SENSO PLURIMO 5 / 2014

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| Luigi Massari | Luca Coclite | Gianluca Marinelli | Pamela Campagna | Fabio Mazzola

RASSEGNA DI ARTI VISIVE Lecce, Cantieri Teatrali Koreja - 2013/2014 a cura di Marinilde Giannandrea


Lecce, Cantieri Teatrali Koreja

dal 5 dicembre 2013 al 30 aprile 2014

A CURA DI Marinilde Giannandrea

UN PROGETTO DI

TESTI

PROGETTO BOX

Antonio Basile Marinilde Giannandrea Roberto Lacarbonara Lorenzo Madaro Marina Pizzarelli Valeria Raho Edoardo Trisciuzzi

Rune Ricciardelli UFFICIO STAMPA

Paola Pepe SEGRETERIA ORGANIZZATIVA

Gabriella Vinsper

PROGETTO GRAFICO

STAMPA

Alessandro Colazzo www.sacodesign.it

Locopress Industria Grafica Mesagne (Br)

CREDITI FOTOGRAFICI

FINITO DI STAMPARE DICEMBRE 2014

© Alessandro Colazzo © Pamela Campagna © Francesca Loprieno © Samuel Mele

CON IL CONTRIBUTO DI

ATTIVITÀ IN CONVENZIONE CON

REGIONE PUGLIA

SI RINGRANZIA

Agenzia Generale di Lecce/1609


SOMMARIO | Un traguardo

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| LE MOSTRE

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| Luigi Massari

pag. 8

| Luca Coclite

pag. 12

| Gianluca Marinelli

pag. 16

| Pamela Campagna

pag. 20

| Fabio Mazzola

pag. 24

| GLI EVENTI COLLATERALI

pag. 29

| Romano Sambati

pag. 30

| Fernando De Filippi

pag. 34

| Giulio De Mitri

pag. 38

| Futuro Prossimo - Accademia di Belle Arti di Lecce

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| Il Personaggio immaginario

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| BIOGRAFIE

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UN TRAGUARDO di Marinilde Giannandrea Per tutti gli artisti pugliesi, che si sono avvicendati nelle cinque edizioni di Senso Plurimo il box dei Cantieri Teatrali Koreja, è stata una piccola sfida che è andata oltre l’esporre e il disporre le proprie opere lungo pareti. Lo spazio è nato come luogo fisico ma nel corso di questi cinque anni si è trasformato in una questione di carattere concettuale che lo ha fatto risuonare di visioni diverse, di frange timbriche che non ritornano mai identiche a se stesse. Una natura mobile e corale che si è aperta anche a una serie di eventi collaterali allargando le pareti della scatola espositiva. I dialoghi con gli artisti, le voci dei critici, il laboratorio didattico, il focus sull’Accademia di Belle Arti di Lecce tracciano una mappatura vitale dell’arte nella nostra regione segnalando alcune linee di tendenza che ne modificano le tradizionali prospettive. Tra queste c’è la formazione di una nuova generazione di artisti e operatori culturali capaci di lavorare oltre i limiti di una condizione di marginalità, oltre il proprio “deserto rosso”, modificandone visioni eprospettive. Lo fanno senza gli steccati ideologici delle generazioni precedenti, con un nomadismo intellettuale ed esistenziale, che spesso è il cuore del loro lavoro e li porta a ricercare dentro una condizione di chi non è costretto a rimanere inchiodato a una storia e a un luogo. La rassegna Cinque artisti che in maniera differente esprimono una densa natura impegnata sul piano dei contenuti e delle azioni, cinque giovani protagonisti alle prese con passato, geografie, condizioni sociali ed esistenziali. Si comincia dal rapporto con il tempo di Luigi Massari, che nella sua natura polivalente di pittore, sperimentatore musicale e operatore culturale fonde momenti e spazi distanti tra di loro, dando la sensazione che il presente si collochi nello scarto di un passato che è finito e di un futuro che tarda. Si prosegue con le geografie di Luca Coclite, dal suo osservatorio di confine collocato lungo i bordi frastagliati delle coste, con un lavoro video e fotografico influenzato dalla velocità delle immagini che circolano in rete. Le costringe a rallentare restituendole alla dimensione del pensiero e crea luoghi-non luoghi nei quali ogni spazio sembra perdere e riacquistare la propria identità. La storia di Gianluca Marinelli è una storia dimenticata, con le “vite degli altri” travalicate dal presente. In questo suo lavoro da archeologo della memoria esplora luoghi e vicende senza pretendere di conoscerli a fondo ma con ma l’umiltà di farne parte con il proprio contributo. Il lavoro di Pamela Campagna è costruito lungo

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la linea di narrazione che ha il coraggio di distruggere per ricostruire; attinge alla dimensione femminile della quotidianità, alla pratica del fare e della cura, alla capacità di stare dentro quel nesso corpo-parola che ancora oggi offre alle donne la possibilità di autodeterminarsi a partire dal proprio desiderio. Fabio Mazzola si è assunto il difficile compito di raccontare le difficoltà di un presente fatto di marginalità sociale ed esistenziale attraverso una vicenda familiare, che solleva il velo sulle derive di un’economia consumistica, nella quale incombe l’accelerazione programmata dei prodotti e si riflettono le ossessioni individuali in un’affettuosa ammucchiata nella quale i desideri morti si confondono con le sostanze straniate. Gli eventi collaterali Si sono mossi lungo la diagonale del tempo e delle generazioni attraverso i dialoghi e gli approfondimenti con tre protagonisti dell’arte pugliese: Fernando De Filippi, Giulio De Mitri, Romano Sambati (con l’affettuoso omaggio di Carlo Schirinzi e Stefano Urkuma De Santis) che hanno offerto da diverse prospettive la possibilità di tracciare alcune vicende artistiche e linee di ricerca degli ultimi cinquant’anni approfondendo una storia che ha travalicato in alcuni casi anche i confini regionali. Il focus su cinque studenti dell’Accademia di Belle Arti di Lecce – Domenico Bruno, Enrica Ciurli, Mariangela Marra, Graziana Marinuzzi, Francesco Romanelli – ha offerto una visione dei percorsi e delle potenzialità artistiche del territorio mentre il laboratorio didattico di Francesca Loprieno ha portato alla luce la fantasia dei bambini, facendo emergere la loro natura creativa nell’interazione tra fotografia, scrittura e teatro.

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5 dicembre 2013 - 5 gennaio 2014

LUIGI MASSARI Border Ballads Un’installazione e una performance musicale, realizzata in collaborazione con Patrizia Emma Scialpi, hanno trasformato lo spazio espositivo in un crocevia nomade di immagini e sonorità.

11 gennaio - 4 febbraio 2014

LUCA COCLITE Final Tourist Info For Provisional Mountains Il box è diventato uno spazio destinato a un turismo virtuale con un video e una serie di immagini fotografiche che hanno prodotto un paesaggio metafisico ed evanescente.

6 febbraio - 5 marzo 2014

GIANLUCA MARINELLI J’ai vu I luoghi attraversati dagli eventi drammatici della seconda guerra mondiale vissuti nella quotidianità del presente, una struttura poetica in un video che aiuta a non dimenticare.

7 - 31 marzo 2014

PAMELA CAMPAGNA Execution#01 Con un profondo lavoro di autoanalisi ha trasformato lo spazio in un tiro a segno coinvolgendo il pubblico nella distruzione di un autoritratto riempito di inchiostro.

3 - 30 aprile 2014

FABIO MAZZOLA Piano Pi_no Il video e l’installazione di oggetti hanno testimoniato attraverso una dolorosa e poetica vicenda familiare le ossessioni e le contraddizioni sociali del presente.

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LE MOSTRE



LUIGI MASSARI Avvolsero il mondo intero in una rete di canto; e infine quando ebbero cantato la Terra si sentirono stanchi. B. Chatwin, Le vie dei canti

Il lavoro di Luigi Massari invita a compiere un viaggio con la convinzione che l’arte contenga ancora una promessa di trasformazione. Lo fa con la sensibilità di uomo di confine e con l’attenzione alle zone geografiche di resistenza. Non a caso sceglie lembi di terre estreme, intese come sacche di permanenza d’identità culturale, di vita sociale comunitaria e solidale. L’esistenza da nomade, lo spinge a connettere idealmente le ballate, composte nel XV secolo lungo il confine che divide l’Inghilterra dalla Scozia (The Border Ballads) con la musica popolare del Sud Italia in un progetto musicale e performativo che si costruisce parallelamente ad un archivio visivo, fatto di frammenti di viaggi, percorsi, storie. Crea una geografia interconnessa, riempita dalle intermittenze della memoria e da fugaci apparizioni che sembrano indicare un suono, un punto, un momento nel tempo e nello spazio. Un accumulo d’informazioni e narrazioni nelle quali la sfera estetica si spinge verso un “continuo sedimentato” e trasforma la memoria del lontano nell’apparizione di una vicinanza. Il box di Senso Plurimo diventa un pezzo di questo archivio, fatto di sistemi di aggregazione sonora e visiva che tendono a un processo di azzeramento delle sovrastrutture tecnologiche e si concentrano sugli aspetti primitivi, rituali e magici della musica. Massari è il cantastorie/sciamano, interprete di un’umanità in transito, spesso dolente. Difende le proprie radici, ma le fa radicare anche altrove, vive e costruisce uno spazio individuale che è anche collettivo, lo guarda con lo sguardo da pittore e lo fa diventare l’ambiente transeunte di un paesaggio, l’immagine di una silenziosa moltitudine alla deriva, legata emblematicamente alle vicende del distacco e della disambientazione. Attraversa orizzonti già attraversati e nelle “piccole patrie”, nelle quali momentaneamente si ferma, appare incantato da un’esperienza antica e universale. I bordi e le creste di confine diventano le tappe di un percorso costruttivo e aggregante fatto di azioni individuali e collettive, nella speranza sottesa che l’azione artistica possa continuare a rispondere alla sua naturale promessa di trasformazione. M. G.

