A.D. MDLXII
U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI S ASSARI F ACOLTÀ
DI
E CONOMIA
___________________________
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE ECONOMICHE
SPUNTI PER LA RICERCA DI UNA DISCIPLINA DEI GRUPPI SOCIETARI INTRACOMUNITARI
Relatrice: PROF.SSA MONICA COSSU
Tesi di Laurea di: MASSIMO F IORILLO
ANNO ACCADEMICO 2010/2011
Alla memoria di Nonna Santa, Armando, Graziella, Battista
INDICE 1
1. INTRODUZIONE
2. LA RESPONSABILITÀ DA ATTIVITÀ COORDINAMENTO EX ART. 2497 C.C.
DI
DIREZIONE
E
2.1 Definizione del gruppo e fondamento della responsabilità ex art. 2497
c.c.
6
2.2 Natura giuridica e onere della prova 11 2.3 Il danno e la teoria dei vantaggi compensativi: interesse sociale vs
interesse di gruppo.
17
2.4 La pubblicità del gruppo : la trasparenza dell’attività di direzione e
coordinamento (art. 2497-bis c.c.)
21
2.5 Il diritto di recesso nelle società soggette ad attività di direzione e
coordinamento 2.6 La disciplina italiana sui gruppi: un quadro complessivo
24 28
3. LE IMPLICAZIONI DELL’APPARTENENZA DI UNA SOCIETÀ PER AZIONI A UN GRUPPO COMUNITARIO 3.1 Premessa 31 3.2 La “cittadinanza” delle persone giuridiche: criteri di collegamento e lex
societatis 3.3 La libertà di stabilimento e la concorrenza tra ordinamenti
32 35
4. PROSPETTIVE PER UN DIRITTO COMUNITARIO DEI GRUPPI DI SOCIETÀ 4.1 Premessa 40 4.2 L’ambito operativo di una possibile armonizzazione della disciplina sui
gruppi: interesse di gruppo e protezione di creditori e soci di minoranza
42
4.3 La trasparenza delle strutture e delle relazioni di gruppo: la situazione
attuale 4.4 La responsabilità nei gruppi di società nel diritto tedesco 4.5 La responsabilità nei gruppi di società nel diritto francese 4.6 La responsabilità nei gruppi di società nel diritto britannico
46 50 52 54
5. CONCLUSIONI
57
6. BIBLIOGRAFIA
66
7. GIURISPRUDENZA
69
1 - Introduzione La Parte Terza del Trattato che istituiva l’Unione Europea nel 1957 può essere considerata il nucleo forte degli obiettivi per i quali essa fu costituita, ossia l’implementazione di un mercato unico comune e sopranazionale fra tutti i paesi della comunità, idoneo a reggere la concorrenza delle grandi imprese multinazionali, sfruttando le sinergie date dall’abbattimento dei costi (non solo in senso stretto) cui le imprese dovrebbero far fronte qualora dovessero invece operare in più mercati nazionali. É con tale finalità, in verità più economica che ideologica e politica, che vengono sancite le quattro libertà fondamentali, relative all’eliminazione di ogni ostacolo alla circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. Tali libertà sono il presupposto del vero obiettivo perseguito: la “libertà di stabilimento”, ossia la libera circolazione intracomunitaria dell’impresa e dell’iniziativa economica. Un Autore1 nello spiegare l’articolarsi di detta libertà afferma che “si parla di diritto di stabilimento primario quando un soggetto intende svolgere un’attività economica o professionale in uno Stato diverso da quello di origine, nel quale rinuncia ad essere stabilito. Ci si riferisce, invece, a quello secondario quando il soggetto intende conservare lo stabilimento nello Stato accanto a quello del nuovo”. Tale modalità di esercizio dell’impresa non postula una separazione (o per meglio dire, una differenza in numero) tra soggetto giuridico e soggetto economico: anche qualora si debba individuare quale sia l’ordinamento a cui esso debba fare riferimento, è pacifica l’unitarietà del centro di imputazione di interessi, diritti ed obblighi. In virtù dell’autonomia privata non è però
1
M. Colangelo, La sentenza Inspire Art: verso un nuovo mercato europeo delle regole, Rivista di Diritto Civile, 2005, pag. 262.
1
tuttavia preclusa alle persone giuridiche la possibilità di assumere partecipazioni in altri enti o società, con la conseguenza che a un esercizio effettivamente unitario dell’attività di impresa si possa contrapporre in questo caso il fatto che esso avvenga attraverso l’attività di più soggetti giuridici, legati tra loro da vincoli di proprietà o contrattuali. Nel nostro Paese la questione di una disciplina del fenomeno dei gruppi di società è stata spesso oggetto di discussione in dottrina, soprattutto in virtù della compresenza degli elementi di unitarietà e pluralità, che pongono non pochi problemi nell’identificazione giuridica del gruppo stesso e delle questioni che esso pone, nel lungo silenzio della legge che, probabilmente in modo voluto, per molto tempo ha evitato una espressa previsione legislativa dello stesso (ad eccezione dei limiti all’acquisizione di partecipazioni, già contemplati nella prima stesura del Codice del 1942). Il diritto societario è un diritto a forte vocazione nazionale. Nonostante si sia tentata una convergenza normativa alla ricerca di un comune ius civile europeo, attraverso la previsione della Società Europea (SE – Regolamento CE 2157/2001 e, a completamento, Direttiva CE 86/2001) e attraverso le Direttive di armonizzazione del diritto delle società, le iniziative volte ad uniformare i sistemi di corporate governance (prima tra tutte la Proposta di Quinta Direttiva del 1972, poi le sue successive modifiche) non arrivarono mai a compimento. Sebbene sul tema della responsabilità della controllante la Corte di Giustizia abbia avuto, almeno in parte e in un passato relativamente recente, un orientamento non troppo dissimile da quanto stabilito dal dettato normativo italiano2, rimane comunque centrale il problema della ricerca del diritto applicabile nel caso in cui la società controllante e la controllata non siano soggette al medesimo ordinamento nazionale. La libertà di stabilimento e il mutuo riconoscimento hanno 2
Corte di Giustizia Europea – C-97/08 P. In tale sentenza si ribadisce la presunzione semplice da cui scaturisce la responsabilità in solido della controllante per atti pregiudizievoli della controllata, qualora la prima controlli la seconda in una misura del 100%.
2
posto i vari ordinamenti nazionali in competizione tra loro, dato che gli operatori economici possono scegliere l’ordinamento ad essi più favorevole. L’armonizzazione del diritto societario dovrebbe essere il contrappeso a tale fenomeno competitivo: attraverso lo strumento della Direttiva si dovrebbe perseguire l’obiettivo di fornire una tutela minima comune agli investitori, ai lavoratori, ai creditori e ai terzi in genere. Durante il ventennio tra la fine degli anni ’60 e la fine degli anni ’80 la produzione normativa a riguardo è stata considerevole; a partire dagli anni ’90 tali direttive sono state oggetto di modifiche e, in alcuni casi, di abrogazione o sostituzione. Tuttavia il programma di armonizzazione non è mai stato portato a completo compimento: la Quinta Direttiva Societaria, concernente la struttura della società per azioni e i poteri ed obblighi degli organi sociali, è rimasta allo stato di proposta ed è stata recentemente ritirata; la Nona Direttiva Societaria, relativa alla gestione dei gruppi aventi come controllata una società per azioni, è rimasta allo stato di progetto. La presente trattazione si pone l’obiettivo di inquadrare quella che potrebbe essere una disciplina organica adeguata dei gruppi intracomunitari. In primis, nel capitolo 2, verrà realizzata un’ analisi della disciplina italiana relativa all’attività di direzione unitaria e coordinamento di società introdotta con la Riforma del 2003, per cercare di capire se essa possa costituire un efficiente anello di congiunzione tra interesse sociale ed interesse di gruppo, sebbene non siano poche le questioni che lascia aperte tuttora oggetto di dibattito in dottrina. Le disposizioni degli artt. 2497 e ss. c.c. sono però applicabili a tutte le società di capitali. Dopo averle descritte e analizzate nel complesso, dal capitolo successivo faremo riferimento esclusivamente alle società per azioni, dal momento che è a tale tipo societario, e ai corrispondenti tipi comunitari, che hanno guardato principalmente le direttive di armonizzazione in ambito di diritto societario.
3
Cercheremo quindi un modello efficiente da proporre, analizzando istituti di diritto positivo nazionali,
affrontando temi quali la cittadinanza delle persone giuridiche e i criteri di
collegamento fondamentali per la ricerca del diritto applicabile. Il “contratto di affiliazione”, presente nel progetto di Nona Direttiva e mutuato dal diritto societario tedesco (più precisamente dal “contratto di dominazione” regolato dalla legge azionaria del 1965), mediante il quale una società si sarebbe potuta legittimamente sottomettere al controllo di un’altra impresa, che l’avrebbe potuta utilizzare impartendole istruzioni a prescindere dagli interessi della società affiliata, avrebbe potuto rappresentare, se non una soluzione definitiva, quantomeno un istituto in grado di ridurre l’incertezza e i problemi agency conseguenti alla divergenza tra gli interessi dei soci di minoranza della controllata e quelli della società controllante. Tale impostazione è però tramontata soprattutto per via delle resistenze del fronte anglo-francese, ai cui modelli sembra guardare ultimamente la dottrina più recente che auspica un processo di armonizzazione. Nonostante si proclami da tempo l’esigenza di uniformazione, nella pratica i singoli Stati tendono ad avere un atteggiamento forse troppo protettivo o comunque teso ad avere un eccessivo riguardo verso l’impostazione tradizionale dei singoli ordinamenti nazionali. Lo statuto della Società Europea ha rappresentato un tentativo per la nascita di un sistema di Diritto Societario organico a livello comunitario, ma la scarsa diffusione che il modello ha avuto ad oggi denota quanto essa sia stata poco utile al perseguimento dell’obiettivo, e quanto sia un modello poco adatto in un contesto in cui la grande impresa sempre più spesso assume la forma del gruppo di società.
4
Nel capitolo 4 analizzeremo l’attuale situazione in materia di regime di trasparenza, e cercheremo tra gli istituti di diritto positivo esistenti un modello legale che sia in grado di limitare il disagio e le incertezze da parte di soci, creditori sociali, e altri stakeholders date dalla possibile soggezione della controllante a regole anche assai differenti da quelle presenti nel proprio Paese.
5
2 - La responsabilità da attività di direzione e coordinamento di società ex art. 2497 c.c. 2.1 – Definizione del gruppo e fondamento della responsabilità ex art. 2497 c.c. La definizione del gruppo di società è un tema che in dottrina ha fornito non pochi spunti di dibattito. Il silenzio a riguardo del Codice Civile del 1942, che prevedeva solamente la fattispecie del controllo interno od esterno tra società3, trattando quindi il fenomeno del gruppo in maniera marginale, ha dato luogo a una serie di orientamenti anche molto diversi tra loro. Alcuni Autori hanno affermato che il gruppo stesso potesse essere ritenuto una “persona giuridica”. Come però ricorda un Autore4, tale tesi sarebbe però il conflitto con quello che è il fondamento del gruppo di società (e delle società singolarmente intese in genere), ossia l’autonoma soggettività giuridica e l’inesistenza di un patrimonio unitario delle società facenti parte del gruppo stessi. Un altro Autore5, andando oltre la mera negazione dell’unitarietà del gruppo, ne ha accostato la fattispecie all’istituto dell’universitas rerum, assumendo un orientamento che vede coesistere per alcuni aspetti un’impresa unitaria, mentre per altri una pluralità di imprese, tante quante sono le società che compongono il gruppo. Tale visione è però è stata criticata dal momento che “i concetti di unitarietà e pluralità non si collocano, in questa materia, sul medesimo piano: […] fra loro plurime sono le società di gruppo, ciascuna titolare davanti ai terzi di propri diritti e di propri doveri; unica, per contro, è l’impresa che le società del gruppo concorrono ad esercitare, esercitandola la holding in modo mediato e indiretto, ed esercitandola la controllata in modo
3
Si veda la previgente disciplina ex art. 2359 e ss. C.c. P.G. Jaeger, in Le società del gruppo in Aa. Vv., I gruppi di società, Atti del convegno internazionale di studi organizzato dalla Rivista delle Società, Venezia 1995 e Milano 1996, pag. 1425 ss., ricorda che tale tesi è stata formulata nel tempo da scrittori autorevoli, ma sostanzialmente isolati. 5 G. Oppo, I principi generali del diritto, Roma, 1992, pag. 230. 4
6
immediato e diretto, dando così luogo a una forma di titolarità plurima di una medesima impresa che è nuova solo perché sono una realtà nuova i gruppi di società, ma che è tutt’altro che nuova nell’orizzonte concettuale entro il quale si è sviluppato il diritto regolatore delle attività economiche”6. Quest’impostazione tenta di superare i concetti comuni di “oggetto sociale” e di “impresa”, ma non è sufficiente al fine di inquadrare una responsabilità della holding diversa da quella garantita dall’art. 2043 c.c.: le società del gruppo restano soggetti di diritto autonomi e distinti l’uno dall’altro e la responsabilità della capogruppo e dei suoi amministratori nei confronti delle controllate, dei loro creditori e dei soci di minoranza viene ricondotta a un’ordinaria responsabilità extracontrattuale per fatto illecito nei confronti di soggetti terzi rispetto alla capogruppo, non legati ad essa da alcun rapporto giuridico preesistente. Al collegamento tra le varie imprese e alla comunanza dell’oggetto sociale non viene quindi attribuito nessun rilievo giuridico, anzi la stessa dottrina specifica come il potere della holding di impartire direttive a cui gli amministratori delle controllate spontaneamente si adeguando, non costituisce una formale trasmissione di decisioni, non essendo gli amministratori delle società operanti mandatari dell’assemblea, quindi vincolati alle istruzioni del mandante. Il problema della compatibilità tra direzione unitaria e autonomia giuridica delle società controllate, è stato organicamente affrontato da un’Autrice, la quale (anche ricalcando la visione del Galgano, v. supra) ha affermato la “diversità qualitativa” tra l’attività di direzione e coordinamento svolta dalla capogruppo e quella di competenza degli organi delle società figlie. Tale diversità “dovrebbe garantire la compatibilità di un siffatto modello organizzativo con il principio dell’autonomia di gestione delle singole società”, ma dovrebbe fondarsi su un “accordo, 6
F. Galgano, Trattato di diritto civile – Vol. IV, Padova, 2010., pag. 741. L’autore prega di notare come sia un’anomalia tutta italiana quella della diffusa idea dell’unisoggettività dell’impresa, dal momento che, analogamente, in altri ordinamenti non si dubita che siano “commercianti” i soci illimitatamente responsabili di società di persone.
7
ovvero su una duplice, convergente manifestazione di autonomia negoziale”, in tale modo sarebbe più agevole rintracciare “specifici criteri e reciproci doveri di condotta, riconducibili alla categoria degli obblighi c.d. di protezione”, inquadrabili nel più generale “dovere di collaborazione”7, rilevando quindi, alla stregua di quanto avviene con un patto parasociale, il collegamento negoziale come punto cardine dell’esistenza del gruppo. È importante sottolineare come “gli obblighi previsti dalla legge o dallo statuto per gli amministratori disciplinano il corretto svolgimento della gestione della società, e si applicano indipendentemente dalla qualifica formale e dalla posizione di chi pone in essere l’attività di gestione, ed indipendentemente dalle ‘forme’ e dalle ‘modalità’ in cui tale gestione si attua”, principio affermato dalla giurisprudenza sulla responsabilità dell’amministratore di fatto (art. 3 legge 3 aprile 1979, n. 95, c.d. legge Prodi, ora sostituita dal d.lgs. n. 270 del 1999), pertanto “nella misura in cui gli amministratori della controllante ‘gestiscono’ la controllata, è giustificato che anch’essi debbano conservare gli obblighi posti dalla legge per assicurare una corretta gestione (della società controllata), e siano responsabili quando violino tali obblighi”8. La Relazione governativa della Riforma spiega come l’impossibilità di riscontrare nel corpo di norme alcuna qualificazione giuridica del gruppo risponda a una precisa scelta del legislatore, in quanto materia in “incessante evoluzione”, e perché il problema centrale del fenomeno del gruppo fosse quello della responsabilità della controllante nei confronti dei soci e dei creditori sociali. Tuttavia la disciplina dell’art. 2497 c.c. non è sufficiente per individuare il fondamento e
7
G. Scognamiglio, Appunti sul potere di direzione, in Aa. Vv., I gruppi di società, Atti del convegno internazionale di studi organizzato dalla Rivista delle Società, Venezia 1995 e Milano 1996, pag. 2130 e ss. 8 F. Bonelli, Le responsabilità degli amministratori in Trattato delle società per azioni, Torino, 1991, pag. 410 e L. Rovelli, La responsabilità della capogruppo, in Fallimento, 2000, pag. 1098 ss.
