Management infermieristico del paziente sottoposto a pleuropneumonectomia per mesotelioma maligno

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A.D. MDLXII

U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI S ASSARI F ACOLTÀ

DI

M EDICINA

E

C HIRURGIA

___________________________

CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA ISTITUTO DI PATOLOGIA CHIRURGICA (DIRETTORE PROF. MARIO TRIGNANO)

MANAGEMENT INFERMIERISTICO DEL PAZIENTE SOTTOPOSTO A PLEUROPNEUMONECTOMIA PER MESOTELIOMA PLEURICO MALIGNO

Relatore: DOTT. FEDERICO ATTENE

Correlatore: DOTT. PANAGIOTIS PALIOGIANNIS

Tesi di Laurea di: SARA MANNU

ANNO ACCADEMICO 2010/2011



A mio Padre e mia Madre



INDICE INTRODUZIONE

1

ANATOMIA DEL CAVO PLEURICO

3

IL MESOTELIOMA PLEURICO

8

LA PLEUROPNEUMONECTOMIA EXTRAPLEURICA

33

VALUTAZIONE PREOPERATORIA

34

LA PLEUROPNEUMONECTOMIA EXTRAPLEURICA DESTRA

36

LA PLEUROPNEUMONECTOMIA EXTRAPLEURICA SINISTRA

41

LA GESTIONE POSTOPERATORIA

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LA GESTIONE INFIERMIERISTICA DEL PAZIENTE CANDIDATO A PLEUROPNEUMONECTOMIA EXTRAPLEURICA

44

CONCLUSIONI

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BIBLIOGRAFIA SELEZIONATA

75



INTRODUZIONE

Il mesotelioma pleurico maligno è un tumore raro che insorge sul tessuto mesoteliale pleurico. È una delle neoplasie per le quali è stato accertato un rapporto di ordine etiologico, identificato con l’esposizione (professionale o meno) all'asbesto. In Italia la sua incidenza è uguale a 3,5 casi ogni 100.000 uomini/anno e 1,1 ogni 100.000 donne/anno. La presentazione clinica della malattia dipende dallo stadio ed è variabile, includendo quadri lievi caratterizzati da dispnea lieve e tosse e quadri gravi con insufficienza respiratoria, versamento pleurico massivo e disturbi legati a metastasi a distanza. Raramente il mesotelioma viene scoperto quando ancora asintomatico. La diagnosi di mesotelioma pleurico maligno si ottiene in genere su prelievo istologico. Il ruolo della chirurgia nella gestione del mesotelioma pleurico maligno è multiplo, estendendosi dalla diagnosi sino al trattamento, sia curativo che palliativo. La pleuropneumonectomia extrapleurica (PPE) rappresenta l’unico intervento chirurgico curativo nel paziente con malattia contenuta all’interno dei foglietti pleurici, diaframma e pericardio. Attualmente, il suo impiego va raccordato con altri tipi di trattamento, come la chemioterapia o la radioterapia, 1


nell’ambito

di

strategie

terapeutiche

multimodali

programmate

dalla

collaborazione multidisciplinare di più specialisti. Lo scopo di questa tesi è quello di illustrare il ruolo dell’infermiere nel management del paziente sottoposto a questo tipo di intervento chirurgico in quanto affetto da mesotelioma pleurico maligno.

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ANATOMIA DELLE PLEURE E DEL CAVO PLEURICO

L'apparato respiratorio è composto da un doppio sistema. Un sistema di scambio, il blocco cuore-polmone, ed un sistema motore, la parete toracica. Il legame tra questi sistemi viene assicurato da una cavità virtuale, la cavità pleurica. Quest'ultima è delimitata dalla pleura sierosa composta da due foglietti, uno parietale che tappezza la parete toracica ed uno viscerale che tappezza il parenchima polmonare. La sierosa viscerale si invagina nel polmone per rivestire le scissure che delimitano i lobi. La transizione tra i due foglietti avviene a livello dell’ilo polmonare. In questa sede la riflessione pleurica copre i costituenti dell’ilo stesso ed anteriormente si estende verso il diaframma in basso. Questa ultima struttura si chiama legamento polmonare, noto anche come legamento triangolare del polmone. I suoi limiti sono: 1. Medialmente l’esofago a destra, l’aorta il pericardio a sinistra, 2. Superiormente le vene polmonari inferiori, 3. Inferiormente il diaframma. 3


Il legamento triangolare contiene piccole arterie e vene che hanno modesto significato clinico e linfonodi che drenano prevalentemente il lobo inferiore. Le due cavità pleuriche, destra e sinistra, sono indipendenti l’una dall’altra ma in alcuni casi possono essere in contatto anteriormente, dietro allo sterno. La pleura parietale è la più complessa dal punto di vista anatomico. Copre quasi completamente la faccia interna della parete toracica e medialmente delimita il mediastino. Aderisce alla parete toracica attraverso uno strato fibroso, la fascia endotoracica che rappresenta un piano di clivaggio mediante il quale la pleura parietale può essere separata dalla parete toracica in interventi chirurgici come la PPE. Lo spessore e la consistenza della fascia endotoracica variano in relazione alla sede anatomica, essendo più resistente nella faccia interna della coste e venendo quasi a mancare completamente dietro lo sterno ed in corrispondenza del pericardio. Questo rende il distacco della pleura da queste ultime strutture estremamente indaginoso. A livello dello stretto toracico superiore la fascia forma il setto fibroso cervicotoracico (di Bourgery).

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La pleura parietale può essere suddivisa in costale, mediastinica e diaframmatica. Il passaggio da un segmento all’altro avviene a livello dei seni pleurici. Riconosciamo: 1) seni costo-mediastinici anteriore e posteriore; 2) seno costo-diaframmatico; 3) seno mediastino-frenico. A

livello

dei

seni

pleurici,

specialmente

in

quello

costo-

diaframmatico posteriore, i due foglietti pleurici sono in contatto a riposo, ma si separano durante l’inspirazione. Si denomina triangolo extrapleurale l’area priva di pleura, di forma triangolare, con l’apice sull’estremità sternale della quarta cartilagine costale di sinistra e con la base che corrisponde alla linea basisternale. La pleura viscerale è sottile, trasparente e tenacemente adesa mediante fibre elastiche al sottostante strato elastico profondo. La rottura di tali fibre elastiche risulta nella formazione di bolle pleuriche. L’apporto di sangue alla pleura parietale avviene esclusivamente tramite arterie sistemiche. La pleura costale è irrorata da rami delle arterie intercostali e rami dall’arteria mammaria interna. La pleura mediastinica è vascolarizzata da rami arteriosi bronchiali, diaframmatici superiori

e dall’arteria mammaria

interna. Infine l’apporto di sangue alla pleura cervicale (cupola pleurica) avviene

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da rami delle arterie succlavie. Per la maggior parte, il sangue venoso drena nelle vene peribronchiali o direttamente nella vena cava. Al contrario, la pleura viscerale è vascolarizzata

sia dalla circolazione

sistemica (attraverso le arterie bronchiali) che dalla circolazione polmonare. Il sangue venoso viene drenato dalla circolazione polmonare. Lo spazio pleurico è tributario di due sistemi linfatici, i quali svolgono un ruolo importante nella rimozione di liquidi, cellule, detriti cellulari e particelle estranee allo spazio pleurico. Nello spazio subpleurico viscerale, grandi capillari linfatici formano una rete a maglie che drena nel sistema linfatico polmonare. Questi capillari sono più abbondanti nei lobi inferiori e sono collegati ai plessi linfatici

polmonari

profondi

localizzati

negli

spazi

interlobulare

e

peribronchiale. Il drenaggio linfatico della pleura parietale è più elaborato, con diretta comunicazione tra lo spazio pleurico e i canali linfatici della pleura stessa. Tali comunicazioni, chiamate stomi, hanno un diametro dai 2 ai 6 µm e prevalgono sulle porzioni inferiori della pleura parietale (Figura 1), sono dotati di valvole endoluminali e drenano in una rete di lacune linfatiche submesoteliali. Oltre la pleura costale, questi vasi decorrono parallelamente alle coste e raggiungono la catena linfonodale della mammaria interna anteriormente e la catena linfonodale intercostale posteriormente. In corrispondenza della pleura diaframmatica, il drenaggio fa capo ai linfonodi retrosternali, mediastinici e celiaci. Le anastomosi 6


trans-diaframmatiche consentono il passaggio di fluidi e particelle estranee tra la cavità peritoneale e lo spazio pleurico. I linfatici subpleurici svolgono un ruolo importante nel riassorbimento di liquido e la rimozione di proteine, particelle e cellule dallo spazio pleurico. La pleura viscerale è priva di innervazione somatica. La pleura parietale invece, è innervata da

una ricca rete di fibre somatiche, simpatiche e

parasimpatiche. A livello della pleura costale queste fibre viaggiano attraverso i nervi intercostali. Gli stimoli algici a partenza dal diaframma vengono trasmessi attraverso il nervo frenico.

Figura 1. Schema dell’anatomia pleurica. 1.Fascia endotoracica, 2.Tessuto connettivo subpleurico, 3.Strato elastico superficiale, 4.Strato mesoteliale parietale, 5.Stoma linfatico, 6.Spazio pleurico, 7.Strato mesoteliale viscerale, 8.Strato elastico profondo, 9.Setto interlobulare, 10.Tessuto connettivo, 11.Limfatici interlobulari. 7


IL MESOTELIOMA PLEURICO MALIGNO

Il mesotelioma pleurico maligno (MPM) è il più frequente e caratteristico tumore primitivo della pleura.

La sua origine deriva dalla trasformazione

neoplastica delle cellule mesoteliali di rivestimento pleurico. Ritenuto un tumore raro nel passato, è oggi considerato un importante problema di salute nel nostro Paese e negli altri paesi industrializzati. Negli ultimi due decenni si è infatti assistito ad un progressivo incremento di incidenza e mortalità che secondo le proiezioni più attendibili continuerà nei prossimi anni, con picco tra il 2015 e il 2020. E’ ormai notoriamente dimostrato il ruolo patogenetico dell’asbesto, minerale fibroso che per le sue proprietà isolanti e coibentanti è stato utilizzato in misura crescente in un grande numero di attività produttive. Un periodo di latenza di 30 - 40 anni intercorre tra esposizione ad asbesto e insorgenza della malattia: questo giustifica il significativo aumento dei casi di MPM nonostante ogni attività di estrazione, produzione, importazione, esportazione e

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commercializzazione di asbesto sia stata tassativamente arrestata in Italia da quasi 20 anni, con l’emanazione del decreto legislativo n.257/1992.

Epidemiologia Il MPM rappresenta il 92,9% dei mesoteliomi del corpo umano; la restante quota si localizza a livello di peritoneo (6,4%), pericardio (0,4%) e tunica vaginale del testicolo (0,3%). Il Registro Nazionale dei Mesoteliomi riporta al 2004 tassi di incidenza standardizzata per

mesotelioma pleurico

maligno pari a 3,49 casi/100.000 abitanti negli uomini e 1,25 casi/100.000 abitanti nelle donne. Il rapporto di genere (M/F) è pari a 2,8. L’età media della diagnosi è di 68,3 anni. Fino ai 45 anni la malattia è rarissima (solo il 2,4% del totale). Nell’insieme dei casi rilevati dal registro, il 69,8% ha un’esposizione all’asbesto di tipo professionale, il 4,4% familiare, il 4,7% ambientale, l’1,6% per un’attività extralavorativa. Per il 19,5% dei casi l’esposizione è improbabile o ignota. Fra i casi con esposizione familiare, il parente esposto che ha causato la malattia è solitamente il marito, soprattutto se occupato in settori ad alto rischio come cantieri navali e industria del cemento amianto.

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Eziopatogenesi Asbesto Con il termine di asbesto o amianto si indica una famiglia di silicati fibrosi resistenti al calore, agli acidi ed agli alcali. Le varietà mineralogiche comprendono amianti di serpentino (crisotilo o amianto bianco) ed amianti di anfibolo (crocidolite o amianto blu, amosite o amianto bruno, tremolite, antofillite ed actinolite) (Immagine 1). In Italia i tipi di amianto più utilizzati sono stati il crisotilo (75%), la crocidolite e l’amosite.

