Orticaria cronica autoimmune: nuovi approcci diagnostici-terapeutici ed esperienze personali

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A.D. MDLXII

U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI S ASSARI F ACOLTÀ

DI

M EDICINA

E

C HIRURGIA

___________________________

CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

ORTICARIA CRONICA AUTOIMMUNE: NUOVI APPROCCI DIAGNOSTICI-TERAPEUTICI ED ESPERIENZE PERSONALI

Relatore: CHIAR.MO PROF. ROBERTO MANETTI

Tesi di Laurea di: TANIA P IRINA

ANNO ACCADEMICO 2010/2011



CAPITOLO I ORTICARIA………………………………………………………..Pag.4 1. Definizione e caratteristiche cliniche…………………………Pag.4 2. Classificazione e diagnosi……………………………………..Pag.6

CAPITOLO II ORTICARIA CRONICA…………………………………………Pag.15 Orticaria cronica e anticorpi antitiroidei…………………………….Pag.16

CAPITOLO III ORTICARIA CRONICA AUTOIMMUNE…………………..Pag.19 1. Definizione, prevalenza e quadro clinico…………………....Pag.19 2. Patogenesi…………………………………………………….Pag.22

• L’attivita “histamine-releasing” nell’Orticaria Cronica Autoimmune……………………Pag.31

• Modalità d’azione degli autoanticorpi anti FcεRI……………………………………………….Pag.33

• Infiammazione nella CAU……………………………...Pag.35 • Infiltrato cellulare……………………………………...Pag.37 • Basi autoimmuni dell’orticaria cronica………………..Pag.39 • Ruolo di allergeni alimentari nella patogenesi

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dell’Orticaria Cronica Autoimmune................................Pag.42

3. Diagnosi………………………………………………………Pag.44

• ASST: …………………………………………………………Pag.44 Frequenza di risposta positiva e negativa in soggetti con e senza CAU…………………………………Pag.45 Protocollo per la procedura del test con siero autologo…………………………………...Pag.46 Caratteristiche cliniche in pazienti con Orticaria Cronica ASST+ e ASST-……………………..Pag.49 ASST come marker della presenza di autoanticorpi funzionali e associazione tra autoreattività e autoimmunità……………………………Pag.50

• TEST DI RILASCIO DI ISTAMINA…………………………...Pag.51 • APST…………………………………………………………..Pag.52 • BAT……………………………………………………………Pag.53

4. Terapia………………………………………………………..Pag.55

• Antistaminici e corticosteroidi:utilizzo limitato…………………...Pag.55 • Ciclosporina: terapia d’elezione………………………………......Pag.56 • Omalizumab: quale ruolo nella CAU?.............................................Pag.63

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CAPITOLO IV ESPERIENZA DI ORTICARIA CRONICA AUTOIMMUNE NELL’AMBULATORIO DI IMMUNOLOGIA ED ALLERGOLOGIA DELLA CLINICA MEDICA DELLA UNIVERSITA’ DI SASSARI......................................................Pag.65

• Materiali e metodi: Casi clinici……………………………………………………Pag.68

• Risultati……………………………………………………….Pag.76 • Conclusioni……………………………………………………Pag.77

CAPITOLO V • BIBLIOGRAFIA…………………………………………Pag.79

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CAPITOLO I

ORTICARIA: definizione e caratteristiche cliniche

Col termine di “orticaria” si identifica un gruppo di affezioni diverse tra loro sul piano clinico ed eziopatogenetico, ma che presentano in comune alcuni caratteri: l’improvvisa comparsa di edemi circoscritti della cute e delle mucose che, a seconda della loro localizzazione anatomica nel contesto della cute, possono presentarsi con l’aspetto del pomfo o dell’angioedema. Sono lesioni di breve durata (ore) e risolvono abitualmente con una restitutio ad integrum. Il pomfo si presenta come un rilievo edematoso circoscritto, rotondeggiante o ameboide, con dimensioni che oscillano da 1-2 mm a diversi cm e colore roseorosso in periferia e bianco-opalino al centro. Ha una consistenza elastica, ed è di solito molto pruriginoso. Generalmente si risolve spontaneamente nell’arco di 124 ore (Vedi fig.1a e 1b).

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Fig.1a

Fig.1b

L’angioedema può essere definito come un edema circoscritto che interessa non solo la cute, ma anche le mucose e che coinvolge la parte più profonda del derma e del sottocutaneo. Presenta il colore della pelle normale o appare lievemente più pallido e non è accompagnato da prurito, ma da una lieve sensazione di bruciore o talvolta di dolore. Le aree cutanee dove l’angioedema si localizza più frequentemente (il volto e le estremità) si caratterizzano anatomicamente per la presenza di un sottocutaneo lasso e facilmente distensibile. La sua risoluzione è più lenta rispetto a quella del pomfo, può impiegare infatti fino a 72 ore (Vedi fig.2a e fig.2b).

Fig. 2a

Fig.2b

Istologicamente, le lesioni cutanee dell’orticaria si caratterizzano per una dilatazione e per un aumento della permeabilità delle venule postcapillari del derma superficiale o dei vasi del derma profondo e dell’ipoderma a cui consegue edema circoscritto associato ad un infiltrato di variabile entità di linfociti e granulociti, che si dispongono in posizione perivascolare; le lesioni cutanee sono

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la conseguenza dell’attività di sostanze vasoattive e vasopermeabilizzanti liberate principalmente dai mastociti dermici.

CLASSIFICAZIONE E DIAGNOSI

Non esiste una classificazione che possa raggruppare i vari tipi di orticaria, in maniera univoca. Vengono utilizzate classificazioni in base alla durata della sintomatologia o altre che raggruppano queste affezioni in base alla eziologia. Per quel che riguarda i sintomi ci si riferisce sia alla durata delle singole lesioni elementari (>48 h o <48h), sia alla ricorrenza della sintomatologia in termini di settimane (>6settimane o <6 settimane) (Vedi fig.3).

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Fig.3 Classificazione di orticaria in base alla duarata della sintomatologia

Per quel che riguarda la base eziologica, la classificazione EAACI/GA-LEN/EDF 2006 (European Academy of Allergology and Clinical Immunology/European Union-founded Network if Excellence/European Dermatology Forum) validata dalle Linee Guida definite nel corso della Consensus Conference sull’Orticaria di Berlino (2008), riconoscendo l’etereogeneità dell’orticaria, ha individuato tre raggruppamenti: forme spontanee; forme di orticaria fisica, che sebbene di natura cronica, sono riproducibili con l’applicazione di stimoli di natura fisica; altre forme di orticaria, incluse l’orticaria acquagenica, l’orticaria colinergica, l’orticaria da contatto e l’orticaria/ anafilassi indotta da esercizio fisico.

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Le forme spontanee si distinguono, in rapporto alla durata delle manifestazioni, in:

forme acute se inferiori o uguali alle 6 settimane (le cause piĂš comuni di orticaria acuta sono farmaci, cibi, infezioni virali, infezioni dovute a parassiti, veleno di imenotteri e il contatto con svariati allergeni. Tra i farmaci, quelli riconosciuti come maggiormente responsabili di orticaria e angioedema sono antibiotici, in particolar modo sulfamidici e penicilline, FANS, ASA, oppiacei e narcotici. Tra i cibi, quelli predominanti sono latte, uova, noccioline, pesce e crostacei. In circa il 50 % dei pazienti, tuttavia, la causa resta sconosciuta: orticaria acuta idiopatica);

forme croniche se le manifestazioni sono superiori alle 6 settimane (se si escludono le vasculiti con manifestazioni orticariodi e le varie forme di orticarie fisiche croniche, non vi sono evidenze di allergeni esogeni responsabili della sintomatologia, definendo cosĂŹ queste forme idiopatiche; accanto a queste vi sono le forme autoimmuni).

Le forme di orticaria fisica comprendono: o Orticaria da contatto freddo, in cui il fattore scatenante è rappresentato da aria fredda, acqua e vento;

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o Orticaria da pressione ritardata, in cui lo stimolo è dato una pressione verticale e i pomfi insorgono con una latenza di 3-8 ore; o Orticaria da contatto caldo, il cui fattore scatenante è dato dal calore localizzato; o Orticaria solare, che insorge dopo esposizione ai raggi UV e/o luce visibile; o Orticaria factitia/dermografica, in cui i pomfi compaiono in seguito a forze meccaniche taglienti, dopo 1-5 minuti; o Orticaria vibratoria/angioedema, il cui stimolo è dato da una vibrazione.

Le altre forme di orticaria possono essere classificate in: o Orticaria acquagenica, in cui il fattore scatenante è l’acqua; o Orticaria colinergica, provocata dall’aumento della temperatura corporea; o Orticaria da contatto, scatenata dal contatto con sostanze urticanti; o Orticaria/anafilassi da esercizio fisico, indotta dall’esercizio fisico. (Vedi Tab.1)

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Tab.1. Classificazione dei sottotipi di orticaria modificata da Zuberbier T., Asero R. et al., 2009

Questa classificazione, utile per uso clinico, ha lo scopo di rendere univoci i dati epidemiologici di prevalenza, distribuzione e decorso dei diversi tipi e sottotipi di

orticaria, indipendentemente dalle complesse dinamiche eziopatogenetiche

delle forme croniche, ma è chiaro che vi sono delle incongruenze in questa classificazione. Per esempio, le orticarie fisiche sono anche condizioni croniche, ma sono raggruppate separatamente a causa della speciale natura dei loro fattori fisici scatenanti, mentre nelle tipiche orticarie acute e croniche, i pomfi insorgono spontaneamente senza stimoli esterni. Un altro importante fattore nella classificazione dell’orticaria è l’attività della malattia. Dove sono implicati degli eventi scatenanti di tipo fisico, può essere fatta un’esatta misurazione dell’intensità del fattore stesso, ad esempio la temperatura e la durata dell’applicazione nell’orticaria da freddo o da pressione e,

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la durata dell’applicazione fino alla provocazione delle lesioni nell’orticaria da pressione ritardata. Per l’orticaria non fisica acuta e cronica, una valutazione dell’attività della malattia è più complessa. Viene abitualmente adottato un sistema di punteggio (UAS Urticaria Activity Score), raccomandato dalle recenti linne guida EAACI, basato sulla valutazione dei sintomi chiave dell’orticaria: pomfi e prurito.

0 = Pomfi: Nessuno Prurito: Nessuno

1 = Pomfi: Lievi (<20 pomfi/24 ore); Prurito: Lieve

2 = Pomfi: Moderati (21-50 pomfi/24 ore); Prurito: Moderato

3 = Pomfi: Intensi (>50 pomfi/24 ore o ampie aree pomfoidi confluenti); Prurito: Intenso

In base al punteggio ottenuto (da 0 a 6) si valuta l’entità della malattia. (Zuberbier

T.,

Asero

R.,

Bindslev-Jensen

C.

et

al.:

EAACI/GA2LEN/EDF/WAO guideline: definition, classification and diagnosis of urticaria. Allergy 2009; 64: 1417-1426).

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Questo sistema è adatto anche per l’autovalutazione da parte del paziente e per il medico che lo ha in cura. Dato che i sintomi variano nel corso della giornata, l’attività generale della malattia viene misurata nell’arco di 24 ore, per alcuni giorni. E’ molto utile anche nella pratica clinica per determinare l’andamento ed il grado di risposta alla terapia della malattia, nei pazienti con orticaria cronica. Inoltre, viene utilizzato abitualmente anche uno specifico questionario (CUQ2oL), compilabile dai pazienti con orticaria cronica spontanea, utile per valutare la qualità di vita degli stessi; è un valido strumento per stabilire l’impatto della malattia sulla loro vita (vedi figura 4).

Fig.4. Esempi di domande inserite nel questionario (CU-Q2oL)

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La diagnosi di orticaria, con o senza angioedema, è basata sulla valutazione di una dettagliata storia clinica e sull’esame obiettivo, che insieme ai test diagnostici, ci permettono di inquadrare le varie forme, fisiche, acute o croniche (Vedi figura 5).

