1968—1971 LIVE CENTRE OF INFORMATION DA POMPIDOU A BEAUBOURG
BORIS HAMZEIANPREMESSA
DAL MONUMENTO A LES HALLES DI GEORGES POMPIDOU AL CENTRO ARTISTICO E CULTURALE SUL PLATEAU BEAUBOURG
HAPPOLD E L’ORIENTAMENTO VERSO UNA STRUTTURA COMPLESSA IN ACCIAIO DI FUSIONE
PIANO+ROGERS+FRANCHINI= UN SISTEMA EDUCATIVO ALL’AVANGUARDIA PER LA RIQUALIFICAZIONE DELLA CITTÀ
P. 8 >.1
PREFAZIONE DI LAURENT LE BON
P. 10 >.2
INTRODUZIONE DI ROBERTO GARGIANI
P. 16 1.1
UN “MONUMENTO VERTICALE” A LES HALLES PER IL MINISTERO DELLE FINANZE P. 26 1.2
LA METAMORFOSI DI UN’IDEA: “UN MONUMENTO ALL’ARTE E AL PENSIERO CONTEMPORANEI”
P. 32 1.3
L’INCLUSIONE DEL MUSÉE DU XX E SIÈCLE E DELLA BIBLIOTHÈQUE DES HALLES NEL MONUMENTO PRESIDENZIALE
P. 44 1.4
L’IPOTESI DI UNA GIURIA INTERNAZIONALE DI ARCHITETTI E “UTILIZZATORI” PER INTERCETTARE LE GIOVANI AVANGUARDIE
P. 46 1.5
LA VISIONE DI LOSTE: DAL MUSEO MONUMENTO AL MUSEO LABORATORIO
P. 50 1.6
LA PROGRAMMAZIONE DI LOMBARD: UN METODO AVANZATO DI PROGETTAZIONE INTEGRATA
P. 52 1.7
BORDAZ E LA DELEGAZIONE PER LA REALIZZAZIONE DEL CENTRE BEAUBOURG
P. 53 1.8
LA GIURIA FINALE TRA DIFFICILI EQUILIBRI E UN CAVALLO DI TROIA
P. 60 1.9
PROUVÉ, JOHNSON E POMPIDOU, TRE VISIONI DIVERGENTI PER UN CENTRE
P. 72 2.1
L’INTERROGATIVO DELL’ACCIAIO DI FUSIONE PER LA CONCEZIONE DI STRUTTURE CIVILI D’AVANGUARDIA
P. 82 3.1
I PRIMI ESPERIMENTI SU COMPONENTI INDUSTRIALI, GUSCI, COPERTURE E INTEGRAZIONE URBANA
P. 104 3.2
L’IPOTESI DI UNA COLLABORAZIONE SU UN SISTEMA EDUCATIVO ALL’AVANGUARDIA
P. 108 — 3.3
LA COSTITUZIONE DELLA PIANO+ROGERS ARCHITECTS
P. 112 3.4
DISPOSITIVI FLESSIBILI PER UN AMBIENTE INTEGRATO E DEMOCRATICO
P. 126 3.5
BURRELL GALLERY: LE PRIME RIFLESSIONI PER UN CONTENITORE TRASLUCIDO PER L’ARTE
I PRIMI SCHIZZI PER IL CENTRE BEAUBOURG: UN DISPOSITIVO FLESSIBILE E URBANO PER L’INFORMAZIONE
IL PROGETTO FINALE: UN LIVE CENTRE OF INFORMATION
IL PROCESSO DI SELEZIONE: IL GRANDE GESTO PRESTIGIOSO E LA SEMPLICI TÀ ARCHITETTONICA
APPARATI
P. 146 — 4.1
LA TRATTATIVA PER LA PARTECIPAZIONE AL CONCORSO TRA LE ESITAZIONI DI ROGERS E IL MODELLO DELLA FREIE UNIVERSITÄT BERLIN
P. 152 — 4.2
L’AVVIO DEI LAVORI E IL RITORNO DI FRANCHINI
P. 156 — 4.3
UNA PIAZZA PER IL PLATEAU BEAUBOURG: UN COLLETTORE PER I FLUSSI METROPOLITANI
P. 158 — 4.4
TORRE O BARRA? STUDI PER UN DISPOSITIVO SCENOGRAFICO
P. 160 — 4.5
LA RAREFAZIONE DELL’OSSATURA E DELLA FACCIATA IN UNO SPACE FRAME VERTICALE E ICONICO
P. 166 — 4.6
LA TRASFIGURAZIONE DELLO SPACE FRAME IN UN DISPOSITIVO SCENOGRAFICO PER L’INFORMAZIONE
P. 178 — 5.1
UN POLO DI UN NETWORK PER LA CONDIVISIONE
DI INFORMAZIONI CON PARIGI, LA FRANCIA E IL RESTO DEL MONDO
P. 182 — 5.2
LA PIAZZA INFOSSATA E LA MONUMENTALIZZAZIONE DEI FLUSSI SOTTERRANEI DI PARIGI
P. 192 — 5.3
LA RIDUZIONE DELL’EDIFICIO A UNA SEQUENZA DI “SUPERFICI DI PIANO AMPIE, FLESSIBILI E ININTERROTTE”
P. 196 — 5.4
IL 3-DIMENSIONAL WALL E IL FRICTION COLLAR: DUE DISPOSITIVI AL SERVIZIO DELLA FLESSIBILITÀ
P. 202 — 5.5
LA STRATIGRAFIA DEL 3-DIMENSIONAL WALL: UN DISPOSITIVIO PER L’INFORMAZIONE E L’INTRATTENIMENTO
P. 206 — 5.6
IL SISTEMA DI CIRCOLAZIONE DI BEAUBOURG: UNA MACCHINA SCENICA E FUNZIONALE
P. 210 — 5.7
UN IMPIANTO DI CONDIZIONAMENTO PER MICROCLIMI ARTIFICIALI COSTANTEMENTE RINNOVABILI
P. 214 — 5.8
LA PREPARAZIONE DEGLI ELABORATI FINALI DI CONCORSO
P. 222 — 5.9
I PROBLEMI DI INVIO DEGLI ELABORATI DI CONCORSO CON LA ROYAL MAIL
P. 228 — 6.1 682 VISIONI PER IL CENTRE BEAUBOURG
P. 248 — 6.2
L’ANALISI PRELIMINARE DELLA COMMISSIONE TECNICA
P. 252 — 6.3
LE PREFERENZE DEI GIURATI E LA RICERCA DI NUOVE DIREZIONI CONTEMPORANEE
P. 278 — 6.4
LA PRIMA SELEZIONE TRA CONTENITORI FLESSIBILI, COLOSSALI PIATTAFORME SOSPESE E MATRICI URBANE
P. 286 — 6.5
LA SECONDA SELEZIONE: VERSO UN COMPROMESSO TRA IL RECUPERO DELLA TRADIZIONE DELLE GRANDI STRUTTURE METALLICHE E LA RICERCA DI UN DISPOSITIVO FLESSIBILE
P. 298 — 6.6
L’AMBIGUA E APPARENTE VITTORIA DELLA SEMPLICITÁ ARCHITETTONICA
P. 308 < .1 BEAUBOURG, UN’INFRASTRUTTURA PER I PROSSIMI CINQUECENTO ANNI — RENZO PIANO IN DIALOGO CON BORIS HAMZEIAN
P. 319 < .2
LA PRIMA BOZZA DELLA VISIONE DI POMPIDOU PER UN MONUMENTO AL PLATEAU BEAUBOURG
P. 320 < .3
LA SECONDA BOZZA DELLA VISIONE DI POMPIDOU PER UN MONUMENTO AL PLATEAU BEAUBOURG
P. 322 < .4
IL MEMORANDUM DI RICHARD ROGERS SULLA PARTECIPAZIONE AL CONCORSO BEAUBOURG
P. 324 < .5
LA RELAZIONE DELL’ÉQUIPE VINCITRICE DEL CONCORSO BEAUBOURG
PREFAZIONE DI LAURENT LE BON
Sin dalla sua inaugurazione nel 1977, il Centre Pompidou è stato identifcato come un luogo unico, sia per la sua architettura che per le sue molteplici possibilità di utilizzo. È sorprendente, quindi, che in più di quarant’anni non ci sia stato alcuno studio scientifco importante sulla sua storia architettonica, anche se l’opera è stata oggetto di continue citazioni, descrizioni, brevi analisi e critiche som marie. Questa lacuna appartiene ormai al passato grazie al lavoro di Boris Hamzeian, che ha dedicato la sua tesi di dottorato presso l’École Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL) allo studio della gene si e della costruzione del Centre Pompidou.