Immagine 1. Fibra di asbesto nell’espettorato di un paziente

Le caratteristiche fisico-chimiche quali la flessibilità, l’incombustibilità, la resistenza alle alte temperature, all’usura e alle sostanze chimiche ne hanno determinato il largo impiego industriale. I principali utilizzi sono stati nella produzione di fibrocemento per l’edilizia (75%), come materiale isolante

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(termico, elettrico, sonoro) in edifici, rotabili ferroviari, navi, impianti industriali (zuccherifici, panifici, petrolchimica, ecc.), come materiale di frizione. L’associazione fra esposizione ad asbesto e insorgenza di tumori risale al 1935 quando Linch e Smith descrissero per la prima volta un caso di carcinoma polmonare in un paziente con asbestosi. L’effetto cancerogeno delle fibre di asbesto è stato poi definitivamente dimostrato da numerosi studi. Oltre ai carcinomi polmonari e ai mesoteliomi sono stati osservati, sia pure con incidenza minore, tumori laringo-faringei, gastrointestinali e renali. Nel 1960 un primo studio epidemiologico evidenziò l’eccesso di insorgenza di mesoteliomi tra lavoratori di crocidolite in Sud Africa, rilevando il rapporto causale con l’esposizione alle fibre del minerale. I meccanismi di cancerogenesi non sono stati ancora del tutto chiari. Recenti lavori hanno dimostrato un ruolo critico per il TNF-α e l’ NF-κB come mediatori della risposta delle cellule mesoteliali all’asbesto. Gli studi in vivo hanno rivelato come in seguito all’esposizione all’asbesto si sviluppi una reazione infiammatoria con un’ampia componente di fagociti mononucleati. In particolare i macrofagi, una volta fagocitato l’asbesto, rilasciano TNF-α e contemporaneamente stimolano le cellule mesoteliali, sia a liberare TNF-α sia ad aumentare l’espressione del suo recettore TNF-R1 con azione autocrina e paracrina. Il TNF-α, legandosi ai suoi recettori, attiva la via dell’ NF-κB che incrementa la percentuale di cellule che sopravvivono all’esposizione 11


all’asbesto. In tal modo le cellule possono andare incontro a divisione prima di morire e così trasmettere il danno genetico che accumulandosi evolve fino all’insorgenza del mesotelioma maligno. L’asbesto difatti provoca danno al DNA, sotto forma di delezioni, sostituzione di basi, aberrazioni, riarrangiamenti, inserzioni e scambi tra cromatidi fratelli, sia direttamente che in maniera indiretta. Le più frequenti delezioni cromosomiche sono localizzate a livello di 1p, 3p, 9p, 15q e 22q. I geni oncosoppressori più frequentemente implicati sono il p16(INK4A), il p14(ARF) e l’NF2. Al contrario della maggior parte dei tumori solidi il p53 spesso non risulta mutato. Il mesotelioma è caratterizzato da un alto grado di aneuploidia, ma ancora nessun oncogene o gene oncosoppressore è stato individuato come elemento fondamentale. Numerosi altri fattori di crescita e citochine sono stati studiati, tra cui il TGF-β (transforming growth factor beta), il PDGF (platelet-derived growth factor), l’IGF (insulin-like growth factor), l’IL-6 e l’IL-8, il VEGF (vascular endothelial growth factor) e l’ HGF (hepatocyte growth factor) che in differente misura

agiscono

promuovendo

proliferazione

neoangiogenesi.

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cellulare,

migrazione

e


SV40 Il Simian Virus 40 (SV40) è un virus a DNA capace di indurre mesoteliomi. Sebbene sia endogeno nella scimmia Rhesus, l’SV40 tra il 1955 e il 1978 fu ampiamente trasmesso all’uomo, tramite il vaccino anti-polio contaminato. Studi hanno dimostrato la presenza del virus nelle cellule mesoteliali neoplastiche e non nei tessuti sani adiacenti. L’iniezione intrapleurica dell’SV40 in animali da esperimento provoca l’insorgenza di mesotelioma maligno entro sei mesi nel 100% dei casi. Si è inoltre più volte dimostrata l’azione cancerogena sinergica tra SV-40 e asbesto.

Predisposizione genetica Gli studi genealogici condotti sulle famiglie ad altissima incidenza di mesotelioma maligno residenti nei villaggi della Cappadocia, ha fatto ipotizzare l’esistenza di fattori genetici, i quali agirebbero solamente in concomitanza all’esposizione ad erionite.

Altri fattori Le radiazioni ionizzanti possono produrre mesoteliomi nell’animale da esperimento. Un numero non trascurabile di casi è stato riscontrato in pazienti sottoposti a radioterapia con un periodo medio di latenza di 21 anni.

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Sono noti casi di mesotelioma dopo 15-30 anni dall’induzione di pneumotorace per il trattamento della tubercolosi. Casi di mesotelioma sono stati associati a malattie immunoproliferative, in particolare ad origine B-cellulare, in pazienti con esposizione professionale o ambientale ad asbesto. Si è così approfondito il ruolo delle anomalie immunologiche nell’insorgenza dei mesoteliomi asbesto-correlati. Per quanto riguarda i possibili effetti sinergici con il fumo di sigaretta, contrariamente a quanto accade nel carcinoma polmonare, non vi è evidenza di aumento del rischio.

Anatomia patologica E’ ormai accertata l’origine del mesotelioma maligno dalle cellule mesoteliali di rivestimento delle cavità sierose. Il quadro macroscopico è assai variabile: negli stadi iniziali la neoplasia si presenta con foci tumorali multipli che interessano la pleura parietale e viscerale, soprattutto diaframmatica e dei lobi inferiori, sotto forma di piccoli semi, placche e noduli, di numero, dimensione e consistenza variabili, di colorito biancastro e di aspetto lardaceo. Quando queste neoformazioni confluiscono o si fondono, il tumore si presenta come una grossa massa, di colore grigiastro o bianco roseo, con spessore da 2 a oltre 5 cm, che si estende su tutta la superficie pleurica sino a formare una cotenna

dall’apice alla base polmonare e con il caratteristico 14


aspetto “a colata” tanto da incarcerare l’intero polmone, infiltrandosi anche nelle scissure interlobari. Solo raramente il polmone è infiltrato profondamente dal mesotelioma maligno, che mostra preferenzialmente un accrescimento superficiale e nella sua superficie interna può presentare numerose vegetazioni sotto forma di placche o di grossolani mammelloni. Al taglio la massa si presenta di consistenza duro-elastica con focolai gelatinosi, necrotici o emorragici. Microscopicamente, il mesotelioma pleurico maligno, ricalca la potenziale bifasicità della cellula mesoteliale la quale ha la proprietà di differenziarsi sia come cellula di rivestimento simil-epiteliale sia come cellula mesenchimale stromale. La classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità contempla tre principali sottotipi istologici: epitelioide, sarcomatoide e misto o bifasico. Il sottotipo epitelioide predomina in quasi tutte le casistiche (50-67%), seguito dal sottotipo misto (24-35%) e da quello sarcomatoide (7-21%). Una variante del tipo sarcomatoide, che costituisce circa il 2% dei casi di mesotelioma, è detta desmoplastica e si caratterizza per la predominanza di stroma collagene denso disposto in bande associato a invasione di polmone o parete toracica, foci di necrosi blanda o chiaramente sarcomatosi e/o presenza di metastasi a distanza.

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Una forma rara, di recente riconoscimento, è il mesotelioma localizzato maligno. Si presenta come una massa solitaria e circoscritta, sessile o peduncolata, del diametro fino a 10 cm, in sede pleurica viscerale o parietale. Non presenta differenza tra i sessi e non sembra associato all’esposizione ad asbesto.

Presentazione clinica e storia naturale L’intervallo di tempo tra comparsa dei sintomi e diagnosi di MPM è in media di 2-3 mesi. I sintomi più frequenti all’esordio sono dispnea e dolore toracico non pleuritico, entrambi presenti nel 60% dei casi. La dispnea è attribuibile al versamento pleurico con atelettasia della base polmonare e ipomobilità diaframmatica, spesso associato a comorbidità come BPCO o asbestosi. Il dolore toracico, tipicamente monolaterale (60% a destra) è sordo, intenso e spesso difficile da controllare. E’ di natura nocicettiva, infiammatoria e neuropatica attribuibile all’intrappolamento di strutture nervose intercostali, autonomiche o brachiali con irradiazione all’addome superiore, alla spalla o al braccio. Questo quadro è stato definito come “sindrome costo-pleurica”. Meno frequentemente compaiono tosse, astenia, febbre e calo ponderale fino alla cachessia.

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Frequenti sono le sindromi paraneoplastiche rilevate alla diagnosi o in corso di malattia; le più comuni sono la trombocitosi, la coagulazione intravascolare disseminata (CID) e le anemie emolitiche autoimmuni. Di più raro riscontro sono l’ipoglicemia, l’ipercalcemia associata a secrezione di un peptide simil - PTH e l’inappropriata secrezione di ADH. La storia naturale è caratterizzata da una progressiva espansione locale ed invasione delle strutture circostanti, responsabili di numerosi segni e sintomi. L’invasione della parete toracica con le sue strutture nervose intercostali causa dolore toracico e lo sviluppo di masse palpabili, presenti nel 25% dei casi nel corso della malattia, spesso in sede di pregressa toracentesi, toracotomia o toracoscopia; talvolta si evidenziano anche scoliosi o retrazione verso il lato affetto dalla neoplasia. L’incarceramento del polmone esita in polmonite, dispnea e raramente emottisi. L’invasione del mediastino si manifesta con sindrome della vena cava superiore, disfonia, disfagia, sindrome di Pancoast, e di Claude - Bernard - Horner. L’invasione del pericardio e del cuore esita in paralisi emi-diaframmatica, tamponamento cardiaco e aritmie. L’estensione addominale produce ascite, costipazione fino all’occlusione intestinale. Le metastasi per via linfatica sono frequenti ai linfonodi broncopolmonari, ilari e mediastinici; occasionalmente a quelli addominali, cervicali e ascellari. Le metastasi per via ematica compaiono solo tardivamente nella storia naturale del MPM e non sono solitamente causa diretta di morte del 17


paziente. Le più frequenti localizzazioni sono a carico di fegato, surreni, reni e polmone controlaterale. Le metastasi intracraniche si evidenziano nel 3% dei casi, più spesso nel tipo sarcomatoide.

