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Over 60 e pensione

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Una recente ricerca Bva Doxa ha scattato un’interessante fotografia sul mondo degli over 60 italiani, sul loro modo di intendere il lavoro e il rapporto coi giovani

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«AVRAI ANCORA BISOGNO DI ME QUANDO AVRÒ 64 ANNI?», CANTAVA UN GIOVANISSIMO JOHN LENNON IN WHEN I’M SIXTY- FOUR, BRANO DELL’ALBUM SGT. PEPPER’S LONELY HEARTS CLUB BAND DEL 1967. Un interrogativo d’amore proiettato in un tempo lontano. Si chiedeva, insomma, se un amore potesse resistere all’età. Ma, a cinquant’anni di distanza, chi sono oggi gli ultrasessantenni? Un quadro d’insieme emerge da una recente ricerca Bva Doxa, presentata in occasione dell’evento Seniors Impact Initiative nell’ambito del “SingularityU Italy Summit 2019”, secondo la quale gli over 60 sono grandi lavoratori nonché gente che si sente tutto fuorché anziana. «Dal nostro osservatorio - ci ha detto Vilma Scarpino, Ceo di Bva Doxa - emerge come gli over 60 italiani siano carichi di desideri, ancor più che di bisogni, con voglia di futuro e di progettualità. Pronti a vivere con positività la contaminazione con le generazioni più giovani». Vilma Scarpino, la popolazione mondiale invecchia e le aspettative di vita crescono. Dal vostro studio emerge che molti over 60 lasciano controvoglia il lavoro. In Italia sono oltre 2 milioni gli over 60 che lavorano e più della metà dei casi (il 55%) lo fa per scelta, anche se potrebbe smettere. Secondo la fotografia scattata da Bva Doxa, solo il 15% dei senior indica i motivi economici come la motivazione principale a rimanere nel mondo del lavoro. Uno su tre lavora ancora perché non può smettere, ma, se potesse, opterebbe per la pensione. Quali considerazioni dovrebbero NON SOTTOVALUTATELI! Over 60 dinamici e tecnologici Gli over 60 italiani si dimostrano sempre più dinamici. Oltre 2 milioni di essi lavorano e più della metà lo fa per scelta. Per loro la tecnologia gioca un ruolo centrale nella quotidianità stando ai dati prodotti da Bva Doxa e presentati in occasione del Seniors Impact Initiative di SingularityU Italy. LA PENSIONE PUÒ ATTENDERE. LA VECCHIAIA PURE

di Giada Valdannini

SBAGLIAMO A RITENERE GLI OVER 60 DELLE PERSONE CHE HANNO DATO TUTTO ORMAI. SE L’ASPETTATIVA DI VITA, IN ITALIA, È DI 83 ANNI, VUOL DIRE CHE A 60 ANNI SI HANNO ANCORA 20 ANNI DAVANTI + trarne le aziende? La sfida per aziende e istituzioni è iniziare a riflettere sull’evoluzione demografica come un’opportunità. Il capitale umano va infatti considerato e valorizzato nel suo insieme e non in continue contrapposizioni che oggi vedono su parti opposte giovani e vecchi. Perciò, per le aziende sarà sempre più importante fare evolvere il ruolo dei senior all’insegna di una sempre più proficua collaborazione fra generazioni. Ma una collaborazione tra Babyboomers e Generazione Z è davvero immaginabile? Sì, è importante e necessaria. Oggi, all’interno di un’impresa devono convivere quattro generazioni: dai neolaureati di 23/24 anni fino ai Babyboomers che non se ne possono andare prima di 67. Ai senior i giovani possono dare la capacità di usare la tecnologia in modo più fresco; viceversa, i senior possono dare ai giovani quello che è il vissuto concreto dell’azienda o del mondo del lavoro. Stando ai dati di Bva Doxa il 60% dei lavoratori ed ex lavoratori ha vissuto situazioni di difficoltà legate al cambiamento organizzativo: per la scarsa dimestichezza con le nuove tecnologie (38%), direttamente correlata alla «mancanza di una formazione adeguata da parte dell’azienda per l’uso dei nuovi strumenti» (31%). Cosa può migliorare questa condizione? Le aziende cosa possono mettere in campo per i senior? Trattandosi di persone che vogliono continuare a imparare, le aziende devono metterle in condizione di riuscirci. Serve attenzione dal punto di vista formativo. Tendenzialmente si crede che i senior siano refrattari alla tecnologia quando così non è: l’accettano, ne riconoscono il valore a tutti i livelli - nel mondo del lavoro, in famiglia, per la salute -; magari hanno tempi diversi rispetto ai ragazzi. Se dovessi dirla per immagini, direi che le parole chiave di questi nuovi senior sono attivismo, dinamismo e partecipazione. Le stesse che, presumibilmente, hanno fatto sì che, nel nostro Paese, ci si senta anziani sempre più in là nel tempo…