Per cinque anni, Boris Hamzeian, architetto di for mazione, si è cimentato nella disciplina della storia: ha incrociato le fonti disponibili, archivi pubblici e privati, scritti e disegni, e ha raccolto testimonian ze. Ha benefciato della complicità dell’équipe del Centre Pompidou: Jean-Philippe Bonilli, archivista, e Olivier Cinqualbre, curatore della collezione di archi tettura del Musée national d’art moderne – Centre de création industrielle. Soprattutto, si è guadagnato la fducia di Richard Rogers e Renzo Piano, quella dei loro collaboratori dell’epoca e dei responsabili della conservazione degli archivi oggi, all’interno dello studio Rogers Stirk Harbour + Partners (ora RSHP), della Fondazione Renzo Piano e della società di in gegneria ARUP.
Spettava a lui scrivere la storia della costruzione del Centre Pompidou, con tutta la complessità di que sta avventura, con tutti i colpi di scena di questa opera collettiva, ponendosi alla distanza necessaria dall’oggetto di studio e senza lasciarsi impressiona re dal carattere eccezionale di questo edifcio, che, per noi che abbiamo la fortuna di lavorarci, non smette mai di essere una fonte di stupore.
Ogni dieci anni abbiamo voluto celebrare l’anni versario dell’inaugurazione del Centre Pompidou, l’ultima volta nel 2017 alla presenza di Renzo Piano e Richard Rogers. Abbiamo anche voluto rendere omaggio alle loro rispettive carriere attraverso delle retrospettive: per Piano, nel 2000 in occasione della riapertura del Centre Pompidou dopo una campa gna di lavori; per Rogers, nel 2007, in occasione del trentesimo anniversario di Beaubourg.
Oggi, col sopraggiungere del cinquantesimo an niversario della nostra istituzione, possiamo solo accogliere con favore la pubblicazione dell’opera di Boris Hamzeian ed essere felici che il Centre Pompidou possa dare il suo patrocinio. Richard Rogers si è interessato a questa pubblicazione e la sua realizzazione è ora sostenuta dalla Fondazione Renzo Piano e dalla generosità di ARUP. La nostra partecipazione a questa iniziativa è una parte natu rale del vasto “lavoro sulla memoria di Beaubourg”
che abbiamo deciso di avviare per gli anni a venire, in un momento in cui i testimoni e i protagonisti di questa storia stanno scomparendo – pensiamo innanzitutto, con tristezza, a Richard Rogers, che ci ha lasciati alla fne del 2021 – ma anche in un momento in cui l’opera architettonica sta per essere sottoposta a importanti lavori di rinnovamento.
Desidero ringraziare tutti coloro che hanno contri buito al successo di questo libro, in particolare il suo autore, Boris Hamzeian.
La realizzazione del Centre national d’art et de culture Georges Pompidou nel centro di Parigi ha rappresen tato da subito un evento della massima importanza internazionale, tra la fne degli anni sessanta e gli anni settanta, perché gli autori di quell’eccezionale capo lavoro dell’architettura di tutti i tempi sono riusciti a fssare, nei dispositivi tecnici, negli spazi e nel funzio namento pubblico di quell’opera, le pulsioni radicali che animavano la società europea della contesta zione andata in scena nelle strade di Parigi proprio quando prendeva avvio la vicenda del concorso per la costruzione di quel nuovo e sperimentale centro di arte e cultura.
Concepito da una équipe internazionale di architetti, ingegneri e tecnici, riuniti in un asse culturale che traversava Inghilterra e Italia all’insegna di movimenti radicali e neo-avanguardistici e di pulsioni sperimen taliste per la scoperta dei potenziali creativi della tec nica, il Centre Pompidou, così come progettato dallo studio Ove Arup & Partners e da Richard Rogers, Renzo Piano e Gianfranco Franchini, sin dalle prime fasi di studio assume le sembianze di una macchi na sociale rivoluzionaria, da impiantare nel centro di Parigi. Il progetto presentato al concorso celava, sotto la sua festosa veste pop, la propria natura di ordigno politico congegnato per essere non tanto un luogo di fruizione dell’arte contemporanea come richiesto dal bando, quanto piuttosto un’emittente di informazioni per la genesi di una coscienza collettiva
e sociale alternativa, all’insegna di un pacifsmo pla netario. L’architettura veniva portata a un grado tale di identifcazione con la struttura e gli impianti che fnal mente veniva dichiarata, senza veli e senza retorica, l’essenza della ragione ultima di una disciplina che in quel momento storico era chiamata a rivedere i propri fondamenti sociali e teorici nel farsi puro riparo tecno logico all’avanguardia di uno spazio vitale primordiale. Nessuna opera d’architettura ha più osato varcare quel limite.
Il paradosso della storia vuole che proprio quell’ordi gno fabbricato da un gruppo di cospiratori anglo-ita liani sia stato accolto dalla giuria di concorso e insi gnito dal presidente francese Georges Pompidou del merito di essere costruito. La scabrosa bellezza del Centre Pompidou scaturisce proprio dalla contraddi zione politica di un progetto rivoluzionario concepito in opposizione a un potere presidenziale il quale, con una mossa a sorpresa, decide di adottarlo proprio per celebrare se stesso. Ciò che accadde durante le discussioni della giuria del concorso è quindi decisivo per comprendere i mutamenti in atto nel signifcato del progetto anglo-italiano.
Accolto secondo la tradizione francese delle gran diose opere destinate a segnare, in Parigi, un’epoca e un regime, il Centre Pompidou non sfuggirà al destino che aveva contraddistinto l’altro signifcativo monumento di quella capitale che con quel Centre ne condivide il ruolo di centro simbolico delle varie
forme del potere francese nella storia civile: il Louvre. Il coinvolgimento di architetti non francesi al progetto è uno dei tratti che accomuna quei due monumenti oferti alla capitale per diventare luoghi della cele brazione del potere. Per quanto possa sembrare paradossale, tra il progetto del Louvre e quello del Centre Pompidou assistiamo ad opere congegnate da un potere che resta analogo tanto nella struttura del sistema politico quanto nella sua emanazione attraverso l’edifcazione di un monumento nazionale. Fu una meccanica costruttiva quella che permise agli autori consultati da Jean-Baptiste Colbert di rendere celebre nel mondo il completamento del Louvre, con il virtuosismo della pietra armata del suo colonnato, e di far conoscere alle altre nazioni la forza illumina ta del Re Sole. È stata una vera e propria macchina tecnologica, sofsticata in ogni componente, quella che ha permesso di fssare nella memoria collettiva francese e internazionale la presidenza di Pompidou alla guida della nazione. Colbert aveva avvertito i suoi architetti e i suoi artisti che nessuno avrebbe dovuto ritenersi autore del Louvre, in modo che quell’opera apparisse scaturita da una volontà trascendentale in grado di immedesimarsi con il suo stesso Re. Quando il concorso per il Centre Pompidou viene aperto e si avvia la procedura della selezione del pro getto, benché la questione dell’autorialità del progetto vincitore non possieda più i tratti ideologici indicati da Colbert, comunque accadono fenomeni tali da ren
dere quell’opera un capitolo eccezionale nella storia dei monumenti civili del ventesimo secolo: un’opera senza autore.
Per scoprire le ragioni che hanno fatto sì che si pro ducesse il capolavoro del Centre Pompidou, era ne cessario compiere l’umile e scrupoloso lavoro di ricer ca che Boris Hamzeian ha saputo condurre per anni, al fne di venire a conoscenza di tutti i documenti che ora rendono possibile la comprensione compiuta di quell’opera dello stato presidenziale francese e di una particolare stagione sociale e politica europea.
