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Una scossa e il battito riparte

Per 70mila italiani l’anno l’arresto cardiaco è (ancora) fatale. Il soccorso immediato e un defibrillatore nelle vicinanze - che chiunque all’occorrenza può utilizzare - rappresenterebbe la salvezza

NEL NOSTRO, COSÌ COME NEGLI ALTRI PAESI SVILUPPATI, LE MALATTIE DEL CUORE - DAI DISTURBI DEL RITMO ALL’INFARTO - SONO LE PATOLOGIE PIÙ DIFFUSE E LA PRIMA CAUSA DI LETALITÀ. In particolare, in Italia, le vittime degli eventi cardiovascolari sono 270mila ogni anno. E, in tale drammatica contabilità, ben settantamila decessi sono attribuibili alla “morte cardiaca improvvisa”. All’arresto cardiaco, per dirla con le parole di tutti i giorni. Ormai, nessuno più ignora che quando il cuore si ferma, un defibrillatore potrebbe farlo ripartire. Se solo ne avessimo uno a portata di mano… Prima che sia troppo tardi. Per la vita perduta e per il rammarico che brucerà l’esistenza di chi nulla ha potuto. La salvezza, dunque, dipende dalla tempestività del primo intervento. Ne parliamo con Alessandro Capucci (nella foto, nel tondo), già direttore della Scuola di Specializzazione di »

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NELL’ARRESTO CARDIACO OGNI MINUTO PERSO È FATALE. IL 70% DELLE VITTIME MUORE PRIMA DELL’ARRIVO DEI SOCCORSI O DI RAGGIUNGERE L’OSPEDALE

UNA SCOSSA (CARDIO) RISOLUTIVA

di Paola Stefanucci

CHI PUÓ USARE IL DAE COME FUNZIONA

Il rischio di morte cardiaca improvvisa cresce con l’età, ma può colpire anche i giovani. Risolutivo è l’uso tempestivo del defibrillatore, non necessariamente da parte di personale abilitato. La legge del ”Buon Samaritano" stabilisce che, in caso di necessità - come la MCI (Morte cardiaca improvvisa) -, gli astanti possono usare il DAE, senza incorrere in alcuna responsabilità penale o civile. Usare il defibrillatore è facile. Lo abbiamo visto tante volte nei medical thriller al cinema e nelle serie dedicate ai camici bianchi in tivù. Ma cosa è la defibrillazione? Una scarica di corrente elettrica che, scorrendo attraverso le cellule cardiache, è in grado di ripristinare una contrazione corretta e funzionale, in modo che il cuore riacquisisca la sua capacità di pompare il sangue e ossigenare gli organi e i tessuti di tutto il corpo.

Malattie dell’Apparato Cardiovascolare dell’Università Politecnica delle Marche ad Ancona, nonché instancabile promotore - attraverso il “Progetto Vita” da lui fondato a Piacenza 22 anni fa - della diffusione pubblica e capillare del defibrillatore semiautomatico esterno. Professor Capucci, quali sono le patologie all’origine dell’arresto cardiaco? Si tratta (sempre) di un evento fulmineo o si può prevedere? E, se sì, a quali sintomi premonitori bisogna prestare attenzione? La più frequente causa di arresto cardiaco è l’infarto miocardico (70%); vi sono, però, altre patologie quali le malattie dei canali, le cardiomiopatie, farmaci e sostanze stimolanti, droghe, miocarditi, vasculopatie cerebrali etc. che possono contribuire ad arrestare il cuore. Per quanto riguarda l’infarto, il sintomo premonitore è il dolore al petto (a volte nella zona dello stomaco), accompagnato a stanchezza e sudorazione e/o dispnea; soprattutto con insorgenza a riposo e di lunga durata, superiore ai 15 minuti. In tal caso, nell’attesa degli operatori sanitari, è opportuno rimanere distesi in ambiente aerato, assumere una semplice aspirina (se in possesso, trinitrina sub linguale); se possibile, procurarsi un defibrillatore esterno e applicare gli elettrodi al torace, dopo averlo acceso. Ciò è possibile perché la persona colpita da infarto è cosciente. Immaginiamo un altro scenario. Una persona di punto in bianco si accascia a terra senza alcun preavviso. Polso e respiro sono assenti. Componiamo il 118. Che fare in attesa degli operatori per il trasporto in ospedale?

L’unica maniera possibile per ripristinare il battito è quella di erogare uno shock al cuore attraverso l’utilizzo di un defibrillatore (semi) automatico esterno (DAE). La defibrillazione precoce (possibilmente entro 5 minuti dall’insorgere dell’arresto) è l’unica manovra efficace che consente di riportare in vita la persona senza danni neurologici. L’apparecchio è perfettamente in grado di porre la corretta diagnosi di fibrillazione ventricolare (altrimenti, non eroga la scossa, non si carica nemmeno!) e di guidare, parlando, al suo utilizzo. Bisogna solo applicare le piastre autoadesive al torace, accenderlo e seguire le istruzioni vocali. Chi scampa ad un arresto cardiaco è suscettibile alla re-

cidiva? E come scongiurare tale pericolosa eventualità? Avere un arresto cardiaco in concomitanza con infarto miocardico non significa doverlo riavere, a meno che il danno subito dal cuore non sia ingente, con riduzione della forza contrattile (frazione di eiezione misurata all’ecocardio, inferiore al 35%). La frazione di eiezione è espressione della differenza di volume ventricolare fra diastole e sistole e quindi della capacità contrattile durante ogni battito cardiaco. Nelle altre patologie come, ad esempio, la sindrome del QT lungo o le malattie dei canali, invece la recidiva è da temere e va impiantato sempre (dopo il primo scampato episodio di arresto) un defibrillatore automatico (endo o epicardico).

