360com Iab seminar Mobile 2016

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strategie

ROCKET FUEL

Il futuro per la mobile adv è solamente native

I dispositivi sono tanti ma l’utente resta uno

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ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016

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Gli smartphone saranno di certo il prossimo terreno di battaglia dell’online adv. Ma attraverso quali formati? Lo studio di IHS Technology prova a delineare lo scenario in arrivo

Intervista al country manager della company, Enrico Quaroni, che aggiorna sull’evoluzione dell’offerta aziendale sviluppata nel delicato e competitivo campo del mobile

netnoc

buzzoole

biz up

pixelbook

Interviene il business developer della startup legata a Artattack

La strategia del noto marchio del beverage: social audience

Parla il chief executive officer della struttura, Carlo Vaccaro

L’opinione di Sirio Zuelli, ceo della sigla nata quattro anni fa

Content marketing: si consumano più contenuti, non adv

Ceres preferisce cercare il dialogo con gli influencer

Native advertising che strizza l’occhio al mondo digital pr

Tra mobile e web la strada più efficace rimane l’integrazione

zanox

Mshopping, la corsa che non conosce pause

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Internet of Things diventa mainstream

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Mobile Relations: Barcellona “caput mundi” della mobilità

Cosa ci riserva il futuro dell’adv alla luce dell’espansione vissuta dalle tecnologie mobili che sta rivoluzionando l’intera industry

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Tutti i segreti per ottenere successo: contenuti più seo

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Matteo Dedè

Multi-dispositivo. E multi-canale Questo vuole la gente dal mobile Il 60% degli utenti di smartphone è insoddisfatto dei servizi erogati dagli operatori di telefonia mobile di riferimento ed è pronto a cambiare fornitore. È una delle principali evidenze dello Screenager Report 2016 di Accenture, multinazionale specializzata in consulenza direzionale, servizi tecnologici e outsourcing. Lo Screenager Report 2016 si basa sui dati raccolti nell’ambito della Digital Consumer Survey 2016, uno studio annuale attraverso cui Accenture si propone di indagare la percezione che i consumatori hanno di dispositivi, servizi e contenuti digitali, e analizzare i comportamenti di acquisto, le preferenze e l’impatto nel loro stile di vita. La Digital Consumer Survey 2016 ha coinvolto 28.000 consumatori in 28 Paesi, Italia inclusa. L’indagine è stata condotta online tra ottobre e novembre dello scorso anno, su un campione rappresentativo della popolazione dai 14 ai 55+ anni di età, per un totale di 1.000 interviste per ciascun Paese. In materia di soddisfazione dei servizi forniti dagli operatori di telefonia mobile, gli esperti raccolgono e pubblicano opinioni e commenti degli utenti riguardanti affidabilità, assistenza clienti, copertura di rete e tempi di attivazione. Dallo Screenager Report 2016 di Accenture si apprende anche che il 62% degli utenti di smartphone è preoccupato per la sicurezza delle transizioni finanziarie e il 47% per la privacy e la sicurezza in generale, e che l’83% reputa troppo frequenti gli annunci pubblicitari. Privacy e advertising su dispositivi mobili sono temi peraltro legati a doppio filo, come evidenziato da Nachiket Deshpande, vicepresidente di Cinarra Systems, azienda che fornisce una piattaforma pubblicitaria di mediazione, in un intervento ospitato sulle pagine web di Light Reading e intitolato “What Privacy Means for Mobile Operators”. Alcuni operatori di telefonia mobile, fra cui Orange, Verizon Communications, AT&T, Telenor e PT Indosat Tbk, hanno iniziato a imple-

mentare modelli di business basati sulla monetizzazione dei dati forniti - previo consenso - dagli utenti dei loro servizi. Le soluzioni sperimentate dalle compagnie di settore di cui sopra, ha spiegato Deshpande, devono essere confezionate avendo come obiettivo primario la tutela della privacy degli utenti, perché soltanto in tal modo questi ultimi potranno accogliere volentieri le medesime soluzioni e gli operatori proporre servizi di valore ai loro abbonati. Alle criticità emerse in seno allo Screenager Report 2016 si affiancano spazi di manovra utili per gli operatori di telefonia mobile che vogliono migliorare i loro servizi e intercettare la domanda e le esigenze dei consumatori. Si pensi, per esempio, che il 71% degli utenti di smartphone si dichiara disposto a pagare di più per fruire di un servizio di accesso migliore. “La chiave è fornire esperienze nuove, di elevata qualità, multi-dispositivo e multi-canale, capaci di soddisfare immediatamente le attese dei consumatori”, spiega Marco Vernocchi, Global Digital Lead Communications, Media and Technology di Accenture. “A tal fine, è necessaria una progettazione intelligente e centrata sull’utente, che muova dall’analisi integrata dei dati e che sia supportata da servizi di connettività, sicurezza e privacy in linea con le aspettative dei consumatori”, aggiunge Vernocchi. Tra i consigli indirizzati da Accenture agli operatori di telefonia mobile, infine, ne figura uno che ha a che fare con un tema trattato più volte su queste pagine web: il rapporto tra telco e Ott. Gli esperti di Accenture Consulting suggeriscono alle compagnie di telecomunicazioni di collaborare con i fornitori di contenuti e servizi, secondo un modello di innovazione aperta. Intanto, il traffico da mobile sta aumentando ad altissima velocità e un nuovo studio da parte di Cisco conferma che nel 2020 il traffico video comporrà il 75% del traffico totale. In crescita del 55% rispetto al 2015. E le statistiche per il Nord-America sono ancora più alte con traffico video del 77%. Il report annuale di Cisco, Visual Networking Index fo-

recast (VNI), infatti, illustra che il traffico mobile è cresciuto di 400 milioni negli ultimi 15 anni e l’aumento nel numero di utenti, di dispositivi mobili e l’innovazione tecnologica stanno facendo arrivare il traffico video alle stelle. Lo studio predice che nel 2020 ci saranno più di 11,6 miliardi di dispositivi mobili connessi ad internet, dato che supera le proiezioni della popolazione in quell’anno (7,8 miliardi) e che questo avrà un impatto fortissimo sul traffico video. Vediamo, quindi, nei dettagli quali sono le previsioni di Cisco per il 2020. = Nel 2020, oltre il 75% del traffico globale da mobile sarà costituito da video; = Gli smartphone rappresenteranno l’81% del traffico da mobile totale, in crescita rispetto al 76% del 2015; = La connessione tramite rete 4G supererà il 2G nel 2018 e il 3G nel 2020; Entro il 2020, ci saranno 432 milioni di hotspots WiFi (inclusi quelli domestici), rispetto ai 64milioni del 2015; = Per ogni persona inglese ci saranno almeno tre connessioni a internet; = 7 bilioni di video saranno caricati nel 2020, ossia circa 2,5 video al giorno per persona.

Traffico video da mobile: il consumo aumenta Il consumo di video sta crescendo, dunque, molto più velocemente di qualsiasi altro tipo di contenuto digitale, per questo le proiezioni dei prossimi cinque anni di Cisco si sono concentrate su questa tipologia. = Cosa farà aumentare così tanto il consumo prima del 2020? Essenzialmente, la facilità con cui i consumatori potranno avere accesso a dispositivi altamente performanti che utilizzeranno soprattutto per accedere a contenuti video. Gli smartphone sono diventati molto sofisticati e generano oggi 4 volte il traffico generato dai dispositivi mobili; i tablet hanno possibilità ancora migliori generando 113 volte più traffico. = I video sono il contenuto multimediale con proiezioni di crescita più alte nei prossimi cinque anni, che è il motivo per cui una strategia di video marketing su dispositivi mobili è essenziale per ogni brand. = Non c’è che dire: sarà il video a trainare tutto. E i principali operatori stanno già muovendosi a gran ritmo per accaparrarsi le migliori posizioni sul campo, pronti a giocare un’ulteriore partita decisiva sul sempre più competitivo terreno del digitale ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


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Scenari/1

Mobile Relations

Il Mobile World Congress di Barcellona è l’evento più importante al mondo nel settore della telefonia mobile. E non solo, perché la mobilità sta ormai interessando qualsiasi ambito della nostra vita. così, abbiamo seguito da vicino la kermesse spagnola, scoprendo come potrebbe cambiare il futuro, anche per l’advertising system

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Servizi a cura di Francesco Lattanzio, Anna Maria Ciardullo e Nicolò Franceschi

Ad aprire le danze del Mobile World Congress 2016 di Barcellona, è stato David Black, branding consumer markets managing director di Google. Nel suo speech ha fatto il punto su come oggi l’esperienza video da mobile sia la migliore di sempre grazie a schermi ogni volta più grandi e luminosi, videocamere intelligenti e un suono più netto e preciso. Il futuro è video: questo aspetto, infatti, ha completamente cambiato il nostro modo di esporci ai mezzi di comunicazione. «I ragazzi non guardano più la tv sul divano con la famiglia perché da mobile possono fruire di molti più contenuti, anche contemporaneamente, e le loro star non sono più quelle televisive, ma di YouTube». Partendo da questo nuovo grado di partecipazione attivo dei consumatori i marketer possono trovare nuovi modi di raggiungere il pubblico. Black ha dato loro tre consigli: «“To Show Up”, ovvero farsi vedere ed essere esattamente dove sono i consumatori, sebbene capire come avvengano i cambiamenti nel loro comportamento sia la vera sfida di oggi. E poi focalizzarsi, testare e imparare a ottimizzare l’offerta per il mobile. Infine, prestare molta attenzione all’analisi dei dati. Se pensate che le esperienze multimediali di oggi siano “immersive”, ebbene, questo è solo l’inizio» ha concluso. A quanto pare questo è il momento migliore per essere un brand marketer poiché il mondo è veramente pronto per un’autentica video rivoluzione. Attrarre nuovi clienti Mary Clark, chief marketing officer di Syniverse, è poi intervenuta al panel ospitato dal mega evento spagnolo su quanto sia importante oggi il mobile per attrarre nuovi clienti. «E’ tutta una questione di personalizzazione» ha esordito. Quando un consumatore decide di partecipare, riconosce l’esistenza di una relazione, ma sta all’abilità del marketer assicurare un consumer engagement personalizzato e di successo. La ricetta vincente, per Clark, è ancora una volta un trittico: fare attenzione ai dati, alla trasparenza e alle funzioni di controllo. Il panel si è concluso con una discussione incentrata sulle crescenti tensioni tra advertising e utility. «Vorrei dire, in tono provocatorio che ci troviamo all’inizio di un’era post advertising», ha commentato Louis Paskalis, senior vice president and enterprise media executive di Bank Of America. «Oggi i brand attirano i clienti tramite il mobile. Il più personale e il più rilevante device di comunicazione della storia spinge le aziende a un riesa-

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me delle proprie strategie». Secondo Paskalis, siamo all’inizio di una rinascita del marketing perché oggi i brand devono competere anche con gli stessi consumatori che sono diventati publisher a tutti gli effetti. La qualità del contenuto fa la qualità dell’advertising e lo dimostra il fatto che ogni dieci video condivisi quattro hanno un contenuto pubblicitario. Ha concluso il panel Susie Kim Riley, chief executive and founder di Aquto, discutendo le criticità che si presentano quando si decide di investire di più nel mobile. Gli utenti accettano realmente di stabilire una relazione con il brand solamente se si sentono davvero considerati e solo se ritengono che ne valga la pena. L’unico modo per riuscire ad attirare la loro attenzione è quello di offrire qualcosa che li renda veramente soddisfatti e che ne consolidi la fiducia. La sfida del secolo, insomma. In fondo, una cosa è chiara a tutti: ciò che è buono oggi potrebbe non esserlo domani. Disruption ovunque L’ultimo Mobile World Congress che abbiamo seguito a Barcellona ha creato vera disruption nella mente degli addet-

L’intreccio tra speech, tecnologie e relazioni

Nell’immagine a lato: si presentava così la fiera di barcellona nelle prime ore del mattino che ha inaugurato l’edizione 2016 del mobile world congress. tra i tantissimi temi affrontati in spagna ha trovato ampio spazio la disamina della situazione attuale inerente l’esperienza video da mobile: è giudicata la migliore di sempre, grazie a schermi ogni volta più grandi e luminosi, videocamere intelligenti e un suono più netto e preciso. Il futuro, dunque, è video: questo aspetto, infatti, ha completamente cambiato le nostre modalità di esposizione ai differenti mezzi di comunicazione

ti ai lavori presenti negli immensi spazi dell’evento. L’area in cui si diramano gli stand era frizzante, congestionata dai visitatori che si fermavano nelle postazioni di player mondiali operanti nelle diverse aree necessarie all’advertising mobile. Dati, programmatic e geotargeting cambiano tratti ad ogni passo, mutando la forma grazie a offerte e funzionalità specifiche. Tra i colossi internazionali, sorprendeva il numero di aziende francesi, a testimonianza del gran lavoro fatto Oltralpe nel settore dell’advertising digitale. L’intreccio tra speech e argomenti ha offerto punti di vista e suggerimenti provenienti dai personaggi di più alto rilievo nei campi di tecnologia, telco, advertising, brand ed editoria, anche se non è stato sempre facile mantenere l’orientamento. Erano molti, infatti, i teatri dislocati tra i vari padiglioni che annodavano gli oltre cento interventi legati da cinque filoni paralleli. Alle 11 del mattino della prima giornata erano in corso ben diciotto attività diverse tra keynote, tour virtuali e conferenze. La traccia seguita dalla conferenza plenaria, l’evento principale di MWC 2016, ha corso trasversale su molte tematiche, dall’applicazione del 5G, fondamentaANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016

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tà digitale; ma soprattutto il suo utilizzo massivo potrà aiutare a snellire la burocrazia, mantenendo una sicurezza garantita dalla collaborazione tra settore pubblico e privato che ne consegni agli utenti più controllo. Contemporaneamente, nel padiglione dedicato ai media, si succedevano gli speaker del Mobile Media Summit: una raccolta di interventi dedicati alle diverse facce dell’advertising. La scrematura dei dati e la confusione che nasce da una errata considerazione sull’importanza delle varie informazioni, la descrizione della vita dei consumatori attraverso le app che usano, e il futuro di mobile video e programmatic, sono stati passati al setaccio nei diversi Auditorium della Hall 8.0. Di questi ultimi due argomenti 360com ha voluto saperne di più e ha intervistato due grandi player internazionali, operanti anche in Italia.