8
la natura giuridica della responsabilità della controllante, in assenza di una qualificazione giuridica del gruppo. Sebbene il tema non sia di semplice soluzione, come dimostrato anche dalla quantità di orientamenti in dottrina, non è infrequente nel mondo del diritto e dell’economia questa convivenza tra “unità” e “pluralità”, normalmente riconducibile all’istituto del c.d. “collegamento contrattuale”. L’art. 1322 c.c. sancisce il principio dell’autonomia contrattuale: le parti possono concludere contratti appartenenti ai tipi disciplinati dalla legge o crearne di nuovi e atipici, e possono anche combinare tra loro contratti distinti in vista di una regolamentazione più adeguata dei propri rapporti. Sebbene tali contratti siano caratterizzati ciascuno in funzione della propria causa, conservando la propria individualità, essi vengono concepiti come funzionalmente e teleologicamente collegati tra loro e posti in rapporto di reciproca interdipendenza. L’esistenza del collegamento tra i vari negozi consiste nel verificare se oltre le finalità proprie di ogni frammento negoziale, venga perseguita o meno da parte dei contraenti una finalità complessiva od ulteriore, valutando l’assetto negoziale quale voluto, nella sua interezza, dai contraenti9. La società è un contratto, in particolare un contratto plurilaterale con comunione di scopo, con il quale, come enuncia l’art. 2247 c.c., due o più persone conferiscono beni e servizi per l’esercizio comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili. Il gruppo è invece un’aggregazione di una pluralità di società formalmente autonome e indipendenti l’una dall’altra, ma assoggettate a una direzione unitaria, così come unitari sono gli intenti e lo scopo economico perseguito dalle società del gruppo. Tale fenomeno è quindi inquadrabile nel concetto di collegamento contrattuale: “i vari contratti di società, pur caratterizzandosi ciascuno in funzione della propria autonoma causa e conservando la propria autonomia ed indipendenza, sono 9
A. Rappazzo, I contratti collegati, Milano, 1998, pag. 44 ss.
9
economicamente e teleologicamente coordinati tra loro in vista della realizzazione di uno scopo pratico unitario, un interesse globalmente riferibile alla complessiva catena contrattuale (l’interesse di gruppo). Nel caso di specie si assiste ad una parziale diversità delle parti fra le quali i vari negozi collegati sono stipulati, ma (…) questo aspetto non incide in alcun modo sulla configurabilità del collegamento negoziale”10. Viene quindi, come nel caso dei contratti atipici, soddisfatta l’esigenza dei contraenti di avvalersi di forme contrattuali nuove più adeguate alla regolamentazione di rapporti giuridici ed economici sempre più complessi ed articolati. Un Autore11 spiega come con l’ingresso nel gruppo la società si trasformi in qualcosa di “causalmente altro”, nel senso che “si determina in essa una novazione causale”, da cui dovrebbe discendere la possibilità per i soci che subissero una vicenda di questo tipo la possibilità di lasciare la società. Il pensiero di questo Autore avvalora la costruzione del gruppo in termini di collegamento contrattuale, mettendo in luce la “causa del contratto”, che si trasforma per effetto dell’ingresso del gruppo. La conferma della legittimità di tale orientamento è ravvisabile anche nell’orientamento del legislatore che, sebbene in modo probabilmente non sufficiente esaustivo ed oculato (v. infra, par. 2.5 e 2.6), ha introdotto specifiche ipotesi di recesso del socio in caso di ingresso uscita della società dal gruppo.
10
S. Giovannini, La responsabilità per attività di direzione e coordinamento nei gruppi di società, GIUFFRÉ, 2007, pag. 26 ss. 11 F. D’Alessandro, Il dilemma del conflitto di interessi nei gruppi di società, in Aa. Vv., I gruppi di società, Atti del convegno internazionale di studi organizzato dalla Rivista delle Società, Venezia 1995 e Milano 1996, pag. 1085 ss.
10
2.2 – Natura giuridica e onere della prova Al contrario del problema riguardante la definizione del gruppo di società, di cui si è detto che la rilevanza è più che altro teorico-dogmatica, è essenziale ai fini pratici la definizione dell’esatto onere probatorio connesso alla relativa azione di responsabilità. L’inquadramento del gruppo di società come un collegamento contrattuale di contratti di società, aiuta non poco a risolvere questo dilemma. Se infatti la responsabilità prevista dall’art. 2497 c.c. fosse qualificata come extracontrattuale, l’onere della prova nei confronti dell’attore sarebbe piuttosto gravoso, dal momento che egli dovrebbe provare, come da art. 2043 c.c., non solo il danno ingiusto, ma anche la colpa della holding danneggiante e il nesso di causalità tra la condotta e il lamentato danno. Secondo le prescrizioni vigenti, non si dovrà quindi pervenire a un giudizio di merito sull’operato degli amministratori, ma evidenziare che il danno sia riconducibile a specifiche violazioni dei principi di correttezza professionale. L’onere probatorio in capo ai danneggiati risentirebbe inoltre del fatto che spesso le direttive sono impartite all’interno del gruppo in via confidenziale, da cui la difficoltà di reperimento delle informazioni a riguardo. Inoltre una particolare realtà è data dall’informazione relativa ai rapporti intercorrenti tra le società del gruppo. La formale autonomia delle società comporta che i dati in bilancio possano non essere rappresentativi di dati reali, dal momento che i valori di scambio iscritti potrebbero essere solo nominali, ed effetto della volontà di un medesimo soggetto, rappresentativo del capitale di controllo, che attua ad esempio degli scambi infragruppo. Su tale problema la riforma è intervenuta con la disposizione di cui al 5° comma dell’art. 2497-bis c.c., secondo cui “gli amministratori devono indicare nella relazione sulla gestione i rapporti intercorsi con chi esercita l'attività di direzione e coordinamento e con le altre società che vi sono soggette,
11
nonché l'effetto che tale attività ha avuto sull'esercizio dell'impresa sociale e sui suoi risultati”. Da evidenziare che secondo tale disposizione non vadano dettagliate tutte le singole operazioni, ma si debba fornire un quadro generale della situazione. La disposizione dell’art. 2497-ter c.c. sembrerebbe invece essere tesa a fornire un livello di dettaglio maggiore, ma si tratta in realtà di disposizioni che comunque non danno una visione dinamica dell’articolarsi del rapporto di controllo. Un’altra questione che avvalora la tesi della non funzionalità dell’onere della prova come da responsabilità extracontrattuale, è quella del segreto aziendale, secondo cui l’azionista può solo conoscere le notizie strettamente indispensabili per poter esercitare consapevolmente il diritto di voto sulle materie oggetto delle deliberazioni assembleari12. È palese quindi la difficoltà per i soci di minoranza e per i creditori sociali, in quanto estranei alla gestione della società, di munirsi dei dati idonei ad assolvere l’onere probatorio che graverebbe su di essi qualora la responsabilità per attività di direzione e coordinamento fosse qualificata come extracontrattuale. Se invece la responsabilità in questione venisse qualificata come contrattuale, la regola applicabile sarebbe quella sancita dall’art. 1218 c.c., secondo la quale il debitore dovrà dimostrare che l’inadempimento è stato dimostrato da causa da lui non imputabile, mentre l’attore dovrà dimostrare invece solo l’inadempimento e il danno, con un conseguente alleggerimento dell’onere della prova. In un caso teorico a titolo esemplificativo un’Autrice13 precisa quindi che l’attore si deve limitare a constatare che gli amministratori hanno venduto i prodotti della società controllata ad un prezzo nettamente inferiore a quello di mercato (e qui si ravvisa l’inadempimento consistente nella violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale della società sottoposta 12
N. Rondinone, I gruppi di imprese fra diritto comune e diritto speciale, Milano, 1999, pag. 761. S. Giovannini, La responsabilità per attività di direzione e coordinamento nei gruppi di società, GIUFFRÉ, 2007, pag. 95 ss.
13
12
ad attività di direzione e coordinamento); e la diminuzione della redditività e del valore della partecipazione sociale (per il socio) o dalla lesione dell’integrità del patrimonio sociale (per il creditore sociale), elementi che configurano invece il danno. “Il convenuto, dal canto suo, potrà fornire le seguenti prove contrarie: a) Che l’inadempimento non sussiste, in quanto l’operazione (…) apparentemente lesiva dell’interesse della società, risponde ai canoni di una corretta gestione dell’impresa. Il convenuto potrà ad esempio dimostrare la congruità delle condizioni contrattuali relative all’operazione sospetta; b) Che l’inadempimento, e quindi la violazione della correttezza imprenditoriale, pur sussistendo , non è imputabile al convenuto. (…) La società capogruppo convenuta potrà, ad esempio, dimostrare di non aver impartito alcuna direttiva, neppure in via confidenziale, dalla cui esecuzione sia derivato il pregiudizio subito dalla società controllata, adducendo che il pregiudizio è derivato dall’autonoma iniziativa degli amministratori di quest’ultima; c) Che il danno non sussiste in quanto, come prevede l’art. 2497 c.c., risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette. Al convenuto è data la possibilità, in altre parole, di dimostrare l’esistenza di vantaggi compensativi derivanti dall’appartenenza della società al gruppo e idonei a neutralizzare gli effetti nocivi di singole operazioni gestionali, le quali, collocate in una prospettiva di più ampio respiro, trovano una giustificazione nell’ambito della politica di gruppo, da cui è ragionevole attendersi un equo profitto anche per la singola società danneggiata”.
13
Nella giurisprudenza è emblematica in tal senso una sentenza della Cassazione14, dove viene chiarito che è il convenuto a dover allegare e provare i benefici compensativi connessi al vantaggio complessivo di gruppo e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta, dal momento che è solo il convenuto soggetto idoneo a poterla dimostrare. È rilevante come l’interesse di gruppo, inteso come perseguimento di interessi comuni alle società che fanno parte dello stesso mediante l’esercizio della direzione unitaria, sia stato utilizzato in sede giurisprudenziale, già prima della riforma societaria, come criterio per valutare la sussistenza di un conflitto di interessi in capo agli amministratori o alle maggioranze assembleari delle società controllate, o la conformità di una determinata operazione all’oggetto sociale. Si tratta, pertanto, di un criterio che impone un equilibrio fra l’onere derivante dall’operazione ed un vantaggio, almeno mediato e riflesso, per la società che la compie. Prendendo ad esempio un caso successivo15, si nota una certa continuità di orientamento della giurisprudenza a dispetto invece di ciò che dovrebbe rappresentare una grande innovazione rispetto al passato dal punto di vista normativo. Nella motivazione della decisione riguardo il caso citato si legge che “deve ritenersi che l’orientamento interpretativo di dottrina e giurisprudenza supra riportato ha trovato conferma nell’evoluzione normativa” che “è arrivata a riconoscere che il gruppo di società si caratterizza per il fatto che vengono esercitati poteri di direzione e coordinamento da parte della società che ne è a capo e che proprio attraverso l’esercizio di tali poteri essa imprime un disegno unitario all’attività del gruppo: in altre parole, il potere di direzione e coordinamento esiste per il solo fatto che esiste un gruppo di società dotato 14
Cass. 24 agosto 2004, n. 16707, in Giur. Comm., 2005, II pag. 246 e Rita Gismondi, Responsabilità degli amministratori di società e teoria dei vantaggi compensativi (nota a Cass. 24 agosto 2004, n. 16707), in DirComm.it III.12 2004. Consultabile all’indirizzo: http://www.dircomm.it/2004/n.12/02.html 15 Tribunale di Biella, 17 novembre 2006.
14
di una capogruppo”. Senza perdersi in digressioni che esulino eccessivamente dal punto, ciò che rileva, e che viene evidenziato dalla sentenza su questo caso, è che il presupposto del controllo (e della relativa responsabilità) è l’esistenza del contratto di società dal momento che “il suo potere”, (della controllante), “ha fondamento e limite nel potere di supremazia dato dalla proprietà della maggioranza delle azioni”. Si va diffondendo quindi l’opinione che attribuisce natura contrattuale alla responsabilità ex art. 2497 c.c.: dal momento che la riforma ha introdotto determinati doveri comportamentali in capo al soggetto che esercita l’attività di direzione e coordinamento (osservare i principi di corretta gestione imprenditoriale delle controllate), il venir meno a di tali doveri comporta la violazione di obblighi preesistenti, seppur di fonte legale anziché contrattuale, configurando quindi una responsabilità contrattuale secondo la disciplina degli art. 1218 e ss. c.c. . Tale impostazione consente di ravvisare natura contrattuale anche alla responsabilità nei confronti dei creditori sociali, dal momento che in virtù del contratto a cui sono legati alla società, non solo sorge il loro diritto di credito, ma anche il loro diritto alla garanzia rappresentata dall’integrità del patrimonio della società debitrice16. Per esaurire l’argomento vale la pena esaminare la prescrizione ex art. 2497, 2° comma c.c., ossia la responsabilità di “chi ha comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio”. Tale norma sembrerebbe in prima battuta in conflitto con la prescrizione dell’art. 2380-bis, che conferisce agli amministratori l’esclusiva gestione dell’impresa, da cui discenderebbe
16
S. Giovannini, La responsabilità per attività di direzione e coordinamento nei gruppi di società, GIUFFRÉ, 2007, pag. 110 e ss.
15
l’esclusività anche della responsabilità. In realtà l’esclusività della gestione parrebbe essere un concetto elastico e relativo. In giurisprudenza è stato osservato come “le regole che disciplinano l'attività degli amministratori regolano, in realtà, il corretto svolgimento dell'amministrazione della società e sono quindi applicabili non solo a coloro che sono stati immessi, nelle forme stabilite dalla legge, nelle funzioni di amministratore, ma anche a coloro che si sono ingeriti nella gestione della società senza aver ricevuto da parte dell'assemblea alcuna investitura, neppure irregolare o implicita. E che, pertanto, (…) i responsabili della loro violazione non vanno individuati sulla base della loro qualificazione formale ma per il contenuto delle funzioni concretamente esercitate”17, la previsione di cui all’art. 2497 2° comma c.c., legittima quindi questo orientamento precedente, per la verità un estensione dei principi già affermati dalla Suprema corte in merito al tema della responsabilità dell’amministratore di fatto.
17
Cass., 6 marzo 1999, n. 1925.
