A.D. MDLXII
U N I VE RS I T À
D E G LI S TU DI D I S AS S A RI D IPARTIMENTO DI S TORIA , S CIENZE DELL ’U OMO E DELLA F ORMAZIONE (E X F ACOLTÀ DI L ETTERE E F ILOSOFIA ) ___________________________
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLE LETTERE E DELLA COMUNICAZIONE
IMMAGINI NARRATIVE E IMMAGINAZIONE: I CASI RODARI E PITZORNO
Relatore: PROF. MARCO MANOTTA
Tesi di Laurea di: ROBERTO P INNA
ANNO ACCADEMICO 2011/2012
Indice
Introduzione
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Capitolo I. Il concetto di immaginazione I.1 Filosofia ed immaginazione
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I.2 Immaginazione e sociologia
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I.3Immaginazione e arte
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Capitolo II. Scoprire e riscoprire la facoltĂ immaginativa II.1Gianni Rodari
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II.2 La logica immaginativa
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II.3Tecniche immaginative
46
II.4 Immaginazione e linguaggio
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II.5 Immaginare ed educare
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II.6 SocietĂ e pensiero creativo
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Capitolo III. Ideali, immaginazione e scrittura III.1 Bianca Pitzorno
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III.2 Immagini narrative e fantastiche
84
III.3 Lotta di classe e immaginazione
88
III.4 Il Femminismo
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III.5 Il Romanzo e la Fiaba
103
3
Conclusione
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Bibliografia
111
4
Introduzione Nella maggior parte dei dizionari a fianco del vocabolo immaginare si trovano due definizioni generiche, la prima indica la capacità di rappresentare alla mente qualcosa di reale sotto forma di immagine, la seconda indica il fantasticare. Delle due definizioni a mio avviso è quest’ultima che ha maggiore importanza all’interno della società moderna, per la maggior parte delle persone immaginare infatti significa usare la fantasia. Fantasticare di per sé indica rappresentare alla mente qualcosa di irreale o almeno impossibile. Lo scopo di questo lavoro è quello di ridare valore ad alcune sfumature
del concetto dell’immaginazione e di non relegarla al
campo del fantastico, poiché attraverso tale capacità noi prendiamo veramente possesso di quella che è la vita che ci circonda e di quelli che sono i vocaboli che ci appartengono o dovrebbero appartenerci. Rappresentare la realtà a se stessi significa essere attivi e critici, avere capacità di interagire pienamente con il mondo. Immaginare significa analizzare con la mente ciò che i sensi e l’esperienza hanno portato a nostra conoscenza. Fantasticare è un qualcosa che avviene in un secondo momento, solo dopo aver preso consapevolezza del reale ci si può concentrare sull’irreale. L’intenzione è quella di invitare a riflettere sugli aspetti più nascosti della capacità immaginativa senza però teorizzare esclusivamente anzi portando diversi esempi, come le immagini narrative della scrittrice sassarese Bianca Pitzorno. Il progetto si dividerà infatti in tre parti: la prima composta da un’introduttiva visione personale dell’immaginazione, che attraversa i campi della
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filosofia, della sociologia e dell’arte. Nella seconda parte si analizzerà quella che è una vera e propria costituzione della creazione immaginativa, ovvero la Grammatica della Fantasia di Gianni Rodari: vedremo attraverso l’opera del maestro di Omegna come riappropriarci della nostra facoltà immaginativa e quali esercizi utilizzare per riattivare il meccanismo creativo del nostro intelletto. Nell’ultima parte, come precedentemente accennato, si analizzerà il percorso artistico della scrittrice sassarese Bianca Pitzorno con particolare attenzione al ruolo sociale e educativo che l’autrice isolana attribuisce alla fantasia attraverso i suoi lavori. Si vuole, attraverso queste pagine, parlare di creatività, libertà d’espressione, anticonformismo e pensiero soggettivo; per farlo dobbiamo dapprima riappropriarci di quella parte del nostro ragionamento che cura la creatività personale e i collegamenti con l’esperienza, ovvero dobbiamo riparlare di immaginazione critica e produttiva e non esclusivamente di fantasia dilettevole. Il
mondo
odierno,
nonostante
le
incredibili
possibilità
comunicative che ci offre, rischia di omologare i nostri ragionamenti, influenzando, come vedremo, l’immaginario comune, il nostro linguaggio e le nostre aspettative. Ridare il giusto spazio al desiderio personale e alla nostra interiorità è il primo passo da compiere per giudicare il mondo attraverso i nostri occhi e la nostra immaginazione senza lasciarci influenzare, in maniere passiva, dal mondo delle comunicazioni di massa; usare la nostra immaginazione attraverso le nostre rappresentazioni senza limitarci a ricostruire ed imitare l’immaginario pubblicitario e i luoghi comuni. La fantasia da libro di fantascienza e la creatività artistica derivano entrambe dall’immaginazione, che a sua volta è una facoltà 6
della nostra mente; non dovremo fare distinzione e avere scale di giudizio, specie se basate su idee comuni riferite al mondo della commercializzazione, dovremo considerare come unico il nostro ragionamento e cercare di indirizzarlo sulle pulsioni personali e soggettive senza renderci passivi alla marea di messaggi con i quali interagiamo ogni giorno.
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Capitolo I Il concetto di immaginazione
I.1 Filosofia ed Immaginazione
Essendo l’immaginazione una facoltà del pensiero umano, capace, per definizione, di rappresentare al di là dell’esperienza sensoriale, da sempre occupa un ruolo rilevante all’interno del discorso filosofico ed influenza il sociale così come a sua volta è condizionata dalle epoche e dalle culture a cui fa riferimento. In base ai periodi storici, ed ai valori in essi insiti, l’immaginazione è stata considerata come una fonte di conoscenza o al contrario come un elemento fuorviante dal sapere. Partendo da alcuni dei più famosi filosofi greci in questa sezione cercheremo di ripercorrere le tappe principali che hanno modificato il concetto di capacità immaginativa sino ad arrivare alla considerazione attuale maggiormente considerata. Dai filosofi e dai pensatori degli albori della razionalità occidentale l’immagine era considerata come ingannevole, falsa e copia imperfetta della realtà sensoriale. La concezione del mondo era totalmente diversa da quella attuale, la natura e l’esperienza dei sensi erano sinonimo di verità assoluta, la realtà era dominata da una struttura logica, insita in discorsi divini o matematici, e le domande erano superiori ai mezzi per trovare una risposta. In questo quadro di pensiero la facoltà immaginativa aveva
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poca considerazione, non tanto intellettuale ma quanto conoscitiva, ed era relegata al dilettevole e etichettata come inaffidabile. Prima di andare avanti bisogna specificare che per gli antichi l’immaginazione non aveva esattamente lo stesso significato attribuito a tale termine dai dizionari in epoca moderna; il processo immaginativo si basava sulla mimesis ovvero sulla ripetizione, creare una copia dell’oggetto reale attraverso il ricordo sensoriale e la capacità di immaginare l’oggetto in questione. Non bisogna pensare che la reiterazione diminuisca la capacità creativa e dunque l’immaginazione, anzi l’esercizio degli antichi per paragonarsi con la conoscenza sensoriale potrebbe benissimo essere analizzato all’interno della Grammatica della fantasia di Rodari, vista la somiglianza con quelle tecniche immaginative che il maestro di Omegna descrive nel suo saggio e che più avanti verranno prese maggiormente in considerazione. L’utilizzo della mimesis serviva a conoscere meglio la realtà a prenderne pieno possesso, era il mezzo per indagare il cosmo e cercare di trovare l’ordine, la struttura dell’essere che, soprattutto per i pensatori greci, stava alla base della vita stessa. Per Platone l’immaginazione compone il primo gradino della conoscenza, quello a cui possono accingere tutti gli uomini, induce a pensieri semplici e esclusivamente legati al mondo delle Cose, non certo al mondo delle Idee al quale può arrivare solamente la logica filosofica. Le stesse immagini hanno all’interno della dottrina platonica un ruolo marginale, sono considerate come copie di copie, una sorta di sottogenere della realtà, lontane dalla verità dell’idea ma distanti persino dalle cose concrete, possiedono semplicemente una sorta di verosimiglianza superficiale del reale. Nei suoi dialoghi Platone usa le parole di Socrate per dire che l’immagine sta alla realtà 9
come la mutevole opinione sta alla conoscenza, e attraverso tale affermazione sembra non dare possibilità creativa e produttiva alla capacità immaginativa, ma in realtà leggendo in maniera più approfondita l’opera platonica possiamo trovare un chiarimento, molto attuale, sulla distinzione tra immagine creatrice e immagine ingannevole. Per Platone è la maniera in cui noi utilizziamo gli strumenti del pensiero a farci giungere alla conoscenza, il retto uso di tali processi mentali porta al sapere, e questo vale anche per la capacità immaginativa. Platone indica due tipi di immagini e allegoricamente anche due tipi di uomini; ci sono le immagini futili, lontane dal vero, che altro non sono se non quelle che derivano dall’imitazione, dalla copia del mondo delle Cose, e tali immagini appartengono, secondo il filosofo ateniese, persino agli artisti, ai pittori ai tragediografi e viene citato anche Omero tra coloro che si son lasciati ingannare dalla mutevolezza delle immagini. Per Platone infatti l’errore più grande che un uomo possa commettere è quello di adagiarsi, di evitare di agire, e le immagini sopra descritte sono proprio il principale invito a cullarsi nei falsi sogni e a fuggire dal vissuto, e dal dialogo soprattutto creando così un disaccordo, fatto di illusioni, sia con il mondo esterno che con il mondo interno. Ci sono però anche differenti tipi di immagine che sono scaturite dalla forza creatrice e non sono semplici copie ma vere e proprie idee scaturite dalla riflessione e dall’esperienza; tali immagini, che Platone associa al pensiero del filosofo, sono quelle che accompagnano gli uomini che si immergono nel dialogo e si lasciano trascinare dalla spinta generatrice del fare. Anche se attraverso tali concetti Platone vuole indicare la strada da seguire per separare il pensiero del filosofo dal pensiero comune, 10
possiamo
comunque
trovare
degli
inviti
a
vivere
e
all’anticonformismo comunque attuali. In un epoca mediatica come la nostra infatti sin dai primissimi anni di vita il mondo ci viene presentato attraverso una serie praticamente infinita di immagini spesso legate al mondo del commercio che influenzano pesantemente il nostro essere e il nostro valore di giudizio, dovremo dunque raccogliere l’invito di Platone e non lasciarci ingannare dalle finte immagini, che rappresentano non tanto il reale ma una vita sapientemente ricamata al fine della vendita, dovremo fuggire dall’immaginario comune per creare noi ex novo delle immagini creative capaci di far passare il nostro pensiero, evitando di ripeterci utilizzando immagini, idee e parole altrui. Per Aristotele l’immaginazione ha un ruolo importante nell’atto della conoscenza nonostante non la consideri come capacità di pensiero e di riflessione, ma come un prodotto della percezione sensibile. Sono gli oggetti e il mondo esterno che nell’interagire con noi creano all’interno del nostro corpo, dopo dunque l’esperienza sensoriale, un movimento immaginativo in grado di farci dare un’opinione o una raffigurazione anche quando il lavoro dei sensi cessa la sua attività. Aristotele descrive inoltre l’immaginazione come un moto perpetuo, incapace di arrestarsi, ed è proprio per questo continuo evolversi che spesso le immagini che raffiguriamo ci appaiono sfocate e di difficile interpretazione; per esemplificare tale affermazione il filosofo di Stagira usa la metafora del sasso nello stagno che, come vedremo e analizzeremo più avanti, sarà ripresa
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anche da Gianni Rodari per descrivere l’inizio del processo immaginativo.1 Va ricordato che per Aristotele l’aspetto più importante è quello scientifico, egli non crede nella conoscenza produttiva anzi considera il pensare un’azione che si subisce attraverso il contatto sensoriale con l’esterno, l’immaginazione dunque non sarà una facoltà ma una sorta di ponte tra il corpo e la mente. Tale collegamento sarà importante quando i sensi sono in contatto con l’oggetto raffigurato, mentre sarà più debole quando l’oggetto in questione è lontano, questo crea dunque delle immagini vivide e altre meno vivide, da queste ultime secondo Aristotele nascono le false opinioni e gli equivoci. Ad Aristotele per primo si deve la definizione di immaginazione come capacità rappresentativa, definizione che attraverserà la storia della filosofia antica e moderna sino a giungere al concetto comune tutt’ora in uso. Dopo queste prime pagine di introduzione pare che la prima filosofia, specie quella greca, metta in secondo piano l’immaginazione e si dissoci totalmente da quello che è il progetto di questo lavoro. In realtà bisogna ricordarsi come attraverso le epoche mutino i modi di vedere e i significati delle parole assumano o perdano delle sfumature di senso che condizionano il loro utilizzo e la loro importanza. Anche in Aristotele, così come già dimostrato con Platone, inoltre, nonostante la lontananza di espressione sul mondo immaginativo, si possono trovare degli spunti riflessivi utili ad argomentare il mio lavoro. Se riprendiamo infatti il concetto di immagini vivide e meno vivide ci accorgiamo che risulta estremamente attuale all’interno del discorso conoscitivo e immaginativo. Il mondo di Aristotele è 1
Tali informazioni sono estrapolate dal De Anima di Aristotele.
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estremamente basato sull’esperienza empirica e sulla scienza, le immagini scaturite dai sensi sono le più veritiere poiché derivano dall’ordine naturale, considerato come perfetto. Il mondo odierno è totalmente differente, la natura è più caotica, l’uomo ha posto se stesso al centro del suo pensiero a dispetto di un ordine cosmico ricercato dagli antichi pensatori, si crede nell’inconscio e il rapporto tra uomo e esterno è estremamente complicato tanto che non esiste una sola realtà ma esistiamo anche come esseri virtuali e ci confrontiamo quasi quotidianamente con concetti e perfino oggetti irreali. Possediamo una quantità illimitata di informazioni e di possibilità di interagire con il resto del mondo, ma proprio per questa marea di relazioni spesso conosciamo in maniera vaga e incompleta, siamo spesso impossibilitati o disinteressati ad apprendere a pieno ma spinti dai ritmi incalzanti della vita ci limitiamo ad un sapere superficiale. Le immagini sfocate, come direbbe, Aristotele sono quelle che fanno maggiormente parte del nostro pensiero, mentre utilizziamo sempre meno le immagini vivide, portatrici di chiari concetti. Più avanti parlando della Grammatica della Fantasia torneremo sull’argomento, per ora vorrei semplicemente chiarire come all’interno
della
conoscenza
e
di
conseguenza
anche
dell’immaginazione moderna ci siano degli elementi di vaghezza che infine portano alla poca chiarezza e all’indecisione nel descrivere lo stesso verbo immaginare. Inoltre con queste considerazioni vorrei trovare degli spunti riflessivi attuali e coerenti col mio discorso nonostante gli autori e le idee citate appaiano divergenti dal mio fine, poiché considero l’interpretazione la principale attività del leggere e del rapportarsi con degli scritti e non l’accondiscendenza, anche 13
questo argomento verrà specificato in maniera più esaustiva nell’ultima parte dedicata a Bianca Pitzorno. Andando avanti con il discorso del concetto immaginativo all’interno della filosofia, un cambiamento di significato sulle idee platoniche ed aristoteliche avviene grazie al pensiero rinascimentale. Con il Rinascimento la concezione dell’ordine naturale cambia, la natura stessa non è più al centro dell’indagine, ma sono l’uomo e le sue facoltà che ora ricoprono il ruolo primario della ricerca, la mente umana rappresenta in questo momento storico, al contrario che nel passato, l’ordine e la logica attraverso le quali ricostruire il disordine cosmico. Questo porre al centro dell’interesse le capacità umane permette all’immaginazione di essere rivalutata, di essere considerata come fonte di conoscenza, ma allo stesso tempo la allontana dalla relazione con i sensi e di conseguenza dai legami con la realtà ponendo le basi per il lento declino nella considerazione comune della facoltà immaginativa, relegandola nel tempo al campo dell’irreale e dell’impossibile, al suo utilizzo nelle storie per bambini piuttosto che negli scritti per adulti, allontanando l’immaginazione dalla sua capacità critica. Un
ruolo
importante
nella
riscoperta
della
parola
“immaginazione” e delle sue facoltà derivate ebbe in seguito il filosofo di Nola Giordano Bruno, che influenzò con i suoi scritti anche il movimento illuministico. Per Bruno l’immaginazione è la facoltà prima che porta l’uomo ad avere voglia di conoscere, è il motore della ricerca del sapere, insieme alla memoria e all’intelletto forma delle immagini date dall’esperienza personale che ci permettono di descrivere e collegare la realtà che ci circonda e di conseguenza ad apprenderla. Bruno rivede e unisce tra loro le idee di Platone e di 14
Aristotele sulla capacità immaginativa, le immagini possiedono ora l’abilità di mediazione sia con il mondo sensibile sia con il mondo delle idee, contribuiscono ad una conoscenza universale, ogni immagine ci porta ad indagare, domandare, argomentare e ci rimanda ad un’altra immagine interna alla nostra esperienza personale, accresce il nostro sapere e al tempo stesso è influenzata dal nostro io in base agli accostamenti che maggiormente predisponiamo. Per Giordano Bruno l’uomo sin dai primissimi anni della sua storia ha cercato di accelerare ed aumentare la propria conoscenza del mondo attraverso l’immaginazione, che ha inizialmente sviluppato attraverso la magia e i suoi riti. L’immaginazione non si è spinta esclusivamente nel dare risposte alla realtà, a ciò che i sensi portavano ad interagire con il nostro intelletto, ma a sua volta attraverso la personificazione, l’animismo e la creazione dell’irreale ha reso possibile la nascita di concetti come la religione, la società e in parte anche la letteratura. L’immaginazione, così come l’intelletto umano, si basa soprattutto su regole fisse e su immagini ricorrenti che facilitano l’apprendimento e l’utilizzo, questo è successo nella prima letteratura orale, nei riti magici delle prime religioni e succede tutt’ora nell’uso del linguaggio. Per Bruno dunque l’apprendimento di alcuni concetti avviene per caduta dal mondo del fantastico, dell’irreale a quello del reale passando per il processo immaginativo, la stessa procedura che più avanti analizzeremo con Rodari, parlando di fiabe e giocattoli per i più piccoli. Le teorie di Bruno rivoluzionarono, all’interno della sua epoca, l’importanza della parola “immaginare” portandola, in parte, allo stesso livello della conoscenza sensoriale. L’idee del filosofo di Nola 15
allo stesso tempo crearono un forte intreccio tra percezione, immaginario, concetti reali e irreali, che se da una parte portarono allo sviluppo dello studio più approfondito dell’intelletto umano, del suo ragionamento e del suo inconscio, dall’altra sancirono il definitivo allontanamento dell’immaginazione dal concreto e garantirono uno sviluppo della concezione di immaginazione come sinonimo di fantasia e di creatività irreale. All’interno del pensiero del filosofo Cartesio si vede bene questo unirsi della facoltà percettiva legata ai sensi e della facoltà immaginativa. Per il filosofo francese la conoscenza umana è basata sul ricordo di ciò che abbiamo vissuto o immaginato; la difficoltà sta nel distinguere i due momenti conoscitivi, tanto che la stessa vita umana viene paragonata da Cartesio al delirio di un folle. Essendo il sapere
legato,
in
parte,
ad
una
capacità
soggettiva
come
l’immaginazione, la stessa realtà delle cose e il concetto di reale e veritiero sono arbitrari e vanno modificandosi da persona a persona. Questo concetto cartesiano da una parte esalta e rende libera l’immaginazione e la creazione personale ma dall’altra avvicina, in maniera troppo marcata, l’esperienza immaginativa al sogno.2 Con l’Empirismo e soprattutto con il pensiero del filosofo inglese Francesco Bacone si interrompe, forse definitivamente, il tentativo di riavvicinamento tra immaginazione e conoscenza iniziato da Giordano Bruno. Le teorie di Bacone attente all’esperienza sensoriale affermano che l’immaginazione possiede la capacità di creare dei collegamenti tra oggetti e persone lontani e di creare in questo modo un apparente ordine di senso ai nostri ragionamenti, in realtà però, sempre secondo Bacone, la maggior parte degli accostamenti effettuati dalla facoltà 2
P. SPINICCI, Lezioni sul concetto di immaginazione, Milano, CUEM, 2009, pp. 27-28.
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immaginativa sono delle forzature e delle unioni illegali ai fini della pura conoscenza. Bacone distingue tra idee e gusti, questi ultimi sono personali e sono dei metri di giudizio, non descrivono esattamente la realtà ma si limitano a segnalarci ciò che le persone immaginano piuttosto che ciò che comprendono. Le idee al contrario descrivono in maniera razionale e, nonostante non attirino tutti e spesso siano distanti dal pensiero comune, non possono che essere condivise per logica. Da questi concetti si pongono le basi per la messa in cattiva luce dell’immaginario sociale soprattutto con fini politici e di supremazia di classe, non di certo per volontà di Bacone ma per le letture fatte da altri delle sue teorie. Dopo queste considerazioni l’immaginazione perde il suo ruolo di fonte di conoscenza e viene avvicinata, soprattutto nel periodo delle estetiche barocche, alla creatività e all’ingegno specie poetico e artistico
più
in
generale.