Sul palco per spiegare come sarà il futuro della pubblicità mobile

nella prima fila in alto, da sinistra: Alex Underwood (spotify), Susie Kim Riley (Aquto), Allie Kline (aol), pete Blackshaw (nestlé). Nella fila centrale, da sinistra: David Black (Google), Henric Ehrenblad (Widespace), Benjamin faes (google), Louis Paskalis (Bank of America). qui a fianco, da sinistra: Roy carthy (shine), poi Santiago Oliete e Todd Tran (Teads)

le per avviare la rivoluzione che troverà il suo traino nell’utilizzo dei dispositivi IoT, al modo in cui i brand si raccontano sui dispositivi portatili, che permettono un immediato e localizzato raggiungimento dell’utenza. Frammentazione Il percorso tematico si frammenta e si ricongiunge, per non tralasciare nessuno degli aspetti relativi a un mezzo che ha raggiunto una pervasione del cento per cento sulla popola-

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zione mondiale. Sono infatti 7,3 miliardi le sim attive, mentre circa un miliardo di utenti hanno sottoscritto abbonamenti alla rete Lte. Il traffico dati, benzina per il segmento di mercato, è cresciuto del 65%, grazie alla spinta congiunta di social network e video online. Il mobile appare qui come una chiave per tanti mondi: i wearable possono diventare il motore di una rinnovata produttività e sicurezza aziendale, smartphone e tablet possono offrire alle aziende delle vie più dirette per approcciare e seguire i consumatori, l’identi-

Teads: “Il mobile è il nostro focus” «Il mobile è diventato il nostro focus, tanto che in diversi Paesi del mondo, tra cui Italia e Uk, il 50% del nostro business è relativo a questi dispositivi. I nostri prodotti video sono cross-screen, ma funzionano meglio su smartphone e tablet, perché i formati delle pagine web ci permettono di sviluppare i player in modo che si estendano su tutta la larghezza disponibile, catturando così più attenzione» spiega Todd Tran, svp global mobile & programmatic di Teads. «Inoltre, abbiamo notato che i budget dedicati al mobile aumentano con un ritmo più alto rispetto alle inventory. In questo modo, molti brand si ritrovano a investire su modalità poco remunerative, accostandosi a contenuti di scarsa qualità. Infatti, solo il 5% dei video prodotti sono professionali, ed è questo che intendiamo noi di Teads per qualità. Lavorando con molti editori premium a livello internazionale, abbiamo creato un ecosistema brand-safe. Abbiamo annunciato un nuovo partner sul territorio italiano, mentre la collaborazione con AppNexus, poi, è una grande opportunità, perché ci permette di erogare adv su inventory di alto livello. Inoltre, qui al Mobile World Congress abbiamo presentato una novità: il formato InRead Vertical. Un player verticale, reso disponibile da inizio aprile, che si estende esattamente lungo le dimensioni degli schermi mobile, per permettere inserzioni video viewable by design». «La viewability e le modalità di pagamento e di fruizione seguono esattamente quelle dei formati precedenti - continua Santiago Oliete, global svp publisher sales di Teads -. I dati parlano chiaro: l’80% del consumo mobile avviene attraverso una app. Noi siamo già attivi da un anno e mezzo su questo segmento con la noANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


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stra sdk, costantemente aggiornata. Da poco abbiamo lanciato la terza versione. Inoltre, abbiamo due importanti progetti per il prossimo futuro. Uno di questi riguarda i dati. Abbiamo formato un team che sta lavorando sui big data relativi ai video. Questo ci fornirà numerose evidenze con cui potremo perfezionare di molto la nostra offerta. Sul fronte video, invece, abbiamo iniziato a percorrere alcune strade per garantire più valore proprio ai video nel momento in cui l’audio è disattivato. I sottotitoli sono solo una delle possibilità che stiamo vagliando» ha concluso Oliete. Rubicon Project: “Al centro di tre grandi boom” «Siamo al centro di tre grandi boom - ha spiegato Joe Prusz, head of mobile di Rubicon Project -. Registriamo una grande crescita dei private marketplace su mobile, con un incremento pari al 1.400%. Il motivo è che l’universo mobile è più frammentato rispetto al desktop: l’incredibile numero di app presenti negli app store è divisa tra i pochi che si possono permettere di fare affidamento su un team di vendita e i moltissimi che non ne hanno i mezzi. Rubicon Project ha pensato a questa situazione e ha trovato la soluzione per ottimizzare e massimizzare il valore delle loro inventory. L’ascesa del mobile, poi, ha dato una forte spinta al proliferare dei formati adv. Native e video stanno definitivamente conquistando smartphone e tablet e offrono agli advertiser molte più soluzioni di quanto non faccia il desktop. Questo tema non va sottovalutato perché spesso la creatività ha rappresentato un limite nello svolgimento delle operazioni marketing su mobile, principalmente a causa della dimensione ridotta degli schermi. L’ultimo fattore che voglio sottolineare è la letterale esplosione del programmatic advertising in generale». Se queste sono le tendenze del momento, Rubicon prova a rilanciare. Ha infatti portato all’esordio Fastlane, soluzione per l’header bidding su desktop, mobile browser e app. «Siamo la prima company al mondo a offrire questa opportunità per le applicazioni: è un grande risultato se si pensa che utilizziamo circa trenta app al mese» ha sottolineato Prustz. «Anche in Italia abbiamo da poco cominciato a proporre questa soluzione: su desktop è già stata adottata da due clienti mentre su mobile abbiamo aperto delle discussioni con i nostri partner e siamo fiduciosi in una loro rapida adozione - ha aggiunto Sara Buluggiu, sales director Sud Europa -. Nel prossimo mese di giugno, il team italiano vedrà l’aggiunta di una nuova professionalità che già segue il mercato locale dall’estero. Dunque, Loris Matha entrerà a far parte di Rubicon Project in qualità di yield manager».

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Scenari/2 Il dilemma ad-blocking: un’opportunità preziosa o opzione insostenibile? Al Mobile World Congress si è imposta la discussione sulla situazione creata dalla crescente adozione dei tool da parte dei consumatori e sospinta da accordi per bloccare l’erogazione pubblicitaria direttamente a livello del network. Secondo Shine, il sistema pubblicitario è davanti a “un’opportunità per rivedere le sue modalità”. E Google risponde che “produrre contenuti senza riuscire a monetizzarli non è sostenibile per gli editori nel breve periodo”

Le fotografie sul mondo del mobile si proiettano sui palchi degli auditorium durante il Mobile World Congress di Barcellona. Un susseguirsi di visioni che formano, alla fine dell’evento, il film dell’advertising dei prossimi mesi. Forse anni. Tra gli highlights spiccano anche alcuni scontri, come quello avvenuto sul palco dell’Auditorium 3 della Hall 4, dove è andato in scena l’intervento “Mobile Advertising: Ad-Engagement and Ad-Blocking”. Allie Kline, cmo di Aol, Benjamin Faes, managing director di Media & Platforms Google, Pete Blackshaw, vice president Digital & Social Media di Nestlé, Nick Hugh vice president & general manager Advertising Emea di Yahoo, e Roi Carthy, cmo di Shine, si sono incontrati per parlare di un tema molto scottante, proprio con uno dei player che, ne-

gli ultimi tempi, ha rintuzzato i carboni già abbastanza ardenti degli scorsi mesi. L’“erba matta” dell’ad-blocking Ad aprire l’intervento, prima della discussione, è stato però James Hilton, Global Ceo & Founder, M&C Saatchi Mobile, con un riassunto sulla situazione e sulle opportunità che offre al settore l’“erba matta” dell’ad blocking. «Gli utenti si sono abituati all’advertising, ma sono anche stufi di essere investiti da cascate di pubblicità fastidiose. Per evitare che sentano la necessità di installare questi strumenti nei loro browser noi, come advertiser, dobbiamo cambiare qualche fattore nelle nostre strategie. Abbiamo a disposizione tonnellate di dati, tanto da poter scoprire esattamente cosa guardano gli utenti all’interno dello schermo e cosa è per loro più rilevante. È importante ridurre il numero delle inserzioni, privilegiando una qualità migliore e la scelta dell’ambiente in cui vengono consegnate. Sul lato contenutistico, la chiave strategica sta nei dati di audience, il placement deve essere basato su un targeting curato e deve garantire una visibilità ottimale alla stregua delle informazioni ricavate dalle misurazioni. Per quanto riguarda la strategia, invece, continuare con il metodo “spray and pray” è più che mai controproducente. Bisogna lanciare campagne ragionate usando molti canali e meno intensità, nel pieno rispetto dell’utente» ha spiegato Hilton.

strategia l’indicazione è questa: continuare con il metodo “spray and pray” è più che mai controproducente

campagne per realizzarle nella maniera più adeguata viene consigliato di utilizzare molti canali e usare meno intensità

ingaggio non è un problema nuovo, è da tempo che si parla di user experience: vanno ascoltati gli utenti

abusi non bisogna favorire il pensiero di essere contro l’adv, ma gli annunci fastidiosi sono da evitare del tutto

Riconoscere il problema «Il primo challenge è riconoscere il problema - spieANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


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ga Nick Hugh -. Abbiamo deciso di scegliere una logica user-first, ma poi ci siamo trovati di fronte al problema dell’engagement». «Non è un problema nuovo. È da tempo che si parla della user experience. L’unico modo per capire che strada intraprendere è ascoltare i consumatori. Non possiamo ignorare la loro sensibilità. Anzi, dobbiamo garantire che i formati siano rispettosi sia per il mercato sia per gli utenti» continua Pete Blackshaw. «Qualche anno fa abbiamo dato agli utenti la possibilità di segnalarci quali ads consideravano fastidiose. È così che si evolve il sistema» ha aggiunto Hugh. Shine ha appena firmato un accordo con la compagnia telefonica 3 per la costituzione di un sistema di ad blocking direttamente dal network e ha risposto, per bocca di Roi Carthy: «Noi diamo ai consumers la possibilità di evitare gli abusi dell’advertising. Non siamo contro l’adv, ma crediamo che ci siano nuove regole di engagement da seguire. I nostri 30 milioni di utenti, iniziando da quelli in Italia e Uk, possono scegliere liberamente se ricevere o no le pubblicità». «Va però riconosciuta una sostanziale differenza tra ads buone e cattive. Le prime sono coinvolgenti e apprezzate, altre sono belle, leali e rispettose, ma poco apprezzate. Altre ancora sono solamente fastidiose» è intervenuto Benjamin Faes di Google. «E il settore già lavora in questo senso. In Aol ci siamo già posti la domanda: come colpiamo gli utenti senza infastidirli? Per questo abbiamo investito nella ricerca di contenuti più coinvolgenti capaci di portare con forza un messaggio adv» ha fatto eco Allie Kline. L’evoluzione dei contenuti, e l’apprezzamento dei suoi risultati, rimane però in mano agli utenti: «Vogliamo assicurare un’esperienza non intrusiva. Shine è aperta ad ascoltare tutti i punti di vista, di advertiser e brand, per un migliore advertising. Non facciamo whitelisting e per ora non generiamo revenue. Vogliamo creare un network di fiducia, che magari in futuro ci porterà qualche ritorno» ha ribattuto Carthy. Come monetizzare «Produrre contenuti senza monetizzare è un discorso che potrebbe non essere sostenibile per gli editori nel breve periodo. Anche le logiche adottate da alcuni publisher, come ad esempio la richiesta di pagamento per ogni articolo verso chi usa ad blocker e la gratuità per chi accetta le ads, distrugge la libertà su cui si fonda internet. Il cui motore e fascino è anche l’adv» ha spiegato Faes. «Sarebbe il crollo di una delle più grandi democrazie nate negli

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ultimi trent’anni, ancora guidata dagli utenti. Che sono dieci passi avanti rispetto al settore stesso» ha aggiunto Kline, prima che Hugh rafforzasse il concetto: «Il 60% della popolazione digitale in Uk preferisce ads e contenuti gratuiti a quelli a pagamento. È questa la natura del free internet». «In realtà, il 20% della popolazione europea utilizza ad blocker per il desktop. Inoltre, tra gli utenti di Digicell, che utilizza una logica opt out, in pochissimi hanno scelto di ricevere pubblicità. La questione non è cambiare i contenuti, è cambiare le regole. E a tutto questo aggiungiamo che tra il 5 e il 15% dei dati di rete consumati dagli utenti mobile è assorbito dalle inserzioni - ha tagliato corto il manager di Shine in un dialogo da tutti contro uno -. La industry pubblicitaria si affaccia ai problemi solo quando questi diventano esistenziali. Non è un boicottaggio nei confronti del sistema adv, ma un’opportunità per rivedere la sua struttura comunicativa». Va detto, però, che anche sul lato telco non esiste un accordo totale. O2, ad esempio, ha dichiarato che “l’ad blocking a livello di network non può essere una soluzione”. Radici e declinazioni Tra Henric Ehrenblad, Founder and Chairman di Widespace, Jay Kenny, svp Marketing di Alarm.com, Roelant Prins, Cco di Adyen, e Alex Underwood, vp Head of Global Agency and Accounts di Spotify, invece, fluttuava un senso di accordo generale. Iab e Dmexco avevano organizzato, in uno dei Teathre del padiglione dedicato, una giornata all’insegna del marketing. Il keynote “Disruptive Innovation: The Next Mobile Frontier” ha portato alla luce le radici e alcune delle possibili declinazioni del marketing sui dispositive portatili. Le fondamenta, sono e continueranno ad essere i dati. «Sono importantissimi per il nostro business perché ci permettono di fare leva sulla personalizzazione. La sfida è capire cosa piace a ognuno dei nostri utenti e seguire le loro abitudini. Bisogna consegnare il giusto messaggio al giusto utente al giusto momento, dicono i marketer. Ma noi puntiamo ad aggiungere un altro elemento: il giusto contesto. Abbiamo un business crossplatform che ci consente di superare il mondo demografico. Bisogna concentrarsi sulle persone e su cosa fanno. Alcuni ascoltano Spotify anche per addormentarsi, tanto che ci sono delle playlist dedicate al sonno» ha spiegato Underwood. «Lavorando sui dati abbiamo scoperto che esistono gruppi di utenti per ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