16
2.3 – Il danno e la teoria dei vantaggi compensativi: interesse sociale vs interesse di gruppo Il fenomeno del gruppo di società porta la capogruppo, nell’intento di perseguire una politica economica soddisfacente per tutta l’impresa, a dover scegliere se sacrificare o meno gli interessi delle società controllate. L’art. 10 della legge delega (legge 366 del 3 ottobre 2001), individuava quelli che sarebbero stati i principi e i criteri direttivi della successiva riforma , in particolare il principio di trasparenza, il principio di adeguato contemperamento degli interessi coinvolti, e l’obbligo di motivare le decisioni conseguenti a una valutazione dell’interesse del gruppo, oltre alle forme di pubblicità e di adeguata tutela del socio nel momento dell’ingresso o dell’uscita dalla società. Sono molteplici infatti le situazioni e gli interessi meritevoli di tutela, ed è necessario porre dei limiti all’attività di direzione e coordinamento. Il contratto di società come disciplinato dall’art. 2247 c.c. è quel contratto mediante cui due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili. Il conseguimento degli utili è quindi lo scopo ultimo e causa giuridica della società, e l’interesse sociale rappresenta la “tendenza a realizzare tale scopo attraverso l’attuazione dell’oggetto sociale”. Tenendo fermo l’inquadramento di cui al paragrafo 2.1, ossia quello del gruppo di società visto come collegamento contrattuale dei contratti sociali che lo compongono, i vari contratti (tipici) sociali sono economicamente e teleologicamente coordinati tra loro per la realizzazione di uno scopo pratico unitario, e l’interesse di gruppo può essere definito come la tendenza alla realizzazione di tale scopo unitario. Nella stessa ottica non è difficile equiparare il nesso che si riscontra tra interesse sociale e causa del contratto di società con quello che si verifica nel gruppo
17
tra interesse di gruppo e causa del collegamento tra contratti sociali. L’interesse di gruppo si potrà definire quindi come “tendenza allo scopo del gruppo ed adeguamento dei mezzi necessari al suo raggiungimento”18. Come si può notare una siffatta definizione presenta dei tratti di ricorsività che la rendono non autosufficiente. Possiamo quindi prendere le distanze da un’impostazione che veda contrapposti interesse sociale e interesse di gruppo, data la difficoltà della statuizione di un interesse di gruppo univoco che prescinda dalla effettiva realtà delle società che lo costituiscono. Lo scopo del gruppo è originale, non coincidendo con quello della capogruppo né con quello delle società che ne fanno parte e l’interesse sociale di gruppo può essere meglio visto come “un elemento aggiuntivo che arricchisce lo spettro delle componenti dell’interesse sociale nelle singole società che ad esso fanno capo”19. La novazione causale a cui si assiste nel momento dell’ingresso della società nel gruppo20 comporta quindi un’integrazione di quello che è l’interesse sociale della singola società, che viene indirizzato verso il conseguimento di un obiettivo ulteriore. È in questo senso che va letto il 1° comma dell’art. 2497 c.c. che, stabilendo che “non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette”, istituzionalizza il c.d. “vantaggio compensativo”, ossia il soddisfacimento successivo della parte lesa a seguito di un pregiudizio in precedenza subito in virtù della sua appartenenza al gruppo, in un’ottica di contemperamento dell’interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza. A 18
S. Giovannini, La responsabilità per attività di direzione e coordinamento nei gruppi di società, GIUFFRÉ, 2007, pag. 153 19 M. Cossu, Società aperte e interesse sociale, GIAPPICHELLI, 2006, pag. 278. 20 F. D’Alessandro, Il dilemma del conflitto di interessi nei gruppi di società, in Aa. Vv., I gruppi di società, Atti del convegno internazionale di studi organizzato dalla Rivista delle Società, Venezia 1995 e Milano 1996, pag. 1085 e ss.
18
primo acchito questa disposizione sembrerebbe fugare ogni dubbio ed eliminare ogni eventuale pregiudizio subito da coloro i quali si trovassero a subire passivamente le ingerenze del soggetto che esercita il controllo. In realtà il vantaggio compensativo così come enunciato nel dettato normativo non ha chiarito quale sia l’accezione in cui esso debba essere inteso, non essendo pacifica la sua definizione ed essendosi prospettate diverse teorie volte a valorizzare i diversi interessi coinvolti: da un lato l’interesse dell’impresa di gruppo a non veder paralizzata la propria attività di direzione e coordinamento, dall’altro l’interesse di soci e creditori sociali a non veder vanificata la tutela dei propri diritti attraverso l’ammissione di compensazioni eccessivamente elastiche ed incerte. Le tesi sostenute oscillano tra due visioni opposte: quella favorevole al riconoscimento della c.d. “compensazione virtuale”, e quella, più rigorosa, che accede alla costruzione della compensazione in termini di effettività21. La Relazione ministeriale chiarisce che il “danno” a base dell’azione di responsabilità in esame “è quello derivante dal risultato complessivo dell’attività della controllante e non il danno derivante da un atto isolatamente considerato”. Non si tratterà quindi di “confrontare le singole operazioni pregiudizievoli con altre vantaggiose”, bensì “di valutare complessivamente ed unitariamente le implicazioni che per la società sono derivate dalla sottoposizione all’attività di direzione e coordinamento” si dovrà quindi effettuare “una valutazione globale, quindi sintetica, della complessiva attività” 22. Non mancano critiche su tale formulazione del vantaggio compensativo. Parte della dottrina, insoddisfatta dalla prescrizione di cui all’art. 2497 c.c., sottolinea come “un termine di riferimento di tal fatta rinvierebbe a tempo indeterminato il conteggio dei vantaggi e degli
21 22
B. Ianniello, R. Lottini, I gruppi di imprese, in Le Società, IPSOA, 2008, pag. 85. C. Angelici, Autonomia societaria nelle società per azioni, in Riv. Soc., 2000, pag. 143.
19
svantaggi della controllata imputabili alla controllante, e perciò vanificherebbe la previsione stessa di responsabilità. Deve perciò necessariamente ipotizzarsi un arco di riferimento oggettivo e temporale in relazione al quale misurare e valutare il risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento”23. La giurisprudenza stessa24 ha fornito degli orientamenti difformi, addirittura forzando il dato letterale della norma effettuando non tanto una valutazione del risultato complessivo, quanto piuttosto una precisa comparazione tra effetti negativi e positivi della singola operazione incriminata, sebbene la legge ammetta che i vantaggi per la società possano derivare anche ad altro titolo.
23 24
C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, pag. 154 e ss. Cass. 24 agosto 2004, n. 16707.
20
2.4 – La pubblicità del gruppo : la trasparenza dell’attività di direzione e coordinamento (art. 2497-bis c.c.) All’art. 10, lett. c), della legge delega del 3 ottobre 2001, n. 366, il legislatore delegante chiedeva di “prevedere forme di pubblicità dell’appartenenza al gruppo”, in nome dei principi di trasparenza [art. 2, lett. h)] ai quali dovrebbe essere ispirata la disciplina dell’attività di direzione e coordinamento. La risposta del legislatore delegato, di cui all’art.2497-bis c.c., si articola in due sottosistemi di norme che prevedono un’informazione riguardante la soggezione all’altrui attività di direzione e coordinamento, e una di tipo contabile a carico della società etero diretta. Gli adempimenti pubblicitari imposti sono i seguenti: -
1° comma: indicazione negli atti e nella corrispondenza della società diretta e coordinata della società o dell’ente alla cui attività di direzione e coordinamento è soggetta la società diretta e coordinata medesima;
-
2° comma: iscrizione in sezione speciale del registro delle imprese delle società o degli enti che esercitano tale attività (di direzione e coordinamento) e di quelli (rectius, società) che vi sono soggetti (rectius, soggette);
-
4° comma: esposizione nella nota integrativa della società diretta e coordinata di un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell’ultimo bilancio della società o dell’ente che dirige e coordina;
-
5° comma: indicazione nella relazione sulla gestione della medesima società diretta e coordinata dei rapporti intercorsi con chi su di essa eserciti la stessa attività e con le società sorelle, nonché dell’effetto prodotto da questo esercizio sull’esercizio dell’impresa sociale e sui suoi risultati.
21
I propositi del legislatore delegante sembrerebbero essere in linea con quelli che sono gli obiettivi della presente ricerca. Nell’individuazione di istituti di diritto positivo idonei a disciplinare il fenomeno dei gruppi all’interno della Comunità, è pacifico che una disciplina organica del regime di trasparenza sia fondamentale. Tuttavia viene osservato come “la pubblicità dell’appartenenza al gruppo” concorre sì al rispetto della previsione di “una disciplina del gruppo secondo principi di trasparenza”, ma effettivamente non ne esaurisce l’assolvimento dal momento che “la pubblicità del rapporto di direzione e coordinamento è necessaria ma insufficiente” e dal momento che “la pubblicità dovrebbe coinvolgere, almeno per le società aperte al mercato, l’intera struttura di governo delle società legate da rapporto di direzione, con l’indicazione dei centri decisionali effettivi ai diversi livelli, dei legami tra di essi intercorrenti, della struttura, (…) e dei processi operativi”25. Alla luce di quanto detto non sarà quindi sufficiente una disciplina che, a senso unico, sia idonea a rendere conoscibili ai soci della società figlia le eventuali conseguenze e i diversi profili di rischio dati dalla soggezione all’attività di direzione e coordinamento: “anche i soci della capogruppo dovrebbero conoscere se situazioni di rischiosità economico-patrimoniale proprie delle società figlie possano ripercuotersi sui conti della capogruppo. Correlativamente soci e creditori di queste ultime dovrebbero essere informati su rischi e vantaggi derivanti alle loro società dall’appartenenza al gruppo”26. Senza soffermarsi sugli orientamenti della dottrina, molto critici sull’impostazione del dettato normativo e che hanno elargito molti suggerimenti su quella che sarebbe invece dovuta essere la qualità dell’informazione, vale la pena sottolineare come quindi sulla società che esercita l’attività di direzione e coordinamento non incombe alcun obbligo pubblicitario ai sensi dell’art. 2497-bis c.c. 25
G. Rossi, La riforma del diritto societario, Atti del convegno di Courmayeur, 27-28 settembre 2002, Milamo, 2003, pag. 23 26 V. Cariello, La pubblicità del gruppo (art. 2497-bis c.c.): la trasparenza dell'attività di direzione e coordinamento tra staticità e dinamismo, in RDS, 2009, pag. 467.
22
1° e 2° comma. Inoltre, in assenza di una diversa previsione, le forme di pubblicità richiesta altro non sono che una mera forma di pubblicità notizia, con la conseguenza che l’iscrizione non ha in alcun modo efficacia costitutiva del gruppo, rilevando invece a tal scopo l’effettivo inizio e cessazione dell’attività di direzione e coordinamento27.
27
U. Tombari, Diritto dei gruppi di imprese, GIUFFRÉ, 2010, pagg. 28 e 29.
23
2.5 – Il diritto di recesso nelle società soggette ad attività di direzione e coordinamento Specularmente rispetto alla disciplina sulla pubblicità del gruppo, si colloca la disciplina del recesso nel caso delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento. La riforma del diritto societario ha previsto una disciplina particolare del recesso nel caso di società soggette ad attività di direzione e coordinamento, una disciplina ulteriore (in quanto compatibile, art. 2497quater c.c., ultimo comma) e più ampia rispetto a quella prevista dall’art. 2437 c.c., anch’essa rinnovata nel contesto della riforma rispetto alle disposizioni previgenti. Il nuovo art. 2437 c.c. ha previsto tre diverse categorie di cause di recesso: -
quelle necessarie, ossia ineliminabili, già presenti nella normativa previgente, che comprendono la modifica dell’oggetto sociale quando comporta un cambiamento significativo della società [co. 1, lett. a)], la trasformazione della società [co. 1, lett. b)], il trasferimento della sede sociale all’estero [co. 1, lett. c)]; quelle necessarie introdotte con la riforma, ovvero la revoca dello stato di liquidazione[co. 1, lett. d)], che comporterebbe il venir meno del diritto (già acquisito) del socio alla liquidazione della propria quota, le deliberazioni che cambino in corsa le regole del recesso ossia l’eliminazione di una o più cause di recesso [co. 1, lett. e)] la modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso[co. 1, lett. f)]; le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione;
-
quelle eliminabili dallo statuto, ossia la proroga del termine della società [co. 2, lett. a)] e l’introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari [co. 2, lett. b)];
-
altre cause di recesso determinabili dallo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (co. 4).
24
Il 5° comma dispone una deroga per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento, per cui ulteriori cause di recesso sono disciplinate dall’art. 2497-quater c.c. La prima disposizione prevede che il socio di società soggetta ad attività di direzione e coordinamento possa recedere qualora la capogruppo deliberi una trasformazione che implichi un mutamento del proprio oggetto sociale, ovvero una modifica del proprio oggetto sociale che possa consentire l’esercizio di attività che alterino in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali della società soggetta ad attività di direzione e coordinamento. Da tale dettato si evince da un lato il un limite alla fattispecie, dal momento che le modifiche che fanno sorgere il diritto di recesso sono solo quelle realmente in grado di incidere sul profilo economico e patrimoniale della società figlia, dall’altro un’amplificazione della tutela del socio, dal momento che il recesso può essere esercitato anche in presenza di un rischio solo potenziale di alterazione delle condizioni economiche e patrimoniali. Dal punto di vista del socio ciò coincide in un alterazione delle condizioni dell’investimento dal momento che “la società che dirige è in buona sostanza un concorrente della società diretta e pertanto l’ingresso di quest’ultima nel gruppo potrebbe determinare un depotenziamento delle sue armi concorrenziali e di conseguenza delle sue opportunità di profitto”28. Alla lettera b) viene sancito il diritto del socio a recedere
quando a suo favore sia stata
pronunciata, con decisione esecutiva, condanna nei confronti della società o ente capogruppo ai sensi dell’art. 2497 c.c. . Vale la pena rilevare che la condanna opera come causa di recesso anche se non ancora passata in giudicato, essendone sufficiente l’esecutività29. A tale proposito si sottolinea che tale condanna non può pronunciarsi quando il danno risulti eliminato alla luce del 28
R. Pennisi, Il diritto di recesso nelle società soggette ad attività di direzione e coordinamento: alcune considerazioni, in RDS, 2009, pag. 44. 29 Così la dottrina prevalente e B. Ianniello, R. Lottini, I gruppi di imprese, in Le Società, IPSOA, 2008, pag. 61.
25
risultato complessivo dell’attività di direzione, e che quindi rimangono aperti non pochi interrogativi riguardo la certezza del vantaggio conseguito, come da considerazioni di cui al par. 2.3. La causa di recesso che probabilmente si presta di più ad essere applicata nell’ambito dei gruppi è quella prevista dalla lettera c) dell’art. 2497-quater c.c., secondo cui il diritto di recesso sorge all’inizio e alla cessazione dell’attività di direzione e coordinamento, quando ne deriva una alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento. Coerentemente con quanto detto in merito al regime di trasparenza nel paragrafo precedente, la mancata previsione di un regime di pubblicità costitutiva comporta un possibile dilatamento delle possibilità di recesso, vista la difficoltà di individuare l’esatto inizio dell’attività di direzione e coordinamento, il quale potrebbe finire col trascendere le finalità dell’istituto del recesso stesso. Come già sulle altre norme riguardanti l’attività di direzione e coordinamento, anche per quanto riguarda l’art. 2497-quater c.c. la dottrina si è espressa in modo severo. La mancata individuazione di un ambito temporale certo di esercizio del recesso finisce per compromettere la funzione stessa dell’istituto, creando uno scompenso nel contemperamento degli interessi coinvolti, a favore dei soci, dal momento che si assiste a una possibile moltiplicazione dei conflitti e a un concreto pericolo per la stabilità dell’impresa a fronte della tutela da un rischio che in alcuni casi, come detto, potrebbe essere solo potenziale [come nel dettato della lett. a)]. Per tale finalità sarebbe utile individuare la fattispecie effettiva dell’alterazione delle condizioni di rischio, definite come le condizioni di esercizio dell’impresa che sono state alla base della decisione del socio di entrare e di rimanere fino a questo momento in società, utilizzando
26
elementi quali il grado di accentramento del gruppo, la sua strategia, la condizione nella quale si trovava la società prima dell’inizio dell’attività di direzione30.
30
R. Pennisi, La disciplina delle società soggette a direzione unitaria ed il recesso nei gruppi, in Abbadessa-Portale, Il nuovo diritto delle società, Padova, 2007, III, pag. 948 e ss.