Da
questo
momento
il
termine
immaginazione assume una biforcazione di significato con sfumature che in qualche modo vengono riconosciute ancora oggi; da una parte troviamo l’immaginazione proprietà esclusiva degli artisti, capace di generare opere d’arte e creare una sorta di élite e di divisione sociale ˗ questo allontanamento dalle persone comuni della facoltà immaginativa si avrà soprattutto nel periodo del Romanticismo ˗ dall’altra troviamo l’immaginazione intesa come fantasia capace esclusivamente di ricreare storie affascinanti e d’intrattenimento o piccoli racconti di avventura e formazione da dedicare alla letteratura per ragazzi. Le idee empiriche sull’immaginazione vengono in parte contraddette e rivoluzionate dalla filosofia di Jean-Paul Sartre che 17
modificherà per l’ennesima volta all’interno della storia umana il significato della parola immagine e che porterà allo sviluppo dello studio psicologico sulle immagini create dalla nostra mente. Per Sartre Cartesio e lo stesso Bacone sbagliavano nel considerare l’immagine rappresentante un oggetto come un oggetto stesso, ossia come un possibile contenuto della coscienza sensoriale. Egli scinde la coscienza tra contenuti, derivati dal reale, e atti, derivati dal ragionamento umano: l’immaginazione è un atto di coscienza e rappresenta la sintesi perfetta del dualismo tra essere e pensiero che sta alla base delle riflessioni umane. L’immaginazione ci permette di prendere possesso dell’oggetto immaginato, il discorso si complica quando l’uomo cerca di spiegarsi attraverso l’immaginazione dei concetti non presenti in realtà come la religione o l’aldilà, in questo modo l’uomo tende a razionalizzare e a rappresentare il trascendentale, il risultato sarà un fallimento, un tentativo di raffigurazione del nulla. L’immaginazione per Sartre è comunque sinonimo di libertà, perché permette di andare oltre il significato prettamente sensoriale delle cose. Il pensiero di Sarte non ebbe un rifacimento così forte in letteratura ed in arte come ebbe il discorso immaginativo di Bacone ai tempi del Barocco, per questo nonostante la filosofia di Sarte influenzò in maniera importante la psicologia e la sociologia non riuscii a cambiare la concezione del termine immaginazione che ormai si era formato all’interno del pensiero comune. Nel corso del Novecento le teorie di Sartre avranno particolare riscontro all’interno del pensiero di Gaston Bachelard, che abbandonerà l’interesse per la facoltà immaginativa in senso teorico per interessarsi in maniera più ampia ai miti, le immagini e i sogni che 18
da essa scaturiscono3. Da queste analisi nasceranno dei veri e propri luoghi psicologici dove regna l’immaginario, capace di riprodurre persino noi stessi e i nostri aspetti, focalizzandosi su ciò che vorremmo essere, sulle delusioni che nascono nello scontro tra la realtà, il nostro vero essere e il nostro desiderio, il nostro essere in potenziale; questo, come vedremo più avanti porta alla nascita della psicanalisi e allo sfruttamento da parte del mercato di alcune immagini capaci di ricreare dei simboli e degli status con valenza sociale. Come possiamo notare da questo breve quadro filosofico l’immaginazione e la sua espressione hanno avuto diversi significati lungo tutto l’arco della storia: quando essa aveva meno rilevanza conoscitiva godeva comunque di grande considerazione e si dibatteva su di essa, al contrario nel momento in cui si è rivalutato il verbo immaginare si è finito per relegare tale capacità della mente al semplice ruolo di gioco fantasioso e dilettevole o di limitarla in senso creativo ai soli artisti. Tutti questi concetti hanno reso così ampia e di difficile definizione la parola immaginazione che tutt’oggi essa è ricoperta da un velo di vaghezza che spesso ne limita la considerazione educativa e conoscitiva. Per concludere possiamo citare William Blake quando dice che immaginare significa vedere attraverso gli occhi e non con essi, comprendere il mondo e descriverlo a se stessi in maniera razionale senza l’illusione sensoriale, senza il pregiudizio altrui ma in maniera libera e soggettiva unicamente ascoltando il proprio io4.
3
Tali teorie verranno maggiormente all’immaginazione e alla sociologia.
analizzate
all’interno
della
sezione
dedicata
4
Per gli artisti e le opere citate in questa sezione si è fatto riferimento ai 3 tomi intitolati I filosofi e le idee editi dall’Edizioni scolastiche Bruno Mondadori.
19
I.2 Immaginazione e sociologia
Dagli studi di Sartre e di Bachelard citati nelle pagine precedenti nasceranno diverse ricerche sull’immaginazione e sul ruolo di tale capacità all’interno della società e delle diverse culture umane. Nascerà l’interesse verso un’immaginazione personale legata al modo di vedere noi stessi e di rappresentarci e un’immaginazione collettiva fatta di miti e simboli comuni all’interno di una stessa società. Bachelard rilancia l’immaginazione attraverso l’esperienza estetica, che per lui è persino più educatrice dell’esperienza sensoriale: un’immagine poetica infatti, pure se in un primo momento può sembrare lontanissima dal concreto, può essere perfettamente percepita attraverso la volontà umana di vivere e apprendere tale rappresentazione. Inoltre il filosofo francese ci ricorda che la maggior parte delle immagini che noi rappresentiamo alla nostra mente derivano dagli elementi naturali acqua, fuoco, aria e terra e perciò non possono essere considerate come del tutto irreali; tale fusione tra immagini poetiche e immagini sensoriali avviene poiché la mente umana è solo una e non può essere considerata, come al contrario più volte ha fatto la filosofia del passato, come un insieme di differenti proprietà di ragionamento, l’uomo conosce e immagina allo stesso tempo. Bachelard, ispirandosi a Freud, suddivide l’immaginazione in due momenti, la fase diurna e la fase notturna, la prima altro non è che il prolungamento della seconda, che può essere chiamata anche sogno e ci porta a scoprire il mondo dell’inconscio. L’immaginazione quando è guidata esclusivamente dall’inconscio cade nell’irreale, che il 20
pensatore francese considera come una dimensione spirituale in cui la volontà umana rischia di abbandonarsi5. Per Bachelard comunque l’attività immaginativa deve sempre essere guidata dal linguaggio, dal simbolo e dalla coscienza per evitare una perdita diseducativa e per evitare che l’uomo si lasci trasportare esclusivamente dalle pulsioni inconsce. Per capire cosa si intende con il termine pulsioni inconsce dobbiamo riportare alcune teorie del padre fondatore della psicanalisi Sigmund Freud. Secondo il pensatore austriaco le forze immaginative si distinguono in due rami, da una parte troviamo le pulsioni immaginative primarie e dall’altra le pulsioni immaginative secondarie. Le prime sono caratterizzate da quelle rappresentazioni che danno ascolto al nostro inconscio e portano generalmente a immagini sessuali o aggressive, sono la raffigurazione dei nostri desideri elementari e corporei, riflettono quel pensiero primario che Freud considera infantile e immaturo e solo gli artisti e gli scrittori sono in grado di farne un utilizzo socialmente adeguato. Le seconde sono le dirette rappresentazioni dell’Io razionale e logico che tenta attraverso tali immagini di diminuire i richiami dell’inconscio e di sopprimere le pulsioni sessuali e aggressive; questo tipo di immaginazione aiuta l’uomo nel suo ruolo all’interno di una società, al
contrario
l’immaginazione
dettata
dall’inconscio
mina
la
permanenza di un individuo all’interno di un contesto sociale poiché lo spinge ad ignorare la libertà altrui e quelle regole o valori di comportamento comuni. Per concludere con il pensiero di Bachelard dobbiamo vedere le sue ipotesi ultime che creano un vero e proprio spazio dell’inconscio e 5
Questo tema influenzerà la poetica Surrealista.
21
dell’immaginazione. Il filosofo francese distingue due tipi di immagini, quelle materiali e quelle immaginate. Le prime indicano un’interazione dell’uomo con la natura e coniugano la funzione immaginativa all’apprendimento, le seconde nascono esclusivamente dalla riflessione umana, sono la base della creatività poetica ma anche dell’intuizione quotidiana, riflettono il nostro carattere, i nostri progetti e desideri, le nostre paure, sono il nostro modo di autogiudicarci e allo stesso tempo ipotizzano la maniera in cui gli altri ci giudicheranno. Attraverso lo studio di tali immagini possiamo risalire a dei traumi repressi, così come Freud faceva mediante la rivisitazione dei sogni. Per Bachelard le immagini immaginate con le loro pulsioni più intime rischiano di distrarre il pensiero umano e di attirarlo a vivere esclusivamente nello spazio dell’irrealtà, senza dare ascolto alle immagini materiali, tale abbandono al surreale può creare dei disturbi psicologici e inoltre soffocare il rapporto con il mondo esterno. Partendo dall’analisi dell’immaginazione su basi naturali, per esempio gli elementi citati in precedenza, Bachelard arriva inoltre a dichiarare che l’immaginazione, pur se strettamente soggettiva, così come il pensiero e la cultura è condizionata dai fattori ambientali e climatici e pur se aiuta a formare un pensiero sociale è influenzata a sua volta da tale ideale comune. Per concludere possiamo affermare che per il pensatore francese l’immaginazione sia qualcosa a metà strada tra una dimensione psichica e una fisica, è una facoltà creatrice e non solo riproduttrice che ci permette di superare la realtà percepita e di riflettere oltre il materiale.
22
Da
questo
momento
in
poi
l’immaginazione
non
sarà
esclusivamente motivo di analisi e di riflessione filosofica ma sarà anche fonte di ricerca, così come testimoniano i centri di studi sulla materia siti, per esempio, a Grenoble o a Parigi che si occupano della facoltà immaginativa e del suo rapporto con la psicoanalisi, con la creatività, con la sociologia e con il quotidiano. Come abbiamo visto sin qui l’immaginazione è influenzata dalla nostra esperienza personale e da fattori esterni come la cultura a cui apparteniamo, ai fattori ambientali, educativi e sociali all’interno dei quali cresciamo, allo stesso tempo però abbiamo detto che l’immaginazione come capacità dell’intelletto può creare, progettare e rappresentare in maniera oggettiva e veritiera. Partendo da questa seconda considerazione il sociologo statunitense Charles Wright Mills portò tale capacità umana all’interno della riflessione sociale e parlò di immaginazione sociologica. Con questo termine egli intendeva descrivere un particolare atteggiamento mentale che consiste nella possibilità di collegare le esperienze personali con le relazioni sociali in maniera lucida e oggettiva; Mills proponeva tale attitudine a tutti coloro che volessero intraprendere la carriera sociologica ma noi possiamo estendere il campo a tutti gli esseri umani, in maniera da possedere un metro di giudizio obiettivo, una maggiore capacità critica, una conoscenza più cosciente e una veritiera considerazione di noi stessi. Si potrebbe andare avanti all’infinito nel citare studiosi e pensatori che hanno scritto dell’immaginazione, delle sue capacità, dei suoi mezzi e dei suoi legami con l’io e con l’esterno ma lo scopo di questo progetto non è di ricreare un saggio sull’immaginazione quanto piuttosto di trovare i suoi legami col quotidiano e con la creatività che 23
spesso negli ultimi tempi si sono persi o vengono considerati come minori, per questo motivo ora sposterò il punto del discorso dall’immaginazione all’immaginario, per analizzare i miti e i pensieri comuni che nascono dall’immaginazione e che sono considerati come validi all’interno di una determinata società. D'altronde la stessa filosofia da Freud in poi ha smesso di interrogarsi in maniera approfondita nel tentativo di dare una spiegazione esaustiva della facoltà immaginativa, concentrandosi piuttosto sui simboli e sul significato che le immagini da noi create avevano insiti. Tale cambio d’interesse rispecchia lo spostamento reale di concezione dell’uomo dal mondo passato al moderno, da individuo a società di massa. Nella filosofia delle origini l’uomo altro non era che un piccolo anello del sistema naturale e lo scopo principale del filosofo era quello di trovare la spiegazione di tale ordine cosmico, con la fine del Medioevo e l’inizio del Rinascimento l’uomo ha posto se stesso al centro della propria analisi, prendendo in considerazione la relazione con il mondo e con gli altri essere umani, ma già dalla fine del XIX secolo l’uomo non poté più considerarsi come un individuo e mutò la considerazione di se stesso arrivando a descriversi come un elemento all’interno di una comunità, col tempo si iniziò a parlare di società di massa sino ad arrivare ai giorni nostri dove nonostante la differenze culturali e un ideale comune fortemente occidentalizzato con la parola uomo spesso intendiamo e descriviamo tutto il genere umano. L’immaginazione spesso ci aiuta a prevedere al di là delle informazioni portateci dai sensi, sia nei ragionamenti più semplici, per esempio quando immaginiamo il continuo di un luogo dietro un angolo che non ci permette la visuale, sia nei ragionamenti più complessi, quando per esempio ci porta ad immaginare le azioni e le 24
reazioni di una persona in base alle conoscenze caratteriali che possediamo
della
stessa.
Nonostante
la
continua
creatività
dell’immaginazione tale capacità dell’ipotesi, se non prevede fini artistici o riflessivi, è fortemente standardizzata e si basa sulla ripetizione delle immagini più comuni nella nostra esperienza, per esempio se consideriamo una persona molto orgogliosa immaginiamo la sua profonda delusione in seguito ad una sconfitta personale. Col tempo e con la continua stratificazione sociale all’interno delle comunità tale immaginazione ipotetica è diventata una forma di pregiudizio nei confronti delle persone dei loro usi e dei loro atteggiamenti. Ovviamente perché tale pregiudizio sia riconosciuto una società deve avere dei valori e degli ideali comuni e condivisi dalla maggioranza dei facenti parte a tale comunità sociale. Con il termine immaginario collettivo nella sociologia e nella filosofia classica si intendeva solitamente quell’insieme di archetipi, di simboli, di esperienze storiche e di tradizioni facenti parte di una determinata cultura che si tramandavano per via educativa spesso in maniera quasi involontaria tra le diverse generazioni. Nel mondo attuale però il carico d’informazioni che riceve una persona lungo l’arco della propria vita è talmente ampio che spesso i suoi valori e i suoi metri di giudizio non derivano, o per lo meno non interamente, dalle tradizioni e dall’educazione familiare, spesso sono i mezzi mediatici a trasmettere delle scale di giudizio e delle considerazioni che involontariamente o meno finiamo per fare anche nostre6. Nel mondo occidentale la nascita di una società di massa basata principalmente sul consumo richiede per il proprio sostentamento lo sfruttamento dei mezzi mass mediatici che portano come conseguenza 6
Tesi tratte dal libro I social Network di Giuseppe Riva.
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a un modo di pensare e di immaginare standardizzato e collettivo. Si crea un metodo immaginativo, linguistico e di pensiero basato sui luoghi comuni, non generato dalla nostra esperienza personale ma dall’apprendimento di pensieri altrui attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie, che mai come in questo periodo accompagnano la nostra crescita e più in generale la nostra vita7. L’immaginario collettivo del passato era spesso legato al mito ed era una forma per descrivere quello che veniva considerato come lo spirito del tempo ovvero il riassunto dei modi e degli usi in voga all’epoca, era l’uomo che forgiava tali miti in base al contesto storico e culturale all’interno del quale si trovava, al contrario l’immaginario collettivo odierno è
interamente prefabbricato dalle aziende
dell’informazione e del commercio, l’intento non è quello di riassumere l’uomo di oggi ma quello di formare consumatori e pensatori in linea con il progetto di vita capitalistica. Da queste ultime considerazioni nasce un ulteriore problematica che
riguarda
le
nuove
tecnologie
e
il
loro
rapporto
costruttivo˗distruttivo con il pensiero umano e in particolare con la facoltà immaginativa. Come la maggior parte delle invenzioni umane anche i nuovi sistemi comunicativi rappresentano un’estensione ipotetica delle capacità corporali o mentali dell’uomo, internet in particolare potrebbe essere considerato come un prolungamento dell’immaginazione umana, visto il suo rapporto con l’irreale, la capacità di ricreare collegamenti e la possibilità d’espressione personale che offre. Nonostante tale libertà e tale possibilità di dare sfogo al proprio io spesso l’utilizzo delle rete si limita ad accrescere la nostra considerazione dell’immaginario collettivo e dell’ideale 7
M. RAGNEDDA, Eclissi o tramonto del pensiero critico, Roma, Aracne, 2006, pp. 12-13.
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modello di vita che ci viene riproposto soprattutto all’interno dei social network all’interno dei quali noi stessi modifichiamo la nostra identità per andare incontro a quelle che sono le mode altrui, limitandoci spesso all’espressione per immagini piuttosto che all’utilizzo del linguaggio8. Il fine di queste considerazioni non è quello di criticare le nuove tecnologie ma di criticare il ruolo che noi attribuiamo o siamo spinti ad attribuire alla nostra immaginazione all’interno di tali sistemi comunicativi. All’interno dell’immaginario collettivo i nuovi romanzi e i nuovi film, nonostante o forse proprio per la loro ottima riuscita e per il loro enorme successo di pubblico, hanno contribuito ad arginare l’immaginazione in senso creativo e ad isolarla nel campo del fantastico del tutto estraneo dalla realtà e dai collegamenti di riflessione, e anche a tale utilizzo della fantasia si deve la considerazione dell’immaginazione attuale, lontana dall’idee di educazione, conoscenza e di espressione della propria identità. L’immaginario collettivo sembra dunque pericoloso per la nostra libertà personale specie quando è influenzato dai mezzi mediatici e dalle industrie che ci spingono a desiderare al di là dei nostri reali sogni, non a caso spesso l’immaginazione è legata al desiderio e al sogno, relegando tale capacità esclusivamente all’ipotizzare una vita migliore attraverso l’acquisto di un determinato oggetto o di un determinato bene. Il luogo comune in realtà è qualcosa che è sempre esistito all’interno della storia umana, semplicemente nella realtà attuale esso è sapientemente commercializzato e l’enorme quantità di immagini alla quali siamo sottoposti può ingannarci e spingerci ad 8
Temi affrontati da Laura Sartori nella sua opera intitolata Il divario digitale, Internet e le nuove diseguaglianze sociali.
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immaginare con sistemi fuori dalla nostra volontà; l’immaginario collettivo è figlio della stessa immaginazione ma poiché venga considerato valido deve azzerare la capacità critica e creativa che l’immaginazione possiede, per questo come autore ho scelto di analizzare Gianni Rodari poiché egli può aiutarci ad allenare la nostra immaginazione, aiutandoci a giudicare in maniera soggettiva non solo l’immaginario della nostra cultura ma il mondo con il quale interagiamo.
I.3 Immaginazione e Arte Il rapporto tra l’immaginazione intesa come fantasia creativa e il campo artistico è sempre stato travagliato e composto da momenti di forte unione e da momenti di allontanamento. Il rapporto tra creatività soggettiva e arte rispecchia in parte quel percorso filosofico e umano che già abbiamo descritto analizzando l’avanzare del termine immaginazione all’interno della storia umana. Nella Grecia dell’età Ellenistica il concetto di bellezza e di arte corrispondevano ai canoni della natura e della perfezione logica e razionale, l’immaginazione veniva utilizzata per ricreare le immagini sensoriali
col
fine
di
ricreare
copie
perfette
del
reale.
L’immaginazione non veniva usata come fonte creativa ma piuttosto come capacità mnemonica per riprodurre, alle volte anche in maniera seriale, gli oggetti e gli esseri viventi osservati in natura, nella concezione estetica greca il brutto era considerato come il non-essere, ovvero era brutto tutto ciò che non presentava proporzioni naturali.
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Come accade spesso e in maniera errata con il termine arte si intende prevalentemente la pittura e la scultura lasciando in secondo piano le arte forme artistiche. Nella dialettica e nella scrittura classica infatti, al contrario che nella scultura, l’immaginazione ricopriva un ruolo differente dalla semplice imitazione o ripetizione, la retorica e la poetica classica pur se basate altamente su schemi standard e su fili logici di discorso altamente razionali davano libertà all’espressione personale dell’autore, veniva soprattutto invogliata la creazione di immagini e metafore sociali e di impegno politico che potessero far grande presa sugli ascoltatori. Il legame tra parola, vocabolario linguistico e creatività immaginativa era molto forte e si dava particolare importanza alle sfumature di significato delle diverse parole con il tentativo di ricreare le giuste rappresentazioni nella mente di chi leggeva o ascoltava, soprattutto con fini sociali o di impegno politico. Nella scrittura inoltre, nonostante la forte ricerca di descrivere immagini legate ai fenomeni naturali, c’era spazio anche per una parte dell’irreale soprattutto nei testi religiosi e nei miti, dove le immagini narrative tentavano di spiegare concetti che andavano al di là dell’esperienza sensoriale, senza distaccarsi totalmente dalla realtà ma prendendola come fonte di ispirazione. Possiamo
dunque
concludere
che
per
l’arte
classica
l’immaginazione ha sì il ruolo di tramite e di mezzo nell’imitazione del reale, ma ha inoltre anche il compito di ricreare collegamenti di significato tra i diversi aspetti naturali in maniera tale da raffigurare immagini creative e con spunti di riflessione, aspetto quest’ultimo che viene lasciato alle volte in secondo piano a discapito della bellezza e della perfezione della mimesis che hanno caratterizzato l’arte classica.