Fig.5 Algoritmo diagnostico dell’Orticaria (HAE: Angioedema ereditario; AAE: Angioedema acquisito da deficit di C1 INH esterasi)

L’esame deve includere informazioni dettagliate riguardo frequenza, durata e quadro delle lesioni ricorrenti; la loro distribuzione nelle varie parti del corpo; i potenziali stimoli scatenanti le lesioni; risposta alla terapia usata e storia familiare o personale di atopia. I tests diagnostici utilizzati sono differenti, in base ad una prima indagine clinicoanamnestica.

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I Prick tests e il dosaggio nel siero di IgE specifiche, possono aiutare a fare diagnosi di orticaria acuta dovuta ad allergie o a reazioni IgE mediate a svariati allergeni. Determinati test diagnostici possono aiutare nella diagnosi differenziale dei sottotipi di orticaria cronica e altri ancora ci forniscono indicazioni sulla diagnosi delle varie forme di orticaria fisica (Vedi tabella 2).

Tab.2. Rappresentazione schematica dei test diagnostici dei sottotipi di orticaria fisica, da Mgerl M et al. 2009 *lo step successivo implica la definizione della soglia di risposta allo stimolo

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CAPITOLO II ORTICARIA CRONICA

L’orticaria cronica è una patologia più comune tra gli adulti e colpisce con maggior frequenza le donne. L’insieme di forme acute e croniche colpisce circa il 15-30% della popolazione statunitense, ed il 20% di quella europea. Le forme croniche persistenti o recidivanti, con manifestazioni quotidiane o plurisettimanali per oltre 6 settimane interessano lo 0,5-1% nella popolazione statunitense, indipendentemente dallo stato di atopia, con F/M=2:1. I dati epidemiologici europei confermano l’ampia diffusione dell’orticaria cronica, con una prevalenza dello 0,6%. La durata media delle manifestazioni nelle forme croniche di orticaria è 3-5 anni, >1 anno nel 70% dei pazienti e > 5 anni nel 14%; è riportata risoluzione dopo 6 mesi dall’esordio nel 50% dei pazienti, dopo 36 mesi nel 20%, dopo 60 mesi nel 20% con almeno un episodio di recidiva in oltre il 50% dei pazienti in apparente remissione spontanea. Le forme croniche di orticaria hanno un impatto negativo sulla qualità di vita dei pazienti. E’ stato osservato che sono in grado di ridurre la performance professionale dei soggetti affetti del 20-30%, determinando oltretutto elevati costi sanitari diretti ed indiretti per la gestione terapeutica. Sotto questi aspetti, l’orticaria cronica, può essere paragonabile alla malattia coronarica cronica, alla dermatite atopica o alle psoriasi severe. La concomitante presenza di angioedema,

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per il coinvolgimento degli strati profondi di derma e tessuto sottocutaneo, la presenza di reazione mucosale e la lenta risoluzione clinico-istologica (oltre 72 ore), caratterizza le forme di orticaria di maggiore gravità e durata. L’orticaria cronica con manifestazioni spontanee (eliminando dunque dalla classificazione le “orticarie fisiche” e le “altre orticarie” secondo la definizione della EAACI/GA-LEN/EDF 2008) viene distinta dal punto di vista patogenetico in almeno due sottogruppi:

una forma autoimmune (CAU)

alla cui

identificazione hanno

contribuito l’identificazione di autoanticorpi IgG anti-FcεRI e di IgG antiIgE, rispettivamente nel 35-40% e nel 5- 10% dei pazienti con orticaria cronica spontanea, la dimostrazione dell’attività funzionale di rilascio di istamina in vitro di tali autoanticorpi e dell’attivazione preferenziale in vivo di mastociti cutanei; una forma “idiopatica”(CIU), nel restante 55% dei pazienti con mancato riscontro di tali auoanticorpi.

L’eziologia di questa forma rimane

sconosciuta.

ORTICARIA CRONICA E ANTICORPI ANTITIROIDEI In letteratura sono stati riportati diversi studi che vedono un’associazione dell’orticaria cronica con patologie tiroidee. Nel 1989 è stata proposta l’ipotesi

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della “Syndrome of idiopathic chronic urticaria and angioedema with thyroid autoimmunity”, sulla base dell’elevata prevalenza (14,4%) di tiroidite autoimmune con alterazioni dei livelli anticorpali nei pazienti con orticaria cronica e sulla remissione clinica dell’orticaria dopo terapia sostitutiva tiroidea. Numerosi studi successivi hanno confermato una più elevata frequenza complessiva di autoanticorpi anti-tiroidei nei pazienti con orticaria cronica, rispetto ai controlli sani (26,7-29,28% vs 3.3-5,5%), un riscontro di anticorpi antiTG ed anti-TPO rispettivamente nel 22,2% e nel 26,8% dei pazienti con orticaria cronica (vedi tab.3), l’esistenza di correlazione tra auto-anticorpi anti-TPO, positività del Test al Siero Autologo, e risposta di rilascio di istamina dei test funzionali in vitro.

Tab. 3. Schema riassuntivo della frequenza di autoanticorpi tiroidei in pazienti con orticaria cronica riportata in letteratura, da Cebeci F. 2006.

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Tuttavia, la remissione clinica dell’orticaria è totalmente indipendente dalla normalizzazione dei livelli autoanticorpali tiroidei, per questo si deve escludere la loro attività patogena; il frequente riscontro di tali anticorpi anti-tiroide in pazienti con orticaria cronica autoimmune viene considerato un epifenomeno dell’alterata tolleranza immunologica. Infatti, sia l’orticaria cronica che la tiroidite autoimmune sono espressione di questa e possono essere considerate delle manifestazioni sì associate, ma indipendenti. Alcuni Autori hanno descritto in pazienti con orticaria cronica e tiroidite autoimmune una maggiore prevalenza di infezione da Helicobacter Pylori, rispetto ai pazienti senza tiroidite. E’ possibile che vi sia un mimetismo molecolare tra la perossidasi di H. Pylori e quella tiroidea e questo determini una reazione crociata autoimmune, con manifestazioni a livello tiroideo. La elevata frequenza di tiroidite autoimmune in pazienti con orticaria cronica spontanea sarebbe, dunque, almeno in parte dovuta all’infezione batterica gastrica, che ha prevalenza nella popolazione generale del 50% e nei pazienti con orticaria cronica del 30%. Non si può assumere che vi sia un diretto coinvolgimento di tale batterio nella patogenesi dell’orticaria cronica spontanea, vista la mancata correlazione tra eradicazione dell’infezione e remissione dell’orticaria, però l’H. Pylori può ridurre la tolleranza immunologica e di conseguenza si può attribuire a tale infezione un ruolo indiretto nell’indurre la formazione di autoanticorpi con varia specificità,

compresi

gli

anti-FcεRI

(responsabili

della

manifestazione

dell’orticaria cronica autoimmune). Tuttavia in letteratura non vi sono ancora dati conclusivi a riguardo.

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CAPITOLO III

ORTICARIA CRONICA AUTOIMMUNE

Definizione, prevalenza e quadro clinico

L’Orticaria Cronica Autoimmune (CAU) è una forma di orticaria cronica determinata dalla presenza in circolo di autoanticorpi IgG: IgG anti-FcεRI e IgG anti-IgE (vedi figura 6), capaci di determinare sul piano patogenetico le lesioni cutaneo-mucose caratteristiche della malattia.

Fig.6. Meccanismi di autoimmunizzazione dell’orticaria cronica

La reale incidenza della CAU non è ancora completamente nota per la mancanza di criteri uniformi nella selezione dei pazienti e nella stratificazione clinica

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dell’orticaria. Dati parziali indicano, sul totale delle orticarie croniche spontanee (sono escluse le “orticarie fisiche” e le “altre orticarie”), una prevalenza del 3540% per quelle da autoanticorpi IgG anti-FcεRI e del 5-10% per quelle da autoanticorpi IgG anti-IgE. Sebbene per la conferma diagnostica di malattia autoimmune manchi la riproduzione nel modello animale, osservazioni sperimentali dirette ed indirette ed sostengono l’ipotesi della patogenicità di tali autoanticorpi. Gli anticorpi determinano l’attivazione di mastociti e basofili, che causa il rilascio di istamina e questo caratterizza il sottogruppo autoimmune delle orticarie croniche. Gli autoanticorpi anti-FcεRI funzionali (Histamine Releasing) non sono presenti in soggetti sani o in pazienti con altre forme di orticaria. I livelli plasmatici degli autoanticorpi correlano con la severità di malattia e la rimozione degli anticorpi determina la remissione clinica. I pazienti affetti da CAU presentano un quadro clinico non completamente sovrapponibile a quello riscontrato nelle altre forme di orticaria cronica. Infatti, dimostrano una maggiore gravità dell’interessamento cutaneo, con un più elevato numero di pomfi ed il coinvolgimento di una più vasta superficie corporea; anche la sintomatologia appare più intensa e continua. Non sono state documentate invece significative differenze per quanto concerne la durata e la localizzazione dell’angioedema, né per quanto riguarda l’importanza di possibili fattori scatenanti o esacerbanti, quali: farmaci come ASA o FANS, infezioni, cibi, ciclo mestruale, eventi stressanti.

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Viene riscontrata inoltre una maggiore incidenza di sintomi sistemici, come flushing, diarrea, dolori addominali e una maggiore gravità delle manifestazioni cutanee nei primi dodici mesi dall’esordio della malattia. La sintomatologia tipica dell’orticaria è rappresentata dall’insorgenza di pomfi associati a prurito e da angioedema. Questi segni sono l’espressione clinica dell’aumento

localizzato e transitorio della permeabilità vasale. Il pomfo è

l’espressione della vasodilatazione, dell’edema interstiziale e di un modesto infiltrato infiammatorio, a livello dermico. Quando interessa il derma profondo, le mucose e le sottomucose, si esprime come angioedema.

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Patogenesi

Nella patogenesi delle lesioni caratterizzanti l’Orticaria Cronica Autoimmune svolge un ruolo centrale l’attivazione dei mastociti cutanei e la conseguente liberazione di molteplici mediatori proinfiammatori e di citochine. I mastociti presenti nei diversi organi sono eterogenei dal punto di vista fenotipico e funzionale, potendo differire sia per morfologia e contenuto dei granuli, sia per sensibilità ai vari stimoli capaci di indurne la granulazione. I mastociti cutanei sono distribuiti in tutto il derma, ma sono più numerosi nel derma reticolare e tendono a concentrarsi intorno alle terminazioni nervose periferiche, ai vasi sanguigni e agli annessi cutanei. L’attivazione dei mastociti avviene normalmente per via immunologica o non immunologica. Gli stimoli immunologici comprendono:

reazioni allergiche di tipo I;

reazioni da immunocomplessi che inducono attivazione del complemento con formazione di anafilotossine (C3a, C5a);

reazioni autoimmuni da anticorpi diretti contro il recettore ad alta affinità per le IgE (FcεRI) o contro le IgE.

Questi ultimi caratterizzano l’attivazione mastocitaria nell’Orticaria Cronica Autoimmune.

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I mastociti e i basofili esprimono in membrana il recettore ad alta affinità per le IgE. Questo recettore consiste di 4 catene polipeptidiche transmembranarie (una catena α, una β e due γ). La regione Fc delle IgE si lega al secondo dominio della porzione extracellulare della catena α. La formazione di legami “a ponte” (“cross-linking”) tra recettori FcεRI contigui, scatena una cascata di modificazioni cellulari che culminano nella degranulazione mastocitaria: istamina, serotonina, proteoglicani (eparina, condroitin solfato E), proteasi (Chimasi, triptasi, carbossipeptidasi, catepsina G) ed induce la sintesi de novo di citochine (IL-1, TNF-α, IL-4, Il-5, IL-6, IL-8, IL-13) (Vedi figura 7).

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Fig.7. A diagrammatic representation of mast cell activation by (a) an antigen cross linking IgE; (b) IgG antiIgE antibody as seen in 5–10% of patients with chronic urticaria; and (c) IgG anti-IgE receptor antibody directed to the a subunit as seen in 40% of patients with chronic urticaria.

