A.D. MDLXII
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CORSO
DI
LAUREA
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T E CNI C HE
DE L L ’ I N F O RM A ZI ON E
GIOVANNA DI GILLO
PONTECORVO. UN ANALISI GENDER
Relatrice:
PROF.SSA LUCIA CARDONE
Tesi di Laurea di:
MARIA ANTONIETTA PINTUS
ANNO ACCADEMICO 2012/2013
Indice
Introduzione
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Capitolo 1: Come nasce Giovanna
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1.1: Il tema del lavoro nel cinema
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Capitolo 2: Giovanna e il Neorealismo
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2.1: La realizzazione del film
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Capitolo 3: L’ingresso femminile nella sfera pubblica 3.1: Le donne e il mondo della politica
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Conclusioni
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Appendice
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Scheda film
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Gli autori e la loro provenienza
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Gillo Pontecorvo
42
Franco Solinas
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Giuliani De Negri
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Giuliano Montaldo
48
Mario Zafred
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Enrico Menczer
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Riferimenti bibliografici
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Introduzione Sono sempre stata incuriosita dal progresso e dai passi avanti fatti nella nostra società e ancora di più da quelli fatti dalle donne, in quanto anche io donna, che più di ogni altro hanno dovuto lottare, con intelligenza e determinazione, per vedere riconosciuti i loro ruoli e superare quei luoghi comuni che le vedevano “relegate” e limitate all’ambito domestico come se il diventare mogli e madri dovesse essere il loro unico scopo nella vita. Questo è il motivo che mi ha spinto a scegliere di affrontare in questa occasione il tema dell’emancipazione femminile negli anni del secondo dopoguerra che sono quelli del vero cambiamento. E ho scelto di farlo analizzando il mediometraggio Giovanna di Gillo Pontecorvo che, a livello cinematografico, esprime al meglio e mette in scena la presa di coscienza di ogni donna mettendo a nudo la realtà dell’ambito lavorativo di molte donne di allora e purtroppo anche di oggi. Giovanna è stato girato nel 1955 da Gillo Pontecorvo, con la strettissima collaborazione di Franco Solinas, perché fosse inserito in un film collettivo, da presentare a Berlino, chiamato Die Windrose (La rosa dei venti) con la collaborazione della Idff (Federazione Democratica Internazionale delle Donne) e con la supervisione di Joris Ivens: questo progetto metteva in scena le difficili situazioni delle donne di cinque diversi Paesi del mondo ossia Urss, Brasile, Cina, Francia e Italia. Il primo episodio è quello brasiliano che racconta del viaggio che i braccianti della campagna compiono ogni giorno per andare a lavorare nelle
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fattorie intorno alla città di San Paolo; tra i protagonisti spicca la giovane Ana che porta i suoi compagni a ribellarsi al “padrone” e poi a non accettare un lavoro da schiavi. Successivo è l’episodio sovietico con la regia di Gerassimov e, racconta il contrasto tra i due innamorati Nadeshda e Grischa, poiché lei vuole partire per le terre del sud e portare la sua esperienza colcosiana dove serve aprire nuove frontiere, mentre lui vuole restare nel suo Kolchoz anche se alla fine raggiungerà la sua amata all’ultimo minuto sulla nave in partenza. Segue l’episodio francese di Yannick Bellon, unica donna tra i registi, e racconta di Jeanine, insegnante progressista, che combatte perché le famiglie dei suoi giovani alunni non vengano mandate via dalle loro case. Per ultimo, dopo l’episodio italiano, abbiamo quello cinese che racconta di Chen Hsiu Hua, una donna che viene nominata direttrice di una fattoria collettiva nella Cina socialista: gli uomini cercano di osteggiarla in ogni modo, ma lei dimostrerà di essere all’altezza del compito e alla fine otterrà un ottimo raccolto.1 L’idea di partenza si origina da un precedente film diretto sempre da Ivens, Il canto dei fiumi (Das Lied der Ströme), girato sulle sponde dei sei più grandi fiumi del mondo, rispettivamente il Volga, il Mississippi, il Gange, il Rio delle Amazzoni e lo Yangtze. Partendo da una linea generale del progetto mi sono soffermata su i motivi che hanno spinto Pontecorvo a realizzare questo mediometraggio, nonostante le diverse difficoltà, prima fra tutte quella economica, e come siano riusciti nell’intento nonostante fossero una troupe ridotta e composta da giovani alle 1
Cfr. A. Medici (a cura di), Giovanna di Gillo Pontecorvo, storia di un film e del suo restauro, Roma, Esiesse, 2010, pp. 17 ss.
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prime armi, come Giuliano Montaldo, Franco Giraldi, Enrico Menczer, e la costumista Elena Mannini che allora giovanissima iniziò in quell’occasione la sua carriera; alle prime armi erano anche tutte le protagoniste del film che, come nei film neorealisti, erano tutte attrici non professioniste, ma scelte una ad una a Prato da Pontecorvo e i suoi collaboratori. Giovanna racconta di un gruppo di operaie tessili che, come risposta ai licenziamenti di alcune di loro, decidono di occupare la fabbrica continuando a lavorare e combattendo così per cambiare le cose. Metteranno in atto un tipo di sciopero diffuso in quegli anni, lo sciopero al rovescio detto anche sciopero bianco, cioè continuando a lavorare senza smettere di essere produttive e cercando di garantirsi così dell’altro lavoro pagato. Tra queste donne Giovanna che, osteggiata dal marito metalmeccanico comunista, combatterà con tutti i mezzi per aiutare le sue compagne e impedire che vengano mandate a casa. Tra attimi di sconforto, in cui sembra che stiano per arrendersi, le tessili, unite nella lotta, riusciranno ad andare avanti e ad avere la meglio sul padrone della fabbrica che cerca in ogni modo di ostacolarle: Giovanna si riavvicinerà a suo marito che, compresa l’importanza dell’occupazione, darà anche lui il suo contributo per aiutarle. Nel secondo e terzo capitolo affronto i problemi che riguardano le donne in genere nella realtà sociale di quegli anni, il loro ruolo come donne, madri e mogli; gli anni Cinquanta sono quelli che vedono le donne protagoniste delle lotte per la loro emancipazione, basti pensare che nel 1945 le donne, in Italia, ottengono il diritto all’elettorato passivo e l’anno successivo a quello attivo. Ciò vede
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l’ingresso femminile nel mondo della politica, fino ad allora ambito riservato agli uomini, in cui le donne dovranno lottare per essere prese sul serio e dimostrare di poter fare bene tutto senza che il privato e quindi il loro ruolo di moglie e madre ne risenta. Un percorso tutto in salita in quanto le donne, che per anni avevano vissuto la loro vita “dietro le quinte” occupandosi dell’ambito familiare e privato e stando fuori dal pubblico che era invece riservato esclusivamente agli uomini, impongono finalmente la loro presenza anche nel mondo esterno non volendosi più privare di tutte le possibilità che le attendono. Giovanna è testimone di questo cambiamento poiché mette in scena la tenacia, la forza e la determinazione delle donne che fanno di tutto per loro stesse e per una realizzazione personale, una maggiore presa di coscienza che le porta a esigere maggiore rispetto e collaborazione dagli altri, ma che ad esigere queste stesse cose da loro stesse: è proprio in questo che sta il principale passo verso il futuro della donna emancipata.
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Giovanna di Gillo Pontecorvo
Capitolo 1: Come nasce Giovanna Giovanna è un mediometraggio della durata di trentasei minuti, diretto nel 1956, da Gillo Pontecorvo, allora trentasettenne, e Franco Solinas, occasione che da avvio a tanti anni di amicizia e collaborazione; il mediometraggio nacque come episodio di un film collettivo internazionale intitolato Die Windrose (La rosa dei venti, 1957); presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, fuori concorso, raggiunse un grande successo: venne poi proiettato solo in certe occasioni politiche e sindacali, ma non sarebbe mai stato pubblicato. All’interno di questo progetto, composto da cinque film provenienti da cinque parti del mondo (Brasile, Cina, Francia, Urss e Italia), realizzato sotto la direzione artistica di Joris Ivens (vincitore del Premio mondiale per la pace), in collaborazione con la Idff2 (Federazione Democratica Internazionale delle Donne), Giovanna rappresenta l’episodio italiano.3 Non è una storia vera, come invece potrebbe sembrare, ma trae comunque spunto da un episodio simile, tanto che molte delle operaie che hanno recitato in Giovanna hanno così replicato sullo schermo la simile esperienza vissuta poco tempo prima4. Il film affronta il tema dello sciopero e dell’occupazione secondo una concezione diffusa in quegli anni in Italia e in tutta Europa: cioè portando
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Internationalen Demokratischen Frauen-Foederation. Cfr. ALESSANDRO BERNARDI, Da “città del silenzio” a “città delle macchine”, Prato nel cinema degli anni ’50, Firenze: Firenze University Press, 2010, pp. 10-11. 4 Cfr. J. Baldeschi (a cura di), Il cinema di Gillo Pontecorvo. Una concezione tragica della storia, Castelfiorentino, Circolo del cinema “Angelo Azzurro”, 2003, pp. 40 ss. 3
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avanti la protesta in modo auto gestito attuando lo sciopero al rovescio che consisteva nell’ occupare la fabbrica continuando però a lavorare regolarmente. Le operaie, tutte insieme, si barricano dentro la fabbrica, spinte da una necessità (quella di conservare il loro lavoro) e finalmente libere di scegliere, ma fino a che punto? Fino a che punto Giovanna è libera di scegliere tra il lavoro, le sue compagne e la sua famiglia. La scelta di una cosa per lei esclude l’altra, e così facendo sarà l’unica a trovarsi dentro la fabbrica sola, senza l’appoggio del marito e senza nessuno che le dia coraggio nell’affrontare questa situazione.5 La drastica decisione di occupare la fabbrica viene presa dalle tessili per impedire i licenziamenti, di un gruppo di venti operaie, voluti dalla direzione aziendale, e porteranno avanti questa decisione con tutte le difficoltà che ne conseguiranno. Solo una di loro, Antonietta, incinta di sette mesi, andrà via a causa dell’umidità all’interno della fabbrica, ma farà di tutto, da fuori, per aiutare le sue compagne. La direzione però, decisa a non cedere, minaccia le peggiori rappresaglie, finché, non riuscendo nel suo intento, metterà i bastoni tra le ruote alle operaie precludendo l’accesso alla strada privata, che porta alla fabbrica, rendendo così impossibile il già difficile rifornimento dei viveri e mettendo in crisi le operaie; l’occupazione continuerà grazie alla compattezza, la volontà e la solidarietà di tutto il paese.6 Nel circolo ricreativo, all’esterno della fabbrica, si organizzano, durante tutti i giorni dell’occupazione, striscioni in favore delle tessili e quando l’azienda chiude l’accesso alla via per raggiungere la fabbrica verrà portato, nei pressi dello 5
Cfr. A. Medici (a cura di), Filmare il lavoro, Roma, Archivio Audiovisivo del movimento operaio e democratico, 2000, pp. 122-123. 6 Cfr. A. Medici (a cura di), Giovanna di Gillo Pontecorvo …, pp. 7 ss.