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Così come accadde nel pensiero filosofico anche il rapporto tra creatività ed arte mutò notevolmente con lo sviluppo del pensiero rinascimentale; nelle arti visive si continuò soprattutto con i temi del reale e si iniziarono a ricercare tecniche di colore e di luce che permettessero la più fedele imitazione dei soggetti rappresentati; possiamo affermare che la creatività in questo periodo era soggiogata da diverse leggi razionali e perfino geometriche che si ponevano come base di partenza per la realizzazione di un quadro o di una scultura. All’epoca l’arte o meglio le tecniche artistiche, principalmente in pittura, erano considerate come un mestiere e venivano insegnate all’interno di botteghe e tramandate dal maestro all’allievo, la logica e l’aspetto scientifico avevano un’importanza superiore all’estro soggettivo dell’autore. Queste ultime considerazioni non vogliono affermare la mancanza di espressione personale all’interno delle opere rinascimentali, al contrario
spesso
tali
artisti
erano
impegnati
socialmente
e
politicamente e non esitavano a far emergere la propria voce e le proprie
idee,
semplicemente
si
vuole
constatare
come
l’immaginazione all’epoca venisse inquadrata all’interno di regole e canoni da rispettare per la buona riuscita dell’opera secondo i valori estetici del tempo. Un discorso a parte va fatto per la scrittura e la letteratura del Rinascimento, che dal classicismo ereditano moltissimo specie nelle strutture, nelle forme, nel lessico e nell’impegno sociale ma che danno maggiore importanza rispetto al passato a quei conflitti interiori umani derivati all’epoca soprattutto dal contrasto tra il potere e la fede, tra chiesa e monarchi:, il cambio principale rispetto al Medioevo fu proprio l’utilizzo dell’immaginazione e della creatività per vedere in 30
maniera critica il corso degli eventi. Questa nuova analisi impegnata e immaginativa porta a diverse immagini irreali o narrative che avevano come scopo finale non solo l’estetica ma anche il sociale, il ruolo dell’artista come guida per la comunità riguadagna importanza nonostante alle volte termini in semplice propaganda cortigiana. L’immaginazione dunque nell’arte rinascimentale ha il compito di mediare e descrivere attraverso l’utilizzo di immagini esemplificative il contrasto interiore dell’uomo, che spesso rifletteva il contesto storico diviso tra i mutamenti dei governi europei e gli sconvolgimenti interni alla chiesa cristiana. Per spiegare tale gioco creativo ho scelto di non citare nessuno dei grandi autori della letteratura italiana rinascimentale per due semplici motivi: evitare argomenti o esempi già altamente usati e analizzati e soprattutto poiché, vista la complessità di tali artisti, mi sembrava quasi impossibile toccare l’argomento immaginazione senza dover spiegare meglio altri punti rischiando di finire fuori tema rispetto al mio fine iniziale. Vorrei invece descrivere il lavoro di un pittore fiammingo che vive il passaggio dalla cultura medievale a quella rinascimentale. Tale artista è Hieronymus Bosch, un pittore olandese, che nell’arco della sua vita attraverso le proprie opere seppe interpretare bene anche con l’utilizzo dell’ironia la caduta dell’uomo nel vizio e nel peccato e l’abbandono al male che come forza ha la capacità di deformare la materia e i sentimenti e le emozioni umane. Le idee di Bosch erano vicine agli ideali e alle dottrine della chiesa dell’Europa centro-settentrionale, specie ai pensieri di Martin Lutero e di Erasmo da Rotterdam, andavano contro l’Umanesimo italiano e l’esaltazione dell’intelletto ponendo invece l’accento sul trascendentale e sulla dedizione alla meditazione. Nelle sue opere si 31
trattano temi estremamente rigidi e schematizzati come quelli religiosi in maniera totalmente nuova attraverso una deformazione materiale che descrive l’immaterialità della corruzione umana, i suoi quadri sono caratterizzati da un affollamento di personaggi e da un infinito uso di elementi simbolici che richiamano alla complessità interiore del ragionamento umano9. Nel tempo questo autore è stato giudicato in maniere differenti, per una parte della critica può essere considerato come uno dei precursori della psicanalisi mentre l’altra parte che lo giudica per il suo stile non lo vede come un innovatore e lo inquadra all’interno del suo contesto storico accostandolo ai pittori delle dottrine luterane. A mio avviso sia il primo che il secondo giudizio possono essere considerati veritieri ma la reale innovazione di Bosch, secondo me, sta nella capacità di utilizzare l’immateriale e l’immaginazione per descrivere i problemi dell’uomo a lui contemporaneo, ovvero quell’utilizzo della facoltà immaginativa per descrivere e apprendere la realtà, attraverso la rappresentazione di immagini nuove e critiche, che poi analizzeremo all’interno della Grammatica della Fantasia. Col Romanticismo l’immaginazione guadagna il ruolo di prima forma creativa a discapito di quelle regole e di quelle leggi scientifiche che avevano caratterizzato le opere precedenti, gli artisti romantici esaltano il colpo di genio e la realizzazione improvvisata, in questo modo l’immaginazione da facoltà umana assume più l’aspetto di proprietà innata non comune a tutti ed è in questo modo che, soprattutto con i poeti romantici, verrà esulata dal resto delle categorie
9
P. ADORNO, L’arte italiana (il Rinascimento dalle origini alla sua piena affermazione), Firenze, Casa editrice G. D’Anna, 2008, pp. 462-466.
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sociali, rendendo l’immaginazione più uno strumento letterario che quotidiano. Questo distaccarsi dell’artista dalla società porta all’abbandono del ruolo di guida sociale ed è forse proprio per questo apparente distacco
avvenuto
col
Romanticismo
che
ancora
oggi
l’immaginazione viene descritta più spesso col termine fantasia. Col Romanticismo cambia totalmente l’estetica del bello, basata ormai non più sulla perfezione naturale ma sull’utilizzo dell’ingegno e dell’intelletto umano. Questo cambio di concetto artistico porta al ruolo e alla considerazione totalmente diversa che assume l’arte contemporanea rispetto a quella moderna, gli artisti dell’ultimo secolo hanno utilizzato l’ironia, la satira e l’immaginazione per descrivere una realtà storica in continuo evolversi, per analizzare un mondo che ha iniziato ad andare ad una velocità doppia distruggendo le vecchie certezze, compresa l’arte stessa, la creatività personale ha assunto le redini del gioco artistico trasportando l’arte nel quotidiano, e il quotidiano nell’arte compreso il mondo di massa e la grande industria, l’estetica ha perso i suoi canoni del bello, ormai un’opera d’arte non deve avere solo una bella figura realistica ma deve essere ricreata in maniera tale da essere considerata come forma d’arte anche quando apparentemente non lo dimostri affatto. L’io, la pubblicità, il sesso, l’immaginario collettivo sono solo alcuni degli innumerevoli argomenti che l’arte ha incominciato a trattare non per imitare il reale ma per indagarlo o tentare di descriverlo, l’arte stessa è passata da una raffigurazione del reale considerato come perfetto ad una distruzione della realtà attraverso l’irreale per cercare di riprodurre il caos e il caso che sembrano governare il mondo attuale. 33
La storia del termine immaginazione bene riassume non solo la storia artistica dell’uomo occidentale ma più in generale tutta la sua cronologia di pensiero. Per quanto riguarda i pensieri filosofici nel rapporto tra arte e creatività, il focus viene posto sull’utilità sociale dell’arte. Per Hobbes la fantasia non deve essere lasciata libera dall’arte ma bisogna che quest’ultima la regoli attraverso leggi e la indirizzi all’impegno e all’educazione della società. Anche Kant vede il ruolo della creatività come legato al sociale e distingue l’immaginazione come facoltà umana dalla fantasia artistica che va controllata affinché non si limiti a produrre immagini senza volerlo in maniera del tutto irrazionale; per Kant l’immaginazione gioca con la fantasia ma corre il rischio di essere fuorviata e soggiogata da quest’ultima, quando però la razionalità e la moralità tengono le redini della creatività l’uomo può arrivare all’esperienza del bello e del sublime. Schelling considera infine l’immaginazione come unificatrice del reale e dell’ideale, della natura con lo spirito, capace di esprimere i due concetti all’interno dell’arte, specie nella poesia e nella filosofia10.
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Tesi tratte dalla sezione La nascita dell’estetica moderna interna al manuale I filosofi e le idee, L’età moderna edito dall’Edizioni scolastiche Bruno Mondadori.
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Capitolo II Scoprire e riscoprire la facoltà immaginativa
II.1 Gianni Rodari
Io credo che le fiabe, quelle vecchie e quelle nuove, possano contribuire ad educare la mente. La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per stradi nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo11.
Gianni Rodari nasce il 23 ottobre 1920 a Omegna, sul lago d’Orta, luogo in cui si erano trasferiti per lavoro i genitori originari della Val Cuvia nel Varesotto. Bambino timido e dalla corporatura minuta Gianni frequenta le prime quattro classi delle scuole elementari a Omegna. A soli dieci anni in seguito alla prematura scomparsa del padre, fornaio del paese, la famiglia è costretta a trasferirsi nuovamente, questa volta a Gavirate dove Gianni può concludere gli studi per la licenza elementare. Viste le poche risorse economiche e l’apparente interiorità del ragazzo la madre decide di farlo entrare in seminario presso Seveso, in provincia di Milano, ma il ragazzo si accorge presto di non aver intrapreso la strada giusta e dopo tre anni di ginnasio si trasferisce alle scuole magistrali che completerà a soli 17 anni dimostrando già la passione futura per l’insegnamento e la lettura.
11
Citazione dal libro di Gianni Rodari La freccia azzurra.
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Nel 1938 fece da insegnante ai figli di una famiglia di ebrei fuggiti dalla Germania, mentre l’anno successivo si iscrisse alla Facoltà di Lingue a Milano dove però diede solamente alcuni esami. Inizio nel frattempo a lavorare come insegnante presso le scuole del Varesotto in paesi come Brusimpiano, Ranco e Besozzo, basando il suo insegnamento sulla fantasia, sul reciproco rapporto con gli alunni e si iniziò a distinguere per la sua originalità educativa. Durante la Seconda guerra mondiale venne esonerato dal servizio militare per ragioni fisiche, ma rimase comunque traumatizzato dal conflitto a causa della morte di due grandi amici e dell’internamento del fratello presso un campo di concentramento nazista, decise dunque di prendere contatti con la resistenza lombarda e si iscrisse al Partito Comunista Italiano. Nel dopoguerra incomincia la carriera giornalistica fino ad arrivare a scrivere per L’Unità di Milano dove teneva una rubrica denominata “La domenica dei piccoli”. In questo periodo si occupò anche della traduzione e della trascrizione di leggende e racconti popolari. Nel 1950 si sposta a Roma dove fonda il giornale per ragazzi Il Pioniere, pubblicò inoltre anche un libro pedagogico intitolato il Manuale del Pioniere che gli costò la scomunica da parte del Vaticano. Il 25 aprile 1953 sposò la modenese Maria Teresa Ferretti da cui avrà una figlia, nello stesso anno fondò il giornale Avanguardia, legato alla Federazione Giovanile Comunista italiana. Dal 1954 per una quindicina d’anni si differenziò per una grande quantità di pubblicazioni, di libri e di rubriche, lavorando inoltre anche con la Rai e la BBC alla realizzazione di alcuni programmi per
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ragazzi. Nel 1970 vince il premio Hans Christian Andersen, restando tutt’ora l’unico italiano ad aver ricevuto tale riconoscimento. Fino al 1980 partecipò a numerosi incontri nelle scuole dove spiegava il suo metodo educativo e il suo rapporto con la fantasia. Il 10 aprile 1980 si fece ricoverare a Roma per un intervento ad una vena della gamba sinistra, morì 4 giorni dopo per collasso cardiaco a 59 anni. Il suo successo fu grande e arrivo anche in paesi stranieri come la Cina, la Bulgaria e la Russia soprattutto, dove usci un cartone animato dedicato al suo Cipollino. La critica lo considera tra i maestri della letteratura per l’infanzia dimenticando alle volte come la sua attività trai più giovani aveva come fine l’istruzione degli uomini di domani, non tanto per fini politici ma piuttosto sociali, e spesso i suoi temi vengono ingiustamente relegati al solo campo del gioco e del fantasioso e rimangono tra le pagine dei suoi scritti considerati solo per ragazzi. La Grammatica della Fantasia: uscita nel 1973 è considerata il capolavoro pedagogico del Rodari, dedicata a insegnati, genitori, animatori, ma più in generale a tutti coloro che credono nell’immaginazione e nel suo utilizzo come fonte di espressione personale. Il saggio è l’unico volume teorico e non narrativo del maestro d’Omegna e si propone di indicare degli schemi e degli aiuti per creare delle storie fantastiche. Nasce ufficialmente a Reggio Emilia, dalla paziente trascrizione a macchina da parte di una stagista di alcuni appunti rimasti a lungo dimenticati. Gli appunti in questione, scritti intorno agli anni '40, facevano parte della raccolta del Quaderno della fantasia. Vennero recuperati in seguito ad un comizio che si terrà proprio nella città emiliana dal 6 al 10 marzo 1972. L'opera si 37
sviluppa in 45 capitoli e si potrebbe dire tranquillamente che la stragrande maggioranza dei temi e degli episodi della poliedrica attività di scrittore e di studioso di Gianni Rodari siano ripresi anche nel corso delle argomentazioni e degli esempi che le accompagnano.
II.2 La logica Immaginativa Per molti l’atto di immaginare così come la parola stessa immaginazione sono qualcosa di vago, di astratto, un processo di difficile spiegazione, in arte legato spesso all’intuizione geniale e nella vita quotidiana più spesso attribuito al comportamento di alcune persone, il classico “stare tra le nuvole”, molto più utile all’età della fanciullezza che a quella adulta. Gianni Rodari ci invita a stare attenti a tali considerazioni figlie del pensiero romantico poiché tendono a isolare l’immaginazione e la creazione nel solo campo artistico, escludendola dall’utilizzo di tutti. Il Romanticismo ha infatti creato un alone di mistero e di culto attorno al processo creativo con lo scopo di esaltare l’intuizione, il colpo di genio per elevare la classe degli artisti rispetto alle altre classi sociali. Con il suo saggio Grammatica della fantasia lo scrittore di Omegna vuole smentire tale considerazione dell’immaginazione e vuole ridare tale capacità a tutti. Rodari offre con questo suo libro un campionario di tecniche dell’invenzione, utili strumenti a chi crede ancora nell’immaginazione educativa e a chi sa quale valore di liberazione possa avere la parola, poiché come vedremo più avanti immaginare è la base per prendere il pieno possesso di un vocabolo già dai primissimi anni di vita.
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Il primo fondamentale passo da compiere per rinvigorire la considerazione del processo immaginativo nella mente di tutti è quello di dargli un sistema logico, smentendo la scrittura di getto, l’intuizione improvvisa tanto cara ai poeti romantici. Ciò non significa sottovalutare tali modi creativi, né tantomeno sminuire tale periodo artistico, semplicemente si vuole fare chiarezza su un argomento che altrimenti resta elitario e di difficile discussione. Rodari traccia un percorso da seguire per risalire il fiume immaginativo e comprenderne il suo sviluppo. Tutto nasce da un profumo, un suono, un luogo ma soprattutto da una parola data, elementi che accendono la scintilla del sistema, mettendolo in funzione. Rodari ci chiarisce l’importanza della parola rispetto agli altri elementi citati, poiché una parola attiva in maniera più energica la creatività grazie a delle associazioni linguistiche che più avanti saranno spiegate, mentre un rumore, un odore od un profumo, per fare degli esempi, richiamano più spesso la nostra esperienza e la nostra memoria. Di seguito riporterò l’inizio del secondo capitolo della Grammatica dove il maestro Rodari bene illustra gli effetti causati da una parola nella nostra rappresentazione mentale:
Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore. Oggetti che se ne stavano ciascuno per conto proprio, nella sua pace o nel suo sonno, sono come richiamati in vita, obbligati a reagire, a entrare in rapporto tra loro. Altri movimenti invisibili si propagano in profondità, in tutte le direzioni, mentre il sasso precipita smuovendo alghe, spaventando pesci, causando sempre nuove agitazioni molecolari. Quando poi tocca il fondo, sommuove la fanghiglia, urta gli oggetti che vi giacevano dimenticati, alcuni dei quali ora vengono dissepolti, altri ricoperti a turno dalla sabbia. Innumerevoli eventi, o microeventi, si
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succedono in un tempo brevissimo. […] Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinità di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni.
Con questa splendida similitudine Rodari ci introduce al percorso immaginativo che viene diviso in due parti. Le onde di superficie: l’esperienza, la memoria. E le onde in profondità: l’inconscio, la fantasia. Per lasciare campo all’immaginazione più arguta il “sasso”, ovvero la parola, deve giungere sino in profondità per creare nella nostra mente una rappresentazione totalmente nuova rispetto all’idea portata dalla parola data. Rodari continua nella sua metafora spiegandoci come il nostro pensiero lavori per associazioni che, così come le onde provocate dalla caduta di una parola, possono essere pigre o sommerse. Le associazioni pigre sono quelle più semplici e più vicine alla parola in questione; se prendiamo in esempio la parola sasso, così come fa lo scrittore della Fantasia, le associazioni pigre saranno date da tutte le parole che iniziano con –s o con –sa, con quelle che terminano in –asso, o infine con quelle che stanno accanto nel deposito lessicale per via del significato, pietra, masso, roccia per citarne alcuni. Al contrario le cosiddette associazioni sommerse sono date dalle immagini e dai ricordi che la nostra mente ricorda al risuonare della parola sasso. Una singola parola può avere una grande forza nel risvegliare l’immaginazione personale ma per creare un tema fantastico, secondo Rodari, è necessario un accostamento di due termini, di due poli che possono essere eletti a caso, prestabiliti oppure possono derivare semplicemente da una nuova raffigurazione nella nostra mente
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scaturita dalla prima parola data. ‹‹Non c’è vita dove non c’è lotta›› per citare le parole dell’autore. Questo accostamento creativo viene definito come ‹‹binomio fantastico›› e sarà al centro di tutta l’analisi sulla creazione e sull’immaginazione presente nell’opera del Rodari. Questo bisogno di uno scontro per arrivare alla generazione di una storia fantastica è dovuto dal fatto che l’immaginazione non è una facoltà separata dalla nostra mente, ma è la nostra stessa mente e così come il nostro pensiero lavora per coppie. L’idea di “molle” non si forma prima, o dopo l’idea di “duro”, ma contemporaneamente. L’elemento fondamentale del pensiero è questa struttura binaria, non i singoli elementi che la compongono. La coppia, il paio sono anteriori all’elemento isolato12. Non si può dunque creare una storia d’immaginazione senza il binomio fantastico che è il punto di partenza per ogni racconto immaginativo. Per rendere più forte la creazione bisogna che i due termini del binomio fantastico siano abbastanza lontani di significato tra loro, il loro accostamento deve essere insolito, deve creare straniamento, poiché deve essere la nostra facoltà immaginativa a creare una parentela tra essi, per questo Rodari consiglia e confessa di aver più volte utilizzato l’aiuto del caso per la creazione delle sue storie per bambini. Non per forza l’accostamento deve essere composto da parole ricercate o derivate da un lessico elevato, anzi è preferibile usare quelle con cui si ha più confidenza poiché si ha maggiore possesso del vocabolo. 12
Considerazioni tratte dal Le origini del pensiero nel bambino di Henri Wallon, interne all’opera di Gianni Rodari.
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Rodari ci invita a diffidare della credenza che tali tecniche siano utili solamente a creare brevi racconti per intrattenere i più piccoli, poiché lo spaesamento creato dal binomio fantastico è lo stesso utilizzato anche in arte da autori come Giorgio De Chirico, che più volte nei suoi quadri ha accostato elementi apparentemente senza alcun legame tra loro creando però un alone di mistero e fascino spesso anche con degli oggetti banali o estrapolati dal quotidiano. Ogni
immagine
narrativa
generata
attraverso
l’utilizzo
dell’immaginazione è una piccola descrizione di noi. La mente è attiva e non passiva alla rappresentazione, accetta, respinge, collega, censura, costruisce o distrugge seguendo però quelli che sono i valori e le esperienze che ci hanno formati. Fantasticare è un nuovo modo di rappresentare la realtà, una realtà vista attraverso i nostri occhi, è qui che risiede l’importanza dell’immaginazione capace di non renderci passivi ai continui messaggi che provengono dal mondo esterno. Possiamo conoscere meglio noi stessi analizzando le storie che immaginiamo o possiamo capire meglio gli altri ascoltando le loro rappresentazioni, anche per questo Freud si interessava ai racconti per bambini e fatti dai bambini e da queste sue ricerche nacquero i ragionamenti sul complesso edipico o sulle paure comuni. Tutt’oggi la psicanalisi si interessa dei racconti fantastici, i cosiddetti sogni ad occhi aperti, che tra il nonsense e l’assurdo nascondono elementi fondamentali del nostro carattere spesso provenienti dall’inconscio e di difficile lettura persino per noi stessi. Lo scrittore di Omegna ci propone un bell’esempio su quest’ultimo argomento nel capitolo 5 della Grammatica intitolato ‹‹Luce e Scarpe››, nel quale si prende in analisi una storiella creata attraverso il binomio fantastico da un bambino di cinque anni: 42
C’era una volta un bimbo che si metteva sempre le scarpe del suo papà. Una sera il papà si era stufato che il bimbo gli prendeva le scarpe, allora lo mette attaccato alla luce, e poi a mezzanotte cade, allora dice il papà: ‹‹Cosa c’è? Un ladro?›› Va a vedere e c’era il bimbo per terra. Il bimbo era rimasto tutto acceso. Allora il papà ha provato a giragli le orecchie ma non si spegneva, ha provato a schiacciargli il naso ma non si spegneva, ha provato a tirargli i capelli ma non si spegneva, ha provato a schiacciargli l’ombelico ma non si spegneva, ha provato a tirargli via le scarpe e c’è riuscito, si è spento.
Questo breve racconto immaginario apparentemente privo di senso e di fine se non quello di suscitare il riso tra i compagni di classe presenta diversi spunti che possono descrivere il carattere, le paure e i comportamenti del bambino-narratore. Innanzitutto il tema edipico dello scontro col padre, la voglia di crescere e sottointesa anche la voglia di “fare le scarpe” al genitore, la disubbidienza e la punizione qui rappresentata sotto forma di tortura paterna e infine quel finale tragico ‹‹si è spento››. Importante per l’immaginazione è anche il contesto dentro al quale cresciamo; Rodari ci indica le differenze tra i ragazzi di città e quelli di campagna, questi ultimi riescono a dare più facilmente dei volti alle persone che introducono nelle loro storie, al contrario i ragazzi di città usano spesso personaggi a loro sconosciuti o dai volti generici. L’inizio e la fine di questa breve fantasticheria ci rimandano ad un altro aspetto importante derivante dalla facoltà immaginativa ovvero l’apprendimento della reversibilità, il ritorno o il richiamo alla situazione di partenza, la capacità di dare una forma in parte logica a ciò che stiamo argomentando, quel chiudere il cerchio tanto caro alla
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poesia classica, tutto è iniziato con il mettersi le scarpe e tutto è finito con il togliersi le scarpe. Le ipotesi sono reti: tu getti la rete e qualcosa prima o poi la trovi13. Con questa affermazione del filosofo e scrittore tedesco Novalis possiamo introdurre un nuovo aspetto della facoltà immaginativa cercando di ricostruire uno schema logico del percorso creativo. Sempre all’immaginazione si deve infatti la capacità di ipotizzare; le ‹‹ipotesi fantastiche›› di Rodari non riguardano esclusivamente il nonsense o l’assurdo divertente dedicato alle favole per bambini, ma si vogliono dedicare anche a quelli aspetti più difficili della realtà e ai problemi più pressanti della società. Il maestro di Omegna ci invita a non sottrarre neanche i più piccoli da queste ipotesi più difficili poiché, come spiegheremo meglio nei prossimi capitoli, la loro voglia di crescere li spinge ad affrontare temi più grandi di loro. Un’ipotesi fantastica è quella che muove il racconto la Metamorfosi di Franz Kafka, in cui viene descritta la difficile situazione per tutti coloro che con ipocrisia e pregiudizi son giudicati come “diversi” all’interno di una società. Ecco che una storia che pare iniziare senza una vera e propria logica si carica invece di significati e interpretazioni.