L’attivazione immunologica dei mastociti, mediante i classici quattro tipi di reazione dell’immunità acquisita, coinvolge strutture recettoriali di membrana, con specificità di riconoscimento antigenico e di trasduzione del segnale. (Vedi tabella 4).

Tab.4. Rappresentazione schematica dei meccanismi di attivazione immunologica dei mastociti. Note: *reazione complemento dipendente, mediata dal coinvolgimento del recettore C5a; **reazione associata ad attivazione non immunologica, complemento mediata (C3a, C5a).

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Nella CAU è presente una reazione di tipo II e l’attività istaminoliberatrice è dovuta alla presenza di autoanticorpi della classe IgG (precisamente degli isotipi IgG1 e/o IgG3), capaci di indurre la degranulazione dei mastociti legandosi alla subunità α di FcεRI o, meno frequentemente, alle IgE. (Vedi tabella 5)

Specificità

Isotipo

Frequenza

Attività funzionale

Presunta Anti-Cε2-4

IgG1 e 4, IgA,

Molto frequente

Attività in rari casi

IgM

nelle malattie

(IgG)

atopiche Anti FcεRI

IgG1-3

30% OC

(non catena α) Anti FcεRI

se IgG1-3 IgG

(catena α) Anti-IgG-IgE Fissati su FcεRI

Quasi sempre attivi

Documentati

Da documentare

molto raramente IgG

Documentati

Documentata

molto raramente

aneddoticamente

Tab. 5. Caratteristiche degli autoanticorpi presenti nell’Orticaria Cronica Autoimmune

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AUTOANTICORPI RIVOLTI CONTRO LA PORZIONE Cε 2-4 DELLA CATENA PESANTE DELLE IgE

Già nel 1972 il gruppo di Williams aveva documentato la presenza di autoanticorpi anti-IgE, appartenenti alla classe IgM, nel siero di pazienti affetti da malattie atopiche e parassitarie. Da allora è stata dimostrata la loro presenza , non solo nella dermatite atopica, ma anche nell’Orticaria Cronica Autoimmune. Questi anticorpi appartengono a diverse classi di immunoglobuline (IgA, IgM e IgG1 e IgG4). Esaminando la specificità dell’epitopo riconosciuto dagli autoanticorpi IgG antiIgE, è stato documentato che esso è localizzato sia nel dominio Cε2 che Cε4 della catena pesante delle IgE.

I primi tentativi di indurre il rilascio in vitro di

mediatori da parte dei granulociti basofili mediante autoanticorpi anti-IgE purificati, appartenenti alle classi IgM e IgG, si rivelarono del tutto infruttuosi e per questo motivo tali anticorpi furono ritenuti per molto tempo privi di attività funzionale. Solo nel 1998 si documentò per la prima volta che le IgG anti-IgE, isolate dal siero di un gruppo di pazienti affetti da orticaria cronica, determinavano l’attivazione non solo dei basofili umani, ma anche dei mastociti isolati da frammenti di cute e dal parenchima polmonare. In successive esperienze fu documentato che si comportavano anche come agenti secretagoghi completi, in grado di indurre il rilascio di mediatori preformati (soprattutto istamina).

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Queste esperienze dimostravano quindi che autoanticorpi IgG anti-IgE provenienti da pazienti affetti da orticaria cronica erano effettivamente capaci di indurre la liberazione di mediatori pro-infiammatori da parte di cellule FcεRI+, attraverso l’interazione con IgE fissate alle cellule. Tuttavia, sulla base di una serie di ricerche recenti, si ritiene che, nella maggior parte dei casi, gli autoanticorpi IgG anti-IgE non siano funzionalmente attivi e che rappresentino invece un meccanismo protettivo capace di prevenire la fissazione delle IgE sul loro specifico recettore, presente sulle cellule FcεRI+. In conclusione, solo in alcuni casi di orticaria gli anticorpi IgG anti-IgE sono patogenicamente attivi, mentre nella stragrande maggioranza dei casi essi non giocano uno specifico ruolo patogenetico, rappresentando invece un meccanismo protettivo. A dimostrazione di questo, si può citare lo studio effettuato dal gruppo di Laquin, (vedi figura 8) in cui ha osservato una iporeattività dei basofili agli anticorpi IgG anti-IgE, nel rilascio di istamina; paradossalmente ha potuto osservare però un’iperreattività degli stessi al fattore sierico (in un sottogruppo di pazienti con orticaria cronica autoimmune, nel cui siero erano stati allontanati autoanticorpi IgG, è stata documentata la presenza di un fattore sierico, capace di determinare un rilascio di istamina da parte delle cellule effettrici. Il fattore sierico potrebbe identificarsi con qualche citochina

o con molecole eparinoidi ad attività

mastocitolitica, provenienti dall’attivazione del sistema coagulativo-fibrinolitico).

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Fig.8. Percentuale di rilascio di istamina in seguito a stimolazione di basofili con anti-IgE di coniglio. Non ci sono sostanziali differenze tra i soggetti normali di controllo (CONTROL) e i pazienti che presentano atopie (asma e rinite allergica) (ATOPIC), mentre i pazienti con orticaria cronica (UC) risultano iporesponsivi.

AUTOANTICORPI RIVOLTI CONTRO GLI EPITOPI DELLA CATENA α DEL RECETTORE FcεRI (anti- FcεRIα) Nel 1993 accurate indagini condotte dal gruppo di Greaves portarono alla dimostrazione, nel siero di alcuni pazienti con orticaria cronica, di autoanticorpi rivolti contro la subunità α del dominio extracellulare del recettore FcεRI, presenti sui mastociti e sui granulociti basofili. Successivamente fu dimostrato che tali autoanticorpi appartenevano alla classe IgG e precisamente alle sottoclassi IgG1 e IgG3 e si rilevò che questi autoanticorpi erano documentabili anche nel siero di pazienti affetti da malattie autoimmuni (come la tiroidite di Hashimoto), da malattie atopiche e addirittura in soggetti normali; in tutti questi casi gli autoanticorpi appartengono alle classi Ig2 e IgG4. Ulteriori ricerche dimostrarono che non tutti gli autoanticorpi anti-FcεRIα

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erano dotati di attività funzionale e, quindi, patogeneticamente rilevanti; solo quelli apparteneti alle sottoclassi IgG1 e IgG3 risultavano capaci di indurre la liberazione di mediatori. Infatti solo questo tipo di autoanticorpi, attraverso la fissazione del complemento, potevano determinare la liberazione di C5a, una anafilotossina che, interagendo con lo specifico recettore presente sul mastocita (C5aR), poteva condizionarne la degranulazione. I mastociti cutanei, esprimendo sulla propria superficie grandi quantità di recettore C5aR, rappresentavano un bersaglio estremamente sensibile all’attività patogena di tali autoanticorpi; viceversa, il C5aR, poco espresso sui mastociti polmonari e intestinali, poteva determinare solo in misura modesta e in un limitato numero di pazienti una sintomatologia bronchiale o intestinale. Il ruolo dell’attivazione complementare nella CAU era confermato da alcune osservazioni: - l’uso dei farmaci inibitori del complemento determina un sostanziale miglioramento del quadro clinico; - se i sieri contenti anticorpi anti-FcεRIα vengono sottoposti a riscaldamento a 56°C per un’ora, in modo da abolire l’attività complementare, si determina, nei test di liberazione in vitro di istamina dai basofili umani, un rilascio del mediatore significativamente inferiore rispetto a quello ottenuto impiegando sieri non trattati; - il blocco del C5aR presente sulla superficie mastocitaria, provoca una sostanziale riduzione della capacità di rilascio di istamina indotto dal legame tra anti-FcεRIα e il loro recettore.

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Recentemente è stato ipotizzato che la capacità degli autoanticorpi anti-FcεRIα di determinare l’espressione della malattia sia subordinata all’assenza di IgE fissate al recettore e quindi alla ‘disponibilità’ di quest’ultimo. Secondo questo modello, l’orticaria si manifesterebbe soltanto in presenza di alcune condizioni che ‘permettano’ l’attività di tali autoanticorpi: un’elevata densità di recettori FcεRIα liberi sulla membrana dei mastociti, una modesta quantità dello stesso nell’ambiente peri-mastocitario ed una bassa concentrazione di IgE circolanti. Secondo questa interpretazione, i pazienti affetti da malattie atopiche, caratterizzati da un’elevata concentrazione sierica di IgE, sarebbero meno suscettibili allo sviluppo di una CAU mediata da autoanticorpi anti-FcεRIα.

AUTOANTICORPI RIVOLTI CONTRO EPITOPI NON α DEL RECETTORE FcεRI Il gruppo di studio di Greaves ha identificato, nel siero di alcuni pazienti affetti da orticaria cronica con skin test positivo, la presenza di autoanticorpi IgG in grado di provocare il rilascio di istamina da granulociti basofili umani, attraverso l’interazione con un epitopo del recettore FcεRI non localizzato nella catena α. Tuttavia, le caratteristiche funzionali di questi anticorpi e la loro effettiva incidenza nella CAU sono ancora da precisare.

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AUTOANTICORPI ANTI-IgG RIVOLTI CONTRO I COMPLESSI IgG-IgE LEGATI ALL’ FcεRI

Nel 1992 il gruppo di Lichtestein hanno proposto l’esistenza di un ulteriore meccanismo potenzialmente implicato nella patogenesi dell’Orticaria Cronica Autoimmune, documentando nel siero di alcuni di questi pazienti la presenza di autoanticorpi IgG, capaci di attivare i mastociti attraverso l’interazione con il complesso IgG-IgE adeso all’ FcεRI. Più precisamente questi autoanticorpi si legherebbero al frammento Fc della porzione IgG del complesso IgG-IgE presente sulla membrana dei granulociti basofili e dei mastociti.

L’ATTIVITA’ “HISTAMINE-RELEASING” NELL’ORTICARIA CRONICA AUTOIMMUNE

La presenza di pomfi e angioedema in alcuni dei pazienti con orticaria cronica idiopatica, dopo un’iniezione intradermica di siero autologo, è stata riportata per la prima volta dal gruppo di Grattan nel 1986. Loro dimostrarono una risposta positiva in 7 sui 12 pazienti studiati. le prime indagini furono rivolte alla dimostrazione della presenza di autoanticorpi con le caratteristiche di anti-IgE, in grado di determinare un rilascio di istamina. Venne ipotizzato che, nei pazienti con siero positivo, lo sviluppo dei pomfi era causato dalla capacità di questi autoanticorpi di cross-reagire con i mastociti cutanei e con i basofili, causando

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una loro attivazione ed il successivo rilascio di istamina. Successive analisi rivelarono che si trattava di anticorpi IgG e meno comunemente di IgM. Recentemente il gruppo di Sabroe ha classificato il siero di 75 pazienti affetti da orticaria cronica idiopatica in cinque gruppi in base al riscontro di autoanticorpi anti-FcεRI

immunoreattivi

funzionali

(rilascianti

istamina:

HR)

(26%),

autoanticorpi anti-FcεRI immunoreattivi non HR (15%), autoanticorpi anti-IgE (9%), fattori non immunoglobulinici HR specifici per mastociti (9%) ed assenza di riconoscibili fattori (41%). Questa suddivisione esemplifica la molteplicità e la diversità di molecole dotate di attività funzionale HR. La positività del siero autologo era fortemente associata

agli autoanticorpi anti-FcεRI immunoreattivi

HR e nessuno di questi autoanticorpi è stato riscontrato nel siero di soggetti sani e nemmeno in quello dei pazienti affetti da orticarie croniche fisiche. Anche il gruppo di Fiebiger ha dimostrato la presenza di tali autoanticorpi immunoreattivi nel siero del 37% dei pazienti affetti da orticaria cornica idiopatica studiati e allo stesso tempo ha osservato come nel siero di soggetti sani o di pazienti affetti da eczema atopico fossero presenti anticorpi non immunoreattivi. Autoanticorpi immunoreattivi anti-FcεRI non HR sono stati dimostrati nel siero di pazienti con LES, dermatomiosite, pemfigo volgare, pemfigoide bolloso ed in una piccola quota di pazienti con orticaria fisica. Quindi possiamo dire che, anche in altre patologie autoimmuni sono stati riscontrati autoanticorpi anti-FcεRI, ma a differenza delle orticarie croniche autoimmuni, si tratta di anticorpi non funzionali, cioè non HR; inoltre le classi di tali anticorpi nelle suddette malattie autoimmuni appartengono alle classi IgG2 e IgG4, mentre

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nella CAU alle classi IgG1 e IgG3. Simili risultati sono stati riportati anche dal gruppo di Kaplan.