Endura, 2013, olio su tela, cm 50 x 40 |9


LUIGI MASSARI

BORDER BALLADS Il metodo del confine

Il territorio fantasma mi piace molto da questo punto di vista perché il decentramento esiste solo dal momento in cui tu riconosci un centro. Io non lo riconosco un centro, non lo riconosco in generale Mi piace pensare al centro come ad una cosa che si sposta. Nico Vascellari

Il box che da un lustro accoglie gli interventi degli artisti di Senso Plurimo è panorama prima di tutto: segna colpi d’occhio, perimetri, divergenti varietà. Crea scambi, confronti, shock termici tra resa formale e teoria. Voci distinte ne scandiscono tempi e occasioni. Nella maggior parte dei casi si nutre di misure spaziali complesse e unità di calcolo, in cui il tempo si è fatto pratica, misura, linguaggio. Una statura che si ritrova anche in Border Ballads di Luigi Massari, somma di esperienze attinte a piene mani alle dimensioni biografica e performativa in grado di creare una sorta di “realtà aumentata” che, scarnificata dalle derive tecnologiche, diventa luogo di accumulazione del vissuto, oggetti trovati e transiti nella relazione soggetto-ambiente. Per questo Massari veste le pareti della scatola progettata da Rune Ricciardelli per il foyer dei Cantieri Koreja di fotografie, scritture, disegni preparatori e strumenti musicali. Ne fa casa, rifugio temporaneo, accampamento intimo per un alfabeto universale che, alla forza centrifuga dell’omologazione, risponde con la ricerca di un humus comune al Nord Europa e al bacino mediterraneo, tracciando in forma di immagini e parole una cartografia fisica e mentale di quello che Nico Vascellari definirebbe tranquillamente un “territorio fantasma”, in cui non esiste periferia, poiché impossibile definirne il centro. Come nel mito, in Border Ballads la frattura tra reale e immaginario è minima: concept installativo e performance si calibrano nel tempo e nello spazio, segnano il passo tra dentro e fuori, rifuggono dalla musica come evasione o sottofondo per approdare alla dimensione più pura del suono, nella sua accezione primordiale di rito. Il limite è labile, crocevia prima d’ogni cosa. È spazio sacro. Zona di fragilità, faticosa ricomposizione. Invasione e ritirata, mappa d’ordine e disordine. È già storia, è ovunque. Valeria Raho

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in alto: particolari dell’ installazione Ask the Mountains, 2013, olio su tela, cm 80 x 100

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LUCA COCLITE Luca Coclite è nato a Gagliano del Capo e la linea di un orizzonte marino è tra le prime cose che probabilmente i suoi occhi hanno visto. Raramente affiora nel suo lavoro ma se ne ricava un’eco dentro la costruzione di una metafisica del paesaggio pensato come una distesa che sconfina oltre i propri limiti. Un paesaggio immateriale, prodotto con le immagini di luoghi che circolano in rete, che per loro stessa natura tendono a escludere ogni esperienza fisica e dove lo sguardo non può trovare punti d’appoggio o riferimenti stabili. Un borderless territory, un “territorio senza confini”, al tempo stesso reale e simbolico, che in questo caso scorre lungo la linea di un orizzonte balcanico e si smaterializza in un segno intermedio (un grelot fluttuante di memoria magrittiana), generando una relazione tra l’immagine fissa delle panoramiche e il fluire delle sfere in movimento. Sceglie i Balcani e non è casuale. L’ex Jugoslavia è un luogo simbolico sul piano geopolitico, portatore di identità diverse e conflittuali, che nel tempo sono state forzatamente unite e che la storia recente ha polverizzato. Dentro la parcellizzazione fisica si innesta la parcellizzazione visiva, una realtà ricreata in forma astratta con un’induzione all’accelerazione del pensiero, alla superficialità della visione, alla frammentazione e sospensione di attimi, perché frequentemente Coclite affianca l’interesse per le geografie all’attenzione per la dimensione temporale. In questa interazione ricorrente lo spazio si modifica e si sviluppa parallelamente un racconto in cui il tempo non è più flusso continuo ma una scomposizione e ricomposizione di piani dentro traiettorie prive una prefissata teleologia. Lo sfasamento immerge gli spettatori in un universo fluido, che perde i propri riferimenti geografici e culturali e diventa un complesso mentale costituito da immagini volutamente imperfette. Seguendo le direttrici di questo atlante, ci conduce sul bordo di un “belvedere contemporaneo” dove il visibile si dissocia dal visto e ci si trova immersi in un generico presente. Siamo condotti a ripensare al nostro neo-nomadismo virtuale, costantemente in bilico tra la speranza democratica del possesso di un mondo globalmente condiviso e la tacita consapevolezza che la sua vera sostanza è di natura intangibile, immateriale e atemporale come quella delle illusioni e dei sogni. M. G.

Final Tourist Info For Provisional Mountains, 2014, HDvideo transferito su DVD, animazione, colore, sonoro, 7’ 48” (still from video) | 13


LUCA COCLITE

FINAL TOURIST INFO FOR PROVISIONAL MOUNTAINS NON TOCCARE TERRA Di spazi e nuove specie nei no land “Lo spazio è un dubbio”scriveva George Perec, relativizzando l’esaustività di cose, nomi e città che poco e niente dicono della fitta trama di paesaggi stipati nelle carte degli atlanti. Final tourist info for provisional mountains ci pone di fronte al medesimo sospetto, ma questa volta a esser messo in discussione non è il talento della parola, bensì l’attendibilità della visione, cardine nell’installazione che porta la firma di Luca Coclite, videoartista cresciuto artisticamente in quel di Bologna e autore di questo secondo intervento messo in opera per la nuova stagione di Senso Plurimo. Fedele alle ricerche precedenti, in Final tourist info for provisional mountains paesaggio e perdita dell’informazione digitale diventano per Coclite occasione per riflettere sul peso e il valore dell’immagine, sul confine tra materiale e immateriale, in luoghi in cui la natura si fa sempre più artificio, velocità, transito. Eppure si assiste ad un’evoluzione in atto nell’indagine dell’artista che non si limita a misurarsi col medium tecnologico, ma trasforma il box in un’architettura “parlante”, una vedetta informatizzata in cui si affastellano falsi vessilli, flyer da cui trapelano unità di misura fuorvianti, sequenze di frammenti pittorici che, colti nel loro insieme, diventano ipertesto di visioni possibili, tanto più forti quanto effimere sono le suggestioni visive che producono. È dunque la distorsione, il miraggio, l’errore a farla da padrone in questo concept che manda in frantumi la certezza dell’immagine nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Non c’è verità se non c’è esperienza dello spazio, profondità, campo d’azione. A memento il tappeto di immagini che si susseguono nel loop del video in mostra: visioni da cartolina, di montagne e bionde distese di grano scannerizzate da un vecchio almanacco sui Balcani, non rendono giustizia al tempo, alla storia, agli ambienti intesi come inizio o fine di qualcosa. A questo appiattimento dell’immaginario, Coclite risponde operando azioni di segno opposto e contrario. Preleva brandelli di territorio che racchiude e scompone in filtri analogici. Dà luogo e corpo a nuovi paesaggi mixando alto tasso di oggettività e illusione. Crea “miraggi superiori”, terre di nessuno. Nuove specie di spazi dove non si tocca terra, se non con gli occhi. Valeria Raho

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Party paesaggio con errore, 2013, stampa digitale su forex, 36x19 cm Provisional Mountains guide, 2014, porta riviste e quattro stampe digitali su carta, dimensioni variabili Final Tourist Info For Provisional Mountains, 2014, still from video | 15



GIANLUCA MARINELLI Resta un senso generale di attesa, di sospensione, la promessa di qualcosa che sta per accadere Gianluca Marinelli

La storia costruita sullo scorrere del tempo e dei ricordi è una delle tendenze dei giovani artisti italiani. Spesso si tratta di una storia non vissuta ma che implica una presa di posizione e restituisce all’arte un ruolo politico. Ed è tanto più interessante perché coincide con eventi spesso dimenticati, letti attraverso il filtro di un’esperienza individuale che dichiara anche il bisogno di conoscere le proprie radici o di trovare chiavi di lettura del presente. Dal suo osservatorio ibrido di storico dell’arte e artista visivo Gianluca Marinelli pone la questione della memoria e della storia sulla duplice direttrice della ricerca scientifica e della sua trasposizione simbolica. Lo ha fatto con il libro e con i lavori dedicati alla Taranto del boom dell’acciaio e della sua disastrosa parabola o con la narrazione degli eventi minori di un quartiere leccese. Lo fa oggi con J’ai vu, il video che parte da un’esplorazione fisica nei luoghi dove ha vissuto o che ha attraversato e si sviluppa sul doppio binario di una melanconica riflessione (tutta occidentale) sul destino dell’uomo e di una visione riparatrice e fantastica di natura invece orientale. Il titolo richiama quello di una rivista pubblicata in Francia durante la Prima Guerra Mondiale, ma il lavoro si connota attraverso un percorso fisico che si concentra nel presente. Tra le tappe di questo viaggio esistenziale c’è il Monumento ai Caduti di Terragni sul lago di Como insieme ai luoghi della strage di Gorla, il quartiere milanese dove nell’ottobre del ’44 gli aerei Alleati, partiti dalla Puglia, bombardarono una scuola elementare compiendo una strage di bambini. Come spesso accade ai lavori di Marinelli, il video procede per frammenti e corrispondenze, con confini evanescenti tra cose, luoghi, cronologie e memorie ma non rinuncia a una volontà narrativa che spesso allarga la dimensione strettamente personale a un coinvolgimento più vasto. Questo nuovo sistema d’indagine e di lettura consente l’assunzione di prospettive divergenti, disegna un nuovo modo di indagare il passato e permette di intraprendere una strada nella quale il dato storico convive poeticamente con le sue molteplici contraddizioni. M. G.

J’ai vu, 2014, full hd, 9’34’’, frames da video | 17


GIANLUCA MARINELLI

J’AI VU ATTORNO A UN’ESPLORAZIONE MALINCONICA Intervista di Lorenzo Madaro a Gianluca Marinelli Nei tuoi interventi gli interessi propri del tuo essere storico dell’arte e gli approcci del “ruolo” d’artista s’incontrano senza soluzione di continuità. Gillo Dorfles in un’intervista mi ha detto che per essere un buon teorico bisognerebbe prima passare per la pratica artistica attiva. Cosa ne pensi e come vivi questa apparente dualità? «La storia dell’arte, al di là della percezione comune, è stata sempre piena di figure ibride. Probabilmente le nevrosi di certo “sistema dell’arte”, che per alimentarsi ha avuto bisogno di definire ruoli, ambiti professionali riconoscibili dal mercato e dalle istituzioni, hanno portato a farci dimenticare come l’artista sia prima di tutto un intellettuale che si interroga su se stesso e sul proprio tempo; che coltiva interessi paralleli sviluppandoli come ritiene più opportuno. Questo per dire che non sento alcuna dualità». Cosa hanno significato Taranto e la cronaca degli ultimi anni nel tuo lavoro? «Taranto è uno degli emblemi più forti della crisi della società contemporanea e del sistema capitalistico. Oltre alla questione ecologica ed occupazionale, solleva riflessioni relative all’assurdo, alla precarietà esistenziale, al rapporto con la memoria storica, all’autodeterminazione dell’individuo, alla necessità di dare una risposta forte alle contraddizioni del nostro tempo e di non smettere di pensare che un’alternativa è possibile. Di tutto questo si è alimentato il mio lavoro». . Con J’ai vu – che tu definisci “un’esplorazione malinconica” – prosegui una tua personale mappatura sui luoghi, nei luoghi. Racconta brevemente in cosa consiste questo nuovo lavoro-video. «È qualcosa di simile ad un disegno stocastico o una pagina di diario fatta di citazioni, casualità, appunti cifrati. In questi appunti ci sono dei luoghi e l’incontro con alcune storie. Una traccia strappata all’oblio per fare il punto su alcune cose».

