God is in the Process Uomo e Macchina verso un’architettura totale
Alessandro Carabini è architetto e computational designer. Ha cofondato abacO nel 2013, studio di architettura e design con base a Parigi fortemente orientato alla ricerca. Lavora all’intersezione di persone, tecnologie e spazi. www.abaco.me
The electronics and informatics revolution, which in the sixties gave birth to a dense corpus of visionary projects, during the nineties strongly merges the practice. But in a superficial way. A deep thought on the man-machine relationship and on the brand new hybrid reality that internet is revealing is missed. Digital and material, atoms and bits are increasingly weaving. Today the revolution is done. Thanks to the emergence of new technologies that make the creative and productive process simultaneous, we talk about “postdigital” and new materiality. Inputs and outputs are coincident. In the epoch of planetary computation and the affirmation of science, it is necessary a 2.0 update of the profession but also the creation of a critical thinking, and never forgetting that the only human resource that enables us to control the machine is creativity.
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di Alessandro Carabini
egli anni ’60 del secolo scorso i laboratori di ricerca di alcune università d’avanguardia si dotano di strumenti e macchine destinate a stravolgere, tra le altre cose, la professione dell’architetto. Come buona parte delle migliori invenzioni, sono il frutto di ricerche scientifiche stimolate da necessità militari1. Nello specifico è la US Air Force che durante gli anni della guerra fredda fi nanzia lo sviluppo di un progetto unico nel suo campo, il CADP, Computer Aided Design Project al Massachusetts Institute of Technology (MIT). In questi anni, tra quegli ingegneri, visionari, studenti e ricercatori, si sperimentano nuovi linguaggi e nuove strade in cui la componente meccanica entra in tangenza con la componente creativa umana. Nascono i primi programmi e le prime interfacce grafiche in grado di creare una connessione uomo-macchina. Tra questi Grasp e Lokat, ma è SkatchPad di Ivan Sutherland che per primo introduce logiche computazionali. L’obiettivo iniziale era quello, attraverso una visione olistica, di ottimizzare complessi processi progettuali fornendo soluzioni architettoniche. Una macchina in grado di analizzare una grande pluralità di fattori e generare automaticamente risposte progettuali. L’impiego del computer durante e in accompagnamento al processo creativo generò inevitabilmente molteplici e profonde questioni. Dibattito rinvigorito poi dalle teorie cibernetiche emergenti che prefiguravano l’impiego delle macchine per aumentare le capacità umane e dalla teoria dei sistemi che consideravano l’architettura come un complesso sistema di layer interconnessi e dinamici fondati sulla logica del feedback. In General System Theory (1969) il biologo austriaco Ludwig von Bertalanffy fornendo un’alternativa ai convenzionali modelli di crescita, mostra come in numerose discipline e in natura si applichi lo schema del feedback. Anche il matematico Christopher Alexander, uno dei padri dell’idea d’intelligenza aumentata dei cittadini per eliminare relazioni di tipo gerarchico in favore di una società perfettamente simmetrica2 , porta contributi essenziali nell’affer-
mazione del processo sulla forma, delle relazioni sull’oggetto. O meglio trasla il significato di forma, da statico oggetto a sistema operativo, stabilendo una dualità tra l’oggetto come agente computazionale e il metodo come processo computazionale. È Gordon Pask a sottolineare come l’architettura non possa essere vista come materia statica priva di alcuna interazione possibile con gli utenti, ma piuttosto debba essere considerata come la somma di sistemi attivi ambientali, sociali e culturali. Questo è un passo fondamentale per ampliare ed estendere l’orizzonte del processo progettuale importando una forte matrice computazionale. Nell’articolo The architectural relevance of cybernetics pubblicato in AD nel 1969 conclude così mettendo