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stabile, un camioncino con l’altoparlante attraverso il quale figli e mariti possono parlare alle donne: «Stai tranquilla è tutto a posto» ; e ancora «Mamma speriamo di vederti presto …». Solo Elena, sposata da poco, sentendo la voce del marito, non resiste più a stare lontana e abbandona la fabbrica mentre tutte le colleghe la incitano a non mollare.7
L’azienda allora tenderà una trappola, proponendo una riduzione delle licenziate da venti a quindici: solo un paio di loro, dopo ciò andranno via, ma dopo 34 giorni l’occupazione continua. Non andati a buon fine tutti i precedenti tentativi, l’azienda toglierà la corrente elettrica momento che nel film rappresenta il più drammatico, perché, in quanto impossibilitate nel proseguire il loro lavoro, 7
Ivi, p. 16.
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le incertezze, i dubbi e le paure iniziano a prendere il sopravvento. Sarà però l’iniziativa di una di loro, Giovanna appunto che, con l’appoggio delle altre operaie e l’aiuto del Circolo dei lavoratori (qui Giovanna avrà modo di chiarirsi con Antonio, il marito, metalmeccanico comunista, che non voleva che lei partecipasse all’occupazione e che finalmente capisce il senso della sua lotta), troverà il modo per far tornare la luce attraverso un cavo portato di nascosto alla fabbrica e far così ripartire le macchine tessili: la lotta riprenderà con più coraggio e la certezza della vittoria.8 Il finale della storia resta indefinito e la conclusione della lotta non narrata, attribuendo così più valore alla resistenza, alla solidarietà operaia e al coraggio di rischiare, piuttosto che alla vittoria o alla sconfitta; inoltre il film mette in risalto la figura di Giovanna, una donna dolce e remissiva, che partecipa all’occupazione nonostante l’opposizione del marito (che non andrà mai a trovarla ne tantomeno le porterà il figlio) e soprattutto nonostante lei sia al corrente fin da subito che il suo nome non è tra quelli delle licenziate: ma combatterà ugualmente, anzi, con più coraggio e grinta perché spinta da un desiderio di emancipazione per tutte invece che dal desiderio e bisogno di proteggere il suo posto di lavoro. Il film esprime con forza il valore che il lavoro rappresenta per le donne; una possibilità in più per riscattarsi e dimostrare il proprio valore; qualcosa da difendere a ogni costo e riuscire a far conciliare con tutto il resto.9 Secondo critici e studiosi autorevoli, come Alessandro Bernardi Giovanna è, con La terra trema e Paisà, una delle più intense espressioni artistiche del 8
Cfr. MASSIMO GHIRELLI, Gillo Pontecorvo, Firenze, La Nuova Italia, 1978, p. 35. Cfr. S. Borelli (a cura di), Primo piano sull’autore: Gillo Pontecorvo “la dittatura della verità”, Roma, editori Ancci, 1998, p. 160. 9
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cinema italiano e del Novecento, con il suo insieme di volti e corpi stanchi, disillusi, eppure sempre pronti a lottare senza cedere mai, nonostante tutto.10 Nel film, infatti, si vive, nei gesti e nei volti delle donne, una cultura del lavoro che vede nei diritti per tutte un tratto fondamentale della loro identità, del mondo del lavoro in genere, della convivenza civile e democratica; una cultura dei diritti delle donne in particolare, in questo caso, come valore di emancipazione, presa di coscienza, volontà, autonomia e libertà. Anche la forma della lotta è significativa in quanto tiene conto del clima politico di allora, delle speranze, del coraggio e della dignità delle operaie tessili.11. Giovanna è uno dei pochi film che in questi anni porta sul grande schermo la scena industriale, la questione femminile e l’emancipazione della donna attraverso una sempre più piena presa di coscienza di sé, del suo valore e delle sue possibilità.
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Cfr. ALESSANDRO BERNARDI, Da “città del silenzio” a “città delle macchine”…, p. 16. Cfr. A. Medici (a cura di), Giovanna di Gillo Pontecorvo …, p. 10.
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Capitolo 1.1: Il tema del lavoro nel cinema Nella sua storia, il cinema di finzione raramente ha rappresentato il mondo del lavoro negli aspetti reali e problematici. I lungometraggi di finzione hanno, in linea di massima, sempre impresso ai propri personaggi una mansione lavorativa (alcune predilette rispetto ad altre tra cui avvocati, medici, poliziotti, segretarie, militari), senza soffermarsi abbastanza sull’operaio in genere, o meglio, pur presentando personaggi della classe lavoratrice, non raccontando in modo onesto
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e autentico quella che era l’esperienza sociale e quotidiana del frequentatore delle sale cinematografiche. 12 Le ragioni di queste scelte sono molteplici: già al momento della sua nascita il cinema viene presentato come distrazione e fuga dalla realtà, e rappresentare il mondo del lavoro con tutte le sue complicazioni, i suoi problemi e gli aspetti della quotidianità, avrebbe senz’altro creato degli altri problemi nello spettatore che, andando al cinema, trovava sullo schermo quella che era la già difficile vita di tutti i giorni e non avrebbe altrimenti goduto della spensieratezza e della distrazione che invece andava cercando. La finzione, infatti, non ha voluto immaginare o rappresentare il lavoro come parte integrante di una vita, se non in rari casi, cosa che invece è ben diversa oggi. Altra ragione è che in poco più di un secolo di cinema (ricordiamo che la nascita del cinema viene fatta coincidere con il 28 dicembre 1895 data della prima proiezione pubblica a pagamento del Cinématographe Lumiére a Parigi ), la cinevideo-camera non ha avuto accesso ai luoghi di lavoro e ancor più alla fabbrica che rappresenta e ha rappresentato il luogo di lavoro per eccellenza del Novecento. In realtà l’accesso allo sguardo del cinema non è esattamente stato negato negli anni, ma del lavoro in fabbrica è stata rappresentata solo la parzialità di un punto di vista, quella del “padrone”, non mostrando la realtà vissuta dagli operai, la fatica, le dure condizioni di lavoro, le ripercussioni nella vita quotidiana.
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Cfr. A. Medici (a cura di), Filmare il lavoro …, pp. 9-13.
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Certo è che la cine-video-camera non si è spesso soffermata sul singolo per registrare il suo lavoro che, essendo alienato e ripetitivo, non è rappresentabile e soprattutto poco attraente. Proprio questa difficoltà nel rappresentare ciò che sta dietro, ciò che non si vede, lo sfruttamento appunto e i rapporti di forza che esistono nei luoghi di lavoro, fa sì che i migliori documentari e film di finzione, espressamente ispirati alla realtà del mondo del lavoro, negli anni tra le due guerre e dopo, sono proprio film su scioperi e lotte sociali per l’emancipazione e migliori condizioni di lavoro.13 Il ruolo del cinema nella società europea, e più in particolare la condizione economica e sociale della classe lavoratrice, affronta un cambiamento dopo il 1945. L’occupazione subisce una revisione del suo sistema, dal piano assistenziale a quello del tempo libero, cambiando molto la vita dei cittadini per quanto riguarda le speranze e le aspettative. Il primo movimento cinematografico a rappresentare questo diverso stato d’animo, e la nuova atmosfera di questi anni, è proprio il neorealismo italiano14 che cercò e trovò una nuova espressione stilistica e tematica della realtà del dopoguerra occupandosi proprio del dramma della disoccupazione, del lavoro incerto e saltuario, raccontando storie legate al quotidiano e della condizione dell’uomo in questi anni di cambiamento successivo al periodo fascista e alla
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Cfr. Ivi, p. 9. La nascita del neorealismo ha origine letteraria, che coincide con l’uscita di alcuni romanzi, come Gli Indifferenti di Alberto Moravia del 1929 e Gente in Aspromonte di Corrado Alvaro del 1930 invece, a livello cinematografico il film che dà avvio a questa corrente è Ossessione di Visconti nel 1943. 14
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grande guerra.15 Viene inaugurata e messa a punto una scrittura legata all’esperienza del reale e lontana in modo radicale da forme di perfezione linguistica, grazie all’utilizzo di una lingua contaminata da idiomi stranieri e linguaggi settoriali. I film neorealisti, infatti, ricorrono anch’essi a dialetti e varianti regionali poiché nel quotidiano la gente parlava soprattutto in dialetto.16 Il neorealismo cercò di raggiungere i suoi obiettivi ricorrendo ad attori non professionisti e, in particolare operai stessi e gente presa dalla strada, che ancor meglio di un attore potevano rappresentare la classe sociale e la situazione da filmare in quanto apparivano credibili agli occhi di registi e soprattutto del pubblico . Basti pensare a film come Ladri di biciclette (1948) Di Vittorio De Sica, nel quale il protagonista fu interpretato da un meccanico dello stabilimento Breda, e il figlio da un piccolo strillone di Roma, ma anche La terra trema (1948) di Luchino Visconti, Paisà (1946) di Roberto Rossellini (film che entusiasmò Pontecorvo al punto da lasciar perdere tutto il resto e dedicarsi al cinema) e tanti altri.17 In questo contesto storico e sociale, pur trovandoci sul finire del neorealismo, dopo un dominio quasi assoluto durato circa dieci anni, si colloca il mediometraggio Giovanna di Gillo Pontecorvo e Franco Solinas, del 1956, che è tra i pochi film, se non l’unico, che in questi anni vanno a rappresentare la dura vita in fabbrica e in particolare la lotta per il lavoro, in questo caso, di un gruppo di operaie che occupano la fabbrica tessile in cui lavorano per opporsi al
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Cfr. A. Medici (a cura di), Filmare il lavoro …, pp. 53-55. Cfr. P. Benedetto (a cura di), Introduzione alla storia del cinema …, p. 157-158. 17 Cfr. GIAN PIERO BRUNETTA Storia del cinema italiano, dal Neorealismo al miracolo economico(1945-1959),volume terzo, Roma, Editori riuniti, 1993, pp. 306-307. 16
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licenziamento di alcune di loro e che unite e solidali combatteranno tutte insieme per raggiungere il loro scopo.18 Nel film vengono spesso inquadrati i telai al lavoro e viene mostrata l’importanza che quel lavoro ha per ognuna di loro (suggestiva e toccante è la scena in cui una delle anziane operaie, ormai demoralizzata e scoraggiata, parla al suo telaio: “ Caro mio, ormai sei vecchio anche tu. Licenziare, non ti licenziano, ma almeno dovrebbero mandarti in pensione”).19
Quello che viene messo in atto da queste donne è lo sciopero al rovescio, tipico di quegli anni, che consisteva nell’occupare la fabbrica senza però smettere di lavorare. Il film sa comunicare le ragioni di ieri e di oggi e l’importanza della
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Cfr. MASSIMO GHIRELLI, Gillo Pontecorvo …, p.34-35 A. Medici (a cura di), Giovanna di Gillo Pontecorvo …, p. 98.
