22 minute read
Musica
from GIUGNO 2020
by 50epiu
di Raffaello Carabini
PIANO SOLO
Advertisement
Il norvegese Jon Balke, uno dei pilastri del jazz europeo, propone un nuovo lavoro in solitario, Discourses
NOTE CARICHE DI ATMOSFERE I Discourses solistici di Jon Balke sono fiumi che scorrono tra frastagliate rocce scivolose, bagnano pianure avvolte nella nebbia, addensano grovigli e mulinelli di note cariche di volumi e atmosfere. In un indistinto susseguirsi di composizione, improvvisazione e sound design il musicista scandinavo affastella, parole sue, “paesaggi sonori stratificati” e “riflessi distorti e riverberi dal mondo”, confrontando i suoni con il linguaggio contemporaneo, in un periodo storico in cui “il discorso è sempre più polarizzato” e il dialogo sempre più latitante.
CURIOSITÀ Il primo concerto allo stadio San Siro di Milano si tenne il 27 giugno di quarant’anni fa, uno degli eventi mito del XX secolo. In centomila applaudirono Pino Daniele, Roberto Ciotti, la Average White Band e, soprattutto, la leggenda del reggae Bob Marley, al suo ultimo tour.
Il Covid-19 sta depauperandoci di tutta l’emozione che sanno distribuire i talenti meno affermati. E non solo
LA MUSICA, OLTRE CHE PASSIONE, È ANCHE UN LAVORO
LO RICORDA BENE IL MUSICISTA NEVRUZ IN UNA LETTERA APERTA A SPETTAKOLO!.IT. «Nella vita faccio il cantante, il musicista e oggi sono senza lavoro», scrive. «E vorrei essere chiaro su questo nei confronti di quegli spettatori che hanno fruito di musica in streaminge canali Tv web, fioriti per gli orfani della ribalta o per chi onestamente ha creduto di far qualcosa di buono per i propri spettatori. Nessun giudizio, ma una premura concedetemela. Non abbiamo bisogno di farci vedere, abbiamo bisogno di vivere e guadagnare con il nostro lavoro. E bisogna dirla questa cosa così antipatica, perché oltre alla preoccupazione economica fortissima, non vorrei anche affrontare un equivoco inaccettabile: essere scambiati per degli appassionati e non per dei lavoratori». L’universo sonoro che ci circonda non è disegnato solo dai big, ma anche da una marea di artisti più o meno minori e da sconosciuti operatori oggi in enorme difficoltà. Sia perché questi talenti rischiano di non diventare mai grandi, sia perché, insieme alla loro, è a repentaglio la carriera professionale di chi lavora negli studi di registrazione e nelle sale prove, di chi alleste e gestisce i concerti, di chi è impegnato nelle agenzie di management ecc. Per tutti esiste il rischio di dover cambiare percorso lavorativo, mentre a noi rimane la certezza di perdere millanta emozioni e tanto di «Quello che mi hai insegnato», come canta Nevruz rivolto alla musica.