I saggi dedicati al Centre Pompidou si sono molti plicati negli anni, a partire dalla sua inaugurazione, e costituiscono ormai un vasto repertorio di contributi, sebbene solo pochi di essi siano stati scritti sulla base di ricerche di archivio, che comunque sono state sempre parziali e di circostanza. Se è assodato che le verità non sono conservate negli archivi (e ammesso che esse esistano in quanto tali), comunque in quegli archivi sono riposti documenti che consentono a chi, come Hamzeian, sappia farne uso, di ricomporre la sequenza degli avvenimenti, il delinearsi dell’idea, l’avvicendamento delle proposte, i percorsi intrapresi e poi interrotti, i compromessi accettati per poter rendere tangibile la visionarietà dell’idea originaria, sino alla nascita progressiva dell’opera, giorno dopo giorno, in ofcina e in cantiere. La particolarità del momento storico scelto da Hamzeian per occuparsi del Centre Pompidou è stata tale da avergli consen
UN “MONUMENTO VERTICALE” A LES HALLES PER IL MINISTERO DELLE FINANZE
Quando si pensa alle origini del Centre Beaubourg di Parigi, oggi noto come Centre national d’art et de culture Georges Pompidou, ci si trova di fronte a un intreccio di idee e problematiche difcilmente distri cabile con le sole vicende che tra il 1968 e il 1971 conducono alla defnizione del concorso per la rea lizzazione del centro artistico e culturale destinato a sorgere sul plateau Beaubourg1. Alcune questioni erano attuali alla fne degli anni sessanta ma, in certi casi, bisogna risalire agli anni della presidenza di Charles de Gaulle oppure agli anni della Terza e della Quarta Repubblica. Nella congiuntura temporale delle origini del Centre Pompidou l’architettura con temporanea francese attraversa una fase di crisi e persegue nella ricerca di nuovi linguaggi rappresen tativi capaci di ricollocare la nazione al centro del dibattito internazionale. Il progetto di costituzione di un nuovo e prestigioso museo d’arte contempora nea, formulato sin dall’epoca del Musée du Luxem bourg, dopo circa un secolo resta ancora incompiu to, anche a dispetto della creazione del Musée na tional d’art moderne-MNAM nel 1947, e poi del Cen tre national d’art contemporain-CNAC nel 1968. Sin dal primo dopoguerra numerose istituzioni pub bliche e private straniere hanno iniziato ad acquisire i più grandi capolavori delle avanguardie pittoriche francesi sotto gli occhi di conservatori che preferi scono orientarsi sulla collezione e la conservazione dell’arte “ufciale”. Il baricentro della creazione e
della promozione dell’arte contemporanea ha ormai abbandonato Parigi, spostandosi verso nuovi poli culturali come New York, Amsterdam, Stoccolma e Berna. Tutte le principali istituzioni francesi legate alla promozione dell’arte contemporanea mancano di una sede adeguata, dal Musée national d’art mo derne allestito nel Palais de Tokyo, al Centre natio nal d’art contemporain e al Centre de création indu strielle-CCI, ospitati rispettivamente all’Hôtel Salo mon de Rothschild e al Pavillon de Marsan presso il Palais du Louvre. Parigi manca del nuovo genere di biblioteche che si stanno difondendo nelle capitali occidentali, non più identifcabili in centri di conser vazione elitari dedicati agli eruditi, ma trasformatesi ormai in centri ricreativi e informativi e persino aperti a un pubblico vasto e allargato a qualsiasi età e ceto sociale. La Francia del secondo dopoguerra manca ancora di centri, difusi nel panorama anglosassone, dedicati al design industriale, all’arredamento, al di segno e all’architettura. A qualche anno dal maggio sessantottino, infne, la società francese deve fare i conti con le conseguenze che questa rivoluzione ha prodotto negli apparati statali della cultura con la crisi del mecenatismo statale e la demonizzazione dell’educazione ufciale e del museo, percepiti come l’emanazione di un sapere borghese e autori tario dal quale occorre emanciparsi. Un tale magma di questioni aperte, impulsi inespressi e progetti inattuati trova una via d’uscita nella promozione del
la creazione artistica e architettonica sostenuta da Georges Pompidou, uomo di spicco del partito gol lista, primo ministro durante la presidenza di Char les de Gaulle e, dal maggio 1969, presidente della Repubblica Francese. È dunque a Parigi, tra il Pa lazzo ministeriale di Matignon e il Palazzo presidenziale dell’Eliseo, tra l’autunno del 1968 e l’autunno 1969, che nasce l’idea del Centre Beaubourg di Pa rigi. Questa idea non può prescindere dalla genuina e poliedrica passione che dal secondo dopoguerra Pompidou e sua moglie Claude condividono per l’arte contemporanea e che in questi anni esprimo no attraverso un’attività di collezionismo che li mette in contatto con artisti che si riveleranno cruciali per la storia del Centre Pompidou, da pionieri dell’Opti cal Art quali Yaacov Agam e Victor Vasarely, a espo nenti di spicco dell’astrattismo del dopoguerra qua le Pierre Soulages, sino a uno sperimentatore polie drico a cavallo tra arte e architettura del calibro di Friedensreich Hundertwasser 2. L’amore per l’arte of fre a Pompidou una particolare sensibilità anche nei confronti dell’architettura che manifesta, da un lato, con l’apprezzamento per il linguaggio modernista e monumentale di architetti di spicco quali Henry Ber nard, Guillaume Gillet, Fernand Pouillon e Bernard Zehrfuss, e, dall’altro, con l’intenzione di ricorrere a questo genere di architettura per rinnovare il centro storico e, così facendo, modernizzare Parigi e la Francia3. Contro la conservazione delle “vecchie
pietre” perseguita dalla frangia più conservatrice della società francese, Pompidou sente l’urgenza di un’efervescenza architettonica contemporanea che rinvigorisca l’architettura francese nel dibattito inter nazionale e, al tempo stesso, delinei il “volto di una nazione”4. “Bisogna costruire” è il motto con cui Pompidou esorta i francesi dalle pagine de Le Figa ro littéraire 5. L’opportunità di tradurre in realtà la sua visione di rinnovamento dell’architettura si presenta nel gennaio 1968 quando è chiamato a valutare i sei progetti fnalisti che la Société civile d’études pour l’aménagement des Halles de Paris-SEAH sottopo ne al presidente de Gaulle per la trasformazione del quartiere Les Halles di Parigi6. I grandi modelli, alle stiti in uno dei saloni dell’Eliseo per una riunione alla presenza delle più alte cariche del governo france se, rappresentano l’ultima tappa di un progetto di lunga data che nel 1968 si concretizza nell’ipotesi di smantellamento di una delle grandi icone della tradi zione francese delle coperture in metallo e vetro: i padiglioni realizzati da Victor Baltard su commis sione di Napoleone III per ospitare i mercati cittadi ni. Al loro posto si prefgura un quartiere comprensi vo di abitazioni, hotel, istituzioni pubbliche, edifci culturali e attività terziarie e destinato a sorgere nei pressi della fermata della linea ferroviaria regionale RER, da realizzare nel sottosuolo del quartiere. Il progetto di rinnovamento del quartiere Les Halles include anche due delle istituzioni destinate a esse
Alicia e Hiéronim Listowski et al., Progetto di riconversione dei padi glioni Les Halles di Victor Baltard in un centro artistico e culturale, hall di ingresso con dispositivi espositivi e informativi sospesi, Parigi, 1966-1968.
Alicia e Hiéronim Listowski et al., Progetto di riconversione dei padiglioni Les Halles di Victor Baltard in un centro artistico e culturale, ambienti espositivi con allestimento a pianta libera, Parigi, 1966-1968.
Immagine successiva: Alicia e Hiéronim Listowski et al., Progetto per la realizzazione di un centro polivalente nel centro storico di Parigi, 1966-1968.