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lotta per i diritti nella fabbrica mostrando come ciò metta in stretta comunicazione e solidarietà il luogo di lavoro e il mondo esterno.20
Capitolo 2: Giovanna e il neorealismo Nonostante Giovanna sia una storia inventata, i volti, i corpi delle protagoniste, e i luoghi della storia sono tutti assolutamente autentici e in linea con i canoni del neorealismo e fanno di questo breve e sfortunato film una delle più belle testimonianze sugli anni Cinquanta. Le protagoniste erano tutte operaie o impiegate della città di Prato, anche se non necessariamente del settore industriale21 I giornali francesi, alla presentazione del mediometraggio, parlarono di “purissimo stile neorealista” che trasmette un messaggio sempre attuale ed esprime valori e identità importanti anche per il mondo del lavoro di oggi. Il tema è quello delle donne tessili, della vita vera e quotidiana con tutti i problemi che comporta.22 Il neorealismo è inoltre il cinema dei silenzi, dei gesti, delle percezioni e delle sensazioni; delle acquisizioni di nuovi ideali da parte degli individui ed è inoltre il cinema che testimonia il cambiamento della società e del cittadino della classe media: e in Giovanna troviamo tutto questo, nonostante sia un film del periodo successivo a questa corrente.23
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Cfr. Ivi, p. 10. Cfr. ALESSANDRO BERNARDI, Da “città del silenzio” a “città delle macchine”…, p.11. 22 Cfr. J. Baldeschi (a cura di), Il cinema di Gillo Pontecorvo …, pp. 45-46. 23 Cfr. GIAN PIERO BRUNETTA, Storia del cinema italiano …, p. 313. 21
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Inoltre possiamo riconoscervi l’utopia neorealista, il sogno di portare il cinema a livello di grande arte: quel progetto secondo cui l’avanguardia artistica non doveva essere, una ricerca astratta e intellettuale, ma al contrario, una testimonianza il più vicino possibile alla vita vera, in cui la capacità narrativa e creativa del cinema sarebbe stata messa al servizio della conoscenza e non della fuga dal mondo reale. Mentre le avanguardie, non solo negli anni Venti, ma anche negli anni Cinquanta e Sessanta, partono da un rifiuto del realismo, il cinema ribalta completamente questo presupposto, mostrando che avanguardia e realismo sono la stessa cosa, e che non esiste avanguardia vera senza attenzione e cura per la realtà della vita. Il cinema è quindi l’unica arte per la quale la realtà sia indispensabile.24 Al momento della presentazione di Giovanna, quindi nel 1957, sono passati dieci anni da Paisà di Rossellini (film che, come si è detto poco sopra, ha aperto gli occhi a Pontecorvo sul voler fare il regista), e per il cinema è un momento di profonda crisi: il neorealismo è tramontato, e al suo posto sono nati nuovi generi, film comici per il grande pubblico, film legati alle canzonette di maggiore successo, commedie più o meno brillanti che si riferiscono molto superficialmente alla realtà sociale del paese. È l’epoca delle “maggiorate” e degli eroi mitologici, di un cinema commerciale che coesiste, e prevale, con il cinema “d’autore”, senza
24
Cfr. ALESSANDRO BERNARDI, Da “città del silenzio” a “città delle macchine”…, p. 15.
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avere con esso alcun rapporto di pubblico, di linguaggio, di struttura produttiva e ideologica.25 Rispetto agli anni del neorealismo troviamo le diverse storie e contraddizioni della condizione sociale delle donne che lavorano.
La
rappresentazione di una donna, per così dire, moderna: è proprio il cinema neorealista a trasformare l’immagine della donna tradizionale, quella creata dal cinema hollywoodiano, dove la donna era ridotta a corpo femminile, oggetto dei desideri maschili e quindi privo di soggettività. Il neorealismo inizia a rappresentare la donna, con desideri, sogni, e con una forza di volontà e una voglia di farcela che prima non venivano espressi.26 A tal proposito nel film è importante il dialogo tra Giovanna (Armida Gianassi) e suo marito Antonio, metalmeccanico comunista, quando lei deciderà, contro il suo volere, di partecipare all’occupazione: “… queste cose non sono fatte per le donne, Giovanna …” “tu te ne torni a casa, dove c’hai un bambino …”.27 Inoltre nel film, così come nella vita delle donne in quegli anni, le protagoniste vengono mostrate alternando la donna lavoratrice e la donna madre: basti pensare alla scena in cui una delle operaie allatta il figlio ancora neonato che le viene portato da un carabiniere quando viene sbarrata la strada, o ancora quando Armida, una delle operaie più anziane, vedova e madre di quattro figli, alla fine del film cede al ricatto del padrone e va via stringendosi ai suoi figli mentre piange; questa alternanza crea l’effetto di
una metafora visiva che
raffigura quella che è la “donna nuova”; una donna che ha scelto non solo la 25
Cfr. MASSIMO GHIRELLI, Gillo Pontecorvo, Firenze, La Nuova Italia, 1978, p. 38. Cfr. ivi, p 10. 27 A. Medici (a cura di), Giovanna di Gillo Pontecorvo …, p. 15. 26
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famiglia, ma anche il lavoro come fattore scatenante di una presa di coscienza e del desiderio di poter contribuire e avere una propria indipendenza senza per questo venir meno ai compiti tradizionali né essere una madre e una moglie meno attenta e premurosa.28
Capitolo 2.1 La realizzazione del film Gli anni Cinquanta sono stati i più duri per il movimento operaio e per il Partito Comunista a Prato. Basti ricordare il 1948 quando si è andati alle elezioni convinti di avere la maggioranza, questa fu ottenuta dalla Democrazia Cristiana. Negli anni seguenti la situazione era estremamente difficile per gli operai e per la sinistra. I lavoratori venivano mandati via dalle fabbriche dandogli i telai a casa e decapitando così le commissioni interne. Infatti, chi era nelle commissioni interne era il primo licenziato: i tessitori, insieme ai telai, uscirono dalle fabbriche ed entrarono nelle case, con tutte le conseguenze che ne sono derivate. In questo modo si privò il movimento operaio di molti dei suoi dirigenti.29 Non solo quindi per il contesto storico e sociale in cui nasce, Giovanna è un film femminista ante litteram. È un film importante perché vi si vedono emergere gli elementi fondamentali della poetica di Pontecorvo: prima di tutto la fedeltà alla verità, cioè la fiducia nella ricostruzione realistica dei fatti e delle persone; poi la «tipizzazione» dei personaggi, parallela ad una visione della storia che vede protagoniste le masse, più che i singoli individui: infatti Giovanna è soprattutto
28
LUCIA CARDONE, «Noi donne» e il cinema: dalle illusioni a Zavattini (1944-1954), Pisa, Edizioni ETS, 2009, p. 82. 29 Cfr. A. Medici (a cura di), Giovanna di Gillo Pontecorvo …, p. 153.
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un’opera corale in cui i desideri di ognuna si uniscono e insieme prendono forza e coraggio; infine l’interesse per la tematica dell’emancipazione - in questo caso emancipazione operaia e femminile insieme.30 In Giovanna emerge anche un’altra delle caratteristiche filmiche di Pontecorvo: infatti, anche i successivi film sono caratterizzati da un momento in cui i protagonisti lasciano trapelare la paura e l’oppressione del possibile fallimento dell’impresa; c’è sempre un momento in cui tutto sembra andare male, ma è proprio da questo momento che gli eroi dei suoi film traggono nuova forza per affrontare e vincere la sfida. Nonostante in Giovanna il finale non venga narrato è chiaro che le tessili, una volta riuscite ad avere nuovamente la corrente e quindi potendo tornare a lavorare, lottano con più forza e più possibilità e coscienza di vincere.31 Riguardo alla realizzazione del film, in questo come nei seguenti, Pontecorvo aveva le idee abbastanza chiare, ma era sempre molto indeciso e insicuro (difetti considerati causa della sua ridotta filmografia, in quanto ogni scelta era difficile perché ne esclude delle altre): pensava tante soluzioni di una scena e le provava tutte, finché non era convinto. Enrico Menczer, direttore della fotografia in Giovanna, in proposito ha dichiarato: La fotografia doveva essere la più realistica possibile perché la storia di Giovanna era estremamente vera. Pontecorvo in proposito non richiedeva
30 31
Cfr. MASSIMO GHIRELLI, Gillo Pontecorvo …, p. 37. Cfr. S.Borelli (a cura di), Primo piano sull’autore …, p. 55.
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particolari effetti di luce che impreziosissero l’inquadratura: occorreva riprodurre l’atmosfera di questa fabbrica, dove, mentre si girava, continuava il lavoro.32 L’illuminazione con il sistema di luci diffuse venne ottenuta proiettando i riflettori verso un telo grigio posto in alto: questo restituiva una luce grigia e malinconica. L’illuminazione è, infatti, in chiave bassa, cioè caratterizzata da contrasti più forti e da un uso più marcato del controluce (cioè di una luce posta sul retro della scena utilizzata per enfatizzare la profondità spaziale e dare rilievo a personaggi e oggetti che altrimenti risulterebbero appiattiti sul fondo della scenografia), e storicamente legata al genere noir, alle atmosfere ambigue e drammatiche dei racconti polizieschi.33Essendo Pontecorvo anche influenzato dal cinema sovietico (egli stesso ha dichiarato di essere per tre quarti influenzato da Rossellini e per un quarto dai russi) puntava spesso alle riprese dal basso, soprattutto per le operaie che, essendo piccole e umili, andavano enfatizzate e caricate di forza; infatti, le riprese dall’alto comprimono il personaggio mentre quelle dal basso tendono a esaltarlo.34 E, in effetti, il film è più vicino all’impegno ideologico del dopoguerra che alle commedie del realismo minore di quegli anni. Il riferimento al cinema sovietico si avverte non soltanto dal punto di vista contenutistico: la descrizione dell’ambiente, le inquadrature, il linguaggio, la stessa scelta delle facce – specialmente certe anziane operaie “pudovkiniane”, ma anche i bambini e i mariti
32
A. Medici (a cura di), Giovanna di Gillo Pontecorvo …, p.145. Cfr. M. AMBROSINI, L. CARDONE, L. CUCCU, Introduzione al linguaggio del film, Roma, Carocci editore, 2003, p. 23. 34 Cfr. ALESSANDRO BERNARDI, Da “città del silenzio” a “città delle macchine”…, p. 12. 33
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operai; l’individuazione di un protagonista corale; il corpo delle lavoratrici della fabbrica, che poi è una fabbrica qualunque, con i problemi di tante altre.35 Il linguaggio della voce fuori campo è ingenuo e al tempo stesso consapevole poiché è proprio quello della protagonista, Giovanna, che è l’unica di tutto il gruppo delle tessili a sapere di non essere tra le licenziate e nonostante questo partecipa alla lotta pur essendo la sola a non avere l’appoggio del marito. Il film comunque presenta delle approssimazioni e imperfezioni sia nella scelta degli attori, tra cui il bambino che interpreta uno dei figli di Armida, una delle tessili, protagonista di momenti ironici che sdrammatizzano un po’ il film; sia sul piano tecnico dove la padronanza della macchina da presa non è sempre perfetta, c’è l’incertezza nei controcampi, ripetizione nelle inquadrature. Ci sono in compenso anche sequenze suggestive, come quella in cui un carabiniere (interpretato dall’aiuto regista Franco Giraldi) porta un bimbo piccolo alla madre chiusa in fabbrica, perché lo possa allattare; o la scena in cui le voci dei familiari raggiungono le operaie in lotta attraverso un altoparlante, da dietro una collina, quando verrà chiuso l’accesso alla fabbrica. Tra le sequenze conclusive, molto toccante è il momento in cui Armida, una delle operaie più anziane, vedova e madre di quattro figli, abbandona piangendo la fabbrica, cedendo al ricatto del padrone; qui compare anche, per la prima volta, un procedimento stilistico che tornerà nelle opere successive di Pontecorvo: la macchina segue da vicino la donna che si volta verso le compagne, poi si ferma
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MASSIMO GHIRELLI, Gillo Pontecorvo, Firenze, La Nuova Italia, 1978.