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ciascun contenuto. Spesso queste audience si auto profilano» ha continuato Ehrenbald, e dunque è necessario aumentare l’attenzione ai dati per calcolare i risultati e scoprire nuove opportunità. Il mobile permette a Widespace di «utilizzare le informazioni di geolocalizzazione per la delivery di ads specifiche. Ad esempio il weather targeting: se un utente abita in una città in cui c’è sole e caldo, gli consegneremo l’inserzione di una gelateria». Cloud & Smart «Attraverso una piattaforma cloud che connette tutti i dispositivi, smartphone e altri oggetti smart presenti nella casa, riusciamo a far convivere la gestione automatica di alcune dinamiche abitative con la pubblicità. Per esempio, se si è rotto il filtro dell’aria condizionata e tornando a casa da lavoro si passa nella zona di un rivendi-

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tore, l’app sarà in grado di consigliarti di passarci, avendo già individuato il guasto e il modo per aggiustarlo» ha raccontato Jay Kenny. Guarda al futuro Spotify, attraverso gli occhi di Underwood, che ha dichiarato: «Il nostro obiettivo è offrire musica on demand e personalizzata. Siamo aperti a partnership, per esempio abbiamo appena concluso un accordo con Uber, per permettere agli utenti di viaggiare con la loro colonna sonora. Ma la nostra piattaforma musicale potrebbe essere collegata sui videogiochi o addirittura allo spazzolino. Un modo per dare ritmo alla routine del mattino. La disruption avverrà attraverso quei dispositivi che possono veramente rivoluzionare la user experience. Per noi significa aprirci a partnership con quei player che possono fare scoprire ai nostri utenti nuova musica o dare una nuova vita a quella che conoscono già».

Protagonisti / Alcatel One Touch diventa Alcatel e parla ai Millenials Per l’estate imminente è in arrivo una campagna di prodotto con focus sul digital, come spiega il country manager del gruppo, Flavio Ferraro

Un rebranding e una campagna di prodotto in arrivo quest’estate. Alcatel One Touch diventa Alcatel e per l’occasione sfoggia un logo nuovo di pacca e si prepara a comunicare le ultime novità di prodotto. Per chi non lo sapesse dal 2006 il ramo cellulari di Alcatel è parte del cinese TCL Group mentre Alcatel Lucent è da poco passata nelle mani di Nokia. «Sentivamo la necessità di fare ordine e pulizia sul nostro brand - ha spiegato a 360com il country manager Flavio Ferraro, incontrato al Mobile World Congress di Barcellona -. E da Alcatel One Touch siamo diventati semplicemente Alcatel. Questo perché era necessario avere un nome di più facile identificazione e abbiamo ripreso il marchio originale rinnovando il logo con uno stile più moderno e adatto ai tempi. Questa operazione mira a renderci più approcciabili e rilevanti con lo scopo di democraticizzare l’innovazione: con questa espressione intendo dire che, per noi, la tecnologia dev’essere accessibile al mercato, anche dal punto di vista del prezzo. Al centro del nostro rebranding, poi, c’è il cliente e in questo senso stiamo cercando di conquistare il target dei Millenials: è a loro che ci rivolgiamo principalmente». Il rebranding non avrà attività di comunicazione dedicate, ma Alcatel pensa di lanciare per quest’estate una campagna legata a due famiglie di prodotto, Idol e Pop, in cui evidenziare anche il nuovo logo. «La campagna è in fase di definizione, stiamo pensando ai canali da utilizzare. Senz’altro ci sarà il digital, comprese le piattaforme social, dove veicoleremo circa il 50% del budget. A livello di tempistiche le prime operazioni per Pop potrebbero arrivare verso maggio o giugno, mentre Idol sarà pubblicizzato a partire da fine estate». Alcatel si servirà di partner internazionali, con una creatività ad ampio raggio capace di parlare efficacemente a persone di Paesi e popoli molto diversi fra loro.

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netnoc, la startup di artattack, si occupa di content strategy, production e analytics

«Le persone consumano contenuti, non advertising» bastano Poche parole per esprimere un concetto chiaro. Così il business developer di netnoc, Pasquale Borriello, descrive con una panoramica esaustiva il mondo, ancora in fase di notevole espansione, del Content Marketing, mettendo in evidenza le offerte della struttura di cui fa parte di Ottavia Quartieri

Se fino a qualche anno fa quando si parlava di smartphone si pensava esclusivamente alla sue caratteristiche primarie e basilari, quali le telefonate e i messaggi, quegli Short Message Service che i giovani d’oggi conoscono a malapena perché impegnati a tenersi in contatto con applicazioni quali WhatsApp e WeChat, oggi la situazione si è completamente trasformata, in ogni suo aspetto. Tutti i dispositivi che utilizziamo in mobilità, dagli smartphone ai tablet fino alla più recente crasi tra i due, i phablet, vengono sì visti in quanto elementi di connessione, ma non più direttamente tra le persone, bensì prima alla rete poi, di conseguenza, tra i vari utenti. E questa

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nuova modalità di fruizione dei device mobili ha fatto sì che tutti gli operatori del panorama online debbano puntare a offrire servizi e/o prodotti che conquistino l’attenzione dei naviganti affinchè restino connessi e in contatto con loro. Per far questo la via più sicura ed efficace è quella di spingere sui contenuti di qualità, operazione che gli operatori del settore chiamano Content Marketing. Contenuti cuciti su misura, dunque, è questo quello che vogliono i player dell’online, dalle aziende agli editori, per mantenere quel touch point con gli utenti garantendogli così una user experience più immersiva. «Le persone consumano contenuti, non advertising, tanto che ormai sono disposte a spendere tempo o

soldi pur di non vedere la pubblicità». È questo quello che ha sottolineato Pasquale Borriello, Business Developer di netnoc, durante la sua intervista a 360com in occasione di questo primo Seminar targato Iab Italia e dedicato proprio alle best practice del comparto Mobile. Borriello ha, inoltre, fatto il punto della situazione sulle nuove offerte di netnoc e, più in generale, ha stilato una panoramica sullo stato dell’arte dell’intero settore. All’inizio di quest’anno è partita Netnoc Bloom, prima piattaforma di Content Marketing Made in Italy. Come funziona e quali sono stati i primi riscontri a poche settimane dal lancio? «Siamo in fase di clo-

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a tutto tondo

in questa foto pasquale borriello, business developer di netnoc durante l’intervista rilasciata a 360com

sed beta con dieci aziende partner per capire meglio quali sono le esigenze specifiche di editori, aziende e agenzie che operano nel content marketing. Intanto stiamo anche raccogliendo le iscrizioni per la open beta che contiamo di lanciare entro giugno. La risposta è stata molto buo-

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na e c’è sicuramente interesse per un prodotto così innovativo e che risponde a un’esigenza pratica delle aziende: capire come sta funzionando il proprio content marketing». Il 38% dei media è fruito attraverso uno smartphone. Alla luce di questo trend come si sta adattando la vostra offerta? Sono emerse esigenze specifiche o particolari nella veicolazione dei

contenuti via mobile o i content di qualità non sono legati a un device in particolare? «La verità è che il Content funziona benissimo su mobile. L’advertising, fatta eccezione per quella sui social, fa molta fatica a trovare formati adatti allo smartphone. Stiamo già ragionando con alcuni clienti ad iniziative di content marketing particolari che si adattino al device. Proprio come avviene con la grafica dei siti responsi-

ve, ma per il contenuto». Una case history targata Netnoc, se di case history si può parlare «Stiamo collaborando ormai da diversi mesi con un importantissimo cliente della Gdo con cui presto lanceremo un innovativo formato video pensato principalmente per la fruizione social e mobile. Ma non ci piace parlare di case history e per questo non vogliamo firmare i nostri contenuti. Il content ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


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lo produciamo per i nostri clienti e li aiutiamo a diventare media company, agiamo quindi dietro le quinte per garantire la massima qualità. In questo siamo molto diversi da un’agenzia». Content Marketing, Branded Content e Native adv: se ne parla molto ma in pochi sanno coglierne le differenze e i punti di forza «La distinzione chiave è quella tra contenuto, contenitore e distribuzione. In una fase iniziale del content marketing in Italia l’interlocutore dell’azienda si proponeva di fare tutto: contenuto, editore e media. Ora stiamo finalmente arrivando ad una specializzazione che impatta positivamente sulla qualità. E noi vogliamo essere l’interlocutore privilegiato per quello che riguarda la strategia e la creazione dei contenuti». Da un lato ci sono banner tradizionali messi a dura prova dal basso tasso di click, dall’altro l’ascesa inarrestabile del fenomeno degli Ad Blocking. In questo scenario, quali vantaggi possono trarre le aziende che decidono di appoggiarsi a soluzioni di Content Marketing? «Le persone consumano contenuti, non advertising. E ormai sono disposte a spendere tempo o soldi pur di non vedere la pubblicità. Per le aziende il modo migliore, e talvolta perfino l’unico, per parlare al proprio pubblico è quello di dar loro contenuti. Devo aggiungere altro?»

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L’Opinione Come superare il problema numero uno del Content Marketing Siamo tutti convinti che il Content Marketing funzioni e serva a qualsiasi tipo di azienda. Giusto? Bene. Allora è il momento di affrontare il primo problema. Che è anche il più grande.

Un estratto dal blog di Pasquale Borriello, business developer di netnoc, che in pochi e chiari punti spiega le linee guida per creare strategie di Content mrkt efficaci

Come creare il contenuto?

tenzione, si tratta di solito di progetti molto complessi; Re-purposed Content: un approccio ecologico in cui i contenuti esistenti acquisiscono una nuova vita in formati diversi dall’originale.

Dopo aver definito obiettivi e target del Content Marketing, aver identificato i canali, finalmente è il momento di creare il contenuto. La content strategy può di nuovo tornarci utile perché è proprio a livello strategico che occorre organizzare il processo di produzione del content. È il tipo di attività che gli editori svolgono molto bene, ma non vale lo stesso per le aziende o per le agenzie. Dobbiamo quindi chiarire alcuni punti fondamentali.

Qual è la tipologia di contenuto? Occorre definire che tipo di contenuto ci serva. Non è scontato che il contenuto sia creato dal team interno o che addirittura vada creato ex-novo.Le tipologie di contenuto possono essere almeno cinque: Custom Content: è il caso standard; il contenuto va realizzato ad hoc per il progetto di content marketing; Curated Content: il contenuto prodotto da altri viene selezionato e riorganizzato per dare nuovo valore ai lettori, come nel caso di netnoc weekly; UGC: il contenuto è prodotto dagli utenti, in formato testuale o visivo, è importante definire le meccaniche di engagement e dare qualcosa in cambio agli utenti che contribuiscono; Co-created Content: contenuto sviluppato insieme agli utenti e è frutto di un lavoro di coinvolgimento a monte secondo modalità e finalità molto precise. Ma at-

Quali saranno le fonti? È un passo delicato perché più la fonte è valida e autorevole, maggiore saranno le possibilità di creare un contenuto di qualità. Le soluzioni sono molteplici, ed è fondamentale scegliere il partner giusto in relazione alla “voce” dell’azienda. Sarà, quindi, importante affidarsi a esperti per contenuti approfonditi in settori molto specifici, cosí come potrà servirci la creatività di un’agenzia per generare contenuti originali e che funzionano bene sui social. Propongo un framework di produzione del contenuto che distingue tra fonti in-house ed esterne.

conoscenza di mercato e competitor; Certified Content, contenuto realizzato da un editore autorevole con redattori e con collaboratori specializzati; Contenuto d’agenzia, ovvero frutto di un lavoro creativo da parte di professionisti della comunicazione ma non competenti su argomenti specifici; Contenuto prodotto da un Talent, Influencer o Blogger dove conta non tanto (o non solamente) la competenza scientifica quanto l’autorevolezza sull’argomento, riconosciuta da un pubblico di seguaci (followers); Contenuto crowdsourced o user-generated nel caso in cui sia importante avere input originali da parte del pubblico o nel caso di contest creativi.

Quali formati mi servono?

galassia di piece of content da realizzare all’interno della medesima content strategy. Propongo una semplice distinzione tra contenuti editoriali, visivi e interattivi.

E ora? Di “cosa” parliamo? Dopo aver definito come creare il contenuto, fonti e formati, siamo finalmente pronti. Fondamentale è chiarire i temi che vogliamo trattare. È la parte centrale del brief per coloro che dovranno occuparsi della redazione vera e propria del content: è il ‘cosa’ del content marketing. Per allineare tutto il team può essere utile aggiungere qualche dettaglio, come: il contesto marketing all’interno del quale il content si posiziona; eventuali temi o keyword “vietate” da non usare; il “tone of voice”.

Per formato intendo la forma finale di ciò che il pubblico vedrà. Non si tratta solo di definire se vogliamo un post su un blog o un video, ma di valorizzare al meglio la

Fonti di contenuto in-house: Esperti del prodotto e/o del mercato che lavorano in azienda, in centri studi, di ricerca o nel marketing; Contenuti già presenti in azienda utilizzati dai reparti sales e marketing; Case study che riguardano sia i clienti che i progetti rilevanti.