Diagnosi L’anamnesi lavorativa deve essere accuratamente raccolta avvalendosi possibilmente di questionari standardizzati e schede specifiche. E’ sempre necessario inoltre indagare su eventuali fonti di esposizione ad asbesto non occupazionali, attraverso la ricostruzione della storia residenziale e familiare e l’acquisizione di informazioni su hobby e servizio militare. L’anamnesi patologica sarà volta invece all’individuazione di precedenti pleuriti, esposizione a radiazioni ionizzanti o storia di patologie polmonari soprattutto occupazionali. È necessaria la raccolta di referti radiologici, toracoscopici, citologici o istologici che possano mostrare la presenza di alterazioni attribuibili ad asbesto come asbestosi o placche pleuriche o direttamente la presenza di corpuscoli di asbesto su biopsia o BAL. Numerosi studi sono stati condotti al fine di identificare marcatori che possano coadiuvare nella diagnosi e nel monitoraggio del mesotelioma. Potenzialmente promettente si è rivelata la mesotelina, una glicoproteina della superficie cellulare con ruolo di adesione, comunicazione e riconoscimento cellulare. Viene espressa a basso livello in un numero ristretto di tessuti adulti, 18


mentre è ampiamente espressa in alcune neoplasie tra cui il carcinoma dell’ovaio e il mesotelioma. La Soluble Mesothelin-Related Protein (SRMP) è un membro della stessa famiglia che differisce dalla mesotelina nella regione Cterminale. Uno studio condotto da Robinson et al. nel 2003 ha mostrato la presenza di livelli molto elevati di SRMP nel sangue di pazienti affetti da mesotelioma con eccellenti valori di sensibilità e specificità nel confronto con pazienti affetti da altre patologie polmonari infiammatorie o tumorali. Lo stesso studio ha mostrato inoltre come il livello di SMRP nel sangue sembri correlato con le dimensioni della massa tumorale e che valori elevati di SRMP siano riscontrabili nei campioni di siero fino a 4 anni prima dalla diagnosi nei pazienti esposti all’asbesto. Minore accuratezza diagnostica si è riscontrata invece nello studio dell’osteopontina come marker neoplastico. Il MPM si caratterizza per la presenza di versamento pleurico massivo, generalmente come manifestazione iniziale di malattia, e recidivante dopo toracentesi. L’esame macroscopico può mostrare un versamento sieroso, sieroematico o francamente ematico fino ad assumere aspetto simil-purulento. Il campione è particolarmente denso e vischioso per via dell’alto contenuto in acido ialuronico. La diagnosi citologica è a due stadi: in primis si stabilisce la natura maligna delle cellule, successivamente si fa diagnosi differenziale con altri quadri neoplastici, soprattutto con l’adenocarcinoma metastatico. A tale 19


scopo è necessaria l’indagine immunoistochimica, utilizzando marcatori che distinguano cellule benigne da cellule maligne come EMA e trombomodulina; marcatori che confermino la natura mesoteliale quali calretinina e citocheratina 5/6; marcatori che escludano l’origine non mesoteliale della neoplasia come CEA, MOC-31, Ber-EP4. Le colorazioni PAS e diastasi-PAS possono essere utilizzate per escludere che il materiale intracitoplasmatico sia muco (come negli adenocarcinomi). L’esame citologico negativo non esclude la presenza di un mesotelioma maligno soprattutto del tipo sarcomatoide a causa dell’esiguità della componente cellulare. La sensibilità dell’esame è compresa tra il 26 e il 32%. La diagnostica per immagini è fondamentale nello studio del MPM. Il suo ruolo si esplica in tutte le fasi che vanno dall’identificazione di patologia pleurica, alla diagnosi del processo patologico, alla stadiazione fino al follow up e alla valutazione della risposta terapeutica. La radiografia standard del torace rappresenta solitamente la metodica di scelta nell’approccio iniziale con il paziente. Il segno radiografico più frequente nel mesotelioma pleurico maligno è il versamento pleurico monolaterale, localizzato nell’emitorace destro nel 60% dei casi e bilateralmente nel 10%. L’entità del versamento è variabile a seconda dello stadio di malattia: i radiogrammi possono apparire normali nelle fasi iniziali, quando la raccolta è minima e non evidenziabile con le proiezioni standard; al contrario nelle fasi 20


avanzate si possono riscontrare quadri di completa opacizzazione di un emitorace. Fino al 60% dei pazienti presenta ispessimenti pleurici irregolari mammellonati o masse pleuriche, altamente suggestive di patologia pleurica maligna ma spesso mascherate dal versamento. Nel 25% dei pazienti si evidenziano masse o ispessimenti pleurici in assenza di versamento. Spesso sono presenti i segni di riduzione di volume dell’emitorace come la riduzione degli spazi intercostali, il sollevamento dell’emi-diaframma e la deviazione omolaterale del mediastino. Questi sono correlati all’atelettasia polmonare e alla riduzione della compliance conseguenti al versamento pleurico e agli ispessimenti pleurici che incarcerano il polmone. Talvolta il mediastino può invece risultare deviato contro-lateralmente a causa di un versamento abbondante. Possibile l’evidenziazione di un quadro di pneumotorace. Una massa ilare può suggerire l’interessamento dei linfonodi ilari o una diretta invasione del mediastino. La tomografia computerizzata (TC) rappresenta l’indagine di prima scelta nella diagnosi, stadiazione e follow-up dei pazienti con MPM (Immagine 2). Con le moderne apparecchiature TC spirale a 16 o 64 detettori, l’immagine dell’intero torace può essere ottenuta in meno di 10 secondi. Collimazioni con spessore inferiore a 1 mm hanno consentito di ottenere ricostruzioni sempre più dettagliate su tutti i piani. In particolare il piano coronale e sagittale consentono di valutare, in maniera più accurata e con ottima capacità di definizione, 21


l’invasione della regione diaframmatica, difficile da studiare sulle sole scansioni assiali. La TC con mezzo di contrasto, grazie allo spiccato enhancement delle lesioni pleuriche, consente di differenziare al meglio gli ispessimenti pleurici dal versamento pleurico e dal parenchima polmonare.

Immagine 2. TC del torace in paziente con MPM a destra.

I principali segni TC del MPM sono stati analizzati da numerosi studi tra cui quello di Kawashima et al. che ha riscontrato la presenza di ispessimento pleurico, diffuso, nodulare o a placca, (92% dei pazienti), ispessimento delle scissure interlobari (86%), versamento pleurico (74%), riduzione di volume dell’emitorace coinvolto (42%), calcificazioni pleuriche (20%) generalmente 22


dovute

alla

concomitante

presenza

di

placche

pleuriche,

deviazione

controlaterale del mediastino (14%). Sono stati evidenziati inoltre segni di malattia al di fuori della pleura parietale come: linfonodi toracici di diametro maggiore o uguale a 1cm (58%),

l’invasione della parete toracica (18%),

versamento pericardico (6%), estensione della neoplasia all’ emitorace controlaterale (4%), invasione retroperitoneale diretta (8%), coinvolgimento di strutture addominali come il fegato (4%). La TC consente di evidenziare la diretta estensione del tumore a strutture vascolari e organi mediastinici; essa si manifesta generalmente con obliterazione del tessuto adiposo circostante e la presenza di una massa di tessuto molle che quando circonda più del 50% della circonferenza dei vasi rappresenta un significativo segno di invasione. L’interessamento del pericardio può essere può essere evidenziato alla TC col riscontro di versamento pericardico o ispessimento nodulare. L’estensione trans-diaframmatica del MPM è suggerita dalla presenza di una massa di tessuto molle che avvolge l’emi-diaframma; al contrario un piano adiposo tra diaframma e adiacenti organi addominali e un contorno regolare del diaframma, indicano che la neoplasia è limitata al torace. Le metastasi polmonari si possono manifestare come noduli e masse, raramente come noduli diffusi miliariformi. La TC consente inoltre di evidenziare la diffusione extra-toracica della malattia come l’invasione epatica, 23


l’estensione retroperitoneale, l’adenopatia retro-crurale e le sempre più frequenti metastasi ematogene. L’interessamento dei linfonodi ilari e mediastinici può essere studiato con la TC nonostante questa non rappresenti la metodica ottimale per il fatto che si basi sul solo criterio dimensionale. La RM in alcuni casi può fornire informazioni aggiuntive oltre a quelle già ottenute con la TC. Rispetto all’adiacente muscolatura della parete toracica, il MPM mostra un’intensità di segnale intermedia o lievemente elevata nelle immagini T1 pesate, moderatamente elevata in quelle T2 pesate. Il segnale è potenziato dalla somministrazione di mezzo di contrasto a base di Gadolinio. Le sequenze T1 con mezzo di contrasto e soppressione del grasso rappresentano la tecnica più sensibile per studiare le fessure interlobari e l’invasione delle strutture adiacenti. Quest’ultima, assieme all’ispessimento pleurico diffuso e al versamento pleurico, rappresenta il principale segno RM nel MPM. Il versamento pleurico appare sotto forma di aree focali iperintense nelle sequenze T2 pesate. Rispetto alla TC la RM consente una migliore valutazione dell’estensione del tumore attraverso il diaframma (accuratezza diagnostica 82% RM, 55% TC), dell’invasione della fascia endotoracica o in caso di singola localizzazione della parete toracica (accuratezza diagnostica 69% RM, 46% TC). In realtà le differenze si riducono con l’utilizzo della moderna TC multistrato con elaborazioni multiplanari, tridimensionali e volumetriche. La RM riconosce il 24


suo ruolo nello studio del MPM come strumento complementare alla TC nei casi dubbi o in tutti i pazienti in cui è controindicato l’uso di mezzo di contrasto iodato. E’ ormai dimostrato come la PET sia una metodica molto utile nello studio del MPM, in particolare nella diagnosi differenziale tra lesioni benigne e maligne, nella stadiazione e nella valutazione della risposta metabolica alla terapia. Il tracciante comunemente utilizzato è il 18F-FDG, un analogo marcato del glucosio che viene captato più avidamente dalle cellule tumorali rispetto alle cellule normali, per via dell’incrementato metabolismo glucidico. L’esame consente oltre all’analisi visiva delle immagini anche l’analisi quantitativa dell’entità della captazione del tracciante a livello della lesione. Il parametro comunemente utilizzato è il SUV (Standardized Uptake Value) dato dal rapporto tra l’attività a livello della lesione e la dose totale somministrata endovena, rapportata al peso del paziente. La PET tuttavia, in considerazione della sua natura funzionale, fornisce informazioni riguardo le aree più attive da un punto di vista metabolico e può essere d’aiuto nella selezione dell’area più appropriata per effettuare la biopsia. Di fondamentale importanza è il ruolo della toracoscopia nella diagnosi e nella stadiazione del mesotelioma pleurico maligno. Questa infatti, eseguita il più precocemente possibile e con adeguata accuratezza, rappresenta la chiave di

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volta nella gestione del paziente. Si distinguono una toracoscopia medica e una chirurgica, nota come VATS (Video Assisted Thoracic Surgery). La toracoscopia medica offre una visione tridimensionale endoscopica (tunnel-like) riservata a un solo operatore, prevede 1-2 porte di entrata e richiede una semplice anestesia locale. Presenta bassi costi, semplicità di esecuzione ed è ben tollerata dai pazienti. L’esame prevede, dopo la completa aspirazione del liquido pleurico, un’osservazione attenta e scrupolosa di ogni quadrante, che riguardi la pleura parietale in tutta la sua estensione, i seni costo-frenici, l’emidiaframma, la pleura viscerale con particolare attenzione alle scissure e infine, soprattutto a sinistra il pericardio. Fondamentale è inoltre valutare la mobilità delle strutture considerate. La toracoscopia tradizionale consente sia l’aspirazione del liquido pleurico che l’esecuzione di biopsie. Le biopsie devono essere abbondanti e multiple anche di fronte ad un’endoscopia apparentemente normale. La sensibilità è attorno al 90% e i falsi negativi sono generalmente attribuibili all’impossibilità di un’esplorazione completa della cavità pleurica, a causa di aderenze tenaci, non lisabili. La procedura è gravata da un 10% di complicazioni quali:

pneumotorace

iatrogeno,

perdite

aeree,

emorragie,

infezioni,

disseminazione di cellule neoplastiche. La VATS fornisce una visualizzazione indiretta bidimensionale e panoramica del cavo pleurico, proiettata su un videomonitor; prevede da 1 a 4 26


accessi e si esegue in sala operatoria in anestesia generale. E’ indicata in tutti i casi di cavo pleurico complicato da aderenze o raccolte saccate; consente un’ ottimale mobilizzazione del parenchima polmonare e una completa visione dei foglietti pleurici nelle loro riflessioni. In tal modo è possibile ottenere campioni bioptici sufficienti da fornire al patologo e provenienti da più siti pleurici, polmonari e linfonodali. Nell’ambito diagnostico sembra quindi essere l’unica procedura idonea a fornire quantità sufficienti di tessuto utili alla diagnosi istologica dove altre metodiche falliscono, in particolare nei cavi pleurici complessi, dove l’unica alternativa sarebbe la toracotomia esplorativa. Le biopsie toraciche trans-parietali sotto guida ECO o TC non sono raccomandate per la diagnosi di mesotelioma con l’eccezione dei pazienti nei quali la toracoscopia sia controindicata. I prelievi ottenuti sono infatti spesso insufficienti per consentire una caratterizzazione immunoistochimica. La tecnica standard prevede l’impiego di aghi tipo Abrams e raggiunge al massimo valori di sensibilità del 55%, probabilmente a causa della distribuzione “a chiazze” del MPM e della predilizione per le superfici pleuriche basale e diaframmatica.

Stadiazione Almeno sei diversi sistemi di stadiazione del mesotelioma pleurico maligno sono stati elaborati nel tempo. Il sistema di classificazione in stadi più largamente utilizzato fu elaborato da Butchart nel 1976 sulla base di uno studio 27


condotto su 29 pazienti sottoposti a pneumonectomia extrapleurica. Questo sistema, ampiamente utilizzato per via della sua semplicità, non consente tuttavia una dettagliata stratificazione dei pazienti ai fini della sopravvivenza e della resecabilità chirurgica, né un’adeguata valutazione dell’invasione della parete toracica e dello stato linfonodale. Nel 1982, Chahinian fu il primo ad applicare un sistema di stadiazione basato sulla valutazione del tumore primitivo, del coinvolgimento linfonodale e delle metastasi a distanza. Ampiamente utilizzato è anche il sistema di stadiazione proposto da Sugarbaker del Brigham and Women’s Hospital nel 1993, dopo aver analizzato 52 pazienti sottoposti a terapia trimodale. Questo sistema di stadiazione prevede 4

stadi e prende in considerazione la resecabilità chirurgica e lo stato

linfonodale. I pazienti in stadio I hanno un tumore resecabile e senza infiltrazione linfonodale; nello stadio II confluiscono i tumori operabili con linfonodi intratoracici positivi, mentre nello stadio III i tumori non resecabili a causa

dell’infiltrazione delle strutture mediastiniche o estensione trans-

diaframmatica; lo stadio IV raggruppa i pazienti che presentano malattia metastatica. Nel 1995 l’International Mesothelioma Interest Group (IMIG) introdusse la classificazione TNM del mesotelioma pleurico che prevede una descrizione

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più dettagliata di T, mantenendo la definizione delle categorie N e M analoghe a quella del sistema TNM applicata al carcinoma polmonare.

Terapia È ormai chiaro che il MPM sia un tumore caratterizzato da una prognosi infausta e da una scarsa risposta alla terapia. La tipologia del trattamento dipende dall’età del paziente, dal “performance status” e dallo stadio di malattia. Poiché la maggior parte dei pazienti giunge all’osservazione quando la diffusione della neoplasia è ormai avanzata, solamente una popolazione accuratamente selezionata di pazienti può accedere alla terapia radicale. Importante è il trattamento chemioterapico, il cui utilizzo nella terapia del mesotelioma ha recentemente avuto risultati promettenti. La chemioterapia di prima linea consiste quindi nella combinazione di analoghi del platino con agenti antifolati. La monochemioterapia a causa dei modesti risultati non dovrebbe essere considerata. Il controllo dei sintomi è apparso notevolmente superiore e la contemporanea somministrazione di folati e vitamina B12 ha ridotto la tossicità ematologica. L’associazione di pemetrexed con carboplatino anziché cisplatino ha mostrato risultati analoghi con minore tossicità. La radioterapia palliativa finalizzata al controllo del dolore produce beneficio in circa il 50% dei casi. Può essere considerata un’irradiazione locale nei pazienti con noduli sottocutanei sintomatici o con invasione dolorosa della 29


parete toracica. La radioterapia profilattica invece, consiste nell’irradiazione dei tragitti toracoscopici al fine di ridurre dolorose ricadute locali dovute alla diffusione di cellule neoplastiche in seguito alla procedura chirurgica. A causa dei risultati spesso contrastanti nei diversi trials e per via dell’introduzione di efficaci terapie sistemiche in grado di ritardare le metastasi locali, l’utilità della radioterapia profilattica è tuttora dibattuta. La radioterapia a scopo radicale è limitata dalla caratteristica crescita diffusa del MPM che rende necessario irradiare un ampio volume bersaglio ed è quindi controindicata come singolo trattamento radicale. Il trattamento chirurgico a scopo palliativo comprende principalmente interventi di pleurodesi e pleurectomia/decorticazione. La pleurodesi è utile nella prevenzione del versamento pleurico ricorrente e le ripetute toracentesi possono essere evitate se essa viene effettuata nelle fasi iniziali della malattia, prima che il versamento diventi saccato e il polmone diventi incapace di riespandersi completamente. La procedura che da i maggiori risultati prende il nome di pleurodesi con talco e consiste nell’ insufflare talco sterile o iniettare talco liquido all’interno della cavità pleurica al fine di ottenere la sinfisi dei due foglietti pleurici. Non si sono evidenziate differenze nel risultato tra la procedura medica e quella chirurgica con videotoracoscopia. Nei pazienti con sindrome da incarceramento del polmone, che non rispondono alla pleurodesi e con aspettativa di vita maggiore a 6 mesi, si può 30


ricorrere invece all’intervento di pleurectomia/decorticazione che rappresenta un approccio chirurgico citoriduttivo. L’intervento consente di ottenere una clearance significativa ma incompleta del tumore pleurico. In primis si esegue la pleurectomia mediante dissezione della pleura parietale dalla fascia endotoracica su tutte le superfici della parete toracica, del diaframma e del mediastino; si procede quindi con la decorticazione, ossia con l’asportazione della pleura viscerale dal parenchima polmonare per via smussa o tramite dissezione con taglienti. I vantaggi sono la riduzione del deficit ventilatorio restrittivo e il controllo del dolore toracico. L’introduzione della toracoscopia video-assistita ha consentito di ottenere controllo dei sintomi e talvolta effetti sulla sopravvivenza con minore morbilità rispetto all’approccio toracotomico. Il

trattamento

chirurgico

radicale

è

rappresentato

dalla

pleuropneumonectomia extrapleurica (PPE) che consiste nell’asportazione in blocco della massa neoplastica comprendendo i tessuti interessati di pleura, polmone, linfonodi mediastinici, diaframma e pericardio e della quale parleremo in seguito in un capitolo dedicato. La scarsa efficacia dei singoli trattamenti in termini di sopravvivenza, ha reso necessario valutare l’importanza di regimi di cura multimodali. Numerose strategie associano la chirurgia (pleurectomia-decorticazione o PD) alla radioterapia post-operatoria (PORT) con o senza chemioterapia (adiuvante, neoadiuvante e intrapleurica). La maggiore efficacia ad oggi viene riconosciuta 31


al trattamento trimodale; esso consiste nella combinazione di pneumectomia extrapleurica, chemioterapia sistemica e radioterapia post-operatoria; lo studio condotto da Sugarbaker e coll. su 183 pazienti ha mostrato una sopravvivenza di 51 mesi in un gruppo selezionato di pazienti (istologia epiteliale, margini di resezione negativi e assenza di metastasi linfonodali) sottoposto a trattamento trimodale. Numerose nuove terapie sono inoltre in fase di sperimentazione. La chemioterapia ipertermica intrapleurica, la terapia fotodinamica, la terapia antiagiogenica, l’immunoterapia e la terapia genica, rappresentano i principali campi di studio.

Prognosi Numerosi ed eterogenei sono i dati presenti in letteratura per quanto riguarda i fattori prognostici del mesotelioma pleurico maligno. Negli anni ‘90 sono stati costruiti, sulla base di casistiche sufficientemente rappresentative, due modelli utili per meglio definire la prognosi dei pazienti: l’EORTC (European Organization for Research and Treatment of Cancer) e il CALGB (Cancer and Leukemia Group B). Sulla base di questi dati gli autori hanno individuato sei gruppi prognostici con una sopravvivenza media che va da 13,9 mesi a 1,4 mesi.

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LA PLEUROPNEUMONECTOMIA EXTRAPLEURICA

La pleuropneumonectomia extrapleurica venne descritta inizialmente per il trattamento dell’empiema tubercolare nel 1940 da Sarot. Da allora, le indicazioni sono state espanse oltre a condizioni benigne anche in malattie maligne quali il MPM, il sarcoma pleurico, il timoma con impianti pleurici ed il cancro del polmone non a piccole cellule con coinvolgimento pleurico. La tecnica chirurgica è andata raffinandosi col passare del tempo. Butchart nel 1976 pubblicò la sua esperienza con un tasso di mortalità del 30%, ma lavori più recenti, come quelli di DeLaria, DaValle, Ruffie, Sugarbaker, Allen e Rush hanno riportano livelli di mortalità molto inferiori, in genere sotto il 10% e alcuni addirittura sotto il 5%. In questo capitolo descriviamo i principali aspetti tecnici della PPE nella chirurgia del MPM, ma anche gli aspetti concernenti la preparazione preoperatoria del paziente e le sua gestione nel periodo postoperatorio.

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Valutazione preoperatoria I pazienti candidati a PPE hanno in genere un’età inferiore ai 75 anni, un buon status respiratorio funzionale e indice di Karnofsky >70. È possibile tuttavia che si possano fare delle eccezioni a queste caratteristiche per alcuni pazienti con età superiore ai 75 anni, in particolare quelli attivi e con eccellente status cardiopolmonare. La funzionalità epatica e renale nel candidato a PPE devono essere conservate e l’esame ecocardiografico deve confermare una buona attività ventricolare bilaterale con una frazione di eiezione > 45% in assenza di ipertensione polmonare. Quando viene constata l’ipertensione polmonare si rende necessario prima dell’intervento il cateterismo cardiaco destro. In casi borderline è utile eseguire un test da sforzo cardiopolmonare al fine di determinare il rischio di mortalità. Il Volume Espiratorio Forzato massimo al 1° secondo (FEV1), valutato con esame spirometrico prima dell’intervento deve essere superiore a 2L e quello previsto nel postoperatorio (FEV1

ppo)

deve essere > 0.8 L per poter

considerare il paziente a rischio normale. Per questo motivo i pazienti con FEV1 preoperatorio < 2.0L devono effettuare una scintigrafia ventilatoria/profusionale, esame che permette il calcolo del FEV1 dopo l’intervento. Il test da sforzo può fornire una valutazione del rischio del paziente per eventi cardiaci postoperatori, attraverso la valutazione del consumo di ossigeno sotto stress fisico.

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Il sospetto di MPM viene basato in genere sugli aspetti radiologici associati alla malattia. I pazienti in cui il sospetto diagnostico viene rafforzato dalla citologia, devono essere comunque sottoposti a biopsie pleuriche multiple in videotoracoscopia, per evitare errori diagnostici e trattamenti impropri. Infatti, è frequente una diagnosi citologica errata di MPM, risultata essere in seguito un adenocarcinoma metastatico (es. polmone, ovaio etc.) dopo una biopsia pleurica in VATS o a cielo aperto. La

resecabilità

della

neoplasia

viene

valutata

sulla

base

del

coinvolgimento delle strutture anatomiche limitrofe: parete toracica, mediastino, grossi vasi, esofago e diaframma. Tale valutazione si effettua con esame TC del torace e del mediastino con MdC ed ove necessario con la RMN.

Come

abbiamo sottolineato in precedenza anche la PET/TC può essere utile per escludere la diffusione neoplastica extra-toracica, dove questa non è valutabile con TC o RMN. Tutte queste indagini di imaging, presentano percentuali variabili di falsi positivi e falsi negativi riguardo l’invasione della parete toracica, di un grande vaso o del diaframma. Per questi motivi alcune scuole chirurgiche suggeriscono un’ esplorazione accurata toracoscopica, toracotomica o addirittura laparotomica per verificare la resecabilità ed escludere un eventuale diffusione transdiaframmatica della malattia.

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Pleuropneumonectomia extrapleurica destra Prima dell’intervento viene posizionato un sondino epidurale toracico dall’anestesista, utile in seguito per la gestione del dolore. Un tubo a doppio lume viene generalmente usato per la ventilazione selettiva monopolmonare. Il sondino nasogastrico può essere utile per l’identificazione dell’esofago durante l’intervento e viene generalmente lasciato in sede alla fine dell’intervento. Il paziente viene posizionato in decubito laterale sinistro. Se si deve escludere un’eventuale estensione trans-diaframmatica, si effettua un’ esplorazione laparoscopica o una mini-toracotomia sullo stesso spazio intercostale della futura incisione toracotomica. Quando il coinvolgimento peritoneale viene escluso, si può procedere alla toracotomia. Alcuni chirurghi preferiscono un doppio accesso toracotomico per poter lavorare efficacemente tanto sull’apice pleuro-polmonare quanto sul diaframma. Nella tecnica con singola toracotomia le fasi chirurgiche sono le seguenti: a) incisione di cute, sottocute, muscoli e fascia endotoracica ed esposizione della pleura parietale e del polmone, b) dissezione nel piano extrapleurico per separare il tumore dalla parete toracica e il mediastino (Immagine 3), c) dissezione del diaframma con risparmio della parete toracica e del peritoneo, d) incisione del pericardio omolaterale, anteriore e inferiore (Immagine 4), e) isolamento e sezione dell’arteria polmonare e delle vene polmonari, f) isolamento e sezione del bronco principale, g) linfoadenectomia mediastinica, h) 36


ricostruzione con protesi del diaframma e del pericardio (Immagine 5) e i) chiusura della ferita toracotomica per piani.

