Cinetica e programmazione in Italia - Ricerche circa l'Op Art

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cinetica e programmazione in italia

RICERCHE CIRCA

L'OP ART

a cura di alessandro andreoni


scuola del design design della comunicazione sezione c2 a.a. 2019/2020 prof.ssa luciana gunetti prof. walter mattana storia delle comunicazioni


QUADERNO DI RICERCHE a cura di alessandro andreoni


Bruno Munari, manifesto per Centro Operativo Sincron, Brescia, 1968


introduzione

Cinetica e programmazione in Italia

Il convegno di Verrucchio del 1963 esemplifica perfettamente quale fosse la portata delle sperimentazioni programmate e cinetiche di diversi protagonisti e, soprattutto, di anonimi in gruppo. Alle prese di posizione di tali esponenti reagì, uno per tutti, Emilio Vedova, artista presente al Convegno non legato a ricerche gestaltiche, accusandoli di confondere Olivetti con Marx utilizzando, in realtà, oggetti da boutique di lusso1. Grazie a questo incontro-scontro fra artisti e critici, divenne chiara la crisi generale riguardo l’arte e la critica, nell’insistente tentativo di trovare della filosofia per definire l’arte. I nuovi metodi e strumenti rendevano necessario un ripensamento anche della metodologia critica. Le personalità che aderirono al movimento avevano infatti l’intenzione di rifondare l’approccio a ciò che non andava più inteso come arte fine a se stessa ma comunicazione con lo spettatore. Si intesero con ricerca estetica quelle operazioni rivolte a verificare sistematicamente fenomeni percettivi e a individuare e sperimentare i modi di linguaggio ai fini dell’ottimizzazione dei mezzi di comunicazione. Intenzione di questo quaderno è quindi compiere ricerche nel campo dell’arte programmata e cinetica in cui si mossero personalità di spicco e gruppi italiani, di particolare interesse, perché trovarono spazio in un periodo, come quello degli anni Settanta, apparendo come esperienza contrapposta a quella della Pop Art. Il quaderno, di contro, porterà brani a supporto del fatto che, nonostante una sorta di disimpegno apparente, i progettisti italiani che ne furono protagonisti non affrontarono solo questioni estetiche ma invece si impegnarono in questioni professionali e progettuali che, nonostante il movimento si esaurisca in un decennio, rimasero radicate nel tessuto del design italiano. Queste individualità fecero del gruppo il luogo fondamentale della progettazione, della scienza il metodo di ricerca delle soluzioni più spredable ed esperibili da chiunque e del design il fine per una produzione di artefatti che non fossero solo pezzi unici ma riproducibili in multipli. Il quaderno trova quindi cardini del design contemporaneo proprio nella meteora di questo movimento grazie a personalità che, nonostante nella maggior parte dei casi lasciarono per strada queste sperimentazioni gestaltiche eccessivamente sistemiche e rigorose, dall’esperienza degli anni Settanta trassero un metodo di progetto che condivisero e completarono con i lavori degli anni successivi. Gli studiosi ed i progettisti, che propongo lungo le tre sezioni di ricerca, seppero stendere testi critici, contemporanei agli eventi o postumi, che ben esemplificano i principi messi in atto dalle persone del movimento. 1 E. Vedova, in Atti del XII Convegno Internazionale Artisti, Critici e Studiosi d’Arte, Rimini, Verucchio, San Marino 1963, pp. 201-211

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sezione 1

MOTO E MOVIMENTO

indice

Alessandro Andreoni | Ricerche circa l'Op Art

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ipotesi su nuove modalità creative

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arte programmata

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l'arte cinetica in italia

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basic design - fondamenta del design

Umbro Apollonio | 1963

Laura Vinca Masini | 1965

Lea Vergine | 1973

Giovanni Anceschi | 2015


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FONTI

sezione 3

PROGRAMMAZIONE

sezione 2

PERSONE CINETICHE

Cinetica e programmazione in Italia

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la forma del disordine di munari

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after effects - film di ricerca

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gruppi minori nel panorama italiano

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estetica e attualità di biasi

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enzo mari, o del progetto critico

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reliefs and constructions

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multipli

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a new look at op art

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apparentemente una meteora

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Archivi, cataloghi, manuali e altre pubblicazioni, riviste

Umberto Eco | 1962

Bruno Munari, Michele Piccardo, Gaetano Kanitsa | 1969

Giovanni Granzotto | 2012

Alberto Pasini | 2014

Giuseppe Lotti | 2015

William C. Seitz | 1965

Bruno Munari | 1971

Johannes M. Zanker, Robin Walker | 2004

Giovanni Granzotto | 2012


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moto e movimento

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Alessandro Andreoni | Ricerche circa l'Op Art