Fonti di contenuto esterne:

Lavoro di ricerca originale, che serve per riempire i nostri canali di content marketing e per approfondire la ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


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ceres in primo piano La marca spicca sul balcone usato per tanti collegamenti in diretta durante il festival di sanremo

Anche se ci siamo ormai addentrati nell’era dei social media, il passaparola resta ancora tra i mezzi di comunicazione più efficaci

Buzzoole per Ceres: l’influencer marketing automation, nutrimento di social audience

L’engagement genuino che non strizza l’occhio alle celebrità, ma agli user, sta alla base del successo delle campagne del noto brand del beverage che ha scelto gli influencer per portare un sorso di creatività a Sanremo 2016, toccando una reach di oltre 10 milioni di contatti e un tasso di interazione con la marca, calcolato attraverso il click Through rate, pari al 5,5% di Anna Maria Ciardullo

Buzzoole è una piattaforma di “influencer marketing automation” che, intorno a una delle più antiche forme di comunicazione, il passaparola, ha costruito un vero e proprio modello di business. Un modello che vale per gli utenti finali ma so-

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prattutto per le aziende che, tramite la piattaforma, possono ingaggiare una serie di persone influenti nel loro settore allo scopo di creare interesse intorno ai loro prodotti e servizi e strutturare la fiducia degli utenti verso il brand. Fabrizio Perrone, amministratore delegato di Buzzoole, due

anni fa ha creato la piattaforma dopo aver intuito come sul mercato mancasse un tool qualitativo che permettesse di misurare la reale influenza degli utenti in rete sia dagli utenti stessi sia dai brand. Un tool versatile, che consentisse anche alle piccole e medie imprese di poter utilizzare il

“word of mouth” come un vero e proprio canale media. Royal Unibrew, azienda che produce e commercializza il marchio Ceres, lavora insieme a Buzzoole da quasi due anni e, in più di un’occasione, ha scelto i suoi servizi per dare slancio alle proprie strategie di comunicazione sui so-

cial network. Le campagne di Ceres sono considerate un vero e proprio esempio di successo nell’ambito del social media marketing e dimostrano l’efficacia del modello Buzzoole. Tra le più significative si annovera quella realizzata dal noto brand del beverage in occasione dello scorso Festival

di Sanremo. Ceres, per cavalcare la social TV intorno alla kermesse e alimentare le conversazioni verso il suo marchio, ha affittato un balcone di fronte all’Ariston, trasformandolo in

una sorta di palcoscenico dove far esibire artisti e appendere in real time i commenti più divertenti postati dagli user con l’hashtag #SanremoCeres. Grazie a Buzzoole, Ceres ha coinANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


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volto oltre 90 influencer nell’iniziativa i quali hanno ricevuto un “Ceres pack” contenente 4 bottiglie di birra e un manuale per il “perfetto influencer”, che li ha accompagnati in una sorta di viaggio intorno al festival, fatto di degustazione e musica. Per tutta la durata dell’evento e in orari prestabiliti, gli influencer hanno, quindi, tweettato e interagito con gli utenti, massimizzando l’esposizio-

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ne del brand e generando conversazioni che hanno incrementato l’engagement con l’account ufficiale. #SanremoCeres è stato il quinto hashtag per menzioni di tutta la kermesse sanremese totalizzandone più di 35.000. I risultati della campagna hanno superato le aspettative registrando un record di contatti che ha sfiorato i 10 milioni. Il tasso di interazione con Ceres, calcolato attra-

verso il Click Through Rate (CTR), è stato del 5%, contro il dato medio di Twitter che si attesta non oltre il 2,5%. La campagna, partita con una fase teaser, ha raggiunto il massimo della reach durante le serate del festival, entrando da subito nei trend topic. Ceres ha registrato oltre 1500 nuovi follower, più di 1000 retweet, 3300 nuovi like e oltre 11.000 mention su Twitter. Il profilo Facebook, in-

vece, ha raggiunto ben 2,5 milioni di utenti con circa 20.000 interazioni. Insomma, i numeri parlano chiaro e dimostrano come un utilizzo consapevole delle piattaforme social possa fare davvero la differenza per un brand. Lo scenario del “second screen” che nasce dall’integrazione crescente tra Twitter e i programmi televisivi appare, dunque, un terreno fertile per questo tipo di attività che può portare grandi benefici, non solo alle aziende, ma anche all’intero settore dell’entertainment. “Il fenomeno del second screen ha un impatto enorme non soltanto nelle modalità di fruizione/consumo televisivo ma rappresenta una grandissima opportunità per i marketer e gli

advertiser per entrare nelle conversazioni sui brand, in particolar modo su Twitter. Ad oggi abbiamo condotto circa 100 campagne di live tweeting consentendo ai brand, nel 90% dei casi, di rientrare nei trend topic”, ha dichiarato Fabrizio Perrone. Buzzoole, inoltre, continua a innovare la sua offerta con soluzioni sempre più originali. A partire dal 5 aprile, ad esempio, le campagne di live Tweeting, dapprima disponibili solo in forma consulenziale, saranno attivabili anche in modalità self service. Per questo nuovo format è stato sviluppato anche un servizio di report ad hoc che permette di controllare in tempo reale l’andamento dei tweet, delle menzioni e l’audience raggiunta. ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


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I branded content e il native adv come alternativa alla pubblicità display tradizionale su desktop e mobile

Un native advertising di qualità che strizza l’occhio alle digital pr

BizUp, grazie al network di UpStory che conta circa 4.000 siti premium, vertical blog e profili social, garantisce a brand e publisher campagne capaci di erogare performance ad alto tasso di engagement. Ce lo ha spiegato il ceo Claudio Vaccaro. In soli quattro anni di attività, la company ha seguito 200 clienti in 25 mercati differenti di Anna Maria Ciardullo

Oggi, per potenziare il proprio business, le aziende possono contare su un alleato molto forte: i digital media. BizUp, una web agency specializzata nell’erogazione di servizi seo, content marketing e digital pr multi-obiettivo, multi-canale e multilingua, proprio intorno questa possibilità ha costruito il suo business, sviluppando soluzioni di marketing e comunicazione online per aiutare le aziende ad acquisire traffico, incrementare le vendite, migliorare la propria reputazione e aumentare la fidelizzazione degli utenti. In soli quattro anni di attività, la company ha già seguito oltre 200 clienti in 25 mercati. Forte della sua pluriennale esperienza in ambito digital pr e consapevole dell’evoluzione dell’online advertising verso forme di pubblicità più rilevanti e meno invasive, BizUp ha dato vita ad UpStory (www.

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upstory.it), una piattaforma di digital pr a performance e native advertising di cui ci parla meglio in questa intervista Claudio Vaccaro, ceo di BizUp e UpStory. Che cos’è UpStory? UpStory è un network di circa 4.000 siti premium, vertical blog e profili social che consente di pianificare campagne di digital PR a performance (post sponsorizzati, video seeding, social engagement) e native advertising ad alto tasso di engagement. A chi si rivolge la piattaforma? UpStory ha due anime. Lato

brand, assicura la promozione di branded content verso la giusta audience con performance garantite e tracciabili in tempo reale (numero di post, post views, click sui post, video views, reach, social interaction) e la pianificazione di campagne di Native Adv con messaggi rilevanti e contestuali. Lato publisher, rappresenta una soluzione alternativa al display adv per monetizzare il traffico mobile e desktop. Perché un publisher dovrebbe iscriversi ad UpStory? E quali sono, invece, i vantaggi per i brand coinvolti?

UpStory, come il Native stesso, è una soluzione win-win per publisher e inserzionisti. Per i primi rappresenta uno strumento efficace per contrastare la diffusione dei software ad-blocking e monetizzare l’inventory (soprattutto mobile) con post sponsorizzati e annunci nativi che non interrompono la navigazione e si adattano perfettamente al design del sito nel quale sono inseriti. Sui vantaggi per i brand, i dati parlano chiaro: branded content e Native Advertising hanno ormai superato il Display Adv per tasso di crescita degli investimenti, CTR, viewability, 4 al verttice dell’azienda

In questa foto compare carlo vaccaro, ceo di BizUp e UpStory, che traccia una sintesi dell’attività dei due player

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Piattaforma self-service per social media monitoring in tempo reale

Aumenta l’engagement degli utenti con widget e infografiche 100% personalizzabili

Monitora le menzioni del tuo brand sui social media e aumenta la soddisfazione dei clienti

Pubblica sondaggi e contest real-time su siti web per aumentare traffico e impression online

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L’intervista

Huawei avvia la grande campagna: 10 milioni di investimento Budget in crescita del 70%, il 25% in digital. Il direttore marketing spiega la strategia legata a un marchio “cool” la vostra brand awareness? «Era al 15% nel 2013, oggi ha superato l’80%. La brand consideration è passata dal 13% al 30% nel giro di un paio di anni. Possiamo anche dare un nome al nostro obiettivo: brand dinamic premium».

L’offerta della società è stata arricchita con formati che assumono la forma del contest al cui interno sono veicolati

trust, valore nel tempo, capacità di catturare l’attenzione degli utenti per poi spingerli all’azione, configurandosi come valide soluzioni per realizzare storytelling di qualità. In uno scenario frammentato come quello dell’online advertising, quali sono le novità di Upstory che proponete per competere nel settore? UpStory è nata nel 2015 come una piattaforma per la distribuzione di sponsored post a performance garantita. Coerentemente con l’evoluzione del mercato e in linea con le definizioni della Guida IAB al Native Advertising, abbiamo deciso di farci promotori dei trend in atto completando l’offerta di UpStory con nuovi formati pubblicitari nativi 100%

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viewable, ad-block safe e full-responsive. Cosa vi ha spinto a focalizzarvi sui contenuti native? Come si collocano i vostri formati rispetto alla classificazione IAB? Di pari passo con la crescita esponenziale degli investimenti in Native Advertising (20 miliardi di dollari nel 2018 in US secondo Business Insider), abbiamo scelto di cogliere questa gigantesca opportunità arricchendo l’offerta con formati pubblicitari che assumono la forma del contesto in cui si trovano, generano maggiore fiducia e stimolano l’engagement intorno al brand. I nostri formati sposano la classificazione operata a livello internazionale da IAB: UpFeed, composto da immagine, titolo e descrizione, si inserisce nel feed dei conte-

nuti del sito desktop e mobile, ne assume esattamente la forma e rimanda a una pagina interna al sito; UpVideo (in-feed e in-content) è un formato video scroll-toplay ad alto tasso di engagement, collocato nel flusso di notizie o all’interno di un articolo sia desktop che mobile; UpContent, composto da immagine, titolo e descrizione, è anch’esso fullresponsive e si colloca alla metà dell’articolo. Altre novità e progetti futuri? Attualmente stiamo lavorando alla costruzione di un network di publisher e social influencer sempre più premium, corposo e verticale. Entro il primo semestre del 2016 daremo inoltre la possibilità agli investitori di acquistare la nostra inventory native in programmatic.

di Davide Sechi

Come un fulmine a ciel sereno: Huawei lancia la sua prima campagna di comunicazione integrata a livello globale, incentrata sull’hashtag “#OO” e caratterizzata dal claim “Change the way you see the world”, attraverso iniziative digitali e social, affissioni ooh, stampa e radio. Una comunicazione legata al lancio della nuova serie di smartphone P9. Le iniziative che hanno coinvolto inizialmente Milano, non tarderanno a impadronirsi anche di capitali del calibro di Madrid, Londra, Berlino e Parigi. Il tutto mentre monta l’attesa sull’annuncio riguardante l’innovazione legata al marchio, mistero che è stato poi svelato in quel di Londra. 360com ne ha approfittato per dialogare con il direttore marketing del gruppo in Italia, Ettore Patriarca.

Prossimi obiettivi e buoni propositi...

Un’azienda sorta solo venticinque anni fa, divenuta celebre per le proprie abilità nel campo delle telecomunicazioni, particolarmente attiva nelle infrastrutture di rete, allarga i propri ambiti e si fa notare sempre più nel campo degli smartphone. E ora? Cosa sta per succedere? «Ora è arrivato il momento di consolidare la nostra posizione ma anche di allargare le prospettive. Ma andiamo con ordine: siamo il terzo brand in Italia per quel che concerne il market share, siamo il secondo marchio Android, anche a livello europeo. Come siamo riusciti in così breve tempo a conquistare una simile posizione? Aggredendo la fascia medio-bassa, quella dei prodotti a prezzi decisamente convenienti. E’ giunto il momento di fare un passo nella direzione opposta, ovvero penetrare con autorevolezza nella fascia da 400/500 euro in su».

A che livello si posiziona oggi

Un’operazione davvero di grandi proporzioni... L’agenzia che ha riadattato la campagna globale di Havas London è Ogilvy, mentre Maxus si è occupata del media. «In ambito digitale i partner sono Isobar e H-ART. Intendiamo comunicare l’interazione tra le nostre attività e la rilevanza del brand». Il budget è di 10 milioni, in crescita del 70%, il 25% è destinato al digital. Tesimonial della campagna due grandi personaggi: l’attrice Scarlett Johansson e Henry Cavill, l’attore che interpreta Superman nel film “Batman v Superman”.

