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ISSN 1826-1426
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CARLA FRACCI
INTERVISTE: Giacomo Stucchi Claudio Bombardieri Nadia Rovelli Giuseppe Bertagna
GIUGNO / LUGLIO 2016
Anno 19 - N°3 Giugno/Luglio 2016 - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, LOM/BG In caso di mancato recapito inviare al CDM di Bergamo, per la restituzione al mittente previo pagamento resi. Prezzo euro 3,00
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Edito riale
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uesto numero, che esce nel sole di una quasi estate, ha a che fare con le passioni. Che come i lettori sanno, sono spesso al centro degli interessi del nostro giornale. “Passioni” nel loro doppio versante: ciò che ci “appassiona” e anche ciò che in qualche modo “patiamo”. Come succede, per esempio, nel parto. Una passione, certo, in alcuni momenti per la mamma che soffre; ma una passione che lascia lo spazio a un grande amore. E l’esperta di questo delicato momento dell’esistenza è l'ostetrica, figura sempre fondamentale. Ci racconterà qualcosa di questa professione Nadia Rovelli, presidente del collegio delle ostetriche di Bergamo. Continuando sull’onda di queste ambiguità linguistiche, incontriamo la passione del volo sia nell’intervista a Claudio Bombardieri che ci parla di piccioni viaggiatori, sia nella testimonianza di Carla Fracci che evoca un mondo di voli leggiadri sulle punte. Mentre la passione per i segreti avrà sicuramente animato la scelta dell’onorevole Giacomo Stucchi, alla guida del Copasir (la sigla misteriosa sarà rivelata dalla lettura dell’articolo). Infine da questo numero inizia con il Prof. Bertagna una serie di interviste che intendono presentare i diversi Dipartimenti (quelli che un tempo si chiamavano Facoltà) dell’Università di Bergamo. Ma non lasciatevi scappare la new entry! Una rubrica filosofico-veterinaria. Leggere per credere. Nel prossimo numero affronteremo un altro tipo di passione che può iniziare da un semplice clic su MI PIACE. Buona lettura! e.lanfranco@inwind.it
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di Emanuela Lanfranco Direttore Responsabile
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Approfondimento
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Donne e motori, gioie senza dolori
lla sera, al caffè, con gli amici, si parlava di donne e m o t o r i , s i d i c e va s o n gioie e dolori...". Così cantava Bruno Lauzi iniziando il racconto di una storia d’amore, non priva di qualche malinconia. Donne e motori son gioie: questi i dati di una recente statistica di DirectLine. Secondo cui il 60% delle guidatrici non ha mai avuto incidenti: una percentuale che testimonia la maggior perizia del gentil sesso rispetto ai dati relativi agli uomini che risultano essere ben più pericolosi, dato che la percentuale di maschietti indenni da incidenti scende al 40 %.
L’indagine poi presenta esiti scontati, per esempio che la guida maschile risulta più aggressiva, come se la velocità fosse un modo attraverso cui esercitare la loro virilità. E’ noto il famoso aforisma di Stirling Moss: “Ci sono due cose che nessun uomo ammetterà mai di non saper fare bene: guidare e fare l’amore.” Mentre le donne -chi oserebbe sostenere il contrario?non sanno posteggiare l’auto. Ma, detto questo, so già di incorrere nella delusione dei miei lettori: niente è noioso quanto sentirirsi dire quel che già si sa. Del resto i dati dei sondaggi hanno poi bisogno di essere interpretati e che le donne abbiano
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meno incidenti degli uomini potrebbe “semplicemente” dimostrare la loro maggiore prudenza e non la loro perizia. Più interessante appaioni invece gli esiti di un altro sondaggio, quello pubblicato Frost&Sullivan che analizza l’influenza del genere femminile sul mercato delle auto. Rimaniamo dunque sul binomio genere femminile-auto ma osserviamo altre variabili. Negli Stati Uniti le donne in possesso della patente di guida sono ormai più della metà, mentre in Canada hanno raggiunto il 49,95% e, udite udite, in Gran Bretagna gli uomini che prendono la patente sono sempre meno, mentre le donne sono aumentate al ritmo del 2,5% nel giro degli ultimi tre anni, perciò, se le cose continuano così, ben presto saranno più dei maschi. Dati che si potrebbero interpretare in più modi: le donne sono costrette a muoversi di più? Oppure i maschi hanno più
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facilmente accesso all’autista? E infine: le donne riescono a superare i quiz della patente e gli uomini invece faticano? O, più facilmente, il dato dell’aumento delle donne patentate sta a significare semplicemente che stanno solo ora ponendo rimedio al gap iniziale? In Italia, invece, sono il 44,% le donne che hanno sostenuto l’esame di patente contro il 56% degli uomini, dimostrando dunque come da noi sia ancora forte il predominio dell’uomo alla guida. L’indagine mette in evidenza che nell’80% dei casi sono le donne a scegliere quale macchina acquistare e generalmente hanno le idee ben chiare: comodità e indipendenza prima di tutto. Ma oggi parlare di donne e motori non può non evocare un orizzonte ben più preoccupante: sebbene non vi sia alcun divieto coranico, né legge che proibisca alle donne di guidare, in Arabia Saudita
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non si emettono patenti di guida per le donne e alcune di quelle che lottano per i diritti umani sono finite in carcere per aver guidato sfidando il divieto. Mentre in Iran e in Pakistan donne al volante sono abbastanza comuni, soprattutto nelle città, in Afghanistan le pochissime donne con la patente sono viste come una imposizione occidentale e un rifiuto dei valori musulmani. Insomma da questa veloce carrellata di dati risulta che analizzare il rapporto donne e motori significa in realtà fotografare l’evoluzione di una realtà che rapidamente sta cambiando e, laddove non cambia, segnala indubbiamente un atteggiamento di pericolosa chiusura verso le donne. Ma anche un tempo, qui da noi, si sentiva dire che “donne al volante…” Avete da soli completato la frase, vero? Dunque, anche voi…
Sommario
Città dei Mille - anno 19 n. 3 Aut. Trib. n. 52 del 27 Dicembre 2001
Editoriale Approfondimento
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cover story
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in Vetrina
Nuovo volo per Monaco di Baviera L'aeroporto di Bergamo si conferma nella top ten di Skytrax Guardia di Finanza, giuramento partecipato «Concerto di Primavera», quinta edizione Gran Galà ARMR, appuntamento tradizionale
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vip & news
Curare i bambini «Quasi a casa» 007 italiani "sotto controllo" bergamasco Piccioni viaggiatori, passione a rischio di estinzione «Ostetriche per le donne: ora più che mai» «Dobbiamo costruire reti, non muri»
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interviste
Evento AEGEE, l'Europa unita a Bergamo
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cultura
Luberg Cucina Spiritualità Motori Arte Cinema il Pensatore il Veterinario
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rubriche
I bronzi di Piero Cattaneo a Milano Carrara, 115mila visitatori in un anno «L'amore ai tempi dell'hi-tech» Prosa, che successo: 52.915 presenze Opere, balletti, concerti nel nome di Donizetti Torna l'Happening delle cooperative sociali
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cultura
Carla Fracci ora brilla su Bergamo
Editore: AD Communication S.r.l. direzione@adcommunication.it www.adcommunication.it Direzione e Redazione: Viale Giulio Cesare, 29 Bergamo Tel. 035 35 91 011 www.cittadeimille.com Direttore responsabile: Emanuela Lanfranco Redazione: Fabio Cuminetti Abbonamenti: 035 35 91 011 1 anno - 27 euro Stampa: Sigraf - Treviglio (Bg) Pubblicità: Tel. 035 35 91 158
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Carla Fracci ora brilla su Bergamo
L’étoile, da un anno direttrice artistica del liceo Coreutico «Antonio Locatelli», ci parla di sé: dai primi tanghi, ancora bambina, al dopolavoro tramviario milanese, agli spettacoli con Rudolf Nureyev e Vladimir Vassiliev
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na grande ballerina. La più grande che l’Italia abbia potuto applaudire. Di più: Carla Fracci, 79 anni compiuti, da un anno direttrice artistica del liceo Coreutico «Antonio Locatelli» di Bergamo, ha recentemente dimostrato anche grande senso dell’umorismo e autoironia. Dopo aver visto la sua parodia firmata Virgilia Raffaele, che si è mossa sul palco del Festival di Sanremo simulando dei passi di danza un po’ robotici, e caricaturando il suo modo di parlare e di gesticolare, ha riso di gusto: «Sono felice di questa imitazione. Lo considero un tributo a me e alla danza». Un solo appunto: «Vorrei dire a Virginia che non sono rigida, mi muovo ancora con scioltezza». È rimasta l’etoile splendida di sempre,
insomma. E insegna ancora. Capita che lo faccia anche la domenica. «È un mondo a cui tutti hanno accesso, quello della danza: dai giovanissimi agli adultissimi. Serve all’anima e al corpo», ci ha raccontato durante la lunga intervista che ci ha cortesemente concesso. Ci parli della sua adolescenza: come è avvenuto l’approccio con la danza? Ho avuto un’adolescenza normale. Sono figlia di due proletari della periferia milanese, Luigi Fracci e Santina Rocca, che dovevano andare a lavorare per mantenere me e mia sorella Marisa. Mio padre, prima di partire per la guerra, aveva un incarico all'azienda tramviaria come bigliettaio. Poi partì per il fronte, alpino, con incarico di sergente. Fu coinvolto nella campagna di Russia. Mia
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madre fu costretta ad andare a lavorare alla Innocenti. La nostra vita era durissima, ma io ho avuto l'enorme piacere di andare a vivere con la nonna materna in provincia di Cremona, a Volongo, un paese straordinario di contadini e artigiani serissimi. Mia nonna aveva un nome meravigliosamente diverso da tutti gli altri: Argelide. Una campagna stupenda, dove per scaldarsi la sera si andava nella stalla. Io dovevo portare a pascolare le oche. Tutto per me aveva un grande senso di libertà; la vita contadina mi fu di grande conforto. Alla fine della guerra mio padre ritorna, duramente provato, e viene riassunto dall’azienda tramviaria come manovratore. Rientro a Milano. C’è una grande euforia, dopo la guerra: un senso di liberazione da pericoli e sconforti. I miei, il sabato sera e la domenica pomeriggio, cominciano a frequentare il dopolavoro tramviario dove si beve e si balla, dimenticando i bocconi amari precedentemente trangugiati. Le famiglie portano i figli, al dopolavoro: io vado, con mio padre, mia madre e la mia sorellina appena nata. Mentre c'è l'orchestrina con la fisarmonica che accompagna le danze, comincio a fare qualche movimento. Addirittura ballo qualche volta il tango con mio padre e comincio a far capire che di movimento, e di musica, ne capisco qualcosa. Per puro caso, lo stesso locale del dopolavoro è frequentato da una signora molto carina che aveva un parente stretto impiegato nell'Orchestra della Scala. Questa signora fa notare ai miei genitori il mio talento: "Perché non provate a farle frequentare la scuola di ballo della Scala?", gli domanda. La scuola, in quegli anni, era tra l'altro gratuita. Mio padre s'informa e poi m'iscrive al concorso d'ammissione. Si presentano 330 aspiranti. Vengo selezionata per partecipare a un mese di prova, dove sarebbero state saggiate le mie qualità. In realtà inizialmente ero stata messa tra le rivedibili, non tra le idonee, ma la direttrice - Ettorina Mazzucchelli, donna straordinaria - disse: "Questa la g'ha un bel facìn, prendiamola". Il mese di prova andò bene e fui ammessa alla scuola di ballo, inserita nell'edificio del teatro. Per entrare nella sala studio si doveva passare dal ballatoio, dove c'erano tutte le corde utili per mandare su e giù le
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scenografie: si potevano sentire le prove di Gino Bechi, o addirittura di Renata Tebaldi. Devo dire però che non ero una buona allieva: mi mancava quella libertà della campagna, mi mancavano le oche, la stalla. La vita della scuola di ballo non la capivo, mi annoiava. Ero svogliata. Poi cominciarono le prime partecipazioni agli spettacoli, in piccoli ruoli, senza danzare: prima la Bohème, poi l'Aida, con la Tebaldi che dopo 3 o 4 recite viene sostituita con Maria Callas. Alla Scala, quando io sono ancora una comparsina di 12 o 13 anni, arriva una dea, Margot Fonteyn. La sua immagine piena di luce mi ha
cambiato la vita, perché trovai il punto di riferimento, il modello. Era una donna ancora giovane, intorno ai 30 anni. La vidi scendere la scala alla fine del primo atto de "La bella addormentata", per ballare il famoso "Adagio della rosa". Alla fine dell'esibizione rimasi a guardare cosa succedeva in palcoscenico: vidi una persona che si avvicinava a questa immensa creatura della danza. Era il coreografo, che corresse la posizione del mignolo della mano a Margot nel momento in cui lei si staccava dal principe. Da quel momento diventai un'allieva secchiona. Mettevo i piedi a contrasto sotto i radiatori del termosifone
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per fortificarli. Ora, alla soglia degli 80 anni, faccio gli stessi esercizi, con la stessa lena. Che sacrifici ha dovuto affrontare, per seguire il suo sogno, rispetto alle sue coetanee? I sacrifici li ho fatti prima di questo incontro con Margot Fonteyn. Dopo non c'è stato nessun sacrificio, perché dentro di me è partita una specie di volontà di imitare una grande donna e una grande artista, e tutto quello che rappresentava una rinuncia ad alcuni aspetti della vita giovanile non mi è mai costato nulla. Non si pensa di inseguire un sogno, ma si segue una realtà che, attraverso il lavoro, porta a offrire agli altri l'idea del sogno. La danza è un’arte che può anche essere solitaria, ma con il balletto diventa un’esibizione, ed è il pubblico a mettere il sogno nel balletto. Riuscire a percepire il momento in cui gli spettatori stanno sperimentando tale sogno rappresenta poi il senso vero del nostro lavoro. Mi sta raccontando un mondo stupendo. È un mondo che potrebbe esistere ancora, anzi, che forse da qualche parte esiste ancora. Capita di vedere, talvolta, dei piccoli saggi dove l’amore profondo per la danza è palpabile. La sua prima esibizione? Fu quella del passo d'addio (brano danzato che consacra i diplomandi delle scuole di danza, ndr), dove tra le ultime candidate, su quelle famose trecento e più bambine che eravamo all’inizio, alla fine del’ottavo corso, ormai signorine di 17-18 anni, fui scelta tra le prime sei ed ebbi l’occasione di fare una grande rappresentazione solistica di uno dei balletti più noti per coppia, "Lo spettro della rosa", basato sull'Invito al Valzer di Weber, allora tesoro dei balletti russi del dio della danza Nijinski e della più grande ballerina dell'epoca, che ha fatto tutte le principali prime musicali del mondo, Tamara Karsavina. Io interpretai la fanciulla con l'allora primo ballerino della Scala, Mario Pistoni. Era una serata di quelle magiche, alla Scala, perché prima era stata eseguita "La Sonnambula" di Bellini da Maria Callas, con Leonard Bernstein a dirigere l'orchestra, la regia di Visconti, le scene di Piero Tosi. C'erano spettatori da tutta Europa. Il mio attuale marito, Beppe
