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visioni / PAOLO ferri

Anche in Italia arriva la paura di internet

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ANNO V | #098| MERCOLEDI’ 17 SETTEMBRE 2014

Da sempre internet è stata vista con grande “sospettoâ€? a causa dell’accelerazione nella possibilitĂ di “scambi socialiâ€? sul web che sa generare. Come mette in evidenza il recente report “Kids on lineâ€?...

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Acquisti in stile social, diretti dalla piattaforma

8 marketplace

Il socio al centro del cambiamento

10 company

Microsoft sborsa 2,5 mld per Mojang

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Il mercato phablet attende l’iPhone 6

15 scenario

I social media e la spirale del silenzio

18 link

Facebook prova a opporsi all’oblio

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COVER STORY

Con pochi clic, da desktop o da mobile. Il primo a introdurre il nuovo sistema è stato Facebook

Un passo in più: acquisti diretti dalla piattaforma I social network tentano un ulteriore, grande colpo. la creatura di Mark Zuckerberg e Twitter in pole position. In ballo ci sono un sacco di miliardi. Quelli che gli utenti potrebbero garantire trasformandosi in compratori. Grazie a un semplice pulsante che suggerisce: “Buy”

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COVER STORY

Marianna Marcovich

Prima c’erano gli account delle aziende da seguire. Poi gli annunci pubblicitari che iniziavano a fare capolino nei flussi di notizie. Ora che siamo abituati a vederli comparire a fianco di tweet e post, per i social network è il momento di fare un passo in più: farci comperare i prodotti direttamente dalle loro piattaforme. Con pochi clic, da desktop o da mobile. Il primo a introdurre il nuovo sistema è stato Facebook, che a luglio ha inizia-

to a testare il pulsante “buy”. La settimana scorsa anche Twitter ha lanciato il suo “buy now”, servizio di acquisto online per ora ancora in fase di test. Ma l’idea d’introdurre funzioni che permettano agli utenti di fare shopping senza uscire dalle piattaforme piace anche ad altre società, come quelle attive nella messaggistica o i siti di dating, gli appuntamenti via web. La pubblicità su Twitter arriva, già da tempo, tra un tweet e l’altro. Con il nuovo servizio “buy now” si potranno vedere le

anche l’application di dating Tinder sta pensando all’ecommerce per guadagnare ma vuole farlo in chiave più romantica

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informazioni sul prodotto e poi introdurre i propri dati per il pagamento e la spedizione. Così il social network, che per offrire il servizio si appoggia a quattro startup, vuole mettere un piede anche nel settore dell’ecommerce. L’obiettivo? Trovare nuove fonti di entrate ed aumentare i profitti: se i ricavi nell’ultima trimestrale sono raddoppiati arrivando a 312,2 milioni di dollari, la società continua ad essere in perdita. Nel periodo

Intanto in Africa ci sono cento milioni di user per Facebook

twitter prova a convincere via cellulare

aprile giugno risulta in rosso per 144,6 milioni di dollari. È ancora presto per ca-

pire se il “buy now” potrà aiutare il social a mettersi in pari. Per ora, infatti, il nuovo servizio sarà visibile solo a un numero limitato di utenti, anche se sono state coinvolte grandi marche del calibro di Burberry e artisti famosi come Eminem, Pharrell Williams e i Megadeth. Ma, stando a una nota diffusa da Twitter, la lista si arricchirà presto con altri brand. Secondo alcuni analisti le formule per gli acquisti che meglio funzioneranno sul social saranno le promozioni e le offerte limitate. Quelle formule che creano un senso di urgenza e, facendo leva anche sulla “paura di perdersi qualcosa” sintetizzata negli Usa con l’acronimo “Fomo”, fear of missing out - spingono gli iscritti a comperare senza pensarci troppo su, influenzati dall’ansia di aggiudicarsi un’offerta prima de-

Facebook, nato con l’obiettivo di offrire alle persone il potere di condividere e di rendere il mondo sempre più aperto e connesso anche grazie al progetto Internet.org, raggiunge un importante traguardo nei mercati emergenti. Sono infatti 100 milioni le persone nel continente africano che accedono alla piattaforma almeno una volta al mese, la metà delle persone che accede a internet in tutto il continente. L’80%, inoltre, effettua l’accesso da dispositivo mobile. Questo risultato è anche la prova di come le persone nei Paesi in via di sviluppo vogliano essere connesse al mondo intorno a loro e che il mobile è la modalità che più di tutte favorisce questo processo. Facebook ha sviluppato esperienze personalizzate basate su analisi condotte a livello locale nelle nazioni in forte sviluppo e si impegna costantemente per realizzare, testare e ottimizzare quelle soluzioni che rispondono a esigenze specifiche di queste aree del mondo. Il Click to Missed Call introdotto in India lo scorso luglio e il Bandwidth Targeting annunciato la scorsa settimana ne sono un esempio. «Le persone nei Paesi in forte sviluppo vogliono essere connesse al mondo che le circonda. In Paesi come Sudafrica, Nigeria o Turchia, per esempio, i dispositivi mobili sono sempre più lo strumento attraverso cui le persone accedono a nuove informazioni e condividono le loro esperienze con il resto del mondo. Sappiamo anche che le persone vivono Facebook in modi differenti nelle diverse parti del globo, soprattutto nelle regioni in via di sviluppo come l’Africa - spiega Nicola Mendelsohn, Vice President Emea di Facebook -. Le limitate possibilità dei media danno luogo a sfide per quegli inserzionisti che vogliono connettersi con le persone in questi Paesi. Ecco perché abbiamo accelerato lo sviluppo di strumenti adv personalizzati nei mercati emergenti, creati a partire dalle modalità con cui le persone comunicano abitualmente attraverso i dispositivi mobili. Sappiamo di avere ancora molto lavoro davanti a noi, ma abbiamo un magnifico team in queste zone che si sta dedicando a questo progetto. Stiamo collaborando con clienti e agenzie per testare queste soluzioni nate per il mobile e stiamo lavorando insieme per poter comunicare un brand a costi di traffico dati inferiori, avvalendoci di soluzioni come il Bandwidth Targeting o nuovi prodotti come Missed Call». ANNO V | #098| MERCOLEDI’ 17 SETTEMBRE 2014