Non siamo più nel nonsenso, mi pare. Siamo, nel modo più evidente, all’uso della fantasia per stabilire un rapporto attivo con il reale. Il mondo si può guardare ad altezza d’uomo, ma anche dall’alto di una nuvola (con gli aeroplani è facile). Nella realtà si può entrare dalla porta principale o infilarvisi – è più divertente – da un finestrino.
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Citazione interna all’opera di Rodari tratta dai Frammenti di Novalis.
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Questo incrociarsi tra realtà e fantasia è uno degli argomenti principali che verranno trattati più avanti per dimostrare come l’immaginazione possa essere una ricca fonte per comprendere e cambiare il reale e non solo per sfuggire da ciò che del reale ci disturba. In questo primo capitolo abbiamo analizzato come nasce un’immagine narrativa, come si struttura il pensiero creativo che parte da una parola data o, soprattutto nella narrativa, da un “binomio fantastico” per interagire dapprima con la nostra esperienza e con la memoria per poi arrivare sino alla fantasia, ovvero il momento in cui l’immaginazione rielabora e rappresenta una nuova immagine nella nostra mente, per concludere con l’inconscio che può essere interpretato leggendo tra le righe delle nostre stesse rappresentazioni. Come si conclude però il pensiero immaginativo? Per Rodari l’immaginazione ha la capacità di veder sorgere nel movimento incontrollato della fantasia una direzione, uno slancio costruttivo, perciò la facoltà immaginativa si quieta ma non si arresta mai, non esiste la fine per una storia fantastica o per una figurazione immaginaria, il punto dopo la fatidica frase “e vissero felici e contenti” può essere levato in qualsiasi momento per riprendere il gioco immaginario lì da dove lo si era lasciato. Tutto ciò vale sia per le fiabe che per le ipotesi fantastiche così come per le nostre rappresentazioni immaginarie della realtà. Bisogna allenare la nostra capacità immaginativa, anche con le tecniche che saranno descritte nel prossimo capitolo, e soprattutto bisogna saper ascoltare la nostra immaginazione che ultimamente ha subito una svalutazione a causa della miriade di messaggi mediatici, reali e no, ai quali siamo sottoposti. 45
Vorrei chiudere questo capitolo ricordando che l’immaginazione nasce da un abbandono che permette di lasciar parlare la mente mettendo in silenzio i sensi: è importante utilizzarla e capire che non è solamente un concetto vago o legato al campo dell’arte ma ha anche un suo schema logico. Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l’arte di inventare14. La Fantastica deve essere comunque una grammatica diversa dalla Logica e l’errore più grande che possiamo fare dopo aver fatto entrare l’immaginazione all’interno dei nostri pensieri e quello di banalizzarla, quasi commercializzarla, utilizzando quella eccesiva razionalizzazione molto in voga nel pensiero della società contemporanea; del resto immaginare è pur sempre un abbandono costruttivo.
II.3 Le tecniche immaginative In questa seconda parte vedremo come allenare la nostra immaginazione seguendo quelle tecniche che Rodari spiega e analizza all’interno della Grammatica. L’immaginazione infatti così come la memoria, la capacità critica e un po’ tutte le facoltà del pensiero umano ha il bisogno del continuo esercizio non solo per svilupparsi ma anche per rappresentarsi con frequenza all’interno della nostra mente. Tali esercizi partono dall’utilizzo del binomio fantastico per ricreare storie e racconti sviluppati dando libero arbitrio alla nostra immaginazione. Lo scrittore di Omegna ci invita a prendere questi strumenti di sviluppo immaginativo semplicemente come utili consigli, punti di partenza e non come spunti per gare di creatività. 14
Anche questa considerazione di Rodari è tratta dai Frammenti di Novalis.
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Rodari ci ricorda che il ruolo di un insegnante è quello di rendere tutti i suoi alunni creativi e non di premiare esclusivamente quelli che dimostrano maggiori capacità immaginative. Importante è la ripetitività che aiuta a prendere confidenza con le rappresentazioni immaginarie e rende più semplice attuare ogni volta i processi immaginativi. Prima di renderci partecipi delle tecniche sperimentate da lui stesso Rodari ci ricorda alcune teorie letterarie che potrebbero avere una medesima funzione per la nostra immaginazione. Tra le prime citate troviamo le tecniche surrealiste: la scrittura automatica che lascia libero spazio alla creazione interiore, la tecnica del cadavre exquisi, ovvero del cadavere squisito, in cui il caso e la coralità la fanno da padrone e il cui scopo è ricreare quello spaesamento creativo già analizzato nel precedente paragrafo. Vengono citate anche le tecniche di Proust e dei cosiddetti scrittori della memoria, che con il loro lavoro hanno reso possibile la profonda ricerca personale e ci hanno dato la possibilità di immaginare, di rappresentare una realtà ormai passata che può permetterci di fare dei confronti con il nostro presente, tra vecchi e nuovi vizi e tra vecchie e nuove virtù. In parte c’è un richiamo anche alle tecniche dadaiste proprio per quella consuetudine degli artisti, o meglio non-artisti, di Dada ad accostare elementi spesso apparentemente molto in dissintonia tra loro. Il collage immaginativo che sembra non avere senso se analizzato per ogni singolo pezzo si carica di nuove prospettive se immesso all’interno del binomio fantastico. Di seguito ricapitoleremo quelli che sono i principali suggerimenti che il Rodari ci dispensa all’interno della sua opera con lo scopo di
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tenere sempre allenata la nostra immaginazione e con il conseguente sviluppo della nostra capacità creativa. 1) La parola data: la prima tecnica ci richiama alla nostra introduzione ovvero alla semplice parola che fa nascere il processo immaginativo con la potenza del suo messaggio sia oggettivo che soggettivo. Abbiamo più volte ripetuto che la storia fantastica nasce da un binomio di termini, ma come trovare le giuste parole da accostare? Rodari ci indica diverse vie: scegliere due vocaboli molto distanti tra loro ma che abbiano comunque delle affinità anche esclusivamente sonore tra loro, oppure lasciare la scelta al caso ˗ d'altronde l’errore non è un problema poiché aiuta a migliorare ˗ oppure si può lasciar scegliere le parole a due persone diverse l’una all’insaputa dell’altra. 2) Sbagliare le parole: se l’accostamento di due termini creativi sembra troppo difficile si può tentare con la deformazione delle parole, accostare dunque ad un normale vocabolo un prefisso o un suffisso arbitrario che dia un senso più fantasioso al termine. Parole come stemperino o stacca panni hanno maggiore carica immaginativa rispetto ai loro “corretti” antagonisti. Si possono inoltre usare prefissi semplici come micro-, mini-, maxi-, bis-, tris, d'altronde il personaggio di Superman è nato proprio da questo semplice gioco. La tecnologia e il linguaggio multimediale tipici della nostra epoca possono aiutarci nella creazione di storie e personaggi immaginari interessanti, stando sempre attenti nel possedere la piena consapevolezza dei termini che utilizziamo, poiché come vedremo nei successivi capitoli per immaginare così come per ricreare una giusta idea dobbiamo avere la giusta confidenza con la parola che analizziamo. 48
Questo gioco può apparire a prima vista pericoloso per i più piccoli, specie per i diversi errori grammaticali a cui non dà importanza e per la poca somiglianza al reale. Rodari evita tali conclusioni argomentando, anche attraverso le parole di Saussure, e definendo questa tecnica dell’errore come un’utopia educativa che attraverso ciò che è sbagliato aiuta i più piccoli, e non solo, a prendere piena padronanza tra ciò che è corretto e ciò che non lo è, tra ciò che è reale e ciò che fa parte di una storia fantastica. Inoltre è un buon esercizio per consolidare l’anticonformismo dialettico e non solo. 3) Cosa succederebbe se: un binomio fantastico non deve essere per forza strutturato nella maniera in cui sin qui l’abbiamo descritto, ma può perfettamente essere composto da un predicato e da un verbo, ricreando quella ipotesi fantastica a cui accennavamo alla fine del capitolo precedente. Si creano in tale maniera degli avvenimenti narrativi che si moltiplicano spontaneamente all’infinito. Questo esperimento è molto utile poiché induce ad un intervento diretto attraverso un approccio insolito nei confronti della realtà che ci circonda, nonostante molte di queste ipotesi siano di forte spinta utopica e di difficile realizzazione. 4) L’errore creativo: con questa tecnica continua il gioco tra il giusto e sbagliato che abbiamo iniziato a descrivere con le precedenti ipotesi fantastiche, ma iniziamo ad entrare più nello specifico dell’inventare delle storie. Con i successivi suggerimenti infatti il Rodari ci indica le giuste strade da intraprendere per creare con la nostra mente delle storie fantastiche. Nella Cenerentola di Charles Perrault la scarpina, in origine, sarebbe dovuta essere di vaire, un tipo di pelliccia, e solo per
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una fortunata disgrazia diventò di verre, ovvero di vetro15. Una scarpina di vetro è sicuramente più affascinante e fantasiosa rispetto ad una di pelo anche se figlia di un errore di trascrizione. L’errore ortografico, volontario o involontario, può dunque dar vita ad ogni genere di racconto sia comico che educativo. L’errore possiede inoltre anche un risvolto ideologico, alcuni errori infatti possono essere il mezzo per evocare alcune realtà, per conoscerle meglio. Grazie all’errore alle volte si apprende che lo sbaglio non sta nelle parole ma nelle cose, bisogna correggere i dettati certo, ma anche il mondo16. Infine va ricordato che ridere degli errori è il primo passo per distaccarsene e per tornare al discorso sul binomio fantastico la parola corretta esiste esclusivamente grazie all’opposizione della sbagliata. Il primo termine del binomio, quello corretto, dà vita al secondo, quello più fantasioso e irreale. 5)Vecchi giochi: all’interno del capitolo dieci vengono analizzate alcune tecniche utili alla costruzione di temi fantastici da dedicare alla letteratura per ragazzi e non solo. Il capitolo inizia con un richiamo ed un omaggio ad André Breton e ai giochi che lui e il movimento surrealista hanno creato per dar libero sfogo allo straniamento. Il gioco preso in analisi dal maestro di Omegna consiste nel ritagliare i titoli di diversi giornali e di mescolarli tra loro con lo scopo di ottenere delle notizie assurde che possano dar vita ad una storia immaginativa. Questo esercizio dà la possibilità di creare storie anche di lunga trama poiché, come ci invita a notare Rodari, stiamo entrando
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S. THOMPSON, Le fiabe nella tradizione popolare, Milano, Il Saggiatore, 1967, pag. 186.
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Affermazione che richiama i temi affrontati da Rodari nel suo Il libro degli errori.
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nel campo dei “polinomi fantastici” ovvero stiamo moltiplicando il binomio fantastico all’interno del nostro racconto. Inoltre questa tecnica è ottima per avvicinare anche i più piccoli alla carta stampata e iniziare a dar loro la giusta confidenza non tanto con i temi di un giornale, ma con la impaginazione e con la struttura di esso. Proseguendo nel capitolo dieci viene descritto un altro esercizio sulla falsa riga del primo che consiste in una serie di domande da proporre a diversi bambini ognuno all’insaputa della risposta dell’altro. In questo caso nasce una sintassi a caso che sostituisce il binomio fantastico in “trama fantastica”. Il capitolo in maniera circolare si conclude con un gioco surrealista già descritto in questo progetto, il cadavere squisito. Rodari propone questa tecnica poiché è capace di unire il disegno al racconto, l’immaginazione infatti si scatena con la creazione di un disegno a più mani e la figura che si paleserà a disegno ultimato sarà il protagonista perfetto per una storia di fantasia. Questo gioco richiama i già accennati legami tra dialettica e immaginazione attraverso la cosiddetta forma dell’espressione ovvero il modo in cui viene pronunciata una forma grafica: l’impero della dialettica, secondo Rodari, si estende anche sui territori dell’immaginazione, e in questo progetto più avanti dedicheremo un intero capitolo a tale argomento. 6) Il verso dato: con l’avanzare delle pagine e delle tecniche aumenta anche la loro complessità e il richiamo a scrittori e a correnti letterarie ci ricorda come tali esercizi non abbiano l’unico fine di inventare storie per i più piccoli, ma nel corso dei secoli abbiano aiutato diversi tra i più importanti artisti e soprattutto, fine primo,
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abbiano il compito di avvicinare tutti noi, ragazzi e non, alla nostra immaginazione. La tecnica del verso dato deriva sempre dal movimento surrealista e si basa sulla ricerca di un tema fantastico all’interno di un verso o di una frase estrapolata da una poesia, un romanzo o un periodico. Si analizzano tutte le possibilità lungo la catena sonora, si cercano delle analogie o dei significati particolari. Per spiegare meglio tale gioco artistico Rodari prende in analisi alcuni versi di Giosuè Carducci, l’esempio più esaustivo e divertente è dato dalla trasformazione del verso carducciano ‹‹… rinverdì tutto or ora››, che diventa nella mente di Rodari ‹‹ venerdì tutto odora››. Da questa creativa modifica nasce una storia legata ad una ricca signora e ai suoi profumi che scandiscono i giorni della settimana per i compaesani della dama profumata, la quiete viene turbata quando all’improvviso giunge al paese un’altra elegante signora che inverte i profumi dei giorni. Le parole assumono la forma del giocattolo e ci aiutano a capirle meglio, a capire meglio le cose e di conseguenza la realtà che ci circonda. 7) Il Limerick: il limerick è un genere organizzato e codificato di origine inglese e il creatore più famoso di limerick è Edward Lear. Di seguito ne viene proposto uno a titolo esemplificativo scritto sempre dallo scrittore e illustratore inglese Lear.
C’era un vecchio di palude Di natura futile e rude Seduto su un rocchio Cantava stornelli a un ranocchio Quel didattico vecchio di palude.
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Come si può notare i limerick
usano pochissime varianti e
ricalcano generalmente sempre la stessa struttura. Costituiti di norma da cinque versi suddivisi per tema, il primo contiene l’indicazione del protagonista, il secondo indica la sua qualità, il terzo e il quarto contengono le azioni che egli svolge mentre il quinto è riservato ad un epiteto finale divertente. Questo esercizio può apparire pedante e senza un vero scopo visto che spesso cade nel nonsense, in realtà la costruzione di un limerick ci allena in diversi campi: ci prepara a determinati schemi di scrittura, abitua il nostro orecchio alla ricerca della rima, dando importanza anche al suono oltre che al significato delle parole e nonostante sembri un gioco del tutto scollegato dalla realtà prepara involontariamente la nostra mente ai meccanismi matematici e alla logica della struttura. 8) L’indovinello: la creazione di un indovinello prosegue il discorso preannunciato con il limerick, ovvero della creazione come gioco tra logica e immaginazione. L’indovinello si basa su tre fasi principali: lo straniamento, l’associazione e la metafora. Lo straniamento, fase fondamentale, consiste nel descrivere l’oggetto che dovrà essere svelato attraverso la soluzione dell’indovinello così come se lo vedessimo per la prima volta, distaccandolo da quello che è il suo campo d’azione a cui lo associamo generalmente. L’associazione consiste nel aprire ad altri significati l’oggetto che vogliamo rendere misterioso con l’indovinello, attraverso l’utilizzo di immagini. La metafora è il risultato finale, è la dichiarazione dell’indovinello, è la recitazione dell’indovinello, dà una definizione metaforica all’oggetto sfruttando il lavoro delle due precedenti fasi. Ci può essere anche una
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quarta operazione, puramente estetica, che consiste nel dare una forma attraente e misteriosa alla nostra metafora, per questo spesso gli indovinelli sono in versi. L’indovinello rappresenta la conquista della realtà, rimanda all’apprendimento, il mondo è pieno di oggetti misteriosi da decifrare e la conoscenza spesso avviene sotto forma di sorpresa. Si può usare anche il falso indovinello per allenare la nostra immaginazione, ovvero un indovinello che presenta la risposta già nella domanda; per Rodari anche questo è un esercizio educativo, in quanto spesso nella vita per trovare la risposta giusta bisogna saper fuggire dalle false alternative. 9) Giocare con le fiabe: da questo momento non analizzeremo dei singoli esercizi ma vedremo come si possono ricreare delle immagini narrative partendo dalle fiabe popolari. Una prima modifica creativa che possiamo attuare trovandoci di fronte ad una fiaba più volte ascoltata è quella di riscriverla o ripeterla sbagliando qualche elemento. Questo rende più facile la creazione poiché il nostro compito si limita a cambiare dei fattori già scritti, non per questo il risultata finale sarà meno fantasioso. Rodari ci invita a stare attenti nel proporre questo gioco ai bambini poiché essi spesso in questa fase della loro vita ricercano spesso delle sicurezze e degli equilibri che anche la variazione di una semplice storiella può stravolgere. Solo ed esclusivamente quando il bambino avrà metabolizzato la fiaba e si sentirà pronto a modificarla sarà il caso di attuare la tecnica del sbagliare le storie. Questo gioco, se proposto al momento giusto, ha anche la capacità terapeutica di sdrammatizzare alcune paure del bambino, che nelle fiabe vengono proposte sotto forma di lupo, orco o strega. Con quest’esercizio si 54
mette un netto confine tra il mondo delle cose vere e quello delle cose immaginarie. L’importanza
dell’immaginazione
nell’educazione
verrà
comunque analizzata in maniera più approfondita nei prossimi capitoli. Un’altra maniera più arguta per sbagliare una storia è quella di rovesciarne il tema, Cappuccetto rosso diventa cattiva e il lupo buono. Con questo rovesciamento inoltre non ci limitiamo a ricalcare la fiaba già esistente ma ne creiamo ex novo una totalmente nostra. Un altro modo di giocare con le fiabe è quello di mischiarle tra loro, unire personaggi, luoghi e accadimenti, creare un’insalata di favole per utilizzare le parole del saggista di Omegna.
Sottoposte a questo trattamento, anche le immagini più consunte sembrano rivivere, rigermogliare, offrendo fiori e frutti inattesi. L’ibrido ha il suo fascino. […] Il tipo di binomio fantastico che governa questo gioco si distingue, dalla forma generale, solo perché è composto di due nomi propri anziché, come s’è visto, di due nomi comuni, di un soggetto e di un predicato e così via. Nomi propri di fiaba, naturalmente.
Un gioco più complesso consiste nel realizzare il ricalco di una storia già esistente, un esempio illustrissimo è il ricalco joyciano dell’Odissea. La storia che prendiamo in considerazione per il ricalco non ci deve interessare tanto per i temi ma per il complesso delle coordinate fantastiche che possiede. Dobbiamo insomma ridurre la trama a semplici lettere che compiono alcune azioni in determinati luoghi, che interagiscono tra loro in determinate maniere e che ottengono precisi risultati. In fondo è proprio attraverso questo tipo di analisi che il linguista Vladimir Propp ha scoperto le sue famosissime
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carte, contenenti quelle funzioni che sono utili e fondamentali strumenti per chiunque voglia scrivere o raccontare una storia. Per chiudere il discorso sul gioco del ricalco e sulle scoperte a cui ci porta vorrei citare il bel paragone proposto da Rodari all’inizio del capitolo ventidue, dove Leonardo da Vinci viene accostato a Propp. La genialità di Leonardo infatti consisteva nel considerare le sue macchine non come un unico strumento, bensì come l’accostamento di vari elementi, così come Propp considerò una storia non nella sua interezza ma in tutte le sue parti, che lui denominò funzioni. Allo stesso modo, attraverso le parole della Grammatica della Fantasia in questo lavoro si sta cercando di scomporre la nostra immaginazione e le tecniche che la possono attivare, per renderla meno vaga e per immetterla in un discorso quotidiano che vada aldilà della creazione artistica o dalla svalutazione a gioco infantile. Per concludere il discorso sulle variazioni della fiaba prendiamo in considerazione quelle che Rodari chiama storie in chiave obbligata. Queste storie richiamano molto il ricalco, solo che ci si concentra maggiormente sull’ambientazione e sull’epoca in cui è immersa la storia, consistono nell’immettere una storia già esistente in un quadro storico totalmente diverso da quello originale. Spesso le fiabe non hanno una datazione storica e il distacco dal tempo della fantasia crea nuove opportunità di sviluppo oltre che accostamenti divertenti. Per esempio Rodari ci parla dei Promessi sposi di Manzoni rivisitati durante l’occupazione nazista, sarebbe un buon modo per analizzare all’interno di un romanzo le ingiustizie di quell’epoca. D'altronde ciò che fece Alessandro Manzoni con lo stratagemma narrativo del ritrovamento del manoscritto e con l’ambientazione di duecento anni precedente alla sua non è molto lontano da una rielaborazione in 56
chiave obbligata come la intende lo scrittore di Omegna. Un gioco immaginativo utile per descrivere la realtà. Proseguiamo ora rinvigorendo il discorso sull’utilità dell’analisi nel creare nuove storie e per aiutarci ad immaginare. Prenderemo in considerazione quella che Rodari definisce “l’analisi fantastica” di un personaggio, ovvero la sua scomposizione in fattori primi con lo scopo di rintracciarvi nuovi elementi utili alla costruzione di nuovi binomi fantastici, cioè per inventare nuove storie attorno a quel determinato personaggio. Per dare un esempio possiamo scomporre la Befana, una donatrice secondo le carte di Propp, nei suoi fattori primi: la scopa, i doni, le scarpe rotte. Possiamo estrapolare dal significato classico ognuno dei fattori primi per creare nuove storie immaginarie, rafforzando il discorso sull’importanza e sulla forza dell’incontroscontro tra due parole, del gioco tra elemento reale e fiabesco. Dopo aver fatto l’analisi fantastica di un personaggio possiamo dunque inventare una storia rifacendoci a una delle tecniche sin qui descritte o a più di una contemporaneamente. 10) Il reale entra nella fiaba: Una storia si può inventare anche partendo dalle cose semplici che ci stanno accanto e che sembrano banali o poco creative. Per noi adulti un tavolo è semplicemente un tavolo, può portare insito il significato di riunione familiare, anche se all’interno dei pranzi moderni è sempre più il televisore a tenere in mano il filo del dibattito. Per un bambino invece un tavolo ha mille significati, può essere una casa, un rifugio o una gabbia: il bambino è animista, tende a personificare tutto ciò che lo circonda dando spesso significati diversi agli oggetti al cambiare delle situazioni.
