 e 114 del codice civile. Ora, artt. 117, 119, 124 e 125 c.c. Vigente. Con sentenza 24 febbraio-1° marzo 1971, n. 32, la Corte costituzionale ne ha dichiarato la parziale illegittimità”.
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nell'ipotesi di mancanza di uno stato libero o interdizione di uno degli sposi. Il passaggio argomentativo fondamentale è stato rappresentato dall'enucleazione, quale autonomo negozio giuridico, dell'atto di scelta tra i due possibili negozi matrimoniali. Infatti la scelta di celebrazione del matrimonio civile o religioso comporta l'applicazione di regimi giuridici differenti. Altri interventi sono stati effettuati dalla Corte Costituzionale in merito alla materia in oggetto237, in particolare si osserva l'altro fronte delle attività della Corte che concerne le disposizioni relative all'efficacia delle sentenze dei tribunali ecclesiastici: la riserva di giurisdizione esclusiva a favore di questi ultimi venne ritenuta in sé legittima238, tuttavia furono le concrete disposizioni concernenti presupposti e modalità dell'attribuzione di efficacia civile alle sentenze ecclesiastiche a risultare censurabili. La via fu aperta dalla Corte di cassazione che affermò la necessità che la Corte d'appello verificasse la compatibilità della 237 F. ANELLI, cit. Parla a proposito della sent. n. 16 del 2 gennaio 1982, con la quale la Corte ha compiuto un nuovo intervento additivo, dichiarando l'illegittimità dell'art. 12 della l. n. 874 del 1929 nella parte in cui non precludeva la trascrizione del matrimonio canonico contratto da minore non autorizzato. 238 Corte cost., 11 dicembre 1973, n. 175, in Foro it., 1974, I, c. 12.
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sentenza con l'ordine pubblico239. L'articolo 34, comma 4, del Concordato del 1929 240, prevedeva una riserva a favore dei giudici ecclesiastici di ogni controversia concernente la validità del matrimonio. Il riconoscimento di effetti civili alle sentenze ecclesiastiche era ed è coerente con il principio di fondo del sistema concordatario , secondo il quale il matrimonio davanti al ministro del culto cattolico non è un matrimonio civile celebrato secondo forme particolari ma un matrimonio canonico, regolato dal diritto della Chiesa e produttivo anche di effetti civili. La Corte Costituzionale ha inciso in proposito, sopratutto con la
239 Cass. 29 novembre 1977, n. 5188, in Giur. it., 1978, I, 1, c. 1699. 240 Art. 34: “Lo Stato italiano, volendo ridonare all'istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili. Le pubblicazioni del matrimonio come sopra saranno effettuate, oltre che nella chiesa parrocchiale, anche nella casa comunale. Subito dopo la celebrazione il parroco spiegherà ai coniugi gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti ed i doveri dei coniugi e redigerà l'atto di matrimonio, dei quale entro cinque giorni trasmetterà copia integrale al comune, affinché venga trascritto nei registri dello stato civile. Le cause concernenti la nullità del matrimonio [e la dispensa dal matrimonio rato e non consumato] sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici. [I provvedimenti e] le sentenze relative, quando siano divenute definitive, saranno portate al Supremo Tribunale della Segnatura, il quale controllerà se siano state rispettate le norme dei diritto canonico relative alla competenza del giudice, alla citazione ed alla legittima rappresentanza o contumacia delle parti. [I provvedimenti e] le sentenze relative, quando siano divenute definitive coi relativi decreti del Supremo Tribunale della Segnatura saranno trasmessi alla Corte di appello dello Stato competente per territorio, la quale, con ordinanze emesse in camera di consiglio, li renderà esecutivi agli effetti civili ed ordinerà che siano annotati nei registri dello stato civile a margine dell'atto di matrimonio. Quanto alle cause di separazione personale, la Santa Sede consente che siano giudicate dall'autorità giudiziaria civile “.