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gli altri 217 milioni di utenti unici mensili del sito. Per Facebook il discorso, invece, potrebbe essere diverso. Niente grandi marche: il social di Mark Zuckerberg ha iniziato la fase di test del suo “buy” appoggiandosi alle piccole e medie imprese statunitensi. E “Gift” ormai è dimenticato L’esperimento è partito a luglio e ha seppellito il precedente servizio “Gift”, inaugurato nel 2012 per regalare oggetti o servizi agli amici tramite la piattaforma e mai davvero decollato. Permettere agli iscritti di comperare senza uscire dal social ha due grandi vantaggi per Facebook: gli utenti restano più tempo sul sito o sull’applicazione, mentre la piattaforma diventa sempre di più strumento e veicolo per le aziende che vogliono lanciarsi nell’ecommerce. Un

terzo vantaggio potrebbe arrivare in futuro, almeno stando a quanto ha rivelato la testata americana TechCrunch: per ora dalle transazioni che passano attraverso il social Facebook non guadagna niente, ma non esclude di farlo in futuro. Considerando che il suo bacino potenziale di utenti si attesta oltre il miliardo e 300 milioni di persone, i guadagni in arrivo da un simile strumento non sono da sottovalutare. Se per Twitter e Facebook la svolta ecommerce non sembra poi così lontana, anche altre piattaforme guardano nella stessa direzione e potrebbero, a breve, lanciarsi in operazioni simili. Alcune lo stanno già facendo, anche se in modo diverso. Le applicazioni di messaggistica istantanea, che delle tonnellate di messaggi che ogni giorno si inviano gli utenti non guadagna-

no nulla dato che li forniscono gratuitamente, pensano da tempo a come monetizzare grazie ad acquisti “collaterali”. Per il gigante WhatsApp, entrato nell’orbita Facebook, il problema non si pone. Ma il giapponese Line (300 milioni di utenti) già permette agli iscritti di comperare sticker e set di emoticon per arricchire le chat. Mentre il cinese WeChat (400 milioni di utenti) punta a servizi di mobile commerce fornendo agli iscritti la possibilità di associare i dati della carta di credito al proprio profilo e acquistando direttamente nei negozi convenzionati grazie al codice QR. Anche l’app di dating Tinder pensa all’ecommerce per guadagnare, ma in chiave romantica. Tra i progetti c’è la possibilità di inviare regali a chi si sta corteggiando.

Twitter prova sperimentare per rendere gli acquisti facili e sicuri

Già in fase avanzata di test un modo nuovo per scoprire e acquistare prodotti su Twitter. Una piccola percentuale di utenti statunitensi (che crescerà nel tempo) vedrà in timeline dei tweet - pubblicati dai partner per questa fase di test - in cui apparirà il pulsante “Buy” con il quale sarà possibile fare acquisti direttamente dal tweet. Si tratta di un primo passo nella creazione di questa nuova funzionalità all’interno di Twitter che vorrebbe rende-

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re lo shopping via dispositivo mobile più conveniente, facile, e, ci si augura, più divertente che mai. Gli utenti avranno accesso a offerte e prodotti che non saranno disponibili altrove e potranno interagire con questi direttamente dalle app mobile per Android e iOS. Chi vende avrà, invece, l’opportunità di trasformare in vendita la solida relazione costruita con i propri clienti su Twitter. In casa Twitter non stanno facendo tutto questo da soli: per questo test preliminare è stata stretta una partnership con Fancy (@fancy), Gumroad (@gumroad), Musictoday (@ Musictoday) e Stripe (@stripe). E ne seguiranno altre nelle prossime settimane. L’acquisto viene completato in pochi click. Una volta premuto il pulsante “Buy”, compariranno

alcuni dettagli aggiuntivi sul prodotto e il modulo in cui inserire le informazioni di pagamento e spedizione. Una volta completati i campi e confermati i dati, l’ordine sarà effettuato e inoltrato al venditore per la consegna. Sono stati costruiti questi test mettendo al primo posto la fiducia e la sicurezza degli utenti. Le informazioni relative a pagamento e spedizione saranno criptate e archiviate in modo sicuro dopo la prima transazione. Il successivo acquisto su Twitter potrà così avvenire in modo più facile, senza dover reinserire i dati che, ovviamente, potranno essere rimossi dal proprio account in qualsiasi momento. La carta di credito sarà gestita in modo sicuro e non sarà condivisa con il venditore senza autorizzazione.