L’INTERROGATIVO DELL’ACCIAIO DI FUSIONE PER LA CONCEZIONE DI STRUTTURE CIVILI D’AVANGUARDIA
Sembra quasi automatico, viene naturale, davanti al progetto vincitore del concorso del Centre Be aubourg, pensare alla collaborazione tra Richard Rogers e Renzo Piano e alla messa a punto di un progetto radicale che riversa nelle forme e nel con tenuto la carica concettuale delle neoavanguardie degli anni sessanta. In realtà l’origine di questo pro getto è a Londra, negli ufci dello studio di ingegne ria Ove Arup & Partners. Nel gennaio 1971 Ted Happold, ingegnere senior della divisione “Structures 3” presso Ove Arup & Partners, riceve dalla segretaria Monica Schmoller1 la segna lazione del concorso per il Centre Beaubourg, il cui annuncio appare nel Royal Institute of British Archi tects Journal 2 . Happold si convince immediatamen te a partecipare, incoraggiato, tra l’altro, dalla con comitanza con altre due competizioni , quella dell’e stensione del parlamento inglese a Londra e quella della nuova sede della collezione d’arte Burrell a Glasgow che, a suo avviso, starebbero impegnando a tempo pieno la maggior parte degli studi di archi tettura inglesi ofrendo maggiori possibilità di riusci ta a una ipotetica candidatura dello studio Ove Arup & Partners al concorso parigino 3. Nelle prime riunio ni dei partner amministrativi Gerry Clarke e Michael Barclay4, con il direttore di Structures 3 Povl Ahm e con gli altri ingegneri dell’equipe, prende forma l’i dea di progettare una struttura in acciaio nella qua le sperimentare, tra l’altro, la speciale tecnica della
fusione del metallo, che torna, fra gli anni cinquanta e sessanta, al centro delle ricerche ingegneristiche con piattaforme petrolifere e centrali nucleari di nuova generazione, e che, nello stesso periodo, fa il suo ingresso nel mondo dell’architettura attraverso fgure quali Frei Otto 5. La scelta di procedere verso una struttura in acciaio complessa, che si rivelerà poi decisiva nell’evoluzione dell’opera destinata a sorgere sul plateau Beaubourg, si può far risalire a questioni diverse. Structures 3 è solita defnire i temi progettuali da perseguire nei concorsi di idee in base all’analisi del bando e del curriculum di ciascuno dei giurati 6. Di conseguenza, nel caso del Centre Beaubourg, la presenza in giuria di Philip Johnson e Jean Prouvé, ritenuti i personaggi chia ve, orienta gli ingegneri verso un edifcio in metallo caratterizzato da una facciata importante e dall’uso estensivo del vetro, su ispirazione degli involucri metallici prefabbricati di Prouvé e degli involucri vetrati della Glass House e del Seagram Building di Johnson e Ludwig Mies van der Rohe7. A questa attitudine strategica si aggiunge anche il desiderio di approfondire la sperimentazione di strutture me talliche complesse che all’epoca Structures 3 aveva già avviato con competenze ancora limitate 8. A tal proposito si possono citare le travature metalliche a grande luce progettate con l’architetto Trevor Dannatt, le tensostrutture caratterizzate da speciali giunti in acciaio di fusione elaborate con Otto e Rolf
Gutbrod, come quella della sala conferenze per l’International Hotel and Conference Centre a La Mecca (1967-1974) e quella di una serie di coperture complesse ispirate proprio ai progetti di Otto tra cui fgura la tensostruttura retrattile per lo stadio del Chelsea Football Club, concepita con lo studio di architettura Richard+Su Rogers Architects, vale a dire una collaborazione che si rivelerà cruciale per la genesi del Centre Beaubourg 9
La scelta del metallo è al momento avulsa da forme di nostalgia per l’architettura ottocentesca in ferro e ghisa della tradizione francese, accantonata con poche eccezioni nel Novecento e, proprio alla fne degli anni sessanta, perfno messa in discussione, come testimonia l’imminente demolizione di uno dei suoi simboli più emblematici, i padiglioni Baltard di Parigi10.
Nel panorama delle strutture e delle coperture in acciaio con cui Structures 3 si confronta alla fne degli anni sessanta, l’interesse di Happold e colle ghi non si orienta verso le travature reticolari oriz zontali, piuttosto si polarizza su tensostrutture spe rimentali a geometria complessa e sul disegno delle loro connessioni per la cui realizzazione architetti e ingegneri, proprio a partire da Otto, stanno ripor tando in auge la speciale tecnica della fusione.
L’International Hotel e Conference Centre a La Mecca rappresenta un caso esemplare. Happold, insieme ai colleghi Peter Rice e Lennart Grut, mette a punto
una serie di giunti di acciaio di fusione per la copertura della sala conferenze dell’Hotel e per i disposi tivi di ombreggiamento delle terrazze).
A questi giunti appartengono alcuni pezzi partico lari della tensostruttura: le ali sagomate in acciaio saldate sugli alberi strutturali e i morsetti speciali disposti alle estremità e lungo i cavi di acciaio11. Pur senza la rafnatezza plastica dei morsetti di Otto, altri giunti in acciaio di fusione sono impiegati da Structures 3 nella tensostruttura composta da cavi di acciaio e cuscini gonfabili commissionata da Michael Hirst nel 1970 e destinata a un circo temporaneo di Londra12
Il tema di una grande copertura basata sull’impie go di cavi e giunti in acciaio costituisce il punto di contatto e il nucleo originario della collaborazione tra Happold e lo studio Richard+Su Rogers Archi tects nel momento in cui, i suoi fondatori Richard e la moglie Su Rogers, stavano immaginando una copertura in grado di trasformare lo stadio del Chelsea Football Club in un centro polifunzionale al servizio della comunità. Otto, nell’impossibilità di accettare l’invito dei Rogers a partecipare al progetto, segnala loro lo studio di ingegneria Ove Arup & Partners e la divisione Structures 3 con cui lavora dal 1967. Dalla collaborazione tra i Rogers e Structures 3 nasce il progetto di una grande coper tura retrattile a ombrello per lo stadio del Chelsea, composta da un telone in grado di scorrere su una
I PRIMI ESPERIMENTI SU COMPONENTI INDUSTRIALI, GUSCI, COPERTURE E INTEGRAZIONE URBANA
Nel momento in cui Ted Happold e gli ingegneri di Structures 3 valutano di partecipare al concorso per la realizzazione del Centre Beaubourg, lo studio Richard+Su Rogers Architects attraversa una fase di rinnovamento e trasformazione in cui gioca un ruolo cruciale l’incontro tra Richard Rogers e Renzo Piano.
All’epoca di questo evento, Rogers e gli altri membri del suo studio si dedicano ormai da diversi anni allo studio di involucri prefabbricati, economici e velo cemente assemblabili, concepiti per raccogliere al loro interno ambienti fessibili, adattabili a destina zioni d’uso diferenti, e organizzati su un unico pia no, sono gli “involucri per destinazioni generiche” o ( general purpose shells) di cui parla Su1. L’esperienza acquisita da Piano nella realizzazione di padiglioni e coperture, frutto pure del confronto profcuo con alcuni dei protagonisti nella realiz zazione di strutture metalliche complesse quali Zygmunt Stanislaw Makowski, Robert Le Ricolais, Richard Buckminster Fuller, Frei Otto e Louis Kahn, si rivelerà determinante nella trasformazione degli s hell in involucri di dimensioni importanti capaci di accogliere al loro interno più piani. Due sono i principi che sovrintendono alla conce zione degli shell di Richard+Su Rogers Architects, dal primo prototipo della Zip-Up House (1968) alle sue declinazioni negli ufci della compagnia Sweetheart Plastic (1969) e dell’impresa Universal
Oil Product (1969-1970), sino alla sede del proprio studio presso il 32 di Aybrook Street a Londra: il ricorso ai materiali e ai metodi dell’industria e una esplicita connotazione politica e sociale. Per la loro produzione, dalla confgurazione dell’involucro, al disegno degli impianti tecnici, i coniugi Rogers guardano ai pionieri dell’integrazione dei processi e dei materiali industriali nel mondo della costruzione e dell’edilizia. La scoperta delle Case Study Houses californiane e degli involucri metallici prefabbricati di Jean Prouvé, l’incontro con James Stirling2, la riscoperta della Maison de verre di Pierre Chareau e Bernard Bijvoet – quale modello per una forma alternativa di architettura moderna e funzionale –, e il fascino per l’architettura di consumo del grup po Archigram orientano i coniugi Rogers verso un sistema modulare basato su componenti a basso costo (“un edifcio leggero, realizzato per compo nenti”), di facile reperimento e rapido assemblag gio, provenienti dall’industria dei trasporti terresti, aerei e spaziali 3. “Abbiamo cercato di impiegare componenti già disponibili nel mondo dell’industria, come ad esempio quelle votate alla fabbricazione di container, aeromobili e caravan”, sono le parole di Su a tal proposito 4 Concepiti quali dispositivi dall’estetica tecnologica e industriale, gli shell di Richard+Su Rogers Archi tects rappresentano anche una forma di architettu ra politica e militante che vuole sostituire alla “giun
gla di calcestruzzo” metropolitana, alla “periferia senza fne” e alle tipologie edilizie tradizionali una forma di pianifcazione nuova, detta “progettazione dell’ambiente” (environmental planning), centrata sulla comunità e sull’espressione dei suoi individui5 . La componente politica e sociale alla base di questa visione insediativa deriva dalla formazione so ciologica di Su e dal fascino che lei nutre verso gli studi di Serge Chermayef, che lei e Richard aveva no conosciuto durante gli studi a Yale 6. L’attivismo politico non è estraneo a Richard. Originatosi probabilmente nella partecipazione alle manifestazioni studentesche contro la guerra del Vietnam, l’impe gno politico di Richard matura grazie alla vicinanza di Su al circolo di politici e intellettuali del partito laburista inglese e all’incontro con Ruth Elias (nota anche con il diminutivo di Ruthie), una designer di origine americana che incontra alla fne degli anni sessanta e che diventerà la sua seconda moglie7 È con una tale sensibilità politica e sociale che i coniugi Rogers concepiscono i loro shell come dispositivi riconfgurabili nel tempo secondo le ne cessità della comunità, ma anche personalizzabili nelle proprie forme, materiali e destinazioni d’uso, secondo i desideri di ogni comunità, e potenzial mente di ogni individuo. Dai sistemi di estensione lineare di organi tecnici, di unità accessorie e di padiglioni gonfabili grazie alle connessioni riconf gurabili che Reyner Banham aveva defnito Clip-On
(letteralmente “agganciabili con un clip”) e di cui gli stessi Rogers hanno ripreso la denominazione, sino a dispositivi per lo spostamento dell’intera unità Il grado di trasformazione e adattabilità degli shell si fa espressione di un potente riscatto sociale.