27
2.6 – La disciplina italiana sui gruppi: un quadro complessivo Nelle intenzioni del legislatore delegante uno dei punti centrali della riforma del diritto societario sarebbe dovuto essere quello della disciplina del fenomeno dei gruppi di società. All’art. 10 della Legge delega si legge che “la riforma in materia di gruppi è ispirata ai seguenti principi e criteri direttivi: a) prevedere una disciplina del gruppo secondo principi di trasparenza e tale da assicurare che l'attività di direzione e di coordinamento contemperi adeguatamente l'interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di queste ultime; b) prevedere che le decisioni conseguenti ad una valutazione dell'interesse del gruppo siano motivate; c) prevedere forme di pubblicità dell'appartenenza al gruppo”. A parere di chi scrive, accogliendo il parere prevalente della dottrina, alla luce di tale dettato sarebbe stata più congrua una disciplina organica del fenomeno dei gruppi. La legge delega parla di previsione di una disciplina dei gruppi all’interno della quale l’attività di direzione e coordinamento sia esercitata in modo da contemperare adeguatamente gli interessi di tutti i soggetti in essa coinvolta. Nel dettato normativo degli art. 2497 c.c. e seguenti, invece, non compare mai alcun riferimento al gruppo di società né all’interesse del gruppo stesso. Come si legge nella relazione ministeriale ciò corrisponde a una precisa scelta del legislatore, visto il continuo divenire del fenomeno dei gruppi e visto anche che, come sottolineato da autorevole dottrina, mentre “la società per azioni era stata una creazione legislativa (…), il gruppo di società è, all’opposto, frutto dell’inventiva imprenditoriale e non già creazione legislativa”
31
. Appare
travisata o comunque non rispettata del tutto quella che era l’originaria intenzione del legislatore delegante: l’unico obiettivo perseguito dalla disciplina vigente sembra essere quello di porre limiti all’azione della capogruppo. Ma la non qualificazione giuridica del gruppo non rende 31
F. Galgano, Trattato di diritto civile, IV, CEDAM, 2010, pag. 710.
28
“possibile una precisa valutazione dei termini in cui le categorie di interessi presenti nella disciplina delle singole società si frappongono alle esigenze del gruppo”32. L’atteggiamento tenuto dal legislatore sembra vedere il gruppo di società non tanto come una modalità alternativa di organizzazione dell’impresa verso cui l’ordinamento è neutrale, quanto come un fenomeno in cui è insito a priori un pericolo di abuso. E, come ad esempio nella disciplina del recesso, anche da pericoli solo potenziali scaturiscono dei meccanismi che si configurano come punitivi indirettamente verso chi esercita l’attività di direzione e coordinamento, e in modo diretto verso la controllata stessa33. Condividendo l’orientamento del Forum Europaeum sul Diritto dei Gruppi di Società nella ricerca di “Un diritto dei gruppi di società per l’Europa”, ci si sente di affermare che in una disciplina dei gruppi di società a dover costituire il punto centrale non siano la pubblicità del rapporto di direzione e coordinamento e l’attribuzione di un diritto di recesso di più ampia portata al socio della eterodiretta, bensì l’informazione nei confronti di tutti coloro per cui l’esistenza del gruppo sia rilevante. Sarebbe quindi necessario informare non solo i soci della società figlia, ma anche quelli della capogruppo, nonché gli stakeholders non della società figlia ma del gruppo unitariamente inteso. I soci delle società figlie non sono gli unici esposti a rischi: anche gli interessi dei soci della capogruppo sarebbero meritevoli di tutela dal momento che eventuali situazioni di rischiosità economico-patrimoniale potrebbero ripercuotersi sui conti della capogruppo. L’informazione contabile nella disciplina italiana si segnala “più per le incertezze
32
F. Chiomenti, Osservazioni critiche per una costruzione giuridica del rapporto di gruppo fra imprese, in Riv. Dir. Comm., 1983, I, pag. 257 e ss. 33 L’art. 2497-quater c.c., nella previsione di cui alla lettera a), attribuendo il diritto di recesso al socio in seguito al potenziale mutamento del profilo di rischio comporta quindi che la società, già esposta ai “pericoli” dell’attività di etero direzione , debba anche liquidare al socio stesso la propria quota.
29
interpretative ingenerate che per la reale funzionalità delle norme dettate rispetto agli scopi con le stesse perseguiti”34. Vale la pena notare che una tale impostazione della disciplina dei gruppi non sarebbe stata contraria alle istruzioni impartite dalla legge delega. Il legislatore delegato è quindi biasimabile per aver optato per una disciplina appena sufficiente, ma assolutamente non esaustiva.
34
V. Cariello, La pubblicità del gruppo (art. 2497-bis c.c.): la trasparenza dell'attività di direzione e coordinamento tra staticità e dinamismo, in RDS, 2009, pag. 467.
30
3 – Le implicazioni dell’appartenenza di una società per azioni a un gruppo comunitario. 3.1 – Premessa. Nel capitolo precedente abbiamo analizzato la disciplina dei gruppi nel nostro Paese al fine di cogliere quelli che sono gli aspetti positivi ed evidenziare quelli per cui essa è criticabile, mettendo in risalto quindi le problematiche che non contribuisce a risolvere. Sebbene in dottrina si sia criticato lo scarso rilievo che viene attribuito all’informazione, o meglio il suo scarso dettaglio, l’impostazione di una disciplina che veda come preminente la sola tutela del socio di minoranza e del creditore, e non del gruppo nella sua interezza, è rinvenibile nella maggior parte degli ordinamenti che prevedono una disciplina del fenomeno dei gruppi, a partire da quello tedesco che per primo ha preso coscienza dell’esistenza del gruppo già nel 1965. La libertà di stabilimento e quindi la libera circolazione intracomunitaria dell’impresa, che spesso sceglie la forma del gruppo per esercitare la propria attività, comporta che sempre più spesso una medesima impresa si ritrovi soggetta a tanti ordinamenti quanti sono gli Stati in cui essa ha stabilito le proprie sedi sociali. Di conseguenza, prima di procedere all’analisi degli istituti di diritto positivo degli ordinamenti che contemplano una disciplina del fenomeno dei gruppi di società, alla ricerca di un diritto adeguato, sembra necessario in questa trattazione discorrere di quali siano le ulteriori problematiche che si devono affrontare proprio in virtù dell’appartenenza delle società del gruppo a Stati diversi.
31
3.2 – La “cittadinanza” delle persone giuridiche: criteri di collegamento e lex societatis Quando le imprese assumono carattere transnazionale e le loro attività si svolgono al di fuori dei confini nazionali, diviene rilevante l’identificazione del diritto applicabile sulla base di determinati criteri di collegamento. A differenza del diritto internazionale pubblico, regolato da disposizioni aventi origine sovranazionale, il diritto internazionale privato è sostanzialmente un diritto interno, e saranno quindi delle disposizioni interne a stabilire quando un rapporto giuridico dovrà essere disciplinato dalla legge nazionale, oppure quando dovrà essere disciplinato da una normativa straniera. In ambito internazionale si trovano principalmente tre criteri finalizzati all’individuazione della lex societatis (legge regolatrice della società): il criterio dello Stato di costituzione, tipico dell’ordinamento britannico e statunitense, che fa riferimento al luogo in cui l’ente è stato costituito o registrato; quello della sede principale (da identificarsi poi sostanzialmente con la sede reale, e non con quella solo formale) della società, tipico dell’Europa continentale; e quello del controllo, facente riferimento alla composizione degli organi sociali, ormai caduto in disuso in quanto improntato a una logica di individuazione e circoscrizione degli “interessi stranieri” nel contesto del dopoguerra35. Nel nostro Paese le disposizioni di diritto internazionale privato erano contenute negli artt. dal 17 al 31 delle Disposizioni sulla legge in generale (le c.d. preleggi), riguardanti la condizione giuridica dello straniero. Tali disposizioni si caratterizzavano per una sostanziale parità tra il diritto straniero e il diritto interno, e la regola per l’individuazione del diritto applicabile faceva riferimento all’ambiguo concetto di “nazionalità”. Sino all’emanazione della legge n. 218 del 31 35
F. Galgano, M. Marella – Diritto e prassi del commercio internazionale, in Trattato Galgano, Vol. LIV, Padova, 2010, pag. 137.
32
maggio 1995 non vi erano norme destinate a risolvere i potenziali conflitti di legge relativamente alle società e alle altre persone giuridiche, se si fa eccezione dei previgenti artt. 2505-2509 c.c. (abrogati e sostituiti successivamente con la riforma del diritto societario) che però si limitavano ad ampliare l’ambito di applicazione della legge italiana alle società costituite all’estero se avevano in Italia la sede dell’amministrazione ovvero l’oggetto principale dell’attività (art. 2505 c.c.), e a prevedere che le società costituite in Italia fossero assoggettate alle disposizioni della legge italiana anche se l’oggetto dell’attività era situato all’estero (art. 2509 c.c.). L’art. 25 legge n. 218/1995 sancisce che “Le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione”. Il criterio di collegamento per determinare la legge applicabile alle società è quello dell’incorporation doctrine, proprio degli ordinamenti di Gran Bretagna, Svizzera, Danimarca, Ungheria, Paesi Bassi e Stati Uniti, tra gli altri. Tuttavia il principio della siége réel, proprio di Francia, Germania, Austria, Belgio, Grecia, Polonia, Slovenia, Spagna e Portogallo, viene recuperato dal nostro ordinamento nella seconda parte dell’art. 25, che apporta un “eccezione correttiva” della lex societatis, stabilendo che “si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell'amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l'oggetto principale di tali enti”. A livello comunitario non esiste una norma che induca a preferire un criterio piuttosto che un altro, ciononostante gli orientamenti della Corte di Giustizia Europea lasciano desumere una propensione maggiore per l’incorporation doctrine, in quanto più opportuna a mettere in pratica il principio di libertà di stabilimento36 (v. par. successivo).
36
Emblematica la sentenza Überseering del 5 Novembre 2002, causa C-208/00, in cui la Corte di Giustizia aveva dichiarato illegittimo l’orientamento dei giudici tedeschi che avevano ritenuto decaduta la capacità giuridica (e
33
Il secondo comma dell’art. 25 legge n. 218/1995 prosegue con un elenco, non tassativo, delle materie che devono essere disciplinate dalla legge regolatrice dell’ente. Tra queste materie, ai punti h) e i), troviamo rispettivamente “la responsabilità per le obbligazioni dell’ente” e “le conseguenze delle violazioni della legge o dell’atto costitutivo”. È evidente come in un contesto economico come quello odierno, in cui la forma del gruppo transnazionale è quella prevalente per l’esercizio dell’impresa di grandi dimensioni, qualora una società italiana sia controllata da una società soggetta ad altro ordinamento, la portata della tutela garantita ad essa, ai suoi soci e ai suoi creditori in virtù dell’appartenenza di essa al gruppo risulti fortemente ridimensionata. Ciò è ancor più vero alla luce del fatto che, analizzando i vari ordinamenti nazionali degli Stati comunitari e non, l’esistenza di una disciplina particolare sui gruppi di società rappresenta l’eccezione, e non la regola. Si evince quindi una notevole disparità tra due eventuali categorie di attori che, subito un pregiudizio derivante dall’attività di direzione e coordinamento e legittimati alla relativa azione di responsabilità, si dovessero trovare a citare in giudizio per il ristoro del danno una convenuta controllante straniera piuttosto che una italiana.
processuale) della società Überseering BV in quanto non costituita secondo i dettami previsti dal diritto tedesco, e che non poteva nemmeno essere considerata società di diritto olandese in quanto aveva trasferito la sede dell’amministrazione in Germania. Per la Corte il comportamento dello Stato ospitante che nega alla società costituita conformemente al diritto di un altro Stato membro sia la capacità giuridica sia la capacità di stare in giudizio davanti ai propri giudici nazionali è in contrasto con gli artt. 49 e 54 del Trattato, in quanto contrario alla libertà di stabilimento.
34
3.3 – La libertà di stabilimento e la concorrenza tra ordinamenti Sebbene il collegamento tra il concetto di libertà di stabilimento e il fenomeno dei gruppi di società non sia di immediata evidenza, un’analisi di detta libertà e dell’evoluzione della sua interpretazione giurisprudenziale da parte della Corte di Giustizia, nonché di quelle che sono state le sue conseguenze, è sicuramente utile a far comprendere ulteriormente il perché della necessità di una disciplina normativa sui gruppi a livello comunitario. La libertà di stabilimento, secondo il dettato normativo dell’attuale art. 49 TFUE (ex art. 43 TCE), consiste nel diritto all’“accesso alle attività autonome” in uno Stato membro diverso da quello di origine, alle stesse condizioni poste dalla legislazione del Paese nei confronti dei propri cittadini (comma 2), esercitabile anche mediante “l’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro” (comma 1). L’oggetto del diritto di stabilimento è quindi un’attività economica autonoma e non salariata di natura imprenditoriale o professionale, e i fruitori di tale libertà sono non solo le persone fisiche ma anche “le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l’amministrazione centrale, o il centro di attività principale all’interno dell’Unione”, che vengono equiparate alle persone fisiche ai sensi dell’art. 54 TFUE. Relativamente alla forma stabilita dal comma 2 si parla di diritto di stabilimento primario, locuzione con cui si intende la possibilità di esercitare “un’attività economica o professionale interamente in un paese diverso da quello di origine, nel quale viene insediato ex novo o trasferito il centro dell’attività, che cessa pertanto di essere svolta nel paese di origine, perdendo ogni collegamento con esso”, mentre quella stabilita dal comma 1 richiama l’ipotesi in cui “il titolare, pur continuando ad esercitare l’attività economica indipendentemente nel proprio paese di
35
origine, apra o istituisca in un Paese diverso agenzie, succursali, filiali o sedi secondarie, iniziando così a svolgere una parte dell’attività anche sul territorio di un altro Stato”37. L’art. 52 TFUE preclude agli Stati membri di limitare tale diritto, od ostacolare l’esercizio dello stesso, introducendo “disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative che prevedano un regime particolare per i cittadini stranieri”, a meno che ciò non sia dovuto alla sussistenza di “motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica”. La Corte di Giustizia, chiamata ripetutamente a pronunciarsi sulla compatibilità di molte norme nazionali con la libertà di stabilimento, ha ricoperto nel tempo un ruolo fondamentale nella definizione dei margini di operatività del principio. In un primo momento, con la sentenza sul caso Daily Mail
38
, la Corte ritenne che il dettato
comunitario fosse contrario al diritto di una società, costituita secondo la legislazione di uno Stato membro e con sede in tale Stato, di trasferire in altro Stato membro la sede della sua direzione o amministrazione rimanendo assoggettata alle norme dello Stato d’origine. Tale orientamento era motivato dal fatto che le società esistono solo in forza di un ordinamento giuridico nazionale che ne disciplina la costituzione e il funzionamento, e ad esse attribuisce capacità giuridica e processuale. In effetti l’art. 293 Trattato CE, abrogato dal Trattato di Lisbona, prevedeva che fossero gli Stati membri a dover concludere accordi per rendere possibile il mantenimento della personalità giuridica delle società in caso di trasferimento della sede da uno Stato membro all’altro, in assenza di una normativa di armonizzazione a riguardo. Si ebbe una svolta, nel 1999,
37
E. Pederzini, Percorsi di diritto societario europeo, GIAPPICHELLI, Torino, 2011, pagg. 94-95 CGCE, 27 settembre 1988, causa 81/87, The Queen c. H.M. Treasury and Commissioners of Inland Revenue, ex parte Daily Mail and General Trust PLC.
38
36
con il caso Centros39, in cui la Corte diede un interpretazione lata ed estensiva del principio di libero stabilimento. Difatti, secondo il dettato letterale dell’art. 54 TFUE, i presupposti per beneficiare della libertà di stabilimento sono la costituzione della società in conformità alla legislazione di uno Stato membro e la localizzazione della sede, statutaria o amministrativa, o del centro di attività principale all’interno dell’Unione, mentre a nulla rileva lo svolgimento di un’attività economica nel Paese di costituzione. Un’ulteriore innovazione si è avuta con il già citato caso Uberseering (v. nt. 34), che ha messo in discussione la conformità del criterio della sede reale ai dettati comunitari. Altri spunti interessanti, sono offerti dai casi Inspire Art e Cartesio, a cui si rinvia. Nell’esercizio della sua funzione di interprete delle norme del Trattato, quindi, la Corte di Giustizia ha elaborato principi che hanno integrato, limitato e definito il diritto dei Paesi membri, contribuendo in tal modo al processo di armonizzazione comunitaria. Il fenomeno dei c.d. “arbitraggi normativi”, conseguente alla legittimazione del diritto delle società di optare per l’incorporazione nello Stato il cui ordinamento venga ritenuto più favorevole ed efficiente per i propri fini, esercitando poi l’attività in uno qualunque degli Stati membri, ha aperto la strada alla competizione tra ordinamenti. Sulla scorta del caso Centros si è creata una “nuova libertà fondamentale”, cioè quella della mobilità societaria nel mercato interno che “esprime il diritto degli operatori economici di scegliere tra i diversi tipi societari elaborati dagli Stati membri quello ritenuto da essi più utile per l’esercizio dell’impresa in forma collettiva, anche quando lo Stato della lex societatis prescelta non abbia alcun contatto con l’ente, e ciò nel contesto di una concorrenza tra modelli normativi che l’ordinamento della UE ritiene virtuosa”40.