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Menegatti, era a quel tempo l'assistente di Visconti; e anni dopo mi confidò: "Sai cosa fece quella sera Visconti? Disse a Beppe di andare da tutti gli amici, arrivati apposta per sentire Maria Callas dall'estero, per invitarli a fermarsi a vedere danzare la Fraccina". Beppe lo fece. Conti che quella sera c'erano più di duecento stranieri, tutte personalità nel mondo del teatro e dell'arte. Rimasero tutti, e io ebbi una consacrazione immediata. Il suo idolo? Non ho mai avuto il senso di avere un vero idolo nel mondo della danza. Sono stata un'artista molto fortunata, perché a contatto sempre e comunque con i maggiori esponenti del settore. Il maggior coreografo vivente del momento, Balanchine, mi scelse dal corpo di ballo per darmi una parte da solista; quando c'è stato l'avvento dei grandi della mia generazione, io mi sono sempre sentita alla pari con loro. Ho danzato "Giselle" con Rudolf Nureyev, Eric Bruhn, Vasiliev, Attilio Labis, ovvero i migliori quattro al mondo. L'idolo vero, pensandoci bene, resta Margot Fonteyn. La prima grande soddisfazione? L'essere scelta per "Lo spettro della rosa", senza dubbio. Ho avuto anche molta fortuna: "La Sonnambula" andò in scena con vari giorni di ritardo, perché Maria Callas, che alloggiava all'Hotel Milan di via Manzoni, dove morì Verdi, era malata. Altrimenti non avrei avuto tutto quel riscontro. Danza e famiglia. Sembra che sia riuscita in modo invidiabile a conciliare i ruoli di moglie, mamma e danzatrice. Come ha fatto? Mamma, e ora anche nonna orgogliosa di avere due nipoti dal nostro unico figlio Francesco: Giovanni, 11 anni, come Giovanni Battista, e Ariele, 8 anni, nome voluto dal fratello dopo aver visto un video della "Tempesta" di Shakespeare di Strehler, in cui Ariele era interpretato da Giulia Lazzarini. Per quanto riguarda la famiglia, certi momenti di vera difficoltà ci sono stati; ma il nucleo è rimasto in piedi grazie ad alcune rinunce e a tanta fortuna. Nostro figlio Francesco è nato prematuro di un mese, quindi è dovuto stare del tempo nell'incubatrice, appena nato. Alla fine della terapia è arrivata per
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noi una donna fantastica: Luisa Graziadei, la tata che si presa cura di Francesco fin dall'inizio e in giro per il mondo. Francesco è stato infatti dappertutto con me, fino a che non ha cominciato la scuola. E anche dopo: ha proseguito la sua istruzione in Australia e Giappone, perfino. Luisa c'è sempre stata in tutta la sua integrità, ed è tuttora con noi, pur avendo una vita sua, piena di gioie e preoccupazioni. E del marito cosa diciamo? Lo conobbi nel 1954. Siamo ancora insieme e talvolta ci imbarchiamo nelle stesse battaglie. Ora ne facciamo una per i giovani, perché non venga perso nelle nuove generazioni il valore della tradizione. Soprattutto in campo educativo. Da un anno, tra l'altro, lei è direttrice artistica del liceo Coreutico «Antonio Locatelli» di Bergamo. Può diventare un ambiente di assoluto prim'ordine. Anzi, faccio un appello alle famiglie: iscrivete i vostri figli, perché può vantare dei maestri eccellenti e merita di avere i mezzi per crescere. Sono molto felice di poter dare la mia collaborazione a una realtà che merita di essere conosciuta, unica in Lombardia, ma che ancora molti non sanno che esiste. Le allieve sono bravissime, e recentemente è arrivato anche un giovanotto. Sono sempre pochi, i maschi; eppure la danza nasce come espressione artistica maschile, dal dio Apollo.
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C’è qualcosa, durante la sua carriera, che rimpiange di non aver fatto? Nella mia vita ho partecipato a tutto ciò che è gioia e a ciò che è dolore. Nel lavoro, invece, una cosa c'è: del grande Nino Rota ho fatto alcuni spettacoli, quali "La strada", "Girotondo romano" e "Filomena Marturano", ma una cosa mi manca. Rota aveva scritto un oratorio drammatico che si poteva realizzare scenicamente, intitolato "La vita di Maria", in un certo senso dedicandolo a me e a Beppe. Era in tre episodi, ma non siamo riusciti a istigare un teatro alla messa in scena; tra l’altro la terza parte dello spettacolo sarebbe ancora alla mia portata, nonostante l’età. Sono molto legata alla figura di Maria: una volta Rita Levi Montalcini mi parlò di un passaggio di un vangelo apocrifo in cui Maria bambina entra nel tempio, si toglie i calzari e si mette a danzare. Un’immagine molto bella. Ce l’ho scolpita nel cuore. Infine, la grazia, l’eleganza e la femminilità che lei sprigiona sono innate o si acquisiscono strada facendo? C'è un detto straordinario: "Il lavoro nobilita l'uomo". Hanno grande eleganza la contadina che torna dei campi, l'elettricista che sale la scala, il pizzaiolo che gira la pasta tra le mani. La grazia nasce dall'esperienza.
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Nuovo volo per Monaco di Baviera
Bmi Regional ha inaugurato la nuova tratta dall’aeroporto di Bergamo, operata in collaborazione con Lufthansa. Partenze due volte al giorno dal lunedì al venerdì. E da Monaco si può volare in tutto il mondo
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l 31 marzo Bmi Regional ha inaugurato la nuova tratta Milano B e r g a m o - Mo n a c o d i B a v i e r a , operata in collaborazione con Lufthansa e in code-share con i numeri dei voli BM e LH. I voli, effettuati con aeromobili Embraer 135 e 145 da 37 e 45 posti, hanno una frequenza giornaliera e dal 15 aprile le partenze sono due volte al giorno dal lunedì al venerdì. L’orario dei voli è stato adattato per garantire collegamenti senza soluzione di continuità per viaggiatori d’affari o turisti in oltre 200 destinazioni tramite la rete Monaco della compagnia mondiale Lufthansa. Alla cerimonia inaugurale hanno partecipato in rappresentanza di Sacbo il
presidente Miro Radici e il direttore generale Emilio Bellingardi; per Bmi Regional, Ian Woodley (fondatore e consigliere della compagnia aerea), Alwin Hollander (direttore commerciale), Fabrice Binet (Sales/Business Development); presenti Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, Gianluigi Pievani, in rappresentanza del Comune di Orio al Serio, Paolo Malvestiti, presidente della Camera di Commercio di Bergamo, Angelo Carrara, presidente dell’Associazione Artigiani Bergamo. «E’ motivo di grande soddisfazione vedere il nostro aeroporto nuovamente collegato alla capitale della Baviera e a uno dei più principali hub europei che, grazie alla rete di Lufthansa, permette di proseguire
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per le principali destinazioni internazionali e intercontinentali – sottolinea Giacomo Cattaneo, aviation director di Sacbo - Viene a realizzarsi una opportunità fortemente sollecitata dalle componenti business concentrate nella catchment area del nostro aeroporto, che necessitano di un collegamento diretto con la regione della Baviera e nel contempo di raggiungere destinazioni con voli di lungo raggio. Ciò diventa possibile grazie all'accordo di codeshare tra Bmi Regional e Lufthansa, che consente di utilizzare l’aeroporto di Bergamo ed effettuare una singola operazione di check-in per procedere direttamente alla destinazione finale con tempi di transito ridotti nello hub di Monaco».
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L'aeroporto di Bergamo si conferma nella top ten di Skytrax
La classifica si basa su oltre 13 milioni di questionari compilati da passeggeri di 106 diverse nazionalità, da giugno 2015 a febbraio 2016, e prende in esame 550 aeroporti selezionati in tutto il mondo
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on si ferma la corsa dell’ae ro p o r t o d i Be r g a m o , c h e sta battendo ogni record per passeggeri e fatturati. Senza dimenticare i servizi alla clientela, sempre più apprezzati Lo scalo si conferma infatti nella top ten dei migliori aeroporti del mondo dove operano in prevalenza compagnie aeree low cost. La classifica annuale, redatta dalla società specializzata Skytrax nel quadro del rapporto World Airport Awards, premia nel 2016 il terminal di Tokyo Narita, che precede Il T2 di Kansai e
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Londra Stansted. Ai piedi del podio Bruxelles Charleroi e Belino Schönefeld. A seguire, Kuala Lumpur, Londra Luton, East Midlands, Francoforte Hahn e Milano Bergamo. Il rapporto di Skytrax si basa su oltre 13 milioni di questionari compilati da passeggeri di 106 diverse nazionalità, da giugno 2015 a febbraio 2016, e prende in esame 550 aeroporti selezionati in tutto il mondo. La presenza dell’aeroporto di Milano Bergamo è da considerarsi altamente gratificante, in quanto le rilevazioni sono iniziate all’indomani della inau-
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gurazione della nuova ala del terminal passeggeri, avvenuta a fine maggio 2015. La prossima inaugurazione dell’area dedicata alle eccellenze enogastronomiche, in parte già aperta con alcuni dei marchi italiani più prestigiosi che offrono degustazioni e vendita, a diretto contatto con i gate di imbarco in area Schengen, non potrà che accrescere il livello di apprezzamento dei servizi rivolti ai passeggeri. Che avranno nuovi motivi per leccarsi i baffi prima o dopo il volo. Quindi per il futuro è facile prevedere un’ulteriore risaluta della classifica.
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Guardia di Finanza, giuramento partecipato
Pienone di autorità e di pubblico per la cerimonia dello scorso 7 maggio in piazza Vittorio Veneto Nel frattempo l'iter per portare l'Accademia negli spazi degli ex Ospedali Riuniti continua senza soste
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abato 7 maggio, all'ombra della torre che testimonia il sacrifico per la Patria della comunità bergamasca, in piazza Vittorio Veneto, si è tenuta la cerimonia di giuramento degli allievi dell'Accademia della Guardia di Finanza alla presenza del Ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan, del Capo di Stato Maggiore della Difesa Claudio Graziano, del Comandante Generale della Guardia di Finanza Saverio Capolupo, del Comandante in Seconda nonché Ispettore per gli Istituti di Istruzione della Guardia di Finanza Giorgio Toschi, della Medaglia d’Oro al Valor Militare d’Italia Paola Del Din, del
presidente del Copasir (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica) Giacomo Stucchi, del Presidente della VI Commissione “Finanze” Camera dei Deputati Maurizio Bernardo; dei parlamentari bergamaschi Alberto Bombassei, Nunziante Consiglio, Marco Pagnoncelli, Gregorio Fontana, Giovanni Sanga; Antonio Misiani, Elena Carnevali; del Prefetto di Bergamo Francesca Ferrandino; del Sindaco di Bergamo Giorgio Gori; del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Brescia Pier Luigi Maria Dell'Osso; del Presidente del Tribunale di Bergamo Ezio Siniscalchi; del Presidente del Tribunale di Brescia
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Vittorio Masia; dell'Assessore Regionale alle Infrastrutture e alla mobilità Regione L o m b a rd i a A l e s s a n d ro So r t e ; d e l Consigliere della Provincia di Bergamo Francesco Cornolti; del Rettore dell’Università di Bergamo Remo Morzenti Pellegrini; dei vertici delle Forze Armate e di Polizia in ambito regionale ed interregionale. Il ministro Padoan ha evidenziato il «ruolo importante della Finanza in un Paese riformato. Dopo 3 anni di recessione stiamo assistendo ad una crescita, ad un’espansione dei consumi, segno anche di una politica fiscale efficace e di riforme strutturali».
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«Concerto di Primavera», quinta edizione
Grandi nomi della musica italiana per la serata solidale al Teatro Donizetti organizzata dall’Accademia della Guardia di Finanza in favore dell’Associazione Italiana Parkinsoniani Onlus - Sez. Bergamo
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enerdì 6 maggio, al Teatro Donizetti di Bergamo, l’Accademia della Guardia di Finanza ha organizzato la quinta edizione del «Concerto di Primavera». La manifestazione si inserisce nell’alveo delle iniziative solidali che l’istituto promuove nel corso dell’anno per sostenere, in modo tangibile, le numerose associazioni di volontariato operanti nel territorio bergamasco. All’evento sono intervenuti numerosi artisti di levatura nazionale tra cui Roberto Vecchioni, Umberto Tozzi, Annalisa, gli «Zero Assoluto», Alessio Bernabei, Loredana Errore, Amara e il quartetto «Greta, Simonetta, Roberta e
Verdiana». Gli artisti sono stati accompagnati da una orchestra composta da 20 elementi della «Sezione Fiati» della Banda Musicale del Corpo della Guardia di Finanza, diretta dal M° Ten.Col. Leonardo Laserra Ingrosso, e dall’Orchestra Filarmonica Italiana diretta dal M° Bruno Santori. L’evento, che ha una precipua finalità solidale, è stato realizzato grazie all’apporto di numerosi sostenitori operanti nel territorio orobico, cui si aggiungeranno offerte libere da parte degli invitati allo spettacolo e donazioni all’Associazione Italiana Parkinsoniani Onlus – Sezione di Bergamo utilizzando il conto corrente
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Iban IT02R0503411121000000008545. Il «Concerto di Primavera» ha preceduto quest’anno la cerimonia del «Giuramento Solenne» degli allievi del 1° Anno di Accademia, tenutasi il 7 maggio in piazza Vittorio Veneto a Bergamo, alla presenza del Ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, e del Comandante Generale del Corpo, Gen. C.A. Saverio Capolupo.