IPOTESI SU NUOVE MODALITÀ CREATIVE umbro apollonio | 1963

[…] Per quanto attiene all’effettivo movimento visualizzato pare opportuno osservare che esso ha ascendenze molto lontane nei secoli, da far risalire fino ai congegni di Erone di Alessandria vissuto nel I secolo av. Cr. Si danno poi, un po’ in tutte le epoche, esempi di ordigni che hanno finalità magiche, rituali o mondane. La Domus Aurea di Nerone era anche fornita di dispositivi mobili e il Palazzo di Costantinopoli vantava molti giochi meccanici. Le storie raccontano che nel X secolo d. Cr. il trono di Costantino VII si alzava al ruggito di due leoni di bronzo, mentre tra gli alberi pure di bronzo che lo fiancheggiavano cantavano uccelli meccanici. Il Medioevo islamico è ricchissimo di invenzioni e d’oggetti in movimento, né meno nota è la genialità degli automi indiani e cinesi il cui carattere è massivamente fantastico. Esiste poi, già nel 1200 un trattato sugli automi di al-Gazari, che si serve pure degli insegnamenti di tradizione alessandrina e bizantina come di un testo arabo, andato perduto. Ora, in questi casi e negli altri reperibili in tempi successivi, il manufatto (orologi, androidi, giuochi d’acqua) molte volte non supera la limitata area di una produzione curiosa, ma diversi esempi si segnalano tuttavia per qualità eccezionali di attrattiva artistica, e proprio questi provano che arte e tecnica possono allearsi per una creazione estetica. Tale unicum rivela la sua realtà in forza del suo movimento, perché solo così visto esso, nello scomporre e ricomporre un ritmo, provoca le emozioni che, per efficacia suggestiva, sono paragonabili a quelle instaurate dalla danza o da altro spettacolo che esclude da sé una esistenza statica: diciamo teatro o film. Che poi la forma artistica non debba essere di necessità immobile, l’aveva già detto Alberto Magno sette secoli fa, e quindi nulla vieta di riferirsi al filosofo domenicano per ammetter la validità di ciò che si propone di attuare il Gruppo T quando asserisce, in occasione delle sue prime manifestazioni pubbliche, che considera la realtà come continuo divenire di fenomeni che noi percepiamo nella variazione. Né in modo diverso si esprime il Group de Recherche d’Art Visuel che, contro le categorie dell’estetica convenzionale, si propone di mettere in valore l’instabilità visuale e il tempo della percezione.


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Cinetica e programmazione in Italia

Garcia Rossi, Le Parc, Morellet, Sobrino, Stein, Yvaral del Groupe De Recherche d'Art Visuel, Paris, 25 ottobre 1961


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ARTE PROGRAMMATA laura vinca masini | 1965

Va crescendo l'interesse, da parte di artisti e di critici, per questo campo di esperimenti e ricerche, cui il nome di arte programmata dà una suggestiva ed approssimativa definizione. Nuovi sviluppi stanno maturando. Dei valori e dei limiti di queste ricerche, delle origini e delle possibili applicazioni ed estensioni, dei protagonisti, queste pagina danno uno scorcio. […] Si potrebbe obiettare – concludevamo con Bruno Munari, uno dei protagonisti e dei pionieri di queste tendenze in Italia, che compie, si potrebbe dire, funzione catalizzatrice – che ogni opera d'arte è sempre stata programmata, quando si intendeva per programma l'intenzionalità di una conduzione formale che porti certi risultati percepibili e comprensibili; e che ogni opera d'arte è sempre stata cinetica – almeno virtualmente – nel senso della molteplicità di condizioni di visione, secondo l'angolo visuale, secondo la luce, la distanza, ecc.; e che ogni opera è sempre stata visuale, perciò "aperta", perché postula l'intervento diretto dello spettatore (o fruitore), che la interpreti e ne partecipi. Basterebbe a spiegare questo concetto il fatto che ogni momento storico diverso porta ad una diversa interpretazione critica, ad una diversa lettura delle opere del passato. […] Nell'ambito di queste, con più dichiarata intenzionalità di inserimento nelle strutture attuali, l'arte programmata, cinetica, visuale, tenta non solo il recupero, ma l'inglobamento dei metodi scientifici e tecnici nell'ambito del suo operare stesso, di assumerne i mezzi a fine estetico: di uccidere il demone della scienza facendone una sorta di mostro addomesticato, di meraviglia e di gioco raffinato per intellettuali, per lettori di Robbe-Grillet, ma anche per inserirsi nella vita di ogni giorno, uscendo, come arte, dall'isolamento e dalla morte dei musei, come scienza dai laboratori, come tecnica dalle applicazioni negli oggetti d'uso. Di qui i termini di programmazione, preso dalla sfera economica, di serialità delle opere (appunto, moltiplicabili, non nel senso della copia ma nella replica esatta dello stesso oggetto), tratto dall'ambito dell'industrial-design e della produzione industriale; di qui il riferimento al metodo operativo di gruppi, tratto dal team dell'architettura americana. Il rischio è quello di una mitizzazione a rovescio – o forse la necessità; chissà che proprio da questi nuovi miti non possa, alla fine, scaturire la salvezza del mondo!...


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Lara Vinca Masini, Arte Programmata, Domus, 422, gennaio 1965


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L'ARTE CINETICA IN ITALIA lea vergine | 1973

L’arte programma o cinetica ha rappresentato, come tutti sanno, un sostanziale rinnovamento del fare e dell’intendere estetico contemporaneo, inaugurando una nuova fase del divenire della visualizzazione e ampliando (tra l’altro) quella sfera della percettività ritenuta, prima, esclusivo dominio delle discipline scientifiche. Non si muove più da valori dati, ma si tende alla individuazione di valori nuovi (attraverso l’analisi dei fenomeni percettivi) e, in più, se ne programma la destinazione; alla prassi della interpretazione si sostituisce la tecnica dell’osservazione e dell’accertamento metodico; si vuole fornire alla società la possibilità di strutturare l’ambiente fenomenico nel quale l’uomo si trova vivere; si vuole condurre una ricerca sistematica per una acquisizione critica del rapporto individuo-massa. Quel che interessa i programmati è: agire all’interno del processo operativo; promuovere una metodologia informativa; organizzare elementi linguistici senz’altro significato all’infuori di quello impiegato dalla propria struttura; rendere esplicite le strutture percettive che sostengono le immagini e i messaggi legati alle immagini stesse; i rapporti tra i dati primari (già esistenti) e dati costruiti; l’opera come campione tipologico (nel senso cioè di modello); la lotta contro la mercificazione dell’arte, spostando la propria attività in una dimensione didattica e in una direzione più responsabilmente politicizzata. […] Gli autori progettano modelli che intendono svolgere una funzione sociale - la mitizzazione - ed una conoscitiva - porre il pubblico in una situazione percettiva e, pertanto, di consapevolezza. Essi mirano ad evidenziare un processo verificabile in ogni sua fase; vogliono fornire un’informazione a carattere globale del fenomeno esemplificato e l’insieme dei dati necessari a programmarlo. Connotazione dei fatti e individuazione della dinamica che spiega le leggi della loro trasformazione. Ma come è stata recepita - soprattuto da gran parte della critica - l’operazione “arte programma”? Come poesia dell’universo tecnologico, come espressione di mitologia urbana e di progressismo ottimista, come redenzione dei materiali appartenenti al mondo industriale grazie ad una razionalità purificante, come capacità di saper estrarre dai condizionamenti tecnologici, propri della nostra civiltà, esiti estetici altamente suggestivi. Ovverosia come tutto ciò che non voleva essere.