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con un fotogramma fisso per alcuni secondi sull’espressione intensa del suo volto rigato dalle lacrime.36 Fondamentale nella riuscita del film e nel suo essere così semplice, naturale e credibile è proprio la lunga ricerca della fabbrica, dei volti di tutte le attrici, e non solo della protagonista: la location è un vecchio opificio nei dintorni di Prato, detto la Romita, lungo la valle del Bisenzio, una costruzione ottocentesca affacciata su un canale. Lo stesso Pontecorvo in proposito ha dichiarato: «Avevamo scelto di girare a Prato proprio per la bellezza di queste vecchie fabbriche ottocentesche, davanti alle quali scorreva un canale». 37 E’ interessante il modo in cui viene ripreso l’interno della fabbrica tessile con i suoi telai al lavoro: durante le riprese inoltre nelle altre stanze si lavorava quindi i forti rumori resero le riprese un po’ più complicate perché si dovette ridoppiare quasi tutto; i rumori però vennero registrati e utilizzati a loro volta come sfondo di alcune scene. L’ambiente è fatiscente e degradato, ma comunque attivo e produttivo, e per le operaie, che rischiano di perdere il lavoro, risulta essere l’unica fonte di salvezza e riscatto. Le interpreti sono vere operaie, anche se non tutte dell’ambiente tessile, scelte con molta cura, così da risultare vere e significative.38 Quel che importa, in questo contesto storico e cinematografico, non è mettere il professionista in un ruolo abituale: il rapporto che stabilisce col suo personaggio non deve essere appesantito per il pubblico da nessuna idea a priori. I
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Cfr. ivi, p. 37 . A. Medici (a cura di) Giovanna di Gillo Pontecorvo …, p. 14. 38 Cfr. Ivi. p. 136 ss. 37
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non professionisti sono naturalmente scelti per il loro adeguamento al ruolo che devono tenere: conformità fisica o biografica.39 La ricerca dei volti, come dichiarò Franco Giraldi, aiuto regista in Giovanna, durò mesi perché Pontecorvo voleva trovare dei visi che lo colpissero e che potessero esprimere al meglio la situazione di paura e tristezza, per il timore di restare senza un lavoro, ma anche di forza e coraggio nel cercare di reagire a tutto ciò.40 L’attrice scelta per interpretare Giovanna era Clara Pozzi, tanto che il suo nome compare nei titoli di testa della copia de La rosa dei venti e della prima autobiografia di Joris Ivens. A interpretarla fu invece Armida Gianassi la cui scelta avvenne proprio perché, secondo Pontecorvo, aveva un viso e un fisico tipicamente neorealista. Ammirevole è anche la scelta dei bambini e degli uomini scelti per il film; del ragazzino che nel film interpretava il figlio più piccolo di Armida, una delle più anziane operaie della fabbrica nonché vedova e madre di quattro figli, Pontecorvo dice: Non ricordo dove abbiamo trovato questo ragazzino, ma è l’unica cosa buona del film. Era straordinario, recitava come un vero attore e mentre con gli altri si dovevano ripetere le scene decine di volte, con Ronaldino: prima buona, seconda buona, finito. Ogni volta.41 E’ la prima volta in cui, in un film, a essere protagoniste di una lotta sindacale sono esclusivamente le donne: e ciò permette agli autori di raccontare lo 39
Cfr. ANDRÈ BAZIN, Che cosa è il cinema?, Milano, editore Garzanti, 1973, pp. 283-284. Cfr. Antonio Medici (a cura di), Filmare il lavoro …,p.130-131. 41 A. Medici (a cura di), Giovanna di Gillo Pontecorvo …, p.135. 40
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stretto legame tra vita privata e lavoro, rapporti familiari e doveri pubblici, matrimonio e sindacato, maternità e solidarietà. La madre vedova costretta a lasciare soli i quattro figli, affidandoli al più grande; le raccomandazioni delle mogli ai mariti in un'inversione di funzioni che permette a ciascuno di capire di più, ma che provoca il risentimento degli uomini: “ Tanto ormai sei tu che lavori e che guadagni Giovanna, fai tutto tu”. Insieme con il legame inevitabile tra vita familiare e lavoro, Giovanna racconta anche l’ingegnosità della classe operaia e la sua capacità di resistere e lottare anche per via d’intelligenza e d’inventiva.42 Girato fuori dalle strutture abituali di produzione, Giovanna non è il classico “primo film”. Non ci sono costrizioni, compromessi, problemi di attori, censure preventive o autocensure, vincoli di mercato (oltre il basso budget che per forza di cose limitava un po’ nello sviluppo e realizzazione): Pontecorvo e i suoi collaboratori, la maggior parte ai loro esordi, godono di una totale libertà.43 Giuliano Montaldo, direttore della produzione in Giovanna, in un’intervista ricorda: Si trattò di un’operazione povera, realizzata con una piccolissima troupe. I mezzi erano scarsi e si doveva stare attenti a non sforare i tempi previsti dal piano di lavorazione. Un problema serio fu la presa diretta perché, nei reparti in cui non si facevano riprese si lavorava e, il rumore dei macchinari contrastava violentemente
con le scene di occupazione e per questo motivo si dovette
doppiare quasi tutto una seconda volta.44
42
A. Medici (a cura di), Giovanna di Gillo Pontecorvo …, p. 15. , Gillo Pontecorvo …, p. 35. 44 A. Medici (a cura di), Giovanna di Gillo Pontecorvo …, p. 140. 43
M. GHIRELLI
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Oltre l’accostamento al neorealismo, dal quale Pontecorvo prende anche le distanze giacché ne critica la mancanza di crudeltà e il mostrare le cose in modo più leggero, un confronto più generale, come già si è detto è possibile con il cinema sovietico degli anni venti, in particolare con Ejzenštejn, Pudovkin e soprattutto Dovženko da cui Pontecorvo dichiara di essere condizionato. Infatti, come Ejzenštejn, anche Pontecorvo pone al centro della storia le masse che sostituiscono l’eroe singolo come protagonista; altro punto in comune è rappresentato dal fatto che i personaggi sono definiti dalle condizioni sociali che li affliggono: ed è proprio il modo in cui le masse reagiscono all’oppressione e ai problemi che si presentano a rappresentare un aspetto importante dal punto di vista registico. Così come i marinai del Potemkin di Ejzenstejn, anche tra le tessili del mediometraggio Giovanna di Pontecorvo, sarà proprio la determinazione a lottare per cambiare le cose, che già le accomuna, ad avvicinarle e aumentare il coraggio e la loro forza.45 Alcuni critici, tra cui Ghirelli, spingono, a livello di linguaggio, il confronto con i film dell’avanguardia sovietica sostenendo addirittura che in Giovanna sia presente una rielaborazione, a volte anche più raffinata, del montaggio “intellettuale” teorizzato da Ejzenštejn; dall’uso correlato della colonna sonora, a cui Pontecorvo dà estremamente importanza, in quanto egli pensa che la storia vera, che si nasconde dietro quella narrata nei film, possa durare oltre il tempo e l’apparenza solo grazie alla musica che le porta alla luce46; dallo stile così
45 46
Cfr. M. GHIRELLI, Gillo Pontecorvo …, p. 22. Cfr. S.Borelli (a cura di), Primo piano sull’autore …, p. 110.