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Gran Galà A.R.M.R., appuntamento tradizionale
I fondi raccolti durante la serata vengono destinati per assegnare, a fine anno, borse di studio a giovani ricercatori selezionati dalla Commissione Scientifica A.R.M.R. La ricerca è fondamentale per combattere le malattie rare
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l Gran Galà A.R.M.R. è diventato un appuntamento tradizionale di tutti coloro che in qualità di soci, di sostenitori e di amici della Fondazione e di chiunque voglia passare una serata all’insegna del divertimento e dell’allegria, tenendo sempre ben presente l’importanza della ricerca per combattere le malattie rare. Infatti i fondi raccolti durante la serata vengono destinati per assegnare, a fine anno, borse di studio a giovani ricercatori selezionati dalla Commissione Scientifica A.R.M.R.
Dopo l’aperitivo ai bordi della piscina, sempre molto suggestivo e goloso, la presidente dott.ssa Daniela Guadalupi ha salutato e ringraziato i numerosi ospiti che con la loro presenza aiutano la ricerca. e dato la parola al prof. Silvio Garattini che ha sottolineato l’operato della A.R.M.R. sul fronte della ricerca e delle malattie rare, che molto spesso, grazie a una ricerca mirata porta poi ad importanti scoperte su altre malattie “più comuni”. Ha ricordato anche Casa Federico, un importante obbiettivo raggiunto dalla
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Fondazione che da la possibilità ai ricercatori di trovare una sistemazione gratuita e ai parenti dei malati che hanno bisogno per le loro terapie di soggiornare in Bergamo. La serata è proseguita con una cena squisita , allietata dalla musica di Renato Malanchini. Al termine l’esibizione del bravissimo gruppo di ballerini “Blue Dance” ha deliziato gli ospiti con grazia e bravura, interpretando pezzi di tango , mazurka e altri balli da sala. Dulcis in fundo, per la gioia degli intervenuti, hanno fatto ballare tutti gli ospiti.
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Curare i bambini «Quasi a casa»
Il progetto dell’associazione conGiulia per i malati dell’oncoematolologia pediatrica del Papa Giovanni XXIII è partito. Rivoluzionario, ma dal costo notevole: un appello per le donazioni
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oncoematolologia pediatrica dell’ospedale Papa Giovanni XXIII ha un alleato instancabile: l’associazione conGiulia, costituita dai genitori - Antonio e Sara - e da alcuni familiari e amici, nata pochi mesi dopo la partenza per il cielo di Giulia Gabrieli (nel 2011, a causa di un sarcoma alla mano) con l’intento di dar forma ai progetti che lei aveva a cuore. L’ultima iniziativa portata avanti dall’associazione? Il progetto «Quasi a casa». Già il nome evoca a tutti noi quel calore e quel profumo che si respira in famiglia: quello stesso calore e quello stesso profumo che si intende donare in modo nuovo anche a quelle famiglie che si trovano ad affrontare la dura prova della malattia. Si tratta in sostanza di un’ospedalizzazione pre-domiciliare - che prevede anche l’accoglienza in case alloggio vicine all’ospedale per chi risiede fuori provincia o comunque troppo distante dall’ospedale – per i bambini che non richiedono più cure intensive tali
da essere necessariamente effettuate in ospedale, ma che si trovano in una fase in cui hanno bisogno ancora di cure, medicazioni e attenzioni giornaliere da parte degli operatori sanitari. C’è bisogno di una èquipe medico-infermieristica del reparto che prenda in carico il paziente-bambino anche in questa delicata fase della cura. «Un progetto bellissimo, ma dal costo notevole – spiega Antonio Gabrieli -. Grazie alle donazioni dalle aziende del territorio è stato possibile accenderlo, ora sta a noi mantenerlo». Si è mosso anche il ciclismo per sostenere «Quasi a casa». Il Team Gruberg, che si è qualificato per la Race Across America. Si tratta di pedalare in continuazione per 24 ore al giorno, alternandosi ogni sei ore con il proprio compagno di avventura, nella consapevolezza di dover percorrere 600 chilometri al giorno per la bellezza di un tempo massimo di 9 giorni. Il coast to coast degli Stati Uniti avrà luogo a giugno,
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e Aldo Zini ed Enrico Bergamelli (questi i componenti del team, nella foto), tramite Kendoo, devolveranno una somma proprio all’Associazione conGiulia. www.congiulia.com Per donazioni: Iban: IT69V05428 11110 000000004166 Intestazione: conGiulia Onlus Descrizione: Oncoematologia pediatrica
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007 italiani 'sotto controllo' bergamasco
Dal 2013 alla guida del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, c’è il senatore Giacomo Stucchi: «Nel nostro Paese c'è un sistema che funziona, grazie al lavoro dell'Intelligence e delle forze dell'ordine»
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controllare chi ci controlla (per il nostro bene) è un bergamasco. Dal 2013, alla guida del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, c’è infatti il senatore leghista Giacomo Stucchi. Per legge - art. 30 della Legge 124 del 2007 -, l’Intelligence italiana deve rendere conto della propria attività al Comitato di palazzo San Macuto. Partiamo dall'inizio: come nasce il Copasir? Nel 2007 è stata superata la Legge 801 del 1977, riguardante i Servizi segreti, ed è stata approvata la 124, che disciplina il nuovo sistema del Comparto Intelligence.
Sono stati eliminati Sisde e Sismi, e create Aisi (Agenzia informazioni sicurezza interna) e Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna), coordinate dal DIS, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza. Il DIS svolge la stessa funzione del DNI statunitense, che però di agenzie ne coordina sedici. Il Copasir è l'evoluzione del vecchio Copaco (Comitato parlamentare di controllo), previsto dalla legge 801/77, ma con più poteri. Numero elevato quello delle agenzie USA? Sì, ma anche i Ranger fanno parte del loro sistema di Intelligence, perché controllano una riserva strategica come l'acqua, che deve
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di Emanuela Lanfranco
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essere tutelata da possibili inquinamenti ad opera di terroristi. Aisi e Aise cosa gestiscono? Le due agenzie operano su obiettivi prioritari e strategici, indicati dal Governo. Il Presidente del Consiglio (art. 3 della legge 124) può delegare le funzioni che non sono ad esso attribuite in via esclusiva a un ministro senza portafoglio o a un sottosegretario - denominati Autorit à Delegata. In questa legislatura, tale compito delicato è affidato al senatore Marco Minniti. E' l'Autorità delegata a trasmette al Comitato tutte le informazioni legate alle attività del Comparto Intelligence, anche mediante specifiche relazioni, a cadenza periodica. Inoltre informa il Copasir dei risultati raggiunti e - in alcuni casi anche ad operazione in corso - spiega le attivazioni delle Agenzie per fronteggiare le minacce asimmetriche che si pongono sullo scacchiere internazionale come sul versante interno. Veniamo al ruolo del Copasir. Ha dieci componenti, cinque deputati e
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cinque senatori. Cinque devono essere di maggioranza, cinque di opposizione. Per legge il comitato deve essere guidato da un presidente di opposizione. Si tratta del ruolo più delicato, all'interno del Parlamento, riservato all'opposizione. In situazioni particolari, al presidente viene fornito un quadro completo di quanto accade, con informazioni in tempo reale. Poi chi guida il Copasir informa i membri del Comitato. Un ruolo di peso. Una bella responsabilità. Il Copasir è l'unico organismo autorizzato a lavorare in concomitanza con le sedute di Camera e Senato, anche se sono previste votazioni. I temi che trattiamo sono così delicati che sarebbe impossibile fare diversamente. Quali autorità incontrate? Nelle audizioni, i massimi vertici della Polizia, dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, dell'Esercito, Procuratori generali, oltre che i direttori delle Agenzie (AISE e AISI), il Direttore Generale del DIS, ministri facenti parte del CISR e ad altri
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soggetti in possesso di informazioni utili per il nostro lavoro. Affrontiamo tematiche legate alla sicurezza del Paese. Abbiamo una necessaria 'regola d'ingaggio': non possiamo dire nulla di quanto di specifico apprendiamo ed elaboriamo nel corso dei lavori del Copasir. Una buona parte dell'attività della nostra Intelligence può essere resa pubblica, e viene resa nota con una Relazione annuale sulla politica dell'informazione per la sicurezza, pubblicata su www.sicurezzanazionale.gov.it, il sito del Comparto Intelligence. La Relazione è anche uno strumento strategico per decodificare scenari fluidi e costruire anticipazioni. Nella Relazione di quest'anno peraltro si sottolinea il confronto e la collaborazione con il Copasir, spiegando che "Il Comparto è coprotagonista nella feconda e armonica collaborazione con il Copasir, di una straordinaria e sempre aperta pagina di democrazia parlamentare...". Una parte delle informazioni che racco-
gliamo, invece, rimane classificata per ragioni di riservatezza e sicurezza nazionale. Si rendono noti i risultati del lavoro, tenendo presente che spesso i successi dell'Intelligence sono quelli che non possiamo raccontare e che 'non sono mai accaduti'. Il sistema è complesso? E' una Intelligence che opera a protezione dei diritti e della libertà, oltre che presidio di democrazia. Un Sistema che funziona ma necessita, come tutti gli organismi, di controlli. Il nostro ruolo è delicato: il controllo democratico. Verifichiamo che tutto ciò che fanno le Agenzie avvenga rispettando le regole cui sono sottoposte, non solo le leggi ordinarie. Il rispetto della privacy, innanzitutto. Purtroppo la storia dei Servizi, in Italia, è stata a volte legata a vicende che si tingevano di grigio, ora la percezione è cambiata e dei nostri 007 -
uomini e donne dello Stato che lavorano per proteggere tutti - c'è una nuova narrazione. E un indice di fiducia che l'Eurispes certifica a quota 64%. Fino a una manciata di anni fa - quando ancora c'era il 'mito' dell'impermeabile e degli occhiali scuri - sarebbe stato impossibile pensarci. Con che frequenza si riunisce il Comitato? Abbiamo fatto più di 200 riunioni in due anni e 10 mesi. Durano in media un paio d'ore. Il precedente Comitato, presieduto prima da Francesco Rutelli e poi da Massimo D'Alema, in cinque anni ha svolto 150 riunioni. Non è che loro non lavorassero, semplicemente è cambiato il mondo. In che senso? Fino al 2013 sul fronte estero, Daesh quasi non esisteva, c'erano solo i problemi dei Paesi della primavera araba e poco altro. Non c'era il Datagate, esploso nel giugno
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2013, pochi giorni prima che ci insediassimo: è stato un altro duro banco di prova, perché la tutela dei dati personali delle comunicazioni è un nostro tema. Siamo stati a Washington, all'NSA, a Bruxelles, a Tallin, per riunioni internazionali volte a fronteggiare unitariamente l'emergenza. Ci sono differenze di vedute tra noi e gli Usa. Infatti in Italia il dato, cioè il contenuto di una conversazione, e il metadato, cioè quando-dove-numero del ricevente e del chiamante, sono tutelati allo stesso modo. Negli Stati Uniti i metadati non sono tutelati. Oggi gran parte delle conversazioni passa da Whatsapp, Facebook, Skype: i server sono americani, quindi applicano la loro giurisdizione. Sono dati che servono a fronteggiare il terrorismo. L'obiettivo è questo. E la messa a terra del
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discorso è semplice: se voglio controllare l'inquinamento di un fiume verificando se vi siano o meno bottiglie di plastica nelle sue acque, lo devo fare senza disturbare i pesci. Dobbiamo darci delle regole ma senza depotenziare la lotta al terrorismo. Per fare questo abbiamo interlocuzioni continue con i soggetti che si occupano di queste materie, comprese le società che in Italia operano nel campo delle telecomunicazioni. Devono garantire di essere pronte a fronteggiare attacchi esterni: la rete delle telecomunicazioni è un'infrastruttura critica e un suo mal funzionamento potrebbe mandare in crisi il sistema Paese. Sono pericoli tangibili. Per questo vengono seguiti, con l'impiego di tante persone. Altre attività del Comitato? Teniamo anche incontri internazionali, in cui ci confrontiamo con i Comitati omologhi al nostro, soprattutto europei. Il confronto parlamentare è infatti quello che consente, al di là della diplomazia ufficiale dei governi, di capire se il proprio strumento di controllo funziona o meno. Oppure se altri Paesi hanno strumenti più efficaci. Che poteri avete? Non pochi. Esprimiamo pareri sui bilanci del Comparto Intelligence che, pur non essendo vincolanti, vengono quasi sempre totalmente recepiti. In alcuni Paesi i comitati ad esempio possono obbligare il governo a spostare risorse da un obiettivo all'altro. Da noi non c'è questo strumento ma opera una sorta di moral suasion, per cui se decidiamo che c'è qualcosa di fondamentale da aggiungere o da cambiare sui documenti a noi sottoposti - non solo i bilanci - il governo ne prende atto. Il Comitato dà anche tutta una serie di pareri che riguardano l'interna corporis delle Agenzie. Ogni settimana analizziamo una quantità rilevante di documenti. Il Presidente li riceve tutti e li mette a disposizione dei componenti. C'è sempre collaborazione tra maggioranza e opposizione? Ad oggi abbiamo approvato ogni atto all’unanimità. Hanno avuto disco verde tanti testi, diversi, e su questioni molto dedicate. Un altro dei vantaggi del Comitato è che, essendo le sedute segrete, non vi è spazio per la polemica politica. I nostri verbali pubblici riportano solo orari di inizio e fine riunione. E i contenuti sono secretati.