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Luciano Caramel, Ugo Mulas, Bruno Munari (a cura di), Campo Urbano. Interventi estetici nella dimensione collettiva urbana, Como, 21 settembre 1969


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BASIC DESIGN - FONDAMENTA DEL DESIGN giovanni anceschi | 2015

[…] E in Italia? In Italia vige la totale leadership del modello architettonico: la Domina Architectura regna sulle altre discipline (urbanistica, design, grafica...), pensate come ancillae atque machanicae). In Italia infatti l’insegnamento resterà in molti casi vincolato a quella che abbiamo chiamato la formula medioevale o forse orientale che si salderà con la prospettiva decostruzionista postmoderna. Una pedagogia questa che, nel suo complesso, crede poco alla possibilità della creazione di una disciplina autonoma e oggettiva nelle questioni formali. E allora in Italia assistiamo al fenomeno di un basic senza l’insegnamento, complice la mancanza di un’università del design. Il basic si è allora realizzato nell’arte o più precisamente in quella zona intermedia fra il design e l’arte. E rappresenta il recupero di un ritardo. È Bruno Munari a incarnare questa posizione. E ad avviare una ricerca che si è realizzata nell’arte concreta e soprattutto nell’arte cinetica e programmata e nell’avanguardia gestaltica. Sono abbastanza evidenti le parentele concettuali e formali che ci sono fra un risultato dell’arte cinetica come l’Ipercubo di Davide Boriani e la Sfera topologicamente non orientabile del corso di basic di Maldonado, oppure fra la Struttura Tricroma, un’opera cinetica di Giovanni Anceschi, artista programmato prima di andare a Ulm, e l’esercitazione ideata sempre da Maldonado e intitolata Concavo convesso ambiguo e piano. Nel caso delle relazioni fra il lavoro di Walter Zeischegg, docente di morfologia a Ulm e quello di Munari c’è poi, addirittura, qualcosa di più. Munari realizza l’opera Tetracono, e nel suo libro Il cerchio è pubblicata la Conosfera di Zeischegg1 . Ma ciò che l’arte cinetica e programmata aveva di davvero originale e anticipatore, e che non si può trovare nel basic design canonico, è stato: - in primo luogo, un’attenzione molto intensa per la relazione del fruitore-utilizzatore con l’oggetto (activation du spectaeur, come dicevano i colleghi del Groupe de Recherche d’Art Visuel); - e in secondo luogo, con l’avvento degli ambienti, di cui proprio il mio gruppo, il Gruppo T, è stato promotore e anticipatore, l’attenzione per l’inclusione dello spettatore nell’opera. Queste due cose si chiamano oggi interattività e immersività e 1

Bruno Munari, La scoperta del cerchio, Milano 1964, p. 25


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sono due nozioni che pratichiamo continuamente quando progettiamo interfacce e ambienti virtuali (i siti). Come sempre diceva Max Bense in un suo luogo - la teoria implicita nell’attività artistica dimostra di avere delle lunghe antenne e deve aspettare che le condizioni circostanti siano mature per diventare condivisa.

Gruppo T, Manifesto del gruppo T, 1960


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gabriele de vecchi - gruppo t

1961, URMT legno, metallo, elettromotore, cm 60x60x10 (Bassano, collezione privata)

gruppo n

1961-62, Visione dinamica rilievo in pvc su tavola, diagonali, cm 134x134 (Padova, Musei Civici)


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giovanni anceschi - gruppo t

1963, Stutturazione tricroma legno, proiettore, elettromotore, cm 52x51x51 (VAF-Stiftung)

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gianni colombo - gruppo t

1964, Stutturazione ritmica pulsante, Strutturazione quadrato pulsante, Strutturazione ritmica cerchio in espansione plexiglass, lampade, legno, alluminio, cm 62x50x50 (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna)

gruppo n

1964, Stutturazione dinamica pittura acrilica su dischi in PVC, elettromotori, cm 120x120x20 (VAF-Stiftung)


Cinetica e programmazione in Italia

gruppo n

1964, Senza titolo collage su base serigrafica, cm 64,5x65,5 (Padova, collezione Parfin)

ennio chiggio

1964, Bianco/nero acrilico su legno, cm 44x61x4 (VAF-Stiftung)

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grazia varisco - gruppo t

1962-65, Schema luminoso variabile n.2 plexiglass colorato, neon, elettromotore, cm 50x50x7 (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna)

toni costa - gruppo n

1967, Dinamica visuale polietilene su legno, cm 78x78x6 (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna)


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davide boriani - gruppo t

1965-67, Camera Stroboscopica n.3 struttura metallica a pannelli modulari e specchi, proiettori, cm 50x50x7 (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna)

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persone cinetiche

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LA FORMA DEL DISORDINE DI MUNARI umberto eco | 1962