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I giocattoli spesso fanno parte delle storie che inventano i bambini proprio perché nella loro conquista del reale immaginano storie con i punti forti della loro esperienza e il giocattolo preferito è un elemento abbastanza solido. Tra il mondo dei giocattoli e il mondo adulto c’è uno strano rapporto, la definizione di giocattolo si può ottenere per caduta o per conquista. Certe cose che nel mondo adulto hanno perso la loro importanza vengono relegate a giocattoli, un tempo l’arco e le frecce erano portatori di sangue e guerre ora sono un divertimento per i più piccoli, così come le bambole e le maschere un tempo oggetti sacri e oggi semplici oggetti dell’industria del giocattolo. Allo stesso modo l’uomo mentre cresce relega l’immaginazione a pura fantasia irrealizzabile e poco utile, dimenticandosi di quando da bambino scopriva il mondo grazie ad essa. Ci sono poi quei giocattoli che per conquista infantile assumono tale denominazione, per esempio i trenini le automobiline, oppure i giochi di mestieri o di professione. La volontà di crescere porta il bambino ad imitare e a cercare di conquistare il mondo adulto. Si potrebbe argomentare a lungo su questo punto ed analizzare come l’industria abbia influenzato non solo i più piccoli, creando prodotti da ottenere per conquista che siano in grado di alterare, solo in teoria, lo status sociale di una persona. D’altronde i falsi miti e le false realtà sponsorizzate dalle pubblicità giocano sulla nostra immaginazione rendendola passiva ai messaggi e un adulto che vuole conquistare uno status sociale differente attraverso una nuova macchina non è molto distante da un bambino che cerca di conquistare il mondo dei grandi imitando la professione del padre. Ma non è questo il capitolo più adatto per dilungarsi in tali considerazioni.
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11) La matematica delle storie: sin qui abbiamo analizzato degli stratagemmi creativi utili a sviluppare il nostro senso immaginativo, e nonostante abbiamo parlato quasi esclusivamente di racconti fantastici abbiamo, più volte chiamato in causa la logica e la matematica, questo perché la nostra mente va considerata come unica, capace di unire il complesso dell’attività mentale. Rodari inoltre nel paragrafo trentasette della Grammatica paragona i racconti agli insiemi matematici prendendo in esempio la famosa novella del Brutto anatroccolo di Andersen. La storia secondo lo scrittore di Omegna può essere tradotta come l’avventura di un elemento A capitato per errore nell’insieme di elementi B, che non trova pace sin quando non ritorna nel suo insieme naturale, ovvero quello degli elementi A. Nell’antichità la scienza era una sola, è stato l’uomo a crearne il suo plurale per placare la sua sete di sapere crescente, dimenticandosi però che il pensiero è uno solo e non va diviso in più parti per non creare una classificazione di idee e capacità, dando rilievo alla logica e mettendo in disparte la fantasia. Proprio per questa unicità di pensiero possiamo partire da un ragionamento per arrivare ad una storia di immaginazione.
I
racconti
riguardanti
lo
smarrimento
e
il
ritrovamento dei genitori d’altronde altro non sono che la rappresentazione della paura della solitudine e dell’abbandono che possiede il bambino fin dai primissimi anni di età.
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II.4 Immaginazione e linguaggio
Nelle pagine precedenti abbiamo più volte accennato all’intreccio tra linguistica e fantasia, mi sembra ora giunto il giusto momento per argomentare in maniera più chiara tale discorso. Già dalle primissime righe l’opera del Rodari ci presenta l’unione tra la parola e la facoltà immaginativa e prima di iniziare a vedere degli esempi specifici mi sembra opportuno riportare le parole con le quali l’autore termina la sua prefazione, poiché rappresentano, oltre che un buon inizio per questa parte del mio progetto, anche una grande fonte per degli spunti riflessivi.
Io spero che il libretto possa essere ugualmente utile a chi crede nella necessità che l’immaginazione abbia il suo posto nell’educazione, a chi ha fiducia nella creatività infantile, a chi sa quale valore di liberazione possa avere la parola. ‹‹Tutti gli usi della parola a tutti›› mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo.
La nostra immaginazione così come il nostro pensiero nasce e si articola grazie alle parole, immaginare è un buon metodo per raffigurare nella nostra mente le parole e prenderne il pieno possesso. Il nostro vocabolario personale si accresce ogni giorno, ma lasciamo ai bambini l’immaginazione educativa, come se a noi non servisse prendere possesso di una realtà sempre più complessa e cosmopolita. Il processo immaginativo scompone la parola, la analizza, come abbiamo già detto, seguendo le onde di superficie e quelle sommerse all’interno della nostra esperienza, e inoltre suddivide la parola per
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tutte le sillabe che la compongono alla ricerca di quel suono più familiare alla nostra mente che possa permettere più facilmente un accostamento creativo all’interno della nostra memoria linguistica. L’immaginazione ci rende capaci di prendere conoscenza della nostra parole, per dirla come direbbe Saussure, deformando in maniera fantastica un vocabolo noi creiamo un rapporto personale con il termine che ci permette di prenderne possesso. L’immaginazione stimola la nostra libertà di parlanti, attraverso una parola appresa sappiamo descrivere meglio il reale e ci poniamo in maniera attiva e interattiva con il mondo, con l’esterno e con gli altri. Tutto ciò che abbiamo detto sin qui può sembrare ovvio o di poca rilevanza, invece risulta fondamentale per il nostro rapporto con il reale. La nostra mente reagisce in maniera autonoma alle parole che non conosce cercando di ricollegarle per significato o suono alle parole già esistenti nel nostro repertorio linguistico. Questo meccanismo serve per spiegare e assimilare una realtà a noi sconosciuta. Molti degli errori dei bambini derivano proprio da questa autonoma spiegazione della mente, che quando non riconosce una parola tende ad accostarla alla più vicina foneticamente parlando. Ma questo è un problema che non riguarda solo i più piccoli, nella società moderna infatti siamo continuamente circondati da parole vuote o di difficile spiegazione provenienti da linguaggi tecnici a noi oscuri o da lingue diverse dalla nostra. Grazie alle nuove tecnologie apprendiamo, o meglio veniamo a contatto, con diversi vocaboli di questo tipo che generalmente sappiamo spiegare in parte e solo se inseriti nel contesto in cui ci son stati proposti. L’apprendimento avviene per coppie, così come il binomio fantastico nasce per coppie, se riempiamo la nostra mente di 61
vocaboli vaghi, privi di un contrario anche i nostri pensieri saranno più confusi e la nostra immaginazione avrà sempre meno possibilità di sviluppo. Il sovra-caricamento di informazioni e di vocaboli, spesso di difficile spiegazione, ha creato un’ipocrisia linguistica e una moda linguistica che predilige le parole tecniche e i forestierismi che col tempo hanno creato una confusione dialettica oltre che una scarsa informazione, ma ci siamo allontanati troppo da Rodari e dalla Grammatica. Per spiegare meglio le difficoltà che incontriamo di fronte ad una parola a noi nuova possiamo prendere in considerazione le teorie elaborate dal linguista danese Hjelmslev e le differenze che egli ha individuato tra sostanza del contenuto e forma del contenuto. La sostanza del contenuto è il riscontro oggettivo di una parola che più o meno permette a tale parola di non subire importanti variazioni da lingua a lingua. Per esempio con il termine verde indichiamo le lunghezze d’onda visiva comprese tra i 5000 e i 5700 angstrom. Se trasportiamo la parola verde in un'altra lingua non perderemo il possesso di essa poiché sappiamo perfettamente a cosa ci stiamo riferendo. La forma del contenuto descrive al contrario la sostanza di ciò che si è appena detto, perciò è soggettiva. In inglese per esempio la parola hair copre lo spettro semantico della parola italiana pelo ma anche della parola capelli, creando difficoltà nella presa di coscienza della stessa parola. L’utilizzo sempre più frequente di parole che variano per forma di contenuto rispetto al nostro sistema linguistico diminuisce la nostra capacità immaginativa. Allo stesso tempo però non bisogna aver timore di entrare in contatto con nuove parole che a prima vista possono sembrare difficili ˗ Rodari fa l’esempio del termine parallelogramma che abbiamo 62
imparato in quarta elementare nonostante la sua apparente stranezza di suono; proprio la conoscenza di queste parole può portarci alla realizzazione di storie comiche o fantastiche. Il linguaggio immaginario è fondamentale anche e soprattutto nella formazione dei bambini, lo sviluppo dei processi mentali infatti ha inizio attraverso un dialogo, fatto di parole e di gesti, tra il bambino e i genitori. Con le immagini fantastiche spesso riusciamo, attraverso l’uso di poche parole, a rendere più chiaro, o forse più interessante, ai più piccoli ciò che vogliamo insegnargli. Le mamme che fin dalle prime settimane di vita parlano al bambino si comportano come se fossero a conoscenza delle teorie della mente assorbente di Maria Montessori. Il bambino per ‹‹assorbimento›› interiorizza il linguaggio e i segnali provenienti dal mondo esterno. Si viene a creare dunque un linguaggio familiare figlio dell’immaginoso che rendendo un gioco il mangiare, il cambiarsi e il farsi il bagno educa il bambino al reale attraverso l’irreale. Un errore che spesso si commette e quello di descrivere al bambino il mondo attraverso l’uso di diminutivi o vezzeggiativi, come se tali vocaboli fossero più semplici da apprendere, così facendo il bambino interiorizza prima il termine con le sue varie desinenze e poi il termine principale. Il verbo dell’immaginazione: nella nostra analisi del legame creativo tra immaginazione e linguaggio è giunto il momento di parlare di quel tempo verbale capace di trasformare immediatamente il reale in gioco o in storia fantastica. Il famosissimo c’era una volta delle fiabe che permette di trasportare valori, paure e personaggi dal mondo del vissuto a quello dell’immaginazione con il semplice utilizzo dell’imperfetto. Questo verbo ha la capacità di trasformare 63
oggetti e di dislocare il tempo, è un fondale scenico dinanzi al quale il resto del discorso si svolge17. L’imperfetto però non è solo il verbo delle fiabe, del mondo adulto che insegna al mondo dei più piccoli, ma è anche il tempo verbale che i bambini pronunciano nei loro giochi, quando assumono una personalità immaginaria. Rodari propone una modifica grammaticale, un’aggiunta alla definizione dell’imperfetto come il verbo per giocare. Sin qui abbiamo detto molto dell’importanza delle parole nell’educare a vivere e nell’educare a immaginare, ma c’è un diverso tipo di linguaggio capace di aiutare la nostra facoltà immaginativa ed è il linguaggio del movimento. Secondo diversi studi psicologici più della metà della nostra comunicazione si basa sul movimento del corpo e sulle espressioni facciali. Nel capitolo trentadue della Grammatica anche Rodari ci parla dell’importanza della drammatizzazione nell’educazione e nella formazione dell’immaginazione e lo fa attraverso i burattini e le marionette. Un linguaggio che arriva da antiche tradizioni: alcune maschere hanno fatto parte non solo del teatrino dei burattini ma anche della cultura popolare e fino agli inizi del secolo scorso con questo stratagemma teatrale venivano riproposti argomenti biblici, storici e mitologici, venivano realizzate riduzioni di celebri opere letterarie e soprattutto si rappresentavano commedie a sfondo sociale. Per caduta, così come i giocattoli e spesso come la stessa immaginazione, le marionette son passate dal mondo degli adulti al mondo del gioco infantile senza perdere la loro carica educativa.
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Citazione da la Grammatica Rivoluzionaria di Pietro Silvio Rivetta, interna alla Grammatica della fantasia.
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Il linguaggio di questo teatrino si basa sulle maschere che rappresentano i difetti o i pregi di un personaggio, sul movimento corporeo spesso caratterizzato da fughe, inseguimenti e pestaggi del protagonista buono nei confronti dell’antagonista malvagio. Può avere un aspetto comunicativo importante anche la scenografia e l’arredamento scenico a richiamare un mondo immaginario o un luogo reale. Rodari individua due esempi in cui il vedere o il rappresentare un mondo attraverso l’uso di marionette e burattini può aumentare le nostre
capacità
critiche. Il
primo
mette
in
confronto
tale
rappresentazione con i programmi televisivi, le marionette infatti possono creare un alternativa critica all’ascolto puramente passivo delle trasmissioni. Ogni programma televisivo può essere riletto in chiave teatrale, possiamo far partecipare i burattini a famosi programmi televisivi o possiamo ridicolizzare i personaggi televisivi inserendoli nel mondo della fantasia, giocando tra reale e rappresentazione, tra maschere e personaggi veri come se fossimo all’interno di un binomio fantastico. Il secondo sfrutta le rappresentazioni dei teatrini per attribuire dei ruoli nascosti a determinati personaggi: allo stesso modo in cui in una favola l’orco indica il cattivo nelle marionette il diavolo indica le paure, il re il padre e la regina la madre. I burattini possono trasmettere dei messaggi rassicuranti sfruttando l’importanza della comunicazione simbolica che sta alla base del gioco immaginativo. Una marionetta può avere il ruolo di psicologo per un bambino, può aiutarlo a descrivere le sue paure o i suoi sogni, è la marionetta che parla per lui e non lui in prima persona, è questo che gli dà il coraggio per aprirsi maggiormente. 65
L’immaginazione introduce dei messaggi che passano attraverso le parole o le azioni di personaggi che spesso rappresentano lo stesso ascoltatore, è lo stesso meccanismo utilizzato nei romanzi, nei film o nelle serie Tv. Prima di concludere questo capitolo è importante ricordare che la scelta delle parole che la nostra immaginazione usa, l’accostamento di due termini fantastici, la creazione di un binomio narrativo per dirla alla maniera tanto cara a Rodari, è principalmente influenzata dal suono. L’asse della selezione e l’asse della combinazione analizzati da Roman Jakobson sono entrambi influenzati dalla fonetica. Il suono all’interno del nostro pensiero spesso precede il significato e facilita la comprensione e l’ascolto, non a caso la rima è tanto importante all’interno delle fiabe popolari o nei racconti tramandati oralmente, inoltre la complicazione estetica della rima stessa ha spostato la poesia dal campo degli scritti comuni a quello dell’arte. La creazione letteraria così come il gioco del bambino accostano le parole col suono migliore o più simile all’interno del nostro vocabolario personale. Tanto più la struttura di un discorso, di un racconto o di uno scritto saranno vicini alla struttura musicale tanto più interessanti saranno l’ascolto e la lettura. Rodari
nelle
ultime
pagine
della
Grammatica
affida
all’immaginazione la capacità di farci conquistare le parole, di appropriarcene, farle nostre. Egli suddivide l’apprendimento dei vocaboli per due categorie, le parole apprese e quelle vissute. Parole come macchina, computer o scanner possiamo apprenderle con l’esperienza e poi utilizzarle nei nostri racconti fantastici. Al contrario parole come libertà e diritto le conquistiamo attraverso la rappresentazione mentale che poi trasferiamo al reale. Sottolineo 66
ancora una volta l’importanza dell’immaginazione per apprendere, vivere e migliorare il reale, l’uguaglianza nasce da un sogno utopico, da una speranza per un vissuto migliore. La potenza dell’immaginazione sta nel non rifiutare gli stimoli proposti dall’esperienza, nel costruire le varie pressioni che questa apporta. Il linguaggio si struttura per unità e l’originalità del pensiero fantastico sta nella disposizione inattesa delle unità18. La disposizione inattesa altro non è che lo spaesamento creativo analizzato nella prima parte, il perdersi per ritrovarsi è il tema alla base dei romanzi di formazione, anche un’apparente perdita può essere generatrice. Concludiamo questa parte dedicata al legame tra fantasia e dialettica ricordando il grande rilievo che hanno avuto nel corso dei secoli i racconti, gli scritti, le fiabe e le immagini narrative sulla modifica dei linguaggi. La voglia di decifrare e tradurre una cultura differente dalla nostra ha portato spesso ad una mistura linguistica oltre che all’assorbimento di mondi e immagini lontani dalla nostra esperienza. Ascoltare o utilizzare l’immaginazione è una forma di arricchimento. Infine vorrei ricordare che la parola fabula, da cui favola, deriva dal verbo latino fari, ovvero parlare: la favola altro non è che la cosa detta,
un
messaggio
che
dall’analisi
del
reale,
dalla
sua
rappresentazione, ritorna al vissuto attraverso le nostre interpretazioni.
18
A. MARTINET, Elementi di linguistica generale, Bari, Laterza, 1966, pp. 21-23.
67
II.5 Immaginare ed educare
Questa terza parte è dedicata al legame tra la fantasia e la formazione; all’interno della Grammatica di Rodari indubbiamente questo è il tema fondamentale, anche in questo personale lavoro tale concetto è uno dei più rilevanti ma ho volutamente deciso di non inserirlo per primo. Poiché come più volte ricordato lo scopo di questo progetto è rivalutare il mondo dell’immaginazione e le enormi capacità che possiede tale facoltà del pensiero emancipandola, grazie ai lavori del maestro di Omegna e di Bianca Pitzorno, dalla limitata visione del pensiero immaginativo legato esclusivamente all’infanzia. La formazione è la base per la crescita e lo sviluppo di ogni individuo, l’immaginazione svolge un ruolo educativo fondamentale, partendo dall’immaginario infatti ci guida nell’apprendimento del reale, il gioco diventa insegnamento. Rodari tra le sue pagine ci parla spesso dei bambini e di come porli dinnanzi alla creatività, ma in maniera celata tra le righe della sua opera possiamo notare come il messaggio di fantasia maestra di vita sia rivolto anche agli adulti, a tutti coloro che spesso si dimenticano che non si smette mai di crescere. L’educazione e la formazione di una persona non si arrestano al raggiungimento della maggiore età. Il mondo è in continuo mutamento, per apprenderlo appieno dobbiamo percepire noi stessi come entità mutevoli capaci di non fermare mai il nostro sviluppo intellettuale. Prima di avventurarci nell’argomento è importante fare una premessa: l’immaginazione ancor prima che un concetto mentale è un diritto, tutti la possiedono e tutti devono avere la possibilità di 68
imparare ad ascoltarla. Più in avanti analizzeremo l’argomento scuola e immaginazione, ma è necessario ricordare sin da subito che l’immaginazione deve servirci e non servirsi di noi, dobbiamo dunque allontanarci dal metodo qualitativo e valutativo scolastico, poiché la fantasia educativa è un gioco che non premia i più meritevoli ma cerca di far interagire tutti. Iniziamo innanzitutto ricordando che immaginare significa rappresentare la realtà all’interno della nostra mente: l’immaginazione analizza gli oggetti in una sorta di prolungamento delle capacità sensoriali. Chi usa la fantasia è dunque capace di reagire in maniera creativa agli stimoli provenienti dall’esterno, anche nei confronti di quei messaggi che alla volte rischiano di renderci passivi e acritici, come le pubblicità, le trasmissioni televisive e l’uso sregolato di internet. Sviluppare la fantasia educativa nei bambini d’oggi è molto importante vista la continua pressione informativa a cui sono sottoposti sin da piccolissimi dovuta all’utilizzo quotidiano delle nuove tecnologie. Rodari nelle prime pagine della Grammatica propone l’esempio di un bambino di cinque anni che raccontando una storia sulla parola ciao aveva catalogato tale termine come parola buona, memore della distinzione, forse anche troppo severa, tra parole e parolacce, e come parola corta. Secondo Rodari il bambino considerava la parola come corta poiché influenzato in maniera creativa da una pubblicità televisiva in cui l’allontanarsi di due mani faceva comparire una scritta. Il bambino aveva appreso da tale messaggio che anche le parole sono misurabili e aveva riproposto tale considerazione all’interno del suo racconto. Il metodo migliore per avvicinare i bambini all’immaginazione è quello del riso, ridere porta a capire la coppia di giusto e sbagliato, 69
ridere dell’errore porta a capirlo profondamente, così come nelle fiabe lo storpiamento finale del personaggio cattivo lo rende buffo e innocuo per aiutarci a superare la paura che esso rappresenta. Lo scrittore di Omegna critica la severità e la rigidità scolastica che bandiscono la risata dalle classi, egli come maestro può descrivere dall’interno i problemi della scuola della sua epoca, per lui l’idea che l’educazione debba essere tetra è il problema più difficile da combattere. Son passati più di trent’anni dal giudizio sulla scuola espresso da Rodari, la scuola moderna è sicuramente più libera e comprensiva rispetto a quella dei tempi dell’autore, però ancora oggi si compie lo sbaglio di considerare più produttiva un’educazione basata sul giudizio e sulla pressione, intenta ad ascoltare i programmi ministeriali senza dar voce ai problemi effettivi dei ragazzi. L’errore può essere creativo, come abbiamo visto nella parte dedicata agli esercizi fantastici, perciò un bambino va incoraggiato dopo un errore e non sgridato. Invogliare il bambino ad inventare una storia riguardante l’errore da lui commesso è una maniera per stimolare in lui il riso di superiorità, cioè renderlo cosciente dello sbaglio stesso. Ridere e burlarsi del mondo è una maniera per comprenderlo appieno, che sia uno scritto di prima elementare o un’opera di Voltaire. La fantasia ragiona per coppie così come il nostro pensiero, lo ripetiamo ancora una volta. Spesso dopo un errore il bambino viene invitato a riscrivere, in maniera noiosa, il termine giusto, la ripetitività aiuta, lo dicevano anche i latini, solo quando crea degli stimoli. Chiudiamo questa parte dedicata alle sviste dei più piccoli e al modo fantasioso per la loro correzione ricordando un vecchio
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proverbio, ormai ingenuamente in disuso, sbagliando si impara che lo scrittore della Grammatica ha trasformato in sbagliando si inventa. Molti potrebbero pensare che l’immaginazione con l’utilizzo frequente dell’assurdo possa distorcere la comprensione e la conoscenza dei più piccoli invece che aiutarli, all’interno della sua opera al contrario Rodari ci ricorda di non sottovalutare i bambini e di non sottovalutare noi stessi. Spesso infatti non facciamo una determinata azione perché sembra troppo complicata e allo stesso modo teniamo fuori da certi temi complicati anche i ragazzi. Anche l’assurdo e l’utopico possono essere educativi, basta ascoltare gli insegnamenti di Gramsci, non fermarsi al campo della teoria nata dalla nostra intelligenza ma spostarsi sul terreno della volontà, dell’azione nel reale, scegliere insomma se essere ottimisti o pessimisti. La forza motrice del gioco del bambino è crescere, come abbiamo già accennato egli imita i genitori, i lavori e gli atteggiamenti dei più grandi, cresce attraverso un’opera teatrale nella quale egli cerca di interpretare tutti i ruoli. Questa volontà di maturare porta il bambino ad affrontare parole e situazioni che ai nostri occhi sembrano essere più grandi di lui, un buon modo per aiutarlo è non limitare il suo vagare nell’assurdo attraverso l’immaginazione, in questa maniera formerà anche il suo pensiero scientifico, nonostante sembri molto lontano da un ragionamento logico, d'altronde anche in matematica esistono le dimostrazioni per assurdo. Abbiamo sin qui parlato del bambino e del suo rapportarsi al mondo esterno, l’immaginazione però essendo un processo mentale soggettivo aiuta anche a prendere coscienza di sé stessi. La conoscenza di noi stessi si forma anche attraverso il nostro apprendimento dell’esterno e il nostro atteggiamento nei confronti 71
dell’esterno
è
influenzato
dalla
conoscenza
di
noi
stessi.
