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I poteri del placebo

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PREVENZIONE

TECNOLOGIA Non si tratta solo di una semplice caramella. È capace di attivare i processi cerebraliche favoriscono la guarigione. Tutto dipende dal contesto psicosociale della terapia

__SALUTE__

I “SUPER POTERI” DELL’EFFETTO PLACEBO

di Adelaide Vallardi

UN PO’ DI ZUCCHERO, LA DOSE GIUSTA DI ADDENSANTI PER OTTENERE UN PRODOTTO COMPATTO, un colorante dalla tonalità tenue, le dimensioni ideali per favorire l’ingestione. Nulla di più: nessuna sostanza chimica, nessun principio attivo. La sua composizione è tale e quale a quella di una caramella. Eppure quando quella pillola va giù possono accadere cose inaspettate: i dolori dell’emicrania si attenuano, i fastidi della sindrome dell’intestino irritabile svaniscono, la spossatezza dovuta a una malattia oncologica migliora, la depressione si allontana e anche le articolazioni infiammate dall’artrite smettono di procurare sofferenze cro- niche. Sono i “super poteri” dell’effetto placebo, le capacità terapeutiche del farmaco finto che continuano a stupire e a interessare i neuroscienziati. Molti studi recenti, pubblicati su riviste scientifiche dall’autorevolezza indiscutibile, hanno dimostrato che banalissime pillole di zucchero o semplici soluzioni di acqua e sale riescono a procurare benefici reali a chi le assume, a volte paragonabili a quelli dei veri farmaci. Come è possibile? Abbiamo chiesto ad Alessandra Muscetta, psichiatra e psicoterapeuta, responsabile della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Spad di Roma, di spiegarci cosa sappiamo di questo affascinante effetto placebo che negli ultimi tempi sembra sia diventato talmente potente da mettere in crisi le sperimentazioni farmaceutiche. Per essere autorizzato al commercio un

+«IL CONTESTO IN CUI VIENE SOMMINISTRATA LA TERAPIA, LA RELAZIONE CON IL MEDICO, L’AMBIENTE IN CUI AVVIENE LA CURA SONO ELEMENTI CHE ATTIVANO SPECIFICHE RISPOSTE NEL CERVELLO CON EFFETTI REALI SULLA SALUTE»

I meccanismi dell’auto-guarigione

Nel nostro cervello esistono meccanismi neurobiologici capaci di auto-guarigione, di cui tutti gli esseri umani sono provvisti. Questi processi possono essere attivati da una serie di fattori aspecifici, tra i quali anche l’effetto del placebo

farmaco deve dimostrare di essere superiore a un placebo in un trial clinico. Alcune indagini recenti hanno però dimostrato che i farmaci finti stanno funzionando sempre meglio, mettendo in difficoltà le aziende produttrici di quelli veri. Cosa sta succedendo? Perché il placebo funziona anche se non ha alcun principio attivo? Il fenomeno che chiamiamo “effetto placebo” esiste da sempre, è vecchio quanto la storia dell’umanità. Ed è qualcosa di molto vicino, per esempio, alle proprietà terapeutiche che un tempo derivavano dagli interventi degli sciamani. È stato dimostrato che il contesto in cui viene somministrata la terapia, la relazione con il medico, l’ambiente nel quale avviene la cura sono elementi chiave per attivare specifiche risposte nel cervello che hanno effetti reali sulla salute. L’effetto placebo non fa altro che confermare qualcosa che in psichiatria è noto da tempo: nel nostro cervello esistono meccanismi neurobiologici capaci di auto-guarigione, di cui tutti gli esseri umani sono provvisti. Questi processi possono essere attivati da una serie di fattori aspePERCHÉ FA BENE IL FATTORE ANSIA

Sembra che la somministrazione di un placebo stimoli il rilascio nel cervello di endorfine e di endocannabinoidi. E per questo procurerebbe sollievo dal dolore. Le aspettative negative attivano meccanismi di ansia che inducono il rilascio nel cervello di sostanze che amplificano il dolore. Anche così si finisce per provare ciò che ci aspettiamo.