Oh, lo sappiamo! Lo spazio-tempo e l’universo sono cose molto importanti, mentre questi sono giochi, non sempre ma spesso fatti per gioco, e infine adeguano sino a un certo punto le realtà di cui vogliono (o non vogliono, o non sanno di) essere espressione. Ma che c’entra? Qui non si fa della critica d’arte, qui si tasta il polso al tempo. La lucida follia de la Perturbazione cibernetica di Munari ha infine una sola inoppugnabile giustificazione, insospettabile perché “nasce bene”. Si giustifica con una formula: l'arte imita la natura. Salvo che in questo caso l'arte non imita quella natura che per abitudine percettiva vediamo tutti i giorni, ma quella che concettualmente definiamo in laboratorio. E dunque, intendendo “natura” nel solo senso corretto possibile, l'arte imita non la natura, imita il nostro rapporto operativo con la natura, imita la natura come oggetto possibile di una nostra definizione che sa di definire non definitivamente. Posate gli occhi sulla Perturbazione cibernetica: lasciateli scorrere lentamente, entrate nel gioco di questi bastoncelli in rotazione, fatevi prendere prigionieri da questo simbolo grafico perfetto come quello esoterico del serpente che si morde la coda, dato che la posizione finale coincide con quella iniziale e la parola con cui il discorso grafico si apre si salda con quello con cui si chiude. Entrate dunque in questo spazio curvo finito e illimitato. E ora cercate di distogliere lo sguardo, di riposarlo su di un solo particolare. Non vi riuscirete più, sarete trascinati nella danza del provvisorio e del relativo, accumulerete una informazione che non si identifica con un solo significato ma con la totalità dei significati possibili, non riceverete un messaggio, ma la possibilità di tanti messaggi compresenti. E non troverete più le coordinate tranquillizzanti che vi indichino il sopra e il sotto, la destra e la sinistra. Il cosmo esplode, si espande, dove andrà a finire? L'osservatore della prospettiva rinascimentale era un buon ciclope che appoggiava il suo unico occhio alla fessura di una scatola magica nella quale vedeva il mondo dall'unico punto di vista possibile. L'uomo di Munari è costretto ad avere mille occhi, sul naso, sulla nuca, sulle spalle, sulle dita, sul sedere. E si rivolta inquieto, in un mondo che lo tempesta di stimoli che lo assalgono da tutte le parti. Attraverso la saggezza programmatica delle scienze esatte si scopre abitatore inquieto di un expading universe. Non dico che sia una bella storia. È la Storia.


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Bruno Munari, Perturbazione Cibernetica, in Almanacco Bompiani, Milano, 1962, p. 185


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AFTER EFFECTS - FILM DI RICERCA michele piccardo | 1969 Titolo

after effects

Anno

1969

Soggetto

bruno munari

Fotografia

michele piccardo gaetano Kanitsa

Collaborazione scientifica

Pellicola

35 mm, colore, muto

Duarata

3 min

Produzione

Per conto di

Versione

studio monte olimpino, como olivetti, milano

telecinema rai, originale perduto

Lo Studio di Monte Olimpino, Laboratorio di cinema di ricerca, nasce nel 1962, nella località omonima, vicino Como, per iniziativa di Bruno Munari e Marcello Piccardo. Per circa dieci anni lo Studio di Monte Olimpino, poi diventato Laboratorio, in seguito ampliato in Cineteca, infine Cooperativa di Monte Olimpino, rappresenterà un luogo distintivo della ricerca cinematografica in Italia. [...] After Effects è il film dove chiamano a collaborare anche Gaetano Kanizsa, psicologo, esperto di percezione ed esponente di fama internazionale della psicologia della Gestalt. Si tratta di un film sulle impressioni retiniche, ovvero sui colori che nascono negli occhi degli spettatori. Un film dove solo metà dei colori sono nella pellicola, l'altra metà li vede il pubblico. Una forma semplice riempie lo spazio della visione, un disco sfumato di colore rosso (poi verde, poi giallo, poi blu) su sfondo grigio neutro, con al centro un piccolo disco nero che si trasforma ciclicamente in triangolo e poi quadrato in modo sempre più accelerato per catturare l'attenzione dello spettatore, la forma principale scompare di colpo e lo spettatore continua a vedere un disco colorato di colore complementare che nella pellicola invece non c’è.


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Nella memoria mi sembra anche che a partire dal 1966 la Collina del cinema ha cominciato a girare, prima adagissimo quasi niente, poi un poco poi un poco di più, poi regolarmente come tutte le colline che hanno in cima un pesce giapponese, e adesso era una giostra con tutti quei bambini, girava più forte e si cominciava a sentire quella forza chiamata centrifuga. Saliva da lontano fin sul piano in movimento di Monte Olimpino un’onda lunga di scontento (della vita) e di speranza (nella vita) che insieme ai ragazzi abbiamo riversato in quei piccoli film. Il gruppo di lavoro del cinema di ricerca del laboratorio di Monte Olimpino si andava sciogliendo quasi senza rumore per amore di libertà e forza centrifuga. A Munari e a me non rimaneva niente: eravamo tecnicamente dipendenti dai ragazzi, non sapevamo usare una lampada, non calibrare una cinepresa, non manovrare la moviola professionale; ci mancava l’allegria e la spinta d’insieme dei ragazzi, senza di loro non potevamo più. marcello piccardo, la collina del cinema, como, nodo libri, 1992

Frames di After Effects, Studio Monte Olimpino, 1969


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GRUPPI MINORI NEL PANORAMA ITALIANO giovanni granzotto | 2012