MODALITA’ DI AZIONE DEGLI AUTOANTICORPI ANTI- FcεRI

Kaplan ha anche condotto uno studio sul coinvolgimento del complemento nel rilascio di istamina, nella CAU. I primi studi effettuati suggerivano che il rilascio di istamina da mastociti e basofili, mediato dagli anticorpi anti-FcεRI fosse dovuto ad un legame crociato delle catene α del FcεRI sulla superficie di queste cellule, senza il coinvolgimento del complemento. Successivamente la prima identificazione delle IgG1 e delle IgG3 come i principali sottotipi di immunoglobuline coinvoli nella CAU, ha permesso di osservare il ruolo attivo del complemento nella patogenesi della stessa. Ulteriori evidenze che supportano il coinvolgimento del complemento derivano da alcuni esperimenti, in cui il siero dei pazienti con orticaria cronica non privato del complemento, rilasciava istamina dai mastociti cutanei. Viceversa, ciò non avveniva quando il siero ne veniva privato. Potrebbe giocare un ruolo chiave la porzione C5a, perché in vitro il rilascio di istamina dipende dalla sua presenza e dalla sua concentrazione; viene invece inibito se è presente un anticorpo contro il recettore del C5a (vedi fig.9).

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FISIOLOGIA E MECCANISMI MOLECOLARI NELL’ORTICARICA CRONICA AUTOIMMUNE

Fig.9 . Una rappresentazione diagrammatica dell’attivazione mastocitaria da parte degli anticorpi IgG rivolti contro i recettori ad alta affinità per le IgE. Se le due regioni Fc delle IgG si trovano in stretta contiguità, viene attivata la prima porzione del complemento, perché si forma un immunocomplesso. Segue l’attivazione di C4, C2, C3 e C5a, con il rilascio di C5a e il conseguente aumento del rilascio di istamina, in seguito al legame con il recettore di C5a.

Questo porta alla conclusione che l’HR dai mastociti cutanei e dai basofili dipende primariamente dall’attivazione del C5a. Il coinvolgimento di questa porzione del complemento può anche spiegare l’assenza dell’interessamento polmonare nella CAU, dal punto di vista clinico: infatti i mastociti polmonari sono carenti di C5a, mentre ciò non è vero per quanto riguarda quelli cutanei. Questo spiegherebbe il perché della sintomatologia esclusivamente orticarioide, mai accompagnata da un coinvolgimento respiratorio, presente invece in altri tipi di orticaria.

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INFIAMMAZIONE NELLA CAU

Nei campioni bioptici di cute lesionale di pazienti con orticaria cronica, l’infiltrato infiammatorio perivascolare ricco di neutrofili, quantità variabili di eosinofili attivati o di major basic protein (espressione della degranulazione), basofili, monociti e macrofagi attivati, linfociti T CD4+, presenta le caratteristiche istopatologiche e molecolari della late phase di una reazione allergica a sede cutanea. L’attivo coinvolgimento del complemento e del fattore C5a, implicato anche nella chemiotassi leucocitaria, contraddistingue le fenomenologia dell’orticaria dalla late phase delle reazioni allergiche. I basofili, grazie alla sintesi preferenziale di LTC4 e PAF, sono in grado di amplificare la risposta infiammatoria reclutando ed attivando neutrofili ed eosinofili. Alcune evidenze, riportate dal gruppo di Pucetti, dimostrano che la degranulazione degli eosinofili può causare una secondaria degranulazione dei basofili, come risultato del rilascio della proteina basica maggiore. Le caratteristiche cellulari e molecolari del microambiente infiammatorio sede della reazione orticariosa contribuiscono a recidiva e longevità delle manifestazioni cliniche. La persistente attivazione dei mastociti cutanei determina le elevate concentrazioni tissutali di istamina documentate nei campioni bioptici sia di cute lesionale sia di cute sana. L’Istamina è responsabile dei fenomeni vasoattivi (vasodilatazione ed aumento della permeabilità capillare), per interazione con i recettori H1 dell’endotelio delle venule post-capillari e delle fibrocellule muscolari lisce dei vasi, e della stimolazione neurochimica delle

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terminazioni sensitive periferiche. Le attività biologiche dell’H non si limitano alla early phase della reazione allergica e la diversa espressione cellulare dei quattro recettori istaminergici (H1, H2, H3, H4) media alcune complesse funzioni biologiche, tra le quali l’infiammazione e la risposta immunitaria. Il gruppo di Asero ha dimostrato l’attivazione della cascata di coagulazione estrinseca nei pazienti con orticaria cronica. Ha messo in evidenza la presenza nel plasma di elevati livelli di: fattore VIIa, frammneti di trombina e protrombina (F1+2) e D-dimero. F1+2 derivano dalla protrombina nella cascata della coagulazione estrinseca. Questo sembra essere dovuto all’attivazione del fattore tissutale, rilasciato dalle cellule infiammatorie. La trombina è capace di incrementare la permeabilità vascolare, producendo C5a e attivando e degranulando i mastociti. La cute con orticaria ha mostrato un’immunoreattività verso il fattore tissutale, a differenza della cute sana. Inoltre, nei soggetti sani i livelli dei markers della coagulazione e della fibrinolisi, come F1+2 e D-dimero, non erano affatto elevati, al contrario, nei soggetti con orticaria particolarmente severa, si potevano riscontrare livelli molto elevati. Il gruppo di Greaves e Kaplan ha dato un’interpretazione a questi dati: l’attivazione delle cellule endoteliali, durante il processo infiammatorio dell’orticaria, permette il rilascio del fattore tissutale, con attivazione della cascata di coagulazione estrinseca e secondaria fibrinolisi. La trombina, prodotto finale della coagulazione, è capace di incrementare la permeabilità vascolare, producendo C5a (anafilotossina) e attivando e degranulando i mastociti.

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Questi dati sono simili a quelli riportati in pazienti con vasculiti sistemiche e in particolar modo con sclerodermia.

INFILTRATO CELLULARE

Il processo infiammatorio nella CAU ha inizio con la degranulazione mastocitaria, ma in realtà non vi sono evidenti studi che dimostrano una differenza in questo con l’orticaria cronica idiopatica. Anche dal punto di vista istologico i due tipi di orticaria differiscono ben poco, se non da un punto di vista quantitativo. E’ comune a tutte le biopsie il riscontro di un infiltrato perviascolare che circonda le piccole venule lungo la superficie e nei plessi venosi profondi; vi è una predominanza di linfociti T CD4+ e monociti e rari linfociti B. I granulociti si riscontrano in modo variabile, questo dipende dal momento in cui viene eseguita la biopsia: se nella fase iniziale della reazione infiammatoria, la loro presenza sarà abbondante. Sono presenti sia i neutrofili che gli eosinofili, anche se la concentrazione di questi ultimi può variare. Uno studio condotto dal gruppo di Sabroe ha dimostrato che l’attivazione degli eosinofili era molto più frequente e molto più persistente nei pazienti senza autotanticorpi, piuttosto che in quelli in cui gli autoanticorpi erano presenti e mostravano pomfi della durata >12 h. Anche quando gli eosinofili non sono evidenti, la proteina basica maggiore può essere identificata lungo le lesioni ed è la dimostrazione della primaria degranulazione eosinofila. Nelle lesioni è stata messa in evidenza anche la presenza dei basofili.

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Dunque, l’infiltrato assomiglia alla fase ritardata (late phase) di una reazione allergica. L’attivazione delle cellule endoteliali è dimostrata dalla presenza della molecola di adesione intercellulare 1 e della E-selectina, nel materiale bioptico delle lesioni orticarioidi. Le cellule endoteliali vengono stimolate, non solo da citochine o monochine, come IL-4, IL-1, TNF-β, ma anche da fattori vasoattivi, come istamina e leucotrieni, rilasciati dai mastociti. L’elemento che in modo particolare distingue la late phase di una reazione allergica cutanea dal processo patogenetico che porta alle lesioni della CAU non è tanto il coinvolgimento del complemento e l’attivazione mastocitaria e basofila con successivo rilascio di istamina, quanto la presenza della porzione C5a del complemento, che caratterizza le fasi patogenetiche dell’Orticaria Cronica Autoimmune. La presenza nel plasma di elevati livelli di IL-4 nei pazienti con orticaria cronica è la prova indiretta dell’evidenza dell’attivazione linfocitaria o dell’attivazione basofila o di entrambe. Facendo una comparazione istologica delle lesioni di Orticaria Cronica Autoimmune e Orticaria Cronica Idiopatica è stata vista una maggiore prevalenza di granulociti nel gruppo autoimmune, mentre le altre cellule dell’infiltrato infiammatorio sono abbastanza simili quantitativamente in entrambi i gruppi; nel gruppo autoimmune è stato visto un piccolo incremento dei livelli di citochine. Potrebbe consistere anche in questo la spiegazione che i pazienti con CAU hanno una sintomatologia più severa, rispetto a quelli con orticaria cronica idiopatica.

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BASI AUTOIMMUNI DELL’ORTICARIA CRONICA

Nel 30-50% dei pazienti con orticaria cronica sono stati identificati autoanticorpi anti- FcεRI o anti-IgE e in questi pazienti si riscontrano frequentemente alleli HLA DR, caratteristicamente associati a patologie di tipo autoimmune. L’evidenza, in questi soggetti, che i suddetti autoanticorpi abbiano un ruolo primario nella patogenesi, può trovare una dimostrazione, grazie ai seguenti punti: ⇒ autoanticorpi anti- FcεRI funzionali (HR) non sono stati riscontrati in soggetti sani; ⇒ autoanticorpi anti- FcεRI funzionali (HR) non sono stati riscontrati in soggetti allergici; ⇒ autoanticorpi anti- FcεRI funzionali (HR) non sono stati riscontrati in soggetti con altri tipi di orticaria cronica; ⇒ la presenza di suddetti anticorpi provoca l’attivazione di mastociti e basofili, con rilascio di istamina, anche in soggetti sani volontari, sottoposti a iniezione intradermica, con la provocazioni di lesioni orticarioidi; ⇒ i livelli plasmatici di tali autoanticorpi si correlano con la severità della patologia; ⇒ la rimozione degli stessi porta ad una remissione della sintomatologia.

Gli anticorpi possono essere parzialmente purificati e mostrano un arricchimento delle frazioni di IgG1 e IgG3.

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I criteri standard per poter definire autoimmune una patologia, richiedono la riproduzione della malattia in animali da esperimento e questo non è stato ancora fatto con gli autoanticorpi anti- FcεRI; di conseguenza, le evidenze, possono essere considerate strettamente convincenti, ma, tuttavia, povere di prove complete. Che gli autoanticorpi contro recettori possano causare patologie autoimmuni non è un concetto nuovo. Si possono menzionare, a tal proposito, patologie come Miastenia Gravis (recettore dell’acetilcolina), Diabete mellito I (recettore dell’insulina). In queste ed altre malattie autoimmuni, l’attivazione del recettore è bloccata o ridotta.