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PAMELA CAMPAGNA Per me il disegno è una specie di diario. Non potrei farne a meno perché i disegni sono un mezzo per esorcizzare o analizzare le paure di ogni giorno. Louise Bourgeois

Pamela Campagna conosce bene il potere delle immagini e forse proprio per questo si sforza di rompere la loro chiarezza o almeno di innestare nello spettatore un ragionevole dubbio. Lo fa attraverso la meticolosa tessitura di fili nella serie delle “reti”, oscillanti tra realtà e apparenza, ordine e disordine con un lavoro simile alla costruzione di un edificio, dove corporalità e tempo sono inscritti con chiarezza nella struttura dell’opera e nel processo di produzione. Sono grandi ritratti in cui i segni/segmenti vengono tesi con pratica amorevole, che attinge da un universo personale, femminile, con un disegno/membrana, nel quale il visibile e l’invisibile aspirano a ricongiungersi. Però questa dinamica costruttiva subisce in Execution#1 un cruento cortocircuito e l’origine formalista dei suoi lavori qui convive con il suo uso politicamente scorretto. Come per una naturale legge del contrappasso, la coscienziosa opera di composizione riesce a vivere solo attraverso la propria lucida dissoluzione. L’artista ha riempito le bolle di plastica con l’inchiostro nero, rispondendo rigorosamente al proprio ruolo, ma affida la realizzazione dell’autoritratto a un plotone di esecuzione e innesta un “dripping all’incontrario” che distrugge ciò che è stato creato con la complicità di un pubblico che fa da attore o da testimone. Il potere delle immagini diventa reale solo nel momento della loro rapida dipartita e quello che rimane è inchiostro che cola, carta che assorbe, segni di un tempo dove la bellezza deve convivere con la crudeltà. Eppure, nonostante questa sostanziale volontà di registrare l’effimero, l’azione di Pamela Campagna corrisponde a una chiara eleganza formale. E anche in questa volontaria catastrofe di un volto l’orchestrazione performativa, il rigore del bianco e nero, la costruzione di un set teatrale diventano puro linguaggio visivo e rigorosa esperienza estetica. M. G.

Execution#1, 2014, azione/installazione | 21


PAMELA CAMPAGNA

EXECUTION#01 In relazione al luogo, lo spazio sarebbe ciò che la parola diviene quando è parlata, vale a dire quando è afferrata dall’ambiguità di una realizzazione Michel de Certeau

L‘ambiguità di una realizzazione comporta anzitutto una congerie di risultati nebulosi, di esiti che dipendono dal caso e dalla alternanza di interventi, approcci, confronti e presenze. E il disguido, l’esito sorprendente, anche, sono fattori che emergeranno sicuramente anche da questo nuovo progetto di Pamela Campagna. Il lavoro performativo – con esiti installativi – che Pamela ha congegnato per il box di Senso Plurimo ripropone quella progettualità attraverso cui si sviluppa normalmente il suo lavoro creativo, ancora una volta confermando le relazioni profonde e meditate rispetto al luogo in cui agire, ma anche le coniugazioni ironiche, irriverenti, partecipative e attente al confronto tra pubblico e oggetto artistico, tra materiali e messaggio. Con Execution#1, l’artista inscena un autoritratto, subito riconoscibile nella texture di brandelli di materiali polimerici, ma che presto vivrà con un nuovo profilo, con nuove conformazioni dovute a un gesto dissacratorio, violento nella sua essenza performativa e performante. Il ritratto è oggetto di un’azione che distrugge la sua essenza per crearne una nuova, risolta con altre inquietudini, poiché il pubblico può sparare – mirando al pannello di materiali polimerici che al suo interno è costituito da cuscinetti pieni di inchiostri – e sperare di ricostituire nuove identità vitali rispetto a quell’immagine iconica. Così il confronto con l’opera d’arte diventa confronto diretto con l’artista stessa, con il suo volto, la sua identità di donna e creativa. Nel box rimarranno le reliquie dell’azione, ancora una volta documentate in un video che testimonia l’intero processo partecipativo tra il pubblico, l’artista e la sua rappresentazione. Lorenzo Madaro

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FABIO MAZZOLA La discrezione non fa per noi Antonin Artaud

Gli attraversamenti della storia di Fabio Mazzola sono tappe di un percorso non sempre accattivante. Le macchine visive fatte di video, installazioni, performance, hanno un sapore “politicamente scorretto”, determinato da quella mise en abyme, che pure in assenza di uno schermo riflettente, consente all’autore di affondare il coltello con ironica e surreale perfidia, nella carne dei propri ricordi. Non disdegna i linguaggi bassi, popolari, trasgressivi, spesso legati al microcosmo di ricordi personali e domestici e procede soprattutto per accumulazioni e stratificazioni d’immagini legati a un pantheon visivo e cinematografico di riferimento. Si espone al pubblico senza pudori, perché – sosteneva Freud – il primo ego è quello corporale e preferibilmente si posiziona dentro mondi vicini e noti che diventano, loro malgrado, dimore di enigmi, a volte realisticamente crudi e nello stesso tempo teatrali e plastici. La costruzione visiva è riempita da densi chiaroscuri, ombre e luci, con un punto di osservazione autoreferenziale. Il nuovo lavoro pensato per Senso Plurimo, è un ritratto familiare dedicato all’esistenza paradossale di un eroe comune, lo zio Pino, filmato mentre compie le sue piccole imprese quotidiane, indagato senza filtri e con un’affettuosa ironia. Circondato dagli oggetti di un museo che si costruisce al ritmo banale dell’esistenza, è scrutato con uno sguardo che non concede nulla alla celebrazione e va alla ricerca della sua personale verità. Mazzola è portatore di un realismo visionario e costruisce in Piano Pi_no un’allegoria del reale incarnata in un corpo di carne ossa, che si trasforma in un sofisticato meccanismo simbolico. E come nelle sue precedenti operazioni il livello intimo è solo il primo step di una prospettiva più ampia, mai neutrale, che si dirama nelle riflessioni sui rituali sociali, sulla dimensione politica e collettiva, esplora e rende tangibili i meccanismi e le forme di repressive del potere, osservando contemporaneamente vittime e carnefici. Consente all’arte di conservare la sua necessaria coscienza critica, spiacevole, vicina al collasso e diventa quel Teatro della Crudeltà, che Artaud voleva vicino alla vita. M. G.

Piano Pi_no, 2014, SD, B/N, stereo, 14’20’’, particolari dell’installazione | 25


FABIO MAZZOLA

PIANO PI_NO Nei primi anni Settanta, agli inizi della sua lunga ricerca artistica, Christian Boltanski recuperava oggetti e indumenti appartenenti a individui diversi, spesso senza alcuna attinenza tra loro – addirittura l’intero arredamento domestico di una donna newyorkese – e li esponeva con l’accezione tutelare di Inventari. A interessare l’artista francese non era tanto il valore tautologico degli objets trouvés, quanto la loro natura frammentaria e quasi reliquiale; da allora egli ha fondato la sua poetica sulla memoria, convinto che ogni persona meritasse di esser ricordata in quanto unica e perché avesse «una storia sfuggente da raccontare».1 Con Piano Pi_no, Fabio Mazzola si colloca in questo solco e trasforma il box progettato da Rune Ricciardelli nel proscenio in cui muovere le fila di alcuni dei suoi ricordi più intimi, a partire dalle gesta “eroiche” di un suo zio materno. Tuttavia, rispetto a Boltanski, Mazzola non si accontenta di evocare il suo soggetto attraverso vecchi utensili o fotografie estratte dagli album di famiglia, ma lo chiama direttamente in causa, documentandone umori e attività quotidiane e, nel corso dell’inaugurazione, presentandolo in una performance. Mazzola ricorre nuovamente al tema autobiografico per progredire nell’indagine sugli atteggiamenti rituali e semiautomatici che, come nel Merzbau assemblato dallo zio nella sua bottega, si stratificano nella coscienza; lo stesso titolo del lavoro riconduce a un ossessivo richiamo che la madre rivolgeva al protagonista per invitarlo a mangiare più lentamente. A differenza dei lavori precedenti, però, l’artista barese è ora quasi del tutto assente e, annullando ogni suggestione figurata, esibisce il suo percorso a ritroso in modo obiettivo e documentaristico. Curiosamente, nel suo processo di demistificazione del rito, Mazzola incrocia gli effimeri e altisonanti cerimoniali di regime le cui registrazioni, divorate nottetempo dallo zio, ne accompagnano i passi all’interno di un noto edificio dismesso barese. Le pareti dei Cantieri, su cui vengono impresse le tracce antropometriche del proprio passato, diventano così per Mazzola il (non) luogo privilegiato dove consumare l’andamento turbato e contraddittorio dell’esistenza. Edoardo Trisciuzzi

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C. Boltanski in C. Campanini, Christian Boltanski sfida un giocatore d’azzardo, in “Arte”, 442.2010, p.120


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26 febbraio 2014

ROMANO SAMBATI dialogo con Carlo Michele Schirinzi Un’intensa e solitaria carriera artistica e l’omaggio di Eclisse senza cielo, la video performance di Carlo Michele Schirinzi e Stefano Urkuma De Santis dedicata a Sambati.

19 marzo 2014

FERNANDO DE FILIPPI dialogo con Marina Pizzarelli La proiezione di Sostituzione, il video del 1974, ha dato l’avvio alla narrazione di uno dei protagonisti dell’arte e della cultura italiana degli ultimi cinquant’anni.

16 aprile 2014

GIULIO DE MITRI dialogo con Roberto Lacarbonara Le suggestioni azzurre e mediterranee si fondono con le nuove tecnologie in un percorso poetico e artistico che non dimentica l’impegno didattico e sociale.

29 novembre - 4 dicembre 2013

FUTURO PROSSIMO Focus sull’Accademia di Belle Arti di Lecce Cinque giovani artisti – Domenico Bruno, Enrica Ciurli, Mariangela Marra, Graziana Marinuzzi, Francesco Romanelli – si sono confrontati nello spazio del box.

20 - 23 marzo 2014

IL PERSONAGGIO IMMAGINARIO Laboratorio didattico a cura di Francesca Loprieno Un laboratorio di foto, video e teatro per dare vita e mettere in scena la fantasia dei bambini oltre gli stereotipi visivi.