Sarà una campagna europea? «Certo, avremo una visione strategica internazionale ma con contenuti ed elementi per pubblico e mercato italiano. Un adattamento intelligente e creativo. Da questa visione derivano le operazioni compiute online e con i comici di The Jackal o la partnership con “The Voice of Italy”». ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016



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pixelBook è una piattaforma per la pubblicazione digitale sviluppata dall’omonima società di reggio emilia

Tra Mobile e Web, la strada più efficace è l’integrazione Il ceo della startup nata quattro anni fa, Sirio Zuelli, in occasione del Seminar Iab dedicato al comparto del Mobile ha evidenziato alcuni punti chiave che i player del settore devono tenere in considerazione, per ottenere un contatto maggiore e più efficace tra i bisogni reali degli user e le soluzioni proposte di Ottavia Quartieri

Il 2015 è stato l’anno della consacrazione del mobile. E a dirlo non sono solo gli operatori del settore, ma esistono diversi numeri e statistiche che confermano il trend già in atto. Sono 22 milioni gli italiani, tra i 18 e 74 anni, che accedono ogni mese a internet da dispositivi mobili, pari alla metà della popolazione di riferimento. Inoltre, più del 70% del tempo trascorso giornalmente a navigare è legato a dispositivi mobili e, se per i giovanissimi questa percentuale sale all’85%, persino per gli over 55 hanno superato ormai quota 50%. E anche il mercato dell’advertising inizia a guardare con attenzione a questo comparto, che “è cresciuto del 53% tra il 2014 e il 2015 raggiungendo un valore di 462 milioni di euro e una quota pari al 21% dell’Internet Advertising e al 6% del totale dei mezzi pubblicitari”,

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come ha affermato Marta Valsecchi dell’Osservatorio del PoliMi a commento degli ultimi dati emersi a febbraio. Di fronte a evidenti dati, in crescita anno su anno e mese su mese, non sempre le aziende rispondono di conseguenza, investendo quote adeguate su questo dispositivo. Di questo e di molto altro ha parlato il ceo di pixelBook, Sirio Zuelli, che ha fatto anche luce sulle performance dell’azienda specializzata nell’offrire soluzioni efficaci ed economiche per portare sui dispositivi mobili brochure aziendali, cataloghi e riviste. Nel mercato italiano c’è coerenza tra la consapevolezza acquisita del primato del comparto mobile - sia in termini di fruizione del contenuto sia in quanto al peso delle transazione economiche - e budget di spesa messi

effettivamente sul tavolo dalle aziende? «La situazione italiana è in lenta evoluzione, sopratutto se paragonata ad altri Paesi dove la presenza su mobile è più massiccia e strategica. Le grandi aziende e le multinazionali non solo hanno un budget per il mobile, ma questo è anche gestito da un digital marketing manager acquisito e formato appositamente. Per avere, però, il peso vero del mercato mobile, occorre guardare alle piccole e medie imprese; e qui siamo ancora lontani da una vera consapevolezza e potenza del mezzo. A parte pochi illuminati che sul mobile investono parte del budget, la maggior parte ignora le potenzialità di tablet e smartphone, nonostante quasi metà del traffico internet passi da questi dispositivi. Per questo abbiamo voluto proporre alcune soluzioni molto economiche di pixelBook, con funzionalità base ma per consentire ad

alcuni pionieri, di mettere un piede in questo mondo, senza dover investire cifre e risorse eccessive». Secondo l’esperienza maturata da pixelBook, di che cosa ha bisogno un’iniziativa mobile per essere efficace ed emergere nel mercato? «La soluzione proposta deve corrispondere a un reale bisogno, ed essere semplice da usare: l’utente deve aprire l’app e trovarsi a casa. Come se l’avesse sempre usata, deve trovare al volo quello che cerca, e avere i comandi esattamente dove si aspetta che siano. PixelBook risponde alla necessità delle aziende di comunicare all’esterno la propria gamma di prodotti, permette agli editori di pubblicare velocemente ed economicamente cataloghi, libri e riviste, e consente alle aziende più grandi, di fornire alla propria forza vendita tutti i listini, cataloghi e materiale tec-

specializzazione in questa foto sirio zuelli, ceo della startup, che fa luce anche sulle performance conseguite dall’azienda

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nico sempre nella versione più aggiornata. I punti d’incontro rispetto alla User Experience sono parecchi, anche se su desktop si può “osare” un po’ di più come complicazione della dashboard; ma i dispositivi mobili hanno il grosso vantaggio di avere una dotazione hardware che permette tante interazioni in più. Basti pensare, ad esempio, al giroscopio e al modulo GPS: anche per questo, la scelta dell’app nativa in luogo delle “web app” è quasi imprescindibile». Quali solution all’interno della vostra offerta sono le più richieste? E tale scelta è indicativa di una tendenza in corso? «In coerenza con quello che ho appena detto, le funzionalità principalmente richieste sono quelle di integrazione con il web. C’è la possibilità di pubblicare il catalogo o la rivista, arricchita tramite l’edi-

tor, anche sul web. Da poche settimane vengono portate sul web anche tutte le interattività (gallery, video, link…), e quindi con un’unica operazione si alimenta sia un lettore web che la propria app. Chi ha prodotti a pagamento (giornali, libri, riviste) che già vende con suoi canali web e fisici, apprezza molto la possibilità di integrare l’app con gli altri canali: la pubblicazione acquistata con l’ecommerce, può essere direttamente consultata anche sull’app. Oppure si può rendere disponibile sull’app la versione digitale del libro acquistato in formato cartaceo al negozio». PixelBook, tra numeri… «Siamo una startup, e abbiamo una struttura commerciale da meno di due anni: nell’ultimo anno, però, abbiamo raddoppiato il fatturato rispetto all’anno precedente, e ne siamo molto soddisfatti. Nei primi mesi del 2016 stia-

mo godendo del miglioramento delle vendite dato dai nuovi listini, in vigore dalla metà del Q4 2015». … e nuove sfide «L’obiettivo di quest’anno è consolidare la nostra posizione, allargando la base clienti e inserendo nuove funzionalità che ci vengono richieste dal mercato. Ho parlato del reader web con la completa compatibilità con tutte le interattività inserite con l’editor. Poi abbiamo in programma diversi interessantissimi miglioramenti nel backoffice di gestione delle proprie applicazioni e delle pubblicazioni, e nuove campagne marketing. Contestualmente, racconteremo delle diverse funzionalità anche ai nostri iscritti alla newsletter, anche tramite l’esposizione di alcuni interessanti case history che stiamo raccogliendo proprio nel corso di questi mesi».

Il quotidiano del

marketing in rete

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Una collaborazione nata a Barcellona

evangelizzare con informazioni di qualità «La collaborazione con DailyNet nasce a Barcellona, in occasione del Mobile World Congress 2015, dove pixelBook era presente con un proprio stand. Già dalla prima stretta di mano abbiamo capito che le due realtà potevano essere complementari: il quotidiano online DailyNet aveva bisogno di portare su mobile i contenuti che produce quotidianamente per il mercato digitale italiano, mentre pixelBook doveva “evangeliz-

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zare” agenzie e aziende per le quale le info di DailyNet sono un riferimento. Impossibile non trovare un punto d’incontro per una proficua e duratura collaborazione». Nasce così l’app “DailyNet”, che consente a tutti gli abbonati di scaricare (su iOS e Android) e leggere il quotidiano direttamente da smartphone o tablet; e per chi non fosse ancora abbonato, è previsto un periodo promozionale in forma completamente gratuita.

Per informazioni

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Con l’emergere prepotente del mobile, anche il modo di fare e veicolare pubblicità sta cambiando

Rocket Fuel: dispositivi tanti, ma un solo utente L’intervista al country manager Enrico Quaroni, che aggiorna 360com sull’evoluzione dell’offerta aziendale in campo mobile. Ma non solo di

Giacomo Broggi

Con l’emergere del mobile il modo di fare e veicolare pubblicità sta cambiando. Lo sa bene Rocket Fuel, piattaforma programmatica guidata in Italia da Enrico Quaroni, che sta adattando la sua offerta per rispondere alle esigenze dei suoi advertiser, forte della soluzione Cross-Device Optimization, che permette di riconoscere il singolo utente su qualsiasi dispositivo. E che è rafforzata dall’utilizzo dell’algoritmo proprietario Moment Scoring, che «determina quali annunci mostrare a quali consumatori e su quale dispositivo», come spiega a 360com lo stesso Quaroni. Come si declina l’offerta sviluppata

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da Rocket Fuel per il Mobile? E come si integra con quella Desktop? Oggi è comune che una persona abbia smartphone, tablet e computer desktop o laptop per il lavoro e poi magari altrettanti dispositivi per uso personale (per non parlare di quelli wearable). La sfida per i marketer è scoprire chi è l’utente che si “nasconde” dietro a questi sei device e mostrargli gli annunci più adatti per ogni momento della sua giornata o situazione in cui si trova. Rocket Fuel offre la soluzione Cross-Device Optimization che ha la capacità di riconoscere un singolo utente su diversi dispositivi nel 97.4% dei casi. Una volta elaborate le informazioni fornite dall’utente, l’algoritmo Moment Scoring determina quali annunci mostrare a quali consumatori e su quale dispositivo, in modo tale da aumentare le probabilità di conversione. La nostra soluzione si basa su dati validi ed è in grado di rendere le campagne

pubblicitarie online più efficienti ed efficaci, evitando inutili duplicazioni di sforzi e ottimizzando gli investimenti da parte dell’inserzionista.

Quali sono le ultime evoluzioni in campo mobile a disposizione dei clienti? Il persona-based marketing è una delle nuove strategie di punta per molti brand e anche noi ci stiamo concentrando su questa novità. Il nostro team tecnico, infatti, si sta occupando di analizzare ed elaborare l’enorme quantitativo di dati che abbiamo a disposizione, provenienti dai dispositivi mobili, per fornire ai nostri clienti nuovi segmenti di audience basati sui diversi stili di vita e su rinnovati modelli comportamentali. Avete annunciato una partnership con Eyeota: ci racconta meglio i dettagli e cosa cambia per i clienti? L’accordo garantisce la di-

sponibilità dei segmenti di dati forniti da Eyeota nella piattaforma di Rocket Fuel. Eyota ha identificato 1,8 miliardi di profili unici, che sono ora a disposizione degli inserzionisti e dei media buyer che utilizzano la nostra platform. Ciò permette loro di utilizzare dati di alta qualità con cui possono indirizzare efficacemente le loro campagne online in modo tale da mirare ad un pubblico ancora più specifico.

L’intesa perfetta come spiega in questa intervista enrico quaroni, «L’accordo garantisce la disponibilità dei segmenti di dati forniti da Eyeota nella piattaforma di Rocket Fuel. Eyota ha identificato 1,8 miliardi di profili unici, che sono ora a disposizione degli inserzionisti e dei media buyer che utilizzano la nostra platform»

stiamo adattando l’offerta per rispondere alle esigenze dgli advertiser, forti della soluzione Cross-Device Optimization, che permette di riconoscere il singolo utente su qualsiasi dispositivo

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si tenta di abbattere un ostacolo insidioso

Ad-blocker, parte la crociata degli editori americani numerosi siti web ad alto traffico negli Stati Uniti si dicono disponibili a intraprendere un’azione legale per contrastare quella che viene reputata come una vera e propria minaccia per l’intero sistema della pubblicità

di Davide De Vecchi

Un numero di siti web ad alto traffico negli Stati Uniti si dicono disponibili a intraprendere un’azione legale per contrastare la minaccia degli ad-blocker. A rivelarlo è un nuovo report della società di ricerche Medianomics, che ha effettuato un’indagine su 42 siti o network di siti dai 6 ai 450 milioni di visitatori, per un aggregato di 2,2 miliardi di visite al mese. Obiettivo del monitoraggio: va-

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lutare le probabili tattiche per affrontare l’impatto del blocco della pubblicità. Tra le strategie più probabili ci sarebbe, appunto, quella di avviare un’azione legale collettiva. Nessuno degli intervistati ha mai provato a portare le aziende di blocco degli annunci in un tribunale, ma ben il 48% degli intervistati ha detto che era “abbastanza probabile”, mentre una quota pari al 36% ha dichiarato che avrebbe “decisamente/ molto probabilmente” pre-

so una soluzione del genere. Un sondaggio compiuto su 42 editori (i cui nomi non sono stati rivelati) non è necessariamente rappresentativo di tutta l’industria dei media online negli Stati Uniti, ma è comunque interessante vedere che almeno alcuni editori sono disposti a prendere dei provvedimenti contro la costante “spremitura” delle loro entrate. I sistemi di ad-blocking sono utilizzati dal 10% degli utenti desktop degli States, secondo un rapporto pubblicato dal gruppo comScore all’inizio di questo mese, che ha sottolineato come costituiscano, di fatto, una minaccia per le aziende online che si basano molto sulla pubblicità. La reazione del mercato è ancora più sorprendente, anche perché gli editori, altrove, non hanno avuto successo nel portare avanti le loro battaglie giudiziarie con gli ad-blocker. In Germania, Adblock Plus, di Eyeo, è stata portata in tribunale cinque volte, la più recente dal quotidiano Süddeutsche Zeitung, poi dal proprietario di Business Insider, Axel Springer, inoltre da RTL Interactive, da ProSieben/Sat1 e da Zeit/Handelsblatt. Il giudice si è espresso in favore di Eyeo in ogni occasione. Il portavoce di Eyeo, Ben Williams, ha detto a Business Insider: “Tratteremo

Mercato Usa, due terzi della digital display è acquistata in programmatic Nell’ultimo report di eMarketer si stima che la spesa della digital display a stelle e strisce si attesta intorno ai 22,1 milioni di euro, in aumento del 39,7% Il settore del programmatic advertising sta diventando sempre più sofisticato e la spesa tramite questa tecnica di media buying appare in costante crescita, anche se a un ritmo leggermente decrescente rispetto al passato. Nell’ultimo report realizzato da eMarketer, relativamente alle previsioni sulla spesa programmatica negli Stati Uniti, si prevede che per quest’anno più di due terzi della pubblicità digitale sarà acquistata in modalità programmatica. Nel 2016, infatti, la spesa della digital display a stelle e strisce si attesta intorno ai 22,1 miliardi di euro, in aumento del 39,7% rispetto allo scorso anno, e rappresenta il 67% della spesa pubblicitaria digitale totale. Anche nel 2017, inoltre, si prospetta una crescita che, in termini assoluti, dovrebbe attestarsi intorno ai 27 miliardi, andando a rappresentare il 72% della spesa totale in digital display. Di questo trend positivo, emerso anche nella ricerca, sempre a cura eMarketer, “Us Programmatic Advertising”, pubblicata anche sul quotidiano digitale specializzato DailyNet, nella quale si chiariva come più di un marketer su due veicoli in programmatic dal 10 al 50% della propria spesa di comunicazione, ne ha parlato anche Lauren Fisher, senior analyst eMarketer. “Il programmatic è una modalità estremamente efficiente e ha una capacità senza precedenti nel congiungere rich media con inventario di annunci e vari target”.