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sentenza del 1982 n. 18, la quale oltre ad incidere in modo significativo sul sistema allora vigente, aveva anche ribadito la sussistenza e la legittimità costituzionale della riserva di giurisdizione a favore dei Tribunali ecclesiastici, che erano competenti in via esclusiva a giudicare sulla validità del vincolo. Ritornando al caso in esame, se per alcuni si è trattato di una mancanza di rispetto delle competenze nei rispettivi ambiti, civile e religioso, altri al contrario non ritengono avvenuta tale mancanza. Secondo alcuni infatti il Consiglio di Stato, con l'intimidazione a favorire l'esibizione dei dati sanitari, al contrario non si è fatto braccio secolare dei giudici canonici ma ha solo sancito il diritto di un marito, cittadino italiano, a chiedere per sua necessità dichiarata un documento civile sulla salute della moglie. Pertanto l'uso di quel documento civile, ottenuto grazie ad una sentenza civile, è affare personale del cittadino richiedente, che di sua iniziativa se vorrà lo darà ai giudici canonici. Il matrimonio dei due soggetti in questione era religioso e civile, come concordatario, quindi afferente ad ambedue gli ordini. Nessuna parificazione e nessuna ignoranza della differenza
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fondamentale tra i due ordini giudiziari è stata fatta241. Dubbi possono nascere in merito allo scopo della richiesta. Cioè se essa è rivolta in previsione dell'intento di chiedere la nullità al Tribunale Ecclesiastico o in seguito alla effettiva richiesta di nullità; è in tale ambito che si scontra la violazione della privacy per uso diverso da quello richiesto in seguito all'ottenimento dei documenti o del rispetto dello scopo vero e proprio per il quale si fa richiesta della conoscenza dei dati.
241 Risposta di A. PONTENANI, all'articolo di M. VENTURA pubblicato ne “Il corriere della sera”, 2010.
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Conclusioni
La privacy è intesa, comunemente, come il diritto alla riservatezza delle informazioni che riguardano la propria persona e la propria vita privata, impedendo che altri possano divulgarle, senza il proprio consenso. In tale concetto in senso ampio rientrano, pertanto, sia le informazioni attinenti al proprio stato, come per esempio quelle che permettono l’identificazione diretta dell’interessato (dati anagrafici) ovvero risultino idonee a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere e lo stato di salute della persona, sia anche quelle che riguardano la sua attività sociale e di relazione con gli altri soggetti, così detta “vita privata”. La tutela di detta riservatezza è oggi affidata ad un complesso di norme legislative e di codici deontologici, alla cui violazione segue l’applicazione (da parte degli organi a tale scopo preposti) delle sanzioni specificamente ivi previste. A sua volta il fenomeno religioso è spesso oggetto di attenzioni, più o meno direttamente, dell'attività del Garante per la privacy. 159
In particolare, si segnala l'incidenza delle Autorizzazioni Generali: n.1, n.2, n.3 e n.5 del 2009, che disciplinano rispettivamente il trattamento dei dati sensibili nel rivelare le proprie convinzioni religiose, quello dei dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, l'uso dei dati sensibili da parte di organismi di tipo associativo e fondazioni, ovvero, infine, l'uso medesimo ad opera di diverse categorie di titolari242. Mediante questi atti il Garante, nell'autorizzare al trattamento dei dati indicati, stabilisce le consuete condizioni di legittimitĂ che, nella specie, riguardano (seguendo l'ordine dei provvedimenti sopra menzionati) i dati idonei a rivelare le convinzioni religiose243, i dati personali relativi alla salute ed alla vita sessuale che vengono trattati da enti, associazioni e organizzazioni religiose riconosciuti244, nonchĂŠ da persone fisiche e giuridiche, enti, associazioni e altri organismi privati per scopo di ricerca scientifica o statistica, volontariato o assistenziali245, i dati sensibili trattati da associazioni anche non 242 Tutte le autorizzazioni richiamate sono pubblicate in G.U. n. 13 del 18 gennaio 2010 fino al 30 giugno 2011, salvo modifiche apportate dalle stessa Autority in seguito agli eventuali interventi di rilevanti novitĂ normative, come dalle stesse autorizzazioni appare precisato. 243 Art. 4 lett. a, Aut. Gen. n. 1/2009. 244 Art. 1. 2 lett. d, Aut. Gen. n. 2/2009. 245 Al medesimo articolo su cit., 1.2 lettere a, b e c.
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riconosciute,
organizzazioni
assistenziali,
nonchĂŠ
Confessioni
religiose246, infine i dati idonei a rivelare convinzioni religiose247, o l'origine razziale ed etnica248. Il richiamo alle Confessioni religiose e agli enti ad esse facenti capo conferma la disciplina contenuta negli articoli 26, comma 3 e 181, comma 6 del Codice della privacy e cioè l'onere per le Confessioni religiose di prevedere idonee garanzie per il trattamento dei dati sensibili secondo quanto disposto nelle relative autorizzazioni generali richiamate; oppure il diritto di continuare il trattamento dei dati stessi per le Confessioni religiose già provviste, all'entrata in vigore del Codice, di una adeguata normativa interna di tutela.
246 Art. 1, lettere a, b, c, nonchĂŠ art. 1 cpv., Aut. Gen. n. 3/2009. 247 Art. 2, lett. a, capo IV, Aut. Gen. n. 5/2009. 248 Art. 2 cit., primo comma.
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