Invece, la condizione in cui uno specifico

autoanticorpo rivolto contro il recettore porti ad una attivazione recettoriale è meno comune e l’Orticaria Cronica Autoimmune, così come la Malattia di Graves (autoanticorpi rivolti contro recettori ormonali che portano ad una stimolazione tiroidea), è un esempio di questo fenomeno meno comune di attivazione cellulare mediata dal recettore. E’ stato anche notato che in diverse patologie autoimmuni possono esservi dei soggetti con anticorpi positivi, sebbene non presentino alcuna manifestazione della malattia, il che può spiegare la normalità del riscontro di soggetti con un livello di rilascio di istamina, dovuto ad attivazione basofila, pur senza la presenza di orticaria. Tuttavia, essi rappresentano una minoranza. Il gruppo di Kaplan e Joseph ha pubblicato recentemente uno studio in cui la negatività anticorpale è stata riscontrata in 35 soggetti allergici testati, privi di orticaria e in 50 su 104 pazienti con orticaria cronica; 54 sono risultati positivi con una percentuale di rilascio mai superiore al 20%, e 50 con una percentuale di rilascio di istamina che

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va dal 20% al 100%. La piccola quota di istamina presente nel gruppo idiopatico può essere dovuta alla presenza di un debole fattore di rilascio istaminico (vedi fig.10). Gli stessi autoanticorpi sono sono stati trovati in 37 su 78 bambini con orticaria cronica, con un incidenza del 47 % e in nessuno dei 33 bambini con dermatite atopica, usati come controllo.

100

60

release

Percentage

histamine

80

40

20

0 NO URTICARIA

CU-IDIOPATHIC

CU-AUTOIMMUNE

Fig.10. Studio sull’andamento del rilascio di istamina dai basofili per la diagnosi di orticaria cronica autoimmune (Kaplan & Joseph 2009). E’ stato visto un insignificante rilascio di istamina in 30 soggetti sani di controllo, quindi negativi (NO URTICARIA). Gli altri 104 pazienti con orticaria cronica, divisi in quelli chiaramente positivi (con un rilascio istaminico >20%) a destra e quelli con un basso rilascio di istamina (generalmente del 15% o meno), che sono negativi e rimangono nel gruppo idiopatico. Un basso numero di risultati dubbi del 16-18% sono stati posizionati nel gruppo dei negativi.

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RUOLO

DI

ALLERGENI

ALIMENTARI

NELLA

PATOGENESI

DELL’ORTICARIA CRONICA AUTOIMMUNE

Storicamente, le considerazioni riguardanti l’eziologia e la patogenesi dell’orticaria cronica includevano una reazione ‘psico-fisiologica’ associata ad alcuni fattori come l’ansia, allergie alimentari, reazioni allergiche acute verso additivi alimentari, pseudoallergie o manifestazione di infezioni occulte. Gli studi riguardanti le allergie alimentari sono stati discussi recentemente nei dettagli e si è arrivati alla conclusione che queste sono responsabili sicuramente di orticaria acuta, ma il ruolo dei componenti alimentari nello sviluppo di un’orticaria cronica è controverso. Recentemente, uno studio condotto da Henz ha permesso di attribuire a svariate proteine di alimenti, ad alcuni coloranti e a conservanti il ruolo di cofattori nella manifestazione di orticaria cronica. Il concetto di additivi alimentari come causa di orticaria cronica ha cominciato a diventare preponderante in letteratura europea già negli anni ’70-’80, grazie ad alcuni studi condotti da Juhlin & Michaelsson e più tardi da Doeglas e da Supramanian & Warner. Questi studi includevano alcuni tests come i challenge tests, ma non erano accompagnati da un adeguato studio con controlli placebo a singolo cieco. L’esperienza di uno studio simile è stata condotta dal gruppo di Kaplan & Greaves, utilizzando oltre ai challenge tests,anche adeguati controlli placebo a singolo cieco, per un periodo di circa vent’anni e si è arrivati alla conclusione che solo in rari casi il ruolo degli additivi alimentari può essere attribuito allo sviluppo

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di un’orticaria cronica; questo risulta essere in accordo con una ricerca effettuata già nel 1983 dal gruppo di Mathews, il quale stabilì che “le allergie alimentari possono essere implicate nello sviluppo di orticaria cronica e/o angioedema solo in rari casi”. Non vi è nemmeno un’associazione con un’ipersensibilità IgEdipendente e non sono stati descritti alcuni meccanismi molecolari che possano portare a definire un loro coinvolgimento patogenetico. Ciò che risulta possibile è la potenziale capacità dei suddetti allergeni di esacerbare una preesistente orticaria cronica, ma non vi sono evidenze convincenti che essi possano avere un ruolo primario nell’eziologia di questa.

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Diagnosi

La diagnosi di CAU è sostanzialemente clinica e prevede l’esclusione delle diverse forme di orticaria da cause note. Le forme associate alla presenza di autoanticorpi non presentano caratteri clinici differenziali, se non una maggiore severità sintomatologia. Tuttavia, l’indagine clinica viene affiancata da specifici test, che avvalorano l’ipotesi diagnostica.

ASST

L’identificazione dei pazienti con CAU presuppone la positività del Test al Siero Autologo (ASST, Autologous Serum Skin Test). Questo è un test in vivo ed è stato adottato a livello internazionale come test clinico per dimostrare la presenza di cellule proinfiammatorie in circolo e fattori inducenti lo sviluppo di pomfi nei pazienti con orticaria, a partire dal 1986. Spesso viene utilizzato, erroneamente, quale metodo per identificare il subset di pazienti con autoanticorpi funzionali (HR) e questo porta a presupporre una buona risposta ad una terapia immunomodulatoria. In realtà non vi sono ancora delle vere e proprie evidenze riguardo questo. In realtà l’ASST valuta l’autoreattività e, dunque, la presenza di fattori sierici in grado di agire sulla microrete vascolare cutanea direttamente o indirettamente, mediante rilascio di mediatori dai mastociti cutanei e/o altre popolazioni cellulari.

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L’autoreattività non definisce l’orticaria autoimmune, ma può essere un indicazione dell’attivazione mastocitaria dovuta alla presenza di autoanticorpi, nei soggetti con orticaria cronica che presentano un ASST+. La presenza degli autoanticorpi funzionali necessita di essere avvalorata da un test di rilascio di istamina, HR-test (un test in vitro, utilizzando basofili di donatori sani, che dimostri l’attività istamino-liberatrice di questi anticorpi) e la loro specifica conferma viene data da test immunoenzimatici come il Western Blot o l’ELISA. Tutti questi test sono oggi disponibili, anche se in pochi laboratori.

FREQUENZA DI RISPOSTA POSITIVA E NEGATIVA IN SOGGETTI CON E SENZA CAU La frequenza di risposte ASST+ in pazienti adulti appartenenti a vari studi presenti in letteratura (che hanno utilizzato diversi criteri di positività), rientra in un range che va dal 4.1% al 76.5%, con un valore medio di 45.5%. Queste differenze sono indice della mancanza di criteri uniformi nella selezione dei

pazienti

e

nella

stratificazione

clinica

dell’orticaria,

della

scarsa

standardizzazione della metodologia di esecuzione e della variabilità dei criteri interpretativi della risposta. I vari gruppi di studio, hanno utilizzato criteri diversi per la valutazione di una reazione positiva: alcuni hanno definito un ASST+ in presenza di un pomfo di diametro di 1.5 mm, altri in presenza di un pomfo di diametro di 2 mm. Nel primo caso la prevalenza di ASST+ è risultata del 45.5%, nel secondo caso del 43.5%. L’esperienza comune a tutti i gruppi è che i soggetti sani di controllo non hanno

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mai presentato un ASST+. In contrasto a questi dati, sono riportati in letteratura alcuni casi di soggetti presentanti una sintomatologia respiratoria di tipo allergico o non allergico, positivi al test al siero autologo, con una prevalenza relativamente alta, dal 30 al 50%. In due di questi studi anche qualche soggetto sano ha presentato un ASST+. Il significato di questa discrepanza non è chiaro. Tuttavia è stata avanzata l’ipotesi che la risposta ASST+ sia un fenomeno aspecifico o costituisca un fattore di rischio per lo sviluppo di orticaria cronica in specifici subset di pazienti.

PROTOCOLLO PER LA PROCEDURA DEL TEST CON SIERO AUTOLOGO

Per eseguire un test con siero autologo è necessario che il paziente non abbia assunto antistaminici nelle 48-72 ore precedenti, per evitare di incorrere in eventuali falsi negativi. La procedura di un ASST (vedi figura 11) prevede il prelievo di sangue venoso periferico (5mL) in provetta, senza anticoagulante. E’ necessario lasciar depositare per almeno 30 minuti a temperatura ambiente e centrifugare per ottenere il siero. Del siero autologo ottenuto, 50 mL vengono iniettati per via intradermica sulla superficie volare dell’avambraccio con siringa da insulina. Dopo 60 minuti si effettua la lettura del test, con rilevazione di eritema e del pomfo.

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La risposta del test viene resa valida dall’esecuzione del controllo negativo, tramite un’iniezione intradermica di 50 mL di soluzione salina. Inoltre può essere validata anche dall’esecuzione di un controllo positivo con istamina, tramite uno skin prick test (10 mg/mL) o tramite una iniezione intradermica di 0.5-1 µg. La iniziale risposta positiva del test è simile a quella data dalla iniezione intradermica di istamina, ma persiste più a lungo. Un ASST+ generalmente porta alla continua espansione dell’eritema e del pomfo, mentre l’area sottoposta a controllo negativo con soluzione salina non assume alcun carattere di infiammazione (vedi figura 12 A). Nella pratica clinica, un ASST viene interpretato come positivo se si evidenzia la presenza del pomfo “a 30 minuti”, in assenza di reazioni infiammatorie date dalla soluzione salina, utilizzata come controllo negativo. Sono stati istituiti dei criteri standard per la definizione della positività del test, in base al diametro del pomfo: viene usata una scala di gradi da 1+ a 4+ a seconda che la sua espansione sia più o meno elevata. Se si effettua una pressione con un righello trasparente sulla zona di positività al test, si può distinguere meglio l’edema e l’area eritematosa più bianca, rispetto a quella del controllo positivo con istamina (vedi fig.12 B).

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Fig.11. Protocollo per la procedura di un ASST.

Fig.12. (A) Un test con siero autologo positivo a 30 minuti. La figura mostra un controllo negativo (NaCl 0.9%), un pomfo, indicativo di risposta positiva al siero autologo, con un diametro di 7.5 mm e un pomfo dovuto alla risposta positiva al controllo positivo con istamina (prick test). (B) Dopo la pressione con un righello trasparente, l’eritema e l’edema nell’area dell’ASST+ diventano più facilmente distinguibili dal pomfo meno rilevato e ‘pallido’ dell’area sottoposta a controllo positivo.

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CARATTERISTICHE CLINICHE IN PAZIENTI CON ORTICARIA CRONICA ASST+ E ASST-

Non vi sono associazioni tra una risposta positiva all’ASST e l’età, il sesso e la storia personale o familiare di atopia dei pazienti; tuttavia uno studio dimostra che vi è una significante prevalenza di risposta positiva nelle donne piuttosto che negli uomini ( 76% vs 35%). Ci sono delle controversie per quel che riguarda la positività dell’ASST e la severità della patologia. Uno studio, condotto da Asero, dimostra che rispetto ai soggetti ASST-, i pazienti con ASST+ hanno una presenza maggiore di pomfi ed una distribuzione di questi più elevata, prurito più intenso ed una più elevata sintomatologia sistemica (flushing, diarrea, dolori addominali). Per contro, un altro studio, condotto da Staubach, dice che la severità della malattia non correla con la positività del test, né tantomeno la qualità di vita dei pazienti con ASST+ è peggiore di quella dei soggetti con ASST-.

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ASST COME MARKER DELLA PRESENZA DI AUTOANTICORPI FUNZIONALI

E

ASSOCIAZIONE

TRA

AUTOREATTIVITA’

E

AUTOIMMUNITA’.

Come già detto, il Test al Siero Autologo avrebbe come obiettivo quello di identificare il subset di pazienti con autoanticorpi funzionali (HR), ma non vi sono ancora delle vere e proprie evidenze a riguardo. In realtà, valuta l’autoreattività che può essere un indicazione dell’attivazione mastocitaria dovuta alla presenza di autoanticorpi. Esclusa la biunivocità tra autoreattività ed autoimmunità, l’ASST, confrontato con i test funzionali in vitro ha limitata specificità, modesto valore predittivo positivo, ma elevato valore predittivo negativo (92,8%), che rende la risposta ASST- un marker dell’assenza di autoanticorpi funzionali circolanti. Il subset di pazienti con orticaria spontanea/ASST+ presenta aumentata frequenza di autoanticorpi

(ANA,

FR,

Ab

anti-tiroide)

o

malattie

a

patogenesi

autoimmunitaria: tiroidite autoimmune, malattia celiaca, artrite reumatoide, malattia di Greaves, diabete mellito tipo I, gastrite atrofica con anticorpi anticellule parietali gastriche. Tuttavia, la frequente associazione tra autoreattività e anticorpi anti-TPO non mostra concordanza con l’attività dell’orticaria e la persistenza

della

risposta

ASST+

dopo

remissione

dell’orticaria

indipendentemente dal titolo anticorpale tiroideo esclude che il Test al Siero Autologo possa essere utilizzato quale marcatore di attività di malattia nel suddetto subset di pazienti.