Della stessa carica ideologica si nutre lo spazio racchiuso nello shell. Completamente libero e privo di qualsiasi ostruzione – sia essa struttura, impian to o partizione – l’ambiente ininterrotto e fessibile disegnato dai coniugi Rogers assume i toni di un manifesto socialista, declinazione spaziale di una promessa sociale di democrazia e uguaglianza. Con l’obiettivo di una vera e propria “libertà di scelta” (freedom of choice), gli shell permettono all’individuo di autodeterminarsi modifcando il suo ambiente vitale 8 .
Mentre Richard e Su Rogers si dedicano alla pro gettazione di involucri prefabbricati, Renzo Piano, terminata l’università tra la Facoltà di Architettura di Firenze (1959-1960) e il Politecnico di Milano (19161965), si orienta sullo studio dei materiali costruttivi e dei nuovi metodi di produzione edilizia. Infatti prende servizio come assistente di Marco Zanuso, al Politecnico, per il corso di Scenografa – Tratta zione morfologica dei materiali. Parallelamente si dedica alla progettazione edilizia per componenti prefabbricate, tema questo che lo conduce a spe cializzarsi nella progettazione di coperture leggere in elementi modulari di poliestere rinforzato utiliz
Tra febbraio e giugno 1971, mentre si mettono a punto il progetto ARAM, il centro commerciale Fitzroy, il concorso della Burrell Gallery e vengono portati avanti gli altri incarichi menzionati da Rogers nel memorandum, gli architetti di Aybrook Street, ormai noti come Piano+Rogers Architects, e gli ingegneri di Structures 3 si dedicano all’elaborazione del progetto per il Centre Beaubourg. In assenza di documenti datati, non è possibile collocare tem poralmente con certezza lo svolgimento dei lavori. Secondo le testimonianze degli autori, il progetto sarebbe stato concepito nell’arco di qualche setti mana, subito a ridosso della consegna e dunque in un periodo collocabile tra metà maggio e il 15 giugno 1971, data ultima per l’invio del dossier di parteci pazione a Parigi. Che lo studio Piano+Rogers Archi tects si dedichi al concorso Beaubourg da maggio è confermato sia dalla concentrazione dell’efettivo dello studio in Aybrook Street sulle consegne suc cessive e ravvicinate di altri tre progetti – il modulo ARAM, a marzo, il centro commerciale Fitzroy, il 28 aprile, e il concorso della Burrell Gallery, il 28 maggio – sia dal trasferimento di Franchini a Londra nella seconda metà di maggio28. Pur collocando la fase cruciale dei lavori nel mese precedente alla consegna è comunque possibile che Piano, Rogers, Happold e Franchini rifettano già sulle linee guida del progetto Beaubourg nei mesi precedenti. Le testimonianze concordano nell’afermare che la
messa a punto dei lavori sarebbe stata preceduta da una serie di incontri a Londra, estesi forse anche a Structures 3, e da un incontro nella sede geno vese dello studio fra Piano, Franchini e Rogers29 , quest’ultimo si trovava in Italia, insieme alla compa gna Ruth Elias, per un viaggio di piacere tra Roma, Genova e lo Zermatt 30 . È proprio durante una di queste riunioni svolte tra Londra e Genova – forse proprio a ridosso della de cisione fnale di Piano+Rogers Architects di parte cipare al concorso parigino con Structures 3 – che le indicazioni contenute nel memorandum di Rogers relative alla centralità del sistema di circolazione e all’utilizzo di un volume fessibile sono distillate in una serie di schizzi che riassumono l’idea originaria del Centre Beaubourg31. Il documento è costituito da due fogli di un taccuino formato A4 con schizzi tracciati con pennarello arancione 32. Nel tratto del disegno e nella calligrafa delle note si identifca la mano di Rogers. Lo stesso Rogers riconosce di essere l’autore di questi elaborati ma non si attribui sce la paternità dell’idea in essi contenuta33 .
In questa e nelle immagini succes sive: Richard Rogers, Proposta di concorso per il Centre du plateau Beaubourg (noto come Centre Beaubourg), primi schizzi (identi fcati nel 2017 da Boris Hamzeian presso RSHP Archives, London), Parigi, primavera 1971.
UN IMPIANTO DI CONDIZIONAMENTO PER MICROCLIMI ARTIFICIALI COSTANTEMENTE RINNOVABILI
Insieme al sistema di circolazione e ai dispositivi informativi, l’impianto di condizionamento è l’altro elemento progettato in modo da agganciarsi al 3-dimensional wall. Per la sua confgurazione, in mancanza di impiantisti nella divisione Structures 3, Piano+Rogers Architects, in questa fase, lavora senza Ove Arup & Partners 45. Nell’idea di far rientra re anche l’impianto di condizionamento nel teorema della fessibilità del Live Centre of Information, Piano+Rogers Architects studia un impianto che non è necessariamente riconfgurabile nelle sue parti principali – è l’unico elemento, in efetti, che la rela zione non descrive nei termini di equipaggiamento Clip-On – ma che apre alla possibilità di generare nelle foor area microclimi, gettando le premesse per un ambiente compartimentabile unicamente da getti d’aria e diferenze di temperatura che Rogers, sulla scorta delle rifessioni di Banham, descriverà nel det taglio soltanto qualche anno più tardi46
Il fatto che in un dispositivo dove anche la struttura primaria rientra nella logica della riconfgurabilità, le centrali e i condotti di condizionamento siano per manenti, è già premessa dell’idea che Rogers avrà un anno più tardi quando immaginerà l’impianto come l’elemento al quale tutte le altre componenti del Live Centre of Information, persino la struttura, dovranno agganciarsi.
La soluzione proposta per il progetto di concorso coincide con un sistema di ricircolo meccanizzato
dell’aria fresca basato su un’unità ambientale modulare di superfcie pari a una delle dodici campate in cui è suddivisa ciascuna foor area (12,8 × 48 metri).
Nonostante il tipo e le caratteristiche dell’impianto si integrino con il progetto, la sua localizzazione si rivela problematica per le indicazioni del bando che prevedono l’inserimento di questo elemento nel sottosuolo. “Tutte le installazioni tecniche e mecca niche necessarie al buon funzionamento del Centre saranno collocate nel seminterrato”47. Questa lo calizzazione implicherebbe il passaggio verticale dei condotti all’altezza della sunken square (libera grazie alla sopraelevazione dell’edifcio su pilotis) compromettendone la permeabilità visiva e spazia le, considerata da Piano+Rogers Architects un prin cipio irrinunciabile del progetto. Per salvaguardare il vuoto disposto sotto l’edifcio le indicazioni del bando vengono rifutate a favore di una soluzione con impianti in copertura e distribuzione perimetra le a cascata. La soluzione fnale di concorso con siste in un locale tecnico scatolare, detto “stazione centrale” o “sala macchine” ( plant room), di 25,6 × 48 metri contenente dodici unità di trattamento dell’aria indipendenti, dette “unità di trattamento dell’aria della stazione centrale”, e sospeso in po sizione assiale sopra il manto di copertura dell’e difcio. La sala macchine è connessa a un grande condotto orizzontale dal proflo stondato inserito nel 3-dimensional wall di rue du Renard dal quale
partono dodici coppie di condotti verticali a sezione rettangolare (due per campata, uno per l’immissio ne e uno per l’espulsione dell’aria). All’altezza della travatura di ciascun solaio gli impianti verticali in tercettano due reti di condotti orizzontali nascoste nel controsoftto e destinate, rispettivamente, alla distribuzione dell’aria condizionata tramite “scato le di riscaldamento” e alla ripresa dell’aria tramite bocchette di areazione 48 Nella confgurazione generale e nel trattamento pla stico di alcune delle sue componenti, l’impianto di condizionamento rivela specifche genealogie. La sua confgurazione generale rimanda all’impianto del centro commerciale La Rinascente di Roma –progetto alla cui realizzazione Piano ha partecipato durante il tirocinio presso lo studio di Franco Albini49. Lo stesso tipo di impianto è impiegato in alcuni grattacieli di Skidmore, Owings & Merrill–SOM San Francisco e nel Queen Elizabeth Hall realizzato, tra gli altri, da tre membri del gruppo Archigram – pro getti noti a Rogers, in un caso, grazie al tirocinio presso SOM San Francisco, e, nell’altro, attraverso la lettura di The Architecture of the Well-Tempered Environment di Banham, uno dei testi di riferimento di Piano+Rogers Architect all’epoca del concorso del Live Centre of Information50 . Se si guarda al disegno dei condotti visibili in fligra na dietro alla parete audiovisiva, l’impianto di con dizionamento rivela una genealogia più precisa, cir coscritta alle sperimentazioni progettuali dell’avan guardia pop londinese. Proprio alla sua infuenza si deve la scelta di comprendere i vari componenti dell’impianto tecnico – probabilmente non identi fcati in un unico volume nelle prime versioni del progetto – all’interno di un corpo isolato in una po sizione centrale, quasi a sottolineare l’inedita natura architettonica assunta da un elemento tradizional mente secondario e celato. Se si considera anche la confgurazione della sala macchine l’ascendenza al gruppo Archigram diventa evidente: un equipag giamento temporaneo “agganciato” e concepito come una capsula amovibile o espandibile. Non a caso, Rogers gli conferisce le sembianze della sua Zip-Up House, che precisamente in Archigram ha le
proprie radici 51 .