39 40
CGCE, 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros Ltd c. Ehrvervs og Selskabsstyrelsen. M. Benedettelli, Sul trasferimento della sede sociale all’estero, in Riv. Soc., 2010, pag. 1270.
37
Con
la finalità di attrarre investimenti di capitali per l’insediamento o il trasferimento di
iniziative economiche dall’estero, e al fine di arginare la fuga delle società verso altri Stati, i Paesi dell’Unione sono indotti a modificare la regolamentazione societaria al fine di renderla “più competitiva”. C’è da chiedersi però se davvero, come sembra ritenere l’Unione, tali meccanismi diano luogo a un circolo virtuoso. I pareri della dottrina a riguardo non registrano unitarietà di vedute: se da un lato la creazione di un “mercato delle regole” può rivelarsi uno strumento idoneo a stemperare le profonde divergenze normative tuttora esistenti tra i diversi stati, mettendo in essere un’armonizzazione “dal basso”41, dall’altro si sottolinea come ciò possa portare ad una pericolosa corsa al ribasso, verso quindi l’adozione di norme meno severe e restrittive, al fine di attrarre sul proprio territorio il maggior numero di società. È palese quindi il rischio che vi sia un incentivo, per i legislatori nazionali, ad adottare norme volte ad attenuare le garanzie e tutele a favore dei soci di minoranza, dei creditori, dei terzi, in favore di un quadro normativo che risulti più appetibile da parte di soci di comando, da amministratori e management. Il raggio d’azione delle norme nazionali a tutela, ad esempio, del socio di società soggetta ad attività di direzione e coordinamento risulta enormemente ridimensionata dalla “via di fuga” concessa alle società in virtù del diritto di stabilimento. La tutela di soci di minoranza e creditori, nel contesto normativo del diritto di stabilimento, rischia di essere solo virtuale, e non effettiva. Sebbene non si neghi l’importanza dell’attività di
41
V. Allotti, F. Pernazza, Trasferimento della sede effettiva delle società in Europa e libertà di stabilimento, in Società, 2003, pag. 909, in cui si afferma che “l’opera di armonizzazione non sarà più necessariamente perseguita attraverso la formazione comunitaria, conseguendo di fatto dalle successive modificazioni degli ordinamenti nazionali ispirate da un meccanismo di imitazione/concorrenza.”
38
armonizzazione “riflessiva”,
un’armonizzazione “protettiva”42 almeno minima sembra
quantomeno necessaria. Tale problematica si evidenzia più che mai nell’ambito del fenomeno dei gruppi societari, tema su cui un’armonizzazione comunitaria è del tutto assente. Portando ad esempio la disciplina italiana, il dettato normativo letterale non chiarisce se il rinvio del 2° comma dell’art. 2497-quater c.c. alle disposizioni generali sul recesso consenta ai soci di esercitare tale diritto in seguito a un trasferimento all’estero della controllante. E nemmeno il 1° comma contempla tale eventualità. Se ciò fosse portato alle estreme conseguenze, e tutte le società “agent” interessate a sottrarsi alla disciplina sui gruppi optassero per il trasferimento in un altro Stato membro, l’assenza di una direttiva di armonizzazione che garantisca quantomeno standard minimi di tutela da rispettare in tutti i paesi dell’Unione configurerebbe l’inefficacia di fatto di qualsiasi norma a tutela dei soci di minoranza e dei creditori, “principal” del rapporto, in difetto di informazione rispetto agli agenti.
42
M. Colangelo, in La sentenza Inspire Art: verso un nuovo mercato europeo delle regole?, in Riv. Soc., 2005, p. 275, definisce armonizzazione “protettiva” quella attuata attraverso l’emanazione di direttive o regolamenti; con il termine armonizzazione “negativa” la disapplicazione da parte dei giudici delle norme interne in contrasto con il diritto comunitario; armonizzazione “riflessiva” quella che abbiamo definito armonizzazione “dal basso”.
39
4 - Prospettive per un diritto comunitario dei gruppi di società 4.1 – Premessa Quello della ricerca di una disciplina organica in grado di risolvere o quantomeno limitare i problemi fin qui evidenziati, non è sicuramente un problema nuovo. Già durante la fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 la Commissione Europea elaborò una proposta di Nona Direttiva sui gruppi societari, fortemente ispirata al modello del Konzernrecht tedesco, che fu però abbandonata per via della mancanza del un consenso da parte di alcuni degli Stati membri (in particolare Francia e Gran Bretagna). Tale progetto forniva una normativa dettagliata volta a proteggere la società figlia dai rischi che avrebbe potuto comportare il controllo esterno; notevole importanza era data alla trasparenza e pubblicità delle relazioni economiche intercorrenti tra l’impresa madre e l’impresa figlia. Nel 1998 fu poi il Forum Europaeum sul Diritto dei Gruppi di Società43, composto da grandi accademici di diritto societario, ad elaborare una possibile definizione del gruppo44 e la proposta di un insieme di regole che garantissero degli standard minimi comuni all’interno dell’Unione, volti a conseguire obiettivi di trasparenza attraverso un’esaustiva informazione contabile e non solo,
che
coinvolgesse non solo la società madre, bensì il gruppo nella sua interezza. All’inizio degli anni Duemila la Commissione istituì un comitato denominato “High Level Group of Company Law
43
European Business Organization Law Review (EBOR) I, 2000, pagg. 165 e ss.; Forum Europaeum sul diritto dei Gruppi di Società, Un diritto dei gruppi di società per l’Europa, in Riv. Soc. 2001, pagg. 371 e ss.; . 44 Un diritto dei gruppi di società per l’Europa, in Riv. Soc. 2001, pagg. 340 e ss., il Forum raccomanda all’Unione (raccomandazione da inoltrare poi agli Stati membri) che, al fine di legittimare l’operatività del gruppo, debbano sussistere le seguenti condizioni: “1. Il gruppo è strutturato in modo equilibrato e stabile; 2. la società del gruppo è inserita in una politica coerente e stabile; 3. gli amministratori possono ragionevolmente ritenere che i pregiudizi (in particolare quelli relativi alla privazione di opportunità di affari) vengano compensati da vantaggi entro un periodo di tempo prevedibile”.
40
Experts”45, per dare un input operativo alla risoluzione del problema. Tale comitato propese per un’impostazione che non vedeva di buon occhio l’introduzione di una disciplina “nuova” sui gruppi, suggerendo piuttosto l’individuazione da parte della Commissione Europea di quegli istituti di diritto societario esistenti nei diversi Stati in grado di fornire una risposta adeguata. Sono molto interessanti gli spunti offerti dal “Reflection Group on the future of EU company Law” (su cui v. infra) che di recente (2011) ha cercato di evidenziare i problemi dell’attuale diritto societario europeo nel suo complesso, analizzando e suggerendo soluzioni ove opportune. Nei paragrafi seguenti, condividendo l’impostazione dell’ “High Level Group of Company Law Experts” (il c.d. Rapporto Winter), dopo aver delineato l’attuale regime di trasparenza in materia di gruppi, analizzeremo più o meno approfonditamente gli istituti di diritto societario esistenti in materia di responsabilità nei gruppi societari, al fine di individuare quelli che potrebbero essere idonei a costituire il nucleo forte di una disciplina organica del fenomeno. Prima di procedere a ciò, ci sembra però necessario cercare di capire quali siano gli obiettivi a cui tale ricerca debba essere ispirata, e quali siano le argomentazioni a suo favore.
45
Report of the High Level Group of Company Law Experts on a Modern Regulatory Framework for Company Law in Europe, 2002, (il c.d. Rapporto Winter).
41
4.2 – L’ambito operativo di una possibile armonizzazione della disciplina sui gruppi: interesse di gruppo e protezione di creditori e soci di minoranza Il lavoro del Reflection Group on the future of EU company Law del 2011, nella parte dedicata ai gruppi societari, individua gli argomenti che dovrebbero essere la colonna portante di una disciplina comunitaria sui gruppi, ossia il riconoscimento dell’interesse di gruppo e le modalità di protezione di creditori e soci di minoranza della controllata. Una disciplina idonea a garantire una gestione ottimale del gruppo, specialmente su base transnazionale intracomunitaria, dovrebbe innanzitutto consacrare il concetto di interesse di gruppo. “Così come gli amministratori della singola impresa devono perseguire l’interesse sociale, allo stesso modo l’impresa madre potrebbe essere investita del diritto ma anche del dovere di amministrare il gruppo e le imprese che lo costituiscono in conformità con l’interesse complessivo del gruppo. Agli amministratori delle imprese comunitarie controllate, invece, potrebbe essere consentito, senza che ciò costituisca un obbligo, di prendere in considerazione l’interesse del gruppo”46. Un’impostazione di questo tipo rappresenterebbe un “porto sicuro” sia per gli amministratori delle imprese madri che per quelli delle società sussidiarie contro l’eventualità di azioni di responsabilità civile e penale contro di essi per via di atti messi in essere prendendo in considerazione l’esistenza del gruppo nella sua interezza e agendo quindi secondo il suo interesse, ma non secondo quello della singola impresa. Secondo tale impostazione se, per esempio, una controllante tedesca detenesse il controllo di una sussidiaria nel Regno Unito e di una in Italia, gli amministratori delle imprese controllate potrebbero essere sollevati dal loro dovere di agire “nel miglior interesse della società”, previsto dalla legge britannica e da quella italiana, e far invece riferimento, in modo del tutto legale, al “miglior interesse del gruppo”. 46
Report of the Reflection Group on the Future of EU Company Law, Bruxelles, 5 aprile 2011, pagg. 61 e ss.
42
È chiaro come un’impostazione come quella del punto precedente ponga problemi in materia di adeguatezza della protezione garantita agli stakeholders della sussidiaria. Nell’elaborazione di una disciplina della responsabilità che costituisca un contrappeso adeguato alla previsione legale di atti posti in essere non nell’esclusivo interesse della società, l’Unione Europea dovrebbe in primis considerare quali siano le circostanze in cui tale protezione debba aver luogo e, in secondo luogo, se tali circostanze si possano rinvenire in modo uniforme in tutta l’Unione. Secondo un orientamento confermato in sede giurisprudenziale dalla Corte Europea47, vi è presunzione semplice di responsabilità in solido della controllante qualora sussista un controllo sul 100% dei voti della controllata, e non vi è ragione per dubitare del fatto che tale previsione, intrinsecamente volta a proteggere i soli creditori sociali, possa essere, per così dire, istituzionalizzata. Una protezione di portata più ampia sarebbe invece garantita da un regime di responsabilità applicabile anche nel caso in cui il controllo esercitato sulla sussidiaria non sia totale, volto quindi a tutelare non solo i creditori ma anche i soci non di controllo. Su tale argomento è stato raccomandato48 che, qualora ritenesse che vi siano le circostanze per optare per tale tutela più ampia, l’Unione Europea dovrebbe imporre alle imprese di gruppo di “perseguire un bilanciamento tra costi e benefici” relativamente a ogni istruzione dell’impresa madre alla sussidiaria “in modo da evitare che i creditori e gli altri stakeholders possano subire pregiudizi arbitrari e”, soprattutto, “non compensati, derivanti da tali istruzioni impartite dall’impresa madre”. Tesi contrarie alla necessità di tale previsione legislativa enunciano che, qualora una società madre volesse stabilire una società figlia per farle perseguire il proprio interesse, sarebbe
47 48
Corte di Giustizia Europea – C-97/08 P. Azko Nobel NV and Others c. Commissione delle Comunità europee. Report of the Reflection Group on the Future of EU Company Law, Bruxelles, 5 aprile 2011, pag. 62.
43
superfluo l’utilizzo di una società sussidiaria, ma sarebbe più indicato il mero stabilimento di una succursale nell’altro Paese, in modo appunto da non dar luogo al conflitto di interesse insito nell’attività di direzione, dal momento che è prevista e ben regolamentata questa possibilità. In ogni caso potrebbero essere anche altri e non immediati gli interessi perseguiti dalla società madre, e non è detto che essi abbiano esclusivamente uno scopo estraneo a quello che si perseguirebbe nell’interesse dell’impresa figlia, per la quale potrebbero derivare comunque vantaggi dall’appartenenza al gruppo. Argomentazioni a favore della necessità di tale previsioni di armonizzazione possono essere le seguenti: In primo luogo il riconoscimento dell’interesse di gruppo a livello comunitario sarebbe d’aiuto alle imprese madri, dal momento che comporterebbe un grande risparmio in termini di costi di informazione, non dovendo procedere le imprese madri, in occasione di ogni transazione, all’analisi del quadro normativo vigente nei Paesi a cui le società figlie fanno riferimento. Un’armonizzazione o un’uniformazione condurrebbero senz’altro a condurre in modo più economico gli affari transfrontalieri intracomunitari, o quantomeno non in modo più costoso di quanto invece comporterebbe avere un quadro normativo di riferimento comune. Non meno degno di nota è inoltre il fatto che, sebbene si sia asserito nel precedente capitolo che la competizione tra ordinamenti possa portare a quella che abbiamo definito “armonizzazione riflessiva”49, un’armonizzazione per imitazione e competizione è solo un eventualità, e non una certezza. Ci sentiamo di affermare, invece, che il riconoscimento legale dell’interesse di gruppo a livello comunitario garantirebbe senz’altro una maggiore flessibilità nella gestione dell’impresa
49
V. nota 40.
44
di gruppo da parte della società madre, senza che essa incontri ostacoli derivanti dalle asimmetrie tra il proprio ordinamento e quelli che invece non siano altrettanto flessibili. Un’armonizzazione sotto questo profilo sarebbe senz’altro virtuosa, non solo dal punto di vista del miglioramento delle possibilità di esercizio della libertà di stabilimento, ma anche dal punto di vista della certezza del diritto, coerentemente con i fini dell’armonizzazione societaria europea50. Un intervento normativo da parte dell’Unione Europea sarebbe giustificato dalla natura transnazionale di molti gruppi, costituirebbe un’occasione per gli Stati che hanno aderito alla rigida e datata impostazione tedesca per abbandonarla in favore di una nuova, comune e più flessibile, e risolverebbe le disparità di trattamento in sede di giudizio che si ritroverebbe a subire un’attrice in che abbia citato una convenuta proveniente da altro Stato membro piuttosto che dal proprio.
50
Nella Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento del 21 maggio 2003, dal titolo “Modernizzare il diritto delle società e rafforzare il governo societario nell’Unione Europea – Un piano per progredire” si legge: “l’interpretazione data a questo articolo”, l’art. 50 TFUE, “vi ha letto due importanti ragioni che giustificano l’adozione di iniziative comunitarie nel campo del diritto delle società: a) facilitare la libertà di stabilimento delle imprese: l’armonizzazione di un numero di requisiti minimi rende più facile per le imprese stabilirsi in altri Stati membri con un quadro normativo simile; b) garantire la certezza del diritto nelle operazioni intracomunitarie: la presenza di una serie di garanzie comuni è infatti fondamentale per creare un clima di fiducia nelle relazioni economiche transfrontaliere”.