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Non è mai successo che trapelasse qualcosa? A volte capita, ma solo per i titoli, non per i contenuti. In alcuni casi però, soprattutto per faccende molto delicate - come recentemente per i due italiani morti in Libia, per il caso Regeni o per operazioni in corso - si decide che qualcosa debba essere riferito in maniera corretta ai media, raccontando il frame di un evento o alcuni tag fondamentali, anche per evitare fantasiose ricostruzioni che non servirebbero a nessuno. E spesso questo compito è delegato al Presidente. Dopo i fatti del Bataclan, ad esempio, la scorso 13 novembre, il giorno successivo ci siamo riuniti d'urgenza. All'uscita dalla riunione nei corridoio c'erano decine di giornalisti ad aspettarci: in quei casi devi trovare il modo di rispondere, fino al massimo consentito. Non si può lavorare di fogging. La prevenzione lì ha fallito. E da noi? Nel nostro Paese c'è un Sistema che funziona bene. Molto è dovuto al lavoro svolto a monte dall'Intelligence, ma molto anche dalle forze dell'ordine e dalle procure. Il controllo del territorio è capillare e, ad oggi, non ci sono piani di attacchi o progettualità ostili che possano essere indirizzati in maniera specifica contro il nostro Paese. . Questo non vuol dire che vi sia una situazione di sicurezza assoluta. Bisogna avere il coraggio di evidenziarla e serrare sempre più le maglie della rete di una sicurezza partecipata. Le sfide sono il terrorismo internazionale, la minaccia cyber ma anche gl attacchi alla sicurezza economico-finanziaria. La dimensione sfidante dell'Intelligence è cambiare le cose sul terreno. Guardare lungo, e in largo. Questo terrorismo, però, è profondamente diverso. Ha mutato pelle, ma il controllo del territorio resta decisivo. Del resto le situazioni di disagio sociale vissute nei quartieri ultrapopolari che hanno portato alcuni soggetti verso il terrorismo degli anni Settanta sono le stesse che si vivono oggi nelle banlieu nostrane, dove covano le maggiori ostilità nei confronti della cultura occidentale. Il problema è la perdita degli spazi sociali, il disagio delle periferie. Per Bergamo, ad esempio, la realtà di Zingonia risulta anche per questo problematica. A livello cittadino, ci potrebbero essere
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individui pericolosi tra gli ultrà? Se determinate tifoserie possano avere collegamenti con gruppi estremisti politici, occorre capire quali e in che modo. A Bergamo questo problema non c'è: parlo di situazioni che riguardano l’Intelligence, naturalmente, non a fattori di ordine pubblico. Tornando al terrorismo, sapete chi sono i soggetti da tenere d’occhio. Si sa chi sono i soggetti problematici ma finché non ci sono reati non si può procedere. L'Intelligence agisce a monte, analizzando situazioni sospette, con i metodi ammessi dalla legge. A valle, c'è il lavoro di procure e forze dell'ordine. Che effetto fa essere a capo di un organismo di controllo parlamentare sull'Intelligence? Ho possibilità di conoscere molto di quello che accade e posso accedere a tante informazioni, attuali o legate alla storia repubblicana. Ma ho anche la consapevolezza di un compito istituzionale che mi porta sempre a cercare il meglio per il nostro Paese e i suoi interessi. Potreste anche essere ricattabili. E in qualche modo? E' un rischio reale. Infatti dico sempre: "meno cose so, meglio è". Come diceva Condor nel celebre romanzo. Ma purtroppo non posso non sapere... Mi consolo con un detto di Sun Tzu: 'Investi su spie destinate a vivere'. Ma con un sorriso. È un lavoro a tempo pieno, quello del presidente del Copasir? Da mattina a sera, e spesso anche nel fine settimana. Ma è bello stare nel campo, 'operativo' anch'io. Comunque una vita molto interessante, considerando tematiche, viaggi e incontri. Quanto dura il mandato? Fino alla fine della legislatura, e di solito l'incarico non viene rinnovato. Si vengono a conoscere già troppe cose in 5 anni. E il vincolo di riservatezza vale non solo durante l'incarico, ma per tutta la vita. Ci porta dietro il tunnel di dati che si è attraversato, ma soprattutto l'esperienza di aver lavorato davvero al servizio dello Stato. Una donna potrebbe ricoprire questo ruolo, visto che veniamo considerate delle chiacchierone? Perché no? All'interno del comitato c'è Rosa Villecco Calipari, deputata Pd e collega
capace e competente. Chi nomina il Comitato? I presidenti dei gruppi parlamentari danno i nominativi ai Presidenti di Camera e Senato. Sono nomine spesso molto ambite, nel mio caso però mi è stata chiesta la disponibilità da Maroni, visto che già nel '99 ero stato componente del Copaco, ma ho accettato solo dopo essermi consultato con Silvia (Lanzani, compagna di partito e nella vita, ndr ), perché un ruolo del genere incide anche sulla vita privata. Siete a disposizione 24 ore su 24? Sì. Ricordo ad esempio che dopo pochi giorni dalla nomina sono stato chiamato un sabato mattina, molto presto, perché dovevano comunicarmi un'informazione riservata. Lo fecero per telefono, utilizzando le procedure del caso. A proposito di tutela delle comunicazioni, le racconto un aneddoto. Quando sono stato nominato, ho detto scherzando a un amico dei 'Servizi segreti': "Adesso però basta controllarmi il telefono". Lui si è messo a ridere e mi ha
risposto: "Noi non lo faremo, ma ci sarà almeno una dozzina di Servizi di Paesi stranieri che da oggi in poi lo faranno". Qualche novità che vuole segnalare, riguardo all’Intelligence? I roadshow fatti dai Servizi nelle università italiane. Sono stati finora 24, da Nord a Sud del Paese. Ci hanno messo la faccia, raccontando chi sono e cosa fanno. Una volta l'arruolamento avveniva soltanto con i transiti dalla Pubblica Amministrazione, quasi sempre comparto Difesa e Sicurezza. Oggi, oltre al bacino 'tradizionale, all'Intelligence servono esperti di informatica, matematica, lingue rare. Quindi è importante il contributo che possono dare questi nuove energie e menti, di cui gli atenei sono ricchi. È la prima volta che l'Intelligence lo fa e sono stati finora 'arruolati' 30 giovani, i migliori dalle università italiane. Un esperimento che ha portato 'sangue fresco' alle Agenzie ma soprattutto ha contribuito ad allungare il campo di competenze e passione. Nodi attivi di una rete nuova. Dopo la forma-
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zione alla Scuola del Comparto -il campus dell'Intelligence nazionale - entreranno in attività, portando il loro contributo. Cosa pensa la gente della nostra Intelligence? C'è molta stima. Uscendo da ragionamenti abbastanza accomodati, è cambiato l'algoritmo: si è passati dalla cultura della segretezza alla cultura della sicurezza. I Servizi lavorano per difendere la gente; sono composti da uomini e donne che, per proteggere gli interesse del Paese o aiutare cittadini in difficoltà, a volte mettono a repentaglio la propria stessa vita. Quando leggo di connazionali sprovveduti, che si recano in zone pericolose, penso a questo. Da un anno però se una persona compie un viaggio in un Paese a rischio finendo nei guai, e i familiari chiedono l'aiuto dello Stato al termine della vicenda, giustamente, lo Stato richiede il rimborso delle spese sostenute per risolvere la vicenda. Responsabilità è una parola-valigia che non dovremmo mai dimenticare.
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Piccioni viaggiatori, passione a rischio estinzione
Claudio Bombardieri e il fascino di un hobby che sta scomparendo: «Viaggiano a 80 chilometri orari circa. Le gare più lunghe sono anche le più emozionanti: i colombi finiscono per percorrere sei, sette, ottocento chilometri di fila»
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olti li considerano una seccatura, portatori di malattie e imbrattamonumenti. Ma la verità è che i piccioni, quelli viaggiatori, sono stati eroi di guerra, e non solo. Dal 1943 ad oggi sono in tutto 62 gli animali decorati per aver salvato migliaia di vite umane: 32 medaglie al valore sono state assegnate a piccioni, 26 a cani, 3 a cavalli e solo una a un gatto. Mary of Exeter, un piccione femmina, fu ferita ben quattro volte durante la Seconda Guerra Mondiale mentre trasportava messaggi top-secret tra Gran Bretagna e Francia. I falchi di Hitler non sono riusciti ad abbatterla. L’importanza dei piccioni viaggiatori venne testimoniata dal generale Fowler, capo del dipartimento comunicazioni dell’esercito britannico. Così
descrisse il loro valore: «Durante i periodi di tranquillità possiamo utilizzare messaggeri, telegrafi, telefoni, segnalazioni con bandiere e i cani, ma quando si accende la battaglia e la situazione si fa caotica con mitragliatrici, artiglierie e i gas dobbiamo affidarci ai piccioni. Quando i soldati si perdono o rimangono accerchiati dal nemico in località sconosciute, possiamo contare soltanto su comunicazioni affidabili. Le otteniamo solamente con i piccioni. Non ci hanno mai tradito». «Se ne potrebbero fare a migliaia, di questi esempi», ci racconta Claudio Bombardieri, che per hobby con i piccioni viaggiatori ci gareggia. Li alleva in una piccionaia nel verde vicino a casa, in Maresana.
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di Emanuela Lanfranco
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A quando risale l'utilizzo dei piccioni viaggiatori? Alla notte dei tempi, erano utilizzati nel mondo arabo, da Egizi e ai Persiani, 3 mila anni fa. Non sono molte le persone che coltivano questo hobby Purtroppo è un hobby che sta scomparendo: io ce l'ho perché tramandato da mio padre, che li ha sempre avuti, tranne forse nel periodo antecedente la seconda guerra mondiale quando gli erano stati tolti e uccisi. Gli impegni di lavoro non mi ha permesso di seguirli per molti anni, ma li ho sempre tenuti. Poi mio figlio Simone ha condiviso la mia passione, così come anni prima io stesso avevo condiviso quella di mio padre, facendomi tornare l’interesse per questi animali che l’arrivo de miei nipotini hanno ulteriormente rinforzato. Hanno cominciato a portare i colombi a scuola, alle elementari, e a liberarli dopo aver inserito un biglietto con il loro pensiero nell’anello legato alla zampa dell’animale; poi io recuperavo i foglietti quando i colombi rientravano in colombaia e li riportavo alla maestra. I bambini ne saranno rimasti affascinati. Assolutamente. Una volta ad una scolaresca ho fatto lanciare i colombi da Città Alta a
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gruppi, poi ho portato tutti i bambini, circa un’ottantina qui alla colombaia, così hanno potuto vederli arrivare: ci impiegano meno di un'auto... Bellissima l’idea di accogliere scolaresche chissà che ricordo magnifico avranno di quel giorno. Sicuramente, sono convinto che potrebbe rientrare anche nell’ambito di attività didattica, l’unico problema sono i bagni, non ne ho a sufficienza per tanti bambini
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(ride, ndr). Sono tornate “di moda” anche le gare. Io sono ritornato a gareggiare quando Marco, capolaboratorio alla Polynt, è andato in pensione. È lui che mi gestisce i piccioni, perché io non ho tempo. Purtroppo a qualche gara manco, ma non a quelle su lunga distanza, a queste ci tengo particolarmente. Sono la mia passione. I colombi percorrono sette anche ottocento chilometri senza sosta. Stare ad aspettarli è emozio-
nante. Un esempio sulle loro prestazioni: se partono da Forlì, devono percorrere 260 chilometri in linea d'aria, impiegano tre ore e un quarto, viaggiano a 80 chilometri orari circa. Come si svolgono le gare? Il colombo viene portato e punzonato alla partenza, con un anello magnetico oltre a quello con il numero di matricola, che poi è la loro carta di identità per sempre. Se le gare sono corte, li portiamo al punto di lancio (inizio gara) un giorno prima, magari alla sera del venerdì per il lancio del sabato mattina. Se le gare sono lunghe, partiamo il giovedì, perché anche il camion che li trasporta ha bisogno del suo tempo per arrivare al luogo del lancio, in caso di mal tempo il lancio si protrae, perché i tempi di percorrenza aumentano. Il tempo all'arrivo non viene preso all’ingresso alla colombaia, ma solo quando il piccione è entrato : talvolta arriva spaventato e stanco e impiega qualche minuto per trovare l’ingresso. Per l’allevatore è una sofferenza, l'arrivo è certificato dalla timbratura con l’apposito orologio, o dalla rilevazione automatica effettuata con un
apposito telepass. Poi i dati degli orologi vengono messi a confronto: vince chi ha la media di velocità più alta. Nelle gare, ogni partecipante lancia più
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colombi: io ne ho un centinaio a nome mio , più i quaranta di Marco. Arrivano sempre tutti? Purtroppo no: ci sono gli incidenti e i falchi, che oggi sono il pericolo numero uno. Ce ne sono troppi. C'è qualche forma di allenamento? Sì: lasciamo i colombi liberi un'ora al mattino e un'ora la sera in volo di allenamento. Gareggiano sia i maschi che le femmine, chiaramente non si lanciano contemporaneamente entrambi i componenti di una copia, sono animali decisamente fedeli ed è proprio questo che fa tornare il maschio ala colombaia. Per la femmina invece è l’istinto materno. Fate degli accoppiamenti, quindi. Certamente. La muta dovrebbe cominciare a marzo e finire a dicembre. Noi stiamo facendo degli accoppiamenti invernali per ritardare la muta e avere per le gare lunghe di primavera degli esemplari che non hanno ancora perso penne. Cosa mangiano? Diverse miscele di semi speciali. Quali sono i paesi che praticano questo hobby? I paesi più quotati nelle attività colombo-
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file sono Belgio e Olanda; poi vengono la Germania e la Francia. Molto avanti anche Malta e Spagna, mentre l'Italia sta scomparendo. Un vero exploit si sta avendo in Cina, Thailandia, etc. Paesi dove le scommesse le hanno nel sangue. Questi paesi hanno fatto lievitare il mercato in maniera tremenda: ci sono colombi che hanno sfiorato i 300mila euro di quotazione. A Shangai, per dare un'idea, ci sono 15-20mila allevatori, contro i 25-30 di Bergamo. Quando lanciano tutti insieme, si possono veder partire 600mila colombi: uno spettacolo incredibile. E scommettono tutti. Le razze migliori chi le alleva? Belgio e Olanda sono all’avanguardia mondiale nella riproduzione di piccioni con caratteristiche di campione. Sono riusciti a selezionare per ogni specialità: velocità, mezzofondo, fondo, e vendono in tutto il mondo colombi novelli.
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Ovvero? Sono i colombi che non sono ancora usciti dalla colombaia. Perché una volta usciti, non sono più cedibili per le gare in quanto cercheranno sempre di tornare alla prima colombaia. Ora sono di moda le colombaie collettive, che raccolgono novelli da ogni parte. Sono più gestibili, e si gareggia più facilmente, senza dover per forza avere una colombaia privata. Una volta si faceva anche da noi specialmente nei ricoveri e nelle carceri, dove aveva una funzione aggregante. Poi questa usanza s'è persa. Ne avevamo una di riferimento al Parco di Arcadia, Magenta: donavamo dei colombi per l'attività degli anziani. L'usanza una volta era più diffusa, anche perché quella colombofila era una della attività previste durante il servizio militare. Ma se non facesse le gare li terrebbe lo stesso?
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Sì, è una passione. Quando li vedo volare in allenamento, riesco a scorgere eventuali imperfezioni. Ai colombi bisogna dedicare molta attenzione e cure: vaccinazioni, integratori. Niente doping, perché in Italia abbiamo voluto controlli ferrei. Doping? Addirittura? Sì, in Belgio e Olanda era molto diffuso. In quegli stati, gli appassionati sono centinaia di migliaia, e girano grosse cifre. Basti pensare che c'è un servizio meteo espressamente dedicato ai colombofili. Ci sono dei metodi particolari per poter rendere il piccione competitivo? Sì. La più esasperata e cinica è la vedovanza: ai piccioni togliamo le loro femmine, e fino alla gara successiva non le vedono più. A volte gliele facciamo vedere prima della partenza, ma solo vedere: non possono accoppiarsi. Così il rientro in colombaia è più rapido.