Per quanto riguarda gli organi per la circolazione dell’aria, nella confgurazione rettangolare dei singoli condotti, nella mancanza di alcun accorgimento compositivo del modulo impiantistico inserito in cia scuna campata, e persino nella scelta di celarne la vista negli ambienti tramite un controsoftto, è chiaro come questo elemento al momento sia percepito ancora come un elemento tecnico e dunque inserito in una logica in cui struttura e involucro prevalgono. Che i condotti non siano ancora pensati come elemento architettonico predominante su rue du Renard è confermato dalla scelta di rimaneggiare il modello di concorso con un flm specchiante che nasconde i condotti inseriti nel 3-dimensional wall. Certo è che l’inserimento dei condotti nella stratifcazione del wall produce un’immagine insolita. No nostante sensibili incongruenze presenti tra gli ela borati di concorso, è indubbio che la struttura del 3-dimensional wall e i pannelli audiovisivi coprano parzialmente gli impianti trasformandoli in un ele mento visibile in fligrana nel traliccio. A questa im magine ancora incerta appartengono le premesse che condurranno, nel corso degli anni successivi, a fare degli impianti l’elemento protagonista di questo fronte del Centre.
Renzo Piano, Richard Rogers, Gianfranco Franchini e Ove Arup & Partners, Progetto di concorso per il Centre Beaubourg, sezione/pro spetto sud, dettaglio dell’impianto tecnico, giugno 1971.
682 VISIONI PER IL CENTRE BEAUBOURG
Il 15 giugno 1971 è la data ultima per l’invio dei progetti partecipanti al concorso per il Centre Be aubourg di Parigi. Nel corso delle tre settimane successive, nelle sale del Grand Palais allestite per lo svolgimento del processo di selezione, i tecnici della Délégation pour la réalisation du Centre Beaubourg [Delegazione per la realizzazione del Centre Beaubourg] ricevono 682 progetti. Nonostante sia insufciente a ofrire quell’auspicato primato del più grande concorso della storia dell’architettura, il numero dei partecipanti conferma il respiro inter nazionale e la centralità che Georges Pompidou e i suoi collaboratori intendono ofrire a Parigi e all’ar chitettura francese.
Nella nazionalità dei partecipanti, il concorso conferma gli sforzi della delegazione per un tipo di competizione internazionale, con 191 progetti francesi e 491 progetti stranieri provenienti da qua rantasei nazioni1. Tra i partecipanti francesi fgurano alcune fgure centrali, dai maestri della vecchia ge nerazione sino ai protagonisti delle ultime tendenze: Michel Andrault, Claude Aureau, Jean Balladur, An thony Lucien Bechu, Joseph Belmont, l’atelier I&G Benoit et F. Mayer Architectes, André Bruyère, Chri stian Cacaut, Georges Candilis, François Carpentier, Paul Chemetov, Stéphane du Château, Michel Du play, Yona Friedman, Noël Le Maresquier, Jacques Kalisz, Michel Marot, Anatole Kopp, Paul Maymont, Pierre Parat, Claude Parent, Jean Perrottet, Henry
Pottier, Denis Sloan, Georges Vachon e Jean-Paul Viguier 2. Tra i francesi fgura anche Riccardo Porro a cui gli organizzatori avevano pensato durante la costituzione della giuria. Invece non fgurano alcuni architetti di cui gli organizzatori avevano auspicato la partecipazione 3, e neppure coloro nei confronti dei quali Georges Pompidou aveva espresso pubbli camente una certa ammirazione: Bernard Zehrfuss, Fernand Pouillon e Henry Bernard. Tra le partecipazioni straniere si registra una netta maggioranza di progetti statunitensi, ben 138. Questa cifra rifette l’attrazione che Pompidou e i suoi collaboratori avevano rivelato nei confronti del panorama architettonico americano. Al tempo stes so, questa conferma gli sforzi della delegazione e di Philip Johnson, per convincere il maggior numero di architetti possibile a partecipare al concorso. Eppure, ciò che sorprende è il fatto che tra questi concorrenti non vi sia nemmeno uno di quei nomi che Arthur Drexler e François Mathey avevano se gnalato nel tentativo di intercettare i protagonisti del dibattito statunitense contemporaneo. Questo vale tanto per i maestri del secondo dopoguerra quali Gordon Bunshaft (Skidmore, Owings & Mer rill-SOM), Kevin Roche, Paul Rudolph, César Pelli, James Speyer, quanto per gli esponenti delle nuove avanguardie: Robert Venturi, Charles Moore, Michael Graves, Richard Meier e Romaldo Giurgola4. Tra gli assenti vi è anche Marcel Breuer che, su segnala
zione di Hans Hartung, aveva afascinato Pompidou al punto da invitarlo a partecipare al concorso. A costituire il nucleo forte delle candidature ame ricane sono i giovani architetti che dei grandi nomi ricercati dagli organizzatori del concorso sono i collaboratori o gli studenti. A questa categoria, guardando soltanto ai progetti che desteranno l’in teresse della giuria, appartengono Arthur Takeuchi, ex collaboratore di Ludwig Mies van der Rohe 5 , Alexander Corazzo, allievo di Walter Gropius e László Moholy-Nagy al New Bauhaus di Chicago, Giovanni Cosco, collaboratore di Venturi e Denise Scott Brown 6, John K. Copelin, studente a Yale e seguace di Vincent Scully e di Louis Kahn. La pre senza di giovani architetti è rintracciabile anche in altri paesi dell’universo anglosassone, come il Ca nada e Il Regno Unito, dove si registra l’assenza dei nomi indicati dagli organizzatori, da maestri quali John Leslie Martin e Denys Lasdun7 sino ai prota gonisti della generazione più giovane quali Cedric Price, Theo Crosby, James Gowan, James Stirling e Archigram. Se si escludono Moshe Safdie, Michael Pearson, Arthur Erickson e Geofrey Massey, anche in questo caso è nelle università che si individua gran parte delle candidature. Un caso emblematico è quello dell’Architectural Association di Londra da dove provengono le candidature di Nora Kohen, Will Alsop e Julius Tabacek, in collaborazione con Dennis Crompton del gruppo Archigram; di Rem
Koolhaas e Aristides Romanos insieme a Elia Zenghelis 8, e quelle di Wolf Wolfgang Pearlman e Robert Stones. Tra i paesi stranieri con il più alto numero di parte cipazioni vi sono il Giappone e il Brasile verso cui Pompidou aveva invitato la delegazione a orientarsi per individuare nuove tendenze dell’architettura contemporanea. Nella lista dei partecipanti di con corso per il Giappone, oltre a Kiyonori Kikutake, Kisho Kurokawa e Kunio Maekawa, si segnalano Kunio Kato, Kiyoshi Kawasaki, Makoto Masuzawa, Yutaka Murata, Shin’ichi Okada, Sachio Otani, Kiyoshi Seike, Ren Suzuki, Minoru Takeyama, Youji Watanabe e Hiroyasu Yamada. Tra i brasiliani, ol tre a Paulo Mendes da Rocha, fgurano Tito Livio Frascino, Luiz Eduardo Indio da Costa, Wilson Reis Netto e Pedro Paulo de Melo Saraiva 9 . Numerose sono le partecipazioni italiane.