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GLI EVENTI COLLATERALI



ROMANO SAMBATI

La totalità del tempo è racchiusa nel nostro sguardo. L’infinito ci apre gli occhi, l’attimo ce li chiude. Eternità è nient’altro che oblio Edmond Jabès

Al di là dell’ intensa ricchezza di significati, nelle opere di Romano Sambati si ritrova sempre un’impressionante coerenza stilistica. Una tensione formale, che nel solitario lavoro di ricerca ha prodotto un singolare effetto di sublimazione e ha trasformato la materia più povera e “indigente” in un’aspirazione all’infinito, sfiorato nelle profondità del cielo, nel vuoto della notte e dentro la natura umana. Perché l’arte di Sambati si materializza da sempre in una dialettica degli opposti e si colloca lungo quella sottile “linea d’ombra” che separa visibile e invisibile, cielo e terra, ordine e caos, umano e naturale, individualità e storia. Una posizione etica e politica, che nel continuo oscillare tra due polarità va all’essenza delle cose, passando attraverso la loro negazione. Lo fa nelle opere politiche degli anni Ottanta quando evoca, in opposizione alla grande storia, le storie minori delle Morti povere, e nelle riflessioni sulla natura delle Geografie, libere da ogni stereotipo e ricondotte a una loro sostanziale e universale essenza rintracciabile anche nella profondità cupa del buio, nell’essenza caotica del nulla illuminato solamente dal bagliore delle Lune. Sensibile precursore di una filosofia del paesaggio, che anticipa anche alcune ricerche e riflessioni più recenti, Sambati procede per sottrazioni e materializza il lento scorrere del tempo in una pratica in cui la qualità di un’azione artistica senza errori o ripensamenti si connette alla qualità del pensiero e al pantheon poetico e letterario di riferimento. E la figura umana, solo apparentemente scomparsa, riappare costantemente. Sospesa nel nulla come Angelo senza Dio, congelata nel sarcofago della materia, modellata nelle sculture con le quali ritorna a narrarsi attraverso il dolore universale del mito. M. G.

Angelo senza Dio, 2008, tecnica mista | 31


CARLO MICHELE SCHIRINZI / STEFANO URKUMA DE SANTIS | 32

ECLISSE SENZA CIELO Io sono una forza del Passato. Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle Chiese, dalle pale d’altare, dai borghi dimenticati sugli Appennini o le Prealpi, dove sono vissuti i fratelli. Giro per la Tuscolana come un pazzo, per l’Appia come un cane senza padrone. O guardo i crepuscoli, le mattine su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,

come i primi atti della Dopostoria, cui io sussisto, per privilegio d’anagrafe, dall’orlo estremo di qualche età sepolta. Mostruoso è chi è nato dalle viscere di una donna morta. E io, feto adulto, mi aggiro più moderno d’ogni moderno a cercare i fratelli che non sono più. Pier Paolo Pasolini

La scena dello stupro e dell’uccisione di Karin strappata dal film La Fontana della Vergine (Svezia, 1959) di Ingmar di Bergman mutilata del suo audio e sottoposta ad una dolce tortura inflitta dal vivo a immagine e suono. Come gli Angeli di Romano Sambati, sindoni senza testa sospese in cadute verticali tra nere profondità, la sequenza pietrifica per la purezza della sua tragicità e la poesia del suo dolore: è un dolore diretto allo stomaco, un dolore che giunge dall’antichità, classico e inviolabile perciò vietato agli occhi opacizzati dalla cataratta della mediocrità. Serrare le palpebre e ascoltare quest’eco remoto, questo sospiro lontanissimo che nulla ha da spartire con la rappresentazione. L’opera di Sambati si scaglia testardamente ed orgogliosamente fuori dalla contemporaneità, deborda dalle arti visive ed intacca lo spirito ammorbandolo, è un’icona senza tempo, cristallina, priva di simbologie, il moderno con i suoi strumenti non basta a decifrarla. …nessuna opinione, nessun giudizio, solo silenzio, muto di lingua, sprofondato in tempi antichi, mitici, crudeli…ma di una crudeltà fiera. Carlo Michele Schirinzi

in alto: Eclisse senza cielo, 2014, audiovideoperformance (particolare) a destra: Nike, 2009, terracotta


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FERNANDO DE FILIPPI La politica, per noi, è davanti Tommaso Trini

La fine degli anni Sessanta e il decennio successivo sono una pietra miliare della storia contemporanea con fenomeni politici, sociali e culturali che hanno fatto da spartiacque tra passato e presente. Le concentrazioni urbane, i sistemi produttivi e mass mediali cambiano il vivere le relazioni sociali, mentre nuove geografie politiche configurano la divisione del mondo. Fernando de Filippi è sicuramente un testimone del proprio tempo e nella produzione di quegli anni, così come in quella successiva, si avverte una consapevolezza – a volte disincantata – dei passaggi della storia. Un tratto militante, che caratterizza le sue scelte politiche e sociali, tradotto in una citazione ironica di quel Realismo sociale che oltrecortina costituiva il linguaggio dominante della rivoluzione sovietica. In questo periodo si consolida il mito di Lenin, così intensamente assimilato da portarlo a dipingere una lunga serie di ritratti/autoritratti e a sottoporsi a lunghe sedute di trucco (testimoniate nel 1974 dal video Sostituzione), che lo trasformano nell’eroe della rivoluzione russa. La scelta di campo, si sviluppa coerentemente con la riflessione sul linguaggio e sulla natura dell’arte e nella serie dedicata alla trascrizione in caratteri cirillici del manoscritto Compagni operai andiamo all’ultima, decisiva battaglia produce l’azzeramento dell’immagine. La storia incombe e i segni della crisi ideologica si avvertono già in una serie di fotografie del ’77 con le parole del Capitale di Marx, “epigrafate” sulla sabbia e destinate a essere cancellate dal mare. Il decennio si chiude con la partecipazione di De Filippi a La pratica politica. Il sistema dell’arte e il tessuto sociale, l’ultima mostra a contenuto politico, organizzata nel 1979 dal collettivo redazionale della rivista milanese “Artwork” presso la Galleria Civica di Modena. Da quel momento è definitivo il ritorno al disegno, alla pittura, attraverso il filtro della memoria, della storia e del mito. Una cultura che affonda le radici nel Mediterraneo, a volte volutamente citazionista, fatta di profili di templi, architetture postmoderne, simboli alchemici, dotata di un equilibrio formale tra vuoti e pieni, tra decoro e assenza. La misura personale e autoriflessiva sembra imporsi su quella pubblica, ma a ben vedere non è così, perché gli ultimi paesaggi (quelli tropicali del 2009) e le più recenti Epifanie del Fuoco dichiarano come politica, storia ed esistenza debbano necessariamente ritornare a convivere. M. G. Sostituzione, 1974, video (frame) | 35


FERNANDO DE FILIPPI

Nel percorso ormai ultracinquantennale della ricerca artistica di Fernando De Filippi – in quella sua cifra inconfondibile, aliena da qualunque definizione, di straordinaria qualità, raffinatissima – è possibile rileggere in filigrana i principali momenti del dibattito artistico in Italia dalla seconda metà del ‘900 ad oggi. Lui c’è sempre, senza pause, testimone e primo attore. C’è nel sapiente possesso dei linguaggi e degli strumenti del fare arte, dal passato al presente tecnologico: è pittore scultore grafico, pratica installazione e fotografia, attraversa un’importante fase comportamentale con azioni d’impronta politicoideologica e concettuali (e relative derivazioni filmico-fotografiche), ritorna ancora alla pittura, ma per il tramite di elaborazioni al computer. Si delinea così il profilo esemplare di una ricerca caratterizzata da una rigorosa e insieme flessibile visione mentale e analitica, che tuttavia non rinuncia alla “poesia”, sia pure in una forma priva di ogni ingenuità o lirismo, nata dalla stessa esigenza di riflessione, inesauribile nel suo proporsi. Il tema della memoria, come meccanismo sovratemporale che ricuce gli eventi del tempo in una ricostruzione personale che subito si confronta e si apre alla dimensione storica e sociale, attraversa – con maggiore o minore intensità – tutte le stagioni di questo lavoro: in un continuo andirivieni tra passato (non solo personale, ma universalmente mitico) e presente (come storia e ideologia), tra atemporalità dell’arte e tempo storico. E raggiunge uno dei momenti più alti e poetici nella memoria delle radici culturali mediterranee che caratterizza gli anni ’80-’90, dai Miraggi e le Architetture d’acqua alla serie de Le finestre della memoria e delle Costellazioni. De Filippi vi approda dopo gli sperimentalismi degli anni ’60-’70 e la conseguente crisi dell’opera: riscopre i temi del paesaggio e della natura, evocati in chiave concettuale, in una mimesis dei silenzi e delle segrete armonie più che delle forme. Oggi ancora la poetica della memoria – ricorrente, ossessiva – continua a percorrere come filo conduttore la trama di questa ricerca. Ricompaiono i temi di sempre, dal tempio all’albero, nelle loro complesse valenze mitiche e simboliche. C’è un continuo ritorno dell’artista sui propri passi, una coazione a ripetere che è insieme interrogazione esistenziale, necessità di verifica, urgenza chiarificatrice e comunicativa. Ancora, questa, si può definire “una pittura per tanti aspetti esistenziale” (G. Ballo, 1965). Marina Pizzarelli

Arte come critica dell’arte, 1976, fotografie su carta Trascrizioni, 1976, performance | 36




GIULIO DE MITRI All’inizio non c’è che il nulla, poi un nulla profondo, in seguito una profondità blu Yves Klein

Le tracce e i miraggi del blu rimandano a quella vastità del mare e infinità del cielo che, a volte, si confonde lungo la linea di un orizzonte. È lo stesso blu che si ritrova nel lavoro di Giulio De Mitri, esponente indiscusso della light art italiana. Sincero poeta del Mediterraneo, di cui coglie le infinite sfumature, non lo ha mai osservato come spazio fisico ma come luogo interiore, un orizzonte del pensiero che proprio per questo riesce a valicare i limiti delle geografie, della storia e dello spazio. I suoi luminosi oggetti d’attrazione suggeriscono una condizione instabile, priva di coordinate, e spingono lo spettatore a immergersi nelle profondità marine, a percorrere la metafisica delle mappe stellari o dei sentieri cosmici. Sono pensati come seducenti macchine sceniche e ambientali con una qualità emozionale dalla quale non ci si riesce a sottrarre perché attratti dalla melodia del colore che risuona nella sensibilità di una vibrante nota cromatica. Si tratta di un’induzione alla spiritualità e di una costante esortazione a vedere e a sentire, proiettata nel mondo attraverso i complessi meccanismi tecnologici e luminosi, dove l’azzurra contemplazione dell’infinito si trova a convivere con la concretezza della forma, capace di rendere tangibile il pensiero e di solidificare l’immateriale nei meditati e perfetti volumi geometrici. È un’irrinunciabile natura di homo faber, in virtù della quale mette costantemente in relazione gli effetti di superficie dei campi pittorici con i volumi tridimensionali e costruisce un mondo perfetto in bilico tra artificio e natura. Una metafisica dell’evidenza dove corporeo e incorporeo sono piani distinti ma non separati, dove tangibile e intangibile vanno pensati senza fermarsi solo davanti al dominio empirico ma mettendosi in relazione a quella soglia – a quel confine – che pone entrambi ammissibilmente in scena. M. G.