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caratteristico del documentario “ricostruito”; infine, dalla forza epica, per alcuni persino superiore a quella espressa dai sovietici.47
Capitolo 3: L’ingresso femminile nella sfera pubblica Nel decennio che precedette la Prima Guerra Mondiale, la questione della donna operaia, e lavoratrice in genere, era un tema già molto discusso e sul quale si cercò di cambiare le cose. Si combatteva in particolar modo per dimostrare la capacità della donna di realizzarsi sul piano lavorativo senza dovere per questo rinunciare a realizzarsi come donna, potersi sposare e avere dei figli.48 Fin dalla fine dell’Ottocento la presenza femminile nelle fabbriche, e in tanti altri ambienti lavorativi, era massiccia; come dichiarò anni dopo il proprietario di un’azienda vinicola di Cagliari, in risposta ad un questionario dell’Unione industriale fascista, il lavoro di una donna favoriva il matrimonio perché avendo un proprio salario poteva dedicare più tempo alla cura di sé stessa, poteva acquistare abiti più carini e di qualità (e quindi essere più piacente), mettere da parte i soldi per la dote e ambire ad un matrimonio più elevato socialmente. Inoltre anche l’uomo era più propenso a sposare una donna lavoratrice poiché un salario da solo non bastava mentre con due (nonostante il salario di una donna corrispondeva a circa la metà di quello di un uomo) le possibilità e la tranquillità di mandare avanti una famiglia e una casa aumentavano.49
47
Cfr. M. GHIRELLI, Gillo Pontecorvo …, p. 22. Cfr. Stefano Musso (a cura di), Tra fabbrica e società. Mondi operai nell’Italia del Novecento (volume 33), Editore Giangiacomo Feltrinelli, Milano, 1999, p. 109. 49 Cfr. Ivi, pp. 109-112. 48
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Andando avanti negli anni, e in particolare nel secondo dopoguerra, il tema dell’emancipazione della donna nella società si fa nuovamente marcato. Alla donna, infatti, era ancora negato il diritto all’elettorato attivo e passivo50 non essendo così considerate come vere e proprie cittadine alla luce della netta separazione tra sfera privata e familiare affidata alle donne e quella pubblica e politica affidata agli uomini nella quale alle donne non era concesso di fare parte.51 In realtà nessuna legge stabiliva espressamente che le donne non potessero votare o essere votate, ma le donne erano comunque escluse dal voto.52 Questa limitazione veniva dunque considerata implicita, talmente era ovvia e radicata nel pensare comune, da non essere necessario esplicitarla in apposite leggi.53 Nella metà degli anni Quaranta, infatti, si stabilirono nuove relazioni di genere con una reale e concreta presa di coscienza delle donne rispetto al loro valore e al loro potenziale. È ciò che accade alle operaie protagoniste del mediometraggio Giovanna: il gruppo delle tessili, davanti a una situazione che in apparenza non lascia loro
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Basti pensare che il diritto per l’elettorato attivo alle donne italiane fu concesso solo nel 1945, mentre quello passivo nel 1946. Molto in ritardo rispetto agli altri paesi occidentali, prima fra tutti la Finlandia nel 1906, seguita dalla Norvegia nel 1912, Danimarca e Islanda nel 1915, l’Irlanda nel 1918, Paesi Bassi, Germania e Svezia nel 1919, Stati Uniti e Canada nel 1920, Regno Unito nel 1928 e la Spagna nel 1930, mentre invece la Svizzera concesse il suffragio femminile soltanto nel 1971. 51 Cfr. Eva Pföstl (a cura di), Sicurezza e condizione femminile nelle società occidentali, Roma, editrice APES, 2008, p. 33. 52 L’art. 24 proclamava che «Tutti (…), qualunque sia il loro titolo o grado, sono uguali dinanzi alla legge», precisando che «Tutti godono di diritti civili e politici e sono quindi ammessi alle cariche civili e militari, salvo le eccezioni della legge» tra le quali non compariva il sesso. 53 Cfr. Alisa Del Re,Valentina Longo, Lorenza Perini (a cura di), I confini della cittadinanza: genere, partecipazione politica e vita quotidiana, Milano,Franco Angeli s.r.l., 2010, pp. 20-21.
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scelta, combatte per ottenere ciò in cui credono senza arrendersi mai e grazie a ciò usciranno vincenti.54 In questi anni ci si trova di fronte ad una graduale ma crescente, presenza femminile nei diversi luoghi di lavoro e all’interno delle organizzazioni politiche, in particolare nel PCI e nell’UDI,55 nelle quali svolgono compiti sempre più di rilievo dimostrando di non essere da meno degli uomini e imponendo così la loro presenza negli ambienti considerati, fino ad allora, tipicamente maschili.56 In seguito alla vittoria nel 1948, sul piano politico della Democrazia Cristiana, gli anni in questione sono caratterizzati dalla violenta contrapposizione tra cattolici e comunisti. La lotta politica inevitabilmente si ripercuote anche sul cinema, e il neorealismo, con la DC, e in particolare Giulio Andreotti sottosegretario allo spettacolo, non è più tanto gradito politicamente. Oltre ai conflitti politici sul piano cinematografico c’è anche un importante cambiamento nel sistema dei media quali televisione, cinema e giornali. A questi anni risale anche una grande varietà e dialettica da parte di soggetti diversi da quelli politici e che quindi va al di fuori della contrapposizione politica: ciò fa risaltare il ruolo delle donne che sono le protagoniste e le spettatrici privilegiate dai film di questo periodo. Un dato importante è la grande presenza di protagoniste femminili nel cinema di questo decennio nonostante le donne non avessero ancora ottenuto un
54
Cfr. J. Baldeschi (a cura di), Il cinema di Gillo Pontecorvo …, p. 42. L’Unione Donne Italiane è un’organizzazione per l’emancipazione femminile italiana nata ufficialmente il 1 ottobre 1945. 56 Cfr. SANDRO BELLASSAI, La morale comunista …, pp. 209-253. 55
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diverso ruolo nella società: e stupisce come nei decenni successivi, una volta ottenuti più riconoscimenti per le donne e il loro potenziale, ciò non avvenga.57 Il notevole aumento dell’occupazione femminile di questi anni, nelle società industrializzate, pone nuovamente l’attenzione, attraverso movimenti di Liberazione della donna, sulla necessità di risolvere i problemi di disuguaglianza e discriminazione nel posto di lavoro58 attraverso leggi per il trattamento tra uomini e donne, la parità salariale e la creazione di leggi per la maternità tutelando così le madri lavoratrici invece che penalizzandole. A questo proposito il Trattato originario di Roma del 1957, nell’articolo 119, sanciva il principio della parità di salario tra uomini e donne e, dagli anni Settanta, obbligava gli Stati membri privi di una materia in questo campo, a sopperire.59 Alla fine degli anni Cinquanta le donne erano riuscite a dimostrare di potersi bene inserire e adattare in contesti differenti, lavorativi e non, senza per questo svolgere in modo meno attento e premuroso i propri compiti e ruoli tradizionali di moglie e madre. In ciò consiste la strategia del gender mainstreaming, che rappresenta, sotto certi aspetti, il concludersi del percorso della politica per la parità attraverso la quale si è cercato di superare la visione riduttiva che associava la donna esclusivamente alla sfera privata e domestica e l’uomo a quella pubblica e politica, considerando ora gli individui senza attribuire distinzioni di genere per
57
EMILIANO MORREALE, Così piangevano. Il cinema melò nell’Italia degli anni cinquanta,Roma, Donzelli editore, 2011, pp. 4-5. 58 Fino al 1963, anno in cui finalmente fu abolita, era prevista, nell’art. 37, la clausola del nubilato, che prevedeva il licenziamento in caso di matrimonio. 59 ALESSIA DONÀ, Genere e politiche pubbliche: introduzione alle pari opportunità, Milano, Bruno Mondadori editore, 2007, pp. 51-52.
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quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla politica e alla vita in genere. Questa diversa concezione per realizzarsi ha bisogno, come prerogativa, della presenza e partecipazione nella sfera politica sia degli uomini che delle donne.60 Sul versante lavorativo le donne italiane hanno dovuto aspettare la legge 66 del 1963 per poter accedere in modo paritario ai pubblici uffici e alle professioni, ottenendo così la possibilità, senza nessuna differenza, di poter trovare occupazione in tutti gli ambiti lavorativi escluso solo quello delle forze armate che verrà aggiornato solamente nel 1999.61 Il 1963 fu anche l’anno in cui, a testimoniare il clima di cambiamento, fu eliminata la clausola del nubilato, nell’art.37, che prevedeva il licenziamento in caso di matrimonio, altra legge quindi fortemente discriminatoria.62 Altro ostacolo da superare, a livello sociale, era l’immagine della donna proposta dal cinema hollywoodiano, entrato nell’immaginario comune dopo la Liberazione, il quale mostrava la donna come superficiale, frivola, e sempre bisognosa di un uomo, meglio se ricco, da cui dipendere e dal quale farsi mantenere. E anche in ciò le donne riuscirono a imporre il modello della “donna nuova” riuscendo pian piano a sostituire la visione che la società aveva di lei.63
Capitolo 3.1: Le donne e il mondo della politica Nonostante i movimenti femminili iniziarono a farsi strada già dalla fine dell’Ottocento e primi del Novecento la concezione della donna e dei ruoli da 60
Cfr. Ivi, p. 64. Cfr. FRANCESCA VITALI, I luoghi della partecipazione: una ricerca su donne, lavoro e politica, Milano, Franco Angeli s.r.l., 2009, p. 65. 62 Cfr. A. Del Re,V. Longo, L. Perini (a cura di), I confini della cittadinanza …, p. 14. 63 Cfr. SANDRO BELLASSAI, La morale comunista …, p. 255. 61
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ricoprire nella società continua a essere discriminatoria fino agli anni Cinquanta. Anche a livello di partecipazione politica questi anni vedono nascere molte organizzazioni femminili nei partiti politici tra cui quello fascista64 il quale, nonostante ciò, attuerà ben presto discriminazioni nei confronti delle donne attraverso leggi limitative sulla maternità e in relazione all’accesso al lavoro con un chiaro intento di scoraggiare industriali e chiunque volesse assumere donne. Negli anni Quaranta, con la mobilitazione bellica in vista della Seconda Guerra Mondiale e la necessità di manodopera, queste restrizioni di genere vennero accantonate in quanto solo le donne potevano sopperire a queste richieste prendendo il posto di mariti e fratelli. Basti pensare che già negli anni Trenta, infatti, un terzo della forza lavoro era rappresentata da donne e che alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale pare fossero più di tre milioni le donne in possesso della tessera di una delle organizzazioni del partito.65 Le militanti erano coloro su cui ci si affidava per tenere a bada i malumori che potevano nascere nel gruppo e avevano il compito di responsabilizzare le altre donne riguardo i comportamenti da tenere nel fronte interno. La donna ideale era colei che, in questi anni, nonostante l’insorgere di problemi sempre più frequenti, sia dalla mancanza di risorse che dal difficile rispetto delle regole, riusciva comunque a conciliare il tutto senza farsi sopraffare dagli eventi.66
64
Tra i movimenti femminili fascisti ricordiamo i Fasci femminili attivi già dal 1920, le Massaie rurali, la Sezione Operaie e Lavoratrici a Domicilio, le Piccole italiane fino ad arrivare alle sezioni femminili dei Giovani Universitari Fascisti e alle Giovani fasciste. 65 Cfr. FRANCESCA VITALI, I luoghi della partecipazione …, pp. 100 e ss. 66 Cfr. TIZIANA NOCE, Nella città degli uomini. Donne e pratica della politica a Livorno tra guerra e ricostruzione, Catanzaro, Rubbettino editore, 2004, pp. 26-27.
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Come spiegò la professoressa Germana Moriani, delegata provinciale dei Fasci Femminili di Livorno «La milizia femminile fascista va considerata non come un’ associazione, ma un’ organizzazione a scopi esclusivamente sociali e patriottici, come un apostolato di bontà che impone sacrifici da accettare».
Questi ruoli, secondo la concezione fascista, servivano a riscattare le donne dalla loro vita meschina dedita al pettegolezzo tra vicinato. Emergevano dunque le due immagini femminili concepite dal fascismo quali la donna-crisi, inutile e incapace, e la donna-madre, invece, patriottica ed eroica.67 La guerra, come già si è visto, aveva però portato a galla le diverse contraddizioni e ambiguità della politica fascista nei confronti delle donne. Esse, infatti, diventavano uno strumento della politica fascista secondo la quale la loro partecipazione
alla
vita
pubblica,
invece
di
promuovere
processi
di
emancipazione, doveva esaurirsi nel ruolo di «madri di pionieri e di soldati». 68 I ruoli svolti dalle donne, all’interno della militanza fascista, erano, infatti “ridotti” ai campi d’azione vicini al ruolo materno come nelle colonie e collaborazione nei consultori: veniva poi l’assistenza sociale vera e propria con la distribuzione dei viveri, di sussidi e vestiario, o nelle visite alle famiglie bisognose; si occupavano poi dell’organizzazione di spettacoli cinematografici gratuiti, distribuzione di libri, riviste, giornali e creazione di laboratori di taglio e cucito, confezione di biancheria, ricamo e abiti. Inoltre all’interno delle
67 68
Ivi, pp. 33 ss. Cfr. Ivi, p. 68.