Un altro nostro studio ha infatti evidenziato come, in Italia, si inizi a sentirsi vecchi non prima dei 70 anni. È cosa significativa. Solo in Finlandia vi è la stessa percezione. Nel resto del mondo, l’inizio della vecchiaia è percepito in media intorno al 56° anno d’età. Ecco perché sbagliamo a ritenere gli over 60 persone che hanno dato tutto nella vita: non è così! Se l’aspettativa di vita è, in Italia, 83 anni, vuol dire che - a 60 - ho ancora oltre vent’anni davanti. Quindi, è inconcepibile che non ci si curi di questa fascia d’età, di queste persone che, per altri vent’anni, di fatto, non coinvolgiamo in maniera corretta. Sul lavoro sono persone con esperienza tecnica, esperienza da trasmettere. Questa è una frangia di popolazione che ha competenza e denaro: può contribuire esattamente come contribuiva prima.

SONO PASSATI 18 ANNI DA QUANDO, NEL 2001, MENO DI UN MESE DOPO GLI ATTENTATI DELL’11 SETTEMBRE, COMINCIAVA LA PIÙ RECENTE GUERRA IN AFGHANISTAN, DICHIARATA DAGLI USA E DAL REGNO UNITO, contro il regime dei Talebani. Pochi mesi dopo, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite autorizzava ex post l’intervento militare, e dava origine alla cosiddetta missione Isaf, passata poi due anni dopo, nel 2003, sotto il controllo della Nato. Da allora decine di Paesi hanno preso parte ad un conflitto interminabile, che ad oggi rende il Paese estremamente lontano da una reale stabilizzazione. Gli attacchi sono all’ordine del giorno, nelle principali città, a partire dalla capitale, Kabul, e nel Sud si continua a combattere. In questo clima di estrema incertezza, lo scorso 28 settembre si sono svolte le elezioni parlamentari, con una scarsa affluenza (26%) ed un testa a testa fra il presidente uscente Ashraf Ghani e Abdullah Abdullah. Il conteggio è ancora in atto e se non sarà a nessuno dei due candidati almeno il 50% dei voti, si passerà al secondo turno, che difficilmente si svolgerà prima della primavera. Nonostante Kabul goda di un maggiore controllo da parte delle forze di Polizia rispetto ad altre aree del Paese, il fatto di essere il cuore istituzionale dell’Afghanistan, la rende comunque bersaglio di attacchi terroristici. In questo contesto, la società civile si è adattata a vivere sotto costante minaccia, ma non per questo ha smesso di credere che un giorno la situazione potrà cambiare in meglio. «Vedremo cosa succederà nel prossimo futuro - dice Khalida Rasheed, reporter di Zan Tv -, di certo alcuni passi avanti in questi anni sono stati fatti, almeno a livello istituzionale si è cercato di dare un’impronta nuova al Paese. Ma siamo ancora lontani dalla stabilità». Khalida ha studiato giornalismo all’università, e poi ha cominciato a lavorare presso la tv delle donne, Zan tv, creata nel 2017 e gestita principalmente da giovani reporter e conduttrici, che affrontano temi di attualità da un punto di vista femminile e, soprattutto, fanno passare il messaggio che le donne possono fare informazione e offrire più punti di vista sulla società. Il progetto di Zan Tv non ha avuto vita facile, anzi, le minacce sono state tante e anche oggi, a due anni dall’avvio, la sede è protetta da barriere anti-sfondamento e guardie armate all’ingresso che controllano chiunque si avvicini. «Qualcosa però sta lentamente cambiando - afferma Khalida - e, anche se è vero che la maggioranza della popolazione femminile non ha ancora accesso all’istruzione e al mercato del lavoro, noi stiamo dimostrando che possiamo fare la differenza ed essere un esempio virtuoso, pure in una società patriarcale profondamente radicata». Proprio per sostenere l’occupazione femminile, ferma al di sotto del 16%, è nato il progetto Sono una donna e voglio lavorare, che oggi ha sede nello Sharara Garden, un giardino realizzato anche grazie alla Cooperazione italiana, dove sono sorte aree verdi, negozi gestiti da donne e aule per corsi di formazione gratuiti. Fino a gennaio di quest’anno quasi duemila donne avevano frequentato lezioni di inglese e informatica in questi spazi, grazie al supporto di Nove Onlus, organizzazione no-profit italiana, e Pada, l’Agenzia Afghana per lo sviluppo. «Offrire lezioni in uno spazio protetto come lo Sharara Garden facilita l’inserimento - spiega Friba Qauomi, una delle responsabili - e l’accettazione delle famiglie alla partecipazione formativa, perché padri e mariti sanno che le figlie e le mogli non corrono alcun rischio e non sono esposte a pericoli. La parte più difficile del programma è trasformare la formazione in concreta opportunità di lavoro, con la prospettiva che una donna qualificata possa effettivamente inviare un curriculum ed es- » L LA GUERRA NON FERMA LE DONNE di Ilaria Romano In guerra dal 2001, il Paese sconta una forte instabilità. Eppure la società si muove e idee coraggiose arrivano dalle donne, sempre più presenti nella formazione, nei media e al volante