L’immaginazione ha la capacità di fare da tramite tra il nostro io e il mondo attorno a noi. Un buon esercizio da proporre al bambino sin dai primissimi anni di vita è quello di raccontargli o di fargli raccontare delle storie in cui il protagonista è lui. In questo modo sarà il bambino in prima persona ad affrontare le paure, a conoscere chi è, un figlio, un nipote, un cugino. e chi non è. La fiaba di Pollicino è stata scritta in questo modo, pensando ad ogni bambino e alla paura dell’abbandono da parte dei genitori, generalmente il finale porta ad un ritrovamento delle persone tanto amate, nel caso invece la storia porta ad una crescita del piccolo Pollicino che diventa grande e autonomo. L’immaginazione può dunque formare il bambino, aiutandolo a crescere con un finale come quello dei fratelli Grimm oppure rassicurarlo e fortificare le sue sicurezze con il classico finale del ritorno al punto di partenza: il bambino tra le braccia dei genitori. Per Vladimir Propp la fiaba deriva dagli antichi rituali di iniziazione, così come le maschere e le bambole, attraverso il racconto il bambino si fa uomo. Non bisogna pensare che la fiaba educhi solamente alle possibilità positive per il bambino, spesso infatti all’interno di una storia i più piccoli si trovano davanti a divieti ed entrano in primo contatto con la legge. Il divieto per il bambino è uno scontro con le autorità che ricalca i ‹‹si›› e i ‹‹no›› paterni creando nella sua mente l’idea di lecito e illecito. Il divieto può anche avere un risvolto positivo, inteso come ordine infatti gli indica come fare per riuscire in qualcosa senza sbagliare, inoltre mette per la prima volta il bambino di fronte ai limiti
72
che la realtà e la società impongono alla sua libertà aiutandolo nella sua futura socializzazione. Rodari ci ricorda più volte nelle pagine della sua opera, e mi sembra giusto ripeterlo anche in questo lavoro, di non lasciare che il bambino giochi in maniera acritica subendo i messaggi e i giocattoli della grande industria. L’immaginazione infantile e il gioco stanno diventando elementi oggettivi, sempre meno personali, lo stesso gioco può arrivare a un bambino di qualsiasi nazione, tutti scelgono lo stesso sogno, lo stesso modo di giocare, perché c’è chi ha già scelto per loro. Rodari vorrebbe più fiabe all’interno delle case e delle scuole affinché i bambini, e non solo, fossero innanzitutto creatori e non consumatori. Una fiaba è composta da tanti piccoli elementi, quelle che Propp chiamava carte, simili ai tasselli di un puzzle infinito, far giocare il bambino con la propria e con la nostra immaginazione è educativo non solo per lui e soprattutto lo annoierà in maniera minore rispetto ad un giocattolo in continua competizione con il nuovo. In una società come questa molto frenetica si potrebbero considerare le fiabe come un nuovo metodo grazie al quale gli adulti possono gestire in maniera sbrigativa le richieste dei più piccoli, allo stesso modo in cui troppo spesso vengono utilizzati i cartoni animati e i messaggi passivi della televisione. La fiaba è un gioco a due, spesso al bambino piace unicamente perché indica il momento passato con la persona a cui vuole bene, non è qualcosa che distrae o rende silenzioso il bambino anzi lo coinvolge e lo rende partecipe, gli adulti devono saper gestire il rapporto tra reale e immaginario ascoltando le richieste dei ragazzi. Rodari ci insegna ad ascoltare bene le domande dei bambini per capire se è il momento di dare delle informazioni
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oppure se il bambino ha già capito la realtà ed intende giocarci inventando una storia fantastica. L’immaginazione è figlia dell’esperienza, sicuramente nel corso degli anni l’esperienza dei più piccoli è aumentata grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie, che sembrano quasi accelerarne la crescita; compito dei genitori è gestire non tanto la quantità ma l’intensità e la qualità di tale esperienza. Spesso per distrazione non ci accorgiamo dei monologhi che fa il bambino mentre gioca, usando i giocattoli come proiezione della sua esperienza personale, e raccontando di sé stesso più di quanto non ci confiderebbe. Per chiudere questa parte dedicata al gioco e all’uso del gioco tra adulti e bambini riporto le ultime righe del capitolo trentuno della Grammatica in cui Rodari ben sintetizza quanto sin qui detto. L’adulto ha sul bambino, quando gioca con lui, il vantaggio di disporre di un’esperienza più vasta, dunque di poter spaziare più lontano con l’immaginazione. Per questo ai bambini piace avere i genitori come compagni di gioco. Per esempio, se fanno insieme le costruzioni, l’adulto sa calcolare meglio proporzioni ed equilibri, possiede un repertorio più ricco di forme da imitare Il gioco si arricchisce, conquista in organizzazione e durata, si apre a nuovi orizzonti. Non si tratta di giocare ‹‹al posto del bambino››, relegandolo all’umiliante ruolo di spettatore. Si tratta di mettersi al suo servizio. Lui comanda. Si gioca ‹‹con lui››, ‹‹per lui››, per stimolare la sua capacità inventiva, per consegnargli nuovi strumenti per quando gioca da solo, per insegnargli a giocare. Si impara da lui a parlare ai pezzi del gioco, ad assegnare loro nomi e ruoli, a trasformare un errore in un’invenzione, un gesto in una storia.
Immaginare significa anche sognare o per lo meno ipotizzare il proprio futuro o un avvenimento. Il bambino è carico di aspettative personali che noi abbiamo il compito di esplorare ed invogliare. Una fiaba può presentare un futuro ricco di soddisfazioni e compensi grazie ai suoi lieti fini, ci carica di fiducia e ottimismo per affrontare il 74
futuro della vita che non sarà sempre così lieto. L’utopia ha il valore educativo di farci sperare sempre, a discapito di tutto, in un mondo migliore. Immaginarsi in futuro inoltre è un buon modo per conoscere noi stessi e capire quanto è grande la nostra forza di volontà. Sin qui abbiamo parlato dell’immaginazione educatrice e dell’importante ruolo che ha il genitore come guida nel percorso della fantasia, ora per chiudere questa parte del progetto parleremo dei tabù sociali che ostacolano la facoltà immaginativa e del ruolo marginale che ricopre la fantasia all’interno del sistema scolastico. Con il termine
tabù
intendiamo
quegli
argomenti
che
l’educazione
tradizionale considera come scomodi e da non discutere con i bambini. Generalmente creati dall’opinione pubblica riguardano soprattutto le funzioni corporali e le curiosità sessuali, sono gestiti in maniera più forte dagli apparati scolastici rispetto ai gruppi familiari, per questo nel corso degli anni la scuola si è sempre più allontanata da certi argomenti affrontandoli esclusivamente in maniera scientifica. Le fiabe sono al contrario del tutto prive di ipocrisia, nella loro libertà narrativa fanno ampio uso del gergo escrementizio e suscitano il riso indecente. Ancora una volta la risata è educativa, se nell’errore crea la superiorità, la coppia giusto sbagliato nei tabù crea una senso liberatorio che distacca il termine dal divieto, dalla paura di pronunciarlo. D’altronde nella vita di un bambino la fase del “vasino” in cui viene a conoscenza dei suoi bisogni fisiologici è difficile e imbarazzante, affrontarla con il sorriso e con la capacità di scherzarci e inventarci qualche storia a riguardo può aiutare a superare tali problematiche. Un riso liberatorio ed educativo generalmente vietato, ma di cui il bambino ha bisogno molto più di quanto pensi l’adulto. Pronunciare la 75
parola vietata aiuta a sdrammatizzare il termine e aiuta a non sentir più la
voglia
di
pronunciare
determinati
vocaboli
che
spesso
esclusivamente l’ipocrisia linguistica considera come parolacce. La scuola spesso non ha il tempo per ascoltare tutti i problemi legati alla crescita che sin qui abbiamo descritto e indubbiamente non usa l’immaginazione per aiutare i ragazzi a superare tali difficoltà. Interrogazioni, voti e una rigida routine didattica impostano la scuola come un’istituzione, l’educazione passa dall’essere un momento di vita ad essere un momento scolastico. Nell’immaginazione del bambino il messaggio insegnatogli si scontra con tutte le forze della sua personalità e rimane improduttivo, lo rende passivo, se egli è condizionato ad ascoltare solo per conformarsi con ciò che ascolta, restando nei limiti del modello culturale e morale impostogli, in questi casi il bambino finge di ricevere e interagire col messaggio ma principalmente finge educatamente per adattarsi ad un sistema che lo giudica per confronto e non per gli stimoli a cui risponde. Spesso i ragazzi, anche nelle scuole superiori non son invogliati ad aprirsi ma vengono costretti a fingere scrivendo o argomentando ciò che pensano che gli insegnanti vogliano sentire da loro. Questa rigidità didattica frena la passione dei ragazzi per la lettura, che non essendo un istinto naturale viene a formarsi nei banchi di scuola: la lettura diventerà esercizio e non passione. I ragazzi leggeranno solo se obbligati e ricercheranno nella lettura personale temi che non siano contaminati dalla rigidità scolastica, con il pericolo di chiudersi in letture molto distanti dal reale. L’immaginazione, per citare Rodari, nelle scuole è trattata da parente povera
dell’attenzione e della memoria poiché queste
76
costituiscono le caratteristiche dello studente modello, che poi è il più comodo e malleabile. L’immaginazione costruisce con elementi presi dalla realtà e li combina con l’esperienza per ricreare nuove immagini; per nutrirla e svilupparla in tutti i suoi orizzonti il bambino deve crescere in un ambiente ricco di stimoli e impulsi diretti in ogni direzione, anche in quelle che sembrano più lontane da lui, anche in quelle che sconfinano nei cosiddetti tabù. La scuola deve essere in grado di far sorgere in tutti i ragazzi la caratteristica creativa e per farlo deve riuscire a non esser repressiva, una società composta da persone creative farà del pensiero divergente e della libertà espressiva i suoi fondamenti. Per creatività scolastica non si intende lasciare piena libertà alle idee dei ragazzi e nemmeno guidarli unicamente alla scoperta di quelle materie che sembrano più vicine a tale argomento, ma allargare la libertà creativa anche al campo delle materie scientifiche per riuscire a sovvertire
il
sistema
attuale
che
reprime
le
potenzialità
dell’immaginazione e della varietà di pensiero. L’educazione deve essere estetica in maniera tale da non subire un atteggiamento passivo dell’apprendimento ma arrivare a considerarlo come un intervento creativo sul proprio modo di essere e sul mondo che ci circonda. Anche la figura del maestro deve cambiare, non bisogna più considerarlo come un dispensatore di un sapere confezionato all’interno dei paragrafi di un libro, ma come un animatore dello sviluppo immaginativo che non crea una gerarchia tra materie ma è capace di analizzarle come parti fondamentali capaci, se unite, di descrivere il reale. In questa maniera si plasmerà una generazione di giovani diversa da quella odierna, non consumatori di valori e cultura ma produttori di cultura e valori. 77
Ci stiamo spingendo in considerazioni che vanno al di là dello scopo di questo paragrafo, sarebbe un peccato però non considerare il legame tra immaginazione e società, affronterò quindi tale argomento nel prossimo e ultimo capitolo di quest’analisi sulla Grammatica della Fantasia di Gianni Rodari.
II.6 Società e pensiero creativo Prima di parlare nello specifico dell’utilità dell’immaginazione all’interno del pensiero comune vorrei brevemente fare una piccola specificazione introduttiva riguardo alle parole “immaginazione” e “fantasia”, il loro utilizzo e il loro significato. Fin qui abbiamo utilizzato i due termini come sinonimi in maniera corretta se consideriamo
gli
insegnamenti
filosofici
aristotelici
e
di
Sant’Agostino, ma all’interno del pensiero sociale non sempre vengono considerati con lo stesso significato. La filosofia nel corso degli anni divise le due parole creando un’immaginazione riproduttiva e un’immaginazione produttiva capace quest’ultima di creare la facultas fingendi, come direbbe Wolff, ovvero rappresentare immagini mai percepite dai sensi. Con Hegel invece l’immaginazione viene relegata al campo della riproduzione mentre la fantasia si eleva al campo di creatività artistica, questo pensiero venne poi sfruttato per creare distinzione razziale tra i poeti o la categoria degli artisti e gli uomini comuni, e come ci insegna Marx, ‹‹La concentrazione esclusiva del talento artistico in alcuni individui e il suo soffocamento nella grande massa che ad esso è connesso sono conseguenza della divisione del lavoro››.
78
Proprio dal pensiero hegeliano dunque derivano le odierne glorificazioni della fantasia intesa come estro o genio e le odierne svalutazioni della facoltà immaginativa vista come futile capacità comune capace semplicemente di allontanare dal reale. La filosofia moderna e la psicologia che ormai da diversi anni si occupa dell’argomento non considerano errore utilizzare i due termini come sinonimi. Grande lavoro nel riportare l’immaginazione e la fantasia al livello quotidiano e comune fece Jean Paul Sartre, come già si è ampiamente detto all’inizio del progetto, che descrisse entrambe, sullo stesso livello, come due capacità dell’intelligenza umana,
ma
soprattutto liberalizzò la facoltà immaginativa con la celebre frase ‹‹L’immaginazione è un atto, non una cosa››, non appartiene ad un’èlite, non la si può comprare. Per concludere questa parte riporterò alcune frasi del Rodari che chiariscono ulteriormente come il pensiero artistico abbia elevato la fantasia in maniera elitaria e come invece dobbiamo ascoltare le parole di autori come Sartre per riappropriarci della nostra creatività. L’immaginazione è un modo di operare della mente umana, riconosciuta a tutti gli uomini e non a pochi privilegiati o a pochi selezionati. Possiamo descriverla come una comune attitudine alla creatività, rispetto alla quale le differenze si rivelano per lo più un prodotto di fattori sociali e culturali. La funzione creatrice dell’immaginazione appartiene all’uomo comune, allo scienziato, al tecnico; è essenziale alle scoperte scientifiche come alla nascita dell’opera d’arte; è addirittura condizione necessaria della vita quotidiana.
L’immaginazione si sviluppa soprattutto con il gioco nell’età infantile, non a caso abbiamo dedicato diverse pagine all’importanza del gioco creativo e al ruolo della fantasia come forma educativa. I giochi e le fiabe dei bambini servono alla poesia, alla musica, alla 79
politica, all’uomo intero, aiutano proprio perché in apparenza sembra non servano a nulla proprio come il teatro o lo sport. La società moderna non si basa su uomini creativi ma sulla spinta del mito della produttività si è circondata di uomini consumatori, fedeli esecutori e riproduttori del sistema; per cambiare tale società abbiamo bisogno di riscoprire l’immaginazione. Rodari ammoniva così quarant’anni fa e nonostante tutto questa considerazione resta attuale ora come allora o addirittura lo diviene ancora di più. La creatività è sinonimo di pensiero divergente, capace di rompere gli schemi prestabiliti, è una capacità generatrice in moto continuo, pone nuove domande dove in maniera acritica si possono trovare comode risposte, rende indipendenti e autonomi i pensieri rifiutando conformismi e omologazione. L’immaginazione ha il doppio compito di rappresentare la realtà, insegnarla e descriverla, e soprattutto trovare delle nuove possibilità, delle nuove condizioni per il reale. La società teme l’immaginazione poiché essendo una facoltà comune a tutti possiede la forza per generare rivoluzioni e cambiamenti scomodi alle gerarchie preesistenti; non si dà il giusto spazio al rinnovamento immaginativo e si pensa che il sistema capitalistico possa terminare esclusivamente attraverso un’apocalisse, poiché le classi che hanno più potere e possono condizionare il pensiero comune vedono il loro tramonto in chiave di catastrofe e non di nuova nascita. L’ammonizione che lo scrittore di Omegna rivolse nelle ultime righe della sua opera è dunque quella di essere creativi e non consumatori, di dare spazio all’immaginazione e non al sogno dell’acquisto; in un mondo come quello odierno spesso dimentichiamo
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chi siamo, mettiamo a tacere la nostra identità per utilizzare i desideri che ci vengono venduti nei discount mediatici. Quest’ultima parte del lavoro dedicata al Rodari è la più breve ma sicuramente la più importante, non mi son dilungato troppo nel riportare il suo pensiero e le mie considerazioni sull’immaginazione e il suo bisogno all’interno dell’individuo e della società per non essere pedante, spesso poche righe sono più esaustive che un manuale, così come la Grammatica che altro non è se non un piccolo saggio di neanche duecento pagine, capace però di creare infiniti richiami e numerose riflessioni. Avevo iniziato questo lavoro con il motto rodariano ‹‹Tutti gli usi della parola a tutti››, vorrei concludere questa parte rivedendo quel motto in ‹‹Tutti gli usi della mente a tutti››: abbiamo come esseri umani la capacità, il diritto e il dovere, di analizzare il mondo attraverso i nostri occhi senza influenze o sottomissioni di pensiero, per considerarci liberi di esprimerci, però noi stessi in prima persona dobbiamo rivendicare la nostra immaginazione e coltivare uno sviluppo onnilaterale del pensiero dell’individuo.
81
Capitolo III Ideali, immaginazione e scrittura
III.1 Bianca Pitzorno
Quello dello scrittore, per quanto mi riguarda, è un lavoro solitario. Quando alla fine si pubblica un testo è come scagliare una freccia nel buio. Qualcuno forse ne verrà colpito; non sappiamo chi, e non ci è necessario saperlo.19
Bianca Pitzorno nasce a Sassari nel 1942. La sua passione per la scrittura si sviluppa precocemente tanto che già negli anni delle elementari scrive i suoi primi romanzi e le sue prime poesie. Si diplomerà presso il Liceo classico Domenico Alberto Azuni di Sassari e dopo la maturità si iscriverà presso la Facoltà di Lettere Antiche a Cagliari. Durante il periodo universitario sviluppa la passione per il cinema realizzando anche alcuni cortometraggi, inoltre grazie ai corsi e alle lezioni frequentate all’università inizia ad interessarsi di fotografia e di archeologia preistorica. Laureatasi nel 1968 lavora in un primo momento come archeologa presso il Museo di Sassari decidendo in seguito di trasferirsi a Milano, dove frequenterà il corso postuniversitario della Scuola Superiore delle Comunicazioni Sociali, specializzandosi in Cinema e Televisione.
19
Frase dell’autrice sassarese estrapolata http://www.biancapitzorno.it/index.php/chi-e/chi-sono.
dall’indirizzo
web
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Nello stesso periodo si iscrive alla Scuola di Recitazione del Piccolo Teatro di Milano e per vivere insegna psicologia presso le scuole professionali serali sempre nel comune di Milano. Nel 1970, dopo aver vinto una selezione, Bianca Pitzorno viene assunta alla Rai, come funzionaria, non è la prima esperienza in campo televisivo in quanto negli anni precedenti aveva collaborato con la RTSI (Radiotelevisione della Svizzera italiana). Sempre nel 1970 vice un concorso bandito dalle Edizioni Svizzere della Gioventù, riuscendo così a pubblicare il suo primo libro, Il grande raduno dei cow boys, un racconto illustrato per piccolissimi. Da quel momento in poi l’autrice sassarese inizierà a dividersi tra il lavoro televisivo e la carriera di scrittrice collaborando con Bietti e Mondadori. Nel 1977 decide di lasciare la Rai per dedicarsi esclusivamente alla scrittura, rimarrà comunque in contatto con il mondo televisivo e collaborerà anche alla realizzazione di programmi e soggetti per telefilm. Il periodo che va sino alla fine degli anni Ottanta la vede impegnata come scrittrice a tempo pieno, oltre ai testi scrive anche per delle riviste di critica letteraria, spesso nei suoi romanzi intreccia le esperienze televisive con la propria vena creativa e non è un caso se molti dei suoi scritti poi diventano sceneggiature per la Rai, come nel caso del telefilm E ricchissimo diventerai. Nel 1984 pubblica la biografia Vita di Eleonora d’Arborea, costata cinque anni di ricerche, primo esempio di una vasta pubblicazione futura di biografie femminili. Nonostante il discreto successo il rapporto con gli editori non è semplice, la Pitzorno non accetta di scendere a compromessi pur di vedere pubblicati i suoi 83
scritti e per mantenere la totale libertà di scrittura decide di scrivere solamente in forma privata. Cambierà questa drastica idea solamente dopo aver conosciuto Margherita Forestan responsabile del Settore Ragazzi della Mondadori, con la quale collaborerà per più di vent’anni. Nel 1990 inizia la collaborazione con la Rai per la realizzazione del programma televisivo L’albero Azzurro. Nel 1995, in seguito ad un viaggio personale, l’autrice incomincia a collaborare con la biblioteca Ruben Martinez Villena dell’Avana, a Cuba. Nel 1996 riceve dall’Università di Bologna la Laurea honoris causa in Scienze della Formazione. Nel 2001 viene nominata ambasciatore dell’UNICEF. Nello stesso anno incomincia il progetto Un mar de suenos, che ha il fine di tradurre e portare in America Latina i classici della letteratura italiana. Nel 2002 insegna Letteratura Giovanile presso la “Bicocca” di Milano. Sino ad oggi i libri della Pitzorno sono stati tradotti in diverse lingue, non solo europee, e nella versione originale italiana i suoi scritti hanno superato i due milioni di copie.