in relazione controller e controlled entity, ovvero designer e sistema progettato: “Ribaltiamo il paradigma di progettazione, mettendo al centro l’interazione tra l’ambiente e le persone che lo abitano al posto della consueta interazione tra il progettista e il sistema fisico che disegna.”3 Negli stessi anni Nicholas Negroponte, fondatore di Architecture Machine Group prima (1968) e del MIT Media Lab poi (1985), sviluppa il suo pensiero sull’architettura legittimando la macchina come componente fondamentale del progetto e considerando il progettista dotato di un’intelligenza accresciuta tramite le nuove tecnologie a disposizione. In tale ottica ArcMac avrebbe dovuto avviare un dialogo destinato ad alterare le tradizionali dinamiche uomo-macchina. Non si tratta di sostituire il designer con una macchina autonoma in grado
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non si tratta di sostituire il designer con una macchina autonoma in grado di riprodurre un processo creativo, poiché l’intelligenza artificiale implica una dipendenza
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di riprodurre un processo creativo, poiché l’intelligenza artificiale implica una dipendenza. “Le macchine, per contribuire ad un umanismo ambientale, devono avere un dialogo naturale con il progettista perché hanno bisogno delle sue metafore e delle sue idee immutate. Il dialogo si fonda su di un sistema di tipo computeraided, non computerised. Il sistema di conseguenza deve includere un processore, alcuni sensori ed attuatori, e un’intelligenza.”4 L’intelligenza per Negroponte non è una qualità passiva, ma attiva, espressa dai comportamenti e accresciuta nel tempo. In Soft Architecture Machine del 1976 Negroponte si spinge oltre mettendo in dubbio prima la necessità ed il ruolo del designer, aprendo ad un mondo in cui ogni individuo diventa designer. Poi l’architettura stessa. E qui Negroponte ha un’enorme intuizione. Immagina un futuro in cui le machine non soltanto dialogheranno con le persone durante il processo creativo, ma entreranno esse stesse nell’architettura. Gli uomini vivranno in macchine sofisticate capaci di rispondere e adattarsi ai bisogni dell’utente.5 Il progetto SEEK esposto a New York nel 1970 fu la materializzazione di queste idee. La rivoluzione elettronica ed informatica di questi anni si risolve in un’enorme e utopico corpus di progetti incredibilmente creativi e visionari. Come in tutti i campi artistici, anche in architettura sono anni fertili. Architetti come Yona Friedman e Cedric Price si nutrono di tali frammenti di innovazione tecnologica e del pensiero e la traducono in progetti, sulla carta, memorabili. Fra i grandi interpreti empirici delle nuove opportunità offerte
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dall’informatica all’architettura uno è proprio Price. Proponendo un’architettura dell’improvvisazione costituita di strutture temporanee e mobili a seconda dell’interazione con gli utenti, il progetto del Fun Palace è in grado di adattarsi alla costante evoluzione dei programmi grazie alla capacità del sistema di apprendere, anticipare e adattarsi. Grazie quindi al computer e a tutto ciò che porta con sé, in una nuova generazione di architetti e tecnologi s’innesta forte l’idea di una progettazione rivoluzionaria, aperta e inclusiva grazie ai nuovi strumenti a disposizione. All’orizzonte vi è la possibilità di superare il ruolo consolidato da sempre dell’architetto progettista-impositore per avviare processi di progettazione egualitari e consapevoli
un mondo in cui ogni individuo diventa designer. Poi l’architettura stessa. E qui Negroponte ha un’enorme intuizione
ma si tratta di episodi che per quanto innovativi, creativi ed influenti restano per lo più ai margini e non vengono recepiti ed assorbiti dalla pratica comune e dall’accademia tradizionalista
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a cui un numero molto più ampio di persone possano prendere parte.6
nello specifico riflettono il modo di integrare il computer nel processo creativo. Computerisation e computation.