Mobile, un traino importante A guidare la crescita di questo settore è il mobile, la cui spesa in programmatic quest’anno ha raggiunto negli Usa i 15,45 miliardi di dollari, rappresentando il 69% dell’intera spesa pubblicitaria display. Nel 2017 è previsto che questo dato aumenti ancora, superando i 21 miliardi. Per quanto riguarda, invece, la spesa video veicolata in modalità programmatica quest’anno raggiungerà i 5,51 miliardi di dollari e si stima che il prossimo anno superi, per la prima volta, quella da desktop.

altre eventuali contestazioni, proprio come abbiamo fatto con quelle in Germania, dove abbiamo sempre vinto. Cose come il blocco degli annunci e la tutela della privacy sono diritti fondamentali per gli utenti che navigano in internet. Perciò continueremo a difendere questi diritti».

Le altre tattiche Sempre secondo Medianomics, molti di quelli che hanno risposto al sondaggio possono semplicemente aver aggiunto il loro nome a una class action causata da un altro organismo o trade body, piuttosto che averla pianificata attivamente in pri-

ma persona. Raju Narisetti, senior vice president of strategy di News Corp (che non ha partecipato al sondaggio di Medianomics) ha dichiarato a Business Insider: “Non mi è chiaro come potrà risolversi per gli editori l’azione legale contro le aziende di ad-blocking, ma sono invece certo che

questi stanno diventando popolari presso il pubblico. E vincere nella corte dell’opinione pubblica è sempre la migliore strategia a lungo termine, piuttosto che cercare di vincere solo in un tribunale”. Narisetti ha spiegato che per News Corp il primo imperativo è capire quanto il pubblico online dei suoi marchi abbia attivato adblocker. In secondo luogo, la società sta affrontando la “pesantezza” e la “lentezza” dei suoi siti per garantire un’esperienza di lettura più veloce. Narisetti ha detto anche che è fondamentale far capire al pubblico “come il giornalismo di qualità a cui si rivolgono ha dei costi ed è pagato spesso attraverso gli annunci”. L’approccio di News Corp sembra allinearsi con le strategie degli editori del sondaggio di Medianomics. Limitare il numero di annunci e tracciare gli script per ridurre le dimensioni della pagina e il tempo di caricamento sono tra le tattiche più popolari che i publisher hanno già testato (26%) o probabilmente testeranno (60%). Circa il 40% degli editori intervistati ha anche dichiarato di aver cominciato a sostituire gli annunci display con annunci nativi o contenuti sponsorizzati, che hanno meno probabilità di essere bloccati dai software. ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


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Gli smartphone saranno il prossimo campo di battaglia dell’online adv. Ma attraverso quali strumenti? Secondo uno studio di IHS Technology non c’è dubbio su quale sarà il formato che prevarrà

Il futuro del mobile adv? è 25

L’

di

native

Vera Modesto

ascesa degli smartphone e del business delle app ha radicalmente trasformato lo scenario dei media, quello pubblicitario e, ovviamente, quello tecnologico. Dal lancio dell’App Store di Apple, avvenuto a metà del 2008, fino a oggi, i download di app sono stati oltre 500 miliardi. Oltre il 95% di essi sono gratuiti e monetizzati attraverso la pubblicità, gli acquisti in-app o una combinazione dei due. Alla fine del 2015 erano circa 3,3 miliardi gli smartphone in uso a livello globale, con un tasso di penetrazione che nei mercati più avanzati arriva all’85%. Tuttavia, c’è ancora spazio per la crescita: si prevede, infatti, che entro il 2018 gli smartphone in uso globalmente saranno circa 5 miliardi. Una tendenza che evidenzia una opportunità enorme. Basta pensare che molti dei futuri utenti di smartphone saranno “mobile first” nella fruizione di numerosi contenuti digitali, compresi ovviamente quelli pubblicitari. Il mobile, dunque, sarà con ogni probabilità il canale dominante per ogni forma di online adv. Anzi, lo sarà senza alcun dubbio. Almeno secondo quanto emerge da un’analisi condotta da IHS Technology, per conto di Audience Network di Facebook, attraverso più ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


Il futuro del mobile adv? E’ native

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NATIVE ADVERTISING, UNA DEFINIZIONE “Native” è ormai diventata una parola di tendenza nel mondo del digital advertising. Tuttavia, molto spesso viene utilizzata, alla pari di uno slogan, in modi e contesti non sempre coerenti tra loro. Si tratta, in effetti, di un fenomeno in costante evoluzione sulla spinta delle esigenze degli inserzionisti e le capacità degli sviluppatori di applicazioni, e di conseguenza individuare una definizione univoca e permanente non è un compito sempre agevole. Non a caso, infatti, l’Interactive Advertising Bureau (IAB) nel suo Native Advertising Playbook ha identificato sei differenti tipi di native adv di cui uno, addirittura, viene indicato con la categoria “Varie”. Il problema di definire il Native Adv, quindi, è relativo soprattutto a quanto la definizione di tale pratica deve essere ampia. L’adozione di una definizione ristretta rischia di escludere i formati principali di annunci nativi e può rivelarsi imprecisa, mentre un approccio più

di settanta interviste approfondite con editori autorevoli, sviluppatori di giochi e applicazioni, associazioni di settore, agenzie, servizi di musica, reti pubblicitarie e commercianti di prodotti tecnologici in 25 Paesi di Europa, Asia Pacifica e America. Il risultato è il primo vero tentativo di misurazione e proiezione prospettica del mercato della pubblicità in-app nativa. Secondo lo studio di IHS technology, entro il 2020

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il 75,9% di tutte le entrate provenienti dall’online display advertising, ossia 84,5 miliardi di dollari, proverrà da mobile. Di questa cifra, il 63,2% (del mobile display advertising) sarà native. Il mobile native advertising arriverà, dunque, a valere la “spaventosa” cifra di 53,4 miliardi di dollari. A farla da padrone è, e sarà ancora per molto, il mercato americano, ma l’area più dinamica sarà quella Asia-Pacifico-Australia (APAC), con

una crescita annua composta prevista del 177%. Dallo studio è emerso anche come gli utenti tendano a interagire dal 20 al 60% in più con le inserzioni native rispetto alle inserzioni banner standard. Inoltre, questo tipo di pubblicità genera un incremento nel retain rate (fino a tre volte), nell’eCPM (fino a due volte) e nel CTR. Tuttavia, benché gli intervistati affermino che con la diffusione dei dispositivi mobili, un numero sempre maggio-

re di inserzionisti stia dedicando al mobile fette sempre maggiori del proprio budget il “percorso di avvicinamento” all’adozione di native adv può variare ancora molto per i diversi tipi di editori mobili e non tutti, ancora, hanno compreso a fondo come un approccio flessibile che metta l’esperienza dell’utente al centro della strategia di pubblicità sarà cruciale per l’autentico e definitivo successo della pubblicità native.

ampio limita il perimetro e, di conseguenza, l’efficacia delle analisi di performance. In definitiva, si può dire che benché non univoca, la definizione ufficiale di pubblicità nativa è quella di Iab Net adottata negli Stati Uniti anche da MMA (Mobile Marketing Association): “La pubblicità mobile nativa è un formato di pubblicità che sfrutta la forma e la funzione delle circostanti esperienze degli utenti, che sono tutti implicite alla grande varietà di dispositivi mobili”. E ancora: “La pubblicità nativa è differente dai generici contenuti di marketing. Mentre i secondi hanno l’obiettivo di abbinare il contenuto e il formato pubblicitario, la pubblicità nativa, almeno sui dispositivi mobili, è soprattutto un formato di annunci che corrisponde allo stile del sito o applicazione in cui serve. Inoltre, il native può essere acquistato a livello di codice, mentre i contenuti di marketing richiedono solitamente un coinvolgimento editoriale”.

siamo al TRAMONTO DEL BANNER? Nella sua versione mobile il banner ha ormai dimostrato di non essere altrettanto efficace come avviene sul desktop. In effetti, si tratta di un formato preso in prestito proprio dal mondo desktop e riadattato, con poco successo, per gli schermi di minore dimensione. La scarsa efficienza ha generato, almeno inizialmente, una notevole frustrazione sul fronte degli inserzionisti e il conseguente, immediato disinteresse verso la pubblicità mobile, diminuendo sensibilmente il valore delle inventory mobili e la fedeltà degli utenti. Il native ha come obiettivo quello di eliminare gli “attriti” che altri formati possono generare nella user experience, sia all’interno sia all’esterno di una app mobile, attraverso la prefetta integrazione con i contenuti fruiti in quel determinato istante dagli utenti. Buona parte della letteratura tecnica ha già unanimemente dimostrato che, in effetti, costoro tendono a interagire in una misura maggiore attraverso i formati native, rispetto a quanto avviene con formati banner tradizionali. ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


B I G D ATA • A N A L Y T I C S • S E M A N T I C • I D E A S W W W. PA R C L E . C O M ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016 ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016

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Trasformare l’azienda da broadcaster a media company. per cambiare cultura ed essere veramente digitali

In casa Rai c’è un nuovo corso per il digitale: riavvicinamento a YouTube, sviluppo e semplificazione prodotto, valorizzazione contenuti e universalità di

Giacomo Broggi

Trasformare la Rai da broadcaster a media company, perché occorre cambiare cultura ed essere veramente digitali, uscendo da una logica palinsesto-centrica, che rimane comunque importante, perché il digitale non viene pri-

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Il direttore della Direzione Digital, gian paolo Tagliavia, in commissione Vigilanza ha condotto un lungo intervento, delineando le strategie future del servizio pubblico, inclusive ma personalizzate ma, è innato. Si è focalizzato su questi e tanti altri punti l’intervento del direttore della Dire-

zione Digital della Rai, Gian Paolo Tagliavia, in Commissione Vigilanza, perché, non è un mi-

stero, anche in un Paese tv-centrico come il nostro, le fasce più giovani della popolazione,

quelle di età compresa tra i 15 e i 44 anni, stanno abbandonando il piccolo schermo. In favore, guarda caso, di web e mobile. E dopo la nomina del dicembre scorso, Tagliavia ne ha approfittato per fare il punto sui primi mesi al timone del digitale di Viale Mazzini. Tra le tante cose, è emerso un velato riavvicinamento a YouTube, dopo la rottura di due anni fa, che potrebbe portare a un secondo matrimonio.

siamo impegnati in una revisione complessiva del prodotto digitale che va verso la semplificazione, per permettere agli utenti di raggiungere i nostri contenuti

L’organizzazione

«Il primo elemento su cui abbiamo messo mano è l’organizzazione», ha affermato Tagliavia. Prima, infatti, non esisteva una direzione digitale, ma un gruppo di lavoro inserito all’interno della direzione tecnologia. «Qui è evidente la visione strategica, e quindi si intendeva il digitale come servizio tecnico e non, quindi, un soggetto deputato allo sviluppo del prodotto, ma alla sua riproposizione con modalità tecniche particolari - ha proseguito -. Ma per essere competitivi sul digitale occorre l’unione di tre componenti: non basta quella tecnologica, ma i contenuti e il marketing devono essere strettamen-

te integrati». Con questi presupposti, a gennaio, è nata la direzione digital del servizio pubblico, a diretto riporto del direttore generale Antonio Campo Dall’Orto. E l’ex ceo di Ipg Mediabrands in Italia ha indicato, poi, le tre direttrici lungo le quali si concentreranno le azioni della sua direzione: sviluppo prodotti; valorizzazione contenuti; e contributo alla riduzione del digital divide. Lo sviluppo e anche la revisione passano per la semplificazione

Come ben spiegato dallo

stesso Tagliavia, da una parte ci sono i prodotti, «perché saremo giudicati dalla loro qualità. Per questo siamo impegnati in una revisione complessiva del prodotto digitale di Rai che va verso la semplificazione. Una revisione che è un vero e proprio rifacimento della nostra offerta e si declina in due modi. Innanzitutto, semplificazione delle cose che facciamo; ci sono più di 200 siti, diversi profili social, forse dovremo cominciare a fare meno cose, ma meglio». Insomma, una modalità che tenda la mano ai fruitori perché la Rai vuole essere universale. «Il secondo ambito è proprio la semplificazione del prodotto, per far raggiungere i contenuti in modo più rapido», ha aggiunto, sottolineando la necessità di inclusività. Inclusività che, però, non deve rappresentare un ostacolo alla personalizzazione dell’esperienza utente. «Nell’universalità occorre dare strumenti di personalizzazione», ha precisato Tagliavia, alludendo alle piattaforme americane, come Netflix, che propongono homepage diverse per singola persona. Un altro ambito è quello della socialità, ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


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in qualche modo Dobbiamo ricomprendere strategicamente le piattaforme social all’interno dei nostri obiettivi, ma senza dimenticare chi siamo. Non possiamo far finta che questi signori non esistano

in questa foto il direttore generale antonio campo dall’orto. nel riquadro a fianco, gian paolo tagliavia. il primo elemento su cui hanno messo mano è l’organizzazione. Prima, infatti, non esisteva una direzione digitale, ma un gruppo di lavoro inserito all’interno della direzione tecnologia. Qui è evidente la visione strategica: prima, infatti, si intendeva il digitale come servizio tecnico e non, quindi, come un soggetto deputato allo sviluppo del prodotto, ma solamente alla sua riproposizione con modalità tecniche particolari

«perché quello che viene condiviso ha vita digitale, mentre quello che non lo è scompare nell’oblio». Sguardo a YouTube e alle piattaforme tech, «Bisogna trovare il modo di collaborare»