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organizzazioni fasciste i ruoli svolti dalle militanti erano divisi in base al ceto sociale.69 Per i membri dei partiti antifascisti, e del PCI in particolare, la buona comunista doveva essere, prima di ogni altra cosa, una buona madre e moglie e una lavoratrice cosciente.70 Proprio per questo motivo le militanti della sinistra, anche se in realtà questo discorso vale per le militanti in genere a prescindere dal versante politico, erano costrette a una “doppia militanza” poiché si trovavano divise tra i loro ruoli ricoperti nell’ambito pubblico, con il lavoro e la politica, e il privato con il dovere di badare alla casa, ai figli e ai mariti.71 Nella concezione comunista, infatti, l’emancipazione della donna non era vista come qualcosa che conduceva all’antagonismo in quanto le donne emancipate avevano molto più da offrire ai loro uomini e mariti: l’esperienza della militanza portava la donna ad una migliore acculturazione, a una presa di coscienza, a una rivoluzione personale e una crescita interiore che la rendeva più interessante agli occhi di sé stessa e più matura nel svolgere tutti i suoi compiti e nel vivere al meglio la propria vita.72 Nel PCI in particolare il ruolo svolto dalle donne, anche attraverso i Gruppi di Difesa della Donna73, fu molto importante in quanto esse promuovevano la lotta antifascista, dando aiuti concreti e sostegni alle famiglie e non per ultimo promuovevano ovunque le rivendicazioni per le donne e le prospettive per il futuro di esse; esse erano convinte che al termine della guerra avrebbero ottenuto
69
Cfr. Ivi, pp. 37-38. Cfr. SANDRO BELLASSAI, La morale comunista …, p. 292. 71 Cfr. LUCIA CARDONE, «Noi donne» e il cinema …, p. 82. 72 Cfr. SANDRO BELLASSAI, La morale comunista …, pp. 273-278. 73 I GDD (Gruppi di Difesa della Donna) furono la prima delle organizzazioni nate per raccogliere la mobilitazione femminile durante la Resistenza. 70
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l’elettorato attivo, quindi la possibilità di esprimere il loro voto, e l’elettorato passivo, cioè la possibilità di essere votate e rappresentare politicamente il proprio paese cosa che poi si sarebbe avverata.74 La propaganda antifascista, che sollecitava la mobilitazione femminile come appoggio al movimento clandestino, puntava sull’appoggio delle donne durante la lotta mirando in particolar modo ai problemi del quotidiano e alle loro necessità che non potevano più essere ignorate.75 Nonostante ciò i compiti svolti dalle donne durante la lotta antifascista (quindi su tutti i fronti politici) continuarono in questi anni ad essere visti come subordinati al lavoro dell’uomo per cui, se un uomo portava cibi ai combattenti armati, rischiando la vita, era considerato anch’esso un combattente, mentre se a farlo era una donna veniva considerata un’aiutante e così via per altri compiti e mansioni che quando erano svolti da donne venivano sempre sminuiti e considerati meno impegnativi e difficili.76 Altro ostacolo da superare, per modificare la visione della donna, era l’immagine del genere femminile proposta dal cinema hollywoodiano, entrato nell’immaginario comune dopo la Liberazione, che la mostrava come superficiale, frivola, e sempre bisognosa di un uomo, meglio se ricco, da cui dipendere e dal quale farsi mantenere.77 Fino agli anni Cinquanta in cui si inizia a parlare di “donna nuova”, che partecipa attivamente alla vita sociale e politica, l’equilibrio dell’identità maschile
74
Cfr. LUCIA CARDONE, «Noi donne» e il cinema …, pp. 24-25. Cfr. TIZIANA NOCE, Nella città degli uomini …, pp. 71 ss. 76 Cfr. Ivi, p. 94. 77 Cfr. SANDRO BELLASSAI, La morale comunista …, p. 255. 75
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si era basato proprio sullo squilibrio tra i generi: la supremazia dell’uomo, almeno storicamente, era considerata in relazione alla libertà della donna. Proprio per questi motivi l’ingresso della donna nella vita pubblica generò non pochi dubbi, paure e incertezze negli uomini che vedevano minato il loro potere e il loro ruolo all’interno e all’esterno del nucleo familiare.78 Il modello della “donna nuova”, elaborata dal PCI negli anni Cinquanta, vede la sfera privata entrare in contatto con la pubblica79e coniuga il tema dell’emancipazione femminile e della partecipazione politica con i suoi ruoli tradizionali che restano fondamentali.80 Fino ad allora, i caratteri fondamentali della militanza erano chiaramente ispirati su un militante di profilo maschile e le donne fecero molta fatica ad inserirsi. Nonostante le donne già dagli anni quaranta fecero il loro ingresso nel partito, i ruoli che poterono svolgere furono si anche quelli di dirigenti di primo piano, ma pur sempre con un adattamento a modelli di moralità che venivano privati di quelle caratteristiche, almeno da un punto di vista maschile, tipicamente femminili.81 Data la mutata situazione degli anni Cinquanta il genere maschile si dovette anch’esso adattare: in tutto il paese, e nel PCI in particolare, si cercò di rieducare gli uomini ad una diversa concezione del genere femminile tra cui rientrava una collaborazione domestica, quindi nel privato, non essendo più nessuno al di sopra
78
Cfr. Ivi, pp. 230-232. Fino ad allora ciò non era stato possibile perché la donna era sempre stata relegata al solo ambito domestico, e quindi privato, e al suo ruolo, per così dire riduttivo, di sola moglie e madre impedendole così di realizzarsi a pieno. 80 Cfr. LUCIA CARDONE, «Noi donne» e il cinema …, pp. 12-24. 81 Cfr. SANDRO BELLASSAI, La morale comunista …, pp. 222-225. 79
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dell’altro, ma alla pari, e una diversa considerazione e coinvolgimento della donna nella sfera pubblica. Anche a tale proposito il mediometraggio Giovanna mette in scena quella che si rivelerà essere una vera e propria lezione di solidarietà ma anche di impegno politico impartita dalle mogli-operaie, e Giovanna in particolare, ai loro mariti che inizialmente cercano di dissuaderle dal loro intento per tornare a casa ad occuparsi di loro e dei figli; basti pensare a ciò che il marito di Giovanna le dice per impedirle di partecipare all’occupazione: « qualunque cosa succeda tu te ne torni a casa tua dove c’hai un bambino» e come nonostante ciò Giovanna decide di non obbedire e lottare.82 La figura su cui si punta moltissimo in questi anni, e a cui si attribuisce un valore simbolico di notevole importanza nel difficile binomio donne-guerra, resta quello della madre e della maternità. Quest’ultima viene vista ora come un fatto importante a livello sociale e non più riguardante solo il nucleo familiare. La mamma che è anche una lavoratrice oggi, mette al mondo colui o colei che sarà un lavoratore e un individuo che arricchirà la società in un domani.83 In particolare verso la fine della guerra, la figura della madre eroica che lotta e fa di tutto per i suoi figli crea una sorta di continuità uterina tra passato e futuro, tra il suo ruolo tradizionale e il ruolo che in aggiunta ha dovuto ricoprire quando mariti e figli maschi sono stati chiamati al fronte, sostituendoli nei loro posti di lavoro (fabbriche, campi ecc.) uscendo così dal suo ruolo, nel privato, di moglie e madre e venendo a contatto con l’ambiente pubblico e con la Resistenza. 82 83
MASSIMO GHIRELLI, Gillo Pontecorvo …, p. 38. Cfr. SANDRO BELLASSAI, La morale comunista …, p. 295.
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Attraverso quest’ultima molte donne hanno potuto sperimentare un diverso modo di vivere entrando in contatto con gli ambienti fino ad allora riservati ai soli uomini, e nell’ambito lavorativo come nella sfera pubblica la figura della madre avvalora gli schemi di genere più consolidati.84 Al termine della guerra i reduci tornati a casa trovarono una situazione ben diversa da quella che avevano lasciato. Le donne e le mogli erano entrate nelle fabbriche in politica e nei posti di lavoro di mariti e fratelli e una volta entrate in contatto con la sfera pubblica avevano preso coscienza di se e non volevano più essere relegate al solo ruolo domestico.85 Se per i comunisti è vero che la famiglia va protetta in quanto cardine dell’equilibrio e di un ordine morale e sociale, è altrettanto vero che in questi anni è una realtà il fatto che tra la famiglia e la società non può più esserci divisione. All’insegna di un “ordine nuovo” la famiglia comunista subisce un cambiamento non essendo più esclusivamente patriarcale, e ponendo ora al centro il rapporto coniugale. Infatti, nel corso del secolo tutte le famiglie, a seconda delle classi sociali e delle diverse culture, e con modi e ritmi differenti, subiscono questa trasformazione giungendo gradualmente a una parità tra i sessi e i ruoli pur mantenendo una distinzione.86 Già dal 1934 nel PCI di Togliatti si affronta il tema della questione femminile, ma solo nel dopoguerra, con l’allargamento del suffragio esteso a tutte
84
Cfr. LUCIA CARDONE, «Noi donne» e il cinema …, pp. 27-29. Cfr. GIOVANNI SABBATUCCI, VITTORIO VIDOTTO, Il mondo contemporaneo, dal 1848 a oggi, Roma, edizioni Laterza, 2004, pp. 290-291. 86 Cfr. SANDRO BELLASSAI, La morale comunista ..., pp. 148-156. 85
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le donne, dando finalmente loro la possibilità di eleggere e essere elette, che nel partito si diffonde l’idea di trovare il consenso delle donne.87 La rappresentazione comunista sui ruoli femminili offre, rispetto alla cultura più diffusa, diversi aspetti innovativi tra cui una ridefinizione dei rapporti di genere, in particolare riguardo al contatto tra pubblico e privato: questo aspetto viene promosso attraverso una sempre più decisa presa di posizione sulla partecipazione femminile alla vita sociale e alla politica. Viene finalmente riconosciuto che la donna ha diritto ad un’esistenza più dignitosa che non si esaurisce nei suoi ruoli tradizionali di moglie e madre. Una democratizzazione del paese, come affermano i comunisti negli anni del dopoguerra, deve quindi iniziare proprio all’interno di ogni nucleo familiare: ogni marito dovrebbe coinvolgere la propria moglie nelle questioni che vanno al di fuori del privato e le donne dovrebbero aspettarsi e pretendere che i loro mariti facciano la loro parte in casa e con i figli. Solo così si potrà cambiare la mentalità dell’uomo, ma anche di certe donne, e portare la società a migliorarsi e guardare ad un futuro di parità tra uomo e donna, ma non solo.88
87 88
Cfr. LUCIA CARDONE, «Noi donne» e il cinema …, pp. 35-36. Cfr. SANDRO BELLASSAI, La morale comunista ..., pp. 253 ss.