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MARKET PLACE

Privalia continua a espandersi e rinnova l’immagine in tutti i Paesi dove opera

Il socio al centro del cambiamento

L’outlet di moda online numero uno in Italia introduce un profilo completamente rinnovato. Tono, grafica e stile fotografico cambiano con il chiaro obiettivo di riuscire a stabilire una connessione più emozionale e friendly con il pubblico di

Sebastiano Zeri

Privalia, l’outlet di moda online numero uno in Italia, introduce in tutti i Paesi in cui opera (oltre all’Italia, Spagna, Brasile e Messico) un’immagine completamente rinnovata. Tono, grafica e stile fotografico cambiano con l’obiettivo di stabilire una connessione più emozionale con il proprio pubblico, di evidenziare la personalità unica del sito e di diventare più user-friendly e piacevole, tramite un’esperienza d’acquisto gratificante e sempre nuova grazie a contenuti che cambiano ogni giorno. La nuova direzione artistica mira a un’immagine più fresca e dal tono editoriale, con diversi piani di inquadrature dei soggetti. Disegno e grafica punteranno a equilibrare la presenza di diversi brand in

rà di “umanizzare” brand e prodotti, comunicando vicinanza, grazie anche all’uso di un nuovo font “calligrafico”, che si alternerà a quello utilizzato fino ad oggi. In più, così come la moda vede l’alternarsi di diverse collezioni, anche il sito di Privalia cambierà i suoi colori di riferimento a seconda della stagionalità. Spunta il nuovo claim: Your daily fashion outlet Ogni giorno in Privalia succede qualcosa di nuovo. Per rendere questa varietà ancora più evidente, è stata introdotta nella homepage una sezione dinamica,

vetrina, dando un aspetto più omogeneo e moderno. Inoltre, verrà prestata letteralmente voce ai prodotti

che, tramite l’uso di fumetti, comunicheranno con gli utenti le proprie caratteristiche. Questo permette-

lo slideshow, che sarà aggiornato quotidianamente per comunicare le novità, le nuove campagne, i messaggi chiave. Altre sezioni all’interno della vetrina avranno i toni del bianco e nero, ad alto contrasto con i toni pastello delle vetrine: qui saranno presenti promozioni e comunicazioni di servizio. Un’ulteriore componente, che ben racconta il desiderio di Privalia di gratificare sempre i propri soci, è rappresentata dai nuovi packaging “parlanti”. “Fashion Inside”, “Oggi non è un giorno qualunque”, “Un buon non compleanno!” o “Sorpre-

sa!” sono alcuni dei messaggi diretti e personali che il pacco Privalia dedicherà ai destinatari, rendendo il suo arrivo ancora più speciale. In ultimo, il restyling coinvolgerà anche le app mobile e i social media, sui quali Privalia ha da sempre puntato nel costruire il rapporto con i suoi soci. Anna Maria Mazzini, Marketing and Communication Manager di Privalia Italia, commenta così le novità: «L’obiettivo di questo nuovo restyling? Consolidare il posizionamento di Privalia quale sito di riferimento all’interno del settore della moda online, accen-

privalia ha deciso di introdurre nella homepage una sezione dinamica, lo slideshow, che sarà aggiornato quotidianamente

tuando la propria personalità, sempre più vicina ai suoi soci ed emozionale. Da oggi utilizziamo un tono più informale, e diamo del “tu” ai nostri soci, in maniera completamente nuova nel nostro settore. Proveremo a beneficiare di tutte le occasioni di comunicazione a disposizione per personalizzare il contatto con i nostri iscritti, rafforzando la nostra relazione. Pensiamo, inoltre, che tutto questo possa rinforzare enormemente l’immagine dei prodotti e la percezione dei brand che vengono venduti tramite le nostre vetrine».

privalia

L’outlet di moda online numero uno in Italia nasce a Barcellona nel 2006 per mano di Lucas Carné e José Manuel Villanueva e offre vendite ad evento dei migliori marchi, in esclusiva per i suoi soci. Privalia conta oggi 18 milioni di soci in tutto il mondo ed è leader in ogni paese in cui è presente (Spagna, Italia, Brasile, Messico), affermandosi come punto di riferimento internazionale del settore. Nel 2011 Privalia ha acquisito dress-for-less, outlet di moda permanente, entrando così a far parte del mercato tedesco.



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COM PANY

Dopo smentite e voci incontrollate sembra esserci l’ufficialità

Microsoft sborsa 2,5 miliardi per Mojang

Un nome che forse dirà ben poco ai non appassionati di giochi elettronici, ma dietro al quale si nascondono i creatori di Minecraft, videogioco con record di 54 milioni di copie vendute di Vera Modesto

Dopo tante voci spesso smentite, ora non ci sono più dubbi. Microsoft è ormai prossima all’acquisizione di Mojang. Un nome che forse dirà ben poco ai non appassionati di giochi elettronici, ma dietro al quale si nascondono i creatori di Minecraft, videogioco da 54 milioni di copie vendute. Sviluppato originariamente dal solo Markus “Notch” Persson, programmatore svedese di 35 anni, Minecraft viene lanciato nel 2009 in forma sperimentale, per raggiungere la maturità solo nella versione rilasciata il 18 novembre del 2011. Sul tavolo Redmond avrebbe messo ben 2,5 miliardi di dollari. Non proprio noccioline. Il gioco, pubblicato su quasi tutte le piattaforme da gioco conosciute, consiste nel creare e disfare edifici, esplorare, raccogliere risorse e, ovviamente, combattere, in un mondo 3D dalla grafica volutamente spartana ma molto caratteristica. Mojang, però, è andata oltre, toccando il ramo dei card-game con il suo Scrolls, che come da tradizione è stato lanciato in versione non ancora definitiva e gode di continui perfezionamenti. E poi altri progetti solo abbozzati, portati avanti in solitu-