III.2 Immagini narrative e fantastiche In quest’ultima parte del mio progetto prenderò in analisi alcuni testi ed il pensiero artistico della scrittrice Bianca Pitzorno per descrivere un differente rapporto con l’immaginazione, lontano dalla teorizzazione formativa del Rodari e più vicino al campo dell’arte.
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Tale lavoro nasce in parte anche da uno scambio di opinioni avuto via posta elettronica con la stessa scrittrice sassarese, la quale ha rifiutato di rispondere rigidamente a delle domande, disdegnando di attenersi a quella ricerca della teoria che spesso, e non sempre giustamente, lavori come una tesi o un progetto di studio richiedono in maniera un po’ troppo rigida. La scrittrice ha preferito descrivermi come nasce in lei la fantasia e come sfrutta tale facoltà all’interno delle proprie pagine, preferendo però che le proprie parole non venissero riportate in questo lavoro. Siamo molto lontani dall’idea del meccanismo immaginativo, del processo fantastico descritto dal maestro di Omegna, la Pitzorno afferma di immaginare istintivamente trovando inutile indagare sul funzionamento del palcoscenico dell’immaginazione. Tale pensiero rispecchia quella presunzione immaginativa, già descritta dal Rodari, nella quale incappano spesso e volentieri gli artisti rifiutando l’idea che anche la creatività possa avere una logica anche se in fin dei conti essi utilizzano in maniera inconscia i processi creativi citati nella precedente parte del mio lavoro. Nonostante questo però non significa che attraverso le opere della Pitzorno non possiamo trovare dei chiari esempi di immaginazione attiva e creativa, così come ho cercato di presentarla sino ad ora, dobbiamo semplicemente essere più attenti, poiché se è vero che la scrittrice sarda rifiuta la teorizzazione, è anche vero che all’interno dei suoi libri troviamo spesso un’allegoria dell’immaginazione con la capacità di rimandare a degli spunti riflessivi tanto quanto un saggio. Stiamo parlando di una creatività che si nasconde dietro ad un velo unendo e mescolando immagini e personaggi reali con immagini fantastiche, lasciando trasparire l’esperienza, il vissuto e l’invenzione artistica dell’autrice. 85
Non dobbiamo semplicemente aspettare che gli artisti riavvicinino l’immaginazione a tutti, ma dobbiamo essere noi in prima persona, una volta presa coscienza di tale facoltà della mente, a ricercarla anche dove sembra non esserci o dove la ricerca risulta più difficile senza studiarla in maniera memonica, creando sempre nuovi spunti dalle nostre letture e dalle nostre riflessioni per non sconfessare quello che è il fondamento della fantasia, ovvero un moto creativo continuo. Dobbiamo prendere più coscienza di noi stessi quando leggiamo o riceviamo un messaggio, dobbiamo porci in maniera attiva nei confronti di ciò con cui ci rapportiamo; non esiste un ascoltatore tipo, diceva Rodari, poiché ogni ascoltatore è diverso, la grande industria ha inventato un desiderio e un’aspettativa comune per riuscire a vendere su grande scala i propri prodotti. La stessa Pitzorno all’interno del suo sito ci avvisa che i suoi libri altro non sono che dei messaggi paragonabili a delle frecce lanciate nel buio, sta a noi raccogliere tali messaggi, decifrarli secondo quello che la nostra mente in quel preciso momento ci indica. Ogni scrittore inserisce la propria esperienza all’interno di un libro, le chiavi di lettura sono molteplici, non sono indicate, sta a noi scoprirle, lo scrittore ci propone un enigma al quale dobbiamo trovare la soluzione. Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore, come ci ha insegnato Proust, è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. Le immagini narrative unite a quelle fantastiche dunque sono i messaggi che la scrittrice sarda ci invia con i suoi testi, non ci prende per mano come faceva Rodari ma ci invita ad immaginare insieme a lei e non per forza con lei, ci suggerisce la fantasia senza dirci come 86
iniziare o su cosa fantasticare. Se inventassero una scuola per l’immaginazione Rodari sarebbe il maestro dell’infanzia e la Pitzorno la professoressa delle scuole superiori, il primo alfabetizza la nostra immaginazione insegnamenti
mentre
la
precedenti,
seconda, dando ci
istruisce
per alla
scontato
gli
creatività
e
all’anticonformismo intellettuale. Discutendo con la scrittrice isolana ho compreso come, nonostante il tentativo di allontanarsi dal discorso di stampo teorizzante, anche lei crei le sue storie attraverso un’ipotesi, da una situazione di partenza inusuale
dovuta
all’esperienza
e
poi
riscritta
attraverso
l’immaginazione. La Pitzorno dice che per lei immaginare è un atto spontaneo, come respirare, però in maniera inconscia il suo discorso sulla creatività non si allontana di molto da quelle che sono le considerazioni sulla forza delle possibilità immaginativa e sul già ampiamente discusso straniamento creativo. Nelle storie e nelle pagine della scrittrice sassarese, che più in là in parte analizzeremo, si alternano individui e spunti provenienti dalla realtà combinati con le rappresentazioni della immaginazione. Immagini narrative e immagini fantastiche quindi, un binomio creativo che Rodari chiamerebbe fantastico, ed ecco ancora un altro legame tra due autori che la critica più volte ha provato ad associare nonostante le grandi differenze stilistiche e non me ne voglia la stessa Bianca Pitzorno se più volte la accosterò ai concetti del maestro di Omegna, sicuramente troppo teorizzanti e poco artistici per lei ma comunque molto vicini per messaggi trasmessi.
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III.3 Lotta di classe e immaginazione
Nella parte precedente abbiamo presentato la creatività della scrittrice sassarese Bianca Pitzorno analizzando il suo rifiuto per una teorizzazione della fantasia, ma descrivendo quella sua allegoria immaginativa che si nasconde all’interno dei suoi libri, in questa parte citeremo alcune delle opere della scrittrice per fare degli esempi e rendere più chiari gli espedienti narrativi utilizzati nel tentativo di insegnare e migliorare il mondo reale attraverso il gioco della scrittura. Spesso e volentieri questa autrice è stata ingiustamente e troppo frettolosamente relegata al campo di scrittrice per bambini senza dar peso ai messaggi importanti, non solo per i più piccoli, che le sue pagine lasciavano intuire. L’elemento
costante
della
scrittura
dell’artista
sarda
è
indubbiamente l’attenzione per i personaggi femminili, spesso unici protagonisti delle opere della Pitzorno. Nei suoi libri, spesso giudicati in maniera semplicistica come letture estive per ragazzi, traspaiono i problemi relativi all’essere donna, analizzati da spunti reali sapientemente uniti a immagini narrative fantastiche. Non è semplice giudicare e interpretare le opere della scrittrice isolana, forse anche per questo il suo successo è stato maggiormente indirizzato verso la letteratura per ragazzi che troppo spesso consideriamo unicamente legata al divertimento, inteso come distrazione, invece che all’apprendimento. Nonostante non ami essere catalogata solamente per alcune delle sue opere, la stessa Bianca Pitzorno confessa che considera il romanzo 88
come un sistema complesso; il compito dello scrittore non deve essere quello di semplificare il mondo, renderlo affascinante attraverso le giuste parole, un buon libro non è considerato tale quando fornisce varie risposte ma al contrario quando suscita al lettore, a prescindere dalla sua età, delle domande, degli spunti di riflessione. Il libro che meglio rappresenta quanto sin qui abbiamo detto è Ascolta il mio cuore, uscito nel 1991 a cura della Mondadori. La storia prende spunto dal famosissimo Cuore di Edmondo de Amicis, però stavolta il racconto si articola in una classe femminile e non maschile e anche l’anno di scuola descritto è collocato in epoche diverse, da una parte viene descritta l’Italia postrisorgimentale mentre dall’altra le scolarette della Pitzorno vivono gli anni dell’ultimo dopoguerra. Le protagoniste principali del libro sono tre alunne, tre amiche Prisca, Elisa e Rosalba appartenenti alla classe borghese. Il libro gioca molto sui ruoli e i pregiudizi di classe e sul tentativo utopistico delle bambine che credono in una parità e in una uguaglianza comune. Nella stessa classe frequentata da Prisca, la protagonista per eccellenza del racconto, ci sono infatti anche alcune ragazze provenienti da famiglie appartenenti alle classi sociali più povere. La maestra ha un atteggiamento molto severo nei confronti di queste ultime che giudica come vestite male e sporche. Le tre ragazze borghesi
decidono
che
il
comportamento
dell’insegnante
è
inaccettabile e per far punire la maestra decidono di provocarla e comportarsi male col fine di essere punite, la speranza è che i genitori accorgendosi dei metodi ingiusti della docente intervengano creando una parità all’interno della classe. Ma la maestra ha tanta considerazione nei confronti della classe sociale delle nostre eroine che considera con indulgenza le loro infrazioni, mentre le ragazzine 89
più povere vengono continuamente umiliate con lo scopo di essere allontanate dalla scuola. Visti tutti gli sforzi inutili le tre ragazze decidono che è arrivato il momento di combinare qualcosa di più grave soprattutto davanti alla presenza dell’ispettore scolastico, in maniera da rendere cosciente un altro adulto del comportamento della insegnante. Il giorno in cui l’ispettore va in visita alla classe Prisca, Elisa e Rosalba inducono la tartaruga di Prisca a sporcare con le sue feci tutti i registri della severa maestra - in questa parte del libro si fa un chiaro utilizzo di quel linguaggio escrementizio che abbiamo già analizzato con Rodari, quel riso di superiorità che crea distacco dalla parola proibita e aiuta a superare i tabù. L’insegnante alla vista dei suoi registri tutti imbrattati perde la testa e non riuscendo più a trattenersi finisce col prendere a ceffoni Elisa. La reazione sperata però non arriva né da parte dell’ispettore né da parte delle famiglie delle ragazze. Nelle ultime pagine le tre eroine imparano che spesso tra gli adulti la solidarietà di classe e l’equilibrio valgono più che gli ideali di giustizia e uguaglianza. Il romanzo è stato scritto più di vent’anni fa con l’intento di descrivere una realtà ancora più lontana, ma anche se in apparenza la divisione schematica in classi sembra superata nella società moderna, questa romanzo continua ad avere temi attualissimi per l’educazione dei più piccoli e per la riflessione degli adulti. La scuola e tutto il corpo docente hanno fatti grandi passi avanti col tempo eliminando in parte la rigidità e le punizioni fisiche dal mondo dell’educazione, ma nonostante tutto alcuni pregiudizi che minano l’uguaglianza e la parità ancora esistono nei discorsi degli adulti che poi vengono trasmessi ai più piccoli. Se è vero che le classi 90
sociali ormai non sono più visibilmente distinte come una volta, lo status sociale ed economico vengono ancora giudicati e hanno grande importanza nei giudizi delle persone, nella nostra epoca sono gli oggetti e i gesti a loro legati a creare dei giudizi di classe, coloro con un lavoro che permette un certo standard di vita e coloro con un altro tipo di target d’acquisto. I pregiudizi degli adulti vengono trasmessi ai più piccoli, che in maniera costante cercano di emulare i più grandi spinti dalla volontà di crescere. Un libro come Ascolta il mio cuore può essere un bel punto di partenza per educare tutti, non solo i bambini, a credere partendo dalla fantasia in un mondo più egualitario e dove la parità e la dignità di classe non siano solo un bel concetto astratto. Nonostante la distanza di stili e di intenzioni tutto il romanzo presenta chiari riferimenti ai concetti espressi nella parte precedente dedicata al Rodari; oltre al riso liberatorio ed educativo troviamo i temi importanti con i quali i ragazzi si vogliono confrontare e dai quali spesso li nascondiamo, si trova la voglia di imitare l’adulto per imparare a confrontarsi con realtà a lui proibite, si trova anche l’amore, quello ingenuo e sregolato che alle volte provano i bambini così come quello che prova Prisca per lo zio di Elisa, un cardiologo dal quale la ragazzina si presenta svariate volte fingendo dei dolori cardiaci. Indubbiamente la Pitzorno non può essere considerata l’erede di Rodari così come molta critica ha voluto giudicare, ma va comunque detto che l’opera del maestro di Omegna nella sua brevità è talmente ampia e piena di spunti che è impossibile non trovare dei collegamenti nelle storie degli altri scrittori che scelgono la vena fantastica come ispirazione alla loro creatività.
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Per concludere con l’analisi sul libro del 1991 della scrittrice isolana, vorrei far notare la concezione di scrittrice che lascia trasparire tra le righe la Pitzorno, che ben si coniuga con quanto detto sin qui. Prisca, la protagonista del racconto, sogna di fare la scrittrice ed è lei in prima persona a scrivere i racconti mensili; a differenza però dei racconti scritti nel romanzo Cuore, che sono ricchi di virtuosismi e di richiami avventurosi, gli scritti di Prisca sono trasfigurazioni fantastiche che riprendono il vissuto, il quotidiano. Immaginare per comprendere il reale e riscriverlo attraverso il proprio pensiero come diceva Rodari e come ci insegna anche la Pitzorno, scrivere per conoscere e analizzare se stessi. La figura di Prisca in fin dei conti è un chiaro riferimento alla scrittrice sassarese, un’immagine narrativa usata per descrivere alcuni aspetti e concetti a lei cari. Un altro romanzo con grande risvolto civile e sociale è Tornatras, scritto intorno all’anno 2000 e pubblicato sempre dalla Mondadori. Il genere letterario utilizzato, e non a caso, è quello del feuilleton, considerato dalla critica un sottogenere molto in voga tra i quotidiani della seconda metà dell’Ottocento. Il feuilleton o romanzo d’appendice è stato più volte denigrato, vista la sua vicinanza alla grande massa e per i temi trattati spesso considerati futili. Non a caso la scrittrice sassarese ha utilizzato questo genere vicino al commercio dell’informazione, allo sfruttamento della creatività fantastica per criticare il processo politico ed informativo dell’epoca moderna. Un binomio fantastico tra un genere letterario molto lontano ed una realtà vicinissima fanno di Tornatras un chiaro esempio di immaginazione utile nel sociale. Il racconto si svolge attraverso un gomitolo di storie che ruotano tutte attorno ad una grande casa nel cuore di Milano, chiamata 92
L’Ostinata Dimora, e che vanno man mano srotolandosi nel proseguo della lettura. Il palazzo altro non è che uno specchio dei pregiudizi, dei vizi e dei pensieri comuni degli italiani condizionati dai messaggi politici e televisivi. Tra i temi più importanti trattati ci sono la lotta di classe, che come abbiamo visto è un argomento molto caro alla Pitzorno, il razzismo e la paura dello straniero, il controllo mediatico, le ingiustizie e le corruzioni politiche. L’importanza di tale romanzo non sta unicamente nella sua unitarietà, ma nelle diverse parti che lo compongono, ognuna capace di rimandare ad importanti considerazioni sociali; il finale è ottimistico a differenza di Ascolta il mio cuore e i valori questa volta sconfiggono le ingiustizie. Il titolo richiama ad un vocabolo spagnolo utilizzato per identificare la mescolanza di geni e il ritorno di un gene che per generazioni non si era manifestato ma non era scomparso. Nel finale la scrittrice fa emergere il suo messaggio di speranza nella parità non solo tra classi ma tra tutti gli uomini senza distinzione di razza ˗ la nascita di un bambino di colore da parte di due genitori bianchi e il fenomeno del tornatras sono il simbolo del diritto all’uguaglianza. Tali diritti spesso però sono sottomessi dalla politica e dalla televisione, che cerca quasi di nasconderli non solo ai più piccoli ma anche agli adulti. La scrittrice Bianca Pitzorno nel corso della sua carriera ha lavorato per vari anni all’interno del mondo televisivo, contribuendo alla realizzazione di diversi programmi targati Rai, e il quadro della comunicazione mass mediatica che ci fornisce non è esattamente positivo, nonostante il fascino esercitato da cinema e tv. Per la scrittrice sassarese infatti la maggior parte dei servizi televisivi non 93
possono essere considerati comunicativi, poiché i messaggi lanciati da questi ultimi sono unidirezionali, vista l’impossibilità per lo spettatore di interagire con essi. Si crea un pensiero comune basato sulle informazioni e sui valori che passano attraverso le programmazioni televisive, concetti spesso controllati per influenzare il nostro pensiero e le nostre idee, per influenzare per esempio il voto elettorale o il pregiudizio nei confronti delle persone straniere, come nel caso del romanzo Tornatras. La Pitzorno definisce poco democratica una comunicazione basata soprattutto su questo sistema passivo che permette risposta solo a coloro i quali grazie alle grandi risorse economiche possono aprire una rete televisiva o una rete di comunicazione e far sapere agli altri la loro risposta. Nel romanzo Speciale Violante la Pitzorno analizza il pericolo di trasmissioni come le telenovelas o le fiction capaci di alterare il senso critico e di distorcere la scala dei valori e gli atteggiamenti quotidiani. Tale romanzo è stato scritto nel 1989, ma il concetto è ancora più attuale ai giorni nostri visto il continuo bombardamento a cui siamo sottoposti, ormai non solo dalle televisioni ma anche dall’utilizzo del web. La scrittrice sassarese non si limita però esclusivamente a criticare il sistema comunicativo televisivo, ma si è impegnata nel corso della sua carriera a creare ed offrire delle trasmissioni in grado di sviluppare una comunicazione attiva con lo spettatore, con il fine di invogliarlo a riflettere, per riscoprire la propria capacità critica e la propria creatività senza andare a ricercarne una già preparataci dagli altri. Un chiaro esempio è il progetto dell’Albero Azzurro, una trasmissione dedicata ai più piccoli basata sull’immaginazione e sul gioco utile alla 94
scoperta del reale. Parlando con la scrittrice ho scoperto che il vero scopo del programma era quello di rendere coscienti i bambini del mondo che gli circonda, l’idea principale era quella di stimolarli, visti gli spunti dati durante la trasmissione, a spegnere la tv e uscire di casa, a giocare e scoprire da soli la realtà senza aspettare l’educazione, affascinante ma spesso fittizia, data dalla televisione. Questo è un ennesimo esempio di immaginazione utile all’educazione e alla conoscenza. Per concludere la parentesi dedicata al romanzo Tornatras vorrei descrivere il modo con il quale la scrittrice sarda ha confessato di aver realizzato tale opera, un modo che ben si ricollega a quanto detto sulla creatività nella pagine precedenti. Qualunque storia all’inizio si presenta, per dirla con una metafora cara al Rodari, come un blocco di marmo, bello ma incompleto, sta all’immaginazione e all’esperienza renderla un capolavoro e la fantasia unita al vissuto della scrittrice anche in questo caso hanno reso possibile la realizzazione dell’opera. La Pitzorno infatti confessa che all’inizio il racconto altro non era che un insieme di immagini dislocate tra loro. Alcune delle idee poi diventate immagini narrative derivano dall’esperienza, specie dalle scene vissute dalla scrittrice nel suo soggiorno a Cuba, alcune dalla ricerca,
come
il
fenomeno
del
Tornatras
già
testimoniato
nell’America degli anni Cinquanta, dove aveva portato persino ad uxoricidi in un paese che cercava di uscire dallo schiavismo, altre derivano unicamente dalla fantasia. La creatività, come processo in costante movimento, ha permesso la fusione di queste immagini che hanno portato poi ad un paragone tra culture, quelle provenienti dall’esperienza estera e quelle vissute dell’Italia e dei suoi pregiudizi, ad un finale positivo ma allo stesso tempo critico nei confronti del 95
lettore, che non si limita a rasserenare ma lo invita a distaccarsi dal modo di vivere acritico e lo invita a diffidare delle verità vendute tra gli schermi. Il punto di partenza era dato da diverse immagini dunque, poi improvvisamente, come dice la stessa Pitzorno, grazie all’immaginazione tutto ha preso vita, tutta quella gente ha incominciato ad interagire, i ragazzini hanno iniziato a correre su e giù per le scale del palazzone, un nuovo camion di coinquilini è arrivato e la fantasia ha descritto un mondo.