“Architecture, as it is being practiced for the last two hundred years or so is gradually coming to an end. Sorry to say this: architecture is a dying profession. Software applications and robotic systems will soon become so intelligent and automated that in the foreseeable future -- in my students life time -- architects will cease to be necessary for the design and production of buildings and cities. Everything will be automated like everything else in the world, signifying gradual disappearance of the profession of architecture. All that scripting and fabrication systems that are now being explored will be child’s play in the very near future. The urgent thing that is needed the most is to learn TO THINK CREATIVELY beyond the envelope of the discipline of ARCHITECTURE as we have known it for the last five thousand years!” 7
“Il modo dominante di utilizzare i computer in architettura oggi è quello del computerisation; entità o processi che sono già concettualizzati nella mente del designer entrano, e vengono manipolati o archiviati in un computer. Quindi, la computation, come strumento di progettazione è generalmente limitato. Il problema di tale situazione è che i designers non sfruttano il potere di calcolo del computer.”8
Sono vari i fattori che hanno determinato il ribaltamento culturale che stiamo testimoniando, ma certamente la spinta più importante viene dagli sviluppi nei settori scientifici che hanno messo a disposizione del dibattito culturale e sociale un’enorme portata di innovazioni ed assunti teorici scardinando le basi di molte discipline. Come abbiamo visto già dagli anni Sessanta attraverso vari personaggi chiave si hanno le prime sperimentazioni e si gettano le basi di un nuovo pensiero e metodo aperto e generativo per operare in un mondo dinamico e complesso. Ma si tratta di episodi che per quanto innovativi, creativi ed influenti restano per lo più ai margini e non vengono recepiti ed assorbiti dalla pratica comune e dall’accademia tradizionalista. Il computer impiega decenni a diventare operativo negli studi professionali. E per la maggior parte viene usato in maniera superficiale e al di sotto delle reali potenzialità, come d’altronde indicano la strada gli sviluppatori di software che si concentrano solamente a perfezionare lo strumento di disegno computerizzato per facilitare l’esecuzione. Qui è necessario fare una distinzione fondamentale tra due parole che riflettono due approcci opposti di considerare il rapporto uomo-macchina, e più
Un approccio computazionale permette, a partire da un’astrazione iniziale, di ottenere nuove informazioni, nuovi dati, mentre l’altro contiene tante informazioni quante inizialmente fornite. E chiaramente questo si riflette nella produzione stessa dell’architettura e nella direzione fi losofica a cui i diversi approcci rimandano. Se è vero che oggi ormai la rivoluzione digitale è apparentemente compiuta, e tante previsioni sono diventate realtà, allora è necessario che la professione dell’architetto e i processi creativi di produzione dell’architettura si adeguino alla contemporaneità. Digitale e materiale, atomi e bit tendono sempre più a sovrapporsi, tanto che si parla già da tempo di “postdigital” e di nuova materialità grazie all’emergenza di tecnologie (vedi stampa 3D) che avvicinano tantissimo reale e virtuale. Input ed output quasi coincidono. Nell’epoca della diffusione planetaria della computazione è sì necessario un aggiornamento 2.0 della professione ma anche la formazione di un pensiero critico senza dimenticare mai che l’unica risorsa umana che ci consente di controllare e gestire le macchine è la creatività. Cinquant’anni dopo le sperimentazioni del MIT, non abbiamo ancora saputo ritrovare la forza innovativa che sprigionavano progetti come il SEEK, e il confronto (sul piano della prospettiva fi losofica) con la maggior parte delle ricerche attuali è impietoso. Ma oggi nel pieno di una nuova rivoluzione industriale grazie a internet e
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anche la formazione di un pensiero critico senza dimenticare mai che l’unica risorsa umana che ci consente di controllare e gestire le macchine è la creatività
abacO. Collaborative Design Studio Alessandro Carabini – Alice Braggion
ai suoi modelli collaborativi open-source e tecnologie diffuse, può realmente trovare maturità e concretezza l’idea di una progettazione “totale” come immaginavano i visionari degli anni ‘60. Totale in quanto sintesi del “dialogo naturale” con il computer, in cui l’architetto non è più impositore del proprio gusto e delle “proprie forme”, ma piuttosto una guida che si limita a controllare i processi generativi, in cui il risultato fi nale non è un prodotto della sua sola immaginazione, ma delle capacità generative dei programmi informatici. Totale nel momento in cui la creatività dell’architetto viene aumentata in sinergia all’intelligenza della macchina. Totale poiché il progetto si apre ad una molteplicità di menti e discipline molto più vasta. Per parafrasare Weinberger9, il processo creativo, secondo il modello di internet, sarà molto più creativo e intelligente della somma delle sue idee, testimoniando fi nalmente quell’attesa svolta “processuale” nella cultura architettonica.