FUNZIONA ANCHE SE Il placebo funziona anche quando SI È CONSAPEVOLI i pazienti conoCHE SI TRATTA scono la verità: il dolore lombaDI UN FARMACO re, per esempio, FINTO passa prima se all’autentico farmaco analgesico viene aggiunta una “caramella” dalla composizione nota (acqua e zucchero). Uno studio recente pubblicato sulla rivista Pain ha dimostrato che quel che conta è il rituale che attiva alcune regioni del cervello, provocando un miglioramento dei sintomi. «È il vantaggio di essere immerso in un contesto terapeutico - spiega l’autore principale Basta dello studio -, interagire con gli inferun poco mieri, prendere le di zucchero pillole, tutti i rituali e i simboli dell’assie la pillola… stenza medica. Il funziona corpo risponde a tutto ciò». davvero

cifici, tra i quali anche l’effetto del placebo. Potrebbe sembrare che stiamo parlando di magia, ma in realtà è tutto molto scientifico. Ancora non sono del tutto chiari i meccanismi psicologici e neurobiologici che stanno dietro l’effetto placebo, ma è emerso con certezza che il contesto psicosociale della terapia ha un impatto sul cervello del paziente. Le attenzioni del medico, le sue parole, l’atteggiamento di fiducia nella terapia attivano nel paziente la motivazione a stare meglio, mettendo in moto un processo neurobiologico che può diminuire sintomi anche gravi. E molti studi lo hanno dimostrato. È per questo che il placebo funziona tanto bene nei trial clinici? Più sono fatti bene, più è curato il contesto sanitario e più è potente l’effetto placebo? Sì, è proprio così. Nelle speri

+IL PLACEBO È UN EFFICACE AIUTO TERAPEUTICO CHE ANDREBBE POTENZIATO PERMETTENDO, IN ALCUNI CASI, DI ELIMINARE O DI RIDURRE IL DOSAGGIO DI FARMACI CHE POSSONO AVERE EFFETTI COLLATERALI mentazioni dei farmaci i pazienti sono divisi in due gruppi, uno assume il medicinale vero e l’altro, senza saperlo, il placebo. Ma il contesto della cura è lo stesso e molte volte basta questo elemento a ottenere benefici sulla salute. Così si spiega come mai un paziente che arriva in ospedale con un forte mal di pancia, si sente meglio anche semplicemente con una flebo di soluzione fisiologica. È come se il contesto fosse una parte rilevante della cura. L’aspettativa di stare meglio influenza la capacità di auto curarsi, riuscendo a ottenere veramente il risultato che ci si aspetta. La cosa strana, però, è che è stato dimostrato che l’effetto placebo funziona anche quando il paziente sa di assumere un falso medicinale. Come si spiega? In realtà non è così strano. Perché come abbiamo detto è la relazione medico-paziente ad attivare la motivazione a stare meglio, da cui deriva il reale miglioramento. Il fatto di conoscere la vera natura del farmaco, in qualche caso, può essere irrilevante. Conta molto di più il dialogo con il medico e le proprie aspettative sulla cura. Sono questi elementi che attivano alcuni circuiti nella corteccia prefrontale associati all’auto-guarigione. Spesso lo ignoriamo, ma il nostro corpo è molto bravo a guarire se stesso. Banalmente verrebbe da pensare: “Ma se basta l’effetto placebo a stare meglio, possiamo liberarci dei farmaci? Possiamo veramente curarci con una caramella?”. Non si può estremizzare fino a questo punto. È vero che il placebo è molto più che acqua e zucchero. Ma non può sostituire i farmaci. In alcune condizioni può essere un valido aiuto, come nel caso del dolore cronico, della fibromialgia, dell’emicrania e anche della depressione. Ma, bisogna dirlo chiaramente, se c’è un danno d’organo, il placebo non può farci nulla. Fatta questa precisazione, però, possiamo considerare il placebo un efficace aiuto terapeutico che andrebbe potenziato, permettendo in alcuni casi di eliminare o di ridurre il dosaggio di farmaci che possono avere effetti collaterali. Vale soprattutto in un Paese come il nostro, in cui si abusa di medicinali, dagli antidolorifici ai sonniferi.

I LIMITI È più di una caramella, ma non è una panacea Può dare sollievo dal dolore, ma non può ridurre un tumore o sbloccare un’arteria piena di placche di colesterolo. Il placebo ha un ruolo importante nel trattamento di molte patologie, ma non è affatto una panacea. Ha un valore clinico, è statisticamente significativo e procura sollievo ai pazienti. È molto più che acqua e zucchero, è vero, ma non è la soluzione a tutti i mali. Agisce soprattutto nelle patologie in cui la componente psicologica ha un ruolo importante. Nella fibromialgia, nella sindrome dell’intestino irritabile e anche nella fatigue sperimentata dai malati oncologici.

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