Percorso di Origine, 2011, installazione | 39


GIULIO DE MITRI

L’intera ricerca di Giulio De Mitri si imbatte nell’esplorazione di un idealismo memoriale dell’eternità che risale le rotte della civiltà mediterranea senza ignorarne il suo inesorabile declino ma anche senza sostare nella lacrimosa nostalgia della classicità. Così la bellezza, canone unico e dedizione ampissima dell’artista, resta ancorata alla domanda, incessante, di purezza. Tra i maggiori esponenti della light art italiana, l’artista pugliese da sempre ragiona attorno ad una sorta di “personificazione del mare”, attraverso una continua, affinata dedizione volta a conferire all’orizzonte visivo una cristallizzazione, una forma essenziale. “Ogni mio lavoro è un processo di elaborazione di simboli – afferma l’artista – che affluiscono alla millenaria storia dell’uomo, racchiudendo il valore immaginifico e archetipo, stigmatizzando il territorio, dimora ideale per la centralità dell’uomo, riallacciando, così, i fili di una cultura sconfinata”. In questo esercizio critico del pensiero simbolico, l’intero impianto scenico delle sue installazioni sembra voler coniugare due aspetti essenziali della sensibilità umana: da un lato il pensiero primitivo, primario, arcaico, svolto lungo i refoli di una profonda esigenza spirituale, dall’altro il pensiero cosiddetto razionale, della coscienza o dell’uomo civilizzato e che trova la sua massima espressione nella tecnica. Non c’è lavoro di De Mitri che non solleciti l’azzardo di questa continua dialettica tra pulsioni/desideri e forma/struttura. Il metacrilato delle farfalle, il poliestere, la luce a led, la meccanica rotativa del corpo centrale: ogni dettaglio convoca magistralmente nell’opera la felice armonia tra l’immaterialità delle sensazioni e la rigorosa organizzazione sistemica dell’opera. Ecco dunque il κόσμος (kósmos), l’ordine universale cui l’artista volge lo sguardo immergendosi nella perfezione dei riferimenti astrali e marittimi, nella loro trepidante ineffabilità. Nella recente produzione, De Mitri definisce un vero e proprio ecosistema simbolico e immersivo in grado di generare nel visitatore profonde esperienze sensoriali. Complice e protagonista dell’artista diventa il buio, processo di isolamento e creazione di uno spazio nello spazio. In tal modo sembra rievocare immediatamente le parole dell’amica poetessa Alda Merini: “I poeti lavorano di notte quando il tempo non urge su di loro”. Ed è esattamente questa fuoriuscita dal tempo, o meglio questa irruzione dell’atemporale nel tempo, a rendere la mostra un fremito e un tormento, un tentativo coinvolgente di dominare il sensibile e, attraverso questo controllo, portare l’ultrasensibile all’interno di categorie razionalmente praticabili così che l’artista realizza il più grande dei desideri, quello della forma, quello di imprimere nel mondo il segno stesso della sua libertà. Roberto Lacarbonara

a destra in alto : Passaggio, 2012 a destra in basso: Materia spirituale, 2004, particolare | 40


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da sinistra a destra:

ENRICA CIURLI

Home, 2013, tecnica mista, particolare

GRAZIANA MARINUZZI

Autoritratto, 2013, penna a sfera blu su tela, particolare

MARIANGELA MARRA

Senza titolo, 2013, Installazione, tecnica mista fotografie, scatole di cartone, 120x30x30 cm

FRANCESCO ROMANELLI

Senza titolo, 2013, olio e grafite su fogli, particolare

DOMENICO BRUNO

Torsione, 2013, ferro, particolare


FUTURO PROSSIMO La selezione, resa possibile grazie alla collaborazione del Direttore e dei Docenti dell’Accademia leccese, è stata indirizzata a presentare una serie lavori sensibilmente legati a esperienze vicine alla dimensione del corpo, della parola, della memoria individuale e collettiva. Si tratta di pittura e scultura come quella di Domenico Bruno che indaga con uno scheletro di ferro il movimento e la forza del corpo nello spazio. Una forma non finita, che nella sua incompiutezza trova la sua vera e sostanziale presenza. Questo lavoro si presenta come il punto di partenza di una ricerca i cui sviluppi rimangono strettamente agganciati alla presenza qualitativa della figura. Enrica Ciurli con Home si muove dentro linguaggi ibridi che attingono a frammenti di memorie e affetti personali. Le sue armi preferite sono il disegno e il collage e parte da un universo di segni e di micro narrazioni. È una biografia intima, dal sapore antropologico, con ramificazioni vitali ed elementi zoomorfi, tra interventi d’inchiostro e inserti di carta. Senza essere mai particolarmente compiacente, il disegno ama occupare piccole superfici e sembra dotato di uno sguardo incantato sul mondo. La “scrittura del corpo” di Graziana Marinuzzi dilaga dentro le pieghe e le grinze della pelle. Un circuito organico fatto di segni, ingrandimenti di particolari delle mani e delle impronte digitali, che sviluppano una ricerca identitaria dentro la trama epiteliale. I due Autoritratti indagano la topografia dell’involucro corporeo in un processo autoriflessivo e con un’attenzione scrupolosa, da indagine scientifica. Il monocromo blu, disciplinato, fatto con la penna a biro fa perdere ogni qualità viscerale ediventa pura astrazione. Mariangela Marra si muove dentro la drammatica consapevolezza della violenza sul corpo delle donne. Lavora con linguaggi diversi e con un’attenzione alla pratica operativa ma non inciampa in particolari ridondanti. In questo caso ha affrontato un processo di metamorfosi che allude alle deturpazioni causate dell’acido sui volti femminili. Ne ricava particolari che si connettono a un testo di Tahar Ben Jelloum e trasforma l’installazione di scatole di cartone in sarcofagi nei quali il volto racconta senza ipocrisie il proprio dolore. Francesco Romanelli usa la parola con la consapevolezza come convenzione semantica. Si muove con interventi che rientrano nel grande contenitore della poesia visuale e attiva un processo di cancellazione. Sceglie pagine di vecchi libri e aggiunge il colore, eliminando quasi del tutto la possibilità di lettura. In questo caso sovrappone alla scrittura il disegno di un branco di pesci fluttuanti che misurano la metrica e il ritmo delle frasi. Nuotano in un mare di segni e si confrontano con il potere della scrittura perché, ricorda Emilio Isgrò: “Una parola cancellata sarà sempre una macchia. Ma resta pur sempre una parola”. M. G.

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ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI LECCE | 44

Un flusso di eventi inarrestabile e tumultuoso, caratterizza in questi ultimi anni l’ambito artistico del nostro paese. Eventi che si materializzano in iniziative e mostre, che tendono a sbalordire, a sorprendere più che a favorire la diffusione e lo sviluppo della cultura artistica. Un vero e proprio “inquinamento immaginifico”, che rende sempre più disattento il pubblico, che, frastornato, si pone di fronte all’opera d’arte in maniera passiva e priva di giudizio. Raccogliendo l’invito di Gillo Dorfles, – il critico e storico dell’arte che di recente è stato ospite dell’Accademia di Belle Arti di Lecce, ove si è intrattenuto con gli studenti discutendo sulle problematiche che caratterizzano l’arte contemporanea –, Marinilde Giannandrea, guarda senza artificiali distinzioni al presente dell’arte, recupera le condizioni di un lavoro artistico e critico meno frettoloso e concitato che restituisce all’arte la sua funzione culturale, proponendo iniziative ed esposizioni che tendono a valorizzare e stimolare le potenzialità creative, soprattutto dei nuovi giovani artisti. Tra le manifestazioni curate da Marinilde Giannandrea, Senso Plurimo, occupa un ruolo importante, in quanto questa esposizione ospitata e supportata dai Cantieri Koreja, rappresenta da un quinquennio (cosa più unica che rara) un appuntamento molto atteso da coloro che guardano ai giovani artisti con vivo interesse. La logica della rassegna si fonda sul concetto di arte come esigenza espressiva, indipendentemente dal genere, dall’argomento trattato e dai linguaggi utilizzati. I linguaggi variano in base all’esperienza e alla maestria degli artisti, creando nuovi rapporti con il pubblico, che approccia l’arte sentendosene direttamente coinvolto. L’intento principale della Rassegna è quello di creare continuità nella ricerca e nella presentazione di artisti emergenti nazionali e internazionali che hanno qui la possibilità di avere la visibilità e l’attenzione che meritano. Per questa edizione, Marinilde Giannandrea ha invitato dei giovani artisti, che frequentano o che hanno frequentato l’Accademia di Belle Arti di Lecce, che sin dalla sua istituzione (30 settembre 1961, con Decreto del Presidente della Repubblica – decorrenza 11 ottobre 1960) è stata un punto di riferimento della promozione e diffusione della cultura artistica pugliese. La mostra propone uno spaccato del mondo creativo accademico, una realtà che si muove dalla semplice progettazione dell’oggetto alla pittura, dalla decorazione alla fotografia e alla scultura. Si tratta di una proposta metodologica che - nella mutata condizione di istanze sociali e nella variegata, contraddittoria ed estremamente mobile contemporaneità artistica - da un lato, non trascura riferimenti tradizionali o storici e dall’altro, cerca di assimilare spinte e connotazioni di più recente acquisizione estetica. Le opere esposte indicano tanto una tendenza esplicita alla continuità culturale in rapporto al territorio, quanto una propensione a porre l’accento su problemi della progettualità, dell’ambiente e soprattutto dell’identità culturale. Pur diversi tra loro per formazione, temperamento e stile, Domenico Bruno, Enrica Ciurli, Graziana Marinuzzi, Mariangela Marra, Francesco Romanelli, hanno in comune,


un fervore creativo che affonda le sue radici in una ricerca esistenziale. I lavori di questi giovani, in definitiva, ribadiscono che l’arte è l’unica attività che, nella follia del “supermercato globale”, rappresenta forse oggi l’ultima frontiera per una umanità che non vuole farsi stritolare dai tentacoli della globalizzazione. Antonio Basile

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a cura di FRANCESCA LOPRIENO Il laboratorio per bambini di foto-video-teatro ha avuto come obiettivo principale quello di dare vita e mettere in scena le fantasie legate ai personaggi interiori (mondo intimo) dei più piccoli, i quali oggi sono costretti ad interagire con una macchina (computer, videogioco, play station). Tale modalità consente di entrare in contatto con le cose, di estrarre informazioni, di toccare la luce e di convertire l’immagine in parola utilizzando più espressioni artistiche: teatro, fotografia e video. Nel caso specifico, il progetto ha offerto ai bambini uno sguardo inedito e privilegiato sui tre processi visivi presi in considerazione. La fase iniziale ha previsto la realizzazione di una maschera che rappresentava un personaggio (immaginario) scelto da ogni bambino attraverso l’uso di carta, colori, cartoni ed altro. Si è dato al personaggio anche un nome e lo si è inserito in un contesto storico. Ogni bambino nelle sue vesti immaginarie è diventato il protagonista di una foto ed ha realizzato un “libro d’artista”. La fase finale ha previsto il montaggio delle fotografie attraverso un patchwork sul box e la proiezione di un video che ha dato vita ad una vera e propria rappresentazione teatrale virtuale.