A suo avviso, l’uso del defibrillatore nella finzione cinematografica e televisiva è banalizzato? La serie Gray’s Anatomyè molto corrispondente, invece l’episodio di “007” in cui Daniel Craig si defibrilla da solo in auto è chiaramente romanzato. Le cure per il cuore malato oggi offrono risultati brillanti e durevoli. Basti pensare, alla chirurgia del bypass aorto-coronarico o all’angioplastica. Quali le “novità” future per i pazienti cardiopatici? Nel futuro della cardiologia ci sarà sempre più monitoraggio a distanza e meno ospedalizzazione, grazie all’impiego dell’intelligenza artificiale, ovvero una serie di algoritmi automatici che ricevono informazioni di parametri fisiologici ed esitano in una diagnosi. In uno studio internazionale in cui è stata protagonista la Clinica di Cardiologia di Ancona è stato dimostrato come la modifica di un numero, risultante dall’analisi di tali parametri, sia in grado di predire l’evento “scompenso cardiaco acuto”, con una mediana di 34 giorni prima del possibile ri

IL TEMPO PER UNA RIANIMAZIONE + CARDIOPOLMONARE DI SUCCESSO È AL MASSIMO DI DIECI MINUTI; PRIMA DELLA COMPARSA DEI DANNI CEREBRALI IRREVERSIBILI DOVUTI A IPOSSIA

covero ospedaliero. Avremo App che, realizzate da cardiologi e non solo da tecnici, saranno poste sui telefoni o sugli orologi, per monitorare l’attività del cuore con grande precisione. Arriveremo a prevenire con un mese di anticipo eventuali crisi di scompenso cardiaco o di aritmie, come la fibrillazione atriale, e a personalizzare le cure.

LE ISTITUZIONI, + IL 118 E UN’APP Presto la Legge per la diffusione dell’apparecchio “Salva-vita” nei luoghi pubblici

Defibrillatori ovunque e il battito riparte «Più è estesa la presenza dei defibrillatori, più vite umane si salvano», ribadisce da tempo il professor Alessandro Capucci, fondatore in proposito del “Progetto Vita”. Dovrebbero esserne provvisti scuole, palestre, teatri, cinema, stazioni, porti, aeroporti, uffici, bar e condominii: l’84% degli arresti cardiaci avviene in casa, solo lo 0,5% durante l’attività sportiva. «Occorre - ci dice - coltivare sempre più la sinergia fra le istituzioni e il 118, prevedere la geolocalizzazione dei defibrillatori e un’App per cellulari, che permetta di consultarne la mappa digitale, come già succede a Piacenza. Accanto ad ogni apparecchio, ovunque esso sia, vi devono essere semplici, brevi (cartoon) e chiare informazioni che possano guidare chiunque al suo utilizzo. Anche gli scolari». La legge in merito è stata approvata alla Camera dei Deputati. Ora tocca al Senato.

CONSIGLI UTILI

QUANTITÀ E QUALITÀ Un binomio perfetto La quantità di acqua resta il primo caposaldo del nostro benessere, ma è altrettanto importante la qualità dell’apporto idrico. Infatti, non tutte le acque sono uguali e, in funzione del loro contenuto di sali minerali, possono adattarsi meglio ai fabbisogni di una età specifica e/o aiutando a prevenire alcune patologie. È proprio la quantità di sali, disciolti o presenti nell’acqua, che ne determinano le caratteristiche. In particolare, i sali disciolti vengono misurati in funzione di un “residuo fisso” che consente di suddividere l’acqua in quattro grandi categorie. È insapore, inodore e incolore, eppure si tratta di un vero e proprio alimento, indispensabile al benessere fisico e alla stessa sopravvivenza

ACQUA & CO.: QUANTO E PERCHÉ SERVE BERE?

a cura di Fondazione Umberto Veronesi

LO IMPARIAMO SIN DALLA NASCITA. L’ACQUA È UN ELEMENTO FONDAMENTALE PER L’ESSERE UMANO E FORSE NON RICORDIAMO ABBASTANZA QUANTO SIA PRESENTE... IN CIASCUNO DI NOI. Il nostro corpo, infatti, è costituito in gran parte da acqua. In particolare, nell’adulto raggiunge circa la metà del peso totale e nei lattanti addirittura l’80%. Ecco perché è bene conoscere più da vicino le funzioni e l’utilità dell’acqua, non solo come un elemento indispensabile alla sopravvivenza, ma anche come strumento decisivo per il benessere fisico.