Gare di piccioni viaggiatori
TECNOLOGIA Quando un piccione viaggiatore ha 10 giorni, viene dotato di un anellino con un numero di identificazione attaccato alla zampa. Il giorno della gara, viene attaccato un microchip nell'altra zampa che registrerà il numero di identificazione su un orologio elettronico, quando l'uccello passa sopra a un cuscinetto a scansione ottica al rientro in colombaia. Può capitare che i piccioni si mischino in altri stormi, e perdano l’orientamento finendo in una colombaia diversa. Fortunatamente, il mondo delle corse dei piccioni è piuttosto piccolo, quindi la maggior parte dei piccioni che si perdono vengono restituiti ai padroni quando letti i loro numeri di identificazione, viene identificato il proprietario. IL GIORNO DELLA GARA Gli amanti delle gare dei piccioni viaggiatori controllano attentamente le condizioni climatiche da ogni stazione meteo sul percorso che gli uccelli sorvoleranno. Un cielo limpido è la condizione migliore per le gare. Se è prevista pioggia, la gara può essere rimandata. Le gare solitamente cominciano all'alba e vengono effettuate durante i fine settimana. Gli amanti dei piccioni possono arrivare a perdere 2-3 uccelli nelle gare superiori alle 250 miglia. Falchi e cavi elettrici possono costare la vita ai piccioni viaggiatori.
REGOLE I piccioni viaggiatori sono considerati purosangue del cielo e vengono pagati in base alla velocità, alla loro resistenza e alla loro capacità di svolgere il proprio incarico. Sono in grado di viaggiare per 600 miglia al giorno. Come riescano a ritornare a casa è uno dei misteri della natura. La gamma delle gare varia dalle 100 alle 600 miglia, permettendo agli uccelli di volare attraverso diversi stati. Tutti i piccioni vengono rilasciati nello stesso momento in uno stesso punto. La tecnologia Gps calcola in maniera precisa la distanza tra il punto di inizio e ogni colombaia di arrivo. I tempi di atterraggio vengono registrati su un orologio elettronico che si attiva quando il primo dei colombi in gara entra nella propria colombaia. L'uccello che ha fatto registrare la più alta velocità media, è dichiarato vincitore. PREPARAZIONE La corsa dei piccioni richiede molto tempo e un po’ d soldi. I corridori professionisti dedicano almeno 2-3 ore al giorno alla pulizia, all'alimentazione e all'allenamento dei propri piccioni. Benché i semi e gli articoli necessari siano piuttosto economici, il maggior investimento riguarda i costi veterinari, come quelli per le vaccinazioni.
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«Ostetriche per le donne: ora più che mai»
Questo è lo slogan del Collegio delle Ostetriche di Bergamo e Lombarde. Ne abbiamo parlato con la Presidente, dott.ssa Ostetrica Nadia Rovelli. «L’ideale sarebbe un ritorno all’Ostetrica condotta: ora chiamata ostetrica di comunità affiancata al medico di base, al pediatra di base o alle farmacie»
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stetrica, levatrice, mammana... questi solo alcuni dei nomi con cui nella storia è stata identificata quella figura femminile che assiste e supporta le altre donne e neonati in gravidanza, al parto e allattamento. In ogni cultura questa figura è un riferimento per le altre donne e il rispetto che le viene attribuito è di grande rilievo. Ma l’ostetrica è, in realtà, molto di più: ha la professionalità e competenze per occuparsi della donna a 360 gradi. Ne abbiamo parlato con un'autorità del settore: Nadia Rovelli, Ostetrica tutor e docente, nonché Presidente del Collegio delle Ostetriche di Bergamo, il cui obiettivo è «Ostetriche per le donne: ora più che mai», mutuato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Ci sono tante ragazze che optano per questa professione? Sì, tant’è che rispetto alla richiesta, solo 1 su sette che ne fa richiesta, ha accesso
alla formazione universitaria. C'è molta richiesta. Cosa porta una donna a fare questa scelta professionale? L'attrazione per il processo riproduttivo e soprattutto una forte percezione della sfera femminile, dalla sessualità all'essere madri e attrazione per la salute di genere. È una scelta professionale che a volte fanno anche gli uomini, e infatti ci sono studenti ed ostetrici maschi che svolgono con grande competenza la professione. Molte aspiranti ostetriche, inizialmente, motivano la scelta dicendo: «Mi piacciono i bambini». Ok, la cura ed assistenza del neonato sano è di competenza dell’ostetrica considerando che siamo laureate in scienze ostetrico-ginecologiche neonatali. Ma in realtà le ostetriche si occupano della salute e prevenzione nell’arco di tutto il ciclo vitale della donna, dal menarca - cioè la prima mestruazione - alla menopausa
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di Emanuela Lanfranco
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Particolarmente delicato è il periodo del post maternità. Sì, il cosi detto puerperio o meglio cosiddetto periodo di esogestazione, ovvero i primi nove mesi del bambino. Il cucciolo d’uomo è l'unico mammifero che alla nascita non, non cammina, non è autonomo né autosufficiente, quindi dopo l’endogestazione, ovvero il periodo della gravidanza, vive altri nove mesi in totale dipendenza-simbiosi con la mamma. Viene partorito al nono mese di gestazione solo perché il bacino osseo della donna non permetterebbe di farlo in un momento successivo, quando il feto sarebbe sviluppato maggiormente. Biologicamente e per un istinto ancestrale di sopravvivenza e protezione dei cuccioli, durante l’esogestazione, è la donna a nutrire il bambino; negli ultimi 100 anni ci sono poi state delle evoluzioni tecnologiche che portano talvolta a discostarsi da questi processi istintivi e biologicamente programmati. L'allattamento artificiale. Non è naturale non allattare il bambino. le aziende che producono i sostitutivi del latte materno hanno avuto mercato fin dagli anni '70, quando il desiderio di emancipazione delle donne si è associato a questa innovazione: l’alimentazione artificiale del neonato liberava la donna dalla dipendenza e necessita di continua vicinanza permettendole un emancipazione anche professionale. In questi ultimi dieci anni gli studi scientifici stanno dimostrando gli effetti sulla salute dell’individua sia a breve che a lungo termine, dovuti al mancato allattamento al seno. Infatti sono molto forti le raccomandazioni dell OMS e di altre società scientifiche nell’invitare gli indirizzi politici in tema di salute al sostegno l'allattamento materno, unica pratica di salute realmente dimostratasi efficace. Che risultati hanno dato queste ricerche? Il latte materno non è solo alimentazione: contiene una serie di componenti proteiche fondamentali ed inimitabili che promuovono lo sviluppo funzionale di importando organi del neonato come il sistema nervoso, immunitario, l’apparato digerente, mette cioè l’organismo in grado di crescere sano e maggiormente resistente ai rischi o patologie, oltre al fatto di favorire delle connessioni emotive, neurologiche e comportamentali tra la donna ed il suo cucciolo. Gli studi sono concordi nel riscontro che l'alimentazione artificiale, non biologicamente regolata, può favorire a obesità e malattie dismetaboliche, intol-
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leranze, patologie respiratorie sia in età pediatrica che adulta. Attualmente abbiamo un boom di malattie cronico-degenerative neurologiche e dismetaboliche, ad esempio il diabete, che si stanno manifestando sempre più precocemente. La ricerca ha identificato tra le cause possibili anche il mancato allattamento materno. Parliamo della professione Ostetrica. L'ostetrica è una professionista sanitaria intellettuale normata da una specifiche leggi nazionali ed europee, quindi con uno specifico un percorso accademico ad uno proprio codice deontologico. Prima del Decreto Ministeriale 740 del 1994 era una professione che svolgeva mansioni in stretta collaborazione e maggiore dipendenza dalla figura del medico. Anche se in realtà le ostetriche condotte di un tempo erano riferimenti apicali, insieme al prete e al sindaco in ogni paese, con molta competenza ed autonomia professionale. Dal 1994 l'ostetrica è l'unica professione sanitaria non medica con un ambito specifico decisionale e di competenze agite in autonomia e con propria responsabilità: ad esempio può assistere in autonomia e con totale responsabilità l'intero percorso di una maternità fisiologica, normale, e solo in presenza di fattori di rischio o patologie, chiede la consulenza e/o l’intervento del medico specialista attivando un per la donna percorso integrato multi professionale. Vorrei puntualizzare che i modelli di cura centrati sulla donna e sulla figura dell'ostetrica/o (midwife-led) sono sostenuti dall'Organizzazione Mondiale della Sanità in quanto ritenuti fondamentali per la tutela della salute sessuale, riproduttiva, materna e neonatale e risultano particolarmente favorevoli anche sotto il profilo del rapporto costo- efficacia e costo-beneficio. Negli altri paesi europei avviene la stessa cosa? In molti paesi internazionali questi modelli sono consolidati da anni: il ruolo dell’ostetrica nel servizio sanitario è centrale per tutela ed assistenza alla salute di genere femminile. In Europa si investe moltissimo su questa professione, e le ostetriche si trovano in modo capillare sul territorio ed è garantita alla donna la scelta del luogo dove partorire che può essere la casa, un centro nascita gestito solo da ostetriche o l’ospedale per le donne con fattori di rischio. Le ostetriche si occupano di tutte le attività di prevenzione, educazione e promozione della salute, di contraccezione, pianificazione
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famigliare, violenza domestica, prendendosi in carico l’intero percorso nascita assistendo la donna e poi il neonato e il nuovo nucleo familiare. L'Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda proprio questo modello ai decisori politici in ogni paese: investire sulle ostetriche per attivare più servizi per la salute delle donne e ridurre la mortalità materna e neonatale. L’indicatore considerato per valutare quanto un paese investe sulla salute delle donne e neonati, è il rapporto Ostetrica /popolazione femminile: la media europea è di un'ostetrica/o ogni 1100 donne, in Italia il rapporto è di un'ostetrica per oltre duemila donne. La classifica è capeggiata dalla Svezia, dove il rapporto ostetrica/donna è 1: 500. Poco, un’ostetrica per oltre duemila donne. L'abolizione dell'ostetrica condotta è stata seguita dalla nascita dei consultori familiari, fortemente voluti dalle donne, dove le ostetriche hanno sempre per anni svolto attività di prevenzione, informazione, tutela della salute materno neonatale, sostegno all’ allattamento materno, counselling di pianificazione familiare, sessuale, educazione ai corretti stili di vita, per gli adolescenti, le donne e la famiglia. Poi le riforme sanitarie e la necessita di ridurre i costi sanitari hanno portato a un impoverimento della presenza delle ostetriche nei consultori ed in ospedale (anche se in ambito materno infantile investendo sulla salute delle donne si guadagna in salute dei neonati e della famiglia essendo le donne le prime ad occuparsi di assistenza dei propri familiari). Ciò che crea salute e permette di individuare precocemente un discostamento del normale processo gravidanza nascita e puerperio è un modello organizzativo che prevede un'assistenza ostetrica continuativa di un'ostetrica, o di un team di ostetriche; invece oggi il percorso di una donna è estremamente frammentato fra diverse figure professionali, aumentando i costi sia per la donna che per il servizio sanitario. La donna riceve indicazioni ed informazioni talvolta divergenti, che le creano confusione e riducono anche la percezione di partecipazione al suo processo di cura . Sono troppi i modelli di cura proposti. Il modello continuativo-assistenziale con presa in carico dell’ostetrica si è dimostrato il migliore per rapporto costo-efficacia e crea maggior soddisfazione materna - andrebbe applicato ovunque. Importante, soprattutto, il rapporto one-to-one, sempre con la stesso ostetrica, durante il travaglio, ovvero ogni donna in travaglio di parto ha il diritto
di avere una ostetrica continuativamente presente con lei, che accerti e supporti continuamente la progressione normale del travaglio, identifichi precocemente l ‘insorgenza di fattori di rischio prima che diventino vere e proprie complicanze, supporti la donna nel suo coping al dolore e personalizzi l’assistenza. Questo modello organizzativo garantisce migliori esiti di salute maternoneonale è implementato in poche realtà ospedaliere. Qual è la prassi, attualmente? Spesso un'ostetrica assiste contemporaneamente due-tre donne in travaglio: impossibile garantire un assistenza ostetrica personalizzata ed essere di supporto alla donna/coppia. Queste situazioni aumentano la necessità di medicalizzazione della nascita. Si creano delle reazioni a catena che, innanzitutto, compromettono il senso di fiducia della donna. È un evento estremamente intenso, il travaglio: le donne sono preparate fisicamente e biologicamente, ma con un'ostetrica dedicata ricorrono meno ad analgesia, ad interventi, induzioni, tagli cesarei e migliora la qualità della comunicazione ed assistenza ricevuta. In Italia i cesarei sono eccessivi e l'Oms ci richiama da anni su questo indicatore di medicalizzazione che impoverisce anche l'esperienza di maternità. Parallelamente c’è anche un aumento della morbilità materna, ovvero di effetti negativi sulla salute riproduttiva successiva dopo un parto non naturale La recente Legge regionale 23/2015 che riforma il servizio sanitario della Regione Lombardia offre possibilità di migliorare questa prassi organizzativa e mi sto molto impegnando a livello politico ed istituzionale affinché ciò avvenga efficacemente. La donna deve arrivare preparata, insomma. Sì, deve poter capire ed essere un decisore attivo del suo percorso assistenziale. Scegliere il taglio cesareo «perché non voglio sentir dolore» è il risultato di una scarsa ed obiettiva informazione: non si soffrirà durante il travaglio, ma successivamente sì. Stessa cosa per la scelta del parto a domicilio: si può fare solo se in sicurezza con una selezione ed organizzazione dell’assistenza ostetrica. Il parto a domicilio è sicuro? Oggi più che in passato. L'Oms lo consiglia, se si tratta di un parto programmato con determinati requisiti di salute della donna. Vuol dire essere seguite dalle ostetriche dall'inizio della gravidanza ove viene costantemente rilevato il bilancio di salute della donna, e con il coinvolgimento attivo
del partner. Se emergono fattori di rischio anche minimi la scelta del parto a casa viene sconsigliata. Si valutano anche l’ambiente, la distanza del domicilio dall’ospedale, l’organizzazione del trasferimento qualora fosse necessario. L'80% delle donne potrebbe partorire a casa. Durante il travaglio l'ostetrica vigila costantemente la situazione e può capire per tempo se e cosa fare e definire la necessita di un trasferimento in ospedale in sicurezza e non in emergenza. Ecco perché tanti cesarei. In Italia il 36 % dei travagli si conclude con taglio cesareo: sono tanti. Infatti siamo secondi al mondo come percentuale , primi in Europa. Ma la cosa anomala è che in Lombardia ed in Italia, a seconda dell'ospedale, le percentuali cambiano molto. Cambiano a seconda dei modelli organizzativi e dei protocolli assistenziali adottati e non in base alle caratteristiche fisiche della popolazione di donne che afferisce a quell’ospedale. I protocolli devono essere basati sulle evidenze scientifiche, devono essere favorire il minor ricorso all'intervento chirurgico. La figura dell'ostetrica ha molte competenze, mi pare di capire. Sì, è ha una formazione molto ampia. I programmi didattici della formazione universitaria sono ampliati di contenuti rispetto a soli 20 anni fa, eppure le ostetriche hanno progressivamente perso visibilità e tendenzialmente confinate nelle aziende ospedaliere Noi stiamo chiedendo alla Regione che le ostetriche svolgano il loro ruolo nei propri ambiti di competenza, attualmente occupati anche da altri professionisti sanitari. Esempio: lo screening del cancro della cervice, conosciuto come Pap-test. Non è un esame tecnicamente difficile da eseguire, ma se eseguito da un'ostetrica può fare la differenza in merito all approccio sistematico che adotta con la donna in quanto ha la competenza di identificare delle alterazioni cutanee dei genitali , individuare eventuali altre problematiche indagando e informando rispetto alle malattie sessualmente trasmesse, incontinenza vescicale, etc. È un momento prezioso il tempo dedicato durante un qualsiasi screening a cui le donne si sottopongono perché sono le poche occasioni in cui entra in contatto con servizio sanitario, in quanto è statisticamente provato che le donne dedicano poco tempo alla propria salute per la difficolta a conciliare i numerosi carichi di lavoro familiare e professionale e dunque