abacO è uno studio di design e architettura fortemente orientato alla ricerca. Nato nel 2013 a Parigi dalla volontà di esplorare e connettere un flusso crescente di persone, idee, informazioni ed esperienze, abacO si distingue per un approccio transdisciplinare fortemente creativo e collaborativo. L’obiettivo non è “soltanto” di pensare oggetti e relazioni, immaginare scenari e articolare spazi. Complessità e molteplicità potenziale, celate dietro i frammenti contemporanei, chiedono di essere indagate. abacO vede nelle idee creative e innovative il più potente strumento a nostra disposizione per proiettarci in un futuro migliore. Come designers, il compito è di individuare percorsi per realizzarle. Attraverso la combinazione e l’incrocio di inputs e feedback provenienti da una pluralità di fonti d’ispirazione, mira ad in-formare il processo creativo grazie alle innovazioni emergenti – all’intersezione di spazi, persone e tecnologie. abacO lavora, collabora e condivide idee e spazi con diversi creativi provenienti da campi ed esperienze differenti. Nel 2013 è stato esposto al Fuorisalone in occasione della Milan Design Week con il progetto sugli spazi abbandonati Rovine dal Futuro e alla mostra “REplay” a Padova. abacO è curatore del libro “Be City Smart” e cofondatore/organizzatore dei workshop di computational design “Reaction” a Parigi. Attualmente, è impegnato nello sviluppo del polo e della community d’architettura e design di Volumes, un nuovo spazio di coworking parigino. abacO ha dei cantieri in Italia e Francia, e sta lavorando a progetti di ricerca che coinvolgono tecnologie di fabbricazione robotica e stampa 3d, e a modelli open source di progettazione aperta. Alessandro e Alice fanno parte dell’equipe di WeWoW, un collettivo che lavora su comunicazione visiva e strategie grafiche al servizio dell’architettura.
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NOTE 1 - Daniel Cardoso Llach, Algorithmic Tectonics – How cold war era research shaped our imagination of design, in Computation Works, AD, John Wiley & Sons Ltd, 2013, pag.18. 2 - Christopher Alexander, A city is not a tree, Ed. Architectural forum, 1965. 3 - Gordon Pask, The Architectural Relevance of Cybernetics, in AD, John Wiley & Sons Ltd, 1969. 4 - Nicholas Negroponte, Towards a humanism through machines, in AD, John Wiley & Sons Ltd, 1969. 5 - Nicholas Negroponte, Soft architecture machines, The MIT Press, 1976. 6 - Giuseppe Longhi, L’uomo e la macchina, in Marghera Multi.Faces, Tesi di Laurea IUAV, 2012. 7 - Karl Chu, Post on Facebook, 2014. 8 - Kostas Terzidis, Algorithmic architecture, Architectural Press (Oxford), 2006. 9 - David Weinberger, La stanza intelligente: La conoscenza come proprietà della rete, Codice Edizioni, 2012. IMMAGINI 01 - Sketchpad, Ivan Sutherland, 1963. 02 - SEEK Project, Architecture Machine Group, New York, 1970. 03 - Fun Palace, 1961. Cedric Price. 04 - Echord, ETH Zurich – Gramazio & Kohler, 2011-2012.
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