38
Conclusioni La costruzione di Giovanna mostra come un regista e uno sceneggiatore, entrambi di sesso maschile, siano riusciti a rendere così bene la situazione femminile e la lotta per migliorarsi sempre più senza sminuire, anzi caricando di significato e di intensità, la determinazione di queste donne, di allora come di oggi. Giovanna rappresenta una forma di lotta piuttosto comune in quegli anni: la ribellione avviene lavorando e mostrando il proprio valore. Gillo Pontecorvo e Franco Solinas, la troupe e tutte le attrici e attori che ne hanno fatto parte sono riusciti in questo, grazie a una strettissima collaborazione, nonostante il mediometraggio sia tutt’altro che privo di difetti: ma in soli trentasei minuti e circa cinque settimane di riprese il film mette in scena quella che è la realtà, la quotidianità e uno scorcio di vita vera. Nonostante gli anni del Neorealismo fossero già volti al termine, Giovanna ha tutta l’impronta di questo filone: per le caratteristiche filmiche quali illuminazione, ambientazione, l’utilizzo del bianco e nero, la tipologia di inquadrature, ma anche e soprattutto per la storia, tipica del Neorealismo, che mette in scena i problemi quotidiani e la realtà della gente comune senza addolcirla. Giovanna rappresenta al meglio la realtà industriale di quegli anni, poiché è uno dei pochi film in cui la vita all’interno della fabbrica è interamente protagonista e rappresentata; inoltre mette in scena la situazione delle donne nell’ambito lavorativo, ambito nel quale ancora oggi, purtroppo, esistono discriminazioni e differenti trattamenti di genere.
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Nel 1956 anno in cui Giovanna è stato girato, le donne già da poco più di dieci anni avevano ottenuto il tanto atteso diritto di voto (rispettivamente il 1945 per l’elettorato attivo e il 1946 per quello passivo) passo avanti che ha dato il via a un lungo cammino che vede sempre più donne imporre con forza e determinazione la propria presenza soprattutto in quegli ambiti dai quali erano sempre state tenute lontane, tra cui la partecipazione politica che nel film fa da protagonista. Ciò che intendevo chiarire e spiegare al meglio in quest’occasione, anche se il discorso sarebbe ben più lungo e complesso, è il percorso femminile in relazione all’ambito pubblico e alla politica nel secondo dopoguerrae come Giovanna, il mediometraggio in generale e la figura della protagonista in particolare, renda al meglio l’idea di questo progresso, della forza che deriva dall’essere unite e lottare tutte per un unico scopo: non soccombere e non arrendersi.
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Appendice Scheda film Giovanna 1956 Italia, durata 36’, b/n, 35 mm _____________________________________________________________ Regista
Gillo Pontecorvo
Soggetto e sceneggiatura
Gillo Pontecorvo e Franco Solinas
Aiuto regista
Franco Giraldi e Mario Caiano
Fotografia
Enrico Menczer
Operatore
Gino Conversi
Musica
Mario Zafred
Direttore della produzione
Giuliano Montaldo
Organizzazione generale
Giuliani De Negri
Fonico
Mario Sisti
Montaggio
Enzo Alfonsi
Costumista
Elena Mannini
Produzione
Tirrenica Film
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Gli autori e la loro provenienza Gillo Pontecorvo Nasce a Pisa il 19 novembre 1919 e muore a Roma il 12 ottobre 2006. Quinto di otto fratelli, tra cui il celebre fisico Bruno Pontecorvo, e cresciuto in una famiglia ebraica benestante, Gillo Pontecorvo, all’età di diciassette anni, si iscrive alla facoltà di Chimica dell’università di Pisa. Dopo tre anni – siamo alla vigilia della seconda guerra mondiale – Pontecorvo abbandona l’università e entra in una scuola di giornalismo a Parigi dove conosce, tra gli altri, artisti del calibro di Pablo Picasso, Igor Stravinskij e Jean - Paul Sartre e effettua le sue prime esperienze nel cinema, collaborando come assistente di Yves Allégret.89 Il piacere di conoscere è la molla che spingerà Pontecorvo a studiare, a documentarsi, ad approfondire più di quanto faccia normalmente un autore di cinema. Entra a contatto con gli ambienti della Resistenza italiana e nel 1941 si iscrive al Pci, per il quale compie varie missioni clandestine in Italia portando di nascosto materiali di propaganda in valigette a doppio fondo.90 Durante la guerra partigiana, lavora al fianco di Eugenio Curiel a Milano con il quale fonda il Fronte della gioventù: il suo nome di battaglia è Barnaba. In seguito all’assassinio di Curiel, si trasferisce a Torino, dove diventa comandante di una brigata partigiana e responsabile politico del Pci per il Piemonte.91
89
Cfr. S. Borelli (a cura di) Primo piano sull’autore …, pp. 15 ss. Cfr. IRENE BIGNARDI, Memorie estorte a uno smemorato: vita di Gillo Pontecorvo, Milano, editore Feltrinelli, 2009, pp. 36 ss. 91 MASSIMO GHIRELLI, Gillo Pontecorvo, Firenze, La Nuova Italia, 1978. 90
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Verso la fine del 1942 si dedica, a Milano, alla riorganizzazione del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile comunista, e ci rimane finché i nazisti, scoperto un loro deposito di armi, trovarono una tessera con una sua foto92 Pontecorvo intraprende il lavoro giornalistico nel dopoguerra: dopo l’Havas (l’agenzia nazionale che ora si chiama «France Presse»), sarà corrispondente, sempre a Parigi, prima della «Repubblica» e poi di «Paese Sera», per un breve periodo. Inoltre nel dopoguerra interpreta un operaio che viene fucilato nel film di Aldo Vergano, Il sole sorge ancora (1946), opera finanziata dall’ANPI. Nel 1948 sostituisce Alfonso Gatto alla direzione del quindicinale comunista «Pattuglia», destinato ai giovani. Nel 1949 torna a Parigi per lavorare alla Federazione Mondiale della Gioventù ed entra in contatto con gli ambienti cinematografici francesi, collaborando come aiuto regista con Yves Allégret e Joris Ivens. Facendo la spola tra Francia e Italia, nel 1953, realizza il suo primo documentario, Missione Timiriazev, sulla solidarietà portata dai sovietici agli alluvionati del Polesine. Seguiranno altri documentari come Porta Portese nel 1954, Cani dietro le sbarre, la cui colonna sonora è prevalentemente costruita dai cani che abbaiano, sempre nello stesso anno, Festa a Castelluccio e Uomini del marmo nel 1955 e altri. Nel 1956 realizzerà il suo primo film narrativo, il mediometraggio Giovanna che è al centro di questo lavoro e del quale si è già ampiamente parlato, che darà inizio a un lungo sodalizio (che proseguirà ininterrottamente fino a Ogro, 1979, film che vede al fianco di Pontecorvo, nella sceneggiatura, non più Solinas ma,
92
Cfr. S. Borelli (a cura di), Primo piano sull’autore …, pp. 22-23.
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Giorgio Arlorio e Ugo Pirro) con lo sceneggiatore Franco Solinas il quale, da quanto dichiara lo stesso Pontecorvo, gli ha insegnato l’ABC del cinema di fiction.93 Il successo ottenuto dal mediometraggio darà la possibilità a Gillo di dedicarsi, nel 1957, al suo primo lungometraggio, La grande strada azzurra, tratto dal romanzo Squarciò di Franco Solinas che racconta le vicende di un pescatore di frodo: i protagonisti sono Yves Montald, Alida Valli e Terence Hill, non in linea con i gusti stilistici di Pontecorvo, gli attori sono professioni e non gente presa dalla strada: ciò accadde non per sua scelta, ma per una decisione della produzione a cui dovette cedere. Con questo film Pontecorvo si aggiudica un premio al Festival di Karlovy Vary.94 Nel 1960 è la volta di Kapò, un dramma ambientato nei campi di sterminio nazisti, che racconta la storia di Edith, una giovane deportata ebrea, che perduta la famiglia, viene istruita da un medico francese sul come sopravvivere nel campo di prigionia che la aiuterà facendola passare per una detenuta comune. Nel 1966 segue La battaglia di Algeri, la sua opera più nota, con la quale vince il Leone d’Oro a Venezia, due candidature all’Oscar (miglior regia e miglior film straniero) e nel 1967 il Nastro d’Argento: in questo film molto efficace è la colonna sonora, firmata, a due mani, dal regista e Ennio Morricone; colonna sonora che segue bene il ritmo del film dando la giusta armonia tra musica e azione, nonché l’ampia costruzione corale.
93 94
Cfr. A. Medici (a cura di) Giovanna di Gillo Pontecorvo …, pp. 27 ss. J. Baldeschi (a cura di), Il cinema di Gillo Pontecorvo …, p. 45.
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Segue Queimada (Burn, baby, burn), nel 1969, interpretato da Marlon Brando, in cui sono descritte le sopraffazioni del colonialismo e la rivolta dei popoli oppressi in un paese del Sud America.95 Nel 1979 gira Ogro (nome in codice dell’operazione cui di riferisce), film che non vede più Solinas al fianco di Pontecorvo e che segnerà la fine della collaborazione lavorativa dei due: il film racconta dell’attentato a Luis Carrero Blanco da parte dell’Eta, nel 1973, in cui emerge uno straordinario Gian Maria Volontè.96 Nel 1986 Pontecorvo dà vita al Premio Solinas, in onore all’amico e collaboratore, dedicato ai giovani sceneggiatori.97 Nel 1992 riprenderà il tema del colonialismo con il documentario Ritorno ad Algeri, in cui analizza le mutate condizioni della città venticinque anni dopo il film. Dal 1992 al 1996 è direttore della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ed è uno dei promotori, durante la Cinquantesima edizione nel 1993, della Assise Internazionale degli Autori e della nascita dell’Unione Mondiale degli Autori. Dal 1996 al 1999 è invece presidente di Cinecittà Holding.98 Nel 2001 partecipa alla regia collettiva del film Un altro mondo possibile, sul G8 di Genova e l’anno seguente a quella del documentario sul Social Forum Europeo di Firenze, Firenze, il nostro domani. Nel 2005 gira insieme al figlio Marco Pontecorvo il film istituzionale dell’INPS: suo ultimo impegno sul set.