45
4.3 – La trasparenza delle strutture e delle relazioni di gruppo: la situazione attuale Come anticipato in premessa, con il Forum Europaeum (1998) e col rapporto Winter (2002) fu raccomandato alla Commissione, per quanto avrebbe riguardato i lavori futuri, di adottare provvedimenti dove centrale fosse il ruolo dell’informazione, ispirati a finalità di massima trasparenza. Si scrisse in particolare che era necessaria “una maggiore divulgazione della struttura e delle relazioni intercorrenti” e che “ogni società madre dovrà essere responsabile per la divulgazione di informazioni coerenti e precise. La Commissione dovrebbe rivedere le disposizioni della Settima Direttiva sul diritto societario alla luce della necessità di una migliore divulgazione delle informazioni di natura finanziaria, e considerare se i miglioramenti possono essere resi coerenti con i principi contabili internazionali (IAS). Per quanto riguarda la divulgazione delle informazioni di natura non finanziaria, si dovrebbe garantire che – specialmente se sono coinvolte società quotate – sia dato al mercato e al pubblico un quadro chiaro della struttura di governance del gruppo, tra cui crossholdings e patti parasociali. Inoltre potrebbe essere richiesto alle società di fornire informazioni ulteriori nel momento in cui entrano o escono dal gruppo”51. Il livello e la qualità del regime di trasparenza delle società quotate sono stati notevolmente migliorati da allora, a partire dall’adozione nel 2004 della Direttiva sulla trasparenza52 e della Direttiva sulle offerte pubbliche d’acquisto53. Allo stesso modo hanno contribuito le modifiche
51
High Level group of Company Law Experts on a modern regulatory framework for company law in Europe, 2002, pag. 18. 52 Direttiva 2004/109/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 dicembre 2004, sull’armonizzazione degli obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti i cui titoli sono ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, e che modifica la Direttiva 2001/34/CE. 53 Direttiva 2004/25/EC del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 sulle offerte pubbliche d’acquisto.
46
intervenute sulla Settima direttiva sui conti consolidati e l’adozione di molti standard IFRS (ad esempio IAS 24 sulle operazioni con parti correlate). In particolare, per le società quotate è previsto l’obbligo di allegare alla relazione sulla gestione una dichiarazione sul governo societario, con un elevato dettaglio di informazione riguardo il codice di governo societario, le modalità di funzionamento di tutti gli organi societari, la descrizione delle caratteristiche e del funzionamento dei sistemi di controllo interno54. L’obiettivo della dichiarazione è quello di rendere accessibili agli azionisti (tant’è che non è necessario un alto livello di competenze per essere in grado di studiarla) le informazioni chiave riguardo le pratiche di governo societario che vengono effettivamente attuate, compresa una descrizione delle caratteristiche principali dei sistemi di gestione dei rischi e dei controlli interni, nonché informazioni riguardanti i sistemi di gestione dei rischi e dei controlli interni in riferimento al gruppo. L’obiettivo di trasparenza nei gruppi societari si articola, almeno teoricamente, su tre livelli55: il livello della formazione, quello della struttura, e quello della gestione. a) La “trasparenza della formazione del gruppo” comporta che la creazione o l’esistenza del gruppo debbano essere divulgate al pubblico o comunque ai terzi mediante strumenti adeguati. Grazie alla “Direttiva sulla Trasparenza” del 2004, oramai la formazione dei gruppi che avviene mediante l’acquisizione di quote in società quotate è abbastanza trasparente nella maggior parte dei Paesi europei, dati i doveri di informazione
54
Quarta direttiva societaria, 78/660/CEE, art. 46-bis. Questa l’impostazione rinvenibile nel Report of the Reflection Group on the Future of EU Company Law, Bruxelles, 5 aprile 2011, pag. 71. 55
47
conseguenti ad acquisizioni che comportino il raggiungimento o il superamento di determinate quote56; b) La “trasparenza della struttura del gruppo” attiene fondamentalmente all’informazione relativa a quali siano le società incluse all’interno del perimetro di un gruppo societario. A norma della Settima direttiva societaria relativa ai conti consolidati, l’allegato (in Italia, nota integrativa) deve riportare
“ Il nome e la sede delle imprese incluse nel
consolidamento; la quota di capitale che nelle imprese incluse nel consolidamento diverse dall'impresa madre è detenuta da ciascuna delle imprese incluse nel consolidamento o da una persona che agisce in nome proprio ma per conto di tali imprese57”. La conseguenza di ciò è che ora la stragrande maggioranza degli ordinamenti europei dispongono che la nota integrativa (e i suoi equivalenti all’estero) del bilancio consolidato debba non solo identificare le società che costituiscono il gruppo, ma anche fornire un’informazione dettagliata riguardo la natura e il tipo di relazioni che intercorrono tra esse58. Parimenti, a ulteriore conferma, gli standard IAS 27 sul bilancio consolidato e la contabilizzazione delle partecipazioni in controllate, impongono che debbano essere forniti dettagli su “il tipo di legami tra la capogruppo e la controllata della quale la capogruppo non possiede, direttamente o indirettamente attraverso controllate, più della metà dei voti esercitabili in assemblea”; c) la “trasparenza della gestione e del funzionamento del gruppo” riguarda essenzialmente l’informazione sui rapporti tra le società costituenti un gruppo, in particolare quelli tra la
56
Ad esempio: art. 120 TUF; art. L. 233-13 Codice del Commercio francese; §§ 21 e ss. del WpHG tedesco. Settima direttiva societaria, 83/349/CE, art. 34, comma 2. 58 Ad esempio: art. 2427 c.c.; art. L. 233-16 Codice del Commercio francese; § 313 del “HGB” tedesco; sec. 409 del “Companies Act” britannico. 57
48
società madre e le sue sussidiarie. Gli stati che hanno adottato il modello tedesco59, prevedendo quindi una disciplina organica dei gruppi, si sono dotati di norme che garantiscono la pubblicità della natura, del contenuto e del significato patrimoniale delle relazioni e delle transazioni tra la capogruppo e controllate, regolamentando il potere di direzione della prima sulle seconde60 (nel caso del gruppo legale, v. infra) o compensando tutti i possibili svantaggi61 (nel caso del gruppo di fatto, v. infra). Anche in alcuni Stati dove non è rinvenibile una disciplina organica dei gruppi si possono osservare disposizioni che perseguono lo stesso obiettivo: in Italia le imprese soggette ad attività di direzione e coordinamento devono fornire informazioni dettagliate riguardo le decisioni influenzate da tale attività (2497-ter e 2428 c.c.); in Francia, in caso di giudizio, è richiesto di fornire informazioni riguardo la struttura del gruppo e il bilancio tra costi e benefici conseguenti il rapporto tra società madre e sussidiaria. Almeno per quanto riguarda la trasparenza, gli standard attualmente imposti dal dettato comunitario non sembrano soffrire di particolari manchevolezze, anche se alcuni62 hanno obiettato che la comprensibilità dell’informazione contabile dovrebbe essere improntata al cosiddetto “investor-friendly standard”, ossia che tale informazione per soddisfare davvero le esigenze di trasparenza richieste dovrebbe essere facilmente comprensibile anche a chi non ha una preparazione di alto livello in materia di analisi di bilancio. Tale impostazione è rinvenibile nella dichiarazione sul governo societario, ma non anche sulle informazioni di pubblicità da inserire nella nota integrativa. 59
Si rinvia al paragrafo successivo per una descrizione più articolata. Ad esempio il dovere di coprire le perdite della sussidiaria su base annua, come disposto dal § 302 del “AktG” tedesco 61 § 311 del “AktG” tedesco. 62 Report of the Reflection Group on the Future of EU Company Law, Bruxelles, 5 aprile 2011, pag. 62 e ss. 60
49
4.4 – La responsabilità nei gruppi di società nel diritto tedesco Come abbiamo già accennato, l’ordinamento tedesco è stato il primo a dotarsi di un diritto volto a disciplinare la costituzione e il funzionamento dei gruppi di società. La legge azionaria del 1965 (AktienGesetz) distingue due categorie di gruppi: i gruppi di diritto e i gruppi di fatto. I gruppi di diritto sono quelli che si costituiscono per effetto di un contratto di impresa. La legge prevede cinque diversi tipi di contratti, tra i quali i due più importanti sono il contratto di controllo (Beherrschungsvertrag), il quale permette alla società madre di impartire direttive alla sussidiaria, e il contratto di trasferimento dei benefici (Gewinnabfuhrungsvertrag), che obbliga la sussidiaria a versare i propri profitti alla società madre. In entrambi i casi, a fronte dei vantaggi conseguiti, la capogruppo sarà obbligata a ripianare le perdite della società figlia. I gruppi di fatto sono invece quelli di cui, pur non essendovi un contratto d’impresa a costituirli, si presume l’esistenza quando vi è una partecipazione di maggioranza da cui derivi, di fatto, una situazione di controllo. In questo caso la società madre non può compiere atti pregiudizievoli degli interessi della controllata63. Ai sensi dei §§ 311 e ss. dell’AktienGesetz, qualora vengano compiuti atti che travalichino gli interessi della controllata, sorge in capo alla società controllante l’obbligo di risarcire il danno, in particolare la compensazione finanziaria per tutte le operazioni svantaggiose che la controllata è stata indotta a intraprendere. La controllante non è responsabile quando vi sia comunanza tra i suoi interessi e quelli della controllata64.
63
Disciplina dei gruppi di società nella Repubblica Federale Tedesca, in Gran Bretagna, in Francia e negli Stati Uniti in “Documentazione per le commissioni parlamentari” Camera dei Deputati, Servizio Studi, 1988. 64 Così Krieger, in: Hommelhoff/Stimpel/Ulmer, Der qualifizierte faktische GmbH-Konzern, 1992, pag. 41.
50
I principali tipi di responsabilità previsti sono tre: responsabilità per sottocapitalizzazione della controllata, responsabilità per confusione dei patrimoni e delle sfere giuridiche della controllante e della controllata, responsabilità per direzione pregiudizievole. Il problema dell’onere della prova (di cui al par. 2.2.) in Germania viene risolto tramite lo strumento della presunzione: l’attore dovrebbe dimostrare che vi sia stata un opera di induzione nei confronti degli amministratori della controllata da parte di quelli della controllante. Tale circostanza si presume qualora contestualmente a un danno in capo alla controllata si sia prodotto un correlativo vantaggio per la dominante. L’impresa controllante è considerata responsabile accanto ai suoi “legali rappresentanti” solo nel caso dei gruppi di fatto65, mentre nel caso dei gruppi di diritto gli amministratori dell’impresa controllante sono responsabili nei confronti dell’impresa controllata, alla quale devono impartire direttive con la diligenza dell’amministratore “ordinato e coscienzioso”66.
65 66
§ 317 AktienGesetz. § 309 AktienGesetz.
51
4.5 – La responsabilità nei gruppi di società nel diritto francese Il diritto francese non contempla una previsione legale del gruppo di società: esso è considerato una mera situazione di fatto, effetto dell’autonomia privata. Qualora vi sia un controllo esterno, la società madre viene qualificata dall’ordinamento francese come administrateur de fait, in modo che su di essa si possa far valere l’azione di responsabilità di cui all’art. 244 della legge 66-537, che prevede la responsabilità civile degli amministratori per i fatti commessi nell’esercizio delle loro funzioni. L’amministratore di fatto è “ogni persona fisica o morale che prende effettivamente le decisioni senza esercitare una funzione ufficiale nella società”67. A norma dell’art. 180 della legge 85-98 del gennaio 1985 “quando un fallimento o una liquidazione mostrino un’insufficienza dell’attivo patrimoniale il giudice, qualora una cattiva gestione abbia contribuito a determinare l’insufficienza di risorse, può disporre che i debiti della società siano in tutto o in parte, in solido o meno, a carico dei dirigenti di diritto o di fatto” e, a norma dell’art. 179 della medesima legge, le previsioni di questo stesso titolo si applicano anche ai dirigenti, persone fisiche o morali. Così come avviene nel diritto tedesco, anche nell’ordinamento francese l’onere della prova viene attenuato: secondo il dettato del citato art. 180, bisogna dimostrare che “una cattiva gestione abbia contribuito a determinare l’insufficienza di risorse”, tuttavia l’art. 182 della medesima legge sanziona l’“abuso dei beni sociali” e non richiede la prova del nesso eziologico tra la gestione abusiva del gruppo e il dissesto della società figlia68.
67
S. Öztek, La protection des actionnaires externs dans les groups de societies dirigés par une société olding: etude de droit français avec reference au droit Suisse et au droit turc, Nouvelle Imprimerie du Léman, 1982, pag. 339. 68 G. Reiner, Introduction dans la problématique de la responsabilité dans les groupes de sociétés en France et en Allemagne, Monaco di Baviera, 1995, di cui un estratto in lingua francese è consultabile all’indirizzo http://www.gunterreiner.de/reiner1995_gesellschaftsinteresse_fr.htm.
52
A differenza di quanto avviene nell’ordinamento tedesco, invece, secondo il diritto francese “la società controllante di un gruppo non deve indennizzare la controllata per poterle ordinare di agire nell’interesse del gruppo piuttosto che nel proprio, nella misura in cui il gruppo a) sia stabile, b) persegua una politica gestionale coerente, c) distribuisca equamente tra le singole componenti oneri e benefici derivanti dalla struttura di gruppo”69. Secondo autorevole dottrina “l’esperienza europea suggerisce che l’approccio francese incentrato sull’“impresa” rifletta l’attuale pratica delle strutture di gruppo in Europa meglio delle regole di indennizzo del Konzernrecht. A quanto pare né i soci di minoranza né i creditori prendono particolarmente sul serio le norme tedesche sull’indennizzo fino al momento in cui una società controllata non sia insolvente a prossima all’insolvenza (…). Ne deriva un diffuso scetticismo sulle regole tedesche, che rende così l’approccio francese il modello principale per l’armonizzazione europea”70.
69
Principio affermato dalla Cour de Cassation nel famoso caso Rozenblum, sulla cui giurisprudenza si base la disciplina di gruppo in Francia. 70 European Business Organization Law Review (EBOR) I, 2000, pagg. 165 e ss.; P.Hommelhoff, Protection of Minority Shareholders, Investors and Creditors: The Strengths and Weaknesses of German Corporate Group Law in Business Organization Law Review (EBOR) 61, 2001, citati in Kraakman, Davies, Hansmann, Hertig, Hopt, Kanda, Rock, a cura di L. Enriques, Diritto societario comparato, Il Mulino, 2006, pag. 108.
53
4.6 – La responsabilità nei gruppi di società nel diritto britannico Rispetto agli ordinamenti continentali, il diritto del Regno Unito è più orientato alle reali conformazioni del fenomeno economico piuttosto che alle barriere formali. Ne discende che il problema del “superamento della personalità giuridica”, reso con l’espressione piercing the corporate veil, è stato affrontato in dottrina e giurisprudenza con meno resistenze dogmatiche rispetto a quanto sia avvenuto negli ordinamenti di civil law. Il principio della Separate Entity Doctrine71 sancisce che ogni società costituisca un’unità separata e distinta rispetto ai propri membri, che sono responsabili solo nella misura in cui abbiano partecipato nella società, con la conseguenza che, all’interno di un gruppo, ogni società sussidiaria sarà trattata come un’entità separata senza che la società madre possa essere resa responsabile per i debiti delle sussidiarie in caso di insolvenza. Tuttavia la responsabilità della capogruppo può essere fatta valere ricorrendo a diversi istituti: Il fraudolent trading, disciplinato dal paragrafo 213 dell’Insolvency Act 1986 che comporta che qualora durante una procedura di liquidazione di una società si evinca che essa è stata gestita con l’intenzione di frodare i creditori o comunque per qualsiasi finalità fraudolenta, ogni persona che abbia consapevolmente preso parte all’esercizio può essere ritenuta responsabile dalla Corte, su istanza del liquidatore, per le obbligazioni assunte relativamente al capitale sociale, nella misura che la Corte ritenga idonea72. All’ampia portata della norma, che può rendere responsabile 71
Affermatosi con il caso Salomon v. A. Salomon & Co. Ltd [1897] AC 22. § 213: “(1) If in the course of the winding up of a company it appears that any business of the company has been carried on with intent to defraud creditors of the company or creditors of any other person, or for any fraudulent purpose, the following has effect. (2) The court, on the application of the liquidator may declare that any persons who were knowingly parties to the carrying on of the business in the manner above-mentioned are to be liable to make such contributions (if any) to the company's assets as the court thinks proper.”