LLE RAGAZZE DEL ‘46 CHE FECERO LA STORIA Al Referendum istituzionale del 2 giugno fu massiccia la presenza delle donne, gran parte delle quali si recarono alle urne per la prima volta. Nel racconto di chi c ’ era, l’emozione di quel giorno di Luisella Berti
«Per me e per le donne della mia epoca, votare significava veder riconosciuto il nostro ruolo nella società. Di quella giornata ho un ricordo nitido», a raccontare è Letizia Porcari, 98 anni, di Roma. Quel 2 giugno del 1946 aveva 23 anni. «Andai a votare con mio padre. Prima di entrare nel seggio elettorale abbiamo dovuto fare una fila lunghissima. A differenza di oggi, c’era un solo seggio. Un po’ poco. Il voto consisteva nello scegliere fra Monarchia e Repubblica». Semplice, in apparenza. Ma con il voto si decidevano le sorti del Paese. «Mi sentivo addosso una sensazione strana, una grossa responsabilità, mai provata prima, forte e diversa. Era un voto che non riguardava soltanto me, ma tutti». All’epoca Letizia era una studentessa di lettere e filosofia all’università. «Studiavo molto anche per conseguire il diploma di pianoforte. Da allora ho sempre votato. E alle giovani generazioni dico di non disaf-
DUE DONNE D’ECCEZIONE: NILDE IOTTI E TINA ANSELMI. ENTRAMBE PARTIGIANE, HANNO DEDICATO LA LORO VITA ALLA POLITICA. NILDE IOTTI FU ELETTA MEMBRO DELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE E PRESE PARTE ALLA COMMISSIONE DEI 75. FU LA PRIMA DONNA PRESIDENTE DELLA CAMERA, RUOLO CHE RICOPRÌ PER 3 LEGISLATURE. TINA ANSELMI, INVECE, È STATA LA PRIMA DONNA A CAPO DI UN DICASTERO: FU MINISTRO DEL LAVORO, DELLA SANITÀ E POI PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE PARI OPPORTUNITÀ fezionarsi alla politica e di esercitare il voto per costruire il proprio futuro». Quella domenica del 2 giugno del 1946 in fila per il voto c’era anche Giannina Biondini, 97 anni. «Abitavo a Recanati ed avevo 22 anni. Mi recai al seggio accompagnata dai miei genitori. All’epoca, non si usciva da sole. Ero consapevole che l’andare a votare per noi donne significava uscire dall’isolamento. E di questo ne ero molto felice. Da quel giorno non ho mai perso un appuntamento elettorale». L’affluenza femminile fu un
L’IDENTIKIT Com ’ era l’elettorato femminile nel ‘46 La maggioranza delle donne era casalinga, senza reddito proprio, in gran parte analfabeta o aveva conseguito la licenza elementare (più di 3 milioni). La retribuzione delle lavoratrici era la metà rispetto al salario di un uomo, anche a parità di mansioni e ore lavorate. successo straordinario. Votò l’89% delle donne, la stessa percentuale che ci fu al voto amministrativo di marzo e aprile dello stesso anno in diversi comuni. Il voto di giugno non consisteva solo nel Referendum Istituzionale per scegliere tra Monarchia e Repubblica, ma anche nell’elezione dell’Assemblea Costituente, nella quale, per la prima volta, anche le donne potevano essere elette. Era una giornata particolare, si respirava un clima di festa. «Avevo 13 anni, vivevamo a Parma e frequentavo le medie», racconta Maria Antonia Pigozzi Rossini. «Ricordo l’agitazione di mia mamma e delle mie zie che avevano fatto una riunione in casa nostra. Erano nel salotto a discutere sul voto: qual era la procedura, come bisognava vestirsi. Hanno vissuto quel voto come se fosse una festa. Mia madre andò a votare con mio papà. Anche tutte le nostre vicine di casa andarono accompagnate da padri o mariti. Anche io, quando andai a votare per la prima volta, fui accompagnata da mio padre, ma rispetto a mia madre ero certamente più consa
pevole. Avevo una mia idea, tanté che aderii al Consiglio Nazionale Donne Italiane». Il Cndi riuniva diversi movimenti femminili; risorta dopo il fascismo, come altre organizzazioni, con l’Udi (Unione Donne in Italia) svolse un grande lavoro di sensibilizzazione ed educazione al voto, attraverso manifestazioni, incontri di piazza, volantinaggio. «Ho un ricordo molto limpido di quel giorno, benché avessi solo 9 anni. All’epoca vivevamo a Genova», racconta Emilia Ferraris. «Quella domenica del 2 giugno al mattino andai a messa con mia mamma, entrambe con il “vestito
buono”, e al pomeriggio la rividi indossare lo stesso abito. Così le chiesi: “Mamma dove vai, siamo già andate a messa”! E lei mi rispose: “Vado a votare con papà!”. “Vai a votare? E cosa vuol dire?”. Ci sedemmo su un divanetto, si sfilò i guanti e mi spiegò, con le parole che si possono usare con una bambina di 9 anni, l’importanza del voto, della democrazia, dei movimenti femminili, di quante donne si erano sacrificate per il diritto al voto. È un ricordo che porto sempre con me e che mi scalda il cuore. Sono grata ai miei genitori perché sin da bambina mi hanno inculcato l’idea
Elette solo 21 donne su 556 deputati
Furono 226 le donne che si candidarono per essere elette all’Assemblea Costituente. Giunsero al traguardo solo in 21 su 556 deputati, ovvero il 3,7% degli eletti. Si adoperarono su temi come l’uguaglianza, la famiglia, il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio, la parità salariale, l’accesso delle donne alle professioni. Delle 21 costituenti, 5 entrano nella “Commissione dei 75”, incaricata di formulare la proposta di Costituzione. Esse furono: Maria Federici (Pci), Angela Gotelli (Dc), Nilde Iotti (Pci), Angelina Merlin (Psi) e Teresa Noce (Pci). Sopra: 25 giugno 1946, la prima riunione dell’Assemblea Costituente, a Palazzo Montecitorio. Fu presieduta da Giuseppe Saragat.