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5 3 DAL 1999 AD OGGI Vent’anni di Emergency Quest’anno ricorre il ventennale della presenza di Emergency in Afghanistan, a fianco delle vittime di guerra. Dal 1999 ad oggi, quasi sei milioni di persone sono state assistite dai medici dell’organizzazione, il che vuol dire che in un Paese di circa 30 milioni di abitanti, uno su sei, senza limiti di età, ha avuto bisogno di cure per ferite causate dal conflitto. Tre sono i centri chirurgici di Emergency: quello di Kabul è un ex asilo nel centro della città che dispone, oltre che di tre sale operatorie ed una terapia intensiva, dell’unico apparecchio per la Tac gratuito in tutto il Paese; quello di Lashkar-Gah nell’Helmand, dove oggi la situazione è particolarmente drammatica per i continui conflitti a fuoco fra talebani ed esercito regolare; quello di Anabah, nella valle del Panshir, il primo ad aprire nel 1999, che dal 2003 ospita anche un centro di maternità con ambulatorio pediatrico.

sere assunta per le sue capacità senza discriminazioni. E soprattutto con il consenso familiare». Uno dei grandi ostacoli alla mobilità delle donne è la mancanza di mezzi di trasporto sicuri: quelli pubblici sono quasi inesistenti, camminare a piedi espone a rischi e molestie e la maggior parte delle donne non può usare taxi e bus condotti da uomini. Per questo l’ultimo progetto in cantiere qui è la navetta rosa, un servizio con autiste e passeggere esclusivamente femminili che sia accettabile per la cultura tradizionale e offra un servizio di trasporto reale a chi non ce l’ha. Il primo passo è stata l’attivazione dei corsi di guida per permettere alle donne di conseguire la patente: in due anni sono state 195, e il risultato è notevole se si pensa che dal 2012 al 2016, solo 1.189 donne in tutta Kabul hanno preso la licenza di guida. Con la fase sperimentale, le neo-autiste saranno affiancate da un tutor per le prime esperienze su strada, che si occuperà anche di ottenere i permessi necessari da istituzioni e comunità di riferimento, in modo che l’innovazione sia condivisa e non imposta. «Sono cresciuta in Pakistan da genitori afghani - racconta Farishta Atthai, una delle operatrici di Nove a Kabul -, ma ho sempre avuto il desiderio di conoscere il mio Paese. Così dopo l’università ho deciso di trasferirmi qui». Angel ha 24 anni, la patente, una laurea e tanta voglia di essere utile alle donne che non hanno avuto

Il primo presidente eletto dell’Afghanistan è stato Hamid Karzai, in carica dal 7 dicembre 2004 al 29 settembre 2014. Dal 2001 era stato nominato a capo dell’amministrazione transitoria.

L’attuale presidente è Ashraf Ghani: nel 2014 contestò i risultati del ballottaggio fino al riconoscimento della sua vittoria da parte del Comitato Elettorale Indipendente.