72
54
qualsiasi persona che abbia consapevolmente preso parte all’esercizio, fa da contrappeso l’onere della prova che ne restringe l’ambito di applicazione, dal momento che sarà necessario dimostrare l’intenzionalità fraudolenta. Di portata meno ampia, ma probabilmente di più agevole applicazione, è invece il wrongful trading. A norma del paragrafo 214 dell’Insolvency Act la Corte può far valere la responsabilità per le obbligazioni sociali, in caso di liquidazione giudiziale per insolvenza, nei confronti di persone che abbiano ricoperto il ruolo di amministratore (de jure, de facto, shadow director) nel periodo precedente alla liquidazione e che fossero consapevoli (o avrebbero dovuto esserlo) che non vi era alcuna ragionevole prospettiva di evitare l’insolvenza. Una sentenza73 è ritenuta molto importante a proposito di applicazione del wrongful trading , dal momento che ha chiarito i contorni della figura dello shadow director, a cui viene assimila la società capogruppo. Lo shadow director, a norma del paragrafo 1 del Companies Act 1985, è la persona in conformità delle cui indicazioni o istruzioni gli amministratori sono abituati ad agire. In particolare, in tema di gruppi, la sentenza citata, richiamando il par. 741 del Companies Act , ricorda che non è automatico che la società controllante possa essere considerata shadow director della sussidiaria e quindi ritenuta responsabile per wrongful trading, ma che ciò ricorre qualora essa non assicuri che gli amministratori della sussidiaria siano in grado di agire in modo indipendente secondo l’interesse della stessa. Chiaramente il caso in cui avvenga il contrario, cioè che gli amministratori della controllante abbiano impartito individualmente e personalmente direttive a quelli della controllata, è il più verosimile e in tal caso essi saranno ritenuti responsabili come
73
Caso “Re Hydrodam (Corby) Ltd “ - [1994] 2 BCLC 180.
55
shadow directors della controllata. Tuttavia se essi si sono limitati a votare nel Consiglio le decisioni degli amministratori de jure della controllata non vi è shadow direction da parte loro74. Nell’ordinamento britannico l’esistenza del gruppo rileva solo in ultima istanza. La legge non si occupa di regolare le dinamiche del rapporto di direzione, e non si può dire che esista un divieto esplicito di arrecare pregiudizi sulla controllata. Malgrado ciò il primato della giurisprudenza come fonte del diritto e la funzione legislativa dei giudici, in un’ottica che guarda più al caso concreto che al rispetto della personalità giuridica, sembra fornire strumenti di tutela da pregiudizi di più semplice applicazione rispetto agli ordinamenti di civil law. I pochi ordinamenti europei che si sono dotati di una disciplina organica dei gruppi, hanno sostanzialmente fatto proprio il Konzernrecht tedesco75. Altri76, come anche l’ordinamento del nostro Paese, hanno optato per una soluzione intermedia, disciplinando alcuni aspetti del fenomeno ma rinunciando a una normativa organica. Altri ancora77, seppur con le proprie peculiarità, si avvicinano al modello britannico.
74
[1994] 2 B.C.L.C. 180 - Times, 19 Febbraio 1994. Questi Paesi sono: Portogallo (1986), Ungheria (1988), Repubblica Ceca (1991), Slovenia (1993). Peculiare è il caso dell’Ungheria, Paese in cui la disciplina prevede la distinzione tra gruppi legali e gruppi di fatto come nell’ordinamento tedesco, ma nel valutare il gruppo di fatto si rifà a dei canoni molto simili a quelli adottati dall’ordinamento francese (dottrina Rozenblum): se all’interno del gruppo vi è stata una cooperazione continuativa per almeno tre anni sotto una strategia imprenditoriale unitaria e le decisioni sono prese in modo tale da assicurare un’equa e prevedibile ripartizione di costi e benefici della cooperazione, la società madre può impartire istruzioni vincolanti alla sussidiaria e al suo management. Se la modalità di cooperazione soddisfa tali condizioni né la controllante né i suoi amministratori saranno responsabili per le loro azioni. 76 Spagna (2002), Polonia (dove è in discussione l’opportunità di una disciplina organica; al momento è solo possibile optare per una tassazione di gruppo quando ricorrono determinati presupposti). 77 Nei Paesi nordici non è consentito che un’impresa ponga in essere una transazione da cui tragga beneficio un’azionista e a cui corrisponda una perdita per la società. Ciò configurerebbe un “beneficio privato”, che è illegale. La transazione verrebbe annullata e verso gli amministratori potrebbe essere fatta valere la responsabilità per aver causato la perdita. Se l’azionista fosse anche colui il quale ha effettivamente eseguito la transazione, dovrebbe affrontare la responsabilità come shadow director. Tuttavia se gli amministratori possono ragionevolmente affermare che la transazione fosse parte di un normale sistema di “dare-avere” fatto di reciproche transazioni che in un prossimo futuro potrà ricompensare la società, l’operazione potrà essere confermata: non è richiesto che la 75
56
5 – Conclusioni L’esigenza di un’armonizzazione del diritto societario è stata molto sentita fin dagli anni immediatamente successivi ai Trattati di Roma del 1957. Ai sensi dell’art. 50, comma 2, lett g) del TFUE, il Consiglio e la Commissione devono coordinare “nella necessaria misura e al fine di renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’art. 54, secondo comma, per proteggere gli interessi tanto dei soci quanto dei terzi”, nell’ambito della libertà di stabilimento. Da tale dettato si evincono il primato e l’imprescindibilità dell’armonizzazione “protettiva”78 rispetto a quella, eventuale, “riflessiva”. Della strumentalità dell’armonizzazione rispetto alla piena ed effettiva realizzazione della libertà di stabilimento è da tempo consapevole la Commissione, in considerazione del fatto che già in una comunicazione del 1965 scriveva che : “a) la soppressione o la modificazione delle disposizioni restrittive potrebbe non eliminare tutti gli ostacoli che rendono difficile, in linea di fatto, l’esercizio della libertà di stabilimento. In particolare, all’interno di ogni Stato, le società costituite in conformità della legislazione di altri Stati avrebbero difficilmente accesso al credito e, in generale, ai mezzi di finanziamento se divergenze importanti sussistessero tra le disposizioni che regolano, nei paesi membri lo statuto delle varie forme di società; b) l’equivalenza dei regimi ai quali le società sono assoggettate nei paesi membri è necessaria per evitare che trasferimenti di attività e di capitali si producano non sulla base degli elementi classici dell’economia, ma piuttosto in ragione del grado di severità più o meno grande di ogni transazione comporti necessariamente un guadagno per entrambi, l’importante è che da essa non discenda una perdita certa per la società. 78 Si riutilizza la nomenclatura di cui alla nt. 42.
57
legislazione nazionale in materia di società. Questa equivalenza è dunque un mezzo indispensabile per assicurare, dopo la soppressione di ogni restrizione al diritto di stabilimento delle società, uno sviluppo armonioso ed equilibrato dell’economia europea nel quadro di una politica comune”79. Sebbene l’armonizzazione posta in essere non abbia interessato i gruppi di società, non vi è ragione alcuna per dubitare che quanto anzidetto debba (o avrebbe dovuto) dare l’incipit a una disciplina anche di tale fenomeno. Ciò sembra ancor più vero se ricordiamo che, come evidenziato nei capitoli 3 e 4, il rischio di una non equivalenza delle garanzie a protezione di soci (in questo caso soci di minoranza) e terzi (creditori), è acuito dalla molteplicità giuridica del gruppo e dai crescenti costi di informazione derivanti da tale molteplicità, in caso le società che costituiscono il gruppo siano incorporate in Stati diversi. Tuttavia la determinazione delle modalità e della portata del coordinamento tra i diritti degli Stati membri è un problema di soluzione tutt’altro che semplice, ancor di più in virtù del fatto che l’Europa dei “sei” ha ceduto il passo all’Europa dei “ventisette”, scontrandosi l’esigenza di coordinamento con questioni di particolarismo giuridico. Per analizzare il problema abbiamo ritenuto d’uopo in primo luogo delineare la fattispecie del gruppo, utilizzando come modello di base il diritto italiano sui gruppi di cui agli artt. 2497 e ss. c.c. . Una disciplina di tal fatta rappresenta una soluzione intermedia tra quelle adottate nei vari ordinamenti, tra quelli che considerano il gruppo una mera situazione di fatto, e quelli che invece contengono una specifica previsione legale dello stesso. L’indagine ha evidenziato come in Italia
79
Così la Comunicazione della commissione 7823/III/C/65 del 15 giugno 1965, riportata in Quaderni dell’Associazione fra le società italiane per azioni (XXXV). Il diritto della società per azioni nella Comunità Economica Europea, 1972, e citata da E. Pederzini, (nt. 37), pagg. 47 e 48.
58
il riconoscimento legale del gruppo, o meglio dell’attività di direzione e coordinamento, non sia stato sufficientemente esaustivo per fugare i dubbi in merito alla natura giuridica dello stesso, su cui la dottrina registra orientamenti differenti, con conseguenze nella definizione dell’onere della prova in caso di azione di responsabilità, e di certezza nella determinazione del vantaggio compensativo idoneo ad eliminare l’eventuale pregiudizio subito da una società soggetta ad eterodirezione. Si tratta quindi di delineare quelle situazioni in cui il “velo della personalità giuridica” può essere “perforato”. L’utilizzo di questa metafora non è casuale, dal momento che è questa (piercing the corporate veil) l’espressione utilizzata in dottrina anglosassone per fare riferimento alle ipotesi di superamento della personalità giuridica, che nel caso del rapporto tra controllante e controllata si sostanzia nel rendere responsabile un soggetto per gli atti posti in essere da un altro80. L’approccio anglosassone al fenomeno dei gruppi di società sembra essere più adatto, dal momento che denota una sensibilità maggiore per le reali conformazioni del fenomeno economico sottostante e per l’analisi del caso concreto, rispetto all’approccio degli ordinamenti continentali orientati invece più a un inquadramento rigoroso. Anche l’approccio francese, incentrato sull’esercizio effettivo dell’impresa unitaria anziché sulla società, sembra più funzionale di quello tedesco, considerato debole dalla dottrina81 nonostante il dettato normativo sull’argomento sia piuttosto articolato. Una disciplina comunitaria sui gruppi dovrebbe in primis poggiare sul riconoscimento legale dell’interesse di gruppo come integrazione dell’interesse sociale82, in virtù dell’appartenenza della società al gruppo stesso. Un’impostazione di matrice anglo-francese, che faccia rilevare il gruppo solo in situazioni di insolvenza, potrebbe essere attuabile se accompagnata a una 80
Una sintetica disamina del fenomeno con riferimenti giurisprudenziali di diritto britannico può rinvenirsi in: S. Goulding, Company Law, Cavendish Publishing Limited, 1999, pag. 74 e ss. 81 V. par. 4.4 82 Ibidem, nt. 19
59
disciplina d’informazione adeguata volta alla trasparenza della formazione, della struttura e della gestione del gruppo. Come sottolineato in dottrina83 la produzione normativa a riguardo è stata considerevole ed efficacie durante l’ultimo decennio: l’adozione della Direttiva sulla Trasparenza (2004/109/CE), della Direttiva sull’OPA (2004/25/CE), le modificazioni della Settima Direttiva sui Conti Consolidati (83/349/CEE, modificata negli anni 2003, 2006, 2009), l’adozione di molti IFRS (ad esempio IAS 24 sulle Operazioni con parti correlate e IAS 27 sul Bilancio consolidato e contabilizzazione delle partecipazioni in controllate) e l’introduzione del governance statement (informativa sul funzionamento delle strutture societarie ad ogni livello, introdotta con la Direttiva 2006/46/CE) assicurano parametri di trasparenza idonei. Non sembra quindi esservi ragione per auspicare un intervento normativo ad hoc per quanto riguarda l’informazione e la trasparenza dei gruppi di società. Si potrebbe casomai imporre che tali standard seguano un’impostazione più investor friendly rispetto a quella attuale. Per la Corte Europea il gruppo ha avuto rilevanza non solo in situazioni patologiche. L’elaborazione giurisprudenziale della Corte ha dato origine a un istituto come quello dell’“avvalimento”, introdotto poi dalle direttive comunitarie e recepito anche nel nostro ordinamento84. Nelle sentenze sul tema si individua non solo la facoltà da parte di una società controllante di avvalersi dei requisiti di una società figlia (o vice versa), ma anche che l’organo giudicante debba tassativamente tener conto del fatto che la controllante disponga dei mezzi delle società figlie, se ciò viene provato85. L’orientamento di matrice anglofrancese di superamento
83
Report of the Reflection Group on the Future of EU Company Law, Bruxelles, 5 aprile 2011, pag. 81. 2004/18/CE e 2004/17/CE recepite dal D. Lgs 163/2006 (c.d. codice dei contratti pubblici) 85 Corte di Giustizia Europea – C-389/92 del 14 aprile 1994, in cui la Corte statuiva che una holding olandese potesse utilizzare i requisiti delle sue controllate ai fini dell’iscrizione all’Albo dei fornitori pubblici in Belgio e che l’organo giudicante potesse tenerne conto; 84
60
della personalità giuridica e rilevanza dell’esercizio effettivamente unitario dell’impresa (anche svolto da più imprenditori) da parte della Corte è rinvenibile in modo ancora più evidente dalla lettura di una più recente sentenza86, che estende la portata dell’istituto dell’avvalimento anche alle imprese subappaltatrici, non più solo limitatamente alle società controllate. Nel giugno del 2008 la Commissione Europea ha adottato una Proposta di Regolamento del Consiglio avente ad oggetto la “Società Privata Europea”, “nell'ottica di creare una forma giuridica semplificata che favorisca lo stabilimento e il funzionamento delle piccole e medie imprese nel Mercato Unico”87. La scarsa diffusione del modello della Società Europea è probabilmente imputabile al fatto che essa fosse adatta solo alla grande impresa, in un contesto economico in cui “il 99% delle imprese dell’Unione Europea sono piccole e medie imprese, ma solo l’8% di esse esercitano attività transfrontaliera e solo il 5% ha sussidiarie o joint ventures all’estero”. Tale enorme differenza dimostra come nonostante il Mercato unico sia una realtà, l’attività economica sia ancora “in gran parte nazionale, regionale o addirittura domestica”. Sebbene “creare un’impresa sia diventato apprezzabilmente più semplice negli ultimi anni, l’attività transfrontaliera è ancora un compito in sospeso per le piccole e medie imprese”, e ciò
Corte di Giustizia Europea – C-5/97 del 23 ottobre 1997, sentenza interpretativa della precedente su istanza dello Stato belga che chiarisce che l’organo giudicante debba tassativamente tener conto del fatto che la holding abbia la disponibilità dei mezzi delle controllate; Corte di Giustizia Europea – C-176/98 del 2 dicembre 1999, in cui la Corte riconosce all’aggiudicatario di un appalto la possibilità di avvalersi dei requisiti delle società che ne detengono il capitale, valendo quindi l’avvalimento in entrambe le direzioni. 86 Corte di Giustizia Europea – C-314/01 del 18 marzo 2004, in cui la Corte riconosce l’estendibilità dell’avvalimento ai requisiti tecnici dei subappaltatori. 87 Introduzione di Proposal for a Council Regulation on the Statute for a European private company (SPE), presentata dalla Commissione Europea il 25 giugno 2008.