In basso: il ministro dell’Interno, Giuseppe Romita, legge i risultati del referendum istituzionale del 2 giugno 1946.
della libertà, dell’importanza di esprimere la propria opinione e la responsabilità delle proprie azioni». «I mei genitori erano molto liberali. In famiglia si parlava di tutto, così come nelle famiglie che frequentavamo all’epoca - racconta Nicoletta Capris -. Al tempo del primo voto alle donne vivevo a Genova e frequentavo l’ultimo anno di ragioneria. Ricordo il clima di incertezza del dopo voto e la tensione che aleggiava nell’aria, con il rischio di piombare in una guerra civile». La Repubblica vinse con 2 milioni di voti di scarto. Il risultato del Referendum venne annunciato il 10 giugno dalla
LA TORTUOSA STRADA PER I DIRITTI
«Il voto referendario venne vissuto come l’occasione per dimostrare che la donna aveva dei diritti all’interno della famiglia e della società, e che poteva essere anche eletta», ci dice Rita Palumbo, autrice di diversi scritti e libri dedicati alla questione femminile attraverso la voce delle sue protagoniste, tra i quali Camilla Ravera racconta la sua vita. «Il diritto al voto e ad essere elette non arrivò per caso. Parte dal Risorgimento, dalle donne che parteciparono ai movimenti mazziniani come Adelaide Cairoli, oppure Gualberta Alaide Beccari, giornalista e direttrice del periodico La donna(che fondò nel 1868 ndr). Tra le sue collaboratrici c’era Anna Maria Mozzoni, considerata la capostipite del femminismo italiano: nel 1879 fondò la Lega per la promozione degli interessi femminili. Oppure Anna Kuliscioff, medico italo-russo che nel 1911 fondò il Comitato socialista per il suffragio universale. Sono state tante le donne che hanno fatto la storia del nostro Paese, eppure molte sono state dimenticate. Il primo congresso delle donne italiane ci fu a Roma nel 1908, organizzato dal Consiglio Nazionale delle Donne Italiane. Eppure solo dopo il ’46 si sono fatti passi in avanti; prima di allora, qualsiasi minimo progresso veniva successivamente cancellato. Si andava avanti e indietro, come fosse una tela di Penelope». Nel 1882 le donne vennero escluse dalla riforma elettorale, nel 1912 il suffragio fu solo maschile. «Nel 1925 Mussolini concesse alle donne il voto amministrativo, ma conosciamo gli sviluppi di questo provvedimento». Nemmeno l’enorme contributo alla liberazione dal nazifascismo fu sufficiente. Le donne dovettero lottare ancora per veder riconosciuti i propri diritti politici. «Nel 1944 fu l’Udi, l’Unione donne in Italia, a fare la prima richiesta di eleggibilità delle donne». Il 31 gennaio del 1945, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi emanò un decreto che riconosceva alle donne il diritto di voto. Ma fu il decreto del 10 marzo 1946, Norme per l’elezione dei deputati all’Assemblea Costituente, ad includere le donne tra gli eleggibili. Corte di Cassazione, che rimandò al 18 giugno il giudizio definitivo sulle contestazioni, il numero complessivo dei votanti e quello dei voti nulli. Ada Grecchi aveva 10 anni all’epoca e racconta come andò il voto delle donne nella sua famiglia. «Mia mamma era agitatissima. Non sapeva bene cosa fare perché non aveva mai votato. Non seguiva la politica, lavorava come bidella in una scuola. Credeva certamente che il voto alle donne fosse una cosa giusta, ma era spaventata dalla novità, preoccupata dalle modalità di voto. Quando votò aveva 34 anni. Aveva passato gli anni della dittatura fascista e dell’occupazione tedesca e, purtroppo, era una donna “abituata ai doveri, non ai diritti”. Mio padre non faceva altro che dirle