Il panorama dei gruppi fu, però, in quegli anni estremamente affollato; senza assolutamente paragoni con il resto d’Europa. Un altro gruppo significativo, che ebbe però la sfortuna di nascere quando era già iniziato il declino del movimento, fu il Gruppo MID. Sorse nel 1964 e ne fecero parte Antonio Barrese, Alfonso Grassi, Gianfranco Laminarca, Alberto Marangoni, tutti giovanissimi, ventenni, animati dalla precisa, netta convinzione che qualsiasi operazione artistica deve essere pianificata scientificamente. La poetica del MID si fonda sul lavoro rigorosamente di gruppo, senza alcuna concessione a manifestazioni individuali, alla considerazione dell’opera come esclusivamente una “ipotesi di lavoro”, e infine alla valutazione dell’operare artistico alla stregua di studio d’equipe condotto su basi puramente scientifiche e sperimentali e divulgato attraverso tutti i più moderni mezzi di comunicazione. Le Immagini stroboscopiche del Gruppo MID, realizzano, attraverso il movimento di cilindri, variazioni di immagini geometriche che si dissolvono o sovrappongono, a seconda della velocità che noi immettiamo nel meccanismo. La volontà è quella di giungere, attraverso esperimenti programmati, ad una “scienza delle comunicazioni visive a livello estetico”. Siamo probabilmente, anche con i successivi Ambienti stroboscopici, proiettati verso un’arte futuribile e di rottura, un’arte per molti versi anticipatrice di certe esperienze attuali, ma siamo anche, nella seconda metà degli anni Sessanta, verso il declinare della parabola cinetista e dell’Arte Programmata. […] Nella poetica di quello che presto si riconoscerà e verrà riconosciuto come un gruppo a tutti gli effetti, il Gruppo Uno, la dichiarazione più importante rimane, a mio parere, l’identificazione di “superficie-forma-percezione” in un unico valore spaziale, a fronte del quale le forme degli artisti non cercano più di stare nello spazio, ma di essere esse stesse lo spazio. Fu attivo anche il Gruppo 63 che si diede un’impronta particolarmente razionalistico-geometrizzante: la ricerca secondo il programma di lavoro del Gruppo doveva svolgersi separatamente, ma confluire in un medesimo solco, tutto indirizzato verso esplorazioni e conclusioni di ordine logico-matematico, verso la definizione di moduli geometrici, che permettessero all’operare artistico di coniugarsi con l’architettura e il disegno industriale.


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Gruppo MID, Ambiente Stroboscopico, esecuzione Barrese, 1966-2012


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ESTETICA E ATTUALITÀ DI BIASI alberto pasini | 2014

[…] Apparentemente questa corrente artistica analizza in maniera personale ma anche molto rigorosa il solo problema della visione. Da questo punto di partenza nasce un forte interesse per il movimento che entra a far parte dell’opera in manifestazioni concrete, per mezzo di motori o altri congegni meccanici ed elettronici; in altri casi invece l’arte programmata sfrutta il movimento del fruitore, che spostan- dosi, ha l’impressione che la struttura irregolare dell’opera osservata si muova. In questo caso parleremo di “cinetismo virtuale”. […] L’arte cinetica muta sostanzialmente lo statuto dell’utente che, da semplice osservatore, si trasforma in parte integrante dell’oggetto artistico in quanto contribuisce al suo manifestarsi attraverso un qualunque atteggiamento. L’introduzione di tale serie d’elementi espressamente innovativi presenta di conseguenza una tendenza generale da parte della critica ad esaurire quasi interamente il significato dell’opera “programmata” proprio nelle sue premesse, dunque il risultato si manifesta nella convinzione di un’arte cinetica che appare come figlia di una società ormai sorpassata e mera testimonianza di questa, ricca di stimoli e spunti che spezzano la tradizione e il collegamento con il passato ma che, allo stesso tempo, non conferisce alcun tipo di profondità di significato. […] Ci rendiamo immediatamente conto di come questo approccio - Pasini sta trattando di Biasi - faccia svanire miseramente il concetto che tutto si risolva nell’innovazione tecnica o nella consuetudine dell’infinito-assoluto; la ciclicità di tali apparizioni, perfettamente esemplificate dalla figura del cerchio, riconduce infatti più semplicemente all’evocazione di una costrizione frenetica, caratteristica della contemporaneità. […] In un tentativo filosofico questo sistema ci posiziona all’interno di un non-luogo contemporaneo dove ogni cosa sembra nuova, affascinante, libera e dinamica e, esattamente in quanto dinamica, con ogni probabilità eccessivamente dinamica e mutevole, conferisce l’illusione di potersi prestare ad infinite possibilità e potenzialità.


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Alberto Biasi, Light Primis (Grande Tuffo nell'Arcobaleno), 1969, Archivio Biasi, Padova Prismi in cristallo, acciaio, blocchi perspex, sagomatori di luce ed elettromotori, dimensioni variabili da cm 400x400 a 600x600


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ENZO MARI, O DEL PROGETTO CRITICO giuseppe lotti | 2015