FRANCESCA LOPRIENO Artista | Fotografa Affianca all’attività artistica di fotografa frequenti collaborazioni sia in ambito teatrale che nel settore della comunicazione videoartistica. Laureata presso l’Accademia di Belle Arti di Foggia e di Roma, ha completato le sue conoscenze frequentando numerosi seminari e corsi di formazione a Roma e a Parigi dove conduce nel 2010 una ricerca foto-videografica presso l’École Nationale | 46

Supérieure des Arts Décoratifs (ENSAD) sui problemi dell’immigrazione nelle banlieues parigine. Il suo progetto “Soi même pourtant” è stato selezionato per l’esposizione nel Museo della Storia dell’Immigrazione di Parigi. Nel giugno 2011 ha esposto un suo lavoro intitolato Identi-kit alla 54. Biennale di Venezia. Nel 2012 frequenta un simposio di “Fotografia e arte contemporanea” presso l’Université de Vincennes Saint-Denis di Parigi. Ha partecipato a numerose esposizioni collettive e personali in gallerie ed istituzioni di varie città d’Italia.


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BIOGRAFIE


LUIGI MASSARI

LE MOSTRE

La sua pittura, visionaria ed evocativa, dai toni apocalittici e magmatici, rifiuta la stereotipia delle immagini e si distende in un immaginario caotico e primordiale. Artista e operatore culturale, si è diplomato in Pittura e laureato in Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce. Nel 2011 in collaborazione con Carlo Spiga fonda Terzo Fuoco, gruppo musicale sperimentale connesso alla ricerca artistica e performativa. Nel 2012 con Andrea Lacarpia e Diego Cinquegrana crea a Milano “Dimora Artica”, associazione culturale e spazio operativo per la promozione dell’arte contemporanea. Vive e lavora tra Milano e Modena. http://luigi-massari.blogspot.it/

MOSTRE PERSONALI 2013 La vera navigazione è morta, Studio Vetusta, Modena La sindrome di Stoccolma, Kubi SoundLab, Milano 2012 Tema del ritorno, doppia personale con Patrizia Emma Scialpi, Spazio Meme, Carpi (MO), Nostos, RizHoma.housegallery, Palermo 2011 Dimmi/Dammi/Comanda, Underdogstudio, Modena 2010 ALTERedEGO, Piscinacomunale, Milano 2008 Con Fez, Fondo Verri, Lecce Atti di pittura spuria, Jocanda, Roma MOSTRE COLLETTIVE 2013 Questo gallo annuncia la libertà, Carceri Le Nuove, Torino Last Young, Under 35 In Italia, Villa Brivio, Nova Milanese (MB) Un seme nel deserto, Galleria Bluorg, Bari I Solerti agenti del caos, Galleria L’Osanna, Nardò (LE) Terzo tramonto, Cavalcavia Bussa, Milano (performance di Terzo Fuoco con Carlo Spiga) Stati di allucinazione, L.E.M., Sassari Helvete, Studio Helvete, Milano | 50

Bari, 1978

2012 All i desire, Spazio Orlandi, Milano Independents 3, ArtVerona 2012, Verona Take on me!, Performance collettiva, Milano Convivium, Zelle Arte Contemporanea, Palermo Premio combat 2012, Museo Civico G. Fattori, Livorno Terzo fuoco, GiuseppeFrau Gallery, Gonnesa (CI), intervento sonoro nel progetto Rifugio Sgabùtzo di Carlo Spiga Nadsat rituali e linguaggi della giovinezza, Palazzo Ducale, Pavullo nel Frignano (MO) 2011 Sweet sheets IV. Only works on paper, Zelle Arte Contemporanea, Palermo Branchi_ insieme di insiemi, MEME arte contemporanea e prossima, Cagliari La camera delle necessità, Blooom Art Fair, Colonia, Germania Sto* Disegnando!!! , Circoloquadro, Milano, a cura di Michael Rotondi HEART(H) 4th edition, Palazzolo dello Stella, Udine Parallels 2a, Villa Giulia, Palermo Premio Combat 2011, Bottini dell’Olio, Livorno Lebensraum, Magazzini Criminali, Sassuolo (MO) Tracce, Bellezza Orsini, Bologna Tempoaltempo, ARTcore contemporary gallery, Bari 2010 Step09, Piscinacomunale Preview, Museo della Scienza e della Tecnica Leonardo da Vinci, Milano


LUCA COCLITE

LE MOSTRE

Gagliano del Capo (LE), 1981

Artista visivo, è artistic project curator di “Ramdom Association” che promuove Default, la residenza per artisti, svoltasi a Lecce nel 2011 e nel 2013. Utilizza il video e il suono ponendo alla base della sua ricerca le diverse trasmutazioni dei livelli percettivi. Le sovrapposizioni immaginarie, la momentanea o permanente assenza d’informazione, creano i presupposti all’interno dei quali la sua poetica prende forma. Vive e lavora tra Bologna e Lecce. https://sites.google.com/site/lucacoclite/ https://vimeo.com/user988659

MOSTRE PERSONALI 2013 Wall in progress, Galleria Bluorg, Bari 2011 Condensation with sensation, Adiacenze, Bologna. MOSTRE COLLETTIVE 2013 ARType - Archetipi della videoarte: Trentasei artisti italiani contemporanei in mostra a Vicenza, Basilica Palladiana, Vicenza. Democratic Big Switch, (extra in contemporanea) con Giuseppe de Mattia, Festa del Cinema del Reale, Palazzo Risolo, Specchia (Lecce) Videoart yearbook 2013: Annuario della videoarte italiana, Bologna Ortica (Organic theme in contemporary art), Factory, Macro Testaccio, Roma Nomadic landscape elements, doppia personale (L. Coclite- Andreco), Adiacenze, Bologna

2012 The impossibility constant, Robot Festival Luca Coclite-Alberto Piccinni, Bologna Ma Nessuno Mai! Verso nuove tracce di contaminazione, Spazio Natta, Como 2011 DISTOPIE, Galleria BLUorG, Bari Open studios Bologna, Promosso da Premio Celeste e Comune di Bologna, Bologna Videoart Yearbook 2011, Bologna Tempo, NO GALLERY New York, New York Multiespacio Oncelibre, PIRATEFEST 2011 Buenos Aires, Avenida Estatal 275, LIVEMEDIA, Buenos Aires (Argentina) 2010 Video.it 2010 - Mediterranean North/South, Mapping Hospitality, Fondazione Merz, Torino Let’s Play- 25 contemporary videoartists, Palazzo Pretorio, Cittadella (PD) Viaggi in immagini, Complesso delle ex Murate, Firenze

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GIANLUCA MARINELLI

LE MOSTRE

Taranto, 1983

Utilizza diversi linguaggi mettendo in relazione l’interesse per l’analisi documentaria, il recupero della memoria dimenticata e la necessità di sollevare degli interrogativi sui processi di rimozione e di riscrittura della storia. Da quest’analisi deriva una riflessione sulla condizione sociale contemporanea, dove l’assurdo e la precarietà sono le forze che condizionano la vita e i comportamenti collettivi. È tra i fondatori dell’Ammirato Culture House di Lecce, ed è autore del libro Taranto fa l’amore a senso unico (Argo editore), sul rapporto arte-industria nel territorio della provincia jonica. www.galleriamonopoli.com/index.php?/prova/gianluca-marinelli/

MOSTRE PERSONALI

MOSTRE COLLETTIVE

2013 Forte Laclos, Galleria Monopoli, Milano Solo show, Chiesa S. Chiara, Castellaneta (TA) (evento collaterale del Cast Film Fest) Torri che grattano il culo a nessuno, Ammirato Culture House, Lecce

2014 Premio Treviglio, spazi vari, Treviglio (BG) Tu sei qui, MODO, Udine Home Theatre, rassegna di video-arte domestica, MAAM (Museo dell’Altro e dell’Altrove Metropoliz), Roma

2012 La scelta del presente, Galleria Monopoli, Milano

2013 Lavoro Work Vore, S.P.A.C., Udine Taranto rooms, Castello Risolo, Specchia (LE) PostQards, Circoloquadro, Milano Freebreeze, Manifatture Knos, Lecce

2010 Scrascìa!, Castello D’Ayala Valva, Carosino (TA)

2012 Open 4, S.A.L.E, Docks, Venezia 2011 I Trasformati, Ammirato Culture House, Lecce 54. Biennale di Venezia, Padiglione Spagnolo nell’ambito del Museo dell’Arte Contemporanea Italiana in Esilio, Venezia The Wall, Archiviazioni, Lecce

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PAMELA CAMPAGNA

LE MOSTRE

Bari, 1977

Artista visiva e designer. Tra i diversi progetti relazionali e sociali, che la vedono protagonista, c’è l’ideazione, l’organizzazione e il coordinamento di “FEMMINILE p l u r a l e”, un collettivo barese che interviene sulle ferite e sul degrado urbano della città per riportare creativamente l’attenzione su alcuni luoghi dimenticati. Una pratica corale, che si riflette anche nell’attività didattica e nella realizzazione dei workshop con le donne della Medina di Marrakech. Numerose le produzioni su committenza, tra cui i grandi lavori realizzati per TBWA/ RAAD e NIKE. Vive e lavora a Bari. www.pamelacampagna.com

MOSTRE 2013 Bicebè – Biennale del poster, La Paz, Bolivia wall in progress, Galleria BLUorG, Bari 2012 HELP, Galleria BLUorG,Bari 2011 distopie , Galleria BLUorG , Bari Italia Manifesta, Università Sant’Ignazio da Loyola di Lima, Perù 11° Triennale del poster politico, Centro mondiale della Pace, Cmp Verdun,Francia 18° Biennale internazionale del poster, Lahti, Finlandia

2008 DAB - design per artshop e bookshop, Palazzo delle Esposizioni, Roma Graphisme dans la rue, La Galeru, Parigi, Francia ManifestaZOOne, Giardini Fresia, Cuneo 2007 100%design, Tokyo, Giappone 2006 Tinglao del Gran Pollo de la Alameda, CAS Centro delle Arti di Siviglia

2010 11° Triennale del poster politico, Mons, Belgio 2009 Poster4tomorrow, Palazzo delle Arti decorative del Louvre, Parigi GOOD 50X70, la Triennale di Milano, Milano 7° Triennale internazionale del poster ecologico - The 4th Block, Kiev, Ucraina DAB x GAI, Museum Expression, Paris Expo, Francia

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FABIO MAZZOLA

LE MOSTRE

Si è diplomato presso l’Istituto Statale d’Arte di Bari ed ha frequentato la Facoltà di Architettura del Politecnico barese. Nei suoi video e nelle performance indaga una condizione corporea ed esistenziale che oscilla tra la narrazione biografica e la dimensione collettiva. Nel 2009 espone le prime opere su carta da imballaggio e negli anni successivi partecipa a numerose collettive. Recentemente il Museo Pascali di Polignano a Mare gli ha dedicato una Project Room all’interno del programma Il Museo e il suo territorio. Vive e lavora a Bari.

MOSTRE PERSONALI 2014 Azionismo Rurale, con performance di Stefano Urkuma De Santis, Porta Baresana, Bitonto (BA) 2013 Sull’autobus n.4 ho incontrato chi ha sognato di tagliarmi la testa, Fondazione Museo Pino Pascali, Polignano a Mare (BA) 2012 Intro., Majazzin House Gallery, Altamura (BA) Pausania secondo terzi, Galleria HEA 180, Lecce Natale nazista, Docks 101, Locorotondo (BA) 2011 Resti di un viaggio, doppia personale con Flavio Romualdo Garofano, cantine tufacee, Castelvenere (BN) MOSTRE COLLETTIVE 2013 Abitare, Matera

Associazione

L’idea e la materia, Fondazione Museo Pino Pascali, Polignano a Mare (BA) Carta canta, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano 2012 Ozio, A&A – Art e Ars Gallery, Galatina (LE) Caduti da un chiodo, LEMOSCHE Contemporary Acts, Palo del Colle (BA) Concorso BLUorG Under 35/Lab_Residence, progetto selezionato, Associazione Culturale BLUorG, Bari Tutti su Ventura, Majazzin House Gallery, Altamura (BA) 2011 The Last Low Show, I Low Art, Bari They hate us for our freedom, C.S.O.A. Mercato Occupato, Bari Tracce, Spazio Bellezza Orsini, Bologna FOOD for BRAIN, A&A – Art e Ars Gallery, Galatina (LE) Distopie, Associazione Culturale BLUorG, Bari 2010 [Contemporanea], Lecce Fiere, Lecce

Culturale

ARTErìa,

Double, A&A – Art e Ars Gallery, Galatina (LE) P2P #01 Panorama, Circoloquadro, Milano | 54

Bari, 1980


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ROMANO SAMBATI Lequile (LE), 1938 Pittore e scultore, compie gli studi artistici presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli con gli scultori Emilio Greco e Augusto Perez. Torna a Lecce nel 1962 e stabilisce il suo studio nella campagna salentina, che da questo momento diventerà una sorta di osservatorio sulla luce e sulla natura. Suggestioni concettuali e poetiche costituiscono il nesso da cui parte il filo della sua I DIALOGHI ricerca legata ai grandi temi dell’esistenza e della natura e del sacro. Lavora “sottrazione dopo sottrazione” ma insegue anche un “male d’argilla” con piccole sculture che rievocano il dolore e l’universalità del mito. Negli anni Sessanta sperimenta Le morti povere in una fase non strettamente politica ma riferibile alle morti dimenticate del terrorismo. Dopo una prima personale nel 1976 presso la Galleria L’Osanna di Nardò, visita la mostra di Rauschenberg al Forte Belvedere di Firenze ne resta “annichilito” e abbandona per due anni l’attività. Continua però a coltivare il costante rapporto con la letteratura, avviato nel 1981 con le riflessioni sul De Rerum Natura di Lucrezio e continuata con le letture poetiche di Rainer Maria Rilke e Paul Celan. I paesaggi senza umanità, le lune e le eclissi manifestano una sperimentazione dentro una pittura che non è pittura anche quando scandaglia metafisicamente e oltre ogni stereotipo il paesaggio mediterraneo. Ha una ricca e selezionata carriera espositiva iniziata alla fine degli anni Sessanta con numerose mostre collettive e personali. Tra le più recenti: Preghiere, Chiesa di San Nicola, Lequile, 2000; Il Dolore del mito, Conservatorio di Sant’Anna, Lecce, 2000; Corpi d’Ombra, Galleria Atrium, Lecce, 2005; XXXIII Premio Sulmona, Rassegna Internazionale di arte contemporanea, Sulmona (AQ), 2006; Geografie. Paesaggi a sud del sud, S. Francesco della Scarpa a Lecce, 2006; I maestri dell’Istituto d’Arte, Castello Carlo V, Lecce, 2007 e Lacrimae rerum, la recente personale Palazzo Andrioli a Lequile nel 2012. È stato tra gli artisti del padiglione leccese della 54. Biennale di Venezia ed è inserito nel Percorso della pittura, la mostra del Must di Lecce dedicata agli artisti del Novecento pugliese (2014). È stato a lungo docente di discipline pittoriche al Liceo Artistico di Lecce dove vive e lavora. Nella sua ricca bibliografia si ricordano la monografia curata nel 1982 da Antonio Del Guercio, Romano Sambati, Da Lucrezio far pittura, Galatina (LE), Geografie. Paesaggi a sud del sud, Galatina (LE), 2006 e la recente pubblicazione curata da Andrea Coppola, Romano Sambati, Lacrimae Rerum, degli Alami Editore, Lecce, 2012.

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CARLO MICHELE SCHIRINZI Tricase (LE), 1974 Vive e lavora nel Capo di Leuca, artista e videomaker autarchico, docente di Installazione Multimediale presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce. I lavori fotografici, ribattezzati ‘iconoclastie su(al) negativo’, consistono in asportazioni manuali direttamente praticati sulla pellicola. I suoi video e film hanno partecipato a mostre e festival internazionali dedicati I DIALOGHI alla sperimentazione del linguaggio digitale, ricevendo premi e retrospettive (Premi – 2003: 21° Torino Film Festival; 2004: 40ª Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro; G.A.P Giovani Artisti Pugliesi, 2009: 27° Torino Film Festival, 10° Festival del Cinema Europeo; 2010: 28° Torino Film Festival, 9° Imaginaria Film Festival; 2012: 7° Cinema Invisibile; 2013: 8° Cinema Invisibile. Retrospettive – 2005: 41ª Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro; 2007: 3° Taranto Film Festival; 2011: 9° Avvistamenti). Dal 2005 al 2009 ha realizzato la collana di documentari Intramoenia Extrart, progetto d’arte contemporanea nei castelli di Puglia curato da A. Bonito Oliva e G. Caroppo esposti alla 54ª Biennale di Venezia del 2011. Nello stesso anno Eco da luogo colpito è selezionato alla 68ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Del suo lavoro si parla nel saggio Fuori norma. La via sperimentale del cinema italiano (Marsilio 2013) curato da Adriano Aprà. Il suo primo lungometraggio I resti di Bisanzio, un ibrido tra cinema, video arte e sperimentazione audiovisiva, è stato presentato in anteprima al concorso della 50ª Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.

STEFANO URKUMA DE SANTIS Casarano (LE), 1972

I DIALOGHI

Compositore e sperimentatore di musica contemporanea. Le sue opere strumentali, elettroacustiche, i lavori di teatro musicale e le installazioni sonore sono state presentate in importanti festival di “nuova musica” e arte elettronica a Londra, Bratislava, Vienna, Cracovia, Varsavia, Berna e Bolzano. Tra i concerti più rappresentativi c’è quello che si è tenuto a Vienna nel dicembre del 2003 al Wien Modern, celebre rassegna di musica contemporanea, voluta dal maestro Claudio Abbado. www.sanfocahotel.com

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FERNANDO DE FILIPPI Lecce, 1940 Pittore, Scultore e scenografo, dopo la formazione presso l’Istituto d’Arte di Lecce esordisce giovanissimo in una mostra presso la “Galleria il Sedile” a Lecce (1959). Il suo lungo percorso artistico attraversa tutti i linguaggi dalla pittura, alla fotografia, al video, alla performance, sino all’installazione e alla scultura monumentale. La prima fase giovanile è legata a una pittura I DIALOGHI informale, ma dalla fine degli anni Sessanta sceglie una linea militante che si manifesta soprattutto nei lavori dedicati a Cuba e a Lenin. Dagli Ottanta in poi affiorano i silenzi enigmatici di un Mediterraneo culla del mito, gli enigmi delle città improbabili, dei templi simulati e delle costellazioni simboliche, ma anche le visioni alchemiche e cerebrali. Non abbandona mai il piacere del disegno e della pittura che continua a esercitare con raffinata concettualità. È stato direttore dell’Accademia di Belle Arti di Brera (1991-2009) e ha avuto un ruolo di protagonista nella politica artistica in Italia. Prestigiosa la lista di mostre in Italia e all’estero: New York, San Francisco, Varsavia, Belgrado, Parigi, Bruxelles, Ginevra, Lisbona, Vancouver, Malta. Ha partecipato a cinque edizioni della Biennale di Venezia con una “Sala personale” nel 1970,1972,1976 e con due “Progetti Speciali” nel 1978 e nel 1980. È stato tra i protagonisti della IX, X, XI, XII Quadriennale Nazionale di Roma e della Triennale di Milano nel 1981. Ha inoltre partecipato a: Arte in Italia dal 1960/1975, presso la Galleria d’Arte Moderna di Torino; Arte Italiana, Haward Gallery, Londra; Le Linee della ricerca artistica in Italia, Palazzo delle Esposizioni, Roma; Aspetti della Pittura Italiana dal dopoguerra ai nostri giorni, Museo d’Arte moderna San Paolo e Rio; Pittura a Milano dal 1945 al 1990. Nel 1998 tiene un’importante personale a Milano a Palazzo Reale e nel 2009 il Museo Castromediano di Lecce gli dedica un’antologica nella Chiesa di S. Francesco della Scarpa. Vive e lavora a Milano. Una ricca bibliografia storicizza la sua attività tra queste: E. Crispolti, F. De Filippi, La rivoluzione privata, Prearo Editore, Milano, 1975; L. Caramel, Quando mi dipartì da Circe, Studio Carrieri Editore, Martina Franca, 1978; M. Corgnati, F. Poli, Dizionario dell’Arte Contemporanea, Universale Economica Feltrinelli, 1995; E. Cripolti, Il teatro delle Apparenze, Colle Arte, 1995; I Percorsi del Mito, Palazzo Reale Milano, Electa, 1998; E. Pontiggia, Luce, Oggetto, Architettura, Conversazione con Fernando De Filippi, Palazzo Stelline, Milano 1998; G. Di Genova, Storia dell Arte Italiana del 900, Generazione anni 40, Bora Edizioni, 2004; M. Meneguzzo, L’immagine critica a Milano tra Pop Art e contestazione, Silvana Editoriale, Torre Pelice, 2006; F. Gualdoni L’Olimpo dell’Arte, La Nave del Mito, Franco Maria Ricci, Milano, 2007; M. Meneguzzo, Fernando de Filippi, Dipinto 1968-2008, Appunti di Viaggio, Spazio Tadini, Milano, 2009 e Fernando de Filippi, Opere 1962-2009, Movimedia Lecce, 2009.

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GIULIO DE MITRI Taranto, 1952 Ha compiuto studi umanistici ed artistici. È Professore ordinario di Tecniche e tecnologie delle arti visive contemporanee nell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro. Artista innovativo e sperimentale, è uno dei protagonisti italiani della Light-art, con una ricerca plurisensoriale di tecnologia e liricità. Si è avvalso, nel corso degli anni, di diversi linguaggi visivi: dal segnoI DIALOGHI scrittura alla pittura-pittura, dall’opera plastica alla fotografia, dalla performance partecipata all’installazione ambientale, dai tecno-light-box al video. Negli anni anni ‘80 ha partecipato a diversi collettivi artistici coordinati dai critici Filiberto Menna, Enrico Crispolti (Una nuovissima generazione nell’arte italiana) e Franco Sossi. Intensa la carriera espositiva, tra le mostre più recenti: Giulio De Mitri / Il corpo e l’anima Museo F.R.A.C., Baronissi, (SA); La seduzione del monocromo, Museo Civico dei Bretti e degli Enotri, Cosenza; Esperidi, Studio d’arte contemporanea “Pino Casagrande”, Roma; Biennali di Venezia 52. 54. per gli eventi: Sguardo contemporaneo, Palazzo Bianchi Michiel del Brusà e Padiglione Italia, J. Beuys. Difesa della natura Thetis, Arsenale Novissimo; XV Quadriennale, Palazzo delle Esposizioni, Roma; 20 artisti per i 150° dell’Unità d’Italia, Palazzo Reale, Torino; Intramoenia Extra Art, Castelli di Puglia; La luce come corpo, Galleria Peccolo, Livorno; XIV e XV Biennale d’Arte Sacra Contemporanea, Museo Stauros d’Arte Sacra Contemporanea, San Gabriele, Isola del Gran Sasso (Teramo); Videoart Yearbook 2007 e 2006, Bologna. Una fitta bibliografia storicizza il suo lavoro. Tra pubblicazioni più recenti: P. Aita, Accanto al meno, un ipotesi nell’arte contemporanea, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (CZ), 2013; G. Gellini, Temporary Installations /Light Art in Italy 2012, Maggioli Editore, 2013; AA.VV. G. De Mitri / Oltre nella luce, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Cz), 2012; Giulio De Mitri / Il grande mare, Libro d’artista, Edizioni Peccolo, Livorno, 2012; B. Corà, Giulio De Mitri / La luce come corpo, Edizioni Rubbettino, Soveria Mannelli, 2010; T. Coltellaro, Fatti d’Arte, un percorso nel contemporaneo tra arte, società e territorio, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Cz), 2010; P. Marino, Giulio De Mitri / Energia, opere 2005-2007, ARSMAC, Taranto, 2007; A. d’Avossa, Giulio De Mitri / Segni di mare, Muspac Edizioni, L’Aquila, 2006; L. P. Finizio, Giulio De Mitri / Materiale e immateriale / Opere 2002-2004, Edizioni Peccolo, Livorno, 2005; M. Cristaldi, Materia Immateriale. Identità, mutamenti e ibridazioni nell’Arte nel nuovo Millennio, Edizioni Peccolo, Livorno, 2003. Sue opere sono presenti in Musei, collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.

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L’ACCADEMIA

DOMENICO BRUNO

Matera, 1992

Si è diplomato al Liceo Artistico di Matera e ha conseguito la Laurea triennale in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Lecce, dove frequenta nella stessa sezione il Corso specialistico. Ha partecipato a una serie di estemporanee e a mostre collettive tra cui Il Sallentino, tenutosi recentemente nell’ex Convento dei Teatini a Lecce. Vive e lavora tra Lecce e Ferrandina (MT).

ENRICA CIURLI

Galatina (LE), 1988

Diplomata in Ceramica presso Istituto d’Arte di Lecce, nel 2010 si è laureata in pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma. Si è specializzata in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce e nell’ottobre scorso è stata premiata con una menzione speciale al X Premio Nazionale delle Arti a Bari. Recentemente ha conseguito il Premio Rock the Accademy per The Others a Torino. Vive e lavora a Lecce.

GRAZIANA MARINUZZI

Bari, 1989

Si è diplomata al Liceo Artistico di Bari, nel Marzo 2012 si è laureata in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, dove nell’ottobre del 2013 ha conseguito il Diploma Specialistico. Tra le mostre collettive: Noi e gli altri, l’iniziativa degli studenti dell’Accademia leccese iscritti al corso di Antropologia delle società complesse. È stata selezionata per il X Premio Nazionale delle Arti, tenutosi a Bari nell’ottobre scorso. Vive e lavora a Bitritto.

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MARIANGELA MARRA

Zurigo, 1980

Laureata in Decorazione presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, ha partecipato a una serie di mostre collettive, tra cui: ExpoArte a Bari (2012); Il Sallentino e Creativi in centro entrambe a Lecce (2013). Partecipa alla mostra More Real than the Real nell’ ambito del progetto CreArt. Network of cities for artistic creations. È stata selezionata tra i vincitori della Terza edizione del premio Emilio Notte a Ceglie Messapica. Vive e lavora a Supersano (LE).

FRANCESCO ROMANELLI Trani, 1987 Si è diplomato in Disegno industriale/Ceramica presso l’Istituto d’Arte di Corato (BA). Dopo aver frequentato la facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Bari, nel 2011 si è laureato in Pittura dell’Accademia delle Belle Arti di Lecce, dove attualmente vive e lavora. Ha al suo attivo una serie di mostre collettive e una personale, Pagine Sparse, negli spazi del Km97 sulla Lecce-Novoli.

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I CRITICI

ANTONIO BASILE Insegna Antropologia culturale nell’Accademia di Belle Arti di Lecce. Nella stessa istituzione dal 2004 - 2005 tiene gli insegnamenti di Sociologia dell’arte e di Economia, mercato e promozione dell’arte. Ha fatto parte del Comitato Nazionale per la “Tutela e la valorizzazione della lingua e dei patrimoni culturali delle minoranze etnico linguistiche in Italia” ed è autore di numerose pubblicazioni. Suoi articoli sono stati pubblicati su riviste, quotidiani locali e nazionali quali: “Corriere del Giorno”, “Segno”, “Arte e critica”, “Cenacolo”. Collabora con Istituti Culturali ed Enti locali nello specifico dell’arte contemporanea e dei beni demoetnoantropologici.

MARINILDE GIANNANDREA Laureata in Storia dell’Arte contemporanea presso l’Università di Bari, insegna nel Liceo Artistico di Lecce. Critico d’arte, nel 2008 fatto parte della giuria della Biennale dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo e collabora dal 2005 con il “Nuovo Quotidiano di Puglia”. Ha curato numerose mostre e rassegne tra cui Senso Plurimo, giunta quest’anno alla quinta edizione. Recentemente ha curato la sezione visiva del Teatro dei Luoghi dei Cantieri Teatrali Koreja con una performance di Luigi Presicce e attualmente collabora con la Fondazione Museo Pino Pascali di Polignano a Mare per il progetto Art in Port.

ROBERTO LACARBONARA Giornalista e curatore indipendente opera in Italia. Come young curator della Fondazione Museo Pino Pascali sta collaborando al progetto Art in Port. Insegna Estetica all’Accademia di Belle Arti “Fidia” (VV). Tra i progetti recenti, il Premio Pino Pascali – Nathalje Djurberg & Hans Berg e la mostra personale di Yukoh Tsukamoto. Oltre a numerose monografie di artisti contemporanei, ha pubblicato il saggio Oltre l’identità. Etica ed estetica del postumanesimo (Alpes, 2011) e Una squisita indifferenza. Dialoghi con Alberto Burri (Favia, 2012). Dirige la collana “Arti visive” dell’editore Pietre Vive.

LORENZO MADARO Laureato in Storia dell’arte contemporanea presso l’Università del Salento, consegue il Master di II livello in Museologia, museografia e gestione dei Beni Culturali all’Università Cattolica di Milano. Critico d’arte, collabora dal 2010 con “La Repubblica” - Bari. Scrive anche per “Exibart”. Nel 2012 ha curato, con Rosalba Branà e Antonello Tolve, il Premio Pascali, con una mostra dedicata a Mat Collishaw. È direttore artistico del progetto europeo CreArt per il Comune di Lecce e docente, nell’anno accademico 2013-2014, di Storia e metodologia della critica d’arte all’Accademia di Belle Arti della città salentina. | 62


MARINA PIZZARELLI Storica dell’arte è stata a lungo docente nelle Accademie di Belle Arti di Urbino e di Lecce. È una delle protagoniste della critica d’arte pugliese e ha incrociato l’attenzione alla dimensione regionale con quella nazionale e internazionale. Cura mostre e rassegne per gallerie, istituzioni pubbliche e private. Come docente dell’Accademia di Lecce ha sostenuto numerose generazioni di giovani artisti ed è autrice di numerose pubblicazioni e testi critici. Ha ideato e curato le dieci edizioni di Art Woman con le quali ha portato a Lecce artiste internazionali, contribuendo a una riflessione sugli sviluppi dell’arte contemporanea.

VALERIA RAHO Vive e lavora a Lecce. È curatrice e coautrice di progetti artistici multidisciplinari che riflettono i temi del paesaggio e le relazioni che connettono le pratiche delle arti visive con la sfera pubblica. Dal 2011 cura le attività dell’associazione no-profit DamageGood, di cui è fondatrice. All’interno del board curatoriale, si occupa di processi creativi collettivi e pratiche relazionali. Tra i progetti curati, Washing by watch, una rassegna dedicata al paesaggio indagato attraverso videoarte e alla fotografia contemporanea all’interno della Lavanderia Jefferson. Come giornalista scrive per “Artribune” e “Zero”.

EDOARDO TRISCIUZZI Dottore di ricerca (PhD) in Arti, Letterature e Lingue Italiana ed Europee, è Cultore della Materia in Storia dell’Arte Contemporanea all’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. È tra gli autori del volume Centrosei. Storia di una Galleria (Adda 2012). Nel 2013 partecipa alla Project Room del Museo Pascali di Polignano a Mare e alla cura della mostra La collezione De Nittis. Un dono alla città presso la Pinacoteca De Nittis di Barletta. Si occupa stabilmente di ricerche sulle relazioni tra memoria e arte contemporanea. Collabora con la Cappella Gandini di Padova e scrive per le riviste specializzate “ArtSOB” e “Inside Art”.

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Agenzia Generale di Lecce/1609




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