Quindi, Tagliavia ha toccato il tema YouTube, dopo che circa due anni fa la Rai aveva deciso di ritirare i suoi video dalla piattaforma di proprietà 29

di Google. Secondo alcune indiscrezioni questo accordo poteva valere 700 mila euro all’anno in cambio di 7.000 filmati caricati, anche se gli interessati hanno sempre smentito accordi del genere. Tagliavia ha toccato la questione: considerando il patrimonio della Rai e l’importanza nel panorama media italiano di Google, il rapporto prestazione/controprestazione non era

sufficiente in termini di remunerazione. Insomma, Tagliavia lo nasconde un po’, ma la sostanza è che questo tipo di intese richiede più soldi. Ma cosa farà la Rai? La volontà di dare prodotti migliori è sempre primaria e quindi l’uscita da YouTube deve implicare la proposta di alternative valide. E allargando il discorso ad altre piattaforme come Facebook e Twitter, che do-

minano il mercato digitale, Tagliavia ha detto: «Noi dobbiamo in qualche maniera ricomprenderli anche strategica-

mente all’interno delle cose che vogliamo fare, non possiamo far finta che questi signori non ci siano e trovare il modo di collaborare, senza dimenticare, però, chi siamo: non siamo globali, ma sicuramente abbiamo una storia e davanti a noi un futuro che ci impone di richiedere a questi potenziali partner un rapporto più personalizzato. Dobbiamo trovare le chiavi per va-

lorizzare i contenuti di Rai, ma una volta trovate non vedo perché non si possa ricominciare a lavorare con YouTube come già facciamo con i social Facebook e Twitter. L’importante, però - ha ammonito -, è mantenere una misura, un metodo». Proprio un eventuale ritorno su YouTube, potrebbe permettere alla Rai di avvicinarsi alle audience più giovani. «Il nostro primo interesse è avere un dialogo continuativo con delle fasce di popolazione con cui la relazione è un po’ più lasca. Il tema è andare noi dove le persone sono», ha puntualizzato, spiegando come i giganti Usa abbiano un pubblico numeroso, che la Rai vuole raggiungere. Valorizzazione dei contenuti

Oltre a studiare le pratiche a livello internazionale Tagliavia invita a guardare allo specifico: «Noi siamo detentori di un patrimonio sterminato, la cultura visiva di questo Paese ce l’abbiamo noi e quindi dobbiamo porci come obiettivo di rendere accessibile questa grande quantità di contenuti», considerando anche che negli ultimi anni è stato fatto un lavoro di conserva-

zione, di restaurazione, di messa a disposizione, «ma non essendoci prodotti particolarmente performanti questa ultima fase non ha trovato pieno compimento. Con dei prodotti migliori, le teche diventeranno un luogo più frequentato, specialmente sul non lineare», ha specificato. Inclusività: una Rai universale, per ridurre il solito digital divide

La Rai si deve impegnare, sempre in un’ottica di inclusività, anche con chi è fuori dal digitale: «È evidente che possiamo essere una grande piattaforma di comunicazione, ma dobbiamo sviluppare un lavoro di identificazione sul perché la forbice del digital divide è così ampia in Italia. Non siamo stati in grado, come industria, di capire e di interpretare in maniera profonda, e quindi disoddisfare i bisogni delle persone che sono rimaste fuori dal digitale», ha sottolineato Tagliavia. Motivazioni economiche, tecnologiche e soprattutto culturali sono le barriere che restano a bloccare l’adozione del digitale. «Siamo impegnati in una fase propedeutica per un successivo lavoro di comunicazione», ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


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zanox, due volte all’anno, analizza gli sviluppi avvenuti all’interno del mercato mobile, con particolare attenzione a come si evolvono i comportamenti dei consumatori italiani

Mshopping, la corsa non si arresta

Il Mobile Performance Barometer certifica che nel 2015 le transazioni mobile hanno guadagnato il 140% a livello globale. in Italia l’aumento è stato del 58%, facendone il quinto mercato europeo per tasso di crescita

di Vera Modesto

L’evoluzione della tecnologia mobile è un chiodo fisso ormai da anni per tutti coloro che si occupano

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di marketing, e non senza motivo. I continui cambiamenti che vengono apportati ai dispositivi e ai software, nonché il mutamento del comportamento

degli utenti, pongono non poche sfide agli operatori tradizionali, che ne valutano gli sviluppi quantitativi e soprattutto l’ovvia capacità di generare direttamen-

te fatturato senza ulteriori passaggi. Il 2015 è stato l’anno della consacrazione definitiva dell’mcommerce, non solo perché i merchant stanno progressiva-

mente affinando le proprie strategie di promozione sul mobile, ma anche perché sempre più nativi dell’era digitale stanno crescendo con l’abitudine a utilizzare smartphone e tablet per effettuare acquisti, insegnando contemporaneamente alle vecchie generazioni ad avere più fiducia e dimestichezza con le nuove tecnologie. A certificarlo, una volta di più, se ce ne fosse bisogno, è l’edizione 2016 del Mobile Performance Barometer di zanox, indagine che due volte l’anno analizza a fondo gli sviluppi del mercato mobile e i comportamenti d’acquisto degli utenti italiani ed europei, rivelando una lunga serie di interessanti insight e trend, ottenuti grazie agli esclusivi dati di cui dispone il network internazionale di zanox: un portfolio di oltre 4.300 clienti internazionali, diffusi in undici Paesi, che ne fanno uno tra i leader nel performance marketing. Dunque, la crescita del mcommer-

ce nel Vecchio Continente sembra proprio inarrestabile: nel 2015, con la spesa complessiva (desktop più mobile) aumentata di oltre il 9%, le transazioni generate da dispositivi mobili hanno registrato un tasso di crescita del 140%. Un segnale davvero inequivocabile, sempre secondo zanox, di un trend destinato a continuare a lungo: i consumatori sono sempre più a loro agio nel fare acquisti semplicemente estraendo il proprio device dalla tasca o dalla borsa e il network internazionale stima che il valore medio della spesa online raggiungerà nel 2016 una quota di 100 euro, superando del 25% quella del 2015 che era pari a 80 euro. La zona Ue In Europa, come già detto, il 2015 si è concluso molto positivamente e le festività natalizie si sono rivelate più che mai proficue. Infatti, proprio in concomitanza con gli acquisti

di Natale, che hanno trainato l’intero settore Retail & Shopping, zanox ha verificato un numero record di vendite: 5,4 milioni (2,6 milioni quelle effettuate a novembre, 2,8 milioni a dicembre). Questo dopo un Black Friday fenomenale che per la prima volta ha superato la soglia di un milione di euro di fatturato generato in un solo giorno. Gli acquisti più frequenti sono stati, al contrario di quanto si possa immaginare, oggetti voluminosi, pezzi di arredamento, elettrodomestici per la casa e i soliti viaggi. A guidare la classifica per Paesi sono, nel retail, Regno Unito e Scandinavia mentre per quanto riguarda il settore travel, in testa si trova la Svizzera con un valore medio di spesa pari a 530 euro per utente. L’Italia appare ancora piuttosto indietro su questo fronte, con una spesa media pro capite che è meno della metà di quella dei nostri vicini d’oltralpe. ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


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27,4% 68%

quota di vendite totali realizzate da dispositivi mobile a livello europeo nello scorso anno

In spagna gli acquisti da dispositivi con sistemi android è nettamente superiore a quelli iOS

Si tratta della quota di fatturato realizzata da dispositivi mobile con sistemi operativi iOS

è la quota di fatturato generata in italia da acquisti effettuati tramite dispositivi android

65%

Performance italiane Nonostante rispetto al resto del continente la performance italiana sia stata notevolmente inferiore, anche nel nostro Paese il mercato del mshopping ha registrato un impressionante aumento del fatturato, pari al 58% rispetto al 2014, facendone il quinto mercato in Europa per tasso di crescita, davanti a Germania, Uk e Francia. In termini percentuali, il 27,4% delle vendite totali realizzate sono state effettuate da dispositivi mobili. Peraltro, insieme alla

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mobile performance - sales

ce e senza interruzioni, soddisfacendo le esigenze degli acquirenti in un modo puntuale e personalizzato» ha commentato Sheyla Biasini, country manager di zanox

Italia. L’appuntamento, dunque, è al prossimo Barometer, sperando che le aziende italiane raccolgano l’appello che quest’anno appare molto chiaro.

55%

Spagna, l’Italia è il Paese che fa registrare l’incremento maggiore di acquisti da smartphone rispetto al tablet, comunemente considerato più “comodo” rispetto al parente più piccolo per navigare nei siti di ecommerce. Tuttavia, grazie agli schermi sempre più grandi e facili da utilizzare e all’ampliamento del numero dei siti mobile-friendly, gli smartphone stanno recuperando terreno sui tablet (19,6% vs 7,8% i rispettivi tassi di crescita), al contrario di quanto avvenuto negli anni precedenti. In con-

trotendenza nei confronti del resto d’Europa, in Italia è stata l’estate il periodo di maggior incremento delle vendite da mobile, grazie alle prenotazioni di viaggi e all’acquisto di prodotti legati alle vacanze: a luglio e agosto, infatti, l’uso dei device mobile tocca, rispettivamente, una quota del 31% e del 33%, contro una media annua del 23%. iOs vs Android Venendo ai sistemi operativi, è iOS, ossia l’iPhone, a pesare maggiormente rispetto al totale, con una quota di fatturato del 65%. Questo non è dovuto a migliori caratteristiche tecniche, ma al fatto che i possessori di questi device, mediamente più costosi di quelli Android, dimostrano un potere d’acquisto più elevato. Non a caso la maggiore concentrazione di acquisiti operati dai telefonini

con la mela si registra nei Paesi Scandinavi e in Uk, a differenza di altri come Italia e Spagna in cui è risultata, invece, una forte preferenza dei dispositivi con Android (Italia 55% vs 43% e Spagna 68% vs 31%). Siti mobili ormai necessari Analizzando il Mobile Performance Barometer la conseguenza più evidente che se ne trae è certamente il ruolo ormai critico assunto dagli msite e dalle app nella strategia di marketing e vendite di quasiasi operatore del retail o del commercio elettronico. Aspetto sottolineato anche dagli addetti ai lavori: «Oggi più che mai, è fondamentale che advertiser e publisher, e ogni altro operatore dell’economia digitale, si assicurino di avere siti ottimizzati per il mobile che garantiscano una shopping experience velo-

Sheyla Biasini ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


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già Nell’arco di tre anni il consumatore potrà sperimentare un sempre più elevato livello di automazione

Internet of Things diventa mainstream. Lo conferma il nuovo report di Verizon

Il fattore trainante nella scelta è l’opportunità di crescita del fatturato. La monetizzazione dei dati è citata come driver principale, ma solo l’8% delle imprese utilizzano più del 25% dei loro dati IoT. Altri fattori che determinano l’adozione includono un aumento delle aspettative dei consumatori, la necessità di strumenti semplificati per gli sviluppatori e i cambiamenti nelle normative

Chi è Verizon, colosso del wireless Verizon Communications impiega una forza lavoro diversificata di oltre 177.900 unità e ha generato più di 127 miliardi di dollari di ricavi nel corso del 2014. Verizon Wireless gestisce la rete wireless più affidabile d’America con oltre 110,8 milioni di connessioni retail nazionali. Con sede centrale a New York, Verizon offre, inoltre, servizi di comunicazione e intrattenimento tramite la rete a fibre ottiche più avanzata d’America e propone soluzioni aziendali integrate ai clienti in tutto il mondo.

di

Daniele Bologna

Con un mercato indirizzabile che include più di 150 milioni di auto attualmente non connesse, oltre 300 milioni di contatori, quasi 1 milione di acri di vigneti e 45 milioni di persone che condividono prodotti e servizi, solo negli Stati Uniti, Internet of Things (IoT) è diventato mainstream secondo il nuovo report rilasciato da Verizon. Intitolato “State of the Market: Internet of Things 2016”, il report include, tra le diverse novità, anche approfondimenti di uno stu-

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dio di Oxford Economics, commissionato dalla stessa Verizon. Ebbene, nel corso del 2016 e negli anni a venire, gli esperti Verizon ritengono che l’IoT continuerà a essere un driver di fatturato per imprese grandi e piccole per la confluenza di alcuni macro-trend. Automazione Nell’arco di tre, forse cinque anni, il consumatore medio potrà sperimentare un sempre più elevato livello di automazione nella vita quotidiana, principalmente grazie alla possibilità di utilizzare applicazioni

IoT attraverso una singola interfaccia. Oggi, infatti, ben l’81% degli utilizzatori di IoT all’interno del settore pubblico ritiene che i cittadini si aspettino una maggiore offerta di servizi avanzati basati sull’utilizzo di dati e IoT. Monetizzazione La monetizzazione dei dati diventerà una competenza necessaria. Si prevede che nei prossimi due o tre anni anni quasi il 50% delle imprese userà almeno il 25% dei loro dati. Le analisi dei dati evolveranno da semplici raccolte deANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


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Wireless La tecnologia wireless di prossima generazione, non solo promette di trasformare in realtà l’automatizzazione di soluzioni nel settore auto e della robotica, ma introdurrà anche nuove categorie di utilizzo, quali realtà virtuale e aumentata per l’implementazione di IoT.

scrittive ad analisi sempre più sofisticate con modelli predittivi e prescrittivi. Le industrie cercheranno di ricavare dai dati elementi chiave che permettano di fornire benefici ai loro consumatori perciò si assisterà a un cambiamento di paradigma: dalla richiesta di competenze generiche nella raccolta dei “big data” ad esperti analisti del settore. Cambiamenti I cambiamenti nel panorama normativo continueranno a plasmare un ecosistema di partner che contribuirà a instaurare più rapidamente nuovi standard di settore. Un esempio è il il Drug Supply Chain Act (la normativa sulla distribuzione dei medicinali). La nuova legge dà tempo alle imprese farmaceutiche fino alla fine del 2017 per implementare sistemi di trasferimento e stoccaggio elettronico della cronologia delle transazioni per i medicinali con prescrizione, incluse le informazioni di spedizione lungo la catena distributiva e di commercializzazione. La legge è stata concepita per contrastare la contraffazione di farmaci che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, comporta per il settore una perdita di 75 miliardi di dollari l’anno.