A COSA SERVE L’ACQUA? Insapore, inodore, incolore, eppure l’acqua è un vero alimento. Senz’acqua non sarebbe possibile il funzionamento di tutti gli apparati del nostro corpo. È il mezzo con cui le cellule comunicano fra di loro; è la via che trasporta il nutrimento ai differenti organi ed elimina le scorie e i residui tossici tramite l’urina; è parte essenziale di alcuni liquidi biologici, tra cui quello oculare e quello sinoviale, che è prodotto dall’omonima membrana e protegge le cavità articolari, e di quello cerebro-spinale. L’acqua è anche il principale

componente delle secrezioni degli apparati respiratorio, gastrointestinale e genito-urinario.

QUANTA ACQUA DOBBIAMO BERE? I nutrizionisti ci dicono che dovremmo assumere circa 2-2,5 litri al giorno totali (2 le donne e 2,5 gli uomini), di cui almeno 1 litro e mezzo di pura acqua, quantificabile in circa 8 bicchieri nelle fasi normali della vita. Il resto può arrivare da altri liquidi (meglio tè e tisane senza zuccheri, spremute o estratti di frutta e verdura, piuttosto che succhi di frutta o bibite gassate) e da alimenti particolarmente ricchi di ac

qua, in primis la frutta e la verdura. Ma ci sono condizioni particolari in cui il fabbisogno aumenta, come malattie che fanno perdere liquidi o situazioni come la gravidanza (il volume del sangue della donna aumenta e serve acqua per la formazione del liquido amniotico, oltre che del sangue e dei tessuti del feto), l’allattamento o la menopausa. Più scontate, inoltre, le variazioni dovute a fattori ambientali, come clima e temperatura (e l’arrivo della bella stagione deve far suonare il campanello d’allarme per evitare la disidratazione), oppure come l’attività fisica o lavorativa che +

comportano un aumento della sudorazione.

ATTENZIONE AI “LIVELLI IDRICI” Se manca il giusto apporto di acqua il nostro organismo va in allarme e lo segnala con alcuni sintomi caratteristici, primo fra tutti la sensazione di sete. Poi, secchezza della cute e delle mucose di occhi e bocca, affaticamento, crampi muscolari. La raccomandazione è tuttavia di non arrivare mai a questo punto, sorseggiando sempre un po’ di acqua nell’arco della giornata, anche se non si ha veramente sete. Perché se la percentuale di acqua si abbassa, anche solo del 20%, sono guai seri, talvolta letali. La disidratazione si può manifestare in principio con l’affaticamento dei reni, la pelle secca, stanchezza cronica e immotivata, torpore, svogliatezza, nausea, vertigini,

sdoppiamento della visione e mal di testa. E può poi portare a problematiche gravi, come l’ipertensione, l’insufficienza renale, difficoltà cognitive come un rallentamento della memoria, della concentrazione e dell’apprendimento. È importante sapere che con l’avanzare dell’età il meccanismo della sete non funziona bene e anche per questo motivo aumenta il rischio di disidratazione. Se l’acqua non viene introdotta bevendo, l’organismo fa riassorbire acqua nei reni, riducendo la quantità di acqua eliminata con le urine e questo può portare a danni anche gravi. Per questo le persone anziane dovrebbero abituarsi a bere frequentemente. Consumare ogni giorno frutta e verdura, oltre a fornire importanti nutrienti e fibra alimentare, aiuta ad assumere una sufficiente quantità di acqua.

IN BOTTIGLIA Le acque minerali Come orientarsi nella variegata offerta commerciale di acque in bottiglia? Innanzitutto, sapendo che l’acqua di rubinetto o quella erogata dai distributori pubblici è sicura e sana. Eventuali necessità particolari (ad esempio, più o meno sodio o calcio) andrebbero valutate con il medico e considerate nel complesso della dieta. Se preferiamo acquistare l’acqua in bottiglia, impariamo a leggere le etichette.

• Minimamente mineralizzata:

È l’acqua più “leggera” perché contiene una percentuale di sali disciolti non superiore a 50 mg/litro. • Oligominerale o leggermente

mineralizzata:

Ha un residuo fisso inferiore a 500 mg/litro. • Medio-minerale: I sali disciolti variano tra 500 e 1.500 mg/litro. • Molto ricca di sali: Il residuo fisso è superiore a 1.500 mg/litro. Si tratta spesso di un’acqua con effetti terapeutici che viene prescritta dal medico, ed è acquistabile in farmacia o presso i centri termali o anche in alcuni supermercati.

Liscia o con bollicine? La scelta tra naturale e gassata è dovuta ad una questione di gusti e di abitudini, e non ha che fare con le reali proprietà nutrizionali. L’acqua frizzante disseta di più? No, le bollicine gassose stimolano i recettori delle papille gustative e, simulando un effetto anestetizzante, danno la sensazione che l’acqua si più dissetante e “fresca”. Aiuta a digerire? Neppure. La sensazione può essere data dal fatto che l’anidride carbonica favorisce l’espulsione di aria dallo stomaco, ma non influisce effettivamente su una maggiore azione digestiva.

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