Enzo Mari ha attraversato 60 anni del design italiano. Con estrema coerenza. La sua attività di progettista, poetica e teorica è stata sempre mossa dalla volontà di forzare i limiti della professione in nome di un’esplicita tensione morale - «Io credo che se dal proprio “fare” non nasce una consapevolezza, uno scarto, tutto è inutile…», «l’etica è l’obiettivo di ogni progetto», «per me progetto vuol dire cambiare il mondo». […] Nei primi anni di attività Mari opera nell’ambito dell’Arte Programmata, insieme a figure quali Munari, studio MID di Milano e al Gruppo N di Padova, sviluppando una riflessione sulla presenza, sempre più diffusa a livello collettivo, dei risultati delle conquiste scientifiche e tecnologiche. Il nostro obiettivo, rileva Mari in questi anni, è quello di verificare sistematicamente, con procedimenti analoghi a quelli della ricerca scientifica i fenomeni artistici; di demistificare tutto l’apparato delle convenzioni di carattere estetico che ancora oggi continuano ad essere lo strumento e lo sfogo di una cultura borghese che non cerca la conoscenza ma soltanto il suo patentamento 1 . Inoltre l’artista non deve più dedicare la sua attenzione al pezzo singolo ma a prodotti che, per la loro ripetibilità e il basso costo, siano alla portata di tutti. Mari, come Munari, arriva quindi al design in maniera naturale. […] Secondo Mari la crisi del disegno industriale può essere superata a patto che la stessa progettazione assuma una carica politica. Egli rileva come le possibilità operative dell’artista siano tristemente limitate. Se un tempo esisteva uno stretto rapporto tra società ed artista che, al di là della soggezione verso chi deteneva il potere, realizzava pur sempre oggetti utili alla comunità, oggi la situazione è molto cambiata. Tra artista e società si è inserito un intermediario, la classe borghese, che richiede all’arte solo prodotti capaci di testimoniare il proprio status sociale.Quindi è necessario che la progettazione assuma un chiaro significato politico come verifica degli attuali rapporti di produzione e come sfida alle leggi capitalistiche di organizzazione del lavoro che portano alla alienazione ed alla cattiva coscienza. Si tratta di progettare oggetti la cui produzione permetta di ottenere un concreto miglioramento delle condizioni lavorative e salariali, ma, soprattutto, si tratta di rendere consapevole la classe operaia delle proprie capacità creative. 1

Enzo Mari, 9 Progetti per produzione Danese, 1960-68


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Enzo Mari, 9 Progetti per produzione Danese, 1960-68


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lucia di luciano - gruppo 63

1963, Articolazione strutturale discontinua in orizzontale e in verticale, immagini in successione 3 elementi, cm 61x62x2 (Proprietà dell'artista)

enzo mari

1963, Del disporsi con naturalezza ferro, vetro, legno plastica e elettromotore, cm 270x300x110 (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna)


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bruno munari

1964, Tetracono metallo, elettromotore, cm 26,5x20x21,3 (VAF-Stiftung)

bruno munari

1961-65, Aconà biconbì metallo, cm 98,5x74,5x78 (VAF-Stiftung)


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alberto biasi

1962-65, Dinamica circolare rilievo in PVC su tavola, diametro cm 65 (Collezione privata)

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giuseppe uncini - gruppo 1

1965, Struttura Spazio n.16 alluminio, legno, cm 97x220x36,5 (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna)

bruno munari

1966, Polariscop ferro, elettromotore plexigass, cm 50x50x15 (VAF-Stiftung)

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alberto biasi

1967, Gocce cm 182x182x5 (Padova, Archivio Alberto Biasi)

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enzo mari

1967, Struttura 746 legno, acciaio, plexiglass, cm 126x126x33 (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna)

bruno munari

1976, Curva di Peano acrilo su tela, cm 120x120x4 (Bassano, collezione privata)


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programmazione

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Alessandro Andreoni | Ricerche circa l'Op Art

RELIEFS AND CONSTRUCTIONS william c. seitz | 1965

[…] Many of the younger European artists in the exhibition have shown with the Nouvelle Tendance, an international fraternity of smaller groups initiated by an exhibition held in Zagreb in 1961. Although the members have no common program they share a desire to sweep away the mystery and sacred separateness that was the atmosphere of lyrical and tachist abstract art, striving only to "permit a confrontation with visual situa tions." They do not ask that the spectator be a rapt admirer but that he be a partner in reciprocal perceptual experiences. They try to make use of the newest methods and materials that industry has made available, the newest principles established by science, and even of mass production and distribution. They speak of the elements of their works as "information" and their compositional arrangement as "programming." In the case of the Italians of Gruppo N (recently dissolved) and the Spaniards of Equipo 57, impersonal fabrication is extended to anonymity of authorship and almost to socialism. Yet these artists are not revolutionaries; they aspire to full cooperation with the modern world and are open to almost any application of their creativity. […] It is impossible to generalize about individual artists. For many, perceptual abstraction is only a means, one to which they may have given hardly a passing thought. But it can be said without falsification that, seen together, these works inaugurate a new phase in the grammar of art that has already spread among free-brush abstract as well as figurative painters and has had its effect on sculpture too. Every new development merges at its periphery with other tendencies; purity is not necessarily a virtue in art. It is clear also how close to the border of science and technology some of the "hardcore" optical works are, and they remind us at the same time how close to art are some of the images of science.


Cinetica e programmazione in Italia

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William C. Seitz (a cura di), The responsive eye, catalogo della mostra, New York, The Museum of Modern Art, The Case Hoyt Corp., New York, 1965, designed by Joseph Bourke Del Valle

MoMA 757 c.2

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Alessandro Andreoni | Ricerche circa l'Op Art

MULTIPLI

bruno munari | 1971 CHE COSA SONO I MULTIPLI I multipli sono degli oggetti a due o più dimensioni progettati per essere prodotti in un numero limitato o illimitato di esemplari, allo scopo di comunicare, per via visiva, una informazione di carattere estetico ad un pubblico vasto e indifferenziato. CHE COSA NON SONO I MULTIPLI Non sono le già note “riproduzione d’arte”. Non sono la riproduzione meccanica di un originale fatto a mano. Questo tipo di riproduzioni, fatte anche loro allo scopo di diffondere delle informazioni estetiche (in gran parte già note), sono però sempre inferiori all’opera originale fatta a mano dalla quale è stata fatta la riproduzione meccanica. E’ abbastanza ovvio considerare che la riproduzione di una pittura o di una scultura non sarà mai simile all’originale, anche se è un calco, per la scultura, o una riproduzione in grandezza naturale per la pittura. Il “pezzo unico” è proprio tale in quanto irriproducibile. In tutti i musei del mondo possiamo trovare queste riproduzioni che vengono infatti considerate come un surrogato dell’opera unica esposta nel museo. Chi compera una di queste riproduzioni sa quindi benissimo che non ha in mano un esemplare di una famiglia di X esemplari uguali, bensì la copia di un capolavoro che non potrà mai avere. PERCHÉ SI FANNO I MULTIPLI Questi oggetti che si chiamano multipli, o opere moltiplicate, sono fatti per trasmettere, per comunicare una informazione di carattere estetico che non potrebbe essere trasmessa meglio in altro modo. Sono fatti per far capire, per via visiva, un fatto estetico. Il loro scopo è quello di diffondere anche semplici nozioni di ottica, di percezione cromatica, fenomeni di accumulazione, di distorsione, di incredibili problemi topologici, e di tanti altri aspetti della natura finora inesplorati. Uno degli aspetti più importanti dei multipli è quello della partecipazione da parte del pubblico con, o attraverso, l’oggetto a funzione estetica. Il pubblico infatti, manipolando un multiplo si rende conto in modo diretto di un certo fenomeno che poi resterà nella sua memoria e gli farà vedere il mondo in cui vive in un altro modo.