Pur nell’assenza di Giancarlo De Carlo, Maurizio Sacripanti, Angelo Mangiarotti e Carlo Scarpa, tutti nomi che erano stati menzionati dagli organizzatori, l’Italia vanta partecipazioni signifcative: Carlo Aymonino, Enrico Castiglioni, Alberto Galardi, Marcello D’Olivo, Massimiliano Fuksas, Leonardo Mosso, Eugenio Montuori, Lucio Passarelli, Dario Passi, Paolo Piccinelli, Gio Ponti, Leonardo Ricci, Alessandro Sartor, Eduardo Vittoria e Guglielmo Ulrich10
Tra le altre candidature straniere sono da segnalare:
Il tema del grande ambiente interno dedicato all’accesso, all’incontro e all’informazione nell’involucro climatizzato di Luis Padilla Arias et al. (92).
Il tema del grande ambiente inter no dedicato all’accesso, all’incon tro e all’informazione nell’involucro climatizzato di Michael Pearson et al. (37).
Il tema del grande ambiente interno dedicato all’accesso, all’incontro e all’informazione nell’involucro climatizzato di Man fred Schiedhelm et al. (126).
Il tema del grande ambiente interno dedicato all’accesso, all’incontro e all’informazione nell’involucro climatizzato di Lewis Davis et al. (427).
Il tema del “grande gesto archi tettonico di prestigio” nei volumi cuspidati di Noël Le Maresquier et al. (168).
Il tema del “grande gesto archi tettonico di prestigio” nell’organo sospeso di Luc Zavaroni et al. (350).
Il tema del “grande gesto archi tettonico di prestigio” nei volumi plastici di Claude Hauserman et al (187).
Il tema del “grande gesto archi tettonico di prestigio” nelle forme plastiche di Gérard Guillier et al. (413).
Architetto Piano vorrei tornare a parlare con lei di una delle sue opere più iconiche, il Centre natio nal d’art et de culture Georges Pompidou, conosciu to in tutto il mondo come Beaubourg, concepito e realizzato a Parigi da lei, Richard Rogers, Gianfranco Franchini e da Ove Arup & Partners tra il 1971 e il 1977. Sin dalla sua inaugurazione quest’opera si è afermata come un punto di svolta nella storia dell’ar chitettura del secondo dopoguerra. Ha scardinato le visioni dell’architettura francese conservatrice dell’e poca, si è fatta emblema delle avanguardie radicali degli anni sessanta, ha segnato una tappa fonda mentale nelle sue ricerche e in quelle di Richard Rogers per un’architettura fessibile e prefabbricata. È assurta a manifesto di ingegneria per l’applica zione della tecnica della fusione dell’acciaio e si è oferta a Parigi e ai parigini come un centro culturale e artistico – “a place for the people”, per citare una frase cara a lei e a Rogers. In quasi cinquant’anni dalla sua realizzazione, il Centre si è prestato a interventi di varia natura, dal riallestimento degli ambienti destinati alle collezioni del Musée national d’art moderne, sino a modifche più importanti quali la trasformazione del grande spazio per mostre ed eventi situato al piano terra, il Forum, le modifche alla Bibliothèque publique d’in formation situata ai piani superiori e la ricostruzione dell’Atelier Brancusi nella piazza antistante l’edifcio.
Oggi vorrei discutere con lei di alcuni degli elementi fondamentali che contraddistinguono Beaubourg e valutare con lei la loro attualità, la loro evoluzione e, in certi casi, il loro tradimento.
RPBeh, Beaubourg probabilmente è riuscito a diventare tutto quello che descrivi ma al momento in cui lo avevamo concepito non è che fossimo così lungimiranti, con una visione del futuro così precisa. Eravamo soltanto dei giovani e amavamo sperimentare. Io preferisco dire addirittura dei “ragazzacci”. Eravamo trentenni, io avevo trentatré anni e Richard, che era indiscutibilmente il saggio della compagnia, ne aveva soltanto quattro in più. Una diferenza non soltanto anagrafca che ho tentato di colmare cor rendo tutta la vita dietro a Richard. Quando abbiamo immaginato Beaubourg non ab biamo guardato al progetto come la dimostrazione di una teoria, ma abbiamo semplicemente cerca to di infondervi i temi che respiravamo nell’aria. Eravamo a Londra ed era l’inizio degli anni settanta. Non era certo il maggio 1968 il nostro, ma l’aria che si respirava a Londra era ancora profondamen te legata a quella rivoluzione culturale. C’era una spiccata curiosità nei confronti di tutto quello che accadeva intorno a noi, dalla musica, all’arte, alla letteratura, sino al cibo e all’amore. Era una cultura particolare che passava anche attraverso la vita di
BEAUBOURG, UN’INFRASTRUTTURA PER I PROSSIMI CINQUECENTO ANNI — RENZO PIANO IN DIALOGO CON BORIS HAMZEIAN
tutti i giorni, con i concerti da ascoltare in piedi, con i ragazzini sulle spalle. Si trattava di una cultura che qualcuno defnirebbe “con la c minuscola” ma che era la nostra, e noi ci eravamo dentro. Non si esprimeva attraverso un canone particolare, non la si comunicava attraverso gli strumenti del déjà-vu, e non aveva nulla dell’istituzionale. Con questo non voglio dire che non andassimo ai musei, ma devo ammettere che ci si andava poco e in ogni caso un po’ intimiditi.
L’idea originaria di Beaubourg non è nata da un ragionamento che avesse a che fare con principi o ideologie. Non era altro che la trasposizione dell’at mosfera del nostro tempo. Il clima di ribellione che ci circondava ci ha condotto a concepire una mac china urbana che aveva sostanzialmente e quasi istintivamente lo scopo di sovvertire l’efetto inti midente che i luoghi della cultura ufciale trasmet tevano sulla folla con la loro apparenza di fortezze altere, fatte di pietra e marmo. A quell’immagine di forza e autorità del sapere, noi abbiamo voluto rispondere con quella di una macchina gioiosa.
Questa era la nostra risposta a quella cultura uf ciale, una risposta ribelle, istintiva, persino incolta nel vero senso della parola, ma senza disprezzo. Fare questa macchina urbana sostituiva all’intimi dazione un altro sentimento che ci animava, quello della curiosità. Che cosa signifca fare questo genere di opere lo si
capisce soltanto a cose fatte. Non occorre essere dei geni per farle, basta respirare l’aria del proprio tempo. Respira il tuo tempo, vivi le cose e vivile davvero. Cogli i sentimenti e arriverai a fare cose che si riveleranno essere espressione del tuo tempo e, andando avanti nel tuo percorso, capirai perché le hai fatte e il valore che avranno assunto nella storia dell’architettura, della città e della società.
BHNella rivoluzione culturale anglo sassone di cui parla c’era anche l’architettura d’avanguardia?
RPNaturalmente! Il panorama dell’a vanguardia londinese all’epoca era dominato dagli esperimenti del gruppo Archigram. Se penso all’Architectu ral Association School ricordo anche le lezioni di Cedric Price su un genere di spazio fessibile par ticolare che lo avevano condotto a disegnare il Fun Palace. Mi riferisco all’idea di un ambiente com pletamente modifcabile e liberato da ogni sorta di impianto tecnico, di muro e controsoftto. Si tratta di uno spazio aperto ma altrettanto complesso da realizzare ed è per questo che per il Beaubourg abbiamo lavorato insieme a Ove Arup & Partners e a ingegneri come Peter Rice. Questo genere di spa zio evolutivo demandava a una struttura altrettanto evolutiva, ed è per questo che al concorso ci siamo
LA PRIMA BOZZA DELLA VISIONE DI POMPIDOU PER UN MONUMENTO AL PLATEAU BEAUBOURG
Archives nationales, Pierreftte Sur-Seine, Paris, Archivi privati, Fondo Henri Domerg, 574 AP, faldone 10.
La presidenza della Repubblica Parigi, 28 novembre 1969
[All’attenzione di] Signor Edmond Michelet Ministro di Stato Incaricato degli afari culturali 3, Rue de Valois — Paris
Mio caro ministro,
Se i francesi di oggi possono, per tanti aspetti, con frontarsi senza arrossire di fronte ai loro antenati, dall’inizio del secolo hanno tuttavia dato troppo poco lustro alla creazione architettonica. E a Parigi, in particolare, ci sono pochi esempi di quei monu menti, testimoni di un’epoca, che sono sempre stati il simbolo del prestigio di una nazione.
Ora c’è l’opportunità di colmare questa lacuna, poiché abbiamo a disposizione un vasto spazio nel cuore della capitale, il quartiere de Les Halles.
Le chiedo di approfondire gli aspetti architettonici, culturali, legali e fnanziari di un tale progetto, alla cui elaborazione presterò un’attenzione personale.