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Nelle foto, da sinistra, carl manneh, cofounder di mojang, e markus “notch” persson

dine da Notch, genio forse un po’ troppo visionario che, tuttavia, può contare su una fortuna considerevole: Mojang aveva chiuso il 2012 con un profitto di oltre 80 milioni di dollari, e il 2013 con altri 129 milioni. «Sì, abbiamo venduto» Nei primi giorni di settembre, ecco le prime notizie in merito all’interessamento da parte di Microsoft, con i fan più sfegatati di Mojang pronti a dichiarare guerra in virtù degli accorati proclami d’indipendenza dalle major del fondatore. Non solo: nel settembre del 2012, il programmatore si rifiutò di certificare il suo gioco per l’allora nuovo Windows 8, cercando di convincere i suoi adepti a non adottare il sistema operativo di Microsoft. E invece, ora, con un comunicato sul sito ufficiale di Mojang, la conferma della trattativa. L’annuncio racconta che era

troppa la pressione, per Persson e compagni, per gestire il mondo di Minecraft e riuscire a portare avanti altri progetti; da qui la decisione che implicherà anche l’abbandono dell’azienda da parte non solo di Notch, ma anche dei co-fondatori Carl Manneh e Jakob Porsér. Notch lascia, Xbox spinge «Non appena l’accordo sarà finalizzato, lascerò Mojang e tornerò a fare Ludum Dares e altri piccoli esperimenti web», fa sapere Persson a Gamesindustry. Di sicuro, potrà sperimentare con calma, visto l’investimento che il colosso di Redmond pare abbia intenzione di fare, appunto ben 2,5 miliardi di dollari. A questo punto, molti si chiedono cosa se ne farà Microsoft di Mojang e del suo Minecraft, a fronte di un esborso così oneroso. La società svedese è di sicuro in buona salute, con un trend in crescita, ma per ammortizzare l’investimento occorre, ovviamente, spingere sul gas. Minecraft, probabilmente, diventerà un cavallo di battaglia in esclusiva per Xbox One e, forse, le piattaforme Windows e Windows Phone. «Minecraft diversifica il nostro portfolio di giochi e ci aiuta a raggiungere nuovi giocatori su più piattaforme», racconta Phil Spencer, ai vertici della divisione Xbox, che si affretta a sottolineare che il popolare gioco continuerà a essere supportato anche su altre macchine. È pur vero che, con una Xbox One che, finora, ha venduto la metà della concorrente Playstation 4 (5,1 milioni contro 10,2), viene logico considerarla una dichiarazione più diplomatica che altro. ANNO V | #098| MERCOLEDI’ 17 SETTEMBRE 2014


LeonardoADV, come laboratorio di esperienze web di primo piano, è in grado di soddisfare tutte le esigenze di comunicazione attraverso una linea di prodotti completa e diversificata. Competenza, creatività e tecnologia avanzata danno vita a un’offerta di prodotti Video, Rich Media, Branded Content, Display, pianificabili su tutti i device e integrabili in maniera flessibile, con l’obiettivo finale di conferire efficienza qualitativa e quantitativa a tutti i progetti di comunicazione.

Fonte Dati Mensili: Audiweb View 2013

345 MILIONI DI PAGINE VISTE 12 MILIONI DI CONTATTI UNICI 15 VERTICAL TEMATICI


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ME DIA

Phablet

L’iPhone 6 arriva in un momento chiave per il mercato

in ascesa

E ora la mossa di Apple

Connected Life, lo studio globale condotto da TNS su oltre 55 mila utenti internet in cinquanta Paesi, ha rilevato che i telefoni a grande schermo sono già cresciuti in popolarità a livello globale. Nei mercati asiatici come Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan e Singapore costituiscono già oltre il 30 per cento degli smartphone di

Luca Anelli

L’iPhone 6 di Apple arriva in un momento di grandi opportunità in tutto il mondo per i cosiddetti “phablet”. Il brand, che storicamente ha goduto del vantaggio tipico dell’“anticipatore”, sta entrando come follower in un mercato ormai consolidato - e sempre più popolato - qual è attualmente quello dei phablet. Connected Life, lo studio globale condotto da TNS su oltre 55.000

utenti internet in 50 Paesi, ha infatti rilevato che i telefoni a grande schermo, o “phablet” sono già cresciuti in popolarità in tutto il mondo. Nei mercati asiatici come la Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan e Singapore i “phablet” costituiscono già oltre il 30% degli smartphone. Lo scenario si presenta, quindi, molto difficile per Apple che dovrà inserirsi con il lancio di iPhone 6. La cresci-

Un presidio di provata esperienza presente in oltre ottanta nazioni

TNS offre ai clienti consulenza di provata qualità su specifiche strategie di crescita per progetti di innovazione, riposizionamenti di brand, stakeholder management o per l’entrata in nuovi mercati, grazie alla lunga ed approfondita esperienza maturata nelle ricerche di marketing e ai modelli proprietari, leader di settore. Presente in più di ottanta Paesi, TNS può fare tesoro della grande esperienza d’ascolto del consumatore globale: uno strumento indispensabile e prezioso per poter conoscere e comprendere i comportamenti degli individui e le loro attitudini, nelle diverse regioni culturali, economiche e politiche del mondo. TNS è parte di Kantar, uno dei maggiori network al mondo impegnato nell’informazione, nella ricerca e nella consulenza strategica.

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ME DIA Un network di consulenza strategica

Kantar, uno dei maggiori network al mondo nell’informazione, nella ricerca e nella consulenza strategica, è la divisione della holding internazionale Wpp dedicata al data management. Unendo le diverse professionalità provenienti da dodici network internazionali, il gruppo punta a diventare il primo fornitore di consulenza strategica per la comunità imprenditoriale globale. Con oltre 27.000 dipendenti nel mondo, che operano in 100 paesi, e coprendo l’intero spettro delle attività di ricerca e consulenza strategica, offre ai propri clienti approfonditi livelli di conoscenza specifica in tutte le aree del ciclo di consumo. I servizi del gruppo sono utilizzati da oltre la metà delle prime 500 aziende della classifica di Fortune.

ta del “phablet” è sostenuta dal desiderio di guardare video online sullo smartphone. In tutto il mondo questo tipo di fruizione è in crescita: per esempio, nei mercati con basso accesso ad altri dispositivi, come Ghana, Nigeria e Sudafrica, è effettuata dal 70% degli utenti regolari di internet, in Arabia Saudita dal 47%, in Middle East & North Africa dal 45% e in India dal 44%, secondo Connected Life 2014. In tutto il mondo, gli smartphone sono al primo posto tra i dispositivi digitali. Attualmente sono i più utilizzati, rispetto a tablet, pc portatili e computer, per le attività sui social media (44%), per la navigazione generale (38%), per la consultazione di informazioni generiche (36%) e per l’intrattenimento (33%). L’aumento del possesso di smartphone, nel mondo, spinto dai costi decrescenti di terminali e tariffe, renderà la sfida di Apple ancora più ardua con il lancio di iPhone 6, mantenendo un posizionamento premium in un mercato sem-

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cristina colombo

pre più massificato. Il leader dominante, Samsung, ha oggi una quota del 25% sul mercato mondiale. Vanta, inoltre, una diffusa popolarità nel mercato “phablet”, con oltre il 66% della quota esistente su Hong Kong e Corea del Sud e detiene oltre il 46% negli Usa e in Uk, nonostante quest’ultimo sia un mercato molto difficile da aggredire. Cristina Colombo, Chief Client Officer di TNS Italia, ha commentato così il lancio di iPhone 6: «Attualmente la concorrenza in quest’area risulta essere feroce e la ricerca dimostra che i mercati early adopters, come l’Asia, stanno già largamente utilizzando

i “phablet”. Apple dovrà affrontare una sfida molto complessa per un player abituato a guidare, e non a seguire, il mercato. Con la concorrenza avvantaggiata sul segmento dei phablet - continua Cristina Colombo -, Apple dovrà competere non solo con l’affermata expertise di Samsung nei mercati sviluppati, ma anche con tutto l’ecosistema che si sta sviluppando attorno al mondo dei device Android low cost. Con il lancio di iPhone 6, Apple propone un prodotto finale di alto profilo in un mercato densamente affollato». Connected Life è lo studio di TNS su attitudini e comportamenti di più di 55.000 utenti regolari di internet in 50 Paesi. Esplora come la tecnologia trasforma la vita dei consumatori abilitando fruizioni di contenuti attraverso differenti device. Offre un quadro approfondito dell’impatto dell’ecosistema digitale sul panorama mediatico. Individua nuove ed interessanti opportunità per connettersi con i propri clienti/consumatori. ANNO V | #098| MERCOLEDI’ 17 SETTEMBRE 2014

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SC N RIO

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Un dossier di recente pubblicazione a cura del prestigioso Pew Research Center

I social media e la spirale del silenzio

di

Daniele Bologna

Su Facebook e Twitter vogliamo avere sempre ragione. O per dirla diversamente, siamo molto più reticenti a esprimere la nostra opinione quando percepiamo che la nostra cerchia di riferimento non la pensa come noi. Quello che il Pew Research Center ritrae nel suo dossier appena pubblicato, “I social media e la spirale del silenzio”, è un utente social che si conforma, in un mondo virtuale che pare

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mettere all’angolo il punto di vista della minoranza. Ma è davvero così? L’équipe di studiosi - Keith Hampton, Lee Rainie, Weixu Lu, Maria Dwyer, Inyoung Shin e Kristen Purcell - ha sondato il comportamento di 1.801 americani, prendendo come caso di studio le rivelazioni di Edward Snowden sulla sorveglianza di massa via mail e telefono. Una questione di rilevanza pubblica - così argomentano la scelta i ricercatori - e su cui l’America (a dirlo sono sempre

Gli utenti sono mediamente conformisti, in un mondo virtuale che pare mettere all’angolo il punto di vista della minoranza. Ma è davvero così? L’équipe di studiosi formata da Keith Hampton, Lee Rainie, Weixu Lu, Maria Dwyer, Inyoung Shin e Kristen Purcell ha sondato il comportamento di migliaia di americani dati prodotti da Pew) era spaccata in due come una mela: giustificare o meno il proprio governo? Cosa dicono i numeri Hampton e la sua squadra hanno valutato che questo fosse il caso ideale per verificare la predisposizione al confronto su un tema di pubblico interesse - anche se, come vedremo, la scelta è già oggetto di discussione. Queste le tendenze del campione “testato” nell’autunno 2013: l’86% vuole parlare del programma di sorveglianza, ma solo il 42% di chi usa Facebo-

ok e Twitter intende farlo postando sui social. Questi media, osservano i ricercatori, non forniscono una piattaforma alternativa per quella minoranza (il 14%) che già dall’inizio non intendeva discuterne. Inoltre, online come fuori (ad esempio, nell’ambiente di lavoro), la gente è più disponibile a condividere la propria opinione se sa di trovare consenso nell’audience di riferimento. I numeri sembrano parlare chiaro: quando avverte che in rete i suoi contatti su Facebook e Twitter la pensano come lui, il campione è predisposto a condividere il suo pensiero all’incirca il doppio rispetto a quando avverte disaccordo. Non è tutto: la tendenza ha conseguenze anche fuori dall’ambito virtuale, nelle relazioni faccia a faccia. Se i social ci “zittiscono” I sei studiosi tirano le fila: i dati suggeriscono che i social non aprono nuovi ambiti di discussione per chi altrimenti non avrebbe espresso la propria opinione. “Anzi, se si avverte che sui social il proprio pensiero non è condiviso, si è più reticenti a esprimerlo anche nei vecchi ambiti di relazione”. Insomma, nuovi strumenti, vecchia teoria: per il Pew sarebbe applicabile anche ai social la “teoria della spirale del

silenzio”, formulata negli anni Settanta dalla sociologa Elisabeth Noelle-Neumann per descrivere il potere conformante dei mass media. Keith Hampton, del Pew, si spinge a osservazioni profonde: «Una società dove la gente non è nelle condizioni di condividere la sua opinione in modo aperto e di arricchirsi aprendosi al confronto con chi la pensa diversamente, è una società polarizzata». Ma la questione è ancora aperta, e il principale contributo della Hampton e dei suoi colleghi è senz’altro questo: sollecitare un dibattito, già stuzzicato in qualche modo dallo studio dello Pnas, che ha fatto scalpore, in particolare, per l’uso dei dati da parte di Facebook. Ma a loro modo, Adam Kramer, Jamie Guillory e Jeffrey Hancock, nel loro esperimento sul contagio emozionale su larga scala attraverso i social network, stavano parlando della stessa questione: di come i social ci condizionano e ci contagiano. E di quanto - come suggerirebbe il Pew - “riducono al silenzio” chi la pensa diversamente. Il fatto è che, come ogni studio abbastanza autorevole da suscitare un dibattito, anche quello del Pew Center può essere oggetto di discussione sia nel metodo che nel merito.

Elisabeth Noelle-Neumann Per capire meglio Se il cuore della questione è “l’effetto silenziatore” dei social, allora la prima frecciata viene dagli stessi dati Pew. Perché nell’ottobre 2012, uno studio su “I social media e l’impegno politico” rilevava che ben il 66% di utenti di social in America (e quindi il 39% degli americani di allora) utilizzava quel tipo di media per coinvolgersi su temi politici e civili. Uno su tre li usava proprio per esprimere esplicitamente opinioni in ambito politico e sociale. I firmatari dello studio - Lee Rainie, Aaron Smith, Kay Lehman Schlozman, Henry Brady e Sidney Verba - mettevano a confronto i loro numeri con ulteriori dossier Pew sulla partecipazione di gruppo e sui social, per poi concludere che “impe-

gnarsi attraverso i social è diventata una caratteristica della vita politica e civile per una porzione significativa di americani”. Anzi, che chi li usa è pure più attivo pubblicamente rispetto a chi non è entrato in quella rete. Viene dallo stesso Pew, insomma, un primo segnale che, nonostante le tendenze in evoluzione, sulla predisposizione a discutere e i social bisogna stare attenti a non trarre conclusioni estreme. Anche perché, pur dando per assodato il potere conformante e “silenziatore” dei social, il contesto sarebbe comunque molto diverso da quello dei Settanta di Noelle Neumann. Un elemento su tutti: quando si parla di pubblica opinione, di maggioranze e di minoranze, a quale audience ci si riferisce? Sostenendo

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SC N RIO

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edward snowden che “le minoranze sono spinte al silenzio”, rispetto a quale maggioranza le si sta definendo? La nota forse più interessante è proprio questa: nel caso dei social, il pubblico di riferimento è quello chiuso che formiamo attraverso la nostra individuale rete di relazione. Paradossalmente, un’opinione di nicchia rispetto a quella generale potrebbe costituire una “maggioranza silenziatrice” rispetto ai suoi membri di riferimento. Un’opinione pubblica, sì, ma parcellizzata, un giardino ma chiuso, che rievoca i timori claustrofobici del padre del web: il “walled garden”, così già nel 2010 sulla rivista Scientific American, non a caso Tim Ber-

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ners Lee definiva Facebook. “Se si continua così - ammoniva - il web potrebbe frantumarsi in tante isole”. Non solo il web, ma anche l’opinione. La polemica sul Datagate Intanto, la ricerca condotta dall’equipe di Pew suscita già reazioni di metodo, soprattutto per la scelta del Datagate come caso di analisi. La testata che ha ospitato le rivelazioni di Snowden, il quotidiano britannico Guardian, fa notare che lo studio non dimostra, ma piuttosto suggerisce, il motivo per cui le persone non si sentono a proprio agio nel discutere del caso. E mentre l’équipe ipotizza, ad

esempio, il timore di ripercussioni sul lavoro, lo stesso Guardian solleva la spiegazione “più ovvia”: la riluttanza può essere legata, anzitutto, alla scoperta di essere sorvegliati. “Vista la limitata estensione di informazioni rivelate da Snowden nei giorni dello studio (il periodo era tra agosto e settembre del 2013) non si ritiene che la volontà di discuterne online possa essere stata significativamente alterata da questo”, dicono gli studiosi. “Ma già il 6 giugno il Guardian pubblicava rivelazioni su Facebook e Google”, obietta il giornale. Ed è, almeno in teoria, già polemica. “Il caso preso come esempio è molto particolare, e il campione non è affatto ampio - notano i cronisti della testata TechCrunch - perciò potremmo non essere di fronte a una prova sferzante degli effetti dei social. Ma certo, la materia per discuterne c’è”. E su questo almeno, sarà difficile esprimere disaccordo.

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Il quotidiano del

marketing in rete

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tim berners lee ANNO V | #098| MERCOLEDI’ 17 SETTEMBRE 2014

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COM

LINK PRIVACY/1

sharing economy

Non è l’Europa, ma lo stato dove l’azienda ha sede, e cioè l’Irlanda, a dover ordinare a Facebook di rimuovere eventuali contenuti non graditi agli utenti. Risultato: per Fb niente diritto all’oblio. Almeno per ora.

La sharing economy è considerata una delle “next big thing” del futuro ma, almeno nel presente, non ha vita facile. Come per Airbnb, contro cui una associazione newyorkese ha lanciato la campagna “Share better”.

Facebook si oppone all’oblio

REPUTATAIUVANT.COM

Una campagna “contro” Airbnb

PRDDAILY.COM

Musica digitale

SOCIAL MEDIA FAIL

Non tutti i regali sono graditi. Così Apple ha dovuto aprire un’apposita help page per eliminare “Song of Innocence”, l’album degli U2 che mezzo milione di utenti si sono ritrovati gratis (senza preavviso) dentro iTunes.

Gestire una piattaforma social, per un brand oppure un personaggio, equivale a parlare con il proprio pubblico. Attenzione, quindi, a non commettere strafalcioni o magari a pubblicare qualcosa di cui pentirsi.

Come eliminare il “regalo” di iTunes

MASHABLE.COM

5 tipici errori nella gestione dei social

WEBINFERMENTO.IT

privacy/2

TENDENZE

L’affermazione forse è un po’ troppo radicale, ma di certo l’incrocio delle variabili di analisi predittiva e abitudini di ricerca fornisce molte info interessanti. Da usare come vogliamo. Come accade per Google Now.

Il settore del lusso è probabilmente quello che ha sperimentato i maggiori cambiamenti nel corso degli ultimi anni: nuovi consumatori sono apparsi all’orizzonte e questi hanno diverse abitudini e mappe mentali.

Google ci conosce meglio di noi stessi

THEATLANTIC.COM

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Geopolitica dei clienti del lusso

INSEAD.EDU

ANNO V | #098| MERCOLEDI’ 17 SETTEMBRE 2014


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COM

LINK POWERED GLOBALLY BY

privacy

Cook: imessage a prova di spioni L’a.d. di Apple risponde agli attacchi a cui è sottoposta l’azienda per la gestione della sicurezza nell’iCloud e specifica che non potrebbero né leggere né trasferire i dati dei messaggi anche volendo.

TECHCRUNCH.COM

ecommerce

Coca Cola rilancia Surge, solo online Come è stato in Italia per il Winner Taco, Coca Cola si è decisa a dare ascolto ad alcuni irriducibili fan della bevanda ritirata nel 2002 e l’ha rimessa in commercio, ma disponibile solo su Amazon.

F NOW O E R FUTU

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E E: TH M E H T #smw

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Ma chi possiede i nostri account?

WIRED.IT

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La testata Times of India ha chiesto per contratto ai suoi giornalisti di consegnare le password dei social network per poterne disporre a proprio piacimento, anche dopo la fine del rapporto di lavoro.

ANNO V | #098| MERCOLEDI’ 17 SETTEMBRE 2014

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IL SOCIALE NEI VALORI D’IMPRESA

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O G E N D I I V VERTIS D A ATEGY R T S OLTRE 23 MIO DI ITALIANI FRUISCONO DI CONTENUTI VIDEO ONLINE PER QUASI DUE ORE AL MESE, DA PC E DA MOBILE * ECCO PERCHÉ OGGI È INDISPENSABILE FARE IL PUNTO SULLA VIDEO ADVERTISING STRATEGY. IAB NE APPROFONDISCE LE LOGICHE DI IDEAZIONE E REALIZZAZIONE FOCALIZZANDOSI SULLE OPPORTUNITÀ PER L’OFFERTA E LA DOMANDA. *FONTE: AUDIWEB POWERED BY NIELSEN – MARZO 2014

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Matteo Dedè

anche in italia sta arrivando

Paolo Ferri e’ Professore Associato e docente di Tecnologie didattiche e Teoria e tecnica dei nuovi media presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Milano Bicocca. E’ inoltre autore di numerosi libri su giovani, scuola e tecnologia. tra essi, “nativi digitali” (2011, bruno mondadori) e “La scuola 2.0. Verso una didattica aumentata dalle tecnologie”, pubblicato nel 2013 da Spaggiari

la paura di internet Da sempre internet è stata vista con grande “sospetto” a causa dell’accelerazione nella possibilità di “scambi sociali” sul web che genera. Come mette in evidenza un recente report del progetto di ricerca EU “Kids on line”, la paura legata alle tecnologie e, in particolare, il fatto che i figli possano entrare in contatto con sconosciuti e vedere immagini violente o sessuali è al quinto posto in Europa tra le paure dei genitori. Questo “panico morale” è in crescita. Con questo termine Stanley Cohen, sociologo britannico, identifica la spirale di paura e spesso di “terrore” generata dai media che amplificano una minaccia sfruttando le paure del “pubblico” e dei “lettori” e la sensazione di correre rischi. Il risultato, quindi, è una crescente e spesso esponenziale sensazione di pericolo rispetto a quel fenomeno (ad esempio gli “omicidi efferati” o i “furti in villa”), anche se la possibilità reale di rischio non è realmente aumentata, anzi spesso è diminuita. Il problema è che il panico morale verso la tecnologia si sta diffondendo in Italia sempre di più attraverso i giornali, che del resto appartengono a gruppi editoriali “tradizionali”, tra l’altro, molto danneggiati dalla loro scarsa comprensione del fenomeno internet. Il capostipite dei nuovi “Savonarola” è Nicholas Carr, noto giornalista e saggista statunitense, che ha pubblicato nel 2010 un fortunato volume tradotto in Italia con il titolo italiano “Internet ci rende stupidi? (2011, Raffaello Cortina Editore, tr. it., The Shallows: What the Internet Is Doing to Our Brains, 2010). Le posizioni di Carr riassumono efficacemente quelle degli “apocalittici” in tema di effetti delle tecnologie digitali sul nuovo modo di comunicare e di apprendere dei nostri figli. In particolare, Carr sostiene come sono e saranno a rischio il pensiero astratto, la memoria associativa e quella a lungo termine. In sostanza

l’intelligenza dei nostri figli sarebbe messa a rischio dal predominio della fruizione digitale e non lineare dei contenuti sul web e ancor di più dalla diffusione dei tablet e degli smartphone. Questa tesi “ideologica” è supportata da un corredo di “pseudo conferme” ricavate, indebitamente, da seri studi neuro scientifici. Il modo di utilizzare i dati delle neuroscienze che adotta Carr è scorretto perché anche a parere di neuro-scienziati molto autorevoli come Eric Kandel, premio Nobel per la medicina nel 2000, non sappiano ancora interpretare le differenti “immagini” delle attivazioni neurali rispetto alle loro conseguenze pratiche, tanto meno in un fenomeno così complesso come l’apprendimento. Possiamo dire che il cervello che svolge compiti attraverso macchine digitali funziona diversamente da un cervello che svolge gli stessi compiti in modo analogico, ma non sappiamo valutare questa differenza. Il cervello è un organo troppo complesso, costituito da 100.000 miliardi di neuroni, interconnessi attraverso centinaia di miliardi di sinapsi. Non conosciamo ancora molto del modo in cui il cervello governi le funzioni superiori dell’uomo - la memoria o addirittura l’intelligenza e quindi è difficilissimo derivare dalla diversità delle attivazioni neurali quale sia la conseguenza pratica di tutto questo. Ora, sull’onda di Carr, anche in Italia, Paese molto resistente all’innovazione, hanno cominciato a fiorire posizioni di “tecnofobia culturale”. Queste si declinano sopratutto nella battaglia al cosiddetto “colonialismo digitale”: l’idea che se una qualsiasi pratica, attività o processo può essere svolta - non importa se meglio o peggio - attraverso strumenti digitali, allora… si “deve” farlo, a prescindere da risultati. Fortunatamente molti aspetti della vita umana non si prestano a essere trasposti in digitale. Ma altre

tesi di chi si oppone alla diffusione della tecnologia rischiano molto di più di spargere “panico” tra i genitori e gli insegnanti. Una sostiene che la lettura su carta sia molto più efficiente e cognitivamente efficace di quella su tablet o e-reader. Un’altra sostiene che l’introduzione di tecnologia nella scuola fa male alla scuola stessa e agli alunni perché abbassa la preparazione degli allievi. La prima è un argomentazione “romantica”, ma davvero piuttosto debole. L’iPad e i tablet porterebbero a una maggior “distrazione” essendo dispositivi multifunzione e per di più contaminati dalla “demoniaca” presenza della rete. A prescindere dal fatto che non si comprende perché si dovrebbe necessariamente abbandonare un romanzo che appassiona per mettersi a videogiocare o a leggere un quotidiano o a navigare in rete, al contrario, non viene presa affatto in considerazione l’ipotesi di valutare il tablet come un supporto che potenzia la lettura e che permette, oltre a leggere, di svolgere molti altri compiti cognitivi attraverso il potenziamento che gli garantisce il “demone” internet. La seconda linea di argomentazione è ancor più difficile da accettare per chi abbia a cuore la formazione delle nuove generazioni. Sostenere che l’arretratezza tecnologica della scuola la renderebbe una zona di tranquillità da cui guardare allo sviluppo della società in tutta calma è una posizione elitaria e conservatrice e non tiene conto che la scuola è un fattore strategico, forse il più rilevante, nella competizione globale economica, politica e culturale; e che in Italia è l’unico settore della pubblica amministrazione a non essere stato dotato di un’infrastruttura digitale. E’ un problema di equità sociale globale prima che di “estetica della lettura”. Più internet: più cultura e più sviluppo, cioè più lavoro e opportunità per tutti. ANNO V | #098| MERCOLEDI’ 17 SETTEMBRE 2014


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