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c’è la necessita di valorizzarlo al massimo Ma c'è già il medico ginecologo. Sì, medico specialista delle patologia. Noi siamo specialiste della fisiologia, della normalità: un intervento integrato permette di potenziare i benefici della cura, ad esempio l’ostetrica può consigliare ed educare la donne a svolgere la ginnastica pelvica prima che sia necessario ricorrere all'intervento chirurgico per risolvere un l'incontinenza vescicale. L’ostetrica lavora per potenziare e mantenere funzionalità del processo riproduttivo rendendo partecipe e responsabile la donna del suo stato di salute. Collaboriamo col medico specialista nell’effettuare gli interventi da lui prescritti per le donne con patologie, sempre con la metodologia di potenziare le competenze della donna. La nostra visione parte da un concetto di normalità e non di patologia con la competenza di individuare ciò è meno funzionale e la necessita dell’intervento specialistico del medico. Non è nella nostra mentalità, però, far riferimento all'ostetrica. Perché c’è sempre meno accessibilità ai servizi sanitari in cui l’ostetrica per appropriatezza lavora Non si sa dove poter contattare un ostetrica, se non in ospedale. Però lentamente le cose stanno cambiando: stanno nascendo tanti ambulatori di fisiologia della gravidanza gestiti dalle ostetriche. C'è ne uno in ogni realtà ospedaliera della provincia bergamasca e nei nostri consultori, oltre a studi privati ostetrici. Cosa state facendo per far capire l'importanza dell'ostetrica per la salute femminile? Promuoviamo tanti eventi per incontrare le donne. Il Collegio delle ostetriche di Bergamo, a ottobre ho organizzato un convegno sulla tematica della conciliazione allattamento e lavoro con il patrocinio della Camera di Commercio. Abbiamo invitato gli impresari bergamaschi affinché si possano promuovere modelli organizzativi di genere. È stato un modo per farci conoscere: abbiamo anche dato la nostra disponibilità per fare consulenze alle aziende in merito alle necessita di una donna che rientra al lavoro dopo la maternità e che sta allattando. Proseguire l’allattamento riduce le assenze della donna lavoratrice sul posto di lavoro per assistere il figlio malato, in quanto i bambini allattati godono di miglior salute Inoltre tutti i Collegi di Ostetriche della Lombardia hanno organizzato la presenza significativa di 120 ostetriche che, in occaGIU-LUG 2016
sione della corsa amatoriale Strawoman che si è svolta a Milano l’8 maggio, festa della mamma, hanno corso accanto alle donne per dimostrare l’efficace rapporto numerico ostetrica/donna che dovrebbe essere raggiunto nei servizio sanitario. È stata inoltre occasione per fare numerose consulenze ostetriche alle donne partecipanti presso uno stand allestito appositamente. Ovviamente abbiamo vinto il premio di maggior numero partecipante alla gara!! Vi occupate anche di menopausa. In che modo? Diamo consigli sull’ alimentazione, l’importanza dell’attività fisica e soprattutto favoriamo che questo processo conclusivo del ciclo riproduttivo della donna sia l’inizio di un nuovo evento promuovendone l’accettazione. La medicina sta ridimensionando la prescrizione a tappeto di farmaci sostitutivi gli ormoni da assumerne in menopausa, in quanto l'assunzione di ormoni senza una specifica indicazione puo causare altri effetti collaterali. Allo stand di Strawoman, ad esempio, regalavamo mandorle alle donne: contengono fitoestrogeni naturali e apportano molti benefici, se ne consigliano 5 al giorno. Eppure le ostetriche costano meno di un medico. Si decisamente. E, ribadisco, in Italia stiamo andando controcorrente rispetto al resto del mondo. Ci sono realtà lombarde come la provincia di Brescia in cui vi sono delle eccezioni positive: il 60 per cento delle gravidanze viene seguito nei consultori, dalle ostetriche che effettuano anche le visite domiciliari in puerperio. L’ospedale è il luogo della cura delle patologie non per assitere la donna sana gravida che, dovendo rivolgersi ad un luogo adibito alla cura, spesso considera la nascita un evento rischioso e non naturale. Lo spirito della legge regionale vuole che in ospedale deve essere curato solo ila persona con una patologia acuta, e valorizza molto il servizio sanitario territoriale per l assistenza e post ricovero e la prevenzione. Ci si auspica che le nuove Aziende Socio Sanitarie applichino soprattutto per la maternità questo principio e ci sia un incremento di servizi territoriali affidati alle Ostetriche L'ideale sarebbe un ritorno all'ostetrica condotta? Assolutamente sì. L'ho detto anche al ministro Lorenzin recentemente, che concordava proprio per la sua esperienza di maternità. Andrebbe affiancata al medico
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di base, ai pediatri, nei consultori ma anche nelle farmacie, dove la clientela è soprattutto femminile Lei ha figli? Tre, e solo per il terzogenito ho avuto necessità di cure ostetriche in ospedale, infatti dopo 48 ore di rottura del sacco amniotico è stato necessaria l’induzione farmacologica del travaglio. Nelle prime due gravidanze, ho partorito a domicilio, è stato tutto naturale: non mi è stato separato il bambino ho allattato da subito. Anche in ospedale ho voluto tenere il bambino sempre con me evitando di esserne separata: le evidenze scientifiche raccomandano da anni che il neonato deve «contaminarsi» con la propria madre per favorire un ottimale sviluppo del suo sistema immunitario. E poi l’inizio precoce dell’allattamento al seno, da subito: già nel colostro è contenuta una lattoproteina, che non può ancora essere assimilata dal bambino ma serve per nutrire la sua sana flora batterica intestinale. Fondamentale è la pratica di effettuare il contatto pelle a pelle del neonato con madre per almeno un ora subito dopo la nascita, questo è utile per l’adattamento del neonato alla vita extrauterina e anche per favorire i processi fisiologici post parto della madre… per non parlare degli enormi benefici favorenti l’instaurarsi della relazione madre-neonato. La perfezione sta nella natura, non nell artificiale, l’uomo non è riuscito ancora ad
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imitare il latte materno, l’utero femminile ed il calore materno. Tornando alla figura delle ostetriche in Italia: cambierà qualcosa? È necessario: il mondo va in questa direzione per migliorare la salute delle donne, dovremo adeguarci. Una cosa buona c'è: lo scorso febbraio l'Italia ha recepito integralmente senza artefatti, una normativa europea - con dieci anni di ritardo - che ha finalmente permetterà alle ostetriche italiane di agire in autonomia come le colleghe europee che dispongono di un ricettario per prescrivere esami alla donna in gravidanza Avrete il ricettario, quindi? In Lombardia ci stiamo ‘lavorando’…, ma in altre regioni, come il Trentino ed Emilia Romagna, Veneto, Lazio, Piemonte è una realtà. Le mie richieste ai decisori politici regionali non sono per promuovere la mia categoria professionale ma per promuovere la salute delle donne e dei loro bambini, per riportare la cultura della normalità della nascita, il rispetto del diritto di scelta delle donne e l’attivazione di modelli di cura ostetrica che mettano al centro la donna e la sua famiglia… per permettere tutto questo è fondamentale il ruolo della professione Ostetrica/o e la richiesta delle donne di ricevere una assistenza appropriata, competente e rispettosa... Anche questo movimento femminile si sta muovendo.
Inter vista
«Dobbiamo costruire reti, non muri»
Scienze dell’Educazione, all’Università di Bergamo, in 5 anni ha raddoppiato le matricole. Merito dell’integrazione col territorio e dell’alto tasso di occupazione dei neolaureati. Ce ne parla il professor Giuseppe Bertagna
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lternanza scuola-lavoro e pari dignità dei percorsi formativi. Sono le Colonne d’Ercole attraverso cui la scuola italiana dovrebbe definitivamente lasciarsi alle spalle decenni di riforme annunciate, ma mai davvero realizzate. Il professor Giuseppe Bertagna, pedagogista, già coordinatore del gruppo di lavoro per la riforma Moratti nel 2001, ne è fermamente convinto. È direttore del dipartimento maggiormente attrattivo dell’Università di Bergamo, Scienze umane e sociali, dopo esserlo già stato dal 2002 al 2006 (attualmente è in carica dal 2012, con riconferma fino al 2018). Un dipartimento che ha raddoppiato il numero di matricole negli ultimi cinque anni, superando ampiamente quota mille. Quali corsi di laurea comprende il dipartimento?
Partiamo da Scienze dell'Educazione, che è poco sotto le 900 matricole. Quattro gli indirizzi della triennale: 1. prima infanzia e asili nido; 2. educatori di comunità (tossicodipendenze, minori non accompagnati, case famiglia, etc.); 3. servizi per gli anziani (per l'invecchiamento attivo, per l'accompagnamento e la cura sociale, per l’animazione educativa dell’housing sociale e delle rsa, per un sostegno agli affetti e alle relazioni di cura all’insorgere di demenza); 4. servizi per il lavoro La successiva laurea magistrale contiene due indirizzi: uno dedicato al trattamento educativo delle fragilità, che potenzia la competenze pedagogiche relative ai primi tre indirizzi della triennale, e uno dedicato ai servizi per il lavoro che potenzia le competenze gestionali dell’ultimo indirizzo della triennale (spin off, start up, costituzione di imprese sociali profit e non
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di Fabio Cuminetti
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profit, strumenti per le politiche attive del lavoro, apprendistati e tirocini formativi, responsabili risorse umane aziendali, tutor etc.) e che le colloca all’interno di una teoria e una pratica della formazione iniziale e continua. Parallelo a Scienze dell’educazione esiste il corso di laurea in Scienze Psicologiche (a numero programmato: non più di 300 ogni anno), a cui segue l’unica laurea magistrale in Psicologia Clinica esistente in Lombardia con quasi 140 studenti. Di questa laurea esiste anche il curricolo totalmente in lingua inglese. C’è anche un dottorato? Sì, in Formazione della persona e mercato del lavoro. È l'ultimo dei tre livelli accademici. Ogni anno abbiamo da venti a trenta posti. Reclutiamo persone che più che alla carriera accademica, però, mirano a conseguire profili e competenze professionali di alto livello, richieste dalle dinamiche dell’attuale mercato del lavoro sia esso autonomo e/o dipendente. Per questo abbiamo parecchie borse messe a disposizione da imprese private e uno dei più alti numeri nazionali di dottorandi apprendisti. Lavoriamo su quattro curricula: risorse umane-scienze della formazione, psicologia clinica, diritto e mercato del lavoro, scienze socio-geoantropologiche; per tutti e quattro, poi, una comune dimensione epistemologica e
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filosofica. Ci sono inoltre master di primo e secondo livello, nonché corsi di perfezionamento, che facciamo sempre con le imprese. L'integrazione con il mondo del lavoro è una delle vostre peculiarità, infatti. Vero. Abbiamo molti apprendisti di terzo livello nella magistrale di Scienze Pedagogiche e nel dottorato. Stiamo cercando di incrementare il percorso in apprendistato, che consente di usufruire di un percorso altamente personalizzato, anche nella triennale. Abbiamo in generale una percentuale altissima di studenti lavoratori, per i quali predisponiamo servizi specifici, ancorché non abbiamo una contratto di apprendistato. La teoria illumina l'esperienza professionale che ognuno ha nel suo campo, e l'esperienza professionale permette di porre problemi e quesiti alle teorie accademiche. C'è stato un grande incremento di studenti nel vostro dipartimento. La crescita è stata notevole. Conti che due indirizzi della triennale sono estremamente efficaci anche in termini di professione, nel senso che chi li sceglie ha il 90 per cento di probabilità di trovare subito occupazione. Gli altri due si fermano a poco più del 70 per cento ad un anno dalla laurea, un dato comunque ottimo, quasi unico anche a livello nazionale. La crescita delle matricole ci ha spinto a proporre un terzo
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corso di laurea, in Scienze della formazione primaria: sarà aperto ai giovani che vogliono diventare maestri nelle scuole dell'infanzia e nelle primarie. Pensiamo di assorbire in questo modo il numero esagerato di studenti che oggi, con una delle natalità più basse al mondo (secondo solo al Giappone), si iscrivono all’indirizzo asili nido di Scienze dell'Educazione. Il nuovo corso di laurea sarà un ciclo unico di durata quinquennale, a numero programmato. Dovrebbe partire, speriamo, l’anno prossimo: l'iter burocratico è purtroppo ancora incerto e tortuoso. Come motiva il boom di matricole? Le spiegazioni sono diverse. Innanzitutto abbiamo un forte legame con gli enti del territorio, dove mandiamo i nostri studenti a fare tirocini ordinari e d'eccellenza, facendoli accompagnare da tutor nostri e da tutor nella realtà d'accoglienza. Sono quasi settecento gli enti coinvolti. Ciò implica che i nostri studenti conoscano le varie tipologie di servizi e sappiano muoversi con disinvoltura tra di esse, e riescano facilmente a trovare occupazione al termine del percorso formativo. Del resto il settore dei servizi per la persona è l'unico che non ha risentito della crisi economica che ancora non passa. Una seconda ragione del successo è l'accompagnamento dei nostri studenti nelle start up e nell’avviamento al lavoro
attraverso il nostro ufficio Placement. Qui utilizziamo da un lato le risorse europee, cioè Garanzia Giovani; dall'altro le risorse regionali di Dul, Dote Unica Lavoro. Facciamo orientamento, consulenza per l'imprenditorialità personale, certificazione delle competenze, collocazione per chi non ha un posto di lavoro, indicazioni per la formazione continua. L'accompagnamento al lavoro è fondamentale, dunque. È uno dei nostri punti di forza, perché aiuta a raggiungere i livelli di occupabilità e occupazione che le ho citato. Il principio generale che sorregge questo nostro accompagnamento al lavoro è il superamento dell'impostazione tradizionale per cui prima si va a scuola, e solo dopo, anzi spesso molto dopo, si va a lavorare. Noi premiamo quelli che studiano lavorando, e che lavorano studiando: qualificano l'impresa, e qualificano noi come accademia. La teoria sposa la pratica. Per questo si sono rese necessarie strutture laboratoriali, seminariali e di riflessione che uniscono le due prospettive. C'è anche il progetto Orientamento per le scuole secondarie. È stato avviato quest’anno. Siamo disponibili a offrire ai ragazzi delle secondarie esperienze di alternanza formativa in università. Organizziamo l'University Week, settimana di lavoro accademico per i ragazzi di quarta: in questo modo scoprono le dinamiche dell'ateneo. Gli studenti finiscono la settimana con prove che, se superate, li dispensano dal ripetere i test d'ingresso nel momento dell'iscrizione a Scienze dell’educazione e li allenano a non avere problemi nei test di ammissione per psicologia. Se
le prove non vanno bene, obblighiamo le matricole agli Ofa - Obblighi formativi aggiuntivi - che consentano loro di colmare in maniera personalizzata le lacune prima di poter fare gli esami del primo anno. Dopo 13 anni di scuola preuniversitaria (l’unico paese al mondo a mantenerla così lunga), come risulta mediamente la preparazione dei ragazzi? Purtroppo non soddisfacente. È uno dei più rilevanti problemi di efficacia del nostro sistema di istruzione. È un buon strumento di fidelizzazione dello studente, l’University Week? Decisamente sì. C’è un'altra iniziativa che facciamo per l'orientamento: si chiama Meeting-Ex. Gli studenti universitari che provengono da un istituto di istruzione del territorio incontrano, introdotti e supportati da un tutor universitario, gruppi di studenti provenienti dallo stesso loro ex istituto. Ci sono anche gli University Day: le classi o i gruppi di allievi che ne fanno richiesta scelgono di frequentare per un giorno le lezioni di uno o più insegnamenti; dopo aver ascoltato le lezioni, seguono alcune attività di laboratorio concordate con il docente e con i suoi collaboratori. E il progetto S.o.f.i.a, in che cosa consiste? Vuol dire Servizio di Orientamento e di Formazione in Ingresso di Ateneo. Un team di orientatori del dipartimento incontra gli studenti delle classi quarte e quinte che intendono autenticare la prospettiva di intraprendere un percorso formativo universitario nell’ambito della psicologia o delle scienze dell’educazione. Al colloquio individuale possono seguire successivi incontri in piccolo gruppo.