La prego di accettare, mio caro ministro, l’espres sione dei miei sentimenti amichevoli.
Georges PompidouDesidero quindi che si realizzi in questo sito la co struzione di un edifcio prestigioso, il cui scopo cul turale deve ancora essere defnito, ma che speria mo sia aperto al presente e al futuro, e consacrato in particolare all’arte e al pensiero contemporanei.
S. Domerg,
Per la presentazione ho scritto una lettera più pre cisa di questa. Non vorrei scrivere senza avere det tagli sulla disponibilità certa del plateau Beaubourg, senza aver visto il prefetto di Parigi (se, come cre do, il terreno appartiene alla città) e senza averne parlato con il signor Giscard d’Estaing, perché, dal momento che il progetto sarà intrapreso, desidero che si proceda rapidamente.
Ma poiché alcuni pensano che sia qualcosa di ec cessivo, aspetterò fno all’inizio del 1970.
LA SECONDA BOZZA DELLA VISIONE DI POMPIDOU PER UN MONUMENTO AL PLATEAU BEAUBOURG
Archives nationales, Pierreftte Sur-Seine, Paris, Archivi privati, Fondo Henri Domerg, 574 AP, faldone 10.
La presidenza della Repubblica Parigi, 15 dicembre 1969
[All’attenzione di] Signor Edmond Michelet Ministro di Stato Incaricato degli afari culturali 3, Rue de Valois — Paris
Mio caro ministro,
A seguito della decisione presa dal consiglio ristret to l’11 dicembre per la costruzione di un complesso monumentale dedicato all’arte contemporanea sul sito del plateau Beaubourg, sento di doverle fornire alcuni dettagli su come immagino questo progetto.
Mi sembra che la prima precauzione da prendere senza indugio sia quella di chiedere al prefetto di Parigi di confermare che la Città sia disposta a ce dere gratuitamente il terreno, se lo Stato si assume tutti i costi di sviluppo e costruzione. Probabilmente dovrà essere stipulato un accordo in tal senso, che non dovrà includere alcuna imposizione [da par te della Città] per quanto riguarda la concezione [architettonica] e l’organizzazione interna del futuro monumento. Va da sé che la costruzione non può essere avviata senza la successiva raccolta delle
autorizzazioni legali e l’approvazione del Consiglio di Parigi, ma l’accordo iniziale riguarda solo la mes sa a disposizione del sito.
Contemporaneamente a questa discussione con la Città, i dipartimenti [del vostro ministero] dovranno redigere il bando del concorso. Desidero che sia il più fessibile possibile. Ciò signifca che le prescri zioni dovranno includere solo pochi dati relativi alla previsione di utilizzo degli spazi, e che spetterà agli architetti redigere i loro progetti in base a questi dati, senza doversi preoccupare di regolamenti come quelli relativi ai limiti di altezza. Solo in una seconda fase e in relazione ai progetti selezionati per la loro qualità estetica e per il loro adattamento alle esigenze di un centro d’arte moderna, si potrà prendere posizione sul problema dell’altezza.
Bisogna anche fare in modo che il concorso sia accessibile a tutti gli architetti di talento, anche se sono giovani e privi dei mezzi fnanziari [per par tecipare]. Le condizioni per l’organizzazione del concorso devono quindi prevedere, in forme da defnire, che qualsiasi architetto il cui progetto sia stato selezionato venga remunerato per il lavoro e i costi sostenuti.
La prego di far redigere delle previsioni fnanziarie a questo scopo, in modo che il ministro dell’economia
Boris Hamzeian (PhD École Polytechnique
Fédérale-EPFL, 2021) è architetto e ricercatore PostDoc in Storia dell’Architettura. I suoi studi si concentrano sull’avanguardia del secondo dopo guerra e, più in particolare, sulla cosiddetta “ar chitettura tecnomorfa”, ossia gli esperimenti che trasferiscono nell’architettura i processi di fabbricazione, i metodi e l’estetica dell’industria e della tecnologia.
Ha pubblicato articoli sulla storia del Centre national d’art et de culture Georges Pompidou di Parigi (oggetto della sua tesi di dottorato discussa nel 2021) e del gruppo UFO, nonché su alcune ope re di OMA e Aldo Rossi. È uno dei curatori dell’esposizione Unidentifed Flying Object (UFO), performer l’architecture tenu tasi al Frac Centre-Val de Loire tra aprile 2022 e gennaio 2023.
Attualmente prosegue la sua indagine sulla storia architettonica e costruttiva del Centre Pompidou in qualità di ricercatore presso il servizio di architettu ra (MNAM-CCI) dell’istituzione, concentrandosi sul le modifche e i restauri che l’edifcio ha subito negli ultimi cinquant’anni. Nel frattempo approfondisce lo studio dell’architettura tecnomorfa con una ricerca sulle origini del gruppo Archigram, come Visiting Scholar dell’Architectural Association School di Londra e della Princeton University School of Architecture.
I suoi studi hanno ottenuto dei fnanziamenti dalla Commissione federale per le borse di studio per studenti stranieri (CFBE, 2015-2018), dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifca (FNS, 2018, 2022) e dalla Direzione Generale per la Creatività Contemporanea del Ministero della cultu ra nell’ambito del programma dell’Italian Council (IX edizione, 2020).
La sua tesi di dottorato è stata selezionata per i premi EPFL Best Thesis Award 2022 e Doctoral Program Thesis Distinction 2022; ha vinto i pre mi dell’Institut Georges Pompidou (2022) e della Fondazione Ing. Lino Gentilini (2022, in collabora zione con l’Università di Trento).
È membro del comitato scientifco della rivista Archphoto 2.0, membro della Construction History Society e co-fondatore di False Mirror Ofce. www.borishamzeian.com
Con lo stesso editore ha pubblicato anche
Unidentifying Flying Object per l’architettura con temporanea: le sperimentazioni di UFO tra militanza politica e avanguardia artistica, 2022 (con Beatrice Lampariello e Andrea Anselmo, a cura di).
PA: Pole Archives/Centre national d’art et de culture Georges Pompidou, Paris
APH: Fondo Plans du concours international pour la réalisation du “Centre Beaubourg”, 2016W035
Notazioni bibliografche
Live Centre of Information Da Pompidou a Beaubourg 1968—1971
Casa editrice: Actar Publishers, New York, Barcelona www.actar.com
Progetto grafco e impaginazione: Artiva® Design Daniele De Batté Davide Sossi www.artiva.it
L’editore ha fatto ogni sforzo per contattare e riconoscere i diritti d’autore dei proprietari. Se ci sono casi in cui non viene fornito il giusto credito, suggeriamo ai proprietari di tali diritti di con tattare l’editore che apporterà le modifche necessarie nelle edizio ni successive.
Copy editing: Maria Giulia Caliri
Stampa e confezione: Arlequin SL
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© Edizione: Actar Publishers
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Il libro è basato sulla tesi di dotto rato EPFL (n. 7821), Centre na tional d’art et de culture Georges Pompidou: Monument national e Live Centre of Information. Cronache di idea, progetto e fabbricazione, 1968-1977, soste nuta presso l’École Polytechnique Fédérale de Lausanne-EPFL in ottobre 2021 sotto la direzione di Roberto Gargiani e fnanziata dalla Federal Commission for Scholarships for Foreign Students (FCS) e dalla Swiss National Science Foundation (SNSF).
La ricerca su cui è basata l’opera ha ricevuto il premio di tesi dell’In stitut Georges Pompidou 2022 e il premio di tesi della Fondazione Ing. Lino Gentilini 2022.
È stata inoltre selezionata per l’EPFL Doctorate Award 2022 e il Doctoral Program Thesis Distinction 2022
Il Progetto editoriale è fnanziato da l’École Polytechnique Fédérale de Lausanne-EPFL, la Fondazione Renzo Piano, ARUP e l’Institut Georges Pompidou.
Distribuzione: Actar D, Inc. New York, Barcelona New York
440 Park Avenue South, 17th Fl New York, NY 10016, USA
T +1 212 966 2207 salesnewyork@actar-d.com Barcelona Roca i Battle 2-4 08023 Barcelona, SP T +34 933 282 183 eurosales@actar-d.com
ISBN 978-1-63840-057-8
Stampato a Barcellona
Pubblicato nel novembre 2022
Realizzato in collaborazione con il Centre national d’art et de culture Georges Pompidou.
CINQUANT’ANNI
REPUBBLICA
“SCONOSCIUTI”;
INGEGNERI
PUBBLICO ATTONITO.
PROUVÉ
ARCHITETTI
PROGETTO, RENZO PIANO,
BORDAZ