95
Cfr. MASSIMO GHIRELLI, Gillo Pontecorvo …, pp. 43 ss. Cfr. Ibidem, pp. 43 ss. 97 Cfr. J. Baldeschi (a cura di), Il cinema di Gillo Pontecorvo …, p.14. 98 Cfr. S. Borelli (a cura di), Primo piano sull’autore …, p. 125. 96
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La filmografia di Gillo Pontecorvo è senz’altro ridotta, e ciò a causa della sua insicurezza e dei tanti dubbi che lo hanno portato spesso a rinunciare a film importanti. Come lui stesso ha dichiarato: Ho girato sei lungometraggi e solo quando mi piaceva l’idea, la storia e il contesto[…] Creare un film non è come andare in ufficio: quando emerge questo desiderio, quando un regista sente questa voglia, diventa un piacere grandissimo. 99 Tra i progetti più importanti non andati in porto ce n’è uno sul sindacalismo nella Fiat, sempre a due mani con Franco Solinas, dedicato alla cosiddetta “sezione confino”, uno sul tempo in cui visse Gesù e sulla speranza del popolo ebraico di un regno di Dio sulla terra, subito dopo Ogro.
100
Inoltre nel 1976 Pontecorvo, sarebbe dovuto essere il regista del film Mr. Klein, da un’idea di Franco Solinas, ma dopo mesi di lavoro non furono trovati i soldi per produrlo. Quando Alain Delon lesse il copione e decise, non solo di fare il film, ma anche di produrlo, Pontecorvo non ritenendolo adatto al film rinunciò alla regia che andò a Joseph Losey.101
Franco Solinas Nasce a Cagliari nel 1927 e muore a Fregene nel 1982. Laureatosi in legge a Cagliari, prende parte alla Resistenza, prima in Sardegna e poi nel Lazio. Nel dopoguerra, stabilitosi a Roma, collabora con «l’Unità» e «Il Paese Sera» come critico cinematografico.102 Dopo aver pubblicato il romanzo Squarciò, vicenda di un pescatore di frodo da cui, come si è detto poco sopra, Pontecorvo trarrà la 99
J. Baldeschi (a cura di), Il cinema di Gillo Pontecorvo …, pp. 26-27. Cfr. Ibidem. 101 S. BORELLI, Primo piano sull’autore …, p.29. 102 Antonio Medici (a cura di), Giovanna di Gillo Pontecorvo …, p. 28. 100
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sceneggiatura de La grande strada azzurra del 1957, inizia a collaborare alla stesura di sceneggiature cinematografiche con Mario Monicelli e Steno, e lavora nella “bottega” di Age e Scarpelli. Con Gillo Pontecorvo, Solinas aveva già partecipato alla realizzazione di Giovanna nel 1956. Questo mediometraggio segna l’avvio di un sodalizio tra i due caratterizzato dal comune impegno sui temi di carattere politico e sociale: seguiranno infatti Kapò, nel 1960, in cui Pontecorvo e Solinas, partendo dal romanzo Se questo è un uomo di Primo Levi, raccontarono e fecero emergere in particolare il degrado a cui un essere umano può arrivare in certe condizioni; segue La battaglia di Algeri, nel 1966, e Queimada, nel 1969. Solinas collabora, tra gli altri, con Rossellini per Vanina Vanini, nel 1961, con Suso Cecchi D’Amico per Salvatore Giuliano, nel 1965, di Francesco Rosi, con Costa Gravas per L’amerikano, nel 1973, con Maselli ne Il sospetto, nel 1975, con Losey per Monsieur Klein, nel 1976. Dà la sua impronta anche alla variante politicizzata del western all’italiana, scrivendo la sceneggiatura di ¿Quien sabe?, nel 1967, di Damiano Damiani e di Tepepa … Viva la revoluciòn , nel 1968, di Giulio Petroni.103
103
Cfr. Ibidem.
47
Giuliani G. De Negri De Negri nasce a Genova nel 1924 e muore a Roma nel 1992. Conserva nel dopoguerra il suo nome di battaglia “Giuliani” poiché era stato comandante partigiano sulle montagne liguri. La sua attività di produttore cinematografico ha inizio con il film dedicato alla Resistenza, Achtung! Banditi!, nel 1951 di Carlo Lizzani. E’ l’inizio della carriera di un produttore anomalo, capace di suscitare idee ed energie, di favorire il lavoro di gruppo, di puntare alla riuscita artistica e comunicativa
dell’opera.
Con
la
Cooperativa
Spettatori
e
Produttori
Cinematografici, da lui istituita, produce, nel 1954, Cronache di poveri amanti, sempre di Lizzani. Nel 1956 collabora, all’organizzazione generale, con Gillo Pontecorvo, nel mediometraggio Giovanna. Decisivo è l’incontro nel 1962 con Paolo e Vittorio Taviani e Valentino Orsini. Con i Taviani è l’avvio di un sodalizio che durerà fino alla sua morte. De Negri produce anche i film di Giuliano Montaldo, come Una bella grinta, nel 1965, e di Orsini, come I dannati della terra nel 1969 e Figlio mio infinitamente caro del 1985.104
Giuliano Montaldo Nasce a Genova il 22 febbraio 1930. Dopo alcune esperienze come attore in Achtung! Banditi!, nel 1951, e anche in Cronache di poveri amanti, nel 1954, entrambi di Carlo Lizzani. Esordisce come regista con Tiro al piccione, nel 1961, un film controcorrente che cerca di analizzare criticamente il comportamento dei 104
Cfr. Ivi, p. 30.
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giovani fascisti della Repubblica di Salò a contatto con il mondo partigiano; prosegue con Una bella grinta, nel 1965, film che tratteggia il personaggio di un giovane arrivista nell’Italia del boom economico. Con Gott mit uns, nel 1970, che denuncia non solo i crimini nazisti, ma ogni militarismo e autoritarismo, inizia una fase in cui il suo cinema si orienta decisamente verso l’impegno politico e civile. Segue Sacco e Vanzetti, nel 1971, efficace ricostruzione sul piano drammatico e spettacolare della vicenda che vide ingiustamente condannati a morte i due anarchici italiani. Con L’Agnese va a morire, del 1976, tornò al tema della Resistenza, ma a partire dagli anni Ottanta, si dedica principalmente alla televisione, realizzando Circuito chiuso, nel 1978, e il kolossal Marco Polo, nel 1982, e sperimenta, nel 1985, l’alta definizione con uno speciale intitolato Arlecchino. Dal 2000 è presidente di Rai cinema e anche regista di opere liriche. Nel 2010 ha ricevuto il Premio Federico Fellini 8 ½ per l’eccellenza artistica al Bif&st di Bari.105
Mario Zafred Nasce a Trieste il 21 febbraio 1922 e muore a Roma il 22 maggio 1987. Trasferitosi a Roma nel 1949, collabora come critico musicale a “L’Unità” (19491956) e a “La Giustizia” (1956.1963). Compositore di indole tradizionalista, la sua produzione abbraccia quasi tutti i generi musicali (dai brani solistici all’opera lirica, dai concerti alle sinfonie), ed è caratterizzata da una forte incisività ritmica unita alla presenza di
105
Cfr. Ibidem.
49
intensi squarci meditativi; solo raramente si è servito di tecniche atonali e dodecafoniche, con molta circospezione, preferendo in genere muoversi entro ambiti meno avanzati, quali il modalismo o la politonalità.106 Nel 1956 vince il Premio Marzotto e nel 1959 il Premio Sibelius. Nel 1966 è direttore artistico del Teatro Verdi di Trieste mentre nel 1968 ricopre lo stesso incarico presso il Teatro dell’Opera di Roma. Nel campo del cinema offre il suo contributo a registi di rilievo come Lizzani, Pontecorvo, Zurlini, Maselli, Bolognini. Nel 1954 vince il nastro d’argento per la colonna musicale di Cronache di poveri amanti di Carlo Lizzani.
Enrico Menczer Nasce come Erik Menczer a Fiume, oggi Rijeka, l’8 maggio 1926 e muore a Roma il 10 marzo 2012. Dopo la Seconda guerra mondiale abbandona Fiume, insieme ai suoi genitori, e si trasferisce prima a Padova, poi a Genova e infine arriva a Roma nel 1951, dove segue la sua passione per il cinema e la fotografia.107 Inizia qui la sua attività di operatore alla macchina con il direttore Gianni Di Venanzo. Questa collaborazione dura fino al 1960 e risulta in film di Carlo Lizzani (Achtung! Banditi!, Cronache di poveri amanti), Mario Monicelli (I soliti ignoti), Michelangelo Antonioni (Le amiche, Il grido), Mario Camerini, Alberto Lattuada, Dino Risi, Francesco Maselli, Francesco Rosi, Aglauco Casadio e Federico Fellini.
106 107
Cfr. Ivi, 34. Ivi, 32.
50
Esordisce come direttore della fotografia nel mediometraggio Giovanna nel 1956 di Gillo Pontecorvo e poi nel lungometraggio Le pillole di Ercole, nel 1960, di Luciano Salce, per il quale dirigerĂ la fotografia anche nei film successivi. Lavora con i piĂš importanti registi italiani, da Carlo Lizzani, a Valentino Orsini e Paolo e Vittorio Taviani, da Giuliano Montaldo a Dino Risi, da Dario Argento a Marco Bellocchio108 e ancora con Vittorio De Sisti, Nino Manfredi, Giorgio Bontempi, Tinto Brass, Fulvio Wetzl e Pupi Avati. Nella sua lunga carriera, dirige la fotografia anche di molti serial prodotti dalla televisione pubblica e privata italiana, e dalla televisione pubblica americana (The Innocents Abroad, del 1983, da un libro di Mark Twain). Dal 1982 si dedica alla pittura e alla fotografia.
108
Cfr. Ibidem.
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Ringraziamenti
Un grazie particolare va alla mia Micci per avermi sempre spronata e incoraggiata e per esserci sempre e comunque: senza il tuo appoggio non ce l’avrei fatta. A Diego per avermi rimproverata quando sembrava che stessi per mollare ricordandomi come questo traguardo avrebbe portato al raggiungimento dei nostri sogni e progetti: un grazie a entrambi per aver continuato a credere che ce l’avrei potuta fare soprattutto quando io stessa non lo credevo. Un grazie non meno importante va a mia zia Michela e zio Simone perché grazie alla loro disponibilità ho potuto proseguire i miei studi che altrimenti sarebbero stati sicuramente più lunghi. A mia cugina Emanuela che anche se lontana mi è sempre vicina. Ti voglio bene. A Maria la mia coinquilina più pazza, ma anche una grande amica, perché insieme abbiamo condiviso le gioie e i dolori della nostra vita universitaria e anche e soprattutto i nostri manicaretti, più suoi che miei in realtà. E un grazie a mio padre che con il suo ricordo mi da la forza per affrontare la vita.
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