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Cinetica e programmazione in Italia

Bruno Munari, manifesto per Centro Operativo Sincron, Brescia, 1970


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Alessandro Andreoni | Ricerche circa l'Op Art

A NEW LOOK AT OP ART

johannes m. zanker, robin walker | 2004 Vivid motion illusions created by some Op art paintings are at the centre of a lively scientific debate about possible mechanisms that might underlie these phenomena. Here we review emerging evidence from a new approach that combines perceptual judgements of the illusion and observations of eye movements with simulations of the induced optic flow. This work suggests that the small involuntary saccades which participants make when viewing such Op art patterns would generate an incoherent distribution of motion signals that resemble the perceptual effects experienced by the observers. The combined experimental and computational evidence supports the view that the illusion is indeed caused by involuntary image displacements picked up by low-level motion detectors, and further suggests that coherent motion signals are crucial to perceive a stable world. […]The minimalistic explanation of the motion illusion perceived in Riley’s ‘Fall’ put forward here is rooted in the fact that there are no prominent visual features, such as low spatial frequency components, in the highly repetitive pattern, which on the other hand is not homogeneous enough to provide a single dominating motion detector response when the image is displaced. Therefore no coherent signal is available that could be used to correct for retinal image shifts from small involuntary saccades. Instead, almost any such image displacement would end up with (spatially contiguous) regions that experience a 90 phase shift of the periodic patterns, which creates strong signals in motion detectors receiving their input from those regions. It should be noted that cause and effect are difficult to separate because small involuntary or corrective eye movements that could be caused by image instability would lead to further image displacements that may trigger further saccades. However, it is important to appreciate that the strong, irregular and highly characteristic patterns of motion signals conceal the actual image displacement, and thus cannot be exploited to stabilise gaze! Since saccades may come in a wide range of directions and amplitudes, there will always be distinct and meaningful variations of the speed and direction of local motion signals, and the observer will see neither a static pattern nor a coherently moving one, but experiences an intriguing mix of motions in incoherent directions.


Cinetica e programmazione in Italia

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Getullio Alviani, Superficie a testura vibratile, 1970


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Alessandro Andreoni | Ricerche circa l'Op Art

APPARENTEMENTE UNA METEORA giovanni granzotto | 2012

Per tutta la prima parte degli anni Sessanta, dunque, l’ascesa e il successo di questa galassia, che rappresentava ben più che un movimento, fu davvero inarrestabile: abbiamo già visto in Europa e in America. In Italia l’entusiasmo espositivo fu perfino maggiore: le mostre, dopo quelle ai negozi Olivetti, ai negozi Danese, le Biennali e i premi di San Marino, le Biennali veneziane, le innumerevoli mostre in galleria, nei musei, nei negozi Gavina in giro per l’Italia: Padova, Genova, Torino, Venezia, Trieste, Roma, Bologna, Firenze, etc. Ma fra il 1964 e il 1965, in realtà, era cominciata l’eclissi. Il Gruppo T chiude la serie di mostre “Miriorama” nel 1964; il Gruppo N di fatto ha concluso la sua parabola nello stesso anno, nonostante alcuni successivi tentativi di rianimazione; il Mid dopo solo due anni si rivolge esclusivamente al campo del design e i gruppi romani o si sciolgono o si trasformano in un’altra proposta operativa. Molti dei singoli componenti si allontanano in toto da questa esperienza, altri continuano, ma quasi a mezzo servizio, solo Munari, continuando il proprio anarchico procedere, Alviani, Biasi, Colombo e Grazia Varisco, proseguono con un certo accanimento la loro avventura artistica. I motivi di questa stupefacente parabola sono stati più volte dibattuti e apparentemente risolti. Il sistema dell’arte aveva accolto con grande interesse l’Arte Programmata perché questa sembrava rappresentare il tempo nuovo, la modernità, il futuro, ed era accompagnata dai vettori fondamentali del progresso: la scienza e la tecnologia. Il sistema dell’arte, però, come tutti i sistemi, non poteva non espellere, dopo averlo annusato e studiato, il cavallo di Troia che aveva cercato di cooptare. Non poteva acconsentire alla propria distruzione, men che meno all’autodistruzione. […] E poi il lavoro di gruppo non può essere eterno, non si può prescindere dal mercato, nel medio periodo non resta l’idea dell’opera, ma l’opera finita; meglio se un’opera d’arte. […] Nonostante l’impressionante, velocissimo declino, le motivazioni, le idee, i progetti di quel movimento non cessarono di esistere. Troppo profonde e radicate nella società erano quelle radici, e troppo significative ne erano state le espressioni, e le proposte operative.


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Cinetica e programmazione in Italia

In questi ultimissimi anni le problematiche relative al rapporto fra percezione visiva, risposte psico-emotive e creatività stanno nuovamente ritornando al centro del sistema dell’arte. Il mondo è cambiato, ma non si smetterà mai di programmare la fantasia.