61
può essere un ostacolo alla crescita economica di cui le piccole e medie imprese sono “le forze trainanti per l’innovazione, l’occupazione, la creazione di benessere”88. “Gli obiettivi perseguiti con tale proposta sono sì rivolti principalmente alla piccola e media impresa”, ma “lo statuto ha il potenziale per portare benefici alle imprese di maggiori dimensioni e ai gruppi” dal momento che è orientato a “ridurre i costi di compliance (…) derivanti dalle disparità tra le normative nazionali sia sulla formazione che sul funzionamento delle imprese”89. Tale obiettivo verrebbe raggiunto attraverso l’impostazione di un modello societario flessibile, dove ai continui rinvii alle legislazioni nazionali previsti dallo Statuto della Società Europea si sostituisce un’ampia autonomia statutaria per quanto riguarda l’organizzazione interna della società. Il diritto dello Stato della sede legale rileverebbe solo in tema di insolvenza, diritto del lavoro e regime fiscale (art. 4). In tale prospettiva, dove le SPE si possono costituire in gruppo e la loro disciplina esula dagli ordinamenti nazionali, si rinviene ancor di più la necessità di una previsione legale organica o quanto meno la statuizione di principi certi a livello comunitario in materia di disciplina di responsabilità nei gruppi. Anche il Parlamento Europeo nella sua Risoluzione “recante raccomandazioni alla Commissione Sullo Statuto della Società privata europea”
del 2007, attraverso la Raccomandazione n°7
88
J.F. Rey, T. Rodriguez, The European Private Company: A Firm Step Forward (and some unsteady steps backwards) in the Corporate Law Flexibilization Process in Europe, in Contratto e impresa / Europa, Vol. 2, CEDAM, 2011, pag. 528. 89 Proposal for a Council Regulation on the Statute for a European private company (SPE), presentata dalla Commissione Europea il 25 giugno 2008. Consultabile e scaricabile in lingua inglese all’indirizzo http://www.europeanprivatecompany.eu/legal_texts/download/SPE_en.pdf
62
dell’Allegato90, caldeggiava la previsione di una disciplina per equilibrare svantaggi e vantaggi derivanti dall’eterodirezione e fornire una tutela da eventuali pregiudizi. La successiva Proposta della Commissione al Consiglio del giugno 2008 (modificata poi nel 2009) specificava all’art. 32 che “le operazioni tra parti correlate dovranno essere disciplinate dalle disposizioni della legge nazionale applicabile in attuazione delle Direttive del Consiglio 78/660/CEE e 83/349/CEE”, volte a coordinare i metodi di valutazione per garantire la possibilità di confronto e l’equivalenza delle informazioni contenute nei conti annuali. In verità la dottrina non ha mancato di attenzione riguardo questo aspetto. È stato proposta nel 2009 una bozza per un possibile Regolamento91 il cui art. 5 al 1° comma disciplina la fattispecie
90
Parlamento Europeo, Risoluzione del Parlamento europeo recante raccomandazioni alla Commissione sullo statuto della società privata europea del 1 febbraio 2007. “ Raccomandazione n° 7: Il Parlamento europeo ritiene che gli organi societari dovrebbero essere responsabili in solido per il danno causato alla SPE per il fatto che attraverso atti della società il patrimonio della SPE può essere ridotto a vantaggio di un organo societario, di un socio o di una persona a lui vicina; che il beneficiario di una prestazione indebita richiesta alla società dovrebbe essere tenuto alla restituzione; che una responsabilità subentra soltanto qualora l'atto non sia nel beninteso interesse della SPE; che non sussiste responsabilità, in particolare, quando la SPE partecipa ad una coerente politica di gruppo e gli eventuali svantaggi vengono compensati dai vantaggi dell'appartenenza al gruppo; che la responsabilità degli amministratori o dei soci dovrà essere considerata fatta salva l'applicazione di altre disposizioni giuridiche.” 91 O. Vossius, Draft proposal for Council Regulation and model articles in European Private Company http://www.europeanprivatecompany.eu a cura del Prof. Dr. Teichmann, 2009, pag. 6. Nel Working Paper all’art. 5 si legge che: “(1) Qualora la SPE (società dominante) prenda parte in maniera decisiva ad un’altra società (società dominata) o qualora esse possano influire decisamente in altro modo sulla gestione di altre società, esse costituiscono un gruppo. Nella misura in cui sono presenti più società dominanti o dominate, nel loro complesso anche queste costituiscono un gruppo. (2) La società dominante deve bilanciare i vantaggi che sorgono per la società dominata attraverso l’esercizio della sua influenza ai sensi del paragrafo 1, a meno che tale influenza sia stata esercitata a causa di un comune interesse economico, sociale o finanziario nell’ambito di obiettivi stabiliti per il gruppo, in cui gli interessi di tutti i componenti del gruppo vengano adeguatamente presi in considerazione. La frase 1 non trova alcuna applicazione nella misura in cui fra le società è stato concluso un accordo, nell’ambito del quale la società dominante si impegna a bilanciare una perdita della società dominata. (3) Un accordo ai sensi del paragrafo 2, frase 2, ai fini della sua efficacia, necessita dell’approvazione delle assemblee dei soci delle parti contraenti con una maggioranza almeno dei tre quarti dei voti espressi e
63
costitutiva del gruppo, al 2° comma utilizza un’impostazione che costituisce “una versione specifica della norma di Rozenblum di diritto francese”92 che però recupera l’impostazione tedesca che distingue tra gruppi di fatto e contrattuali e statuisce il concetto di interesse di gruppo, e al 3° comma determina le condizioni di efficacia del contratto di dominazione. Tuttavia la “Proposal for a Council Regulation on a European private company” della Presidenza del Consiglio del 31 maggio 2011 non solo sembra rinunciare un’altra volta all’impostazione di una disciplina organica del gruppo ma depenna in toto l’art. 32 della Proposta del 2008 perché evidentemente considerato ridondante. Il risultato del negoziato tra istituzioni europee e Stati membri è una Proposta che di nuovo si distingue per diversi rinvii alle legislazioni nazionali, pur in misura molto minore molto minore rispetto al modello della Società Europea. Ancora una volta, come già in passato, si riscontra una tendenza a sacrificare la flessibilità e aspetti di transnazionalità del modello in nome di un particolarismo giuridico sulla disciplina di certi aspetti, a cui gli Stati membri non sembrano voler rinunciare, probabilmente perché non ritengono le imprese domestiche in grado di adeguarsi ed essere competitive in un eventuale nuovo paradigma giuridico. La più recente dottrina ravvisa alcuni passi indietro nel processo di semplificazione normativa, tuttavia “il progetto per la SPE costituisce un’eccellente opportunità di ripensare il Diritto societario europeo con il fine di semplificazione delle regole e delle procedure, migliorare l’uniformità del regime legale come prerequisito per la promozione
dell’iscrizione nello specifico registro di cui all’articolo 3 della prima direttiva 68/151/CEE. La sua durata deve comprendere almeno un intero anno d’esercizio della società dominata.” 92
Ibidem nt. 88, pag. 6, nota n°9.
64
dell’attività transnazionale, e liberare il Diritto societario da irragionevoli pesi che impediscono di soddisfare adeguatamente i bisogni del mercato e le esigenze degli imprenditori”93. Da tale opportunità non dovrebbe esulare la disciplina dei gruppi di società, anche se si riconosce che è molto difficile che gli Stati membri lo consentano, almeno in tempi brevi. L’argomento è stato reintrodotto nel 2011 dal rapporto del “Reflection Group on the future of EU company Law” che nell’evidenziare i problemi attuali del diritto societario dedica una parte alla disciplina del fenomeno dei gruppi, ravvisando la necessità di un riconoscimento dell’interesse di gruppo e di un regime di trasparenza adeguato. Il Reflection Group riconosce inoltre l’utilità del modello della SPE a tal riguardo, e raccomanda che, qualora la SPE sia parte di un gruppo, in un futuro Regolamento “vengano sviluppate regole adeguate per salvaguardare gli interessi della sussidiaria e dei suoi stakeholders, in particolare i suoi creditori”94. Questo può essere il punto di partenza adeguato per la discussione di una disciplina dei gruppi di società in cui le imprese possano essere soggette unicamente alla disciplina comunitaria. L’ipotesi di una disciplina organica come quella contenuta nell’art. 5 della bozza di Regolamento del 2009 sembra rispondere, almeno potenzialmente, a quei requisiti di uniformità, flessibilità, certezza legale, effettività e accettabilità politica che le stesse istituzioni europee ritengono necessari95 per configurare un quadro giuridico adeguato.
93
J.F. Rey, T. Rodriguez, The European Private Company: A Firm Step Forward (and some unsteady steps backwards) in the Corporate Law Flexibilization Process in Europe, in Contratto e impresa / Europa, Vol. 2, CEDAM, 2011, pag. 528. 94 Report of the Reflection Group on the Future of EU Company Law, Bruxelles, 5 aprile 2011, pag. 67 95 Impact Assessment, Section n°5, Proposal for a Council Regulation on the Statute for a European private company (SPE), presentata dalla Commissione Europea il 25 giugno 2008. Consultabile e scaricabile in lingua inglese all’indirizzo http://www.europeanprivatecompany.eu/legal_texts/download/SPE_en.pdf.
65
BIBLIOGRAFIA V. Allotti, F. Pernazza, Trasferimento della sede effettiva delle società in Europa e libertà di stabilimento, in Società, 2003. C. Angelici, Autonomia societaria nelle società per azioni, in Riv. Soc., 2000. AA. VV., Quaderni dell’Associazione fra le società italiane per azioni (XXXV). Il diritto della società per azioni nella Comunità Economica Europea, 1972. AA. VV., Report of the High Level Group of Company Law Experts on a Modern Regulatory Framework for Company Law in Europe, Bruxelles, 4 novembre 2002. AA. VV., Report of the Reflection Group on the Future of EU Company Law, Bruxelles, 5 aprile 2011. M. Benedettelli, Sul trasferimento della sede sociale all’estero, in Riv. Soc., 2010. F. Bonelli, Le responsabilità degli amministratori in Trattato delle società per azioni, Torino, 1991 V. Cariello, La pubblicità del gruppo (art. 2497-bis c.c.): la trasparenza dell'attività di direzione e coordinamento tra staticità e dinamismo, in RDS, 2009. C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, GIUFFRÉ, Milano, 2006 F. Chiomenti, Osservazioni critiche per una costruzione giuridica del rapporto di gruppo fra imprese, in Riv. Dir. Comm., 1983. M. Colangelo, La sentenza Inspire Art: verso un nuovo mercato europeo delle regole, in Rivista di Diritto Civile, 2005. M. Cossu, Società aperte e interesse sociale, GIAPPICHELLI, Torino, 2006. G. Cottino, Trattato di Diritto Commerciale, Vol. IV, CEDAM, Padova, 2009.
66
F. D’Alessandro, Il dilemma del conflitto di interessi nei gruppi di società, in Aa. Vv., I gruppi di società, Atti del convegno internazionale di studi organizzato dalla Rivista delle Società, Venezia 1995 e Milano 1996. L. Enriques, a cura di, Diritto societario comparato, Il Mulino, 2006. Forum Europaeum sul diritto dei Gruppi di Società, Un diritto dei gruppi di società per l’Europa, in Riv. Soc., 2001 F. Galgano, Trattato di Diritto Civile, Vol. IV, CEDAM, Padova, 2010. F. Galgano, M. Marella – Diritto e prassi del commercio internazionale, in Trattato Galgano, Vol. LIV, CEDAM, Padova, 2010. S. Giovannini, La responsabilità per attività di direzione e coordinamento nei gruppi di società, GIUFFRÉ, 2007. R. Gismondi, Responsabilità degli amministratori di società e teoria dei vantaggi compensativi (nota a Cass. 24 agosto 2004, n. 16707), in DirComm.it III.12 2004. Consultabile all’indirizzo: http://www.dircomm.it/2004/n.12/02.html. S. Goulding, Company Law, Cavendish Publishing Limited, 1999. F. Guerrera, “Compiti” e responsabilità del socio di controllo, in RDS,2009. Hommelhoff- Stimpel-Ulmer, Der qualifizierte faktische GmbH-Konzern, Ed. Otto Schmidt, Colonia, 1992. Hommelhoff, Protection of Minority Shareholders, Investors and Creditors: The Strengths and Weaknesses of German Corporate Group Law in European Business Organization Law Review (EBOR), 2001. B. Ianniello, R. Lottini, I gruppi di imprese, in Le Società, IPSOA, 2008. P.G. Jaeger, Le società del gruppo in Aa. Vv., I gruppi di società, Atti del convegno internazionale di studi organizzato dalla Rivista delle Società, Venezia 1995 e Milano 1996.
67
G. Oppo, I principi generali del diritto, Roma, 1992. S. Öztek, La protection des actionnaires externs dans les groups de societies dirigés par une société olding: etude de droit français avec reference au droit Suisse et au droit turc, Nouvelle Imprimerie du Léman, 1982. E. Pederzini, Percorsi di diritto societario europeo, GIAPPICHELLI, Torino, 2011. R. Pennisi, Il diritto di recesso nelle società soggette ad attività di direzione e coordinamento: alcune considerazioni, in RDS, 2009. R. Pennisi, La disciplina delle società soggette a direzione unitaria ed il recesso nei gruppi, in Abbadessa-Portale, Il nuovo diritto delle società, Padova, 2007. G. Reiner, Introduction dans la problématique de la responsabilité dans les groupes de sociétés en France et en Allemagne, Monaco di Baviera, 1995, di cui un estratto in lingua francese è consultabile
all’indirizzo
http://www.gunterreiner.de/reiner1995_gesellschaftsinteresse_fr.htm. J.F. Rey, T. Rodriguez, The European Private Company: A Firm Step Forward (and some unsteady steps backwards) in the Corporate Law Flexibilization Process in Europe, in Contratto e impresa / Europa, Vol. 2, CEDAM, Padova, 2011. A. Rappazzo, I contratti collegati, Milano, 1998 N. Rondinone, I gruppi di imprese fra diritto comune e diritto speciale, Milano, 1999. G. Rossi, La riforma del diritto societario, Atti del convegno di Courmayeur, 27-28 settembre 2002, Milano, 2003. L. Rovelli, La responsabilità della capogruppo, in Fallimento, 2000. G. Scognamiglio, Appunti sul potere di direzione, in Aa. Vv., I gruppi di società, Atti del convegno internazionale di studi organizzato dalla Rivista delle Società, Venezia 1995 e Milano 1996. U. Tombari, Diritto dei gruppi di imprese, GIUFFRÉ, Milano, 2010. O. Vossius, Draft proposal for Council Regulation and model articles in European Private Company http://www.europeanprivatecompany.eu a cura del Prof. Dr. Teichmann, 2009.
68
GIURISPRUDENZA CGCE – 81/87 del 27 settembre 1988 – The Queen c. H.M. Treasury and Commissioners of Inland Revenue, ex parte Daily Mail and General Trust PLC. CGCE – C-389/92 del 14 aprile 1994 – Ballast Nedam Groep NV c. Stato belga. CGCE – C-5/97 del 23 ottobre 1997 – Ballast Nedam Groep NV c. Stato belga. CGCE – C-212/97 del 9 marzo 1999 – Centros Ltd c. Ehrvervs og Selskabsstyrelsen. CGCE – C-176/98 del 2 dicembre 1999 – Holst Italia SpA c. Comune di Cagliari. CGCE – C-208/00 del 5 novembre 2002 – Überseering BV c. Nordic Construction Company Baumanagement GmbH (NCC). CGCE – C-167/01 del 30 settembre 2003 – Kamer van Koophandel en Fabrieken voor Amsterdam c. Inspire Art. CGCE – C-314/01 del 18 marzo 2004 – Siemens AG Österreich e ARGE Telekom & Partner c. Hauptverband der österreichischen Sozialversicherungsträger. CGCE – C-210/06 del 16 dicembre 2008 – Cartesio Oktatò és Szolgàltatò bt. CGCE – C-97/08 P del 10 settembre 2009 – Azko Nobel NV and Others c. Commissione delle Comunità europee. Cassazione Civile, Sezione I - n. 1925 del 6 marzo 1999 – Sergio Taccolini c. Valpetrol S.r.l. Cassazione Civile, Sezione I - n. 16707 del 24 agosto 2004 – Fiorino c. Scotti Finanziaria S.p.A. Tribunale di Biella, 17 novembre 2006, r.g. 823/05. Caso “Salomon v. A. Salomon & Co. Ltd” - [1897] AC 22. Caso “Re Hydrodam (Corby) Ltd “ - [1994] 2 BCLC 180.
69