per chi dovesse votare. Per l’occasione si era vestita elegante, aveva persino messo il rossetto e la cipria. Ma quando chiuse la busta che conteneva la scheda di votazione, purtroppo lasciò una piccola traccia di rossetto, cosicché il presidente del seggio annullò il suo voto. Tornò a casa in lacrime. Mia mamma, non aveva potuto studiare, ma aveva sete di cultura, la stessa che trasmise a me. Mi diceva, “la cultura ti accompagnerà sempre”». Ada Grecchi è stata una delle prime donne manager italiane. Nel 1990 entrò a far parte della Commissione per le Pari Opportunità, presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, assumendone la vice presidenza. La presidente era Tina Alsemi, partigiana e prima donna a ricoprire la carica di ministro della Repubblica Italiana.
Monarchia e Repubblica nel Referendum che apre una nuova fase della storia d’Italia. Ma la strada verso la parità di genere in politica è tutt’altro che compiuta
__REPORTAGE__
LE CONQUISTE 75 ANNI DOPO IL PRIMO VOTO di Winda Casula
SSONO PASSATI 75 ANNI DA QUANDO IN ITALIA LE DONNE HANNO CONQUISTATO IL DIRITTO DI VOTO. IL 30 GENNAIO DEL 1945, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi, si decise di affrontare il tema in Consiglio dei Ministri, e il giorno seguente fu emanato il decreto con il quale si dava il via libera al suffragio femminile, per le cittadine dai 21 anni in poi. Per l’eleggibilità a una carica politica, le donne avrebbero invece atteso un altro anno, fino al decreto del 10 marzo 1946. L’appuntamento alle urne fu quello del 2 giugno del 1946, in occasione del Referendum istituzionale che portò gli italiani a scegliere fra monarchia e repubblica anche se, in alcuni comuni, le donne avevano già votato nello stesso anno alle amministrative e, per la prima volta nella storia del nostro Paese, erano state elette »
alla carica di sindaco Ada Natali a Massa Fermana, in provincia di Fermo, e Ninetta Bartoli a Borutta, in provincia di Sassari. Il voto fu un traguardo conquistato dopo un lungo percorso di lotta intrapreso dalle donne già alla fine dell’Ottocento, in seguito quasi cancellato dalla memoria storica con l’avvento del regime fascista. Eppure, quelle donne che avevano aperto un dibattito sulla parità di genere e che si autodefinivano femministe, ebbero un ruolo fondamentale in un percorso di conquista dei diritti, a partire dalla liberazione dall’autorità maritale, che all’epoca accordava solo agli uomini la tutela dei figli e la possibilità di gestire il patrimonio delle proprie mogli o della famiglia. Un percorso che non si è ancora concluso, 75 anni e tante battaglie vinte dopo. C’è un dato interessante che riguarda l’affluenza al voto e che, dal 1946 ad oggi, ha messo in luce una progressiva disaffezione degli italiani alle urne, e delle donne in particolare. Se fino al 1976 la partecipazione alle elezioni non è mai scesa al di sotto del 92%, a partire dal 1976 ha cominciato a calare: nel 1979 le donne che non vanno a votare sono il 9,9%, gli uomini l’8,8%. Nel 2001 l’astensionismo femminile raggiunge il 19,8%, quello maschile il 17,2%. Alle politiche del 2006 non vota il 17,2% delle donne e il 14% degli uomini, con differenze sempre più marcate in base all’età: fra gli over 75, le donne che non
DALLA PARTE EMMA BONINO: MOLTO È STATO
DELLE DONNE FATTO, MOLTO C’È DA FARE di Giada Valdannini «QUELLO DEL VOTO ALLE Il voto alle donne come punto di svolta. DONNE PENSO SIA STATO Le conquiste femminili lungo 75 anni di storia. UN MOMENTO FONDAMENTALE DELLA NOSTRA STORIA RECENTE. «Ma non indietreggiamo: viviamo in una fase culturale di populismo reazionario». In alcuni Paesi era già arriÈ cambiato moltissimo. ci dobbiamo sedere. Però, vato - in altri doveva arrivaNon è ancora tutto, la strase mi guardo indietro, re. Per noi è stato davvero da è lunga, però abbiamo quando ero ragazza io a un punto di svolta». A dirlo avuto il divorzio, ci siamo vent’anni, tra un po’ questo è Emma Bonino, senatrice battute e abbiamo vinto Paese non lo riconosco dal e storica esponente radicale. contro l’aborto clandestino, punto di vista femminile. «Le donne fecero pure parte abbiamo ottenuto la riforNel campo del lavoro, della Costituente che ha ma dello stato di famiglia, però, le donne contiscritto poi la nostra Costiabbiamo abolito il Codice nuano a vivere un netto tuzione anche se, per esemd’onore nell’82. Siamo riusvantaggio rispetto pio, tutto il loro ruolo nelscite a far esplodere il feagli uomini: sono meno l’antifascismo e nelle assonomeno della violenza dociazioni partigiane non è mestica, che era stato nemai stato completamente rigato per anni e attribuito a conosciuto: nell’immaginachiunque fuori dalle mura rio comune resta il partigiadi casa prima di accettare no col fucile solo sui monti, che, in realtà, la violenza quando invece le staffette domestica avviene proprio giocarono un ruolo imporall’interno della famiglia. tante che meriterebbe di esInoltre, è aumentato il nusere raccontato». mero delle rappresentanti Da allora, per le donne, in Parlamento. Poi, certo, che cosa è cambiato? il mondo cambia e noi non
occupate e meno retribuite. Ecco perché non possiamo mollare la presa: in momenti di distrazione, vecchi modelli tornano a galla. Però, un importante passo avanti è che non ci siano più carriere precluse alle donne e significativa, negli anni, è stata l’immissione in ruolo nella Magistratura; per non parlare della legislazione, anche sociale, di parità di salario - anche se più o meno applicata. Adesso il problema è se riusciamo andare avanti in una situazione in cui tutte queste conquiste possono essere messe in discussione, possono anche tornare indietro. Viviamo in una fase culturale di populismo reazionario. Le quote rosa, cui lei si è sempre dimostrata contraria, restano l’unica via? È una legge di cui, come sapete, io non sono entusiasta ma, da buona legalitaria, penso che fino a che una legge c’è vada applicata. Anch’essa è naturalmente una legge di questi ultimi cinquant’anni e, come vede, dal voto alle donne molto è stato fatto. E l’appartenenza all’Unione Europea, sul tema dei diritti al femminile, ci ha sempre aiutate perché i Paesi del Nord e le loro donne parlamentari hanno una cultura completamente diversa: molto meno familistica e conservatrice. Ma noi donne le donne le votiamo? Le sosteniamo? No. Non è automatico che una donna voti donna. Anzi, è il contrario. Il perché non lo so - non faccio la sociologa -. So che, per la legge elettorale, finché ci sono le quote rosa, c’è l’alternanza uomo/donna; poi, con le preferenze, siamo a volte punto e a capo. In questa condizione, l’unico modello che salverebbe le donne è la meritocrazia, salvo che in Italia non esiste, nemmeno per i maschi, se è per questo. Esiste la cooptazione di chi conosce chi. Noi nasciamo pari e cresciamo dispari: gli stereotipi che passano a scuola, quelli che passano alla televisione, influenzano bambine e bambini. Cresciamo dispari perché i posti di potere sono tutti occupati da uomini e il potere è un grande afrodisiaco: chi lo ha, se lo tiene ben stretto. Intanto, durante questa pandemia da Covid, che ruolo hanno giocato le donne? Mentre ci emozionavamo tutti per la fotografia dell’infermiera esausta crollata sulla scrivania - e sappiamo tutti il ruolo che le donne hanno avuto non solo negli ospedali, ma anche come ricercatrici, in famiglia - quando è arrivato il momento di formare degli organismi di responsabilità, nel comitato più autorevole le donne sono state quattro su diciassette. Ecco perché, con un gruppo di persone, è stato creato il movimento “Dateci vocÈ”: non ci siamo arrese quando abbiamo visto la composizione maschilista dei Comitati. Le donne hanno raccolto un sacco di firme per il riequilibrio di questi comitati e con colleghe senatrici - Valente, Fedeli e anche parte dell’opposizione - abbiamo depositato una mozione per chiedere l’immediato riequilibrio di questi organismi di consultazione. Perché è ora di finirla che le donne vengano esaltate nei convegni del sabato e della domenica e, poi, dal lunedì al venerdì le cose cambiano. Come se lo spiega? Nominato a capo un uomo, quello parte in automatico nominando un altro uomo. È istantaneo: si guarda intorno e chi vede? Vede uomini che ha sempre frequentato, sempre conosciuto e riproduce, come un Old Man Boy, la maniera cui è abituato, ossia il circolo che ha sempre vissuto. Ma mi lasci dire una cosa alle donne. Prego. L’autonomia economica è lo scalino necessario per un’autonomia di testa. Quindi, anche se vi si chiederanno sacrifici, non rinunciate alla vostra professione. Non rinunciate al lavoro. Comunque, sacrifici o non sacrifici, tenetevi stretta la vostra attività, il vostro stipendio, mantenete conti separati. Ci si vuole benissimo lo stesso anche con due conti in banca differenti, ve lo assicuro. Ma tenete presente che qualunque siano le difficoltà, l’autonomia e l’indipendenza economica sono il primo gradino dell’indipendenza di scelta.
Sopra: uno dei convegni del Festival “L'ereditaĞ delle Donne”, svoltosi nel 2019 a Firenze. A destra: Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, insieme a Maria Elisabetta Alberti Casellati, attuale presidente del Senato
SECONDO UN SONDAGGIO, OTTO DONNE SU DIECI DICHIARANO DI SENTIRSI PENALIZZATE E DISCRIMINATE PER IL LORO IMPEGNO POLITICO ALL’INTERNO DEI LORO STESSI PARTITI si recano alle urne sono circa il doppio degli uomini. Oggi, nel 2020, le donne in Italia occupano ancora solo un terzo delle cariche politiche nazionali, nonostante rappresentino oltre la metà della popolazione. I primi tentativi di aumentare la partecipazione politica al femminile sono stati implementati nel 1993, con l’introduzione delle quote di genere nelle elezioni locali e nazionali. Nel 2003 si arriva anche a una legge costituzionale che esplicita il dovere di promuovere, con appositi provvedimenti, le pari opportunità tra donne e uomini, riconoscendo ostacoli sociali e strutturali che impediscono un accesso alle cariche politiche indipendentemente dal genere. Se è vero che la rappresentanza femminile è aumentata, basti pensare che era del 13% nel 1994 e oggi è passata al 36%, è altrettanto evidente che l’assegnazione di una carica alla presidenza di Camera e Senato o alla guida di un Ministero
ALTE CARICHE Una strada tutta in salita L’assegnazione di una carica alla presidenza di Camera e Senato o alla guida di un Ministero sono per una donna ancora un’eccezione, in un panorama che resta appannaggio maschile.
IN POLITICA Le donne sono ancora un terzo Nel 1994 la rappresentanza politica femminile era del 13%. Oggi si è passati ad un 36%, ma le donne italiane occupano ancora un terzo delle cariche politiche nazionali, malgrado rappresentino più della metà della popolazione.
I ruoli chiave della politica e delle istituzioni sono quasi sempre occupati da uomini, e in Italia non c’è mai stata una donna alla guida del Consiglio dei Ministri
restano ancora un’eccezione, in un panorama che resta appannaggio maschile, senza sostanziali variazioni negli ultimi 25 anni. Senza contare che in Italia non abbiamo mai avuto una donna alla Presidenza del Consiglio, come invece è accaduto in Belgio, Danimarca, Finlandia e Germania. Nelle istituzioni locali la situazione è leggermente migliore, e l’inclusione delle donne è aumentata nettamente, passando dal 6,5% delle amministratrici nel 1989 al 33% di oggi. Secondo un recente sondaggio Emg, realizzato fra il 28 febbraio e il 4 marzo dell’anno in corso su un campione di mille persone, il rapporto con la politica per le donne si rivela molto difficile: otto su dieci sono le giovani che hanno dichiarato di sentirsi penalizzate per l’impegno politico, a causa degli atteggiamenti maschilisti e discriminatori che hanno ritrovato anche all’interno dei partiti. Non solo, dunque, il problema di coniugare impegni familiari e vita pubblica, ma una difficoltà ad essere parte di mondi ancora oggi, nel 2020, considerati da tanti appannaggio degli uomini. L’emergenza Covid ha confermato la tendenza alla mancata parità di genere: secondo i dati raccolti da Openpolis, nei ruoli della catena di comando sia locale sia nazionale le donne sono solo il 20%, e negli incarichi chiave di Protezione Civile e Ministero della Salute la presenza femminile scompare completamente. Insomma, la strada è ancora lunga, seppure leggermente in discesa.
la cittadinanza difficile:
MEMORIE di vita femminile
Il 15° volume de Le Perle della Memoria, “La cittadinanza difficile. Memorie di vita femminile”, è dedicato alle donne del secolo scorso che si sono fatte largo negli “spazi” riservati al mondo maschile. È importante, quindi, affiancare alla voce delle donne quella dei tanti uomini che, da una diversa prospettiva, hanno vissuto la stessa storia. La strada per la conquista dei diritti non è terminata e “ricordare” può favorire il raggiungimento della piena affermazione femminile, evitando pericolosi “ritorni al passato”.
BUONO PER L’ACQUISTO DEL VOLUME
D’ORDINE LE PERLE DELLA MEMORIA N. 15 - 133 PAGINE LA CITTADINANZA DIFFICILE. MEMORIE DI VITA FEMMINILE
DESIDERO RICEVERE IN CONTRASSEGNO PRESSO IL MIO DOMICILIO N. _____ COPIA/E DEL VOLUME AL COSTO DI EURO 18,00 A COPIA (*) + SPESE SPEDIZIONE (**)
(*) I soci 50&Più, le Università della Terza Età e gli iscritti che hanno partecipato alla ricerca possono acquistare il volume a 12,00 euro (con uno sconto del 30% rispetto al costo sopra indicato). (**) Per ordini fino a un massimo di 5 volumi, le spese di spedizione ammontano a: - 5,00 euro per i soci, i ricercatori e le Università che hanno collaborato alla ricerca; - 10,00 euro per tutti gli altri interessati.
Per ordini superiori ai 6 volumi, le spese di spedizione ammontano a: - 10,00 euro per i soci, i ricercatori e le Università che hanno collaborato alla ricerca; - 20,00 euro per tutti gli altri interessati. ■ Socio 50&Più - Tessera n° ................. ■ Università Terza Età / Iscritto ricercatore (BARRARE LA CASELLA INTERESSATA)
COMPILARE IN STAMPATELLO, RITAGLIARE E SPEDIRE A 50&PIÙ EDITORIALE - VIA DEL MELANGOLO, 26 - 00186 ROMA
Nome _____________________________________________________ Cognome _________________________________________________ Via _______________________________________________________ Città __________________________________Cap________________ Pr. ____ Cod. Fisc. ____________________________________________
Telefono __________________________________________________ Mail ______________________________________________________ Data ________________ Firma ________________________________