III.4 Il Femminismo Come abbiamo già visto nella parte precedente, la Pitzorno dedica particolare attenzione alla lotta dei più deboli contro i più forti, dando spazio all’interno delle sue storie a quelle vicende di riscatto, o perlomeno di tentativo di riscatto, degli oppressi sugli oppressori. Lei stessa confessa che questa passione per tali storie deriva dalla sua esperienza
personale,
dalla
partecipazione
alle
rivoluzioni
studentesche del 1968, da quell’avvicinamento ad ideali concreti, reali, nati dalla facoltà immaginativa, dalla rappresentazione di una vita migliore e da una volontà di agire per cambiare il corso degli eventi. L’elemento che contraddistingue per eccellenza la scrittrice sassarese in quasi tutte le sue opere è l’utilizzo esclusivo di eroine, la continua ricerca, come già detto, della descrizione del mondo
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femminile attraverso le ingiustizie, i pregiudizi e i problemi legati al modo di essere donna. Per prendere coscienza di certi abusi bisogna essere capaci di immaginare un mondo diverso essendo capaci di porsi davanti a certi atteggiamenti sbagliati; unicamente confrontandoci con problemi più grandi di noi cresciamo, ci insegnava il Rodari. Lo scrittore di Omegna all’interno della sua Grammatica della fantasia ricordava l’utilità del racconto del Gatto con gli stivali per la crescita dei bambini. La storia, riscritta tra gli altri anche dai fratelli Grimm, è stata spesso codificata con l’esaltazione dell’astuzia: attraverso l’inganno si può diventare potenti come dei re, bisogna semplicemente capire il sistema per riuscire a farne parte. Per il maestro della Fantasia, invece, la storia ha un’altra chiave di lettura, molto più educativa della precedente. Analizzando la fiaba attraverso le schede scritte da Propp ci accorgiamo come il gatto protagonista della storia non sia altro che un aiutante magico, qui con un chiaro richiamo ai rituali di iniziazione antichi nei quali ai ragazzi veniva assegnato un animale totem, una sorta di spirito protettore per aiutarlo a superare la prova. Nell’immaginario del bambino di oggi ovviamente questa concetto passa in secondo piano e il gatto sarà più facilmente ricollegabile ad un personaggio dei cartoni animati o ad un giocattolo. L’importanza di tale personaggio però oltre che nel suo ruolo sta nella sua descrizione, come il bambino che ascolta la fiaba e come il suo padroncino nella storia è il più piccolo ed il più sottovalutato in un mondo di grandi e potenti. Il gatto rappresenta la voglia del bambino di crescere e stupire i grandi che in lui ripongono poca considerazione e non lo credono capace di determinate azioni. L’importanza del finale sta nella vittoria del più debole sul più forte, 97
nella ricerca dell’amicizia con le persone buone e non solamente con le persone potenti. L’astuzia è il metodo utilizzato, ma lo scopo finale del gatto non era ottenere il trono con l’inganno, ma semplicemente dare una dimostrazione a chi l’aveva sottovalutato - nel finale della fiaba infatti il gatto resta un semplice felino e non diventa re nonostante abbia sconfitto il sovrano. Per Rodari il racconto dei fratelli Grimm aiuta a sviluppare nel pensiero del bambino lo spirito anticonformista che lo aiuterà a vedere la vita in maniera più soggettiva e critica. Allo stesso modo i romanzi della Pitzorno aiutano i bambini a rapportarsi sin da piccoli con i temi della lotta di classe, con il diritto all’uguaglianza, con la lotta al razzismo e li avvicinano al femminismo, per comprendere la parità tra i sessi e non giudicare il mondo esclusivamente attraverso il punto di vista, spesso maggioritario, descritto dall’universo maschile. Di seguito analizzerò alcune opere della scrittrice isolana che forniscono un buon esempio di quanto sin qui teorizzato. Il libro sicuramente più importante su questo tema è Extraterreste alla pari, un romanzo pubblicato nel 1979 dalla casa editrice La sorgente. La storia ha un ambientazione fittizia ma che rispecchia l’Italia moderna e le sue città, ed è propria all’interno di una di queste città che vive una coppia, gli Olivieri, che decide di adottare per una decina d’anni un ragazzino proveniente dallo spazio, Mo dal pianeta Deneb. La caratteristica del piccolo extraterreste, così come tutti gli abitanti della sua specie, sta nel genere che si manifesta solo al compimento della maggiore età, quando arriva a casa Olivieri dunque Mo non ha un sesso preciso. La coppia di coniugi è in imbarazzo per la situazione dell’extraterreste e son convinti che senza venire a 98
conoscenza del sesso del ragazzo non saranno in grado di educarlo, per questo sottopongono il nuovo arrivato ad una serie di test psicologici dai quali si intuisce che il piccolo proveniente da Deneb è un maschio. Mo si adatta alla vita sulla terra, fa amicizia, accudisce con affetto il figlio che intanto gli Olivieri hanno avuto da un parto naturale, ma nonostante questo ha alcuni atteggiamenti che vengono considerati strani per essere un maschietto e lui stesso trova assurde alcune abitudini degli umani. La coppia decide dunque di sottoporre Mo ad un test biologico che dirà l’assoluta verità sul genere del ragazzo, da tale test risulta che l’extraterrestre in realtà è una femmina. Come la famiglia di Mo capisce del suo reale genere la vita della ragazzina di Deneb viene stravolta, viene costretta a cambiare scuola, amicizie, comportamento e modo di vestire. Schiacciata da tali pressioni psicologiche la piccola extraterreste, venendo a conoscenza di un bus speciale per il suo pianeta, decide di scappare anzitempo dalla terra per tornare tra la sua gente. Mo porta via con sé sua cugina e un’altra amica terrestre che erano insoddisfatte del loro ruolo sociale, l’altra cuginetta, Cecilia, decide invece di restare sulla terra per combattere la battaglia per l’emancipazione - sarà lei alla fine il vero simbolo della lotta per l’uguaglianza dei sessi, sarà lei a mandare il messaggio più forte ai giovani lettori, chiarendo che nonostante la vita spesso non sia sempre giusta è meglio cercare di cambiarla in prima persona piuttosto che scappare da ciò che non ci piace. La Pitzorno confessa di aver scritto questo libro dopo aver osservato come i genitori, e gli adulti più in generale, possiedono pregiudizi di fondo, spesso anche inconsci, nel rapportarsi e nell’educare un bambino rispetto ad una bambina.
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La Pitzorno con il romanzo e soprattutto con la situazione del pianeta Deneb ipotizza una società più liberale nella quale il tema della sessualità, anche se ambigua, non crea dei problemi agli individui, non genera dei giudizi negativi, una società al’interno della quale i ragazzi son educati in base alla loro identità personale e non in base al loro genere. Nonostante l’attualità dei temi e la bontà del messaggio inserito all’interno dell’opera la scrittrice sassarese, alla fine degli anni Settanta, ebbe diverse difficoltà nel riuscire a far pubblicare il romanzo. Le case editrici più “tradizionali” considerarono il libro scandaloso e non adatto alla letteratura per ragazzi, mentre le case editrici più “progressiste” lo sminuirono considerandolo futile per la lotta femminista, e vedendo i problemi di Mo come semplici capricci della piccola età; alla fine il libro venne fatto pubblicare con un piccolo sotterfugio, facendolo passare per un romanzo rosa senza che l’editore lo leggesse. Il libro è stato scritto per generazioni totalmente diverse da quelle attuali, eppure spesso considerare certi temi come passati non è mai un bene e porta esclusivamente all’equilibrio iniziale e all’annullamento della lotta per l’emancipazione, che sia essa dal razzismo, dal maschilismo o dall’omofobia. La Pitzorno ammonisce, dall’interno del suo sito internet, dal considerare come migliore la società attuale, dove temi come quelli riguardanti la piccola Mo sembrano superati ma in realtà fanno ancora parte della vita quotidiana e sarebbe il caso che non solo i più piccoli ma anche gli adulti rileggessero alcune storie. Riporto di seguito le parole dell’autrice sassarese che ben esemplificano il suo pensiero in merito: 100
Mi viene da sorridere pensando che invece ancora oggi, dopo più di trent’anni, i “piccoli” problemi sono ancora lì a dannare la vita delle donne e delle ragazzine; che l’educazione diversa è ancora, richiesta e pretesa come l’unica valida, e addirittura messa per iscritto come necessaria nel programma della Riforma della scuola voluta dalla ministra Moratti. Quando visito un negozio di abbigliamento dove il rosa impera nei vestiti per le bambine, quando i modelli femminili offerti dalla televisione non sono più vallette, ma veline, quando non addirittura escort… mi viene da sorridere e mi chiedo ancora in che mondo vivessimo e in che mondo continuiamo a vivere.
Un altro aspetto interessante e molto vicino al mio lavoro di questo romanzo è rappresentato dalla modalità grazie alla quale è stato generato. La Pitzorno infatti confessa che a dargli l’idea per realizzare la storia siano state le parole della scrittrice statunitense Ursula Le Guin che affermava che ogni storia, ogni trama, nasce da un’ipotesi, da un esperimento, il famoso cosa succederebbe se. Pensando ad un mondo diverso, un mondo meno sessista la Pitzorno ha raffigurato Deneb e l’educazione personale e da lì è nato il romanzo, i temi erano già presenti nel pensiero dell’artista, ma l’immaginazione ha permesso a tali messaggi di essere incarnati da persone e fatti, all’interno di un mondo fantastico con richiami al vissuto. Questo metodo creativo dell’esperimento richiama in maniera importante le già citate ipotesi fantastiche, descritte dal Rodari all’interno della sua Grammatica, che non solo aiutano nella scrittura e nell’invenzione di una storia ma sono fondamentali per aiutarci a raffigurare un mondo più giusto, sono un vero simbolo di libertà di pensiero. Nonostante il continuo tentativo di distacco dell’autrice sassarese dal paragone con il maestro di Omegna, all’interno di questo lavoro
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continuo a trovare affinità tra i due, affinità che sono di pensiero e non come vorrebbe la critica di scrittura. Un altro esempio di romanzo della Pitzorno che ben esemplifica le tecniche creative descritte all’interno della Grammatica della fantasia è La bambinaia francese, scritto e progettato dall’autrice sin dall’adolescenza ma concluso e poi pubblicato solamente negli anni duemila grazie alla solita Mondadori. Il romanzo è composto da diversi esercizi analizzati anche da Rodari. Innanzitutto va detto che è la rielaborazione di un vecchio romanzo intitolato Jane Eyre di Charlotte Bronte, scritto nell’Ottocento. La scrittrice riscrive la storia dando la sua chiave di lettura più femminista e spostando il punto di vista del protagonista, che cambia passando dalla giovane Adele alla sua bambinaia. In questo caso l’artista isolana si rifà a quell’esercizio che il maestro di Omegna chiamava scomposizione in fattori primi del personaggio, ovvero, soffermandosi sul personaggio che secondo lei nella storia principale non aveva il giusto spazio, la immette nel nuovo racconto riprendendo i suoi caratteri principali e creando attraverso la propria immaginazione le azioni non sviluppate nella storia originale. La Pitzorno con una lettura critica ha permesso al romanzo della Bronte di non avere fine, così come le esortazioni della Grammatica ci invitano a non porre fine alle fiabe dei bambini ma a interrogarli su un possibile seguito. Questo romanzo è inoltre utile per aiutarci a capire il legame tra realtà e immaginazione, per apprezzare la bravura della scrittrice nel descrivere un mondo attraverso eventi e persone di fantasia, descrivere il mondo femminile dell’epoca attraverso l’uso di immagini narrative fantastiche. Questo continuo avvicendarsi tra esperienza e creatività ci porta ad analizzare l’ultima parte del lavoro della scrittrice sassarese 102
dedicato sempre alle eroine, come ama definirle lei, ma stavolta eroine vissute realmente che rivivono attraverso le biografie e le interviste. Questo è il caso di libri come Vita di Eleonora d’Arborea (1984), Giuni Russo (2009) o Le bambine dell’Havana non hanno paura (2006). Tutti hanno per protagonista una donna e i loro rapportarsi con la storia, siano esse principesse medievali, artiste contemporanee o semplici donne cubane. L’abilità della Pitzorno sta nel rendere mitiche le figure di queste donne realmente esistite, ma che attraverso le pagine della scrittrice sassarese si caricano di leggenda e tendono a diventare simboli oltre che esempi di vita.
III.5 Il romanzo e la fiaba Sin qui abbiamo parlato dell’immaginazione come fonte della creatività per l’invenzione di storie, siano esse dedicate ad un bambino o alla realizzazione di un romanzo. Lo scopo di questo lavoro come già più volte detto è quello di rivalutare la fantasia, per farlo mi servirò delle parole della Pitzorno e delle sue esaustive delucidazioni nel tentativo di specificare che nella letteratura per bambini così come nella descrizione della fantasia bisogna evitare di mescolare i generi e le considerazioni. Spesso infatti con il termine fiaba si indicano tutti quei racconti o libri per ragazzi che vengono mischiati tra di loro creando un genere oscuro e indecifrabile spesso unicamente etichettato sotto il nome di letteratura
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giovanile. Non tutto è fiaba, così come non tutto ciò che è scritto per il mondo dei bambini è fantasia. L’immaginazione non va relegata nel terreno dei più piccoli ma usata e ricercata da tutti in ogni attività creativa e di pensiero. La Pitzorno durante tutta la sua carriera di scrittrice ha cercato, spesso invano, di distaccarsi dall’etichetta di autrice specializzata in bambinologia, come dice lei, non perché rifiuti di considerare i propri testi all’interno della letteratura per ragazzi, ma perché spesso i suoi romanzi son stati inseriti all’interno del calderone delle fiabe e i suoi messaggi e le sue opinioni spesso lasciate cadere senza troppa considerazione.
La
scrittrice
sassarese
non
sopporta
quella
presunzione alla base della divisione tra la letteratura con la L maiuscola, quella che la critica considera da destinarsi ad un pubblico adulto e l’altra letteratura, quella che dà maggiore ascolto al fantastico ma non solo, penso per esempio alla letteratura dialettale, a quella più popolare ormai praticamente scomparse. L’errore di fondo sta nella classificazione della creatività che riflette l’atteggiamento moderno di considerare buono tutto ciò che sembra più utile, mentre si considera secondario tutto ciò che non interessa immediatamente. La classificazione in generi non ha sempre avuto una tale importanza commerciale come invece accade oggi, certo son sempre esistite le differenze, specie tra gli stili, ma i giudizi non erano così estremizzati tra un genere letterario e un altro. Questo cambio di mentalità, questa caduta al mondo dei bambini, come direbbe Rodari, di alcuni generi è dovuto principalmente ad interessi economici e alle vendite. I generi come la fiaba, la novella e la favola nel pensiero collettivo fanno immediatamente pensare alle storielle per i più piccoli, ricche di eventi meravigliosi, personaggi 104
irreali; c’è, nell’uso di questi termini, una sfumatura di superiorità e di disprezzo. Disprezzo nei confronti dei bambini, che siamo convinti si bevano qualsiasi incredibile stupidaggine, e disprezzo nei confronti degli autori che a produrre tali stupidaggini dedicano il loro tempo e il loro sforzi20. Lo stesso dizionario italiano tende a incrementare tale pregiudizio relegando al solo campo della finzione e del gioco questi generi e la loro fantasia. La parola fiaba viene descritta come una storia per fanciulli che abbia del meraviglioso, una novella è un racconto non lungo di un fatto inventato, mentre la favola è un racconto in prosa o versi di carattere moraleggiante in cui interagiscono animali o esseri immaginari. Queste definizioni paiono evidentemente insufficienti per ben comprendere la storia antichissima di questi generi. La loro brevità non è dovuta ad una mancanza di temi ma alla loro tradizione orale, gli stessi personaggi non vengono analizzati in maniera esaustiva proprio perché incarnano degli archetipi, la madre amorosa, la fanciulla ingenua e il re simbolo del potere assoluto, sono le loro azioni spesso a parlarci del loro carattere. Le fiabe e le favole, a differenza di quanto si pensi, non son nate come generi per bambini anzi erano pensate per i più grandi, per dare degli ammonimenti o insegnare qualcosa grazie al gioco della fantasia, la morale è esplicita nelle ultime righe della favola, mentre spesso in una fiaba è tutta la storia a ricalcare una vicenda reale, nonostante il gioco fantastico, gli atteggiamenti degli eroi indicano spesso come muoversi nella vita reale per non cadere in errore. Lo scopo era criticare e mettere in guardia l’ascoltatore dai costumi immorali del 20
Tesi esposte dalla Pitzorno all’interno del suo saggio Qualche premessa sulla letteratura per l’infanzia, riportate anche all’interno del sito internet della scrittrice sassarese, www.Biancapitzorno.it.
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mondo adulto. Entrambi i generi son generalmente sempre appartenuti alla tradizione popolare e alle classi sociali più basse, ed è molto probabilmente a causa di tutto ciò se nella letteratura di oggi ricoprono un ruolo considerato secondario. Tra i più alti esempi di impegno civile troviamo le favole di Fedro. I personaggi, le vicende, persino gli eventi magici sono simboli della condizione umana. Il declino di tali generi incominciò a partire dall’Ottocento, quando la borghesia prese a disdegnare questo genere di chiara origine popolare che parlava e criticava i comportamenti anche della classe borghese. Un altro aspetto che rende le favole e le fiabe in parte incompatibili con la società moderna è la loro tendenza all’anonimato, entrambe infatti venivano e vengono tramandate principalmente per via orale generando una stratificazione non programmata e incontrollabile: tutto ciò va a scontrarsi con l’attitudine moderna dell’autografo, del diritto d’autore, con la necessità di sapere prima ancora di cosa parla un libro chi lo ha scritto. Tutti comportamenti figli delle vendite e del cambio del ruolo dell’artista nel corso della storia. Pensiero comune è quello di dare le responsabilità sempre al corso degli eventi, ma spesso per pigrizia noi stessi non diamo la giusta lettura alla storia; se è vero infatti che dall’Ottocento inizia il declino dei generi come la favola e la fiaba è anche vero che negli stessi anni il Romanticismo porta alla riscoperta del folclore e di alcune fiabe popolari ormai perse: ci fu chi come Andersen creò un mondo magico da dedicare ai bambini, chi fece una raccolta di tali storie con un unico scopo nazionalistico e si servi dell’immaginazione piuttosto che metterla al servizio e chi invece come Italo Calvino raccolse storie,
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favole, novelle e fiabe, analizzandone perfino l’origine per rafforzare l’identità di un popolo. In conclusione possiamo dunque affermare che fiaba, favola e romanzi per ragazzi non vanno confusi, sono generi diversi con strutture differenti tra loro, le fiabe e le favole non son esclusivamente generi dedicati ad un pubblico infantile, così come non tutto ciò che viene scritto pensando ad un pubblico infantile va etichettato come fiaba o favola. L’immaginazione e la mente sono un'unica cosa, non possiamo pensare ad una immaginazione di serie A e ad un’immaginazione di serie B, così come non esiste una creatività più importante di un’altra. Non tutto ciò che è fantastico è destinato ai più piccoli, come accade in Boccaccio e Ariosto per fare due esempi. Spesso nel confrontarci con un’opera, così come nella maggior parte degli atteggiamenti della vita quotidiana, dovremo fare un passo indietro, staccarci dal pensiero comune, guardare le pagine attraverso i nostri occhi senza interrogarci sull’autore, lasciar parlare l’immaginazione prima che ascoltare la critica.
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Conclusione
Per concludere questo lavoro non voglio riassumere quanto sin qui detto, evitando di risultare ripetitivo e tediante, gli spunti personali e i riferimenti fin qui citati inquadrano quanto questo progetto si proponeva sin dalla prima pagina, vorrei chiudere, invece, descrivendo il concetto di immaginazione e l’idea di dolce inganno che Giacomo Leopardi attribuisce alla fantasia umana nel contesto della personale ricerca della felicità. A mio avviso le affermazioni di Leopardi ben inquadrano quell’aspetto di conoscenza interiore e di ascolto del proprio io che offre la capacità immaginativa, aspetto che oggi va perdendosi a discapito di un utilizzo della fantasia con fini distanti dal reale, dal soggettivo e dall’apprendimento. Per interpretare il poeta di Recanati possiamo rifarci alla etichettatura di poeta della leggerezza attribuitagli da Italo Calvino all’interno delle sue Lezioni americane. Leopardi è capace di utilizzare una creatività immaginativa in grado di descrivere le sfumature e il vago, portando la mente umana a raffigurare il concetto di infinito che sta alla base di un effimera sensazione di felicità. Calvino descrive tale abilità leopardiana nel immettere in poesia l’immagine della luna come simbolo del vagare umano ma al tempo stesso come simbolo di dolce rifugio per l’uomo grazie alla luce fonte di spunti immaginativi che il satellite impone alle cose21.
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I. CALVINO, Lezioni americane, Milano, Mondadori, 2010, pp. 31-33.
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Vorrei applicare lo stesso metro di giudizio al componimento L'infinito di Leopardi, un infinito creato dall'immaginazione e dal desiderio, un puro prodotto della mente umana. Nello Zibaldone Leopardi afferma che l'infinito è un parto della nostra immaginazione, della nostra piccolezza e della nostra superbia, l'infinito è un'idea, un sogno, non una realtà: almeno noi non possediamo nessuna prova dell'esistenza di esso. Per Leopardi l'infinito coincide con lo slancio vitale, con lo spasimo, la tensione che l'uomo ha connaturata in sé verso la felicità. L'infinito diventa il principio stesso del piacere, e il fine stesso a cui tende questo slancio dell'uomo. È il desiderio assoluto di felicità che porta l'uomo a ricercare il piacere in un numero sempre crescente di sensazioni, nella speranza vana della sua completezza; è una tensione che non ha limiti, né per durata nel tempo, né per estensione, per questo si scontra irrevocabilmente con la vita umana, con lo spazio, il tempo e la morte. Per superare i limiti fisici della natura umana interviene l'immaginazione, che ha come "attività" principale la raffigurazione del piacere: il piacere infinito non si può trovare nella realtà, si trova così nell'immaginazione, dalla quale derivano la speranza e le illusioni, per esempio. Ma l'immaginazione ha bisogno di stimoli e perciò immaginiamo ciò che non vediamo. Ci sono immagini, sensazioni che suscitano nell'animo l'idea di infinito. Una siepe che diventa, come nella poesia l’ Infinito, un limite, che evoca il desiderio, l'immaginazione di ciò che lo sguardo esclude, di ciò che non si può raggiungere con il solo ausilio dei sensi. Il pensiero umano è sommerso dalla razionalità, spesso influenzata da agenti esterni al nostro io come abbiamo visto, la leggerezza dell’immaginazione risiede nel trasportarci al di là dei 109
limiti sensoriali e ci spinge a provare quella sensazione di felicitĂ di cui lo stesso Leopardi parla.
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Bibliografia
Opere di Gianni Rodari Grammatica della fantasia, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 1974 Favole al telefono, Torino, Einaudi Ragazzi, 2007 Il libro degli errori, Torino, Einaudi Ragazzi, 2008
Opere di Bianca Pitzorno Qualche premessa sulla letteratura per l’infanzia, in Scrivere per bambini, a cura di F. Lazzarato, Milano, Mondadori, 1997 Tornatras, Milano, Mondadori, 2000 Extraterrestre alla pari, Torino, Einaudi Ragazzi, 2003 Ascolta il mio cuore, Milano, Mondadori, 2004 La bambinaia francese, Milano, Mondadori, 2006 Speciale Violante, Milano, Mondadori, 2012
Letteratura critica P. Adorno, L’arte italiana, Firenze, Casa editrice G. D’Anna, 2007 I. Calvino, Lezioni americane, Milano, Mondadori, 2010
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A. Martinet, Elementi di linguistica generale, Bari, Universale Laterza, 1972 M. Ragnedda, Eclissi o tramonto del pensiero critico, Roma, Aracne Editrice, 2006 G. Riva, I social network, Bologna, Il Mulino, 2010 L. Sartori, Il divario digitale, internet e le nuove disuguaglianze sociali, Bologna, Il Mulino, 2006 S. Thompson, La fiaba nella tradizione popolare, Milano, Il Saggiatore, 1996 Cioffi, Luppi, Vigorelli, Zanette, Bianchi, De Pasquale, O’Brien, I filosofi e le idee, Milano, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, 2005
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