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Facciamo un passo indietro: l’apertura al territorio sta funzionando. È fondamentale: l'idea dell'autoreferenzialità dell'accademia doveva finire. L'accademia è sempre stata considerata un chiostro, una turris eburnea, nella quale si penetrava solo di soppiatto, oppure riservata alla casta dei «sacerdoti del sapere», l’unica ad avere l'accesso al tempio. Noi cerchiamo di fare un lavoro di apertura e di rete: siamo in linea virtuale (web) e reale (seminari, inviti di esperti e di responsabili istituzionali) con il territorio, con le associazioni, con i sindacati etc.). Ci impegniamo a costruire reti, non muri. Veniamo alla riforma della scuola: lei è stato coordinatore del gruppo di lavoro per la riforma Moratti nel 2001. Ma la riforma ha tradito le vostre indicazioni. Un secolo e mezzo di storia non si cancella in un attimo. La nostra proposta del 2001 in cui si ipotizzava un cambio radicale della scuola secondaria, rimodulata su 4 anni, con l'idea dell'alternanza scuola-lavoro e una grande valorizzazione dell'istruzione e formazione professionale con la pari dignità dei percorsi formativi attualmente ancora gerarchizzati, valorizzazione introdotta per rispettare la riforma del Titolo V della Costituzione - era forse troppo rivoluzionaria rispetto alle abitudini dell’esistente. Fu infatti accettata a metà dalla successiva legge di riforma, la n. 53/2003. Di fatto, poi, questa legge fu inapplicata e a poco a poco smontata nelle sue parti più innovative. Ma qualcosa ritorna. Per esempio, l’enfasi attuale sull’alternanza scuola lavoro e sul sistema duale italiano fondato sull’apprendistato di I e III livello è un’eredità di quei tempi. Com’era concepita l'alternanza scuolalavoro? Nel 2002 io e Marco Biagi lavoravamo insieme. Lui l’anno successivo fu l’ispiratore della Legge 30, noi stavamo preparando la Legge 53. L'idea era che si dovessero integrare territorio e scuola, impresa e scuola, e viceversa. Dai 15 anni, le scuole potevano realizzare i loro profili formativi appunto in alternanza pratica-teoria, lavoro-scuola, dinamica sociale-apprendimenti formalizzati, laboratorio-aula. Era inoltre già possibile ipotizzare un percorso dai 15 ai 29 anni in apprendistato, unendo titoli di studio e lavoro. Qualificazione del lavoro, dunque, che avrebbe aiutato le aziende a non farsi trovare impreparate di fronte alla crisi gravissima iniziata nel 2009. Un'azienda deve capire che se non funziona non è solo colpa
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degli altri, ma anche di proprie mancate innovazioni formative del personale, organizzative, produttive e comunicative. Con le giuste professionalità, reagire alla crisi sarebbe stato più facile. Qualificazione del lavoro, ma anche qualificazione della scuola che non può più essere un chiostro in cui si recitano salmi che non motivano l’apprendimento degli studenti solo perché non se ne dimostra il senso vitale e le ricadute sociali e professionali. Ma la riforma è stata affossata. Perché? Inerzia mentale, pregiudizio ideologico-politico da bipolarismo fobico ossessivo e istinto di conservazione dei vari corporativismi che appesantiscono in troppi settori lo sviluppo del paese e che non temono di sacrificare il futuro di tutti ai propri interessi attuali e particolari. Così abbiamo perso tempo. La Buona Scuola lo sta recuperando? In parte sì. Due cose buone le può senz’altro rivendicare: aver introdotto in maniera obbligatoria l'alternanza scuola-lavoro (200 ore per i licei, 400 per gli istituti tecnici e professionali) ed essersi coordinata con il Jobs Act per la valorizzazione dell'apprendistato formativo di I e III livello, avviando il cosiddetto sistema duale all’italiana. Non mi piace invece il fatto che sia l’ennesima legge che dichiara di risolvere il problema del precariato invece creandolo e che, soprattutto, rilanci in grande stile il centralismo amministrativo, d’altra parte, però, coerente con la globale svolta neocentralistica impressa dalla riforma della Costituzione per la quale è stato indetto il referendum del prossimo ottobre. Il principio di sussidiarietà consacrato nell’art. 118 della riforma del Titolo V varata nel 2001, vero pilastro di un’autonomia reale e non dichiarata delle istituzioni scolastiche, non è più, e purtroppo da tempo, il centro delle strategie politiche scolastiche e perfino universitarie. D’altra parte, obbligare persone reclutate nel modo che conosciamo a fare l'alternanza quando nessuno le ha preparate prima a promuovere e a sistemare gli apprendimenti con questa metodologia è sbagliato: ancora una volta dimostra che l'agire amministrativo prevale su quello culturale, pedagogico e metodologico. Ma bisogna aver tanta pazienza, da noi, perché le cose cambino davvero. Chissà forse un prossimo break down ci darà una mano nell’impresa! Giudizio finale, quindi, per la Buona Scuola? Intenzioni iniziali ottime; risultati quasi sufficienti dopo il passaggio dell’articolato
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legislativo in Parlamento; esiti largamente insufficienti nella fase esecutiva. Con, ripeto, l'elemento positivo di aver dato una scossa, ancorché centralistica e anche un po' autoritaria, alle pratiche disattese dell’alternanza e dell’apprendistato. Se non altro molti saranno costretti a scoprire che collegare scuola e impresa non è quella scelta demoniaca di cui pigri di mente e lesti di tifo vociferano dal 2003, ma, se ben usata, può diventare un'opportunità per qualificare il futuro delle nostre giovani generazioni. In Italia, insomma, una riforma efficiente del sistema non si riesce a fare. Le riforme del sistema scolastico, in Italia, sono state fatte in regime di pieni poteri. Gabrio Casati, 1859, in Piemonte, durante la seconda guerra d'indipendenza, la fece in 4 mesi. Nel dicembre del 1922, il Parlamento vota i pieni poteri al governo Mussolini. Giovanni Gentile, da gennaio a maggio del '23, edita tutti i decreti della sua riforma. Poi, da allora, sul piano strutturale, modifiche di dettaglio, non di sistema e di paradigma culturale. Dopo 90 anni siamo infatti ancora lì: i licei per la formazione ritenuta di serie A, gli istituti tecnici di serie B, l'istruzione professionale di serie C, l'istruzione e formazione professionale regionale di serie D, l'apprendistato per i falliti della scuola. Come le è venuta l'idea dell'alternanza scuola-lavoro? Dall'esperienza personale. Io sono di Brescia, dove abito tuttora. Lavoravo e studiavo. Poi, quando mi laureai, mia madre mi disse: fai il concorso nella scuola, il posto è sicuro
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(c’erano allora 11 cattedre a bando, a livello nazionale!). Lo feci, lo vinsi, lasciai la mia attività, e divenni professore di filosofia e storia. Poi divenni preside, ma mi stancai presto. Passai a fare il dirigente superiore dei servizi ispettivi del Ministero dell'Istruzione. Quindi sono diventato ricercatore a Torino, docente associato a Bologna e docente ordinario a Bergamo. Cambiare posti di lavoro e prospettive professionali nella vita non è mai male: arricchisce, spinge alla formazione continua e amplia gli spazi per affermare la propria libertà e le proprie convinzioni ideali. Differenze tra Bergamo e Brescia? Ogni città ha la sua storia. Penso che Bergamo sia meglio di Brescia dal punto di vista architettonico e paesaggistico. Ma le idee delle due città nel cono d’ombra dei municipalismi di fine '800 sono decisamente superate. Gli antagonismi di questo tipo sono roba da medioevo, come quando bergamaschi e bresciani si scontrarono nella cosiddetta battaglia dei Conigli. La storia del movimento cattolico, la storia del movimento operaio e la storia della borghesia sono molto diverse tra le due città. Sebbene oggi, con la globalizzazione, si stiano uniformando (vedi la vicenda bancaria). Bisogna però conservare della memoria ciò che è utile per capire il presente ed affrontare il futuro che vi irrompe. La antica rivalità andrebbe in questo senso usata solo per migliorarsi reciprocamente. Bisogna fare agli altri il bene che si vuole venga fatto a sé stessi: è quello che tentiamo di fare, in piccolo, nel nostro dipartimento.
Cult
Evento AEGEE, l'Europa unita a Bergamo
Più di mille ragazzi da quaranta Paesi, dal 18 al 22 maggio, si sono dati appuntamento alla Fiera di Bergamo. Maestosa l'Open Ceremony al teatro Donizetti. Un continente coeso dal basso, senza frontiere e distinzioni
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EGEE, Association des Etats Généraux des Etudiants de l’Europe, è una delle più grandi associazioni giovanili e studentesche europee. Un’associazione interdisciplinare, che raccoglie studenti e laureati di ogni facoltà, e comprende oggi una rete di circa 13mila studenti provenienti da 40 paesi europei. I rappresentanti di Aegee si danno appuntamento ogni sei mesi in un'Agora: dal 18 al 22 maggio l'edizione "Spring" si è tenuta alla Fiera di Bergamo. Oltre mille i partecipanti (circa mille e duecento, per la precisione): come dei
novelli garibaldini, impegnati a costruire l'Unità d'Europa passando proprio dalla Città dei Mille. Hanno parlato di Europa unita dal basso, senza frontiere e distinzioni. “Tutti, volontari e partecipanti, lasciamo la meravigliosa Fiera di Bergamo con l’amaro nel cuore - ha commentato Paolo Ghisleni, coordinatore dell'evento -, quello stesso amaro di chi sa che un’esperienza così bella, così complessa e così ricca di soddisfazioni è finita prima che ce ne rendessimo conto”. Maestosa l'Open Ceremony al teatro Donizetti, e apprezzate le comodità offerte
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dalla Fiera di Bergamo e la cura che ogni singolo volontario ha messo in ogni particolare. "Sono sicuro che prima o poi questi giovani straneri torneranno", aggiunge Ghisleni. Perché la città è piaciuta molto e l'esperienza è stata indimenticabile: ha rafforzato legami e creato nuove amicizie. Un segnale di fiducia e vicinanza in un'Europa che a livelli istituzionali elevati non sembra dimostrare la stessa coesione. Grande lo sforzo dei trenta volontari locali che hanno portato a termine gli ultimi ritocchi prima del grande inizio, e dei più di cento i volontari e i ra-
gazzi che hanno partecipato con l’alternanza scuola lavoro e il tirocinio universitario. “Organizzare ogni singolo dettaglio, dalle intolleranze alimentari alla sicurezza, dalle docce ai trasporti non è stati semplice”, spiega Michele Gambarini, coordinatore della logistica, “ma poco alla volta ogni tessera di questo grande puzzle si è incastrata alla perfezione, definendo in modo sempre più nitido il disegno Agora, un disegno di cui nemmeno noi, all’inizio di quest’avventura, conoscevamo esattamente i connotati”.
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Giurisprudenza Ingegneria
Lingue, letterature e culture straniere Lettere, FilosoďŹ a, Comunicazione Scienze umane e sociali Scienze aziendali, economiche e metodi quantitativi
www.unibg.it
Il futuro dipende da ciò che facciamo nel presente {Gandhi}
Laurearsi...e poi?