Gruppo T, 1961, foto di Ugo Mulas, formalmente mai sciolto, firma la sua ultima opera collettiva nel 1968


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studio bogeri 1958, Pirelli inverno cm 31.5x23 per Pirelli, Milano

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Cinetica e programmazione in Italia

gruppo t

1960, Catalogo mostra Miniorama 6 Galleria Patern, Milano

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bruno munari

1962, Catalogo mostra Arte programmata per Pirelli, Milano

Alessandro Andreoni | Ricerche circa l'Op Art


Cinetica e programmazione in Italia

enzo mari

1962, Packaging Lanificio somma per Lanificio di Somma

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enzo mari

1963, Arte Programmata cm 85x60 per Olivetti, Milano

Alessandro Andreoni | Ricerche circa l'Op Art


Cinetica e programmazione in Italia

enzo mari

1966, Freud opere cm 22,5x14 Editore Boringhieri, Torino

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Alessandro Andreoni | Ricerche circa l'Op Art

studio bogeri

1960, Marchio Lanificio di Somma per Lanificio di Somma, Varese

francesco grignani

1969, Marchio Centro San Fedele per Centro San Fedele, Milano


Cinetica e programmazione in Italia

studio bogeri

1969, Marchio Studio Bogeri Studio Bogeri, Milano

massimo vignelli 1972, Marchio per Textfi

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CATALOGHI

ARCHIVI

fonti

Alessandro Andreoni | Ricerche circa l'Op Art

Aiap Archivio Gragica Italiana Archivio Varisco Gabriele De Vecchi Kinetica Art fair Monoskop Monte Olimpino MunArt op-art.co.uk Sincron Studio d’arte Gr

AA. VV., Arte Programmata E Cinetica. Da Munari a Biasi a Colombo e…, catalogo della mostra, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Il Cigno GG Edizioni, 2012 Elsa Dezuanni, Giovanni Granzotto, Ennio Pouchard (a cura di), Arte Scienza Progetto Colore, catalogo della mostra, Treviso, Museo Civico di Santa Caterina, GMV Libri, 2009 Giovanni Granzotto e Antonella Ranaldi (a cura di), Alberto Biasi a San Vitale. La luce e gli ambienti della storia, catalogo della mostra, Ravenna, Museo Nazionale e Mausoleo di Teorodico, Roma, Il Cigno GG Edizioni, 2014 Giovanni Granzotto, Alberto Pasini (a cura di), The Sharper Perception. Dynamic Art, Optical and beyond, catalogo della mostra, New York, GR Gallery, Dario De Bastiani Editore, Treviso, 2016 Marco Meneguzzo (a cura di), Arte programmata. Opere moltiplicate, opera aperta, arte cinetica, catalogo della mostra, Galliate, Museo Angelo Bozzola, Fumagalli, Bergamo, 2000 Bruno Munari, Dichiarazione di principio e di metodo sul lavoro dell’artista, catalogo della mostra Arte programmata e cinetica 1953-1963 – L'ultima avanguardia, a cura di Lea Vergine, Palazzo Reale, 4 novembre 1983 – 27 febbraio 1984, Milano, Ed. Mazzotta, 1983, p. 176 William C. Seitz (a cura di), The responsive eye, catalogo della mostra, New York, The Museum of Modern Art, The Case Hoyt Corp., New York, 1965


MANUALI e ALTRE PUBBLICAZIONI

Daniele Baroni, Maurizio Vitta, Storia del design grafico, Longanesi, Bergamo, 2003

RIVISTE

Cinetica e programmazione in Italia

Umbro Apollonio, Ipotesi su nuove modalità creative, Quadrum, 14, 1963

Letizia Bollini, Carlo Branzaglia (a cura di), No Brand More Profit / Etica e Comunicazione, Aiap Edizioni, Milano, 2003 Federica Boragina, Il convegno di Verucchio del 1963 e il dibattito critico nel mondo dell’arte contemporanea, Arte Italiana 1960-1964, Scalpendi Editore, Milano, 2017 Christine Chiou, Investigating the “Blurry” Territory of Graphic Design. A Look at the Simultaneous Realities of Illusions within the Moiré Effect, tesi di master, relatrice Angela Norwood, York University, Toronto, a.a. 2016/2017 Umberto Eco, La forma del disordine, Almanacco Bompiani, Milano, 1962 Bruno Munari, Codice Ovvio, Einaudi, Torino, 1971 Bruno Munari, Lettera al Gruppo N, Milano, 20 dicembre 1961 Marcello Piccardo, La collina del cinema, Como, Nodo libri, 1992 Pier Paolo Peruccio, Dario Russo (a cura di), Storia hic et nunc. La formazione dello storico del design in Italia e all’estero, Allemandi, Torino, 2015 Hajime Ouchi, Japanese optical and geometrical art, Dover, New York, 1977 Gruppo T, Miniorama 1. Manifesto del Gruppo T, Milano 15 gennaio 1960 Lea Vergine, L’arte cinetica in Italia, conferenza, Galleria Nazionale d’arte moderna, Roma, 11 marzo 1973

Alessio Fransosi, La fragile idea: Enzo Mari e la Divulgazione delle esemplificazioni delle ricerche, “Ricerche di S/Confine”, 2, 2013, pp. 99-110 Giuseppe Lotti, Enzo Mari, o del Progetto Critico, Firenze Architettura, 1, 2015, pp. 150-157 Lara Vinca Masini, Arte Programmata, Domus, 422, gennaio 1965 Annette Michelson, Artforum, Volume X, 1, settembre 1971 Johannes M. Zanker, Robin Walker, A new look at Op art: Towards a simple explanation of illusory motion, “The Science of Nature”, 91, aprile 2004, pp. 149-156

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