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TEST DI RILASCIO DI ISTAMINA

Secondo uno studio condotto da Ferrer & Kaplan (2007), il test di rilascio di istamina viene considerato il gold standard per la diagnosi in vitro di Orticaria Cronica Autoimmune, in presenza di autoanticorpi funzionali (HR). Tuttavia diversi studi dimostrano come questo tipo di test abbia dei limiti e, per questo motivo, non sia in grado di essere utilizzato come strumento diagnostico per definire l’autoimmunità dell’orticaria, ma possa fornire unicamente delle indicazioni. Un’analisi condotta dal gruppo di Eckman (2009) dimostra come vi sia un alto rilascio di istamina dai soggetti che presentano orticaria, ma non vi è una netta differenza tra quelli appartenenti al sottogruppo di orticaria idiopatica rispetto a quelli appartenenti al sottogruppo di orticaria autoimmune. Nel 2010 il gruppo Godske ha portato avanti uno studio che ha comparato i due diversi tipi di test. Per quel che riguarda il test in vitro ha utilizzato un test di rilascio istaminico commerciale (HR-test Reflab, Copenhagen, Denmark), per il test in vivo ha utilizzato l’ASST. Sono stati testati 45 pazienti, 20 dei quali sono risultati ASST+. A questi ultimi è stato eseguito l’HR-test e solo in 9 casi è risultato positivo, dando indicazione di presenza di autoanticorpi funzionali. Tuttavia ciò non esclude diagnosi di orticaria autoimmune per i soggetti risultati negativi (vedi tabella 6).

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Tab.6. “Comparison of commercial histamine release test and autologus serum skin test in diagnosis of autoimmune urticaria” (Godske KV, Nadkarni NJ, Jani G.)

Questo porta alla conclusione che, l’ASST non è un test specifico e l’HR-test dovrebbe essere fatto per porre diagnosi di CAU; ma nonostante l’ASST abbia solo un alto valore predittivo negativo, pone le basi per definire l’autoimmunità dell’orticaria cronica.

APST

Per la valutazione dell’autoreattività dell’orticaria (presenza di autoanticorpi, fattori di rilascio di istamina e fattori della coagulazione, trombina in particolar modo)

viene utilizzato anche un altro test diagnostico, l’APST (Autologus

Plasma Skin Test), il Test al Plasma Autologo.

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Nel 2011 è stato condotto uno studio dal gruppo di Yildiz, il cui obiettivo era quello di valutare il ruolo dell’autoreattività nella patogenesi della CAU, misurando i livelli nel plasma dei frammenti della protrombina F1+2 e di mettere in relazione l’ASST con l’APST. Tipicamente, sia il siero che il plasma contengono gli autoanticorpi, ma il plasma contiene anche fattori della coagulazione e proteine che, come già visto, giocano un ruolo nella patogenesi della CAU (fattore I, II, IV, VII, VII, IX, XII, XIII, proteina C, proteina S, antitrombina III, fibronectina). Dallo studio è emersa un’alta positività dell’APST, anche nei soggetti ASST- e questo non attribuisce un ruolo diagnostico preponderante all’APST, ma anzi, dà indicazione del fatto che la positività potrebbe originare dalla presenza della trombina e non degli autoanticorpi. Si è arrivati dunque alle conclusioni che il Test al Plasma Autologo, per valutare l’autoreattività nella pratica clinica, non è superiore all’uso del Test al Siero Autologo.

BAT

Il BAT (Test di Attivazione Basofila) è una metodica di laboratorio finalizzata allo studio della degranulazione dei basofili dopo stimolo allergenico o dopo stimoli aspecifici, tipici delle pseudoallergie. A seguito dell’attivazione, i basofili sono in grado di rilasciare nel microambiente tutta una serie di mediatori flogistici

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(istamina, eparina, leucotrieni, ecc). Tali mediatori sono presenti all’interno dei granuli dei basofili. Poiché nel corso della degranulazione, i granuli, contenenti i mediatori preformati e neoformati, tendono ad affiorare sulla membrana cellulare, l’attivazione dei basofili puó essere studiata valutando la percentuale di cellule che presentano tali granuli sulla loro superficie. L’anticorpo monoclonale CD69 riconosce una glicoproteina, gp53, di tipo lisosomiale, presente sulla superficie dei granuli e, quindi, sulla superficie dei basofili attivati. Studi recenti hanno permesso di mettere in evidenza come il BAT sia una metodica utile anche nella ricerca degli anticorpi anti-FcεRI. La tecnica di studio dell’attivazione dei basofili si avvale dell’utilizzazione di una metodica di citometria a flusso. I basofili, presenti nel campione di sangue intero, vengono precedentemente incubati con IL-3 equindi stimolati con l’allergene sospetto. La loro attivazione viene studiata mediante l’uso di anticorpi antiCD63 che si legano alla membrana cellulare dei basofili in fase di degranulazione. Soggetti con percentuale di degranulazione pari o superiore al 15% debbono essere considerati sensibili all’allergene o allo stimolo provocato.

54


Terapia

ANTISTAMINICI E CORTICOSTEROIDI: UTILIZZO LIMITATO

La categoria dei farmaci più impiegati nella terapia sintomatica della sindrome da orticaria-angioedema, si acuta che cronica, è rappresentata da antagonisti del recettore H1 e del recettore H2 dell’istamina. A bassa concentrazione, gli anti-H1 e gli anti-H2 sono antagonisti competitivi dell’istamina, si legano al recettore ma non lo attivano. Gli antistaminici attenuano il prurito e riducono, con efficacia variabile, il numero, la dimensione e la durata delle lesioni orticarioidi. Tuttavia risultano farmaci inefficaci per il trattamento dell’Orticaria Cronica Autoimmune. Generalmente, nei casi di orticaria cronica severa, così come quelli di origine autoimmune, ci si può avvalere dell’utilizzo dei corticosteroidi. Questi sono dotati di numerose attività funzionali di tipo antiflogistico, tra cui quella di sviluppare un’azione anche sui mastociti, sia controllandone la proliferazione, sia inibendo la loro attivazione con conseguente mancata liberazione di mediatori e citochine.

Questi

farmaci

possono

essere

somministrati

nelle fasi

di

riacutizzazione di particolare intensità, ma il loro impiego non è consigliabile per lunghi periodi, a causa degli effetti collaterali, ed è notevolmente limitato dalla possibilità di riesacerbazione dei sintomi dopo la sospensione.

55


CICLOSPORINA: TERAPIA D’ELEZIONE

La prima esperienza sull’uso della ciclosporina (CsA) nell’Orticaria Cronica Autoimmune risale al 1991 a opera di Fradin et al. Questo approccio terapeutico si è reso necessario per via delle limitazioni, seppure di tipo diverso, date dalle altre terapie fino a quel momento utilizzate (Anti-H1, Anti-H2 e corticosteroidi). In letteratura sono riportati diversi studi (vedi tabella 7) che sembrano deporre per l’efficacia di tale farmaco, anche in forme particolarmente severe e resistenti alle terapie

tradizionali.

Complessivamente

queste

ricerche

cliniche

documentato l’efficacia della CsA e sembrano dare specifiche indicazioni.

56

hanno


ESPERIENZE CLINICHE CON CICLOSPORINA A NEL TRATTAMENTO DEL’ORTICARIA CRONICA IDIOPATICA NUMERO PAZIENTI E SCHEMA DI TRATTAMENTO 3 Pazienti (2 con angiodemia) Trattamento continuo 6 mg/kg/die

RISULTATI CLINICI

AUTORI

Completa risoluzione dei sintomi entro la prima settimana. Necessità di sospensione per effetti collaterali. Mancanza di controllo dei sintomi a 3 mg/kg/die Miglioramento in 9 pazienti (già entro 3 – 14 giorni). Assenza di risposta in 3 casi; in uno di questi risposta alla dose di 5 mg/kg/die. Remissione stabile in 4/9 pazienti (folowup: 3 mesi). Remissione dopo un secondo ciclo in 2 casi che avevano presentato recidiva alla sospensione Risoluzione in 7 pazienti nelle prime fasi del trattamento. Ripresa della sintomatologia in 4 soggetti nella fase 4. Risposta positiva durante l’intero ciclo di terapia con follow-up a 5 mesi in 3 soggetti

Fradin et al.

20 pazienti Schema sequenziale con anti-H1: Fase 1: (7 Giorni): CsA 5 mg/kg/die Fase 2: (7 giorni): CsA 5 mg/kg/die + chetotifene 2 mg/die in 10 pazienti (gruppo A) o cetirizina 10 mg/die in 10 pazienti (gruppo B) Fase 3: (20 Giorni): chetotifene (2 mg/die) nel gruppo A e cetirizina (10 mg/die) nel gruppo B.

Remissione completa in 15 casi nella fase 1, in tutti i casi nella fase 2 con mantenimento dei risultati nella fase 3. Follow-up negativo a 2 mesi in 15 casi, recidiva in due casi nel gruppo A e 3 casi nel gruppo B.

Curatoli et al.

25 pazienti Fase 1: CsA 3 mg/kg/die per 6 settimane; Fase 2: CsA 2 mg/kg/die per 3 settimane; Fase 3: CsA 1 mg/kg/die per 3 settimane

6 drop out: 4 per inefficacia e 2 per effetti collaterali. Risposta in tutti gli altri casi (19) già entro la setimana. Nei 19 pazienti valutabili: alla 4° settimana sintomi lievi in alcuni casi, controllabili con anti-H1; alla 12° settimana remissione in 13 pazienti; necessità di ricorso a anti-H1 in 6 casi per sintomi lievi. Alla sospensione (follow-up: 3 mesi): remissione in 11 casi, sintomi lievi o moderati in 8 casi. Risposta completa durante il trattamento in 10 casi (7 trattati al dosaggio di 5mg/kg/die nella fase 1). Risposta parziale iniziale in 8 casi, successivamente completa nella fase 2. Persistenza della risposta in 8 (follow-up: 8-48 mesi). Recidiva in 10 dopo la sospensione (6 trattati con successo con anti-H1), 4 in trattamento con un secondo di CsA). Risposta completa in tutti i casi nella fae 1. Comparsa di pomfi in 5 casi nella fase 2. Comparsa di pomfi in 8/10 casi nella fase 3. I due pazienti responsivi nella fase 3 continuarono per mese con CsA 2,5 mg/kg/die. Alla sospensione, recidiva in un caso entro le 24 ore, nell’altro recidiva dopo alcuni giorni con sintomi più lievi rispetto a quelli di partenza.

Toubi et al.

12 pazienti CsA 2,5 – 3,5 mg/kg/die per 4 settimane

8 Pazienti (7 con angiodemia9 TRATTAMENTO INTERVALLATO CON CsA 5 mg/kg/die SECONDO IL SEGUENTE SCHEMA: Fase 1: ogni giorno per 20 giorni; Fase 2: a giorni alterni per 20 giorni; Fase 3: ogni 2 giorni per 21 giorni; Fase 4: ogni 3 giorni per 20 giorni; Fase 5: ogni 4 giorni per 20 giorni; Fase 6: ogni 5 giorni per 18 giorni; Fase 7: ogni 6 giorni per 14 giorni.