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l periodo universitario rappresenta un passaggio molto importante nella carriera personale e scolastica. Perchè costituisce il coronamento di un lungo percorso che dalla prima infanzia porta all'ingresso nell’età adulta e alle sfide che ne derivano. Per accompagnare gli studenti in questa fase impegnativa e stimolante, l'associazione dei laureati dell'Università di Bergamo ha scelto quest'anno di dare il via al progetto LAUREARSI... E POI?. "Con questa ambiziosa iniziativa", spiega Cristiana Cattaneo, consigliere di LUBERG responsabile del progetto, "vogliamo fare dell'associazione un ponte fra l'Università e il mondo del lavoro e del post laurea. È stato quindi naturale costruire, d'intesa anche con il rettore, un progetto in cui abbiamo raccolto una serie di testimonianze di nostri giovani laureati che si sono inseriti da poco tempo nel mondo del lavoro per offrire la loro esperienza a tutti gli studenti dell'università. Il progetto prevede anche un secondo momento in cui gli studenti avranno la possibilità di confrontarsi con laureati senior di importanti aziende della bergamasca che abbiano fatto percorsi significativi e interessanti in aziende di rilievo. Abbiamo quindi pensato gli sharing days per porre in relazione i nostri studenti con laureati junior e senior per uno scambio di esperienze e condivisione che possa aiutarli a far emergere le aspettative, i desideri e le ambizioni in relazione all'ingresso nel mondo del lavoro". Gli incontri si svolgeranno nella sede dell'associazione di Via Vittorio Emanuele II, 10 (Palazzo del Monte) secondo un calendario costruito per aree curriculari di appartenenza: il primo sarà l'8 giugno e riguarderà il polo di Economia e Giurisprudenza; il 12 ottobre ci sarà
l'appuntamento per il polo ingegneristico; infine, il 16 novembre si terrà il confronto per il polo umanistico. Per partecipare agli incontri è sufficiente iscriversi sul sito laurearsiepoi.it indicando l'area o la funzione aziendale di interesse per identificare i laureati che possano rispondere al meglio a tutti i dubbi e curiosità. CONCORSO LETTERARIO Per chi volesse invece mettere in mostra le proprie abilità di scrittura, LUBERG offre per il quarto anno consecutivo l’importante vetrina del Concorso letterario 2016. Rivolto a studenti universitari e/o laureati dell'Ateneo di Bergamo ma anche a studenti e laureati di altri atenei, purché nati o residenti in Bergamo e provincia, il concorso identificherà i tre vincitori ai quali verrà corrisposto un premio in denaro rispettivamente di 1.000 Euro al primo classificato, 500 Euro al secondo classificato e 250 Euro al terzo classificato. I racconti dei finalisti saranno p u b b l i c a t i i n u n vo l u m e edito da Sestante Edizioni. La premiazione dei finalisti e la consegna del premio finale del concorso avverrà in occasione della cerimonia di fine anno. Per partecipare è necessario inviare elaborato, scheda di iscrizione e bonifico consegnandoli direttamente alla s e g r e t e r i a L U B E RG – a Bergamo in Via dei Caniana, 2 – oppure inviandoli via mail all'indirizzo concorsoletterario@luberg.it. La scheda di
iscrizione con la copia del bonifico per la quota di partecipazione – che sarà di 15 Euro per soci LUBERG e studenti e di 30 Euro per laureati non associati – dovrà pervenire entro il 25 giugno 2016; gli elaborati dovranno essere consegnati in formato pdf, entro il 15 settembre, in duplice copia: una copia riporterà nella prima pagina il nome dell’autore e il titolo del racconto, la seconda copia riporterà nella prima pagina solo il titolo del racconto. Il regolamento del concorso e la scheda d’iscrizione con la liberatoria sono disponibili sul sito Luberg.it.
*Cucina di Pierangelo Cornaro Chef Patron del Ristorante Colleoni & dell'Angelo (Bergamo)
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rimavera: cibi leggeri, pesci e carni bianche. Il coniglio è per la cucina bergamasca come l’agnello per i francesi. Due ricette sfiziose.
Coniglio brasato in tapenade con gnocchi di patate all’olio Ingredienti per quattro porzioni: un coniglio di 2 kg circa farina olio d’oliva per soffriggere 6 scalogni sbucciati uno spicchio d’aglio 5 dl di fondo chiaro di coniglio 3 dl di vino bianco leggero un rametto di timo un rametto di rosmarino ½ cucchiaino da te di granelli di pepe schiacciati 3 dl di panna liquida 40 gr di tapenade( anche chiamato caviale di olive) aceto balsamico 100 gr di dadolada di carote 40 gr di dadolada di sedano 8 piccoli scalogni a quartini 4 rametti di rosmarino 4 rametti di timo 8 olive nere snocciolate 8 olive verdi snocciolate sale, pepe di mulinello Per gli gnocchi di patate (contorno ideale a questa ricetta): 100 gr di patate sbucciate un tuorlo, farina olio di oliva sale, noce moscata
Pulire il coniglio all’interno, tagliarlo quindi a pezzi regolari lavarli bene. Tritare i ritagli, la pelle crescente della pancia e il collo. Insaporire i pezzi di coniglio, infarinarli leggermente e dorarli nell’olio. Tagliare a pezzetti gli scalogni ed appassirli insieme ai pezzi di carne con l’aglio. Bagnare con 2 dl. di fondo di coniglio e con il vino bianco. Portare a bollore, unire gli aromi(rosmarino, timo, pepe in grani) e cuocere per 40 min. in forno a 180° rigirando di tanto in tanto. Togliere quindi dal tegame i pezzi di coniglio ben brasati. In un altro recipiente fare restringere il fondo chiaro di coniglio con la panna. Passare il fondo di cottura del coniglio brasato e unirlo a questa riduzione. Riportare a bollore e legare con la tapenade. Aromatizzare con l’aceto balsamico e controllare il sapore. Rimettere i pezzi di coniglio nella salsa a scaldare. Rosolare a fuoco vivo la dadolada di carote e sedano in olio di oliva, salare e pepare. Unirla al coniglio. Stufare lo scalogno con timo e rosmarino nell’olio di oliva. Prima di servire insaporirvi le olive. Per gli gnocchi lessare le patate in acqua salata, lasciarle evaporare e passarle. Insaporire l’impasto con sale e noce moscata. Incorporarvi il tuorlo e un poco di farina. Formare un rotolo sottile e targliarlo a tronchetti di 2/3 cm. Lessarli in acqua leggermente salata. Farli sgocciolare e passarli in olio d’oliva.
Scapacc di coniglio con misticanza primaverile Ingredienti per quattro porzioni: 400 gr polpa di coniglio 100 gr di olive nere snocciolate 100 gr polpa di pomodoro un dl di olio di oliva 5 cl di sugo di carne un dl di vino bianco secco salvia pancetta stesa Bergamasca 120 gr rucola, soncino, chioggiotta 15 gr sale 10 gr pepe di mulinello Ricavare delle fette sottili dalla popa di coniglio, distribuirvi le olive tritate fini e la polpa di pomodoro. Salare e pepare, farne dei piccoli rotoli, cuocerli al forno con la pancetta e julienne e 4 foglie di salviia per 20 min circa, bagnandoli con il vino. Sistemare al centro del piatto l’insalata e condirla. Disporvi il coniglio tagliato a rondelle e irrorare con il sugo di carne tiepido. Buon Appetito
*Spiritualità don Giambattista Boffi Direttore Centro missionario diocesano
Giubileo, tempo per l'incontro
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embra sempre più difficile lasciare la porta aperta. Sospetti e paure camminano con noi e la strada, da un momento all’altro, può diventare triste scenario di violenza. L’altro, grazie ad una certa enfasi, si presenta come un attentato alla mia libertà. Homo homini lupus: sentenziava un pensatore del passato. La verità di tanta affermazione si consuma spesso nei pregiudizi, nei sospetti e nel disegnare una distanza che impedisce contaminazione. I muri hanno la meglio sui ponti. E il livello di difesa sale sempre di più mentre si allargano gli orizzonti. La globalizzazione appare come un attentato a ciò che è mio e solo mio. Blindare lo spazio si rivela essere l’unica possibilità. Mentre diventa facile percorrere distanze chilometriche si scavano voragini di vicinato. In questo clima tutto quello che “viene da fuori” è estremamente pericoloso, destabilizzante. A portata di mano ogni esagerazione integralista e degenerazione ideologica. Ritagliare uno spazio giubilare in uno scenario di questo genere può diventare davvero impopolare, credo sia comunque un’urgenza assoluta. Di fatto il Giubileo nel pensiero ebraico riconsegnava l’uomo a sé stesso, la terra alla sua origine, il tempo al suo Creatore, Dio alla storia dell’umanità. La verità, segnata da un nuovo ordine di relazioni, lasciava emergere quel desiderio di solidarietà e comunione che solo è capace di rendere ragione della profondità dell’uomo e della sua natura, solo è capace
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di aprire all’incontro con Dio. Il Giubileo, alla fine, riconsegnava il mistero di Dio nella sua bellezza alla fragile custodia dell’uomo perché diventasse il tesoro ispiratore di ogni scelta, azione, relazione. Un giubileo di misericordia appunto, proprio come papa Francesco ce lo offre. La proposta è di quelle davvero impegnative. Liquidarla con qualche gesto o rito diventa proprio imbarazzante. L’altro è la cartina di tornasole delle convinzioni che muovono i nostri interessi. E’ il luogo dove l’uomo concreto ci viene incontro, chiede di incontrare la vita, invoca il senso più profondo del quotidiano. E’ la possibilità che ogni volta si rinnova perché il mondo assuma sempre di più la realtà dell’uomo e della sua natura, della sua bontà e libertà. Sguazzare dentro questo orizzonte vuol dire intuire la ricchezza delle relazioni umane, vincere la paura generata dall’egoismo e scegliere di servire la vita senza condizioni. Il volto della misericordia per il cristiano di sempre è quello del Crocifisso. L’Uomo che Pilato indica nel cuore della passione e che consegna alla trasfigurazione della morte solo perché incapace di sostenerne lo sguardo, quell’Uomo è prossimo a ciascuno di noi. Non c’è che l’imbarazzo della scelta per consegnargli una storia. Che lo si incontri mentre si va al lavoro, che si affacci al finestrino della macchina con la persecuzione della monetina, che arrivi qui con un barcone con la pretesa della guerra alle spalle, che si appelli al nostro buon senso,
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oppure che faccia parte delle amicizie, della famiglia, della comunità cristiana, della realtà del lavoro, l’altro è un volto, una parola, un gesto, un appello, alla fine, un speranza. Questa è la scelta di campo di chi vive il Giubileo! Si capisce bene che attraversare una Porta Santa non vuol dire mettere da parte un gruzzoletto di crediti per l’eternità, neppure si riduce a un gesto tradizionale per rifare il tagliando in materia di religiosità. Un dono la Porta Santa. Un dono per andare verso la vita. Uno di quei doni che non possono aspettare e non cedono ai compromessi. L’uomo va amato sempre e con tutte le forze. Una promessa la Porta Santa. Quella che lascia andare la profezia, che s’incarna nell’oggi per costruire il domani, che non ha paura di giocarsi soprattutto per chi non conta, per chi è più fragile. I poveri sono una promessa, anche se fatichiamo a farcene una ragione. Una chiamata la Porta Santa. Il rischio è quello di far finta di non sentire, di lasciarsi avvinghiare dagli incantatori di serpenti, di scegliere con superficialità lasciando prevalere il profitto, il successo, l’interesse. Ognuno di noi ha bisogno di essere accolto per quello che è. Un Giubileo così fa bene alla salute, restituisce dignità e, ne sono certo, ci aiuta a ritrovare con l’altro il sentiero della fede.
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Prodotto l’ultimo Defender della serie attuale: addio alla più amata delle leggende
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and Rover ha celebrato i suoi sessantotto anni di storia, mentre l'ultimo Defender della serie attuale, lasciava le linee di produzione di Solihull. Per l'occasione, più di 700 persone, fra dipendenti ed ex dipendenti di Solihull che avevano collaborato alla produzione dei Defender o delle Serie Land Rover, sono state invitate ad ammirare e a guidare alcuni dei veicoli storici più importanti, fra i quali spiccavano la serie I di pre-produzione soprannominata “Huey" e l'ultimo esemplare, un Defender 90 Heritage Soft Top. Contemporaneamente, Land Rover ha lanciato il nuovo Heritage Restoration Programme, che avrà sede a Solihull, negli ambienti che ospitano l'attuale linea di produzione del Defender. Un team di esperti, alcuni dei quali hanno lavorato per anni al Defender, si occuperanno del restauro di un certo numero di Serie Land Rover provenienti da tutto il mondo. Le prime unità di questi veicoli storici saranno poste in vendita dal luglio 2016. Il Dr. Ralph Speth, CEO di Jaguar Land Rover, dichiara: «Oggi festeggiamo il lavoro che intere generazioni di persone hanno svolto dal giorno in cui la silhouette della Land Rover fu tracciata sulla sabbia. Le Serie Land Rover, oggi Defender, sono all'origine delle nostre leggendarie capacità, veicoli che hanno reso migliore il mondo, spesso nelle circostanze più difficili. Il Defender avrà un posto speciale nel nostro cuore, ma questa non è certo la sua fine. Abbiamo un passato glorioso da difendere e un futuro meraviglioso da conquistare».
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Nick Rogers, Group Engineering Director di Jaguar Land Rover, aggiunge: «Oggi è un giorno speciale per Jaguar Land Rover. Ognuno di noi ha molti ricordi legati al Defender, una vera icona dell’auto, amata ovunque. Il mondo, in sessantotto anni si è totalmente trasformato, ma questo veicolo è rimasto una costante - un veicolo come nessun altro. L'ultimo esemplare del Defender attuale vanta tutta la semplicità, l'integrità e lo charme tradizionali delle Serie Land Rover. La prossima emozionante sfida che siamo impazienti di affrontare, un sogno per qualsiasi designer o ingegnere, sarà creare il Defender del domani». Durante la Defender Celebration, 25 veicoli storici Land Rover hanno sfilato lungo gli impianti di Solihull, per celebrare la fine della produzione del Defender attuale. Hanno partecipato alla storica giornata anche molti ex collaboratori, che avevano lavorato alla produ-
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zione degli iconici veicoli negli ultimi 68 anni. Sull'ultimo degli attuali Defender è ancora presente un componente originale montato sulle Soft Top fin dal 1948: un gancