A.D. MDLXII
U N I VE RS I T À D IPARTIMENTO
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D E G LI S TU DI D I S AS S A RI S CIENZE U MANISTICHE E S OCIALI ___________________________
CORSO DI LAUREA IN SERVIZIO SOCIALE AD INDIRIZZO EUROPEO
L’ESCLUSIONE SOCIALE E LAVORATIVA DELLE PERSONE DI ETÀ SUPERIORE AI 40 ANNI
Relatrice: PROF.SSA MARIA VITTORIA CASU
Tesi di Laurea di: MARZIA I RRANCA
ANNO ACCADEMICO 2011/2012
Indice
Introduzione…………………………………………………………………….....1
Capitolo 1. Inclusione/esclusione sociale: il dibattito attuale……………...…...7 1.1) Evoluzione del concetto…………...……………………………….…………7 1.2) Alla ricerca di una definizione………………………...…………….………10 1.3) Esclusione sociale e povertà…………………………...……………………13 1.4) Il significato di esclusione sociale secondo Robert Castel…….……………15 1.5) Esclusione sociale generale e specifica………………………………….…18 1.6) I fattori di rischio sociali e ambientali……………………….…...…….…..19
Capitolo 2. Inclusione sociale: paradigmi, legislazione e iniziative……………21 2.1) I due paradigmi dell'inclusione sociale: l’azione dello Stato e l’azione del Mercato ………………………………….………………………………….21 2.2) Il paradigma francese di inclusione sociale……………………...………21 2.3) Il Welfare State……………………………………………..………………23 2.4) Il modello liberale di inclusione sociale…………………..…….…………26 2.5) Il modello prevalente in Europa…………………..………………………..28 2.6) La precarietà della situazione attuale………………………………………29 2.7) Inclusione sociale: riferimenti legislativi……………………….………..…31 2.8) La Commissione di Indagine sull'Esclusione sociale- CIES……………….34 2.9) 2010: Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale……..36
Capitolo 3. La disoccupazione in età matura………………………………...…39 3.1) Sintesi storica del problema……………………………………………...…39 3.2) Alcuni dati sul problema…………………………………………………...42 3.3) Oltre la disoccupazione……………………………………………..………45 3.4) La discriminazione lavorativa…………………………………...………….49 3.5) La disoccupazione di lunga durata…………………………………………50 3.6) Famiglie e ruoli familiari………………………………………………..….53 •
La disoccupazione dei padri…………………………………………...…55
•
La disoccupazione delle madri…………………………………………...55
3.7) La componente emozionale………………...……………..…………………57
Capitolo 4. L’esclusione socio-lavorativa delle persone over40 in Sardegna e nella Provincia di Nuoro…………………………………………………………60 4.1) La situazione attuale………………………………………………….……..60 4.2) La disoccupazione over40 in Sardegna…………………………….……….62 4.3) La Provincia di Nuoro……………………………….…………………...…64 4.4) Il Marghine…………………………...………………………………..……66
Capitolo 5. Le risposte istituzionali al problema dell’esclusione socio- lavorativa delle persone over40 e le soluzioni possibili ………………………….…………70 5.1) Gli ammortizzatori sociali………………………………………..…………71 •
L’indennità di disoccupazione……………………………………………71
•
L’indennità di mobilità…………………….…………………….….……73
•
I lavori socialmente utili…………………………………………..……...74
5.2) Il ruolo della formazione………………………………………………..…..77 5.3) Alcune proposte di interventi legislativi……………………………………79 • Azioni per una riorganizzazione del mercato del lavoro……………..…79 • Norme a sostegno dell’accesso al lavoro………………………….……..80 • Diritti previdenziali…………………………………………………...….81 • Misure universali di sostegno al reddito……………………………....…81
Conclusioni……………………………………………..……………………..…83 Bibliografia e sitografia...………………………...……………………….……..86
Introduzione.
Lo scopo che con questa tesi ci si prefigge è quello di analizzare il fenomeno dell’esclusione socio-lavorativa delle persone di età superiore ai 40 anni. La scelta è ricaduta su questo argomento essenzialmente perché quando oggi si parla o si discute di disoccupazione ed esclusione lavorativa, si tende spesso ad identificare questo fenomeno con la difficoltà dei giovani di trovare un’occupazione una volta terminati gli studi. Spesso si trovano immersi in un vortice caratterizzato dall’ estrema precarietà lavorativa e inoccupazione di lunga durata che allontana sempre più il momento in cui si riesce a trovare l’indipendenza dal nucleo familiare di origine. Tuttavia, in questo lavoro, senza sottovalutare o sminuire la portata della grave problematica sociale della disoccupazione giovanile, si intende osservare un altro aspetto dell’inoccupazione/disoccupazione: la perdita del lavoro da parte di persone adulte. Problema, questo, che ha raggiunto dimensioni estremamente importanti a livello nazionale e regionale. La domanda che ci si è posti è: cosa accade quando a perdere improvvisamente il lavoro è un padre o una madre sulle cui sorti si regge l’equilibrio di tutta la famiglia? Ci sembra che non ci sia un’adeguata attenzione a questo problema, sottovalutato sia dalle Istituzioni che dall’opinione pubblica. La disoccupazione adulta è un fenomeno altrettanto drammatico che come quella giovanile, negli ultimi anni, in conseguenza di diversi fattori di rischio ha colpito i settori produttivi e determinato la crisi dell’occupazione.
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Fra questi fattori si indicano: la congiuntura economica negativa, la flessibilizzazione del mercato del lavoro, le recenti riforme previdenziali, le politiche di svecchiamento degli organici da parte delle aziende che hanno colpito un sempre screscente numero di persone. Infatti, i dati raccolti dall’Associazione per la Tutela dei Diritti Acquisiti dei Lavoratori over 40 (ATDAL over 40), confermano che nell’anno 2012
il problema coinvolge circa 1,5 milioni di
persone. La ricollocazione nel mercato del lavoro è sicuramente uno dei fattori che caratterizza maggiormente la problematicità di questo fenomeno. Il problema diventa drammatico, infatti, quando investe quei lavoratori non specializzati per i quali l’età della pensione è più vicina. Il momento della pensione si allontana e si profila un lungo periodo di grandi difficoltà
personali determinate
dall’impoverimento sia economico sia di relazioni sociali. Con questa
tesi, ci si è proposti di osservare questo problema da diverse
prospettive, cercando di capire, anche con l’ausilio dei dati statistici, quanto la disoccupazione adulta incide sul tasso di occupazione, quali sono le differenze a livello territoriale (tra Nord e Sud Italia). In particolare, si è voluto approfondire se il fenomeno colpisce ugualmente uomini e donne e quale è l’ incidenza nei territori della Sardegna, in particolare nella Provincia di Nuoro e in modo specifico nell’ area del Marghine. La scelta di
osservare
la regione storica del Marghine
è determinata
dall’interesse ad approfondire meglio questo problema nella comunità nella quale vivo e sono cresciuta.
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La prima parte della tesi, i primi due capitoli, sono dedicati all’ analisi teorica del binomio inclusione/esclusione sociale. Si è cercato di approfondire l’evoluzione del concetto cercandone una definizione e comparando più visioni del fenomeno. In particolare ci si è soffermati sulla concettualizzazione del sociologo Robert Castel, oltre ad illustrare le differenti manifestazioni che lo caratterizzano. Il termine esclusione sociale non ha la stessa rilevanza e la stessa storia in tutte le tradizioni intellettuali e linguistiche europee, anche se è divenuto di uso comune in tutte a partire dalla fine degli anni novanta del secolo scorso. La diffusione di questo termine è stata decisiva per il ruolo importante assunto dall'Unione Europea, che nei suoi programmi, raccomandazioni e analisi, ha progressivamente ed esplicitamente sostituito quello di povertà con quello di esclusione sociale, rendendolo un concetto di circolazione e utilizzo comune. Un altro aspetto approfondito nella tesi riguarda l’analisi dei due paradigmi dell’inclusione sociale, il primo è quello francese, caratterizzato dall’azione dello Stato, avente come protagonista il Welfare State, il secondo è quello liberale, caratterizzato dall’azione del mercato. La seconda parte della tesi è dedicata
all’analisi dell’argomento oggetto
dell’approfondimento ovvero l’esclusione socio-lavorativa in Italia delle persone di età superiore ai 40 anni. Si è osservato il problema sotto diversi profili; storico, a partire dalla metà dagli anni ’90, quando iniziarono a comparire le prime manifestazioni di esclusione dei lavoratori adulti dal ciclo produttivo. Lo young in, old out (giovani dentro, vecchi fuori), suggerisce alle imprese lo svecchiamento degli organici per far posto a
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giovani più pronti ad accettare in modo acritico rapidi mutamenti di strategia aziendale. L’obiettivo di questa strategia aziendale avrebbe almeno teoricamente, permesso di affrontare in modo più competitivo le nuove sfide della concorrenza. Secondo l’associazione ATDAL over401, (Associazione Nazionale per la Tutela dei Diritti dei Lavoratori over40), come già detto nella premessa, il numero dei disoccupati over40 attualmente si aggira intorno all’1,5 milioni di persone, le rilevazioni Istat osservando la distribuzione del fenomeno all’interno del territorio nazionale mostrano la preoccupante situazione delle regioni del Mezzogiorno dove il tasso di disoccupazione over40 è intorno all’11,5%. I tassi del Mezzogiorno d’Italia sono circa il doppio rispetto alle regioni del Centro- Nord, si tratta del dato più alto degli ultimi otto anni. La Regione Sardegna, è, purtroppo, investita gravemente dal problema dell’esclusione socio-lavorativa delle persone adulte, a causa della profonda crisi che coinvolge tutti i settori dell’economia isolana, in particolare il comparto industriale. I dati forniti dalla Regione Autonoma della Sardegna mostrano come i disoccupati over40 iscritti ai Centri per l’impiego siano circa 235mila, un numero decisamente consistente considerando quello della popolazione sarda! Un altro aspetto da non sottovalutare riguarda il fenomeno dei cosiddetti esodati, definizione utilizzata dai media per quei lavoratori over 50 che hanno usufruito di accordi di mobilità firmati in aziende ormai chiuse oppure attive ma con organici ridotti, dove i lavoratori più adulti hanno lasciato spazio ai giovani evitandone il
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Associazione per la Tutela dei Diritti Acquisiti dei Lavoratori over40.
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licenziamento. Questi lavoratori ormai senza lavoro, senza reddito, senza pensione, si trovano in una sorta di limbo, in attesa di sapere quando arriverà il momento della pensione che, a causa delle nuove riforme continua a essere rimandato. Quali sono le risposte istituzionali a questo fenomeno?
In questa tesi viene
osservato il sistema delle risposte istituzionali al problema e in particolare ci si sofferma sul sistema di “ammortizzatori sociali”, ossia sul complesso ed articolato sistema di tutela del reddito per quei lavoratori che sono in procinto di perdere o hanno perso il posto di lavoro. Inoltre, si osserva sul ruolo fondamentale nella ricollocazione professionale delle persone di età superiore ai 40 anni
dato dalla formazione. Puntare sulla
formazione è essenziale poiché durante il periodo di disoccupazione si può cercare di arricchire la propria professionalità e le proprie competenze soprattutto relative alle nuove tecnologie e alle conoscenze linguistiche. Infine, l’ultima parte del lavoro è dedicata all’esposizione di una serie di proposte operative messe in campo dalla già citata associazione ATDAL over 40, che è riuscita a definire delle linee giuda per il futuro, già presentate alle Istituzioni interessate. Tali linee guida
propongono una serie di riforme per la
riorganizzazione del mercato del lavoro, la possibilità di accesso al lavoro e ai diritti previdenziali, oltre all’introduzione di misure universali di sostegno al reddito. Uno degli aspetti del problema che non può non essere oggetto d’interesse e di studio, in particolare per le scienze sociali e il Servizio Sociale, riguarda la
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componente emozionale relativa alla perdita del lavoro in età adulta. Per le persone adulte, infatti, spesso l’identità di sé è strettamente legata al ruolo professionale, motivo per cui la condizione di disoccupato per gli over40 può essere psicologicamente più pesante che per i giovani. Infatti, nella tesi si è osservato come problemi derivanti da domande di lavoro respinte, mancanza di strutture con cui confrontarsi quotidianamente, possono provocare un senso costante di apatia che soffoca qualsiasi entusiasmo necessario ad affrontare questa situazione. Il problema, cioè, viene visto nella sua quotidianità con l’obiettivo di poter individuare possibili strumenti in grado di essere autenticamente promozionali di inclusione sociale.
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Capitolo 1: Inclusione/esclusione sociale: il dibattito attuale.
1.1) Evoluzione del concetto. Negli ultimi decenni le nostre società hanno assistito a profondi cambiamenti, tra i più significativi possiamo ricordare: la fine della contrapposizione ideologica tra est e ovest; la rapida mobilità dei capitali a livello mondiale; la precarizzazione del lavoro e la riduzione delle diseguaglianze di reddito dovute anche allo sviluppo di rendite finanziarie; il massiccio afflusso di immigrati nelle economie più sviluppate. Tutte queste grandi trasformazioni sembrano connettersi ad alcuni fenomeni che sono tipici dei nostri giorni, come ad esempio: il ritiro dei cittadini dalla vita pubblica, il senso di insicurezza o il desiderio di ritornare a forme di appartenenza pre-moderne incentrate dall'identificazione con dimensioni locali e ascrittive.2 E' nella modernità che l'inclusione sociale diventa un problema diffuso, una questione che riguarda tutti, non soltanto quelli che non possono esercitare alcuni diritti di cittadinanza (come gli immigrati), ma anche coloro che, pur avendo tale status, si trovano ora esposti alla povertà, alla precarietà lavorativa e alla riduzione degli interventi di welfare.3 Ai nostri giorni, sono anche coloro che appartengono alle classi medie a percepire che i vari sottosistemi sociali si dimostrano sempre più autoreferenziali, e che la possibilità di esercitare un effettivo controllo sulle vicende della propria vita appaiono sempre più precarie. Oggi, la cittadinanza, il lavoro retribuito e una rete 2 3
Sergio Cecchi, Modernità e inclusione sociale, CEDAM, Padova, 2007, pag. XV. Ivi , pag. XVI.
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significativa di legami interpersonali non si dimostrano più in grado di garantire a priori uno stabile ancoraggio all'ambiente sociale.4 I fenomeni dell'inclusione e dell'esclusione sociale vengono studiati secondo una molteplicità di approcci; all'interno del dibattito sulla povertà e sugli altri svantaggi di tipo fisico, psicologico e sociale, il paradigma dell'inclusione sociale ha avuto in Francia già agli inizi degli anni '70 del secolo scorso una sua affermazione. Successivamente, negli anni '90, questo paradigma trova una favorevole accoglienza sia in ambito europeo, sostituendo la semantica dell'integrazione e della marginalità sociale, sia in Gran Bretagna e negli USA, affiancandosi al concetto di underclass,5 riferito a coloro che vivono in una situazione di difficoltà. Essere marginali significa sia ritrovarsi ai confini dei processi produttivi che vivere in un luogo connotato per la povertà di risorse e di relazioni; riguarda dunque tutte quelle persone che non si trovano al “centro” di una rete di relazioni, di scambi e di sostegno.6 Il termine underclass, di matrice anglosassone, nasce nell'ambito di una società che sembra concepire la propria parte marginale più come la risultante dell'interazione di fattori individuali e familiari che si trasmettono lungo le generazioni, piuttosto che di cause strutturali e relazionali.7 4
Sergio Cecchi, op.cit., pag XVI. Ivi, pag 1. 6 Ivi., pag. 2 7 Ibidem . Appartenere alla underclass significa avere una cattiva occupazione ed un basso reddito, 5
ma anche avere scarso spirito di iniziativa, essere alla ricerca continua di assistenza ed avere una generale tendenza verso il comportamento illegale. In questa visione, le politiche sociali sono colpevoli di alimentare le tendenze amorali di quella parte della popolazione che preferisce
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La differenza sostanziale tra i due concetti è la seguente: mentre la concezione di marginalità si avvicina molto ad una versione strutturale e conflittuale delle disuguaglianze sociali, nella quale assume peso rilevante la dinamica tra i centrali e i periferici, nella semantica della underclass prevale una concezione individualistica e moralistica, la quale responsabilizza la persona rispetto alla posizione occupata dalla società. Rispetto a queste due visioni, i concetti di inclusione ed esclusione sociale sono riusciti a coniugare la versione strutturale della povertà e della marginalità con quella legata alle caratteristiche dell'azione individuale.8 Francesco Villa, propone invece, una differenziazione tra i concetti di marginalità ed emarginazione, definendo la prima come la situazione di chi occupa una posizione collocantesi nei punti più estremi e lontani vuoi d'un singolo sistema sociale, vuoi di più sistemi nella stessa società, prescindendo dalla intenzionalità o meno del soggetto. L'emarginazione si configura invece come una esclusione oggettiva dai centri di potere di un sistema sociale e della distribuzione dei beni che questo produce, in assenza di una volontà di autoestraneazione del soggetto.9 Secondo questa interpretazione, la categoria della marginalità implicherebbe già forme di esclusione coatta, ma potrebbe far riferimento anche a situazioni scelte intenzionalmente, per sottrarsi alle regole della società o per contestarne i valori dominanti.10
l'assistenza economica ad un duro impegno quotidiano nel mondo del lavoro. 8
Sergio Cecchi, op. cit., pag.2. Francesco Villa, Dimensioni del servizio sociale, Vita e Pensiero, Milano,1992, pag 45. 10 Ivi, pag. 45. 9
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1.2) Alla ricerca di una definizione. Il termine esclusione sociale non ha la stessa rilevanza e la stessa storia in tutte le tradizioni intellettuali e linguistiche europee, anche se è divenuto di uso comune in tutte, a partire dalla fine degli anni novanta. Nella diffusione di questo termine ha avuto un ruolo importante l'Unione Europea, che nei suoi programmi, raccomandazioni e analisi, ha progressivamente ed esplicitamente sostituito questo termine a quello di “povertà”, facendone un termine di circolazione comune. Il termine povertà venne percepito come troppo statico e unidimensionale, poiché riferito alla sola mancanza di reddito. Si sentiva la necessità di aprire lo spazio a politiche non solo redistributive o erogative, ampliando la definizione ad una realtà che segnasse la multidimensionalità dell'esperienza di svantaggio derivante dal mancato accesso alle risorse fondamentali.11 Con il termine esclusione sociale si definisce l’impossibilità, l’incapacità o la discriminazione di un individuo nella partecipazione a determinate attività sociali e personali. L’esclusione sociale descrive una condizione di forte deprivazione, determinata dalla somma di più situazioni di disagio. La deprivazione è riconducibile sia alla mancanza di risorse economiche adeguate che ad un accesso limitato ad ambiti sociali come l’educazione, l’assistenza sanitaria, il lavoro, l’alloggio, la tecnologia, la vita politica ecc.12 Socialmente esclusi, quindi, sono quegli individui la cui capacità di partecipare
11
Chiara Saraceno, Voce Esclusione sociale, in Dizionario di Servizio Sociale (a cura) Maria Dal Pra Ponticelli, Carocci Faber, Roma, pag 218. 12 Unimondo- Rivista online, Scheda Esclusione sociale, www.unimondo.org/Guide/Diritti Umani/Esclusione-sociale. Visualizzato il 10/10/2012 alle ore 11.30.
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pienamente alla vita sociale è fortemente compromessa. Nelle società contemporanee le categorie maggiormente vulnerabili sono: le persone senza fissa dimora, i disabili, i detenuti o ex detenuti, le persone con dipendenza da sostanze, gli anziani, gli immigrati, i rom, le famiglie numerose o monoparentali, i minori. In tutti i gruppi le donne vivono una situazione di disagio più forte degli uomini. Violenza, stigma sociale, povertà espongono le donne e le ragazze ad un rischio costante di emarginazione.13 Il termine esclusione sociale, consente di tenere insieme due interpretazioni della realtà che si riferiscono ad approcci e preoccupazioni diverse: da un lato quello interessato ai diritti sociali e al mantenimento di una uguaglianza sostanziale nell'accesso a questi ultimi, dall'altro, la preoccupazione per i fenomeni di disintegrazione sociale, derivanti dal venir meno dei tradizionali meccanismi di integrazione sociale.14 Nella prima prospettiva, il termine esclusione sociale si riferisce al mancato accesso ai diritti giuridici, politici, economici e civili fondamentali. Nella seconda, viceversa, si guarda ai processi che favoriscono, impediscono o indeboliscono fortemente l'appartenenza a reti sociali e a sistemi di identificazione significativi. In questo caso, l'esclusione sociale si verifica quando non si riescono a realizzare forme di appartenenza e legami sociali significativi.15 I due livelli di analisi appena descritti possono definirsi
potenzialmente
complementari, ma tuttavia, possono coesistere senza integrarsi e persino
13
Ibidem, Unimondo. Org., Scheda Esclusione sociale. Chiara Saraceno, Voce Esclusione sociale, in Dizionario di Servizio Sociale (a cura) Maria Dal Pra Ponticelli, Carocci Faber, Roma, pag 219. 15 Ibidem . 14
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competere. La preoccupazione per l'integrazione sociale e per lo sviluppo di reti significative, ad esempio, può coesistere con una scarsa attenzione per i diritti individuali.16 Viceversa, il possesso di diritti formali può
non produrre
automaticamente inclusione sociale.17 Il termine esclusione richiama, dunque, la questione dei diritti e delle competenze di cittadinanza e, insieme, quella del radicamento in appartenenze a reti sociali significative.18 Molte politiche di contrasto alla povertà avviate in questi anni in diversi paesi europei hanno messo in luce l'idea che la povertà non sia solo una condizione di mancanza di risorse economiche e che possa comportare processi di esclusione sociale che vanno contrastai in quanto tali.19 Secondo l'economista indiano Amartya Sen, l'inclusione sociale rappresenta “quella condizione nella quale i membri partecipano significativamente e attivamente, godendo di eguaglianza, condividendo esperienze sociali e perseguendo un fondamentale benessere”.20 Sullo stesso filone di Sen, Mitchell e Shilling mettono in evidenza come l'importanza che viene oggi attribuita al lavoro retribuito quale fattore principale di partecipazione sociale sia un prodotto, inaccettabile, degli stessi ordinamenti economici e sociali che sono stati edificati anche attraverso il supporto di politiche 16
E' il caso, ad esempio, di molte donne che non possono presentarsi sul mercato del lavoro per acquisire non solo un reddito, ma anche diritti sociali individuali, come la pensione, a causa dei loro obblighi familiari. 17 Gli immigrati che, pur avendo un lavoro regolare e un reddito, spesso fanno fatica a trovare un appartamento in affitto sperimentando forme più o meno esplicite di esclusione nella comunità in cui vivono. 18 Chiara Saraceno, op. cit. pag. 220. 19 Ibidem. 20 Cfr. Sergio Cecchi, Modernità e inclusione sociale,CEDAM, Padova, 2007, pag 5.
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che sono state modellate in tal senso. Insistere molto sul ruolo produttivo quale principale fattore di inclusione sociale, significa costruire un modello di cittadino irraggiungibile per coloro che non svolgono un lavoro retribuito (casalinghe, pensionati, invalidi, disoccupati ecc.) o che presentano una bassa capacità produttiva.21 Ciò che appare indispensabile, secondo Mitchell e Shillington , sono politiche che promuovano le capacità delle persone di agire come cittadini con eguali libertà di condurre una vita che ha ragione di essere valorizzata a prescindere dalla loro posizione nel mercato del lavoro.22 Rispetto a queste definizioni di inclusione sociale emergono due componenti che, seppure tra loro connesse, presentano ciascuna una loro specificità: da una parte, abbiamo la sottolineatura della necessità di potenziare la qualità delle relazioni sociali tra la persona ed il proprio contesto sociale e, dall'altra, l'affermazione che l'inclusione sociale non può essere perseguita senza l'effettivo esercizio dei diritti di cittadinanza. Emerge la necessità di garantire la compresenza dei diritti, in particolar modo quelli sociali, e il perseguimento di una soddisfacente rete di rapporti interpersonali.23
1.3) Esclusione sociale e povertà. I due concetti di povertà ed esclusione sociale sono strettamente connessi, ragion per cui, talvolta, vengono utilizzati come sinonimi; essi descrivono condizioni caratterizzate da un rapporto di causa ed effetto: l'esclusione sociale fa riferimento ad una situazione più estesa e complessa di cui la povertà costituisce una delle 21
Cfr. . Sergio Cecchi, op.cit. pag. 6. Ibidem. 23 Ibidem. 22
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dimensioni.24 Il fenomeno dell'esclusione sociale viene descritto come un processo di impoverimento25, dovuto all'interazione e alla somma di più fattori di rischio; la povertà rappresenta lo stadio finale di tale processo. L’esclusione rimanda al concetto di discriminazione e comprende problematiche molto diverse fra loro, ma strettamente correlate, come la marginalità, la precarietà economica, la deprivazione culturale, la solitudine, la carenza di legami familiari e sociali. Per definire queste situazioni di forte disagio, tipiche delle società moderne e in particolare dei contesti urbani, si parla oggi di “nuove povertà”. Con questa espressione non si fa riferimento semplicemente ad una deprivazione di tipo economico, oggettivamente quantificabile, ma soprattutto ad un senso di insicurezza sociale, di vulnerabilità, di mancanza di relazioni, di precarietà lavorativa e di inadeguatezza rispetto ad un sistema dominato dalla competitività e dalla produttività.26 All'interno di questo contesto, caratterizzato da una forte indeterminatezza, nessuno è del tutto esente dal pericolo di precipitare in una situazione di deprivazione nelle diverse fasi della vita.
24
Scheda Esclusione sociale ,in www.unimondo.org/Guide/Diritti Umani/Esclusione-sociale Si tratta di impoverimento non solo economico, ma che tocca anche l'aspetto sociale e relazionale. 26 Ibidem, Unimondo. Org., Scheda Esclusione sociale. 25
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1.4) Il significato di esclusione secondo Robert Castel. Il sociologo francese, Robert Castel, presenta una visione e un’interpretazione critica dei significati attribuiti all'esclusione sociale. Secondo l'autore, “l’esclusione si è imposta da poco tempo come una parola chiave per identificare tutte le varietà della miseria nel mondo”;
27
, il termine
esclusione sociale, a causa della vastità delle sue possibili applicazioni, andrebbe utilizzato con più accortezza, poiché
potrebbe indicare una moltitudine di
situazioni diverse, cancellando la specificità di ciascuna. Castel espone sue semplici esempi di situazioni che possono entrambe rientrare nel concetto di esclusione sociale. Il primo è l'esempio del disoccupato di lunga durata; questo ex operaio ha perduto il lavoro ed è rifluito nella sfera domestica. Egli rimane a casa a guardare la televisione, di cui peraltro è diventato un fine conoscitore. Ma non è del tutto indigente: conduce una vita tranquilla, possiede un appartamento piuttosto confortevole, gode della presenza costante di una compagna. Allo stesso tempo egli vive con vergogna la sua condizione: le serrande dell’abitazione sono abbassate ed egli non osa uscire di casa. 28 La seconda situazione che Castel ci presenta è quella di un gruppo di giovani che vivono in periferia vagabondando continuamente. L'autore utilizza il termine glander, ossia ciondolare, impegnarsi a non far nulla, spostarsi senza raggiungere nessuno scopo.29
27
Robert Castel, Le insidie dell'esclusione, in Assistenza Sociale n. 3-4, luglio-dicembre 2003, pag. 193. 28 Ivi, pag. 194. 29 Ivi, pag. 195.
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A differenza dell'uomo del primo esempio però, questo gruppo di giovani non è isolato dal mondo, essi hanno una serie di “incontri effimeri e contatti sporadici” con l'ambiente circostante. Tuttavia l’attivismo di questi giovani non conduce a nulla. Il loro percorso si risolve in una sorta di nomadismo immobile, appunto glander. Cosa hanno queste due situazioni in comune? Il primo è inseguito dalla depressione e forse dal suicidio, il secondo dalla delinquenza, dalla tossicodipendenza e forse dall’Aids. Essi non hanno la stessa traiettoria, né lo stesso vissuto, né lo stesso rapporto col mondo, né lo stesso avvenire, ma nonostante questo vengono entrambi inseriti all'interno della categoria degli esclusi.30 Secondo l'autore si tende a classificare il fenomeno dandogli un nome ma senza dire in che cosa consiste, né da dove esso proviene. 31 In realtà non si nasce esclusi e non si è sempre stati esclusi, a meno che non si tratti di figure molto particolari. Questa definizione però, non tiene conto delle caratteristiche più specifiche dell’esclusione contemporanea, ossia quella che si è cominciata a chiamare nuova povertà. Di fatto, nella maggior parte dei casi l’esclusione individua attualmente situazioni che manifestano una degradazione in rapporto a una posizione anteriore di inclusione. Si tratta quindi di situazioni di vulnerabilità data, ad esempio, dalla precarietà dell'occupazione o dalla continua flessibilità dei contratti di lavoro. Spesso coloro che oggi si trovano in bilico
30
Castel auspica un uso più rigoroso di tale termine, non di abolirlo del tutto, ma di cercare di capire a quali condizioni è da ritenere legittimo. 31 Robert Castel, cit., pag. 196
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potevano sembrare perfettamente integrati grazie a un lavoro sicuro e a una buona qualifica professionale. Secondo Castel è opportuno distinguere delle zone della vita sociale differenti, a seconda della sicurezza lavorativa ed economica, oltre che ad una sicura appartenenza alle reti di sociabilità.32 Secondo Castel, dividendo per categorie e isolando secondo i problemi segmenti di popolazione, si forniscono gli strumenti per una presa in carico specifica e accuratamente mirata, tralasciando interventi più ambiziosi, ma anche più costosi, e per i quali non si dispone di tecniche professionali adeguate. Sono nuove categorie che soffrono oggi di un deficit di integrazione, ad esempio i disoccupati di lunga durata o i giovani poco scolarizzati in cerca di occupazione. Per concludere, la visione generalizzata dell'esclusione porta a disconoscere il vero profilo di queste nuove categorie e la sua ovvia diversità da quello dei destinatari classici dell’azione sociale (disabilità, squilibrio psichico, dipendenze ecc.). Vent’anni fa le persone che oggi sollecitano un’attenzione particolare si sarebbero integrate da sole nel sistema del lavoro e avrebbero condotto un’esistenza ordinaria.
Queste nuove categorie di esclusi vengono definite da Castel
soprannumerari, non richiedono un intervento specializzato per riparare o curare un’incapacità personale, ma il loro dramma nasce dal fatto che le nuove esigenze della competitività e della concorrenza, nonché la riduzione delle opportunità di 32
Per escluso Castel intende, dunque, colui chi occupa la “zona “ più periferica, caratterizzata dalla perdita del rapporto con il lavoro e dall’isolamento sociale. Allo stesso tempo, però, è impossibile tracciare delle linee nette tra queste “zone”, perché ad esempio soggetti integrati ora sono vulnerabili a causa della precarizzazione lavorativa, mentre i vulnerabili entrano a far parte della categoria degli “esclusi”.
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impiego fanno sì che nella società in cui siamo rassegnati a vivere ormai non vi sia più posto per queste categorie di persone.
1.5) Esclusione sociale generale e specifica. All’interno dei significati di esclusione sociale, è importante evidenziare la distinzione tra esclusione sociale generale e specifica. Si definisce esclusione sociale generale o di impoverimento il processo che viene messo a fuoco con il passaggio dalla mera presenza/assenza dei fattori di rischio sociale e ambientale alla trattazione dell’intensità con cui essi si manifestano in un determinato territorio. Attraverso l’intensità, infatti, si ottiene un’indicazione circa la probabilità, maggiore o minore, con cui si possono presentare fenomeni di sovrapposizione tra i differenti fattori di rischio, in un territorio o su una popolazione data. 33 Ed è proprio l’esistenza di ampie forme di sovrapposizione, o cumulazione, dei singoli fattori di rischio che attiva un processo tendente a spingere gli individui che vi sono esposti verso una condizione di povertà. 34 L’esclusione sociale può colpire tutte le fasce della popolazione non ancora povere ma a rischio di impoverimento, con particolare riferimento ai soggetti con redditi più bassi, dai disoccupati ai lavoratori che percepiscono bassi salari fino al limite inferiore della classe media. Il concetto di esclusione sociale specifica si riferisce al processo di esclusione 33
Giancarlo Quaranta, Gabriele Quinti , Esclusione sociale e povertà , CERFE, Roma, 2005, pag. 155. 34 Ivi, pag 155.
18
sociale con riguardo all’intensità con cui determinati fattori di rischio colpiscono specifiche categorie di soggetti deboli (anziani, giovani, persone disabili, tossicodipendenti, malati cronici, donne) i quali, per la loro stessa condizione, tendono a subirne maggiormente gli effetti. 35
1.6) I fattori di rischio sociali e ambientali. L'identificazione dei fattori di rischio sociale e ambientale di un determinato territorio è uno dei primi compiti da affrontare quando si analizza il problema dell'esclusione sociale. Con il termine fattore di rischio si intende un determinato pericolo noto, dunque misurabile, che entro certi limiti può essere controllato attraverso un regime (regime di rischio), ossia un insieme di investimenti, norme, misure, azioni e soggetti orientati a incrementare il controllo di quel determinato pericolo. 36 La presenza o l’assenza dei fattori di rischio sociale e ambientale in un territorio può offrire un primo livello di conoscenza sulla vulnerabilità con la quale tutti i soggetti, a prescindere dalle loro condizioni socio-economiche, si devono confrontare. I fattori di rischio sono molteplici e variano, in una certa misura, da un contesto socio-economico all'altro. Essi possono essere identificati in base a un approccio territoriale, dove per territorio si intende l'insieme dell'ambiente naturale, dell'ambiente antropico e dei rischi connessi; i fattori di rischio possono variare 35 36
Giancarlo Quaranta, Gabriele Quinti, op. cit. pag.156. Ivi, pag. 151.
19
per numero, in base alle necessità e alle realtà territoriali in cui devono essere utilizzati.37 Alcuni esempi di fattori di rischio sono: -
la scarsa qualità dell'habitat;
-
la scarsa qualità degli strumenti di prevenzione e di promozione della salute;
-
lo scarso accesso all'occupazione:
-
l'inadeguata promozione e difesa delle risorse umane locali, con riguardo all'istruzione primaria, secondaria e universitaria, alla formazione professionale, ecc.;
-
la presenza di condizioni di insicurezza sul territorio, come criminalità, ecc.;
-
la scarsa qualità della pubblica amministrazione;
-
il disordine istituzionale (conflitti e/o presenza di forme di discriminazione politica, etnica o religiosa; limitato godimento dei diritti politici elementari; ecc.);
37 38
-
i bassi livelli di sicurezza sociale;
-
l’abbandono sociale (mancato inserimento in reti sociali, fattori legati
-
all'età anziana, ecc.). 38
Giancarlo Quaranta, Gabriele Quinti, op. cit., pag. 152. Ibidem.
20
Capitolo 2: Inclusione sociale: paradigmi, legislazione e iniziative.
2.1) I due paradigmi dell'inclusione sociale: l’azione dello Stato e l’azione del Mercato. Il confronto tra i due paradigmi dell'inclusione sociale, ossia quello centrato sull'azione dello Stato (paradigma francese) e quello centrato sull'azione del mercato e della comunità (paradigma liberale), ci permette di porre in evidenza le dinamiche e le caratteristiche degli attuali modelli dell'inclusione sociale. Nel corso degli anni, accanto al tradizionale paradigma d'inclusione sociale centrato su un forte intervento dello stato in campo assistenziale, previdenziale e sanitario, ha guadagnato terreno il paradigma liberale, riguardante strategie d'intervento focalizzate sulle risorse informali, sull'attivazione della comunità.39
2.2) Il paradigma francese di inclusione sociale. Il primo paradigma di inclusione sociale nasce in Francia all'inizio degli anni '70 e vede l'esclusione sociale come quel processo caratterizzato dalla rottura dei legami sociali e simbolici che dovrebbero ancorare gli individui alla società, dove la società si identifica nelle istituzioni statali.40 Essere esclusi significa non poter partecipare ad un progetto comune , ad una stessa storia, e ciò avviene quando non si condivide la stessa lingua, gli stessi usi e costumi e lo stesso mondo di
39 40
Sergio Cecchi, Modernità e inclusione sociale, CEDAM, Padova, 2007, pag. 6. Ivi, pag. 8.
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significati che rappresentano il substrato della solidarietà repubblicana”41. Secondo questo modello, una specifica attenzione viene riservata alle questioni della disuguaglianza dei redditi e alla conseguente azione pubblica di redistribuzione. Lo Stato si assume il compito di favorire l'inclusione delle fasce più deboli della popolazione attraverso il riconoscimento del diritto del cittadino di poter contare su un sistema di misure economiche per eliminare l'esclusione sociale, nell'ambito di un processo finalizzato a perseguire gli obiettivi di integrazione, coesione e solidarietà.42 In Europa questo modello di inclusione sociale ha rappresentato un forte riferimento per l'edificazione dei sistemi di Welfare e alla successiva nascita del Welfare State, il quale sembrava potesse rispondere efficacemente ai bisogni di sicurezza e di appartenenza.43 L'inclusione sociale secondo il modello francese, anche se riconosce certamente la necessità della presenza di un sistema di relazioni significative tra la persona e l'ambienta sociale, sostiene che esse devono trovare una sintesi nell'ambito di una comunità democratica nazionale, identificata nella figura dello Stato. La cittadinanza, un formale status giuridico, è il riconoscimento da parte della stessa autorità statale dell'avvenuta inclusione. Sono i diritti sociali la garanzia principale per partecipare effettivamente alla vita sociale e politica, mentre le soggettività comunitarie sono poste in secondo piano rispetto alle istituzioni pubbliche.44
41
Sergio Cecchi, op. cit., pag. 8 Ivi, pag. 9. 43 Ibidem. 44 Ibidem. 42
22
2.3) Il Welfare State. Come abbiamo potuto notare, il paradigma francese dell'inclusione sociale ha rappresentato un forte riferimento per l'edificazione dei sistemi di Welfare. Il termine Welfare State viene tradotto in italiano sia come stato del benessere sia come stato assistenziale; talvolta viene identificato anche con stato sociale, anche se è opportuno a questo proposito fare una distinzione.45 L'idea di fondo dello Stato sociale è quella di un'integrale compenetrazione fra Stato e società, nel senso che, per un verso, l'articolazione statale deve riflettere per quanto possibile le diverse posizioni presenti nella società e, per un altro, ogni gruppo o parte sociale di un certo rilievo, e in particolar modo quelli meno abbienti, devono partecipare alla redistribuzione dei benefici operata dallo Stato. Lo Stato sociale è dunque per sua natura democratico in quanto nessun gruppo o parte sociale può essere escluso dalla rappresentanza politica o essere privato della chance di influire al pari degli altri sulle decisioni pubbliche.46 Per Welfare State intendiamo invece uno Stato in cui si usa deliberatamente il potere organizzato in uno sforzo per modificare il gioco delle forze di mercato in almeno tre direzioni: • garantendo alle famiglie un reddito minimo indipendentemente dal valore di mercato del loro lavoro; • restringendo l'arco dell'insicurezza, mettendo individui e famiglie in condizione di far fronte a certe contingenze sociali (malattia, vecchiaia, disoccupazione) che condurrebbero altrimenti a crisi individuali e 45 46
Francesco Villa, Dimensioni del servizio sociale, Vita e pensiero, Milano, 1992, pag. 129. Ivi, pag. 130.
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familiari; • assicurando che a tutti i cittadini, senza distinzione di status o classe, vengano offerti gli standard più alti in relazione ad una gamma riconosciuta di servizi sociali.47 Il Welfare State comprende dunque politiche volte a garantire sicurezza sociale, istruzione e abitazione. L'assistenza è rivolta a particolari fasce di cittadini (anziani, disabili, disoccupati ecc.) e fornisce una serie di prestazioni economiche e servizi riguardanti: previdenza sociale, assistenza, sanità, scuola e casa, i quali costituiscono il nucleo centrale del sistema di Welfare.48 Secondo gli studi di Richard Titmuss esistono più modelli di Welfare State, i quali possono essere così sintetizzati: •
Modello residuale, nel quale lo Stato interviene ex post là dove i servizi
messi in atto dal mercato o dalle reti naturali di solidarietà non sono stati in grado di far fronte ai bisogni.49 Lo Stato agisce secondo una logica di tipo riparativo, nel caso di fallimento delle iniziative private. L'intervento dello Stato risulta dunque residuale e momentaneo rispetto all'intervento dei privati.50 •
Modello meritocratico-funzionale, secondo il quale ciascuno deve essere
in grado di soddisfare i propri bisogni attraverso il proprio impegno e lavoro. Lo Stato interviene solo di correttivo se l'azione del mercato diventa disfunzionale e quindi incapace di rispondere adeguatamente ai bisogni. In questo modello, il
47
Maria Dal Pra Ponticelli, Lineamenti di servizio sociale, Astrolabio, Roma, 1987, pag. 10. Ivi, pag. 11. 49 Ibidem. 50 Francesco Villa, op. cit, pag. 134. 48
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peso del mercato è prevalente rispetto all'intervento dello Stato.51 •
Modello istituzionale-redistributivo, in cui lo Stato si impegna in prima
persona all'istituzione di servizi di tipo universalistico sulla base del puro bisogno. Questo modello parte dal presupposto che il mercato non riesca a far fronte ai bisogni, e non solo delle classi più svantaggiate, per cui è necessario un massiccio intervento dello Stato. I servizi sociale assumono dunque un valore fondamentale.52 Sul finire degli anni '70 e in modo sempre più marcato nei primi anni '80, si fa vivo il dibattito, sempre più marcato sulla crisi del Welfare State e in un certo modo anche della società nel suo complesso che manifesta un malessere sempre più diffuso. La crisi del Welfare State presenta vari aspetti, da quello economico-fiscale con un aumento della spesa sociale e la conseguente maggiore imposizione fiscale che sfocia in molti paesi in una crisi di legittimazione dello stato sociale e quindi nel manifestarsi di movimenti anti-tasse e anti-welfare. Un altro aspetto da prendere in considerazione è la crescente presa di coscienza dello scarso funzionamento dei servizi, della loro burocratizzazione con conseguente ricorso al mercato e al privato sociale e quindi alla creazione di maggiori squilibri tra coloro che possono e coloro che non possono far fronte da soli ai propri bisogni. Esiste anche un aspetto socio-culturale della crisi imputabile al crearsi di una spirale perversa tra bisogni e risposte ai bisogni; si sono venuti manifestando nuovi bisogni, le pretese e le aspettative nei confronti dei servizi sociali sono 51 52
Maria Dal Pra Ponticelli, op. cit, pag.13. Ibidem.
25
aumentate mentre al contempo si sono rivelate nuove povertà, fasce deprivate e marginali più evidenti. Alla luce di tale crisi le reazioni sono molteplici; da alcune parti si inizia a parlare di crisi strutturale o congiunturale cercando di cogliere gli elementi di incompatibilità del sistema di Welfare e avanzando proposte per il suo smantellamento, mentre il maggior numero di voci si leva in difesa delle conquiste raggiunte dal Welfare State e si chiede una sua revisione, un riaggiustamento del suo impianto per superare gli squilibri più evidenti.53
2.4)Il modello liberale di inclusione sociale. Con l'affermazione del concetto di inclusione sociale si passa dai tradizionali studi sulla povertà, promossi soprattutto dalla scuola anglosassone, per focalizzarsi maggiormente su questioni relazionali, come l'inadeguata partecipazione sociale, la mancanza di integrazione e di potere.54 Si inizia così ad interessarsi non solo delle diseguaglianze economiche, ma dell'insieme variegato di fattori che contribuiscono ad allentare il rapporto tra la persona ed il suo ambiente sociale. Con l'inclusione sociale si passa a considerare più dimensioni di vita, talune difficilmente traducibili in indicatori. Ciò ha significato progressivamente mettere in secondo piano le questioni della redistribuzione dei redditi nelle società capitalistiche a favore di un marcato interesse verso un generale potenziamento delle capacità di azione dei cittadini, viste come le componenti chiave grazie alle 53 54
Maria Dal Pra Ponticelli, op. cit. pag.13 Sergio Cecchi, op. cit. pag.16.
26
quali garantire un'efficace inserimento nella vita sociale.55 Nell'ambito del modello liberale, si è passati così da un paradigma incentrato su questioni di giustizia sociale, nel quale l'analisi e l'intervento sulle differenze di reddito è il punto centrale per aggredire efficacemente la struttura di disuguaglianza sociale, ad un paradigma focalizzato maggiormente nel perseguire la coesione sociale, ossia una società nella quale vanno rafforzati i diritti collettivi e
le
obbligazioni
determinate
dall'appartenenza
alle
comunità
e
alle
organizzazioni.56 Se nel modello francese era la cittadinanza sociale ad essere rivestita del ruolo di riequilibratore delle diseguaglianze prodotte dal libero mercato, nel paradigma liberale l'inclusione sociale è invece delegata al mercato del lavoro, il quale ritorna ad assumere un significato etico. Le politiche sociali hanno un ruolo residuale, essendo dirette a sostenere le fasce di popolazione più fragili e con meno capacità lavorative.57 Si passa così, da un sistema di tutele poggianti sull'istituto della cittadinanza (il Welfare), ad una configurazione che vincola il soddisfacimento dei bisogni essenziali alla partecipazione al mercato del lavoro (il Workfare).58
55
Sergio Cecchi, op. cit. pag.17. Ibidem. In questo caso, lo sforzo consiste nell'aumentare la disponibilità dell'individuo a prendere parte, in modo armonico, alla vita sociale anche grazie ad adeguati percorsi educativi e formativi, la creazione di opportunità per un accesso rapido al mondo del lavoro, l'offerta di servizi per le famiglie monogenitoriali ecc. 57 Ivi. pag 18. 58 Ibidem. 56
27
2.5) Il modello prevalente in Europa. Per comprendere qual è il modello di inclusione sociale dominante in Europa, è utile analizzare l'analisi proposta dalla sociologa britannica Ruth Levitas, secondo la quale il perseguimento della coesione e della giustizia sociale sia la linea di confine per valutare gli orientamenti delle politiche di inclusione sociale.59 L'autrice ha proposto tre distinti approcci, definiti i discorsi del SID, del MUD, e del RED. Il discorso del SID (social integrationist discourse), dominante sia in Gran Bretagna che in quasi tutta l'Unione Europea, è focalizzato primariamente sulla partecipazione al lavoro retribuito quale strumento di inclusione sociale. Viene inoltre enfatizzato il potenziamento delle capacità inclusive delle organizzazioni sociali intermedie (famiglia, vicinato, scuola, privato sociale ecc).60 l discorso del MUD (moral "underclass" discourse) è quello caratteristico soprattutto degli USA, dove la parte più debole della società, coloro che sono permanentemente in carico ai servizi di Welfare, vengono descritti con concetti quali underclass e dependency culture, per sottolineare una loro diversità culturale rispetto al main-stream (corrente principale) dominante nella società.61 Infine, il discorso del RED (redistributive, egalitarian discourse) ha al proprio centro le nozioni di cittadinanza e di diritti sociali. All'interno di questo approccio possiamo trovare i sistemi di Welfare universalistici, dove domina un concetto di inclusione sociale governato per via sistemica, attraverso gli apparati dello
59
Sergio Cecchi, op. cit. pag. 20. Ivi. pag. 21. 61 Ibidem. 60
28
Stato.62 Secondo l'autrice, ciascuno dei tre discorsi fornisce una lettura dell'inclusione sociale. Per il SID gli esclusi sono quelli al di fuori del mercato del lavoro, per il MUD sono coloro con caratteristiche morali differenti dalla maggioranza della società, per il RED sono i poveri.
2.6) La precarietà della situazione attuale. Anche se all'interno dei due principali paradigmi, quello francese dello Stato nazionale e quello anglosassone liberale, in realtà le situazioni sono molto variegate. Da un punto di vista generale la differenza principale tra essi consiste nel diverso peso assunto dalle due forme di inclusione, quella sistemica e quella per via sociale. Nella prima è lo Stato che si assume il compito di garantire le condizioni ed i mezzi per i processi di inclusione, mentre, nella seconda forma è soprattutto il mercato che svolge la funzione di erogatore delle risorse, mentre il compito delle istituzioni pubbliche è quello di stimolare la solidarietà informale a prendersi cura della popolazione più svantaggiata.63 La società moderna si trova in crescente difficoltà nel garantire l'inclusione per via sistemica, crisi del Welfare State, mentre si fanno sempre più numerose le voci che teorizzano la necessità economica e sociale di liberare lo Stato dagli obblighi connessi ai diritti sociali, affidandoli sia al mercato che al privato sociale. Non sono soltanto gli alti costi delle prestazioni sociali richieste, ma è anche una 62 63
Sergio Cecchi, op. cit. pag. 21 Ivi, pag. 28.
29
considerazione moralmente negativa della logica solidaristica istituzionale.64 Questa situazione ha portato alla rottura dell'equilibrio dato dallo stretto rapporto tra il sistema economico (che forniva il reddito ai cittadini e le risorse per il Welfare), il sottosistema politico (che distribuiva tali risorse e mediava i conflitti sociali), il sottosistema comunitario (che garantiva l'integrazione per via sociale) e il sottosistema culturale (che garantiva la fedeltà delle nuove generazioni alle norme sociali attraverso le famiglie e la scuola).65 Secondo Bauman, questo senso di precarietà è da ricondurre alla caduta delle sicurezze della modernità: la flessibilità lavorativa e lo smantellamento dei sistemi di Welfare. Il termine flessibilità, legato alle attività lavorative, è ormai entrato a far parte della nostra quotidianità. Esso viene evocato ricorrentemente, senza grandi distinguo e precisazioni ulteriori, sia che ci si riferisca all'esigenza di superare il modello tradizionale standard della forma lavoro, di ricorrere a contratti di lavoro atipici o si richiami all'indispensabile pre-requisito della polifunzionalità che deve essere in grado di esercitare il lavoratore.66
64
Tali critiche trovano terreno fertile soprattutto in tempi, come quelli odierni, nei quali la crescita economica è contenuta e le scarse risorse del Welfare devono essere distribuite tra un alto numero di richiedenti. 65 Sergio Cecchi, op. cit. pag . 29. 66 Vando Borghi, Roberto Rizza, L'organizzazione sociale del lavoro, Bruno Mondadori, Milano, 2006, pag. 2.
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2.7) Inclusione sociale: riferimenti legislativi. Il significato legale di esclusione sociale è definito in Italia dalla legge n. 328, dell’8 novembre 2000, “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, che vede l'esclusione sociale come povertà unita ad emarginazione. La l.328/2000 è il riferimento legislativo in materia di assistenza, ed ha lo scopo di promuovere interventi sociali, assistenziali e sociosanitari che garantiscano un aiuto concreto alle persone e alle famiglie in difficoltà oltre che cercare di prevenire, ridurre ed eliminare il disagio personale e familiare, le disabilità e garantire il diritto alle prestazioni. In materia di inclusione sociale la legge ha inoltre istituito la Commissione di Indagine sull'Esclusione sociale (CIES) con sede presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Le funzioni della Commissione sono descritte dall'art. 27 comma 2 della legge, il quale afferma che: “la Commissione ha il compito di effettuare, anche in collegamento con analoghe iniziative nell'ambito dell'Unione europea, le ricerche e le rilevazioni occorrenti per indagini sulla povertà e sull'emarginazione in Italia, di promuoverne la conoscenza nelle istituzioni e nell'opinione pubblica, di formulare proposte per rimuoverne le cause e le conseguenze, di promuovere valutazioni sull'effetto dei fenomeni di esclusione sociale”. Per quanto concerne la nostra carta Costituzionale, nonostante non ci siano riferimenti espliciti al tema dell'inclusione sociale, l'articolo 3 sancisce il principio di uguaglianza, segnando una rottura precisa nei con il passato quando la titolarità
31
dei diritti e dei doveri dipendeva dall’estrazione sociale, dalla religione o dal sesso di appartenenza. L'articolo afferma: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. L'articolo è composto da due commi, il primo, sancisce l'uguaglianza formale, mentre il secondo l'uguaglianza sostanziale. Per uguaglianza formale si intende che tutti sono titolari dei medesimi diritti e doveri, tutti sono uguali davanti alla legge e tutti devono essere, in egual misura, ad essa sottoposti. Mentre con il secondo comma si intende precisare che lo Stato ha il compito di creare azioni positive per rimuovere quelle barriere di ordine naturale, sociale ed economico che non consentirebbero a ciascuno di noi di realizzare pienamente la propria personalità. Attraverso l’uguaglianza sostanziale, lo Stato e le sue articolazioni si assumono l’impegno di rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini.
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Ed è questa la funzione che i divieti di discriminazione hanno svolto anche nell’ordinamento interno, sviluppare la tutela antidiscriminatoria in armonia con la situazione politica, economica e sociale.67 A livello comunitario, il trattato di Nizza, ossia la carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, sancisce, nell'articolo 34, i principi riguardanti la sicurezza sociale e l'assistenza sociale; in particolare, il comma 3 afferma: “al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le legislazioni e prassi nazionali”, a dimostrazione dell'interesse dato a questi temi da parte dell'Unione stessa. Inoltre, il trattato sancisce, negli articoli 20 e 21, i principi di uguaglianza e di non discriminazione. L'articolo 20 recita: “Tutte le persone sono uguali davanti alla legge”, mentre l'articolo 22: ”è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali”. Malgrado le molte similitudini evidenti nella formulazione letterale del principio di eguaglianza nel diritto interno e nel diritto dell’UE, non si può certo fare a meno di notare la profonda differenza che esiste tra le due carte fondamentali,
67
Mariagrazia Militello, Principio di uguaglianza e di non discriminazione tra Costituzione italiana e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea , Centro Studi di diritto del lavoro europeo “Massimo D’Antona” Università degli Studi di Catania, 2010, pag. 26.
33
vale a dire la totale assenza nella Carta di Nizza di un precetto generale di eguaglianza sostanziale. 68
2.8) CIES (Commissione di Indagine sull'Esclusione sociale). Come già esposto nel precedente paragrafo, la Commissione di Indagine sull'esclusione sociale, è stata istituita, con questo nome, dalla legge 328/2000. La Commissione è composta da studiosi ed esperti con qualificata esperienza nel campo dell'analisi e della pratica sociale, nominati, per un periodo di tre anni, con decreto del Ministro titolare delle deleghe sulle Politiche Sociali (art. 27 comma 4 della legge).69 Tra i compiti della Commissione è sicuramente di fondamentale importanza ciò che riguarda la predisposizione annuale di rapporti e relazioni sul fenomeno, nei quali sono illustrate le indagini svolte, le conclusioni raggiunte e le analisi formulate. Sulla base di tali relazioni, il Governo riferisce al Parlamento sull'andamento del fenomeno.70 Per quanto riguarda la nascita della Commissione, essa, prima dell'entrata in vigore della legge 328/2000 era denominata Commissione di Indagine sui temi della povertà; istituita nel 1984 era presieduta da Ermanno Gorrieri. Con la legge n.354 del 22 novembre 1990 si istituì la Commissione di Indagine sulla Povertà e sull'Emarginazione, presieduta da Giovanni Serpellon, fino all'istituzione nel 2000 dell'attuale commissione presieduta inizialmente da Chiara 69 70
Mariagrazia Militello, op. cit, pag.19. Ibidem.
34
Saraceno. Rispetto ai lavori attuali, la Commissione viene rinominata nel 2007; composta da sette membri, ha svolto i suoi compiti di studio da un lato rafforzando l'analisi multidimensionale della povertà e dell'esclusione sociale, riferita non solo alla dimensione economica, ma anche a quella dell'istruzione, della salute, delle relazioni sociali e dall’altro orientando l’analisi in termini di policy, cioè di valutazione delle politiche pubbliche di contrasto ai fenomeni di povertà ed esclusione sociale, con un’ottica comparativa rispetto al livello europeo.71 La Commissione ha inoltre promosso una serie di ricerche su: -
povertà di giovani e anziani;
-
povertà e istruzione;
-
povertà e salute;
-
indicatori di povertà e di deprivazione;
-
politiche di contrasto alla povertà nell’ambito dell’Unione Europea;
-
problemi connessi alle valutazione di impatto delle politiche di contrasto alla povertà.
L'ultima analisi presentata dalla commissione, relativa alla situazione del 2009, ha constatato come la crisi, nel suo passaggio dal livello finanziario a quello dell'economia reale, abbia aggravato i mali cronici del Pese e insieme creato nuove e sempre più ampie fasce di disagio attuale e soprattutto potenziale.72
71
Cfr., CIES- Commissione di Indagine sull’Esclusione Sociale, Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, http://www.lavoro.gov.it Visualizzato il 02/10/2012 alle 08.50 72 Cfr., Commissione di indagine sull'esclusione sociale, Rapporto sulle politiche contro la povertà e l'esclusione sociale, anno 2010. 5 luglio 2010, www.lavoro.gov.it. Visualizzato il 03/10/2012 alle ore 09:30.
35
2.9) 2010: Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale. Ispirandosi alla solidarietà, suo principio fondamentale, l’Unione europea ha intrapreso un’azione coordinata con gli Stati membri per fare del 2010 l'anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Gli obiettivi chiave mirano ad aumentare la consapevolezza dei cittadini nei confronti di queste problematiche e di rinnovare l’impegno politico dell’UE e dei suoi Stati membri rispetto alla lotta alla povertà e all’esclusione sociale.73 Il Consiglio d’Europa, nell’ambito della strategia per la crescita e l’occupazione, ha
stabilito
tale
designazione
per
imprimere,
attraverso
il
sostegno
all’implementazione di serie politiche di inclusione, una svolta decisiva alla prevenzione di problemi complessi e multidimensionali, quali l’esclusione sociale. Questi fenomeni, infatti, non riguardano esclusivamente i paesi del Sud del mondo ma sono ampiamente presenti anche nelle società più ricche ed avanzate.74 Per la risoluzione del problema dell’esclusione sociale è fondamentale l'azione congiunta delle Istituzioni e della società civile, per l'ideazione e l'attuazione di strategie di contrasto congiunte. Nella formulazione di tali politiche diventa importante non focalizzarsi esclusivamente sull’individuazione di strumenti che consentano il superamento della deprivazione economica ma tenere in considerazione anche gli aspetti relazionali dell’emarginazione. Proprio questi ultimi, infatti, costituiscono il campanello di allarme che evidenzia la pesante 73
Cfr., Commissione Europea. Occupazione, affari sociali e inclusione, http://ec.europa.eu, visualizzato il 05/10/2012 alle ore 11:15 74 Cfr. Unimondo- Rivista online, Scheda Esclusione sociale, www.unimondo.org/Guide/Diritti Umani/Esclusione-sociale, visualizzato il 05/10/2012 alle ore 11.30.
36
responsabilità delle Istituzioni, ma soprattutto della società civile, nella genesi del fenomeno della marginalità. Il fatto che ci siano individui che sperimentano in prima persona l’esclusione significa necessariamente che esistono dei soggetti che escludono.75 In questa prospettiva la società civile è chiamata a recuperare la sua natura comunitaria, cioè consentire a tutti i suoi componenti, a partire dai più vulnerabili, una partecipazione attiva e responsabile alla vita sociale. L’inclusione e la reintegrazione delle persone colpite da situazioni di bisogno di tipo relazionale, infatti, è possibile solo attraverso la società civile. In questa ottica, quindi, viene a modificarsi il ruolo del Welfare, che non può più essere una prerogativa unicamente istituzionale. Si inizia pertanto a parlare di welfare community, ponendo l’accento sull’appartenenza degli individui ad una comunità, all’interno della quale diventa possibile recuperare il proprio ruolo attraverso strategie di autogestione e collaborazione con le istituzioni. La lotta all’esclusione sociale non può essere condotta senza l’attiva partecipazione degli stessi cittadini emarginati, in quanto soggetti moralmente autonomi e titolari di diritti e doveri inalienabili. Ognuno di noi ricopre un ruolo da svolgere nella società e coloro che hanno più difficoltà ad individuarlo devono essere supportati altrimenti verrebbe meno il senso proprio del progetto sociale che non prevede l’esclusione di nessuno.76
75
Cfr. Scheda Esclusione sociale, www.unimondo.org/Guide/Diritti Umani/Esclusione-sociale, visualizzato il 07/10/2012 alle ore 17:00. 76 Ibidem.
37
I singoli stati hanno accettato di lavorare per un’armonizzazione dei loro interventi in materia di protezione e di inclusione sociale, con lo scopo di arrivare all’adozione di una politica comunitaria integrata. Le strategie di lotta alla povertà e all’esclusione sociale messe in campo a livello nazionale devono perseguire i seguenti obiettivi: -
assicurare un equo e qualificato livello di assistenza sociale e sanitaria;
-
prevenire le situazioni di povertà, agendo direttamente sulle cause e sui fattori che le determinano;
-
promuovere la realizzazione di una rete di servizi, accessibili a tutti, per favorire la prevenzione, l'accompagnamento e il reinserimento sociale;
-
garantire a tutti la possibilità di esercitare i diritti legati cittadinanza.77
77
Cfr. Scheda Esclusione sociale, www.unimondo.org/Guide/Diritti Umani/Esclusione-sociale, visualizzato il 7/10/2012 alle ore 19.35.
38
Capitolo 3: la disoccupazione in età matura.
Quando si affronta il problema della disoccupazione si tende spesso ad identificare tale fenomeno con la difficoltà dei giovani di trovare un’occupazione una volta terminati gli studi. A causa della crisi economica di questi anni, si trovano immersi in un vortice caratterizzato da estrema precarietà lavorativa e inoccupazione di lunga durata che allontana sempre più il momento in cui si riesce a trovare l’indipendenza dal nucleo familiare di origine. Cosa accede, al contrario, quando la disoccupazione colpisce anche i genitori? Quando, a perdere improvvisamente il lavoro è un padre di famiglia cinquantenne sulle cui spalle regge l'equilibrio di tutta la famiglia? La disoccupazione adulta, come quella giovanile, è un problema sociale altrettanto drammatico che negli ultimi anni ha interessato un crescente numero di persone e che investe soprattutto i lavoratori non specializzati per i quali l’età della pensione è più vicina. Il raggiungimento dell’obiettivo della pensione si allontana a favore di un lungo periodo di grandi difficoltà personali determinate dall’impoverimento sia economico sia di relazioni sociali.
3.1) Sintesi storica del problema. Il problema sociale dell'espulsione dei lavoratori adulti dal ciclo produttivo inizia a manifestarsi, in Italia, attorno alla metà degli anni '90, quando iniziarono a diffondersi le teorie dette
young in, old out (giovani dentro, vecchi fuori)
39
importate da Stati Uniti, Giappone e Corea.78 Le prime imprese a fare proprie tale teorie furono le multinazionali operanti sul territorio nazionale, seguite anche dalle grandi e medie imprese e, via via, fino alle aziende di più modeste dimensioni.79 Alla base delle teorie del young in, old out ci sono quei processi di globalizzazione che si andavano rapidamente imponendo in tutto il mondo e che suggerivano alle imprese lo svecchiamento degli organici, per far posto a giovani più pronti ad accettare in modo acritico rapidi mutamenti di strategia aziendale che avrebbero, almeno teoricamente, permesso di affrontare in modo più competitivo le nuove sfide della concorrenza. Le rapide e profonde modifiche avvenute nei settori industriali e produttivi (globalizzazione, aumento della competitività, nuovi mercati emergenti, ecc.) spingevano le imprese a rapidi mutamenti sia sul piano delle strategie di mercato che dell’organizzazione del lavoro. In quegli anni si andava affermando una logica imprenditoriale sempre più orientata al gioco finanziario a discapito dello sviluppo delle attività più propriamente industriali e della ricerca innovativa.80 In tale contesto, caratterizzato da nuove sfide del mercato globale, l'iniziativa di imprenditori e manager d'impresa difficilmente poteva accettare perplessità e inevitabili resistenze interne di chi poteva contare su fattori quali l'esperienza e la professionalità, doti che rischiavano di creare ostacoli da rimuovere.
78
AA.VV. ADTDAL 10, 2002-2012: 10 anni della nostra storia. Gruppo Editoriale l'Espresso, , Roma, 2012, pag. 11. 79 Ibidem. 80 Ivi, pag. 12.
40
La situazione descritta, trovò applicazione anche in Italia, colpendo nella prima fase del rinnovamento la fascia dei lavoratori over50. Sono bastati pochi anni affinché si capisse che l'età si sarebbe progressivamente abbassata fino a toccare, agli inizi degli anni 2000, la soglia dei 40 anni.81 Un altro fattore che ha contribuito a delineare la situazione attuale riguarda l'approvazione di una serie di riforme del mercato del lavoro, causa di una condizione di precarietà lavorativa diffusa. Il pacchetto Treu, divenuto poi legge, (l.196/97) ha recato profonde modifiche al mercato del lavoro, introducendo disposizioni che regolano direttamente gli istituti dell'apprendistato, dei tirocini e del lavoro interinale. La successiva legge Biagi (l.30/2003), soprannominata legge sul precariato, ha introdotto o modificato numerosi contratti di lavoro: contratto di apprendistato, contratto di lavoro ripartito, di lavoro intermittente, lavoro accessorio, lavoro occasionale, nonché il contratto a progetto.82 A causa di queste riforme si è sviluppata una grande varietà di fattispecie contrattuali che si caratterizzano per la maggiore o minore stabilità del rapporto di lavoro, per l’orario di lavoro, per il riconoscimento dei diritti previdenziali derivanti dalla relazione lavorativa. Ne è corrisposta una segmentazione del mercato del lavoro in termini di condizioni contrattuali e di tutele del lavoratore, caratterizzato da una chiara bipartizione dei lavoratori tra quelli con contratti di lavoro a tempo indeterminato e quelli con altre forme contrattuali, con una scarsa permeabilità tra
81 82
AA.VV. op. cit, pag.13. Ivi, pag.14.
41
i due segmenti e una difficoltà di transitare dall’occupazione temporanea a quella permanente.83 La possibilità di assumere giovani attraverso queste forme contrattuali, le quali offrono l'opportunità di licenziare in qualsiasi momento secondo le necessità dell'impresa, aggiunge un nuovo tassello a svantaggio del lavoratore adulto. Le recenti riforme previdenziali nel corso degli anni hanno ampliato i requisiti temporali e contributivi per l'accesso alla pensione non sempre tenendo in considerazione le conseguenze spesso devastanti per quei lavoratori che a pochi anni dal raggiungimento di questo obiettivo perdevano il lavoro e si vedevano prorogare nel tempo il requisito anagrafico o contributivo per accedervi.84 Soprattutto l’ultima riforma del 2011, innalzando i requisiti per accedere sia alla pensione di vecchiaia che di anzianità, ha evidenziato la condizione dei cosiddetti esodati, quei lavori over 50 espulsi dal mercato del lavoro e non ancora ammessi alla pensione in conseguenza dell’innalzamento dei requisiti per accedere al trattamento pensionistico.
3.2) Alcuni dati sul problema. Prima di approfondire il discorso sull’esclusione lavorativa delle persone adulte, è importante contestualizzare tale situazione nel panorama occupazionale generale del nostro paese. Secondo l’Istat (Istituto nazionale di statistica), attualmente, il tasso di 83
Fonte Istat., Rapporto annuale 2012, pag. 124, www.istat.it., visualizzato il 12/10/2012 alle ore 16:30 84 AA.VV. op. cit, pag.17
42
disoccupazione in Italia, si aggira intorno al 10,8% corrispondente a circa 2 milioni e 774mila persone.85 In Italia l’impatto della crisi sull’occupazione è stato molto pesante; nel biennio 2009-2010 il numero di disoccupati è aumentato di 532 mila unità. Rispetto al massimo ciclico, raggiunto nell’aprile 2008, a marzo 2011 il numero di occupati è risultato più basso di circa 590 mila unità;86 inoltre, più della metà delle persone che hanno perso il lavoro sono residenti nel Mezzogiorno, dove l’occupazione si è ridotta di 280 mila unità. Un altro elemento emergente dall’osservazione dei dati forniti dall’Istat riguarda la disoccupazione in base al genere: l’incidenza della componente maschile è passata dal 51% al 53%.87 Per poter studiare il numero dei disoccupati, l’Istat calcola il tasso di disoccupazione come rapporto tra le persone in cerca di lavoro e la forza lavoro, intendendo forza lavoro tutti coloro la cui età è compresa tra 15-16 e 74 anni, ossia tutte le persone in grado di lavorare.. Per quanto riguarda le classi d’età e più precisamente le persone di età superiore ai 40 anni, i dati Istat mostrano come nel primo semestre del 2012, il tasso di disoccupazione relativo alla fascia di età 35 anni e più sia pari al 7,2%, registrando il dato più alto degli ultimi otto anni.88 Le rilevazioni Istat ci mostrano inoltre: 85
Fonte Istat., Occupati e disoccupati. Istat – Lavoro, www.istat.it, visualizzato il 31/10/2012 alle ore 12:00. 86 Fonte Istat., Rapporto annuale 2010, pag. 110-111, www.istat.it., visualizzato il 13/10/2012 alle ore 08:20 87 Fonte Istat., Rapporto annuale 2010, cit, pag. 110-111. 88 Fonte Istat., Occupati e disoccupati . Istat - Lavoro, http://dati.istat.it, visualizzato il 28 ottobre 2012 , alle ore 12.
43
-
Il tasso di disoccupazione all’interno della fascia 35 anni e più è più alto
tra le donne (8%) che tra gli uomini (6,6%).89 -
Rispetto alla dimensione territoriale, emerge un divario importante tra le
regioni del centro-nord e quelle del Mezzogiorno, in quanto, il tasso di disoccupazione adulta nelle regioni meridionali si aggira intorno all’11,5% contro un tasso del 5,6% delle regioni centro-settentrionali. Possiamo dunque notare come il fenomeno della disoccupazione adulta interessi le regioni meridionali circa il doppio rispetto a quelle centro-settentrionali. 90 -
Per quanto riguarda la condizione dei soggetti più adulti, gli over50, i dati
Istat mostrano che il tasso di disoccupazione totale per questa fascia d’età è del 6,6%, il più alto degli ultimi otto anni,
91
mentre rispetto alla componente
femminile è del 7,2%, contro il 6,2% degli uomini. Anche in questo caso la disoccupazione adulta (aver50) colpisce maggiormente le donne rispetto agli uomini. Per quanto riguarda la distribuzione geografica del fenomeno, si osserva come nelle regioni del Mezzogiorno il valore sia doppio rispetto alle regioni centro-settentrionali (10,6% contro 5%).92 Affrontando il tema dell’istruzione, i dati Istat ci mostrano: -
Il tasso di disoccupazione delle persone adulte che hanno conseguito la
licenza elementare o nessun titolo di studio è pari al 14%. Il valore del tasso di disoccupazione adulta poco scolarizzata è altamente
89 89
Fonte Istat., Occupati e disoccupati . Istat – Lavoro, cit. visualizzato il 15/10/2012 alle ore 16:20. 90 Ibidem. 91 I dati si riferiscono al primo semestre 2012. 92 Fonte Istat., Occupati e disoccupati . Istat - Lavoro, http://dati.istat.it, visualizzato il 28 ottobre 2012 , alle ore 12
44
preoccupante nelle regioni meridionali, dove si aggira intorno al 20%, contro il 10% delle regioni centro-settentrionali.93 Il valore, in base al genere, è leggermente più alto tra le donne. -
Per quanto riguarda il diploma di scuola media superiore il tasso medio di
disoccupazione è dello 5.8%. Anche in questo caso la componente femminile è superiore (6,8% per le donne e 5% per gli uomini). Si evidenzia un tasso molto alto per le donne del Mezzogiorno che si aggira intorno al 10%.94 -
Il dato dei disoccupati adulti che posseggono una laurea è molto basso, si
aggira intorno al 3%.95 Dalle rilevazioni Istat possiamo dunque notare come la disoccupazione adulta coinvolga maggiormente: -
Le regioni italiane del Meridione.
-
Gli individui con una bassa istruzione.
-
Le donne
3.3) Oltre la disoccupazione. Quando si tenta di analizzare il fenomeno dell’esclusione lavorativa delle persone di età superiore ai 40 anni non bisogna fare riferimento solamente alla quota dei disoccupati. Viene definita disoccupata, la persona che attivamente svolge specifiche azioni di ricerca di un nuovo impiego. 93
Ibidem. Ibidem. 95 Ibidem. 94
45
Si rivela altrettanto importante cercare di comprendere e analizzare anche le dinamiche che caratterizzano le fasce di età delle persone che hanno tra i 16 anni e i 64 anni e che vengono definite inattive, ovvero di quei disoccupati che non hanno e non cercano un lavoro. L’analisi dell’inattività lavorativa ci consente di individuare due gruppi ben distinti di soggetti: -
Il primo è costituito dalle persone che non cercano un impiego e dichiara-
no di non essere disponibili a lavorare (casalinghe, studenti, giovani pensionati ecc.). Costituisce il segmento di gran lunga più numeroso. -
Il secondo gruppo, potenzialmente più vicino al mercato del lavoro, è for-
mato da quegli individui che manifestano un qualche interesse verso la partecipazione, seppure di debole intensità.96 L’analisi sulla discriminazione lavorativa delle persone adulte si focalizza principalmente sul secondo aspetto dell’inattività. Il gruppo di persone che non cercano lavoro seppur interessate, viene definito la cosiddetta zona grigia, con lo scopo di evidenziare che la demarcazione tra la sfera partecipativa e quella non partecipativa al mercato del lavoro (tra disoccupazione e inattività) non è così netta.97 All’interno della zona grigia si possono distinguere tre gruppi: -
Il primo è composto dalle persona che cercano lavoro e sono immediata-
mente disponibili a lavorare ma che non hanno compiuto azioni di ricerca attiva
96
Giampiero Ricci e Mauro Tibaldi (a cura), La disoccupazione tra passato e presente, Istat, Servizio editoria, Roma, 2011, pag. 122. 97 Ivi, pag.123.
46
nell’ultimo periodo. Vengono definiti forze di lavoro potenziali, per evidenziare il loro legame con il mercato del lavoro. -
Il secondo gruppo è composto da coloro che cercano un lavoro, ma non sa-
rebbero comunque immediatamente disponibili ad iniziarlo; -
Il terzo gruppo è costituito dagli individui che non cercano un’occupazione
ma che sarebbero tuttavia disponibili a lavorare. Si tratta dei cosiddetti scoraggiati.98 Il primo e l’ultimo gruppo rappresentano la stragrande maggioranza della zona grigia (circa il 90%), a dimostrazione che il confine tra disoccupazione e inattività non è così marcato, soprattutto per quanto riguarda i lavoratori scoraggiati. In questa fase di recessione, quando gli impieghi disponibili sono pochi e l’area della disoccupazione è già alimentata dagli occupati espulsi, la ricerca del lavoro si può dimostrare così difficile da indurre una parte dei disoccupati a interrompere la ricerca e a ritirarsi nella sfera dell’inattività. Questo quadro della situazione induce a pensare che il tasso di disoccupazione sia sottostimato e celato all’interno dell’inattività. 99 Passando ai dati, nel 2011 gli inattivi che non cercano un impiego ma sono disponibili a lavorare sono 2 milioni 897 mila. La quota di questi inattivi rispetto alle forze di lavoro cresce tra il 2010 e il 2011, passando dall'11,1% all'11,6%, dato questo superiore di oltre tre volte a quello medio europeo (3,6%).
98 99
Giampiero Ricci e Mauro Tibaldi (a cura), op. cit, pag.123 Ivi, pag.125-126.
47
Il gruppo è fortemente caratterizzato dal fenomeno dello scoraggiamento: il 43% (circa 1,2 milioni di unità) dichiara di non aver cercato un impiego perché convinto di non riuscire a trovarlo. Sommando le forze di lavoro potenziali ai disoccupati si ottengono le persone potenzialmente impiegabili nel processo produttivo: nel 2011 si tratta di circa 5 milioni di unità, un dato certamente allarmante e in costante crescita.100 Per quanto concerne i lavoratori over40, appartiene alla zona grigia circa il 26% del totale e la differenza tra il 26,1% degli uomini e il 26,9% delle donne, non è significativa. 101 Importanti differenze si osservano per quanto riguarda il territorio di appartenenza: il 66% degli appartenenti alla zona grigia risiedono nelle regioni del Mezzogiorno. Dall’osservazione della situazione si evince che quasi un terzo degli appartenenti alla zona grigia contribuisce ad accrescere le fila dei non lavoratori over40, facendo emergere la preoccupante situazione degli scoraggiati, persone che hanno perso talmente fiducia nel futuro e che quindi ritengono inutile mobilitarsi alla ricerca di una nuova forma di sostentamento e che spesso si trovano abbandonati a se stessi.
100
Fonte Istat., Disoccupati, Inattivi, sottoccupati, http://www.istat.it/it/archivio, visualizzato il 16/10/2012 alle ore 15:30. 101 Fonte Istat., Rapporto annuale 2007, pag. 180, www.istat.it, visualizzato il 16/10/2012 alle 16:00
48
3.4) La discriminazione lavorativa. Uno dei maggiori problemi che caratterizza il problema dell’esclusione lavorativa delle persone adulte, è sicuramente la difficoltà di ricollocazione nel mondo del lavoro, spesso riconducibile all’età stessa del lavoratore. Dal punto di vista delle possibilità di ricollocazione, nessuno può ignorare il fatto che è sufficiente scorrere gli annunci di lavoro o visitare un agenzia interinale per rendersi conto che spesso esiste una barriera anagrafica discriminante nei confronti di chi abbia compiuto i 40-50 anni di età e che spesso arriva fino ai 35 anni.102 Ciò che non tutti i lavoratori sanno è che le barriere che discriminano sull’età nelle offerte di lavoro sono espressamente vietate, oltre che dalla Costituzione, anche da un apposito Decreto legislativo (D.lgs. 215/2003). L’articolo 3 del Decreto recita: “il principio di parità di trattamento senza distinzione di età si applica a tutte le persone sia nel settore privato che pubblico.” La legge sancisce espressamente che è illegittimo discriminare in base all’età e mettere un limite nelle offerte di lavoro. 103 L’associazione ATDAL over40 , che da dieci anni si occupa di tutelare e far conoscere la situazione dei disoccupati adulti, ha raccolto centinaia di segnalazioni che hanno fatto emergere questa realtà; molte aziende e società pubblicano annunci di lavoro, nonostante la legislazione vigente, inserendo limiti di età all’interno dell’annuncio stesso; tale situazione si verifica a causa 102
AA.VV. ADTDAL 10., 2002-2012: 10 anni della nostra storia, Gruppo Editoriale l'Espresso, 2012, Roma, pag. 19. 103 D.lgs 215/2003:Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica , Gazzetta Ufficiale n. 186 del 12 agosto 2003.
49
dell’insufficiente attività di controllo e repressione da parte del Ministero del lavoro e delle sue articolazioni.104
3.5) La disoccupazione di lunga durata. Uno
dei
fattori
disoccupazione
che
caratterizzano
maggiormente
il
fenomeno
della
over40 è sicuramente la difficoltà di reperire una nuova
occupazione, soprattutto per quei lavoratori licenziati da piccole e medie imprese per i quali non sono sempre previste modalità di sostentamento mediante gli ammortizzatori sociali. Il periodo di disoccupazione può dunque protrarsi per molto tempo a causa di diversi fattori: -
L’età avanzata della persona. Le aziende spesso tendono ad assumere
giovani con contratti di lavoro atipici, spesso a tempo determinato che garantiscono maggiore flessibilità e facili licenziamenti in caso di crisi aziendale. Inoltre, soprattutto quando si tratta di lavori manuali e/o faticosi è chiaro che la forza lavoro di un giovane è sicuramente superiore rispetto a quella di una persona di mezza età. -
Tenersi al passo con i tempi. Per molte persone adulte che non ha mai
avuto occasione di approcciarsi alla tecnologia, immergersi in questo mondo può risultare sicuramente più complesso rispetto ad un giovane per il quale l’uso delle nuove tecnologie è stato familiare sin dall’infanzia.
104
AA.VV, op.cit, pag. 88.
50
-
Difficoltà nell’adattarsi a svolgere nuove mansioni. Spesso si tratta di
lavoratori che hanno svolto per molti anni lo stesso mestiere e le stesse mansioni per i quali imparare a svolgere una nuova attività può risultare complesso. -
Le competenze maturate in anni di lavoro non sempre possono
rappresentare un aspetto positivo. Il lavoratore con anni di esperienza in un determinato settore non sempre si presta ad essere assunto con un contratto atipico a tempo determinato e spesso sottopagato. Allo stesso tempo, gli imprenditori sanno che un lavoratore esperto costa all’azienda, sia in termini di retribuzione che di contributi previdenziali, più di un giovane alla prima esperienza lavorativa. La durata della disoccupazione non può che incidere fortemente sulle condizioni di vita di coloro che si trovano ad affrontarla: si instaura un circolo vizioso, per cui la probabilità di uscire dalla disoccupazione si riduce con il prolungarsi del periodo di non occupazione. Tale fenomeno è stato denominato effetto trappola, proprio per le difficoltà che i soggetti incontrano nell’uscire dalla condizione di disoccupazione.105 In Italia, i disoccupati di lunga durata rappresentano circa il 40% del totale. Negli ultimi anni si è osservata una diminuzione del fenomeno, non indotto dall’adozione di specifiche politiche, né tantomeno derivante da una congiuntura economica favorevole; il calo della disoccupazione di lunga durata appare dunque dipendere dall’incremento delle occupazioni di breve durata. 106
105 106
Giampiero Ricci e Mauro Tibaldi (a cura), op. cit, pag.63. Ibidem.
51
La tabella107 qui sopra, riporta i dati relativi alla disoccupazione di lunga durata in alcuni paesi Europei. Si nota come l’incidenza di questo fenomeno nel biennio 2009/2010, in Italia, sia tra i più alti d’Europa. La media Europea si aggira intorno al 40% contro il 48,8% del nostro paese, a dimostrazione di come le politiche italiane non siano riuscite a combattere questo fenomeno efficacemente. Rispetto ai lavoratori over40, il fenomeno della disoccupazione di lunga durata riguarda circa 300mila persone, di cui, il 55% risiede nelle regioni del
107
Sistema statistico nazionale ( a cura) Rapporto annuale – La situazione del Paese nel 2010, Istat, www.istat.it , visualizzato il 17/10/2012 alle ore 09:00.
52
Mezzogiorno.108 La disoccupazione di lunga durata si traduce dunque in una precarietà e discontinuità lavorativa molto prolungate. L’attesa che si fa lunga innesca spesso un circolo vizioso che associa ad una ricerca infruttuosa una attenuazione delle azioni intraprese per trovare lavoro, che produce a sua volta una persistente difficoltà di inserimento lavorativo, che si traduce in un ulteriore prolungamento dell’attesa: una lunga attesa determina inevitabilmente un’attenuazione della ricerca.109
3.6) Famiglie e ruoli familiari. I cambiamenti che hanno recentemente interessato la disoccupazione italiana non vanno analizzati solamente in una prospettiva individuale. Le scelte che portano alla partecipazione al mercato del lavoro sono adottate dalle singole persone non solo in base alle necessità e possibilità personali, ma all’interno del primo contesto relazionale in cui l’individuo è inserito: la famiglia.110 L’analisi del fenomeno della disoccupazione adulta vista da un’ottica più vasta, quella familiare, permette di cogliere situazioni di criticità osservate da un punto di vista diverso. La crisi economica che ha investito l’Italia negli ultimi anni ha contribuito ad allargare la quota delle famiglie investite dal fenomeno della disoccupazione.
108
Sistema statistico nazionale ( a cura) Rapporto annuale – La situazione del Paese nel 2010, Istat, www.istat.it , visualizzato il 17/10/2012 alle ore 09:00. 109 Maria Letizia Pruna, Occupazioni e disoccupazioni, CUEC, 2002, Cagliari, pag.94. 110 Giampiero Ricci e Mauro Tibaldi (a cura), op.cit, pag. 70.
53
Secondo i dati del 2009/2010 circa 1milione e 700 mila famiglie, in Italia, contano al loro interno almeno un disoccupato e all’interno di queste, la percentuale delle famiglie in cui sono presenti due o più componenti disoccupati è aumentata di oltre il 40% negli ultimi anni.111 Il sensibile aumento della disoccupazione ha prodotto anche un incremento delle cosiddette famiglie jobless, dove la mancanza di lavoro interessa tutti i componenti del nucleo, producendo un disagio economico e sociale molto acuto. A livello territoriale la distribuzione delle famiglie jobless è piuttosto sbilanciata: nonostante la forte discesa degli ultimi due anni, oltre la metà di questi nuclei a rischio si concentra nelle regioni meridionali. Conseguentemente, è il Mezzogiorno che registra l’incidenza più elevata della completa assenza di lavoro in ambito familiare. Ciò premesso, negli ultimi anni è l’area settentrionale a registrare l’incremento più consistente di famiglie jobless: un ulteriore segnale questo della diffusione territoriale del problema.112 Se da un lato il grado di disagio vissuto dalla famiglia è influenzato dal numero di disoccupati presenti al suo interno, dall’altro occorre tenere in considerazione che le condizioni in cui versano le famiglie jobless possono essere sollevate o aggravate da ulteriori elementi quali, ad esempio, la disponibilità di altri redditi diversi dal lavoro, la presenza di membri inattivi non produttori di reddito o di figli che non abbiano ancora raggiunto l’età lavorativa. L’analisi di questi fattori restituisce un quadro dei contesti familiari se possibile ancor più critico e, senza dubbio,
111 112
Ivi, pag. 72. Ivi, pag. 74.
54
in peggioramento negli ultimi anni. E’ importante sottolineare che il 27% delle famiglie jobless presenta al suo interno almeno un componente pensionato.113 Più grave appare invece la situazione delle 462 mila famiglie nelle quali, oltre a quelli derivanti da lavoro, non sono presenti redditi da pensione. In particolare, in questo segmento appare critica la condizione delle 261 mila famiglie sulle quali grava anche l’onere del mantenimento di almeno un figlio. 114
•
La disoccupazione dei padri.
Il forte aumento di genitori disoccupati è stato determinato dalle consistenti perdite registrate dalla componente maschile. Gli uomini rappresentano la figura familiare più penalizzata dalla crisi economica attuale, in tutto il territorio nazionale. Nel Meridione, il grado di concentrazione dei padri disoccupati si mantiene il più elevato del paese.115 In quasi la metà dei casi, si tratta di padri con due o più figli che vivono in famiglie nelle quali non vi sono altri componenti occupati.
•
La disoccupazione delle madri.
Gli effetti della crisi economica attuale hanno colpito anche la componente femminile dei genitori italiani. I dati Istat ci mostrano come il 42,5% delle donne disoccupate sono madri e il loro numero nel corso degli ultimi anni risulta in aumento.116
113
Giampiero Ricci e Mauro Tibaldi (a cura) op.cit., pag. 76 Ibidem. 115 Ivi, pag.77. 116 Ivi, pag. 79 114
55
L’aumento delle madri disoccupate si concentra, a differenza dei padri, esclusivamente nell’area centro-settentrionale. Questo non significa che il fenomeno non coinvolga anche le regioni meridionali ma presumibilmente le donne residenti nel Mezzogiorno, già sfiduciate dalle condizioni dei mercati rinunciano a cercare attivamente un impiego, andando così ad alimentare ulteriormente il bacino degli inattivi anziché quello dei disoccupati.117 La ricerca di un’occupazione coinvolge soprattutto le madri con un solo figlio, in particolare quelle il cui figlio più piccolo non è più in età prescolare. Carichi familiari ridotti, sia per quantità sia per qualità, favoriscono evidentemente la partecipazione al mercato del lavoro delle madri. Avviene spesso, infatti, che le donne siano costrette a lasciare il lavoro alla nascita dei figli; soltanto quando questi crescono e le difficoltà di conciliazione si attenuano esse hanno la concreta possibilità di tentare un rientro nel mercato del lavoro. 118 L’aumento della disoccupazione femminile, negli ultimi anni, ha interessato anche le madri con figli in età prescolare. Nonostante il peggioramento delle condizioni del mercato, molte donne italiane verosimilmente inattive perché impegnate nella cura dei propri figli, si sono poste alla ricerca di un’occupazione per far fronte al peggioramento del bilancio familiare, compromesso in molti casi dalla perdita di lavoro del proprio coniuge.119
117
Ibidem Ibidem 119 Ibidem. 118
56
$3.7) La componente emozionale. La perdita del lavoro costituisce una circostanza estremamente sfavorevole che può abbattersi sulla vita di ciascuno portandosi dietro un enorme peso, incidendo fortemente sulle condizioni di vita di coloro che si trovano ad affrontare tale situazione.120 Per le persone adulte spesso l’identità di sé è strettamente legata al ruolo professionale; per questo motivo per gli over40 la condizione di disoccupato può essere psicologicamente più pesante che per i giovani.121 Questa situazione fa sentire gli adulti, disoccupati da più tempo, inutili e abbandonati; l’angoscia (ansia, depressione, perdita di fiducia, scarsa autostima e senso di malessere) è più alta tra i disoccupati di mezza età che tra i più giovani. Domande di lavoro respinte, mancanza di strutture con cui confrontarsi quotidianamente possono provocare un senso costante di apatia che soffoca qualsiasi entusiasmo necessario ad affrontare questa situazione.122 Le ragioni per cui un individuo affronta con successo la condizione di disoccupato, traendo vantaggio dalla condizione per svilupparsi, mentre un altro fallisce e cade nella disperazione, non sono facili a capirsi riferendosi soltanto alla durata del periodo trascorso senza lavorare o ad una varietà di fattori psicosociali. Le famiglie possono essere comprensive o esercitare pressioni, le aspirazioni possono venire alimentate o possono crollare, l’autostima può rimanere alta durante
120
Maria Letizia Pruna, Occupazioni e disoccupazioni, CUEC, 2002, Cagliari, pag.91. Leo B. Hendry, Marion Kloep, Lo sviluppo nel ciclo di vita, il Mulino, Bologna, 2002, pag. 178 122 Ivi, pag.179. 121
57
un periodo di lunga disoccupazione o crollare partecipando ad un corso di formazione. 123 Una reale comprensione di questo fenomeno non deve considerare soltanto il modo in cui tutti questi fattori interagiscono, ma anche misurare le capacità individuali di far fronte agli aspetti positivi e negativi di questo processo. E’ facile che un certo numero di fattori negativi, ad esempio un immagine di sé inadeguata, scarse aspirazioni o la pressione familiare riguardo al fatto di dover trovare lavoro possano indurre la persona a non affrontare positivamente la sfida della disoccupazione. In casi diversi, il sostegno familiare, la soddisfazione di trascorrere il tempo libero in modo rilassante ed un carattere ottimista aiutano l’individuo a fronteggiare la sua situazione positivamente.124 Per quanto riguarda lo stress causato dalla perdita del lavoro, ricerche svolte periodicamente anche nel nostro paese dimostrano come gravi condizioni di salute siano correlate alla perdita del lavoro. Uno studio condotto a Torino negli anni ottanta ha evidenziato, ad esempio, una mortalità doppia tra i maschi che avevano perduto il lavoro.125 Negli ultimi anni il fenomeno della perdita del lavoro tra gli adulti ha coinvolto anche fasce sociali prima ritenute esenti, come quella degli impiegati e dei dirigenti i quali hanno sperimentato il duro prezzo in termini di salute legato all’insicurezza del posto di lavoro.126
123
Leo B. Hendry, Marion Kloep, op.cit. pag. 180. Ivi, pag.181. 125 Gabriele Gorbizzi Fattori, Franco Simonini, Stress lavoro correlato, Ipsoa- IndicItalia, Milanofiori Assago (MI), 2010, pag. 20-21. 126 Ibidem. 124
58
Alla cronaca e all’attenzione dell’opinione pubblica gli effetti di questa situazione emergono per episodi eclatanti come drammatici casi di suicidio o proteste clamorose spontanee o organizzate.127 Con queste affermazioni non si vuole di certo fare allarmismo, è innegabile che la disoccupazione in età adulta sia un fenomeno sociale drammatico ed è necessario far emergere la gravità del problema sociale non solo ai media e all’opinione pubblica, ma anche e soprattutto alle Istituzioni competenti.
127
Gabriele Gorbizzi Fattori, Franco Simonini, op.cit., pag.20-21.
59
Capitolo 4: L’esclusione socio-lavorativa delle persone over40 in Sardegna e nella Provincia di Nuoro.
Come osservato nel precedente capitolo, il fenomeno della disoccupazione over40 non colpisce il territorio nazionale in modo omogeneo; emerge un divario netto tra le regioni centro-settentrionali e le regioni del Mezzogiorno, nelle quali il tasso di disoccupazione adulta tocca l’11,5% della forza lavoro, circa il doppio rispetto al resto d’Italia. In questo capitolo si cercherà di analizzare quei processi di esclusione lavorativa delle persone over40 che colpiscono in particolare la Regione Sardegna e la Provincia di Nuoro.
4.1) La situazione attuale. La crisi economica che ha colpito l’Italia in questi ultimi anni ha avuto pesanti ripercussioni anche sulla Sardegna, colpendo trasversalmente tutti i territori produttivi dell’Isola, con gravi ripercussioni sull’occupazione.128 Il comparto industriale isolano è stato il più danneggiato dalla crisi economica che ha determinato la chiusura di buona parte degli impianti produttivi del settore tessile, degli impianti chimici e delle manifatture metalmeccaniche e ha determinato un’impressionante desertificazione industriale e una débâcle
128
I dati sono pubblicati nel documento unitario delle segreterie regionali confederali CGIL, CISL, UIL Sardegna, Crisi e prospettive del sistema produttivo regionale, 19 dicembre 2011, pag.2
60
occupazionale forse senza uguali negli ultimi 50 anni. 129 Negli ultimi anni alcuni tra i più rilevanti settori produttivi della Sardegna sono stati interessati da una progressiva perdita di competitività, che ha prodotto gravi crisi aziendali e occupazionali. Le industrie colpite sono principalmente quelle di base, in particolare del settore metallurgico (è il caso attualissimo dell’Alcoa di Portovesme), della chimica ( Vinyls di Porto Torres e Equipolymers di Ottana) e tessile che è stato tra i primi ad accusare il colpo della crisi economica ( Legler e Queen di Macomer), oltre alla crescente quota di imprese di minori dimensioni.130 Anche il mondo agricolo registra fortissime tensioni che si esprimono in forme di maggiore consapevolezza rispetto al passato, in particolare,
riemergono i
problemi che hanno accompagnato, negli ultimi trent’anni, le vicende della pastorizia.131 Nel 2011 il sistema economico regionale ha continuato ad esporre dati negativi su quasi tutti gli indicatori: la dinamica del PIL regionale si mantiene prossima alla crescita zero; dei 27 miliardi di euro che lo compongono, il 3% è dato dall’agricoltura, il 77% dai servizi, e il 20% dall’industria. Rispetto a quest’ultimo dato si evidenzia come la percentuale sia ben al di sotto del dato medio nazionale, in cui l’industria pesa per oltre il 28% del PIL, e nelle regioni settentrionali supera il 36%, a dimostrazione di quanto sia profonda la crisi dell’industria sarda.132
129
Ibidem. Fonte: Banca d’Italia, Economie Regionali: l’economia della Sardegna, Giugno 2012, n.22, pag. 7-8. 131 Antonello Soro (a cura), 7°Rapporto sull’Economia della Provincia di Nuoro, in ASPES, Associazione Politica e Sviluppo Nuoro, dicembre 2010, pag.7. 132 Crisi e prospettive del sistema produttivo regionale, cit. pag.2 130
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L’occupazione diventa un miraggio e lo squilibrio demografico interno evoca l’idea di una Sardegna divisa, in cui la parte interna dell’Isola sembrerebbe destinata a un processo di spopolamento vicino alla desertificazione.133
4.2) La disoccupazione over40 in Sardegna. La Regione Sardegna registra attualmente un tasso di disoccupazione pari al 15%, superiore di circa cinque punti percentuali rispetto alla media nazionale.
134
È
importante sottolineare come il tasso di disoccupazione sia sceso dal 16.2% del primo trimestre 2012 al 15% grazie all’aumento della domanda di lavoro nel settore turistico alberghiero. Purtroppo il tasso medio di quest’anno, nonostante la flessione del secondo trimestre, tocca il 15,6%, il più alto degli ultimi otto anni. Rispetto alla disoccupazione adulta, gli iscritti over 40 nei CESIL ( Centri Servizi per il Lavoro) in cerca di occupazione risultano essere circa 235 mila;135 di questi, circa 108mila sono uomini e 127 mila sono donne. Anche in Sardegna, come nel resto d’Italia, la disoccupazione over40 colpisce maggiormente le donne rispetto agli uomini. Dai dati Istat emerge che oltre i 40 anni il tasso di partecipazione e di occupazione femminile è influenzato dal livello di istruzione; più i livelli di istruzione sono elevati, a prescindere dalle condizioni familiari, più le donne si trattengono a lungo nel mondo del lavoro e hanno maggiori possibilità di trovare
133
ASPES, cit. pag.7 Fonte: Istat, dati del secondo trimestre del 2012. 135 Regione Autonoma della Sardegna, Congiuntura lavoro Sardegna, Anno VIII, numero 3, settembre 2012, pag. 10. 134
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un’occupazione. Questo ci induce a ipotizzare che come esito della maggior scolarizzazione delle giovani donne di oggi, in futuro ci sarà un aumento conseguente di occupazione femminile per le over 40 e del tasso di partecipazione al lavoro. Rispetto al passato, le donne investono di più in istruzione e formazione e hanno maggiori aspettative di avanzamento professionale partecipando al mondo del lavoro in un modo molto simile a quello degli uomini. La percentuale di donne over40 inattive oggi è comunque molto alta; una delle cause principali riguarda i carichi familiari ma anche gli orari dei tempi di lavoro che non permettono alla donna di conciliare l’attività lavorativa e la cura della famiglia. Il modello di partecipazione al mercato del lavoro delle donne in età adulta non è più alternativo, non c’è più la possibilità di scegliere tra lavoro e famiglia, si tende a cumulare e conciliare i due ruoli, di madre e lavoratrice, in modo stabile. Un altro aspetto da non sottovalutare del problema della disoccupazione adulta in Sardegna, riguarda la posizione dei cosiddetti esodati136. Secondo i calcoli effettuati dal sindacato CGIL, i lavoratori over 55 che, dopo l’ultima riforma previdenziale rischiano di perdere il diritto alla pensione, sono circa 1600. Si tratta di lavoratori che hanno usufruito di accordi di mobilità firmati in aziende ormai chiuse oppure attive ma con organici ridotti, dove i lavoratori più adulti hanno lasciato spazio ai giovani evitandone il licenziamento. Nei casi più gravi, 136
Il termine esodato è stato coniato nel 2012 dai mass media e utilizzato dalla classe politica per indicare quei lavoratori che hanno perduto il posto di lavoro a seguito di una ristrutturazione aziendale, di un accordo sindacale o di un accordo economico con il datore di lavoro, contando di poter accedere nel breve tempo al trattamento pensionistico e che ora hanno visto allungarsi il periodo di tempo di attesa in conseguenza della riforma del sistema pensionistico.
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lavoratori che hanno dato le dimissioni accordandosi con l’azienda in cambio di una buona uscita, in attesa dell’imminente diritto alla pensione che però, è stato posticipato dalla riforma.137 Gli esodati si trovano dunque senza lavoro, senza reddito, senza pensione, in una sorta di limbo, in attesa di sapere quando arriverà l’assegno previdenziale. In Sardegna, la crisi dell’industria è alla base della firma di questo tipo di accordi, soprattutto nel settore metalmeccanico e petrolchimico. 138
4.3) La Provincia di Nuoro. Le difficoltà riscontrate a livello nazionale e regionale coinvolgono anche a livello locale il territorio della Sardegna centrale, più in particolare la Provincia di Nuoro. Per quanto riguarda il mercato del lavoro, la situazione relativa alla disoccupazione, nella Provincia, mostra come a fronte di una popolazione totale di circa 140mila residenti in età lavorativa, il numero dei disoccupati iscritti ai Centri servizi per il lavoro si aggiri intorno alle 35mila unità. Rispetto al fenomeno della disoccupazione adulta, i dati raccolti dall’Osservatorio del mercato del lavoro, evidenziano una situazione piuttosto preoccupante; la disoccupazione adulta coinvolge circa 16mila persone nella sola Provincia di Nuoro. Di questi, 7800 sono uomini mentre le restanti 8300 sono donne, confermando anche a livello provinciale la tendenza che vede le donne maggiormente interessate al fenomeno della disoccupazione adulta. 137 138
L’Altra Sardegna - Periodico della CGIL, anno VI n.3, maggio-giugno 2012, pag. 8 Ibidem.
64
In quest’area della Sardegna, il profilo d’ambito PLUS del 2010/2012 evidenzia diversi punti di criticità, causa della nascita di nuovi bisogni e di nuove emergenze, tra i quali troviamo: -
Diffuso disagio economico, dovuto in particolare all’alto tasso di disoccupazione e difficoltà di inserimento lavorativo per i soggetti più deboli (compresi i lavoratori over40).
-
I cambiamenti degli stili di vita della famiglia (la donna che lavora, nuovi ritmi nella vita di coppia, nuclei monoparentali) rendono più complessa la gestione della vita familiare e diminuiscono il suo potenziale assistenziale.
-
Fenomeni di disagio e sofferenza diffusi, che coinvolgono singoli soggetti e fasce più ampie di gruppi sociali, dove aumenta il rischio di esclusione sociale.
-
La vita media si allunga, la struttura della popolazione mostra invecchiamento e squilibrio demografico tra la generazione più anziana e quella più giovane.
-
Accanto alle vecchie povertà, emergono le cosiddette nuove povertà che generano nuovi bisogni e nuove emergenze sociali, indeboliscono le relazioni e conducono all’isolamento.139
Dal punto di vista delle organizzazioni sindacali, la situazione appare, se possibile, ancora più grave. I tre maggiori sindacati, CGIL-CISL-UIL, definiscono la situazione della Sardegna centrale come “in uno stato di agonia” e denunciano la distanza che intercorre tra le difficoltà di questo territorio e l’agenda politica 139
Fonte: Provincia di Nuoro (a cura), Profilo d’Ambito PLUS Nuoro - Triennio 2012-2014, pag. 19-20.
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regionale e nazionale; difficoltà che se dovessero permanere ancora a lungo rischierebbero di pregiudicare ciò che sopravvive della produzione del territorio.140
4.4) Il Marghine. All’interno della Provincia di Nuoro, ci si è soffermati ad analizzare la situazione della regione storica del Marghine, costituita dai Comuni di Macomer, Birori, Bortigali, Bolotana, Borore, Dualchi, Lei, Noragugume, Sindia e Silanus. Ciò che caratterizza questo territorio è sicuramente la sua posizione geografica; il territorio del Marghine ha effettivamente rappresentato sin dall’antichità il naturale crocevia per le vie di comunicazione tra il Nord e il Sud della Sardegna, favorendo lo sviluppo economico della zona, in particolare della città di Macomer. Soprattutto dopo il completamento della ferrovia, la città seppe sfruttare la sua posizione geografica registrando l’insediamento delle prime attività industriali, nate come risposta alla necessità di trasformare in particolar modo i prodotti lattiero-caseari e la lana. Attualmente, il territorio del Marghine conta circa 23.500 abitanti, di cui il 46% risiede nella città di Macomer. 141 Analizzando la popolazione di questo territorio, ciò che emerge riguarda l’indice di invecchiamento: la percentuale di ultrasessantacinquenni è infatti molto alta
140
Il giudizio delle OO. SS è stato espresso da Luciano Piras, pubblicato sul quotidiano La Nuova Sardegna del 04 settembre 2012. 141 Fonte: Provincia di Nuoro (a cura) Profilo d’Ambito PLUS Nuoro - Triennio 2012-2014, pag. 25.
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(23%). L’economia del Marghine è principalmente basata sull’attività agro-pastorale, sono presenti industrie di trasformazione del latte tra le più importanti della Provincia. Il Comune di Macomer rappresenta il centro agricolo, commerciale, industriale e artigianale più popoloso del territorio. All’attività agro-alimentare si affianca l’industria tessile. Essa in passato era arrivata a occupare fin quasi un migliaio di operai, ma oggi affronta una pesante crisi che ha provocato un preoccupante aumento del numero dei disoccupati.142 Le conseguenze della crisi economica che ha colpito il Marghine si mostrano chiaramente attraverso i dati sulla disoccupazione forniti dall’Osservatorio del mercato del lavoro della Provincia di Nuoro. Nel territorio del Marghine, i disoccupati e gli inoccupati iscritti ai CESIL (Centri Servizi per il Lavoro) sono circa 5400, a fronte di una popolazione di 23mila persone, ciò significa che il 23% della popolazione (non della forza-lavoro) risulta disoccupata o inoccupata.143 Un dato estremamente preoccupante, che si pone ben oltre la media nazionale. La tabella della pagina successiva mostra il numero dei disoccupati/inoccupati di ogni singolo Comune del territorio, evidenziando che quasi il 50% risiede nel Comune di Macomer, il più grande e popoloso.
142
143
Fonte: Provincia di Nuoro (a cura) Profilo d’Ambito PLUS Nuoro - Triennio 2012-2014, pag.29 Fonte: Osservatorio Mercato del Lavoro della Provincia di Nuoro.
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I disoccupati del Comune di Macomer sono 2447 e rappresentano ben il 22% di una popolazione di circa 10.600 abitanti; anche in questo caso assistiamo ad un fenomeno di portata decisamente non trascurabile. Il dato relativo al Comune di Macomer, evidenzia come non ci siano grosse differenze di genere rispetto al totale dei disoccupati/inoccupati. Ciò che emerge, riguarda il numero delle donne inoccupate, pari a 417. Questo sta a significare che circa il 30% delle donne Macomeresi che non lavorano non lo ha mai fatto prima. Affrontando il tema dell’esclusione lavorativa over40, i dati mostrano che le persone coinvolte, nel territorio del Marghine, sono 2476, di cui 1171 sono uomini e 1305 sono donne. Ciò che emerge dall’osservazione dei dati sono le 458 donne over40 inoccupate, a dimostrazione di come la crisi economica abbia spinto molte donne che prima non erano interessate a trovare un’occupazione ad aderire al mercato del lavoro, spesso a causa della perdita improvvisa dell’occupazione da parte del coniuge.
68
Relativamente al Comune di Macomer, i disoccupati e gli inoccupati over40 sono 1081 e rappresentano circa il 40% dei disoccupati/inoccupati, di questi 496 sono uomini e 585 sono donne.144 Anche a livello comunale emerge il dato del forte tasso di inoccupazione femminile, quasi quattro volte superiore a quella maschile145. Per concludere, l’analisi dei dati relativi alla Provincia di Nuoro, al territorio del Marghine e al Comune di Macomer ci pone difronte ad una situazione drammatica: circa il 20% della popolazione è disoccupata. La componente adulta è enorme: in media, il 45% dei disoccupati della Provincia di Nuoro ha più di 40 anni. La crisi economica e industriale che ha colpito il territorio del Marghine e di Ottana ha pesante ricadute sull’occupazione del territorio. Un altro aspetto da tenere in considerazione riguarda la componente femminile. Il numero delle donne inoccupate che manifestano disponibilità a lavorare è notevole; molte donne che negli anni passati preferivano dedicare il loro tempo alla famiglia e ai figli oggi decidono di iscriversi ai Centri servizi per il lavoro alla ricerca della prima occupazione, spesso a causa dell’improvvisa disoccupazione del coniuge o delle difficoltà a sostenere le spese domestiche sempre più ingenti.
144
I dati mi sono stati forniti direttamente dall’Osservatorio del Mercato del Lavoro della Provincia di Nuoro. 145 Gli uomini inoccupati sono 54 mentre le donne inoccupate sono 191.
69
Capitolo 5: le risposte istituzionali al fenomeno dell’esclusione socio-lavorativa delle persone over40 e le possibili soluzioni.
Pochi altri temi sono stati oggetto negli ultimi decenni di un’attenzione così costante e massiccia, da parte sia delle scienze sociali e dell’opinione pubblica, come il mercato del lavoro. L’interesse per l’argomento lavoro, per l’occupazione e per la sua mancanza, deriva da almeno tre ragioni: dalla preoccupazione per uno spettro, quello della disoccupazione; dalla centralità che il lavoro mantiene nelle società industriali e contemporanee; dalle trasformazioni profonde e dalle diversificazioni che caratterizzano la prestazione lavorativa negli ultimi decenni.146 Le strategie aziendali di ringiovanimento degli organici non colpiscono più soltanto le tradizionali fasce del lavoro manuale ma si estendono anche nell’aria dei cosiddetti colletti bianchi siano essi impiegati, quadri o dirigenti. È andata così crescendo l’area della disoccupazione composta da lavoratori maturi, dai quali spesso dipende un nucleo familiare, lavoratori che potrebbero contribuire in misura consistente alla crescita dei consumi e che invece, in virtù del loro stato di disoccupati, contribuiscono solo all’incremento delle nuove povertà.147 Per cercare di venire incontro a queste situazioni in questi ultimi anni si sono utilizzati quelli che vengono definiti ammortizzatori sociali: cassa integrazione spesso utilizzata come anticamera del licenziamento, mobilità lunga che accompagna il lavoratore alla pensione, prepensionamenti diretti, indennità di 146
Maria Letizia Pruna, Occupazioni e disoccupazioni, CUEC, Cagliari, 2002. AA.VV. ADTDAL 10., 2002-2012: 10 anni della nostra storia, Gruppo Editoriale l'Espresso, Roma, 2012, pag. 33-34. 147
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disoccupazione ecc. Si viene a creare una sorta di controsenso perché mentre passa l’idea che con la crescita dell’ aspettativa di vita e grazie ai passi avanti della medicina si rende indispensabile prolungare la permanenza degli individui nel ciclo produttivo, in realtà le aziende, si liberavano dei lavoratori maturi.148
5.1) Gli ammortizzatori sociali. Per ammortizzatori sociali si intende un complesso ed articolato sistema di tutela del reddito garantito ai lavoratori che sono in procinto di perdere o hanno perso il posto di lavoro quando il datore di lavoro non è in grado di corrispondere gli stipendi dovuti. 149 Il sistema degli ammortizzatori sociali è regolato da specifiche norme di legge, che ne stabiliscono i casi, i limiti e le condizioni. Il loro fine è di attutire il disagio di chi ha perso o sta per perdere il posto di lavoro. L’ente che si occupa dell’erogazione delle prestazioni di sostegno al reddito è l’INPS (Istituto nazionale per la previdenza sociale).
•
L’indennità di disoccupazione.
L’indennità di disoccupazione è una delle misure riconosciute in caso di licenziamento per le persone che perdono il posto di lavoro e che devono cercare una ricollocazione professionale.150
148
AA.VV. op. cit, pag. 38-39. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ammortizzatori sociali e incentivi all’occupazione, www.lavoro.gov.it, visualizzato il 29/10/2012 alle ore 19:00. 150 INPS, Indennità di disoccupazione, www.inps.it., visualizzato il 29/10/2012 alle ore 19:30. 149
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L'assicurazione obbligatoria prevede una tutela per tutti i lavoratori dipendenti che, non avendo la garanzia della stabilità d’impiego, possono rimanere privi di lavoro. La misura dell’indennità di disoccupazione compensa il 60% della retribuzione per i primi 6 mesi, per il 7° e 8° mesi il 50% e per i successivi il 40%. La misura prevede inoltre una differenziazione rispetto all’età della persona che ne fa richiesta: qualora il lavoratore abbia superato i 50 anni può usufruire dell’indennità di disoccupazione per dodici mesi anziché otto;151 si applica una maggiore forma di tutela per i lavoratori più anziani che perdono il lavoro. I dati forniti dall’INPS ci mostrano come, nel 2011152, siano stati erogati dall’Ente in totale 6miliardi e 500milioni di Euro per i trattamenti di disoccupazione; una cifra assolutamente esorbitante e in costante aumento negli anni! Inoltre, i soggetti che hanno fruito di almeno un giorno di disoccupazione nel 2011 sono stati 1.234 mila, in crescita del 4,56% rispetto al 2010. L’erogazione dell’indennità di disoccupazione, in termini di entità e durata, è condizionata dal possesso dei requisiti minimi di legge da parte dei lavoratori licenziati. Di conseguenza, i trattamenti si differenziano in: indennità di disoccupazione ordinaria o indennità di disoccupazione a requisiti ridotti, secondo la durata del periodo di occupazione precedente, oltre che in disoccupazione non agricola e disoccupazione agricola in base alla tipologia del settore di attività. L’analisi per aree geografiche dell’Italia mette in risalto come il maggior numero
151
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ( a cura), Rapporto sulla coesione sociale 2011, Volume 1, pag.43. 152 INPS (a cura), Rapporto annuale 2011, pag. 275-276,visto in www.inps.it/portale/, visualizzato il 30/10/2012 alle ore 10:00.
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di beneficiari si trovi nelle regioni del Sud, in cui risulta ben il 43% del totale nazionale. L’analisi per genere dei beneficiari mostra come la massima presenza maschile si registri nel Mezzogiorno (61,89% contro il 38,11% delle donne), mentre la minima si osserva nel Nord-Est (41,34% uomini rispetto al 58,66 % delle donne). 153
•
L’indennità di mobilità.
La mobilità è uno degli ammortizzatori sociali previsti dalla legge per rendere meno drammatiche le conseguenze della perdita del lavoro. Con la procedura di mobilità lo Stato offre, a determinate condizioni, un sostegno economico ai lavoratori licenziati e attiva i meccanismi necessari per favorirne la rioccupazione. Non si tratta semplicemente in un aiuto economico, ma consente, in certi casi, il passaggio dei lavoratori licenziati da aziende in crisi ad altre che hanno bisogno di manodopera.154 Si parla di mobilità, quando interviene il licenziamento del lavoratore, quando le imprese che hanno beneficiato della cassa integrazione non riescono, per motivi tecnici o produttivi, a reinserire tutti i lavoratori sospesi. Il personale eccedente viene licenziato e l’impresa avvia la procedura di mobilità. I lavoratori inseriti nelle liste di mobilità acquisiscono il diritto ad un’indennità e le aziende sono incentivate ad assumerli attraverso agevolazioni contributive. Anche in questo caso la misura prevede delle agevolazioni per le persone di età 153
Ivi, pag. 285 Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. ( a cura), Rapporto sulla coesione sociale 2011, www.lavoro.gov.it, pag. 45. 154
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superiore ai 40 anni: la durata del trattamento è di 12 mesi prolungabili a 24 o 36 nel caso di lavoratori che abbiano raggiunto rispettivamente 40 o 50 anni di età. Per questi lavoratori, nel Mezzogiorno e nelle aree più svantaggiate la durata massima viene elevata a 24, 36 e 48 mesi.155 Nel 2011 la spesa per le prestazioni relative all’ indennità di mobilità è stata quasi di un miliardo e mezzo di Euro. Rispetto alla ripartizione geografica dei beneficiari, il Mezzogiorno registra il 36% del totale, seguito dal Nord Ovest (28%). Inoltre, il 62,7% dei beneficiari sono uomini e il 37,3% sono donne.156
•
I lavori socialmente utili.
Il sistema dei lavori socialmente utili rappresenta uno strumento attraverso il quale fronteggiare situazioni di sempre maggiore emergenza occupazionale non risolvibili nel breve periodo, nonché un mezzo volto alla creazione di nuovi bacini occupazionali i quali, intervenendo in dei settori particolarmente sentiti dalla collettività e non garantiti né dalla pubblica amministrazione né da gestioni private, assicurano redditi minimi a favore di soggetti privi di lavoro.157 In Italia e nel resto d’Europa, il ricorso ai lavori socialmente utili si è storicamente incentrato sull’obiettivo di proteggere le parti più deboli della categoria dei lavoratori e di ridurre il più possibile il fenomeno della disoccupazione al fine di soddisfare le esigenze di sicurezza di tutta la manodopera del Paese.158
155
Ibidem. Ivi, pag. 273. 157 Francesca Costa., I lavori socialmente utili, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2011, pag.31. 158 Ivi, pag.32. 156
74
Per lavori socialmente utili si intendono tutte le attività che hanno per oggetto la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva, mediante l’utilizzo
di
lavoratori
in
mobilità,
disoccupazione
oppure
tramite
il
coinvolgimento di lavoratori inoccupati o disoccupati. La materia dei LSU è disciplinata dal decreto legislativo n.468 del 1997, il quale sancisce che i progetti di pubblica utilità posso essere attivati in diversi ambiti: •
cura e assistenza all'infanzia, all'adolescenza, agli anziani; riabilitazione e
recupero di tossicodipendenti, di portatori di handicap e di persone detenute, nonché interventi mirati nei confronti di soggetti in condizioni di particolare disagio e emarginazione sociale; -
raccolta differenziata, gestione di discariche e di impianti per il trattamento di rifiuti solidi urbani, tutela della salute e della sicurezza nei luoghi pubblici e di lavoro, tutela delle aree protette e dei parchi naturali, bonifica delle aree industriali dismesse e interventi di bonifica dall'amianto;
-
miglioramento della rete idrica, tutela degli assetti idrogeologici e incentivazione dell'agricoltura biologica, realizzazione delle opere necessarie allo sviluppo e alla modernizzazione dell'agricoltura anche delle zone di montagna, della silvicoltura, dell'acquacoltura e dell'agriturismo;
-
piani di recupero, conservazione e riqualificazione, ivi compresa la messa in sicurezza degli edifici a rischio, di aree urbane, quartieri nelle città e centri minori, in particolare di montagna; adeguamento e perfezionamento del sistema dei trasporti; interventi di recupero e valorizzazione del patri-
75
monio culturale; iniziative dirette al miglioramento delle condizioni per lo sviluppo del turismo.159 Le persone che possono usufruire di queste misure sono: -
lavoratori in cerca di prima occupazione;
-
disoccupati iscritti da oltre due anni nelle liste di collocamento;
-
lavoratori iscritti nelle liste di mobilità che non hanno indennità economica;
-
lavoratori iscritti nelle liste di mobilità percettori della relativa indennità o di altro trattamento speciale di disoccupazione;
-
lavoratori, sospesi a zero ore, che fruiscono del trattamento di Cigs;
-
lavoratori espressamente individuati a seguito di accordi per la gestione di esuberi da crisi aziendale o di area;
-
categorie di lavoratori individuati dalla Commissione regionale per l’impiego, anche per riferimento ad aree territoriali;
-
detenuti ammessi al lavoro esterno.
Questo sistema, introduce anche in Italia una politica del lavoro, un modello da tempo conosciuto nei paesi di origine anglo-americana con la denominazione di Workfare, espressione nota dalla compressione di work for Welfare, il cui significato configura lo scambio tra la prestazione assistenziale percepita e quella lavorativa prestata alla collettività.160
159
D.lgs 1 dicembre 1997 n.468 Revisione della disciplina sui lavori socialmente utili, a norma dell'articolo 22 della legge 24 giugno 1997, n. 196, Gazzetta Ufficiale n. 5 dell'8 gennaio 1998. 159 Francesca Costa, Ilavori socialmente utili, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2011, pag. 33-34. 160 Francesca Costa, Ilavori socialmente utili, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2011, pag. 33-34.
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5.2) Il ruolo della formazione. La formazione sta assumendo sempre più un’importanza strategica nel mondo produttivo, sia intesa come formazione continua durante tutto il corso della vita lavorativa (e anche oltre), sia intesa come formazione professionale. La formazione deve dunque soddisfare da una parte i bisogni formativi espressi dalle aziende, dall’altra rispondere alla crescente domanda di giovani e meno giovani di acquisire competenze che consentano loro di mantenersi sempre aggiornati rispetto ai continui cambiamenti del mercato.161 L’importanza mostrata all’aspetto formativo è evidenziata anche a livello comunitario: il trattato di Amsterdam riconosce alle politiche formative la capacità di garantire uno sviluppo economico socialmente sostenibile. L’art. 150 del Trattato attribuisce alla Comunità il compito di fissare i principi generali per l’attuazione di una politica comune di formazione professionale, promuovendo la cooperazione tra Stati membri e i sistemi di riconversione professionale.162
161
Carla Cherchi, Formazione e orientamento Life Long Learning: il ruolo strategico della formazione continua, Work in Progress, Emergenza lavoro, disoccupazione degli adulti, R.A.S, Assessorato al lavoro e Formazione professionale Cooperazione e Sicurezza Sociale- Agenzia regionale del lavoro, Cagliari, 2003, pag 63-64. 162 L’art. 149 Titolo XI, capo 3 recita «la Comunità contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la cooperazione fra gli Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione del sistema dell’istruzione, nonché delle loro diversità culturali». L’art. 150 dispone «La Comunità attua una politica di formazione professionale che rafforza ed integra le azioni degli Stati membri (…). L’azione della Comunità è intesa a facilitare l’adeguamento alle trasformazioni industriali in particolare attraverso la formazione e riconversione professionale iniziale e la formazione permanente, per agevolare l’inserimento e il reinserimento professionale sul mercato del lavoro».
77
Gli interventi in materia di formazione hanno come fine ultimo e principale l’innalzamento del livello culturale e professionale, il rafforzamento delle competenze di base in particolare linguistiche e tecnologiche. La formazione continua e l’educazione degli adulti sono centrali nell’attuazione della strategia dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita.163 In Italia, solo il 24% delle imprese investe nella formazione dei propri dipendenti, contro una media europea del 57%164; presumibilmente ciò è causato dalla tendenza delle imprese italiane ad assumere personale a tempo determinato, ragionando dunque in un’ottica di profitto a breve termine e non di investimento.165 Puntare sulla formazione è essenziale anche per la figura del disoccupato, soprattutto quando si tratta di persone di età avanzata; durante il periodo di ricerca del lavoro si può cercare di arricchire la propria professionalità e le proprie competenze soprattutto relative alle nuove tecnologie e alle conoscenze linguistiche.166 Bisogna necessariamente tenere conto, soprattutto di fronte a persone che hanno superato i 50 anni, che le capacità di apprendimento non sono uguali a quelle di un ragazzo giovane; con l’avanzare dell’età, cresce la resistenza psicologica al cambiamento, per cui, non si può pensare che la donna o l’uomo cui si chiede in età matura di sovvertire la propria esistenza non opponga alcuna resistenza.167
163
Carla Cherchi, op. cit., pag 63-64. Fonte Eurostat, Rapporto sul Mercato del Lavoro, CNEL, Commissione speciale dell’Informazione, visto in www.eurostat.eu, il 18/09/2012 alle ore 12:30. 165 AA.VV. 10 ADTDAL 10, op. cit., pag 66. 166 Ivi, pag.78-81. 167 Ibidem. 164
78
5.3) Alcune proposte di interventi legislativi. L’associazione ATDAL over 40 negli ultimi dieci anni si è fatta promotrice e portavoce della situazione che colpisce i disoccupati adulti e, grazie al continuo e costante confronto con questa emergenza sociale, ha potuto indicare alcune proposte concrete. Lo scenario con cui ci si viene a confrontare riguarda: -
un mercato del lavoro sempre più precario e flessibile;
-
strategie aziendali di ringiovanimento degli organici che colpiscono tutte le tipologie di lavoratori.
-
un costante aumento dell’età e dei requisiti per accedere alla pensione definiti dalle varie riforme promulgate negli ultimi anni.
-
il lungo periodo di crisi economica, a causa del quale, il numero delle famiglie e dei soggetti che vivono sotto la soglia di povertà è cresciuto in modo drammatico. Per molte di queste famiglie è difficile arrivare alla fine del mese, sostenere gli impegni economici assunti, garantire ai propri figli la possibilità di proseguire gli studi oppure aiutare i familiari anziani che necessitano di cure e assistenza.168
Alla luce di questa situazione, l’associazione ATDAL ha sviluppato una serie di proposte operative che possono essere così sintetizzate:
• Azioni per una riorganizzazione del mercato del lavoro. La mancanza di lavoro e quindi di reddito è una condizione che relega chi la vive
168
AA.VV. ATDAL 10,op. cit, pag.44.
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in una situazione di gravissimo disagio, in particolar modo quando questa è vissuta in età adulta. A tal proposito è importante intensificare i sistemi di tutela e di assistenza per i disoccupati estendendoli, non solo ai soggetti in attesa di occupazione, ma anche ai lavoratori autonomi in difficoltà e a determinate categorie di lavoratori precari assunti con forme contrattuali atipiche. L’istituto dell’indennità di disoccupazione verrebbe riformato aumentandone la durata; durante il periodo di disoccupazione il lavoratore verrebbe seguito dai Centri Pubblici per l’impiego i quali avrebbero il compito di individuare dei percorsi di formazione e riqualificazione della persona, offrire e reperire alla stessa nuove opportunità di lavoro coerenti alle caratteristiche professionali.
• Norme a sostegno dell’accesso al lavoro. La proposta messa in campo dall’Associazione che tutela i diritti dei lavoratori adulti suggerisce l’introduzione di norme e sanzioni più severe per contrastare ogni forma di discriminazione sia nelle offerte di lavoro che nello svolgimento delle attività lavorative all’interno di qualsiasi struttura pubblica e privata.169 La proposta prevede una radicale revisione delle normative introdotte dalla legge Biagi e dal pacchetto Treu al fine di ridurre le forme contrattuali flessibili e atipiche. Rispetto ai lavoratori over40, la proposta avanzata prevede la garanzia della precedenza nella riassunzione presso la stessa azienda qualora questa riprenda la sua
169
Ivi, pag. 48.
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attività, oltre che varie agevolazioni fiscali e contributive per il datore di lavoro che assume un lavoratore di età superiore ai 40 anni.170 I Centri per l’impiego verrebbero potenziati sia quantitativamente che qualitativamente, anche mediante l’inserimento di disoccupati over40 e verrebbero utilizzati per l’istituzione di percorsi formativi gratuiti e coerenti con i bisogni emersi dal confronto con le realtà imprenditoriali che facilitino al meglio l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.171
• Diritti previdenziali. I provvedimenti proposti in materia previdenziale si incentrano nell’offrire una soluzione alle discriminazioni venutesi a creare a danno di molti soggetti espulsi e non più riammessi nel ciclo produttivo in conseguenza delle riforme intervenute sul sistema previdenziale, oltre ad evitare il ricrearsi di situazioni di discriminazione a danno di soggetti che, a causa della perdita del posto di lavoro, non sono più nella condizione di raggiungere i requisiti previdenziali previsti dalle riforme.172 Il raggiungimento di questi obiettivi è possibile mediante consistenti modifiche ai requisiti e alle caratteristiche delle riforme vigenti.
• Misure universali di sostegno al reddito. Come osservato durante l’analisi del problema della disoccupazione adulta, il rientro del lavoratore over40 nei meccanismi produttivi si fa sempre più difficile, 170
Ivi, pag.50. Ivi, pag. 52-53. 172 Ivi, pag. 54-55. 171
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sia per le condizioni congiunturali, sia per mancanza di norme che ne agevolino il reinserimento ma anche a causa della difficoltà di scardinare il pregiudizio che fa considerare obsoleto un lavoratore di 40 anni. Per questi motivi, rispetto alle soluzioni a lungo termine, la proposta dell’Associazione che tutela i diritti dei lavoratori adulti, inserisce tra i suoi interventi l’introduzione di un reddito di sostegno visto come strumento principale per alleviare questa situazione di grave disagio sociale. Il tema del Reddito di base incondizionato, una somma che lo Stato eroga ai cittadini per consentire il soddisfacimento dei bisogni primari o comunque di quei bisogni che permetterebbero di condurre una vita dignitosa, è da tempo all’ordine del giorno non solo tra i movimenti e le Associazioni della società civile, ma anche tra autorevoli economisti e sociologi in varie parti del mondo.173 Varie forme di Reddito di Base incondizionato, o reddito di Cittadinanza, sono state introdotte in quasi tutti i paesi Europei, in varie forme, con l’eccezione della Grecia. Il raggiungimento di questo obiettivo dovrà affermarsi attraverso un processo non semplice volto al superamento delle attuali forme di assistenza e previdenza, fino alla garanzia dell’ottenimento di una tutela sufficiente al soddisfacimento dei bisogni essenziali per tutti i cittadini.
173
AA.VV. ATDAL 10, Op. Cit, pag. 60-63
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Conclusioni.
L’esclusione socio-lavorativa delle persone adulte è, uno dei problemi sociali che maggiormente ha subito le drammatiche conseguenze della crisi economica che stiamo attraversando. L’approfondimento delle dinamiche riguardanti la fascia della disoccupazione adulta ha permesso di mettere alla luce quanto questo problema sia estremamente attuale e non sempre preso in considerazione dalla Istituzioni. Perdere il lavoro, da adulti, spesso significa non riuscire a far fronte alle scadenze più impellenti: rate del mutuo, canoni di locazione, spese per la salute della famiglia, per l’istruzione dei figli, spese alimentari ecc. Se non si ha una rete di supporto (spesso rappresentata dalla famiglia, da amici o da propri risparmi), si rischia di cadere nel vortice delle
nuove povertà,
anticamera di esclusione sociale da cui è difficile porre rimedio. L’aspetto più problematico di questa situazione riguarda la grave difficoltà (spesso impossibilità) di ricollocazione causata dall’età del lavoratore, sovente vittima di discriminazioni da parte di quelle aziende che inseriscono dei limiti di età negli annunci di lavoro. La persona si trova dunque impossibilitata ad accedere non solo ad un’eventuale nuova occupazione, ma addirittura ad un semplice colloquio di lavoro; viene esclusa dalla selezione a causa dell’età, a prescindere dall’esperienza o dalla preparazione lavorativa conseguita negli anni. I dati esaminati nella tesi, oltre ad essere estremamente allarmanti, ci mostrano una situazione drammatica soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, in cui il tasso di disoccupazione adulta risulta essere doppio rispetto alle regioni centro-
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settentrionali; Il caso della Regione Sardegna e in particolare della Provincia di Nuoro è altrettanto allarmante. I dati forniti dall’Osservatorio del mercato del lavoro di Nuoro174 indicano un’incidenza della disoccupazione adulta di circa il 10%; ciò significa che una persona su dieci, sul totale della popolazione, appartiene alla categoria degli adulti disoccupati. Nell’analisi del problema è altrettanto importante non sottovalutare l’aspetto della disoccupazione di lunga durata: la persona in cerca di una nuova occupazione non riesce a reinserirsi nel mercato del lavoro e si crea una sorta di circolo vizioso per cui la probabilità di uscire dalla disoccupazione si riduce con il prolungarsi del periodo di non occupazione, il cosiddetto effetto trappola,
condizione che
produce un senso di scoraggiamento, che può tradursi in situazioni di avvilimento, apatia e senso di vergogna per la propria situazione. Per concludere, ritengo emblematico il pensiero del Dott. Stefano Giusti (fondatore dell’associazione ATDAL over 40), il quale afferma: “solo uscendo fuori dall’isolamento si ha la possibilità di far sentire la propria voce, convincendosi sull’utilità di far emergere le proprie situazioni, le proprie storie. Se questa massa per ora composta solo di individui che tendono ad agire isolatamente, saprà identificarsi e sentire una sorta di coscienza collettiva allora verrà anche considerata all’esterno”.
174
In particolare dalla Dott.ssa Liliana Brundu, funzionario amministrativo dell’Osservatorio del mercato del lavoro.
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Ringraziamenti
Desidero ringraziare le che mi hanno aiutato e sostenuto durante l’elaborazione della mia tesi di laurea. La prof.ssa Casu, mia relatrice, per i numerosi consigli che saranno senz’altro utili in futuro. L’Osservatorio del mercato del Lavoro di Nuoro e il Centro servizi per l’impiego di Macomer per i dati forniti relativamente alla situazione occupazionale della Provincia. Infine, i miei genitori, per il sostegno ed il grande aiuto dato ed in particolare per essermi stati vicino ogni momento durante questi anni di studio.
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