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Connettività La connettività di rete, i dispositivi a basso consumo e le piattaforme IoT renderanno l’innovazione più democratica mettendo più strumenti a disposizione

degli sviluppatori e dando la possibilità alle imprese di dimensionare in maniera più economica l’implementazione dell’Internet of Things, passando da milioni a miliardi di connessioni.

Sicurezza Gli esperti di sicurezza riescono a stare al passo con gli ultimi sviluppi tecnologici attraverso il monitoraggio dei vettori di rischio emergenti - sia esistenti, sia nuovi - che impatteranno l’utilizzo di IoT e le attività quotidiane. Il report rileva anche come le imprese si stiano rivolgendo alle start-up per accelerare la loro crescita IoT. Nel 2015, le start-up nel settore IoT per le imprese hanno sorpassato del 75% in termini di finanziamenti le start-up appartenenti al settore consumer. Gli esperti di Verizon ritengono che nel 2016 le startup nel settore IoT per le imprese cresceranno da due a tre volte di più in termini di capitali rispetto alle start-up nel settore IoT consumer. «Per lungo tempo si è pensato che IoT fosse una combinazione di tecnologie complesse usata sola-

mente da “early adopter” - ha dichiarato Mark Bartolomeo, Vice Presidente IoT Connected Solutions di Verizon -. Nell’ultimo anno, abbiamo invece avuto la prova di come IoT sia utilizzato da una

vasta gamma di aziende, imprenditori, enti pubblici e sviluppatori per rispondere alle più importanti esigenze di business, dei consumatori e del settore pubblico. Il risultato finale sarà non solo l’av-

vento di migliaia di nuovi casi di utilizzo nel corso dei prossimi due anni, ma anche la creazione di un canale d’accesso accelerato per l’innovazione e la creazione di una nuova economia».

127 150 8%

Miliardi di dollari è il fatturato mondiale realizzato dal gruppo verizon nel 2014

Milioni sono le autovetture non connesse attualmente in circolazione negli usa. Un immenso mercato potenziale

E’ la quota di aziende che oggi utilizzano almeno il 25% dei propri dati. entro tre anni Sarànno il 50%

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Un processo che aiuta a ottimizzare un sito nei suoi aspetti tecnici, nella sua architettura informativa e nel suo impianto contenutistico

Il segreto per ottenere il successo online: contenuti di buona qualità e livelli di Seo professionali

Marco Loguercio, ceo di Find ed esperto di search engine optimization, ci ha fornito un punto di vista sull’attuale situazione degli investimenti in ottimizzazione della ricerca online. L’Italia è ancora indietro ma i marketer sono sempre più consapevoli dell’importanza di essere rilevanti nel web

di Anna Maria Ciardullo

Per un sito internet il segreto del successo dipende da un imperativo imprescindibile: fornire contenuti di qualità. Partendo da questo presupposto, ci sono poi, ovviamente, molti altri accorgimenti che portano a ottenere lo stesso obiettivo. Uno di questi è senza dubbio la Seo, acronimo di “Search engine op-

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timization”. Un processo che aiuta a ottimizzare un sito nei suoi aspetti tecnici, nella sua architettura informativa e nei suoi contenuti perché siano indicizzati nel modo più veloce ed efficiente possibile dai vari motori di ricerca come Google, ottengano la massima visibilità online e possano essere di aiuto agli utenti per soddisfare le loro esigenze. Questo argomen-

to è stato oggetto di dibattito anche a Meet Magento 2016, il più importante evento dedicato ai player del settore ecommerce, che si è tenuto lo scorso marzo a Milano. A questo proposito è intervenuto Marco Loguercio, fondatore e ceo di Find, grande esperto di Seo, core business della sua azienda, che ci ha concesso un’intervista dove ha spiegato dettagliatamente lo

scenario attuale del settore e il perché cresca sempre di più l’importanza di sviluppare e ottimizzare i contenuti online per il successo di tutte le attività. Come si può descrivere l’evoluzione della Seo negli ultimi anni? Lo scenario dell’evoluzione dell’uso della Seo è concentrato nel periodo che va da prima del 2000,

quando gli italiani online hanno iniziato a scoprire l’utilità dei motori di ricerca, fino ad oggi. La richiesta da parte delle aziende per attività di SEO

c’è sempre stata, in tutti questi anni; quello che è cambiato è stato il grado di difficoltà e il coinvolgimento delle aziende stesse in questi progetti. In passato le barriere all’ingresso erano molto più basse, esistevano anche soluzioni che consentivano, ad esempio, di non dover necessariamente mettere le mani sul sito da promuovere per fargli ottenere visibilità. Erano però soluzioni di breve periodo, che possiamo tranquillamente chiamare “trucchetti”

capire che i motori rappresentano un’opportunità di business eccezionale ma sulla quale occorre lavorare seriamente. Non basta scegliere le parole chiave su cui lavorare in base alla quantità di ricerche. Occorre comprendere le esigenze e le necessità dietro una ricerca. Capire cosa serva realmente a chi sta cercando: quali contenuti, in quale forma, funzionali a quale fase del complicato percorso che porta a una scelta, a un acquisto. Le aziende che gene-

(accettati però dai clienti, in nome del “tutto, subito, possibilmente a basso costo e senza doverci lavorare troppo”), che magari raggiungevano l’obiettivo ma non costruivano del valore reale. Poi Google si è evoluto e il suo orientamento al valore per l’utente dei contenuti dei risultati di ricerca ha da una parte alzato l’asticella, dall’altra ha portato molte aziende a

ralmente in Italia hanno saputo comprendere per prime questa nuova opportunità sono state quelle straniere operanti da noi o le filiali italiane delle multinazionali, con un forte supporto e spinta a questo genere di investimenti direttamente dalla casa madre, anche se non è sempre stato tutto rose e fiori anche con loro. Le realtà italiane, specie quelle medie o piccole, hanno faticato ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016


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di più ad adeguarsi, anche per la necessità di maggiori investimenti, tanto in attività Seo che, soprattutto, nelle analisi per comprendere i comportamenti di ricerca e nella creazione di contenuti. Complessivamente, oggi rispetto a ieri, c’è oramai una chiara consapevolezza delle difficoltà che si presentano oggi a chi fa search engine optimization ma, allo stesso tempo, se ne comprende l’enorme valore che può generare. Le aziende più evolute sanno che devono aspettare anche 5/6 mesi per ottenere i primi risultati e vedere un impatto sul business; sono consapevoli che la Seo non sia un’attività economica ma anche che è diventata necessaria e che solo appoggiandosi ad agenzie e consulenti esperti i risultati possono essere concreti e duraturi. Oggi fare Seo significa soprattutto avere contenu-

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ti di qualità e quindi investire in chi li produce, investire per farli conoscere, renderli rilevanti e investire nella loro divulgazione, fare in modo che le persone li trovino, li clicchino e li condividano. Sono tutti elementi che i motori di ricerca tengono in considerazione come criteri di visibilità. È una consapevolezza che hanno anche le aziende Italiane? Le realtà italiane vanno sempre un po’ a risparmio purtroppo, a discapito dei risultati. La differenza di investimento in Seo tra realtà internazionali che operano in Italia e realtà italiane sul territorio è a volte anche del 50%. In pochi hanno capito il valore di ritorno degli investimenti e sono consci anche della lifetime value degli utenti che arrivano naturalmente ai risultati di ri-

Non è la giusta parola chiave nella pagina che fa vendere, ma la capacità di raccontare efficacemente una storia con il prodotto come autentico protagonista

cerca. Anche in Italia, con il passare degli anni, stanno crescendo i volumi di investimento ma c’è ancora questa convinzione che si tratti di un lavoro “one shot”. Opinione diffusa è che sia sufficiente ottimizzare il sito all’inizio e il lavoro sia fatto. Ovviamente non è così. Un sito non

è un’entità statica: si evolve, cambiano i prodotti, cambia il modo di cercare e quindi bisogna sempre ottimizzare la ricerca in modo da ottenere risultati naturali basandosi su molte varianti da come gli utenti cercano, all’evoluzione degli algoritmi dei motori. Pensiamo all’impatto che ha avuto di recente il cambio del layout dell’advertising di Google sulla visibilità dei risultati naturali e sulle stesse impostazioni delle campagne a pagamento.

Una carriera spesa nella ricerca (della parola chiave) Marco Loguercio si occupa professionalmente di marketing e advertising da sempre. dal 2002, anno di fondazione della sua prima search marketing agency, oggetto della sua attività sono i motori di ricerca, ambito in cui è considerato uno tra i massimi esperti italiani

Qual è, dunque, la sfida per chi si occupa di Seo a livello professionale? Oggi la sedia di molti direttori marketing scotta e dover fare il rendiconto di un grande investimento in Seo, che non può dare risultati immediati, è un grande problema da affrontare. Noi come agenzie abbiamo sempre l’obiettivo di dimostrare la validità e il ritorno delle soluzioni che andiamo a proporre, in modo che se ne possa comprendere meglio l’utilità e si possano giustificare tutti gli investimenti necessari. Ma, soprattutto, dobbiamo sempre far comprendere che la visibilità nei motori è un mezzo, non il fine. Il focus deve essere sempre su chi cerca, e questo in molti continuano ancora a non considerarlo. ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016

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Aziende/2 Havas Worldwide Milan sigla il progetto

#AircrossToAirport per la Citroën C4 Aircross

On air il progetto #AircrossToAirport, la nuova campagna digital firmata Havas Worldwide Milan per Citroën C4 Aircross, SUV 4x4 della gamma Citroën. Come sottolineato dal claim “The fun side of winter”, Citroën C4 Aircross non è solo un 4x4, è un SUV capace di adattarsi a ogni tipo di terreno e trasformare anche le strade invernali in un’esperienza di guida divertente e al centro della campagna adrenalinica. Per dimostrare a tutti che anche spicca un online video l’inverno può essere divertente, Citroën si è rivolta proprio a chi dall’inverno stava per scappare e con un modello della gamma che si adatta a tutte le condizioni meteo invernali. Inconsapevoli protagonisti dell’online video al centro della campagna sono, infatti, alcuni turisti che, a febbraio, si erano recati all’aeroporto di Milano Malpensa per imbarcarsi alla volta di destinazioni tropicali, posteggiando la loro auto in uno dei parcheggi della zona. Ognuna di loro, grazie a una candid camera studiata nei minimi dettagli, ha raggiunto l’aeroporto in modo completamente inaspettato, scoprendo il lato divertente dell’inverno a bordo di Citroen C4 Aircross. Il video, anticipato da un teaser sui canali social di Citroen, è oggetto di una campagna digital e social. E all’operazione è associato anche un contest.

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Aziende/1

Costa Crociere comunica con Opinion Model

Lanciata dal gruppo mondadori, la piattaforma digitale di marketing partecipativo conta su 83 mila utenti registrati un’originale iniziativa rivolta a coloro che intendono provare l’esperienza di una crociera sulla nuova Ammiraglia E’ stata sviluppata su Opinionmodel.it, sostenuta da Donna Moderna, un’originale iniziativa rivolta a tutti coloro che intendono provare l’esperienza di una crociera a bordo della nuova Ammiraglia Costa Diadema. Il progetto ha utilizzato la piattaforma di Opinion Model per selezionare cinque utenti che per una settimana viaggeranno nel Mediterraneo: le persone vengono scelte in base alle loro attitudini, interessi e competenze, grazie alle infor-

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mazioni e ai dati disponibili sulla piattaforma stessa. Al termine del viaggio i tester compilano un questionario per esprimere le loro opinioni. I risultati vengono quindi pubblicati su Donna Moderna, così da rendere la community partecipe dell’esperienza. Le utenti scelte vivranno al 100% l’esperienza di una crociera Costa attraverso le grandi novità che rappresentano il meglio dell’Italia, a cominciare proprio dall’ammiraglia Costa Diadema.

Dai piatti firmati dallo chef Bruno Barbieri, alla pizza di produzione artigianale della pizzeria Pummid’oro, realizzata a bordo con impasto di lievito madre, grazie a una collaborazione con l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo; dallo show televisivo “Tù Sì que Vales”, riproposto per la prima volta sulle navi da crociera, che coinvolge direttamente gli ospiti facendo scoprire i talenti nascosti, all’incontro con Peppa Pig, idolo dei

più piccoli. Ma anche i nuovi burger d’autore italiani, la gelateria Amarillo, i menù regionali, lo speciale buffet dedicato alla pasta, e i nuovi show in cui musica, ballo e feste escono dal teatro per coinvolgere l’intera nave. Lanciata da Mondadori già nel mese di marzo, Opinion Model è una piattaforma digitale di marketing partecipativo che conta ad oggi 83 mila utenti registrati e che si avvale dell’amplificazione media garantita dai brand del gruppo Mondadori.

Aziende/3 Heineken The

Dilemma, il prank video firmato da Publicis Italia va in giro per il mondo Oltre 8 milioni di visualizzazioni in rete, di cui più di 4 milioni sui canali social di Heineken. Più di un milione di interazioni (like, commenti e condivisioni) sui principali social media. Centinaia di siti, blog e televisioni a livello internazionale ne hanno parlato, raggiungendo più di 3 milioni di lettori. Un video che ha fatto davvero il giro del mondo, arrivando in 244 Paesi. Sono questi i numeri pazzeschi che stanno decretando il successo mondiale di “The Dilemma”, il video che documenta il live stunt allo stadio Olimpico, ideato e organizzato da Heineken in collaborazione con Publicis Italia, durante la partita di calcio della Uefa Champions League tra la Roma e il Real Madrid del 17 febbraio scorso. In dettaglio, i numeri sono veramente significativi: 1.608.969 visualizzazioni, 3.471 like e 6.526 condivisioni su YouTube; 2.900.000 visualizzazioni, 1.090.561 interazioni, 3.779.252 persone raggiunte tra Facebook e Twitter. Oltre cento articoli su tv, siti e blog di tutto il pianeta hanno saputo generare più di tre milioni di visualizzazioni. ANNO VII | #1 | GIOVEDÌ 14 APRILE 2016



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