Immagine 3. Dissezione nel piano extrapleurico.

Immagine 4. Resezione del pericardio .

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Immagine 5. Ricostruzione del pericardio e diaframma.

La toracotomia viene eseguita a livello del sesto spazio intercostale, con divisione dei muscoli gran dorsale e dentato anteriore e con eventuale resezione della sesta costa. La dissezione extrapleurica inizia dal solco costale della costa resecata e procede verso l’apice con uso di forbici o elettro-cauterio secondo necessità, usando tamponi per limitare le perdite ematiche. Dissecando la pleura parietale laterale, anteriore e posteriore verso l’apice, il tumore viene gradualmente mobilizzato interamente finché l’apice non venga raggiunto. Attenzione deve essere prestata in questa fase alla dissezione pleurica dai vasi succlavi ed in seguito inferiormente e medialmente, dalla vena cava superiore, dalla azygos, dalle vie respiratorie e dall’esofago. La dissezione continua inferiormente verso il diaframma; il punto migliore per iniziare la dissezione diaframmatica è all’angolo costofrenico anteriore. Le fibre muscolari vengono sezionate in maniera circoferenziale dalla 38


parete toracica ed in seguito viene identificato e risparmiato il peritoneo. La procedura prosegue verso il pericardio, il quale viene inciso in prossimità dell’angolo costofrenico anteriore. L’incisione pericardica viene effettuata in direzione superiore verso la vena cava inferiore. I vasi polmonari vengono allora sezionati all’interno del pericardio aperto usando suturatrici meccaniche o previa legatura manuale con punto trasfisso a seconda della preferenza del chirurgo. La vena e l’arteria mammaria interna, che originano rispettivamente dalla vena cava superiore e dall’arteria succlavia omolaterale, sono delle strutture anatomiche da salvaguardare. I vasi diaframmatici posteriori vengono divisi lasciando il bordo del pilastro diaframmatico in prossimità dell’ esofago e completando la resezione diaframmatica. La resezione pericardica viene completata dividendo la parte posteriore del pericardio dai vasi polmonari verso la carena. I linfonodi sotto-carenali vengono asportati ed il bronco principale destro è pronto per essere sezionato. Alcuni chirurghi usano la suturatrice meccanica a tale scopo, sotto visione broncoscopica diretta. Il pezzo operatorio viene rimosso, la linfoadenectomia mediastinica viene completata e l’emostasi viene effettuata in maniera accurata per evitare complicanze post-operatorie. A questo proposito può essere utilizzato il coagulatore ad Argon, molto utile per trattare il sanguinamento della parete toracica decorticata. In aggiunta, agenti emostatici locali come la colla fibrina possono essere impiegati in pressoché tutti i distretti della cavità toracica. Il 39


torace si ispeziona ulteriormente per eventuali residui di malattia. I noduli tumorali eventualmente repertati possono essere asportati e vengono segnati in maniera da indirizzare meglio la radioterapia postoperatoria. Il torace viene lavato con normale soluzione salina per ridurre l’incidenza di empiema postoperatorio. A questo punto si procede alla ricostruzione diaframmatica e pericardica. Si usano in genere patch di Gore-Tex spessi 2 mm per il diaframma e 1 mm per il pericardio. Due pezzi di Dual Mesh da 20 a 30 cm vengono suturati insieme per creare un unico strato che possa reggere la pressione intra-addominale, evitando la deiscenza o l’erniazione degli organi addominali in torace. La protesi diaframmatica viene assicurata anteriormente, lateralmente e posteriormente alla parete toracica usando suture trascorrenti lo spazio intercostale e assicurate eventualmente con un bottone in Gore-Tex. Medialmente, il patch si fissa sul bordo sezionato del pericardio. Il pericardio viene sempre ricostruito per prevenire l’erniazione cardiaca e l’epicardite. Un patch in Gore-Tex spesso 1 mm e lungo circa 15 - 20 cm viene suturato al bordo libero del pericardio una volta fenestrato per prevenire il tamponamento cardiaco. La toracotomia si chiude nella maniera standard, lasciando un tubo toracico nello spazio residuo per permettere il bilanciamento del mediastino ed il monitoraggio della pressione intracavitaria dopo l’intervento. Immediatamente 40


dopo la chiusura della toracotomia, il mediastino deve essere bilanciato rimuovendo almeno 1000 mL di aria negli uomini e 750 mL nelle donne dal cavo pleurico, usando una siringa da 60 ml ed un rubinetto raccordato al tubo toracico. Il paziente in genere viene estubato nella sala operatoria. Una radiografia del torace viene eseguita nell’unità di terapia semi- intensiva o intensiva per controllare la posizione delle strutture mediastiniche. Ulteriore fluido o aria possono essere evacuati o dell’aria essere introdotta secondo necessità per bilanciare il mediastino.

Pleuropneumonectomia extrapleurica sinistra Esistono alcune importanti differenze nel metodo di esecuzione della PPE sinistra rispetto a quella destra appena descritta. L’isolamento del polmone sinistro viene spesso effettuato con un “bronchial” sinistro, dato che l’anatomia bronchiale può non essere adatta al tubo endotracheale a doppio lume. La dissezione pleurica iniziale viene condotta con particolare attenzione ai grandi vasi, arco aortico, nervo frenico e ricorrente per evitarne eventuali lesioni. Se non viene individuato il corretto piano preaortico si può incorrere ad una lesione alla radice dei vasi intercostali o del dotto toracico. L’esofago deve essere chiaramente identificato, come nella parte destra, ma è di cruciale importanza preservarne il più possibile il pilastro diaframmatico sinistro per prevenire l’erniazione intra-toracica dello stomaco. 41


Se tutti i vasi polmonari vengono sezionati all’interno del pericardio durante PPE destra, nella parte sinistra l’arteria polmonare viene divisa al di fuori del pericardio, al contrario delle vene polmonari omolaterali che si dividono intrapericardialmente. Il bronco principale sinistro in genere si seziona in prossimità della carena dove il tessuto è più duro che al lato destro, data la sua collocazione rispetto all’arco aortico.

Gestione postoperatoria Dopo l’intervento, i pazienti vengono estubati in sala operatoria e monitorati in unità di terapia semi-intensiva o intensiva con ECG, pulsi ossimetria, linea venosa centrale e linea arteriosa. L’anestesia epidurale toracica viene usata nei primi 3-5 giorni per ridurre il dolore e favorire la tosse, l’espulsione di secrezioni bronchiali e le eventuali atelettasie. La deambulazione inizia generalmente al terzo giorno postoperatorio poiché molti pazienti hanno una significativa ipotensione ortostatica durante i primi giorni. La profilassi antitrombotica viene effettuata con calze elastiche o manicotti a compressione intermittente, oltre che l’impiego di eparina a basso peso molecolare per via sottocutanea. L’equilibrio idro-elettrolitico deve essere controllato ed integrate le quantità di elettroliti necessarie, in particolare nelle prime 48 ore.

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La broncoscopia può essere usata per rimuovere secrezioni bronchiali. Eventuale paresi del nervo ricorrente deve essere sempre presa in considerazione, valutata e trattata per ridurre l’incidenza di polmoniti. Radiografie del torace su base quotidiana inizialmente e ad intervalli standard in seguito devono essere impiegate per la valutazione della posizione del mediastino o di eventuale sindrome post-pneumonectomia che può portare a compromissione respiratoria ed aritmie cardiache difficili da trattare. Il monitoraggio della pressione intrapleurica può essere effettuato con l’impiego di un trasduttore collegato al tubo toracico. Tale pressione deve essere mantenuta in genere al di sotto di 10 cm H2O. Se si verifica instabilità emodinamica o insorge il sospetto di tamponamento cardiaco, deve essere eseguito un ecocardiogramma transtoracico o transesofageo per identificare una protesi pericardica stretta che impedisce il normale ritorno venoso, una eventuale trombosi o eventi ischemici postoperatori.

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LA GESTIONE INFIERMIERISTICA DEL PAZIENTE CANDIDATO A PLEUROPNEUMONECTOMIA EXTRAPLEURICA

Accoglienza del paziente in reparto Quando il paziente si presenta in reparto per essere ricoverato il primo compito dell’infermiere è quello di accoglierlo nella maniera più adeguata al fine di attenuare il trauma e la tensione che l’atto stesso del ricovero ospedaliero può comportare. E’ importante seguire un protocollo di qualità per l’accoglienza infermieristica del paziente: garantire la massima professionalità e competenza per quanto concerne gli aspetti tecnici e burocratici, fornire informazioni chiare e precise, evitare comportamenti ambigui, esibire disponibilità e gentilezza e rispettare la privancy. Dal punto di vista pratico, gli atti che devono essere espletati in questa fase sono:

Accoglienza Quando il paziente arriva si saluta con gentilezza e cordialità lui e i suoi accompagnatori e ci si presenta. Gli si spiega subito quali saranno i primi atti che dovranno essere espletati e si informa su quelli che sono i suoi primi 44


eventuali bisogni. In seguito gli si presenta il personale di reparto e gli si mostra brevemente il reparto, in particolare le stanze di degenza, le medicherie, la stanza visite e la stanza di attesa

Registrazione del paziente nei registri nosologici e amministrativi È necessario registrare il paziente negli appositi registri riportando tutti i dati anagrafici previsti dalla legge (nome e cognome, luogo e data di nascita, residenza, recapiti telefonici e codice fiscale, data del ricovero, numero della cartella clinica, numero progressivo del ricovero). La registrazione cartacea sarà seguita da quella elettronica nel database dell’Azienda Sanitaria o del sistema sanitario regionale. In questa fase vanno inoltre comunicati al paziente le varie informative relative alla privacy ed agli aspetti legali legati alla degenza e si firmano eventuali consensi informati. Una volta completata la fase burocratica, è abitudine nell’Istituto di Patologia Chirurgica fornire al paziente due foglietti informativi prestampati: uno relativo alla donazione di sangue ed uno relativo alle regole di comportamento in reparto durante il periodo della degenza. Il primo ha lo scopo di sensibilizzare i parenti dei ricoverati e stimolarli a donare sangue, cosi da evitare l’esaurimento delle banche di sangue ed i disagi conseguenti per i reparti chirurgici. Il secondo descrive le regole fondamentali per una convivenza civile e funzionale con il personale medico, infermieristico, amministrativo e con gli 45


altri pazienti durante la degenza, tanto del ricoverato quanto dei suoi famigliari e di altre persone interessate alla sua salute. Contiene dunque le seguenti informazioni: orari e numero dei pasti, orari delle visite mediche, orari di visite di persone esterne, collocazione delle aree di servizio presenti nell’ospedale (mensa, bar, cappella etc.), informazioni sul vestiario e sugli eventuali spostamenti per motivi medici o meno.

Preparazione della stanza di degenza per il paziente A questo punto viene assegnato al paziente un letto di degenza e viene accompagnato nella stanza, dove gli si presentano eventuali altri degenti e gli vengono indicati i vari servizi (bagno, televisione etc.), i mobili a sua disposizione (armadio, comodino, tavolo etc.) ed il sistema di chiamata dell’infermiere in caso di necessità. In precedenza il personale infermieristico deve essersi accertato che: a) la stanza di degenza è stata disinfettata nella maniera prevista dalla legge, b) il letto è conforme alle necessità legate all’intervento e che è stato adeguatamente preparato ed ordinato, c) ci siano pedane, alberi da flebo, monitor ed altri accessori necessari, d) tutti i sistemi di illuminazione, di aspirazione e ossigenoterapia siano funzionanti. A questo punto si spiega al paziente come utilizzare i presidi succitati. Se necessario bisogna aiutarlo ad indossare il pigiama, assumere una posizione confortevole al letto o sulla sedia, riporre i vestiti nell’armadietto, disporre il campanello di 46


chiamata a portata di mano ed assicurarsi che le sponde del letto siano sollevate se lo stato del paziente lo richiede.

Compilazione della cartella infermieristica La cartella infermieristica è uno strumento clinico-infermieristico dinamico utile al corretto inquadramento generale del paziente, alla rilevazione delle sue specifiche necessità ed alla programmazione e monitoraggio del processo curativo. È dunque utile per garantire un elevato standard di qualità e continuità del processo assistenziale, ma anche come strumento medico - legale. Il suo utilizzo presuppone la comunicazione e l’ascolto continuo dei bisogni dell’assistito e permette una migliore integrazione delle varie figure sanitarie coinvolte nella cura. In pratica, la cartella infermieristica documenta sia gli aspetti clinici, psicologici e sociali del malato, sia l’attività infermieristica, in quanto in essa sono riportati e descritti gli interventi effettuati ed i risultati ottenuti. E’ un modello che rende visibile, osservabile e misurabile il processo di assistenza e che può costituire fonte di esperienza e dati per la ricerca. Recentemente la legislazione sanitaria in alcuni paesi ha introdotto il concetto di “diagnosi infermieristica” come elemento di giudizio critico della condizione clinica del paziente da parte dell’infermiere, allo scopo di offrire un miglior inquadramento più vicino alle competenze dell’infermiere stesso. La 47


diagnosi infermieristica si basa sull’insieme dei dati anamnestici e clinici raccolti, individua le problematiche reali o potenziali, correlandole alle eventuali cause e costituendo in questo modo il punto di partenza dell’assistenza al malato. Costituisce in altre parole la base per gli interventi infermieristici ed il fulcro centrale della cartella infermieristica che determina tutti gli accorgimenti, le misure e le procedure alle quali il paziente si sottopone. La compilazione della cartella infermieristica prevede le successive fasi:

Anamnesi E’ la fase iniziale del processo di assistenza in cui si raccolgono informazioni generali e cliniche che riguardano il paziente, allo scopo di effettuare il corretto inquadramento clinico ed ottenere elementi per la diagnosi infermieristica. Si inizia quindi con la raccolta o verifica dei dati anagrafici e la raccolta di informazioni per comunicare con le persone prossime al paziente. Si raccolgono inoltre, notizie riguardo lo stato alimentare del paziente e le sue abitudini voluttuarie o professionali (caffè, fumo, droghe, esposizione a polveri e solventi, in particolare asbesto). Si procede poi con l’anamnesi patologica remota, anamnesi farmacologica con particolare riguardo a eventuali allergie a medicamenti o alimenti ed infine all’anamnesi patologica prossima per arrivare infine al motivo del ricovero. È importante a questo punto accertarsi della disponibilità e registrazione di eventuali esami clinici, labotaristici e radiologici 48


effettuati nel pre-ricovero. Si raccolgono inoltre dati oggettivi che consentono di individuare lo stato psicologico ed emozionale del paziente al momento del ricovero.

Valutazione dei parametri vitali e clinici generali In questa fase si procede alla rilevazione e registrazione di diversi parametri di utilità clinica: peso, altezza, frequenza cardiaca, pressione arteriosa, temperatura corporea, diuresi ed altro. Di particolare importanza nel paziente con mesotelioma pleurico è la valutazione dello stato respiratorio (ritmo, frequenza e profondità degli atti respiratori) e l’eventuale presenza di drenaggi toracici o esiti da pregresso intervento medico o chirurgico diagnostico.

Pianificazione dell’assistenza A questo punto si procede all’esecuzione delle prime procedure di diagnosi e/o riequilibrio di eventuali alterazioni che vanno trattate prima dell’intervento. Si effettuano e si registrano dunque eventuali trattamenti farmacologici, idro-elettrolitici, dietetici e riabilitativi previsti e prescritti dal medico per il paziente. Vengono inoltre verificati e/o programmati eventuali appuntamenti con altri reparti e ambulatori per esami clinici e strumentali necessari all’inquadramento preoperatorio, non effettuati come ricovero programmato (RX torace, TC torace o Total Body, spirometria, visita 49


cardiologica, ecocardiogramma, test da sforzo etc.). L’infermiere si prende cura di verificare la disponibilità delle relative impegnative adeguatamente compilate dal personale medico e di programmare il trasporto del paziente per eseguire ogni singola valutazione. La pianificazione dell’ assistenza è comunque un processo dinamico, che tiene conto delle osservazioni quotidiane sulle variazioni delle condizioni cliniche del paziente. È possibile quindi che si formulino obiettivi precisi stabilendo i percorsi più idonei e che tali obiettivi possano essere modificati a seconda delle necessità del malato. Tutto questo va registrato nella cartella infermieristica: si annotano le valutazioni cliniche, laboratoristiche e strumentali, le eventuali procedure diagnostiche e terapeutiche e gli eventuali problemi e complicanze insorti durante il ricovero. A tale scopo è disponibile una serie di schede per la gestione di esami e consulenze che fa parte della cartella infermieristica (scheda terapia, scheda esami diagnostici, scheda parametri vitali, scheda bilancio idrico, scheda medicazioni, scheda drenaggi etc). Nella compilazione di queste schede è opportuno seguire alcune regole per evitare errori, confusione e ripercussioni medico-legali. Le regole principali in questo senso sono: 1) utilizzo di inchiostro indelebile preferibilmente nero, 2) scrittura ben leggibile, 3) linguaggio semplice e terminologia corretta, 4) simboli o abbreviazioni da usare se concordato da tutta l’equipe, 5) evitare errori 50


dei dati anagrafici del paziente, 6) descrivere in tempi brevi e con precisione ogni atto effettuato o problema insorto, 7) non dimenticare di aggiornare la cartella infermieristica, 8) correggere gli errori tracciando una linea sulle parole sbagliate in modo che restino leggibili, 9) indicare chiaramente la data e l’ora di ogni atto, 10) precisare la fonte delle informazioni raccolte riguardanti il paziente se rilevate da persone diverse dall’interessato. Il rifiuto del paziente all’effettuazione di medicazioni o altre procedure prescritte o l’assunzione di farmaci, deve essere debitamente segnalato, riportando anche le motivazioni riferite.

Assistenza infermieristica prima dell’intervento Una corretta preparazione del paziente all’intervento chirurgico di PPE permette di ottenere un miglior recupero post-operatorio con una riduzione dell’incidenza di complicanze. Il ruolo dell’infermiere è fondamentale in questo senso. Il primo aspetto che va curato costantemente nella fase preoperatoria è quello della preparazione psicologica del paziente. È molto importante tranquillizzare il paziente affinché affronti l’intervento serenamente; questo viene ottenuto attraverso l’ascolto, cosicché egli possa esprimere le proprie insicurezze e preoccupazioni e attraverso l’informazione delicata, cordiale, interessata sul tipo di intervento e sulle misure adottate dopo l’intervento. 51


Questo presuppone una buona conoscenza da parte dell’infermiere degli aspetti tecnici della PPE, onde evitare notizie imprecise ed incongruenti rispetto a quelle fornite dai medici. È inoltre possibile che il paziente prima dell’intervento debba effettuare procedure più o meno invasive come, biopsie trans-toraciche, broncoscopia, toracentesi, posizionamento di tubo di drenaggio pleurico ed altre; tutte queste procedure possono essere fonte di stress ulteriore e quindi il paziente deve essere preparato, sostenuto e seguito dal punto di vista psichico in continuazione.

La toracentesi Il termine toracentesi proviene dal greco θώρακας (torace) e κέντηση (puntura) e può essere impiegata a scopo diagnostico o terapeutico. Consiste nell’introduzione di un ago a scopo evacuativo nella cavità pleurica occupata da liquido o aria a causa di svariati processi patologici. Come abbiamo visto in precedenza, il versamento pleurico rappresenta uno dei quadri clinici più frequentemente riscontrati in pazienti con MPM. La toracentesi nei pazienti con versamento pleurico permette di sottoporre il liquido aspirato ad esame chimico – fisico, microbiologico e citologico allo scopo di determinare la sua natura. Nello specifico dei pazienti con MPM la sensibilità diagnostica della metodica non è alta, ma permette la diagnosi differenziale con versamenti di altra origine (infettivi, chilotorace etc). Del resto, l’aspirazione del liquido pleurico porta al 52


miglioramento della capacità respiratoria del paziente e risolve l’eventuale dispnea associata. Se dopo una prima toracentesi evacuativa, il versamento recidiva, significa che la causa persiste e che richiede ulteriore trattamento. Oggi giorno sono disponibili in commercio dei kit per toracentesi preconfezionati, con sistemi chiusi, monouso. In genere, questi kit contengono: - Bisturi, - Ago mandrinato, - Siringa da 50 ml - Sistema di deflusso con rubinetto a tre vie - Busta di raccolta Altri materiali necessari, non compresi nel kit sono: - Dispositivi di protezione individuale monouso come guanti sterili, mascherina, camici monouso. - Anestetico locale - Garze sterili - Siringhe di varie capacità - Cerotto - Provette per esami colturali, citologici e biochimici. Prima dell’inizio della procedura l’infermiere deve accertarsi che: • il paziente è a conoscenza della procedura • il paziente è in grado di assumere la posizione corretta 53


• non ci siano alterazioni dei segni vitali, la qualità della funzione respiratoria e la presenza di tosse e di escreato • il paziente non sia allergico agli antisettici, anestetici locali e altri presidi utilizzati per la procedura • il paziente sia tranquillo e non ci siano turbe psichiche che possono compromettere la procedura o che possono richiedere la somministrazione di sedativi • sia

stato

preparato

un

accesso

venoso

per

eventuale

somministrazione di liquidi o farmaci Prima di effettuare una toracentesi è altresì importante la corretta valutazione del versamento pleurico, attraverso l’esecuzione di una radiografia del torace. L’immagine deve essere posta sul diafanoscopio in dotazione all’ambiente dove la procedura avrà luogo. Nel caso di toracentesi da effettuare sul letto del malato, è opportuno studiare il radiogramma nel diafanoscopio della sala medici, prima dell’inizio della procedura. La toracentesi può essere eseguita in modalità “eco – guidata”, con l’ausilio dell’ultrasonografia che permette di evidenziare gli organi addominali, il diaframma, il polmone e quindi l’estensione del versamento, cosi da ridurre il rischio di complicanze. In questi casi, l’ecografo deve essere sistemato vicino al paziente in maniera da non disturbare il lavoro del medico e dell’infermiere ed il corretto posizionamento del paziente e allo stesso tempo deve poter essere 54


agevolmente usato, tenendo la sonda ecografica sterile. È compito dell’infermiere l’organizzazione dell’ambiente di lavoro in maniera ordinata e funzionale, l’accessibilità immediata a tutti i materiali utili all’esecuzione della procedura e il corretto posizionamento del paziente. Il posizionamento del paziente è di fondamentale importanza ai fini della corretta esecuzione della toracentesi. Diverse sono le posizioni proposte in letteratura, a seconda della scuola e della cultura medica. Noi descriviamo la posizione di Flower utilizzata nell’istituto di Patologia Chirurgica per la toracentesi, con la sola eccezione di pazienti particolari che non sono in grado di sostenere questa posizione per tutto il tempo necessario al completamento della procedura: - il paziente si siede sul lettino con le braccia conserte abbracciando uno o due cuscini, sui quali peraltro poggia la testa, chinandosi lievemente in avanti ed inarcando il dorso - il medico deve assumere la posizione più adatta alla procedura, avendo davanti a sé la schiena del paziente - un infermiere si mette vicino al medico in modo da porgerli i materiali necessari, sistemati su un tavolino sterile. - un altro collaboratore si mette davanti al paziente per evitare cadute o modificazioni repentine della posizione del paziente. Ove un terzo collaboratore non sia disponibile è utile sistemare un tavolino con uno o 55


due cuscini davanti al paziente cosi che possa appoggiare le braccia e la testa. È ancora compito dell’infermiere verificare che l’ambiente dove la procedura viene effettuata sia calmo e tranquillo, specialmente quando il paziente è dispnoico, che la temperatura sia ottimale e l’illuminazione ideale. A quest’ultimo scopo è utile l’impiego di scialitiche a piedistallo, orientabili e facilmente manovrabili anche in maniera sterile se necessario. Descriviamo ora le principali fasi della toracentesi. L’infermiere deve conoscere i particolari della procedura, cosi da assistere al meglio il medico, in particolare se si verificano complicanze o eventi aversi che vanno trattati in emergenza: - individuare lo spazio intercostale dove sarà effettuata la puntura evacuativa - praticare l’anestesia locale, - effettuare la puntura qualche centimetro al di sotto del limite superiore della zona di ottusità pleurica dovuta al versamento ed in corrispondenza del margine superiore della costa inferiore delimitante lo spazio intercostale prescelto - aspirare azionando lo stantuffo della siringa, una volta sicuri di aver attraversato tutto lo spessore della parete toracica - se il liquido non defluisce, l’ago viene spostato spingendolo un po’ più 56


profondamente o ritraendolo leggermente, sempre tenendo lo stantuffo della siringa in aspirazione. - una volta verificata la corretta aspirazione del liquido pleurico si provvede al prelievo di campioni per le varie analisi programmate e si procede al raccordo del sistema di evacuazione (rubinetto e busta di raccolta). Si procede quindi allo svuotamento del cavo pleurico modificando la posizione del rubinetto affinché, spingendo in avanti lo stantuffo della siringa, il liquido pleurico venga avviato nella sacca di raccolta. Poi si riporta il rubinetto nella posizione iniziale e si ripete tale operazione fino al completo svuotamento del cavo pleurico - una volta conclusa la procedura, si ritira attentamente l’ago e si procede alla medicazione. Le complicanze più temibili della toracentesi sono legate alle lesioni di organi parenchimatosi addominali e toracici e del diaframma. Queste lesioni possono causare emorragie importanti e richiedere dunque dei trattamenti invasivi. La puntura del parenchima polmonare può causare l’insorgenza di pneumotorace, che può essere di piccola entità e quindi trattato con la sola osservazione, oppure più importante e quindi trattato con il posizionamento di un tubo di drenaggio toracico. Queste complicanze devono essere evitate con la scrupolosa pianificazione della toracentesi da parte di personale con esperienza in tali procedure ed eventualmente con l’uso dell’ultrasonografia. L’infermiere 57


deve essere a conoscenza dell’eventualità (se pur rara) di insorgenza di complicanze gravi e quindi deve possedere la preparazione e l’esperienza adatte nel gestirle. Un'altra complicanza importante può essere dovuta alla lesione dei vasi intercostali. Queste emorragie in genere si risolvono spontaneamente ma possono essere causa di emotorace e quindi richiedere trattamenti invasivi. È necessario inoltre distinguere un’emorragia da lesione intercostale rispetto all’aspirazione di liquido ematico dal cavo pleurico. Per differenziare tali evenienze è opportuno depositare in una provetta pochi millilitri dell’aspirato e verificare il tempo di coagulazione; se il sangue proviene da un vaso intercostale leso, coagulerà rapidamente. Al termine della procedura è necessario tenere il paziente in osservazione ed a riposo, monitorando l’eventuale insorgenza di segni e sintomi di complicanze.

Il posizionamento di drenaggio toracico La realizzazione pratica di un drenaggio pleurico presuppone una buona conoscenza della sede anatomica ideale per l’introduzione del tubo, del tipo di sistema adatto alle necessità cliniche del malato ed infine della corretta tecnica di posizionamento. Quest’ultima può essere diversa 58


in relazione ai materiali eseguiti, alla scuola chirurgica ed all’esperienza del medico che la esegue. Descriviamo in seguito i punti cardine di una condotta pratica corretta, relativa alle procedure di posizionamento e di rimozione di tubi toracici, nonché le più frequenti tra le possibili varianti. La sede anatomica ottimale per l’inserzione del tubo va individuata in base al tipo e alla distribuzione intrapleurica del fluido da drenare, ma tenendo sempre presente la necessità di portare a termine la procedura senza ledere strutture anatomiche vitali. Considerando la linea emiclaveare ed una linea orizzontale che passa al capezzolo (quarto spazio intercostale) si definiscono quattro quadranti in ogni emitorace. Solo il quadrante supero-esterno è esente da rischi di danni anatomici importanti, ad eccezione del peduncolo intercostale che decorre nel solco sottocostale di ogni costa. La sede preferenziale per il posizionamento di un drenaggio toracico è rappresentata da un triangolo delimitato anteriormente dal margine laterale del muscolo gran pettorale, posteriormente dal margine anteriore del muscolo gran dorsale, con base una linea orizzontale che passa dal capezzolo e con apice rivolto verso il cavo ascellare. Questa area costituisce il cosiddetto “safe triangle” degli anglosassoni, in quanto permette di evitare il mediastino, le strutture vascolari importanti della parete toracica (es. arterie mammarie interne), i pettorali ed il tessuto mammario, garantendo peraltro una minor visibilità della cicatrice e quindi un miglior risultato estetico. Nel caso di 59


pneumotorace il tubo può essere inserito in corrispondenza del secondo spazio intercostale, mentre per il drenaggio di raccolte liquide può essere utilizzato il quarto spazio intercostale, rimanendo sempre all’interno dell’area del triangolo. Un altro sito di inserzione di un drenaggio pleurico, consigliato da alcuni autori in caso di pneumotorace apicale è quello anteriore a livello del secondo spazio intercostale sulla linea emiclaveare. Questo drenaggio anteriore è ideale per il paziente ferito disteso a terra che viene drenato sul campo o in un politraumatizzato di cui non si possono assolutamente mobilizzare le braccia. In compenso è più difficile da realizzare su pazienti obesi o molto muscolosi, non è esteticamente valido e può risultare fastidioso per il paziente. Anche il primo spazio intercostale sulla stessa linea, può essere utilizzato allo stesso fine. Ulteriori siti di inserzione sono rappresentati dal primo spazio intercostale

sulla

linea

emiclaveare

e

posteriormente

dall’area

sovrascapolare. Il primo permette di raggiungere perfettamente l'apice rispettando nel contempo le inserzioni superiori del grande pettorale, mentre il secondo è d’obbligo in casi di versamenti saccati non altrimenti raggiungibili e deve essere posizionato da un medico con esperienza in queste manovre.

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A prescindere dall'accesso scelto bisogna rispettare le tre regole generali seguenti: - evitare di penetrare al disotto del livello del capezzolo (IV spazio intercostale) per non lesionare il diaframma - evitare di impiegare l'orifizio di una ferita preesistente per non rischiare eventi settici o di riaprire una fonte emorragica - evitare di impiegare l'orifizio di un drenaggio preesistente per via dell’alto rischio settico Il tipo ed il calibro del drenaggio dipende dalla natura e dall’entità del versamento. Nel caso di pneumotorace sono preferibili tubi da 10 – 14 F. La scelta di un tubo di drenaggio di diametro ridotto è dettata dal fatto che sono più comodi e quindi meglio tollerati dai pazienti. In uno studio del 1988 è stato valutato l’uso di tubi da 9 F nel trattamento del pneumotorace. Il drenaggio è stato efficiente nell’87% dei casi, ma in diverse occasioni la perdita area è stata superiore alla capacità di deflusso garantita del tubo. Anche per il drenaggio di raccolte liquide i tubi da 10 – 14 F garantiscono in genere buoni risultati. È evidente che più il liquido è denso maggiore è il calibro del tubo di drenaggio necessario. La scelta di un calibro ridotto rappresenta un'opzione da valutare attentamente perché può ostruirsi precocemente. Diversi studi riportano dei risultati soddisfacenti con uso di piccoli cateteri tipo “pigtail” posizionati su guida ecografica in pazienti 61


affetti da versamento pleurico maligno. L’uso di cateteri di piccolo calibro è stato inoltre mostrato efficace in pazienti con empiema pleurico, trattati con agenti fibrinolitici. In caso di emotorace acuto è consigliabile l’uso di tubi di calibro di almeno 28 – 30 F, che permettono sia di drenare il versamento sia di monitorare le perdite ematiche. Il dibattito sul adeguato calibro dei tubi per drenaggio toracico nelle diverse situazioni cliniche, è tuttora aperto in quanto non esistono dei trials importanti che confrontano direttamente l’efficienza di quelli a calibro ridotto con quelli di calibro maggiore. La procedura può risultare dolorosa per molti pazienti, nonostante l’anestesia locale, è quindi la premedicazione con benzodiazepine o oppioidi sarebbe auspicabile. Uno studio recente ha dimostrato che il posizionamento di un drenaggio toracico, sebbene eseguito da personale esperto, risulta doloroso nel 50% dei casi, con la sensazione dolorosa quantificabile tra 9 – 10, in una scala del dolore da 1 a 10 con massimo il 10. La premedicazione può essere effettuata con un ansiolitico endovenoso o con un oppioide intramuscolo un ora prima della procedura. Entrambi i farmaci devono essere usati con cautela in quanto possono causare depressione respiratoria, in particolare se somministrati in pazienti con BPCO.

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La scelta della posizione del paziente dipende dal sito anatomico che è stato scelto per l’inserzione del tubo di drenaggio. Se è stato scelto il triangolo

ascellare

di

sicurezza,

cosi

come

è

stato

descritto

precedentemente, il paziente deve essere posizionato in decubito supino, leggermente ruotato verso la parte sana e con il braccio omolaterale alla lesione sollevato dietro la testa. Posizioni alternative sono quella a decubito laterale e a paziente seduto col tronco flesso in avanti, appoggiato su un cuscino a sua volta deposto su supporto rigido (tavolo, sedia ecc). Dato che un drenaggio toracico può rimanere in sede per diversi giorni è imperativa l’esecuzione delle manovre di posizionamento in assoluta sterilità per evitare infezione della ferita chirurgica o del cavo pleurico. L’empiema secondario a drenaggio toracico è un evenienza rara complicando circa il 2,4% delle procedure. Deve essere quindi preparato un ampio campo sterile comprendente il sito anatomico scelto per il posizionamento, la cute deve essere disinfettata accuratamente con iodopovidone o clorexidina e tutti i materiali devono essere sterili e maneggiati con guanti sterili. L’impiego o meno di profilassi antibiotica è tuttora una questione aperta. Una metanalisi pubblicata nel 2002, mettendo insieme i dati di diversi lavori effettuati su caistiche limitate, ha rilevato che l’antibiotico-profilassi in pazienti sottoposti a drenaggio di raccolte pleuriche da trauma è in grado di ridurre il 63


rischio di empiema del 5.5 – 7.1% e di tutte le possibili complicanze infettive del 12.1 – 13.4%. Questi dati sostengono la convinzione di diversi autori che raccomandano la profilassi antibiotica in pazienti con versamenti associati a traumi toracici, indicando come antibiotici di scelta le cefalosporine o la clindamicina. Per quanto concerne l’impiego dell’antibiotico-profilassi nel drenaggio del pneumotorace o dei versamenti cronici, non esistono attualmente dati significativi che dimostrano la sua utilità. L’anestesia locale si esegue con un ago lungo che permette non solo di anestetizzare tutti i piani, ma anche di confermare l'origine del versamento e di valutare lo spessore dei tessuti da attraversare. Inizialmente si infiltra la cute e il sottocute sino alla formazione di un pomfo. Si attraversano quindi tutti i muscoli sino al piano osseo costale. Si risale quindi sulla costa sino al suo margine superiore che viene «raschiato» per penetrare in pleura con la siringa in aspirazione. L'iniezione di Xilocaina® al 1% nella dose di 3mg/kg di peso corporeo in cavità pleurica o a livello polmonare, non crea pericoli, ma il paziente potrebbe presentare tosse e sensazione di “amaro in bocca”. Chiaramente se la siringa è tenuta in aspirazione questo inconveniente può essere evitato, oltre il fatto che l’aspirazione di liquido del versamento può confermare la corretta scelta della sede di inserzione. Rimuovendo l'ago lentamente si 64


inietta anestetico in modo da anestetizzare lo spazio sottopleurico e le strutture intercostali. Nei pazienti che presentano parete toracica molto spessa è possibile impiegare un grosso ago, tipo Veres, per raggiungere la pleura e controllare il versamento. L’uso di adrenalina per potenziare l’effetto dell’anestetico e facilitare l’emostasi è suggerito da alcuni autori ma non ci sono evidenze di un chiaro beneficio. L'incisione cutanea viene fatta col bisturi lanceolato, è parallela alla costa, di lunghezza commisurata al calibro del drenaggio e si esegue in corrispondenza del terzo superiore della costa. L’incisione deve essere la più piccola possibile per garantire una tenuta stagna ottimale, permettendo allo stesso tempo di introdurvi un dito per sincerarsi della tunnellizzazione adeguata e disporre agevolmente il tubo. In seguito si esegue la tunnellizzazione dei piani muscolari sino al margine costale con una pinza di Halsted o di Kelly a seconda della preferenza dell’operatore. Si procede alla divaricazione completa delle fibre muscolari e si raggiunge la pleura. Una mano esperta, dopo un buon percorso parietale, riesce ad apprezzare questo sottile foglietto sul quale si ferma la pinza. Con un piccolo gesto, brusco ma misurato, si apre parzialmente la pleura. È il tempo più doloroso della procedura. Alcuni autori suggeriscono, a questo punto, l’introduzione del dito indice