Proseguono ancora oggi le attività di addestramento, assistenza e consulenza da parte delle nostre forze militari L’ITALIA IN AFGHANISTAN

L’ITALIA È ANCORA PRESENTE IN AFGHANISTAN COME FORZA MILITARE NELL’AMBITO DELLA MISSIONE INTERNAZIONALE “RESOLUTE SUPPORT”, AVVIATA NEL GENNAIO DEL 2015 a seguito del completamento della missione Isaf (International Security Assistance Force) e del conseguente trasferimento alle forze afghane delle responsabilità in materia di sicurezza. Le forze Nato sul territorio provengono da 39 diversi Paesi, per un totale di circa 16mila persone, ed operano attraverso una base centrale che si trova a Kabul, e quattro Comandi regionali dislocati fra Mazar-e-Sharif nel Nord, Herat ad Ovest, Kandahar a Sud e Laghman a Est. L’attuale contributo nazionale prevede un impiego sul territorio di circa 800 militari, fra quelli presenti nella capitale presso il Comando della Missione Nato, ed Herat, nella sede del Train Advise Assist Command West, dove proseguono le attività di addestramento, assistenza e consulenza a favore delle forze locali di Polizia ed Esercito della regione Ovest. Questa area a responsabilità italiana comprende le quattro province di Herat, Badghis, Ghor e Farah. Attualmente la componente principale delle forze italiane è costituita da personale dell’Esercito proveniente dalla Brigata Aeromobile Friuli, che sta operando in Afghanistan per la seconda volta, con un contributo di personale e mezzi anche della Marina Militare, dell’Aeronautica e dell’Arma dei Carabinieri.

le sue stesse possibilità di realizzarsi, grazie ad una famiglia che l’ha lasciata libera di scegliere del proprio futuro. «In Pakistan la parità di genere nello studio e nel lavoro sono quasi date per scontate, mentre qui ho trovato tutta un’altra realtà, e ogni piccola conquista si guadagna solo con un processo lento e un duro lavoro. È una bella sfida, ma anche una sola ragazza che trova un lavoro dopo uno dei nostri corsi, o che “strappa” un permesso al padre per usare

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l’auto ripaga di ogni sforzo». La divisione fra i sessi comincia sin da bambini, perché nelle scuole pubbliche non esistono classi miste. Sohaila Sahar ha deciso di sperimentarle nella sua scuola privata, che accoglie circa trecento bambini dall’età pre-scolare fino alla secondaria, in pratica dai 4 ai 12 anni. Sohaila ha creato un sistema per cui le famiglie benestanti pagano con la loro retta anche una quota per i bimbi delle famiglie indigenti, che altrimenti, come tanti

UN PAESE ANTICO L’arte perduta L’Afghanistan è stato da sempre crocevia di popoli provenienti dall’Asia Centrale, dall’Europa e dall’India, e i numerosi reperti archeologici appartenenti ad epoche e stili diversi ne sono testimonianza. Purtroppo molti dei tesori antichi sono andati distrutti durante le guerre. Lo stesso Museo Nazionale di Kabul fu bombardato nel 1993, con una conseguente perdita di patrimonio storico-artistico. Nel 2001 i Talebani danneggiarono la maggior parte dei manufatti dell’arte pre-islamica, come i Buddha di Bamiyan, risalenti al V secolo. Oggi, proprio all’interno del Museo Nazionale, è ripartita una nuova opera di restauro di statue e frammenti ritrovati e raccolti nel corso degli ultimi anni che, grazie ad un’équipe internazionale, potranno, almeno in parte, essere ricostruiti e preservati per il futuro.

1 Farishta Atthai, responsabile della Onlus Nove 2 Una classe femminile in Afghanistan 3 Una stanza di produzione di Zan Tv 4 Friba Qauomi, responsabile dello Sharara Garden 5 Uno scorcio del Ministero della Salute, a Kabul 6 Zeinab Husseini, 19 anni, la prima donna afghana ad aver ottenuto la patente di guida a Bamiyan 7 Una tirocinante segue un corso di formazione a Bamiyan 8 Kabul, Settembre 2019: un gruppo di donne impegnate nello spoglio dei voti delle elezioni presidenziali. 9 La sede di Zan Tv a Kabul.

piccoli di Kabul, sono costretti a lavorare già intorno ai quattro o cinque anni per supportare le famiglie. «È uno dei problemi più gravi che abbiamo - racconta - per questo è importante garantire a più bambini possibile un’istruzione, per dargli un’alternativa alla strada e a una vita di stenti anche nell’età adulta. Devo dire che questo sistema funziona e, anzi, i genitori sono contenti di pagare anche per dare un contributo al prossimo, è giusto così. Come lo è far interagire i bambini e le bambine, abituarli alla presenza reciproca, nel rispetto delle regole, ma senza pregiudizi. E sto avendo grandi soddisfazioni anche da questo punto di vista».

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