18 pazienti Fase 1: CsA 3 – 5 mg/kg/die per 2 – 4 settimane Fase 2: mantenimento a dosaggi giornalieri di 2 – 3,5 mg/kg per 8 – 32 settimane

15 pazienti Fase 1: CsA mg/kg/die per 1 settimana; Fase 2: CsA 3,5 Vì mg/kg/die per una settimana; Fase 3: CsA 2,5 mg/kg/die per 1 settimana

57

Barlow et al.

Vena et al.

Lori et al.

Ilter et al.


Tab. 7. Esperienze cliniche con ciclosporina a nel trattamento del’orticaria cronica autoimmune riportate in letteratura

FARMACOLOGIA, MECCANISMI D’AZIONE, EFFETTI COLLATERALI. La CsA è una molecola ad attività immunosoppressiva. La dimostrazione di una sua spiccata attività antiflogistica ha offerto nuove possibilità terapeutiche per patologie a patogenesi immunologica, con una componente infiammatoria, quali psoriasi, dermatite atopica severa e artrite reumatoide. Attraverso i noti meccanismi d’azione di questo farmaco su queste patologie, si possono avanzare ipotesi sul meccanismo d’azione nell’ambito della CAU. Esplica la sua azione farmacologica principale diffondendo passivamente attraverso la membrana cellulare e legandosi ad un recettore citosolico, definito ciclofillina (CyP), per la sua affinità per il farmaco. La CyP fa parte della famiglia delle immunofilline, proteine con attività peptidil-prolil-cis-trans isomerasica (PPIasi), in grado di catalizzare una reazione di isomerizzazione cis-trans di legami peptidici contenenti residui di prolina. Il legame della CsA con la CyP è causa della inibizione di tale attività enzimatica PPIasi. Inizialmente si era pensato che questa inibizione spiegasse da sola l’azione immunosoppressiva della CsA. In realtà si tratta di una condizione necessaria ma non sufficiente per avere l’effetto immunosoppressivo e antinfiammatorio. Si è visto che il complesso CsA-CyP interagisce con una proteina citoplasmatica, detta calcineurina (Cn). La Cn è un eterodimero: la subunità A ha una funzione catalitica e la subunità B è una fosfatasi calcio/calmodulina dipendente, inibita dal legame al complesso CsA-

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CyP. Attualmente si ritiene che il vero bersaglio della CsA sia la Cn e che l’inibizione della sua attività enzimatica sia responsabile dell’effetto immunosoppressivo. Il farmaco, pur agendo sui canali del calcio, non influenza la concentrazione intracellulare dello ione, il metabolismo dell’inositolo fosfato, l’attivazione della tirosin-chinasi o l’attività di numerose altre chinasi, ma agisce bloccando un passaggio sconosciuto nell’attivazione cellulare esistente tra la membrana cellulare e il nucleo (vedi figura 13).

Fig.13. Meccanismo d’azione della ciclosporina nella CAU

In base alle conoscenze sulla patogenesi della CAU e sul meccanismo d’azione della CsA si è ipotizzato che il farmaco agisca su una serie di potenziali punti d’attacco. Questi ultimi sono rappresentati prevalentemente da una riduzione

59


della produzione di autoanticorpi, poiché inibisce la trascrizione di IL-2, questo si ripercuote sulla produzione anticorpale da parte dei linfociti B dipendenti dall’attivazione dei T. La CsA inibisce la sintesi e il rilascio di citochine (in particolare di IL-3) da parte dei linfociti T, esercitando un controllo sulla degranulazione dei mastociti. Nei mastociti la CsA è in grado di bloccare l’attivazione trascrizionale di molti geni codificanti alcune citochine (IL-3 e IL-5) e altri geni coinvolti nella sintesi di leucotrieni. Tali geni sono in gran parte gli stessi bloccati nei linfociti T. Ognuno di questi eventi ha in comune la richiesta di un aumento della concentrazione intracellulare di ioni Ca++. Anche le funzioni dei neutrofili possono essere interessate dalla CsA: chemiotassi, fagocitosi, produzione di O2 sono diminuiti nella psoriasi attraverso l’inibizione di citochine da parte dei monociti. Inoltre la chemiotassi neutrofila è fortemente diminuita dalla CsA dal momento che inibisce la produzione di IL-8 dai linfociti umani periferici. La CsA è in grado di inibire direttamente l’attività flogogena dei mastociti tessutali; inibisce il rilascio di istamina e di leucotrieni (LTC4) dai basofili; inibisce la liberazione di fattori proinfiammatori preformati (istamina) e sintetizzati ex novo (PGD2) da parte dei mastociti. Inoltre, attraverso l’inibizione dell’espressione di alcune molecole di adesione, quali ICAM-1 sulle cellule endoteliali, potrebbe essere in grado di ridurre l’afflusso dermico di linfociti monociti e polimorfonucleati, aventi attività proinfiammatoria. In tal modo, la CsA agirebbe su due fronti, in quanto da una lato ridurrebbe la popolazione cellulare dell’infiltrato infiammatorio e

60


dall’altro provvederebbe all’inibizione funzionale di numerose cellule fondamentali nel meccanismo patogenetico dell’orticaria cronica, quali i linfociti T e i mastociti. In base ai dati riportati in letteratura, la CSA appare efficace in pazienti con CAU severa, resistente alle terapie convenzionali e il dosaggio più efficace appare essere di 4-5 mg/Kg die suddivisi in due somministrazioni, riducendo il dosaggio non appena possibile, adattandosi alle esigenze individuali. Tuttavia uno studio più recente (2010) condotto dal gruppo di Boubouka, ha messo in evidenza come anche a basse dosi (2.5 mg/kg/die) i pazienti affetti da CAU trovino beneficio, col vantaggio di non incorrere negli effetti collaterali dati dalle alte dosi del farmaco. Su 30 pazienti ASST+ studiati per un periodo di tempo di 5 mesi di trattamento, con un follow-up di un anno dalla fine della terapia, 23 (76.7%) hanno permesso di completare lo studio e hanno risposto alle bassi dosi di CsA. 3 pazienti (11.5 %) non hanno risposto al trattamento a basse dosi. Per i restanti soggetti si è visto un miglioramento della sintomatologia e, conseguentemente della qualità della vita, nel 31% dei casi dopo un mese, del 46% dopo due mesi , del 71% dopo tre mesi, dell’87% dopo quattro mesi e del 88% alla conclusione dello studio. Le dosi della CsA, nel corso dei mesi, sono variate tra i 2.5 e 1.5 mg/kg. Questo studio fornisce delle indicazioni riguardo l’utilizzo di dosi significativamente più basse rispetto a quelle utilizzate per la terapia della psoriasi e della dermatite atopica

(5

mg/kg),

permettendo

così

una

soddisfacente

remissione

sintomatologia, riducendo ampiamente il rischio di gravi effetti collaterali:

61


ipertensione arteriosa; aumento sierico della creatininemia e riduzione della clearance renale; parestesie; disturbi gastrici; ipertricosi; ipertrofia gengivale; cefalea.

Alla sospensione del trattamento, la remissione dei sintomi in alcuni pazienti persiste a lungo, in altri si possono osservare, dopo un tempo variabile, recidive, che in genere sono caratterizzate da sintomi di intensitĂ attenuata rispetto alla condizione di partenza, per i quali è di solito sufficiente l’uso di antistaminici. Per tale motivo risulta particolarmente utile lo schema di trattamento sequenziale con corticosteroidi e antistaminici. Alcune categorie di pazienti sono escluse dal trattamento con la CsA, a causa dei suoi potenziali effetti nefrotossici ed epatotossici: pazienti con compromissione epatica e/o renale, con

ipertensione; pazienti in gravidanza e allattamento,

soggetti con neoplasie in atto o pregresse, con Tbc o epatiti e pazienti immunodepressi; soggetti affetti da grave iperlipemia.

62


OMALIZUMAB: QUALE RUOLO NELLA CAU?

Per i pazienti con CAU attiva e refrattari alle terapie tradizionali (antistaminici e corticosteroidi), è stato introdotto recentemente un altro farmaco, l’ Omalizumab. Si tratta di un anticorpo monoclonale, approvato per il trattamento dell’asma di grado moderato-grave, utile nel migliorare il punteggio dell’attività urticante (urticaria activity score, UAS). In mancanza di un dosaggio specifico per questa patologia, in questi studi il farmaco è stato impiegato alle stesse dosi approvate per l’asma, stabilite in base al livello delle IgE ed al peso ponderale. Recenti studi, eseguiti tuttavia su esigui campioni di pazienti, hanno evidenziato una soddisfacente risposta clinica all’uso di omalizumab nelle forme di orticaria cronica scarsamente responsive alle terapie tradizionali. Nello studio condotto nel 2010 dal gruppo di Ahmad, i pazienti, tutti ASST+, sono risultati refrattari alle terapie tradizionali e intolleranti al trattamento con corticosteroidi e ciclosporina, per via degli effetti collaterali. Sono stati sottoposti al trattamento per 16 settimane, con una iniezione sottocutanea di 300 mg ogni 4 settimane. I pazienti hanno annotato quotidianamente su un diario personale i propri sintomi, sulla base del UAS ( Urticaria Activity Score). Tutti, alla fine dello studio hanno mostrato una totale remissione sintomatologica, con un netto miglioramento della qualità di vita. Nel follow-up di 12 settimane

dalla fine della terapia non sono stati

riscontrati né ricomparsa della sintomatologia, né effetti collaterali. Dai risultati di questi studi si può ipotizzare che i benefici dati dall’omalizumab siano dovuti alla ridotta espressione del FcεRI. Anche uno studio condotto dal

63


gruppo di Kaplan riporta i benefici indotti dal farmaco, con lo stesso meccanismo: riduzione dell’espressione di FcεRI, con conseguente risparmio dell’attivazione degli autoanticorpi IgG e successiva degranulazione mastocitaria. Si è arrivati alla conclusione che l’omalizumab possa avere un ruolo in alcuni pazienti con CAU e possa essere utilizzato qualora essi non rispondano alle terapie tradizionali. Tuttavia sono necessari ulteriori studi che possano approfondire tale ipotesi.

64


CAPITOLO IV

ESPERIENZA

DI

ORTICARIA

NELL’AMBULATORIO ALLERGOLOGIA

DI DELLA

CRONICA

AUTOIMMUNE

IMMUNOLOGIA CLINICA

ED MEDICA

DELL’UNIVERSITA’ DI SASSARI.

Nel nostro ambulatorio, abbiamo riscontrato la presenza di n. 521 casi di

Orticaria, rappresentando il 20% su un totale di n. 2649 pazienti (vedi figura 14).

Fig.14. Numero % di casi di Orticaria nell’ambulatorio di Immunologia ed Allergologia dell’Università di Sassari.

65


Sul totale dei pazienti con diagnosi di orticaria, n. 340 (65%) sono risultate di tipo acuto. Abbiamo riscontrato che nella maggior parte dei casi si trattava di orticarie dovute all’assunzione di farmaci (prevalentemente ASA, FANS e antibiotici), all’ingestione di alimenti (soprattutto crostacei, noccioline, alcune varietà di frutta…), al contatto con inalanti (soprattutto pollini). I restanti n. 181 casi (35%) sono stati diagnosticati come Orticaria Cronica, vista la ricorrenza sintomatologica > 6 settimane. (Vedi figura 15).

Cronica vs Acuta

Pz Orticaria Cronica 35% Pz Orticaria Acuta 65%

Fig. 15. Numero % di pazienti con orticaria cronica e orticaria acuta nell’ambulatorio di Immunologia ed allergologia dell’Università di Sassari.

In questa coorte di pazienti, abbiamo potuto diagnosticare, sulla base dei dati clinico-anamnestici accompagnati dai specifici test diagnostici, n. 156 orticarie fisiche (dermografismo, orticaria da pressione, orticaria colinergica, orticaria da freddo…).