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nell’apertura per lisare eventuali adesioni e confermare l’apertura della pleura parietale. Chiaramente, se si utilizza un dispositivo con trocar, questi ultimi passaggi sono eseguiti con l’ausilio di quest’ultimo e quindi senza ricorrere alla divaricazione con pinza, soprattutto quando si ha la certezza che il polmone è distante dalla parete. Un semplice movimento a «cacciavite» sarà sufficiente a penetrare nella pleura senza esercitare pressione eccessiva sulla parete toracica. Una volta in cavità pleurica, si deve provare la caratteristica sensazione di mobilità del trocar. Rimuovendo il mandrino si deve constatare la fuoriuscita dell'aria o del liquido a conferma della presenza del tubo in cavità. Alcuni autori, preferiscono comunque eseguire la divaricazione ed in seguito posizionare il trocar, in quanto l’introduzione diretta del trocar, pur più semplice da eseguire tecnicamente, è accompagnata da elevato rischio di lacerazione del polmone o di altre strutture intratoraciche. A prescindere dalla tecnica adottata, è importante che il tunnel creato a livello cutaneo, muscolare e pleurico sia obliquo e non diritto, cosi da ridurre la probabilità di infezione, di entrata di aria nello spazio pleurico alla rimozione e per facilitare la giustapposizione dei margini della ferita, una volta rimosso il tubo. In posizione clinostatica, l'aria si raccoglie sul davanti della cavità toracica ed il liquido posteriormente mentre in posizione seduta l'aria in alto 66


ed il liquido in basso. Se di desidera drenare aria, è necessario orientare il tubo verso l’alto e in avanti nella cavità pleurica, cosicché i fori risultano in sede antero-superiore. Se invece, si desidera drenare un versamento liquido i fori del drenaggio debbono risultare in basso ed indietro, in corrispondenza degli sfondati pleurici. Il tubo viene clampato ed introdotto delicatamente, cercando di indirizzarlo nella posizione desiderata. Se il paziente sottoposto a drenaggio di uno pneumotorace segnala un dolore internamente alla scapola, significa che l’estremità del tubo ha raggiunto l'apice. Se è stato usato un dispositivo di posizionamento, mentre il drenaggio è clampato, si rimuove il trocar e si introduce il tubo per alcuni centimetri. Il successivo controllo radiografico permetterà di verificare la sua posizione ed eventualmente ritirarlo se mal posizionato. Il tubo di drenaggio non va sempre nella posizione desiderata Una volta posizionato il tubo, è possibile ancorarlo con delle modalità diverse per evitare una sua eventuale accidentale dislocazione. È classico confezionare una borsa di tabacco attorno all'orifizio del tubo, che permetterà la chiusura della cute alla rimozione del drenaggio. Queste borse di tabacco sono però responsabili di cicatrici antiestetiche e possono essere vantaggiosamente sostituite da un semplice punto ad U. Di fatto le linee guida britanniche

sul

posizionamento

dei 67

drenaggi

toracici

sconsigliano

il


confezionamento di borse di tabacco. Per l'ancoraggio del drenaggio si può utilizzare un secondo punto. Alcuni autori preferiscono disporre il punto di ancoraggio prima di inserire il tubo, appena eseguita l’incisione. È possibile, inoltre, tunnellizzare il suo percorso per una decina di centimetri al disotto della medicazione. Questa tecnica ha il vantaggio di permettere la mobilizzazione agevole del drenaggio in caso di necessità. Il suo svantaggio consiste nel fatto che la medicazione può risultare ingombrante, riducendo la mobilità del torace. L’uso di medicazioni pronte o cerotti trasparenti permette di ispezionare meglio il sistema di ancoraggio al drenaggio. Utile appare essere, inoltre, la creazione di un “grembiule” di garze intorno al tubo di drenaggio, cosi da evitare un eventuale decubito. Un raccordo biconico collega il drenaggio con il sistema di aspirazione e collettore. In ogni caso la medicazione deve lasciare in vista tutti i raccordi in modo da evitare che un disinserimento passi inosservato.

Il giorno prima dell’intervento Il giorno precedente all’intervento l’infermiere deve controllare: la completezza della documentazione clinica, l’ottenimento del consenso informato, il completamento dei programmi riabilitativi, la prescrizione della profilassi antitrombotica ed antibiotica, la tricotomia ed i parametri vitali. Deve 68


inoltre sincerarsi che il paziente effettua un’ alimentazione leggera ed un’astensione totale da fumo di tabacco e alcolici. È importante insegnare al paziente tossire correttamente e utilizzare lo spirometro incentivante. La sera prima dell’intervento è necessario mantenere il digiuno, effettuare un clistere evacuativo ed assumere eventualmente un sedativo per favorire il sonno ed il riposo. Il giorno dell’intervento il controllo dei parametri vitali deve essere ripetuto, come del resto anche un altro clistere se necessario. Il paziente deve essere istruito a farsi la doccia o un bagno disinfettante ed indossare il camice monouso. Pochi minuti prima dell’intervento gli sarà somministrata la preanestesia ed in seguito la profilassi antibiotica, mentre la cartella clinica con tutta la documentazione clinica sarà preparata per essere inviata in sala operatoria. È necessario ancora sincerarsi che il paziente abbia tolto tutti gli oggetti personali ed eventuali protesi (dentiere, lenti a contatto etc), rossetto, smalto e trucco. Quando tutto è pronto si trasferisce sulla barella per essere portato in sala operatoria.

Assistenza infermieristica dopo l’intervento Una volta terminato l’intervento e la dimissione dal reparto postoperatorio di terapia semi-intensiva, il paziente ritorna in corsia. A questo punto necessità di una adeguata assistenza infermieristica per ridurre il rischio di 69


complicanze. Questa richiede: a) preparazione accurata del letto facendo attenzione che non vi siano pieghettature che possano accentuare i disagi della posizione supina, b) controllo del corretto funzionamento del vuoto centralizzato e dell’ossigeno, c) verifica che la stanza sia pulita, arieggiata e provvista del necessario per un’eventuale medicazione e per l’igiene personale, d) formulazione di un piano assistenziale insieme al personale medico. Quest’ultimo punto ha lo scopo di organizzare un programma assistenziale, tarato sulle necessità del singolo paziente. I dati raccolti prima dell’intervento e le raccomandazioni dei chirurghi e degli anestesisti forniscono un primo quadro della condizione del paziente che va integrato con le seguenti notizie, raccolte all’arrivo del paziente in reparto: 1) condizione emodinamica: pressione arteriosa, pulsi-ossimetria, frequenza cardiaca, frequenza respiratoria, ECG, 2) condizione respiratoria: frequenza, ritmo e profondità degli atti respiratori, saturazione dell’ossigeno, radiografia del torace, eventuale emogasanalisi, 3) verifica del coretto posizionamento del tubo di drenaggio, delle caratteristiche del liquido di drenaggio e della presenza di aria, 4) funzionalità renale: funzionamento del catetere vescicale, diuresi, successivamente creatinina, 5) temperatura corporea, sudorazione ed equilibrio idroeletrolitico. Questi parametri dovranno essere monitorati costantemente nelle prime ore prima dell’intervento ed in seguito ogni 24 ore. Si dovrà inoltre provvedere alla corretta ossigenoterapia, idratazione ed alimentazione del paziente. Nel 70


nostro reparto è abitudine mobilizzare precocemente i pazienti per ridurre i rischi di tromboembolismo; la mobilizzazione del paziente deve essere effettuata con la necessaria delicatezza per evitare esacerbazione del dolore toracotomico che può impattare negativamente sulla respirazione.

Importante ancora in

questa fase risulta essere la somministrazione corretta della terapia: l’infermiere deve leggere attentamente quanto prescritto, rispettare gli orari, controllare la scadenza dei farmaci ed eventuali anomalie del colore, densità, quantità. Il paziente nei giorni successivi alla PPE sarà sottoposto ad una serie di valutazioni radiografiche periodiche del torace allo scopo di monitorizzare la posizione del drenaggio, eventuali raccolte, la posizione del mediastino, la presenza di enfisema sottocutaneo e la condizione del polmone residuo. Le prime radiografie saranno effettuate al letto del malato, mentre in seguito dovrà essere preparato ed accompagnato al reparto di radiologia per effettuare le radiografie in posizione ortostatica. L’infermiere deve assistere il paziente in questo processo di valutazioni seriate, curare gli appuntamenti, le impegnative e l’acquisizione dei referti in tempo utile. Dovrà inoltre informarsi sull’evoluzione delle condizioni cliniche del paziente. Da non dimenticare inoltre, l’impegno a livello di sostegno psichico ed emozionale da parte del personale infermieristico che deve dare continuità allo sforzo preoperatorio in questo ambito, cosi come l’abbiamo descritto in

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precedenza. Questo aspetto diventa particolarmente importante nel caso di complicanze postoperatorie. Alla dimissione l’infermiere deve sincerarsi delle condizioni del paziente e dell’avvenuta programmazione dei controlli di follow up post-chirurgico. Ancora,

deve

multidisciplinari

verificare

che

(oncologiche,

siano

organizzate

fisioterapiche,

tutte

le

radioterapiche

valutazioni etc)

garantiranno il corretto proseguimento dell’iter terapeutico del paziente.

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che


CONCLUSIONI

Il mesotelioma pleurico maligno è una neoplasia grave, caratterizzata da mortalità elevata e l’unico intervento potenzialmente curativo è rappresentato dalla PPE. La gestione dei pazienti affetti da questa malattia sottoposti a PPE può essere complessa e richiede specifiche capacità da parte del personale infermieristico. Concludendo questa tesi, riassumiamo le principali competenze che l’infermiere deve possedere nel suo bagaglio culturale per poter svolgere al meglio il suo ruolo nell’assistenza di tali pazienti: - conoscere i principali aspetti fisiopatologici, clinici e prognostici della malattia, - avere le nozioni e l’esperienza necessaria nella valutazione e preparazione preoperatoria del paziente, sia dal punto di vista fisico (funzionalità respiratoria, nutrizione etc) sia psicologico, - saper assistere correttamente l’esecuzione di procedure invasive come la toracentesi o il posizionamento di tubo di drenaggio pleurico, - conoscere gli aspetti tecnici generali della PPE,

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- avere esperienza e conoscere i principi di gestione postoperatoria del paziente sottoposto a chirurgia toracica maggiore e i materiali impiegati (monitors, drenaggi, spirometri etc), - conoscere le possibili complicanze, come riconoscerle, come gestirle e quali siano i presidi necessari a tale scopo, - avere esperienza e capacitĂ nella gestione dello stato psicologico ed emotivo del paziente, in particolare nel caso di alterazioni severe.

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