66


Per le restanti 25, non trovando una causa nota, abbiamo eseguito come test diagnostico l’ASST (Autologus Serum Skin Test), per valutare l’autoreattività come indicazione dell’attivazione mastocitaria dovuta alla presenza di autoanticorpi. Dalle risposte emerse da ciascun paziente, abbiamo potuto fare diagnosi di Orticaria Cronica Autoimmune in 6 casi, che sono risultati ASST+ (ad ognuno di loro è stato effettuato anche il controllo negativo con soluzione fisiologica). Per i restanti 19, risultati ASST-, abbiamo fatto diagnosi di Orticaria Cronica Idiopatica, non avendo trovato una causa nota. Di conseguenza, possiamo dire che, nel nostro ambulatorio, escludendo le orticarie fisiche, le CAU rappresentano il 21% delle orticarie croniche cosiddette spontanee, mentre le CIU rappresentano il 79% (vedi figura 16).

Fig.16. Numero % pazienti con Orticaria Cronica Autoimmune (CAU) e pazienti con Orticaria Cronica Idiopatica (CIU) nell’ambulatorio di Immunologia ed Allergologia dell’Università di Sassari.

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MATERIALI E METODI: CASI CLINICI

Nella nostra esperienza, n.6 casi sono risultati ASST+. Tutti i pazienti, al momento della diagnosi, presentavano una sintomatologia di tipo orticarioide (pomfi e prurito), con una severità del quadro maggiore rispetto a quello dei pazienti con orticaria fisica. Ogni paziente infatti riportava un punteggio compreso tra il 5 ed il 6, secondo lo schema del UAS (vedi figura 17).

0 = Pomfi: Nessuno Prurito: Nessuno 1 = Pomfi: Lievi (<20 pomfi/24 ore); Prurito: Lieve 2=

Pomfi: Moderati (21-50 pomfi/24 ore); Prurito: Moderato

3=

Pomfi: Intensi (>50 pomfi/24 ore o ampie aree pomfoidi confluenti); Prurito: Intenso

In base al punteggio ottenuto (da 0 a 6) si valuta l’entità della malattia

Fig.17. sistema di punteggio (UAS Urticaria Activity Score), raccomandato dalle recenti linee guida EAACI.

Una volta eseguito l’ASST, ha avuto inizio la terapia.

68


CASO 1: Il primo caso è quello di una donna di 51 anni. Si è presentata presso il nostro ambulatorio nel gennaio 2008 ed ha riportato un punteggio UAS di 6. Ha cominciato la terapia con una dose di 3.5 mg/kg/die di CsA. Già dopo il primo mese ha riportato un miglioramento dei sintomi ( UAS 3). Ha continuato con la stessa dose fino a giugno 2010. Vista la buona risposta al trattamento (UAS 2), la dose è stata ridotta a 1 mg/kg/die. Ad oggi, con tale dose, riscontriamo una remissione sintomatologica (UAS 0) (Vedi fig.18).

Fig.18.

CASO 2: Il secondo caso è quello di un uomo di 54 anni. Si è presentato presso il nostro ambulatorio nel novembre 2006 ed ha riportato un punteggio UAS di 6. Ha cominciato la terapia con una dose di 3 mg/kg/die di CsA. Dopo il primo mese ha

69


riportato uno scarso miglioramento dei sintomi (UAS 5). Ha continuato con la stessa dose fino a maggio 2007, col riscontro di una leggera riduzione della sintomatologia (UAS 4). A questo punto la dose è stata portata a 2 mg/kg/die. Nel dicembre 2009 il paziente riferiva di non riscontrare ulteriore beneficio, quindi abbiamo aumentato la dose a 3 mg/kg/die. Nell’ottobre 2010, riportava un punteggio UAS di 3 e per questo, vista la necessità di raggiungere la dose minima efficace, è stata ridotta a 2 mg/kg/die. Con questa dose, il paziente, ad oggi, riferisce un controllo parziale della sintomatologia, il cui UAS non si riduce mai oltre il 3. A questa dose di CsA però si aggiunge la somministrazione di 25 mg di Prednisone, più 5 mg di Levocetrizina, per le riaccensioni importanti (Vedi Fig.19).

Fig.19.

70


CASO 3: Il terzo caso è quello di una donna di 51 anni. Si è presentata presso il nostro ambulatorio nel novembre 2006 ed ha riportato un punteggio UAS di 6. Ha cominciato la terapia con una dose di 4 mg/kg/die di CsA. Ha continuato la stessa terapia fino a maggio 2007, riportando un netto miglioramento sintomatologico con un punteggio UAS di 4. Tuttavia, da questo periodo, è stato osservato nella paziente un aumento della pressione arteriosa (155-90 mm/Hg vs precedenti valori di 125-80 mm/Hg), verosimilmente attribuibile ad un effetto collaterale dato dalla continua assunzione di CsA. A questo punto la dose è stata ridotta a 2 mg/kg/die. Nell’ottobre 2007 è stato riscontrato un netto miglioramento, con un UAS di 2, permettendo così la riduzione della dose a 1 mg/kg/die. Nel gennaio 2008 è stata ridotta ulteriormente a 0,5 mg/kg/die, visto il continuo miglioramento sintomatologico alternato a periodi di totale remissione ( UAS 1-0). Nell’aprile 2008 però, dato il continuo riscontro di ipertensione, il trattamento è stato interrotto. Nel gennaio 2012 la paziente riferisce la presenza di nuovi episodi con UAS variabile da 1 a 2; per tale motivo le è stato prescritto l’utilizzo di antistaminici

(levocetrizina)

al

bisogno.

Sarà

reintroduzione a basse dosi di CsA (Vedi fig.20).

71

necessario

prevedere

la


Fig.20.

CASO 4: Il quarto caso è quello di una donna di 50 anni. Si è presentata presso il nostro ambulatorio nel maggio 2007, ed ha riportato un punteggio UAS di 6. Ha cominciato la terapia con una dose di 3.5 mg/kg/die di CsA. Ha riportato un evidente miglioramento, con un punteggio UAS pari a 2; per questo, nell’ottobre 2010 la dose è stata ridotta a 1.5 mg/kg/die, ottenendo un buon risultato: UAS 1. Nel novembre 2011 la paziente riferisce di controllare in modo più che soddisfacente la sintomatologia con la stessa dose, con un punteggio UAS variabile da 1 a 0 (Vedi fig.21).

72


Fig.21.

CASO 5: Il quinto caso è quello di una donna di 65 anni. Si è presentata presso il nostro ambulatorio nel maggio 2006, ed ha riportato un punteggio UAS pari a 5. Ha cominciato la terapia con una dose di 3 mg/kg/die di CsA. Già dopo il primo mese non ha più riferito episodi frequenti di orticaria, con un punteggio UAS pari a 2; ha continuato la terapia con la stessa dose, fino a luglio 2007. La dose di CsA viene ridotta a 2.5 mg/kg/die, con la quale la paziente riesce a controllare la sintomatologia. Nel novembre 2007 viene ulteriormente ridotta a 1.5 mg/kg/die, con un buon controllo. Nel giugno 2008 si è passati a 1 mg/kg/die, riportando sempre un controllo adeguato. Nel novembre 2008 la dose è stata ridotta a 0.5 mg/kg/die, vista la scarsa ricorrenza di orticaria. Nel dicembre 2008 la paziente riferisce un punteggio UAS pari a 0, quindi la terapia viene interrotta. Tuttavia,

73


riferisce la ricomparsa di orticaria nel febbraio 2009, con frequenza settimanale, con un punteggio UAS pari a 1; per questo motivo viene reintrodotto il trattamento con CsA (1 mg/kg/die), riuscendo a controllare i sintomi. Nel settembre 2009, visto il buon controllo, continua lo stesso trattamento fino a luglio 2011. A questo punto si riduce la dose a 0.5 mg/kg/die. Nell’agosto 2011 si interrompe la terapia per la totale remissione dei sintomi (UAS 0). Ad oggi non riferisce riaccensione di orticaria (vedi fig.22).

Fig.22.

74


CASO 6: Il sesto caso è quello di una donna di 29 anni. Si è presentata presso il nostro ambulatorio nel marzo 2011 ed ha riportato un punteggio UAS pari a 5. La paziente si trovava già in cura con CsA. Riferiva, tuttavia, la persistenza della sintomatologia. Di conseguenza, oltre la dose di 3.5 mg/kg/die di CsA, le è stata prescritta l’assunzione di antistaminici e deltacortene, riportando subito un miglioramento (UAS 3). Nel maggio 2011, ha interrotto l’assunzione di antistaminici e deltacortene e la dose di CsA è stata ridotta a 2.5 mg/kg/die. Nel settembre 2011 le è stata prescritta una dose di 1.5 mg/kg/die, visto la riduzione del punteggio UAS a 2. Nel gennaio 2012 ha riferito un buon controllo, con un punteggio UAS pari a 1, alternato a 0; per questo la dose è stata ridotta a 1 mg/kg/die, con la sola indicazione di assumere l’antistaminico e il deltacortene al momento della riaccensione sintomatologica (vedi fig.23).

Fig.23.

75


RISULTATI

Tutti e sei i pazienti sono stati trattati con CICLOSPORINA, in quanto poco responsivi all’utilizzo di antistaminici e per evitare gli effetti collaterali dati dai corticosteroidi se utilizzati per un lungo periodo. Lo schema terapeutico prevedeva una dose alta di CsA (4- 3.5- 3 mg/kg), con una riduzione della stessa a distanza di mesi, per raggiungere la dose minima efficace in ogni paziente. Cinque pazienti su sei hanno riscontrato un beneficio, con buon controllo sintomatologico o con totale remissione, anche in seguito alla riduzione scalare della dose di CsA. Uno solo ha mostrato unicamente un discreto controllo della sintomatologia, senza raggiungere mai una completa remissione dei sintomi, ottenendo dunque un parziale beneficio. Una sola paziente ha riportato un effetto collaterale dovuto all’assunzione continua della CsA ( ipertensione), imponendo prima la riduzione ulteriore della dose, poi l’interruzione di tale terapia.

76


CONCLUSIONI

Nel nostro ambulatorio, escludendo le orticarie fisiche, le CAU rappresentano il 21% delle orticarie croniche cosiddette spontanee. La nostra metodologia diagnostica ha previsto l’utilizzo dell’ ”Autologus Serum Skin Test” (ASST), in accordo con l’approccio diagnostico adottato a livello internazionale. In letteratura, i dati riguardanti la prevalenza della risposta ASST+ mostra ampio intervallo di valori (4,1% - 76,5%, valore medio 45,5%), (Kostantonou G.N., Asero R., Maurer M., et al.: EAACI/GA2LEN task force consensus report: The autologous serum skin test in urticaria. Allergy 2009; 64: 1256-1268), di conseguenza, si può affermare che i nostri dati epidemiologici sono in accordo con quelli riportati in letteratura da diversi studi, in relazione al numero di pazienti che compongono il campione. L’approccio terapeutico per ciascun paziente, che ha previsto la somministrazione di dosi scalari di CsA, si è rivelato più che soddisfacente. Inoltre, così come evidenziano studi recenti (Boubouka et al Treatment of Autoimmune Urticaria with Low-dose Cyclosporin A: A One-year Follow-up. Acta Derm. Venereol. 2011; 91: 50–54), anche nel nostro campione, abbiamo notato come la remissione dei sintomi in alcuni pazienti persista a lungo, mentre in altri si possono osservare, dopo un tempo variabile, recidive, che in genere sono caratterizzate da sintomi di intensità attenuata rispetto alla condizione di partenza, per i quali è di solito sufficiente l’uso di antistaminici e/o corticosteroidi.

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Nel nostro campione di pazienti, l’83.3% ha risposto al trattamento con basse dosi di CsA (2.5 mg/kg- 0.5 mg/kg) e solo il 16.6% non ha ottenuto un buon controllo con basse dosi. In letteratura, gli ultimi dati (Boubouka et al.) riportano che l’88% ha risposto al trattamento a basse dosi, mentre solo l’11,5% non ha avuto un buon controllo. Si può concludere che, alla luce della nostra analisi, i dati risultanti dal campione utilizzato concordano con quelli riportati in letteratura. Gli effetti collaterali della CsA, dati dal suo impiego per lunghi periodi, sono ridotti al minimo o annullati dall’utilizzo a basse dosi e, considerato che, anche a basse dosi si è mostrata ampiamente efficace, possiamo concludere che risulta tuttora il trattamento d’elezione nel controllo dell’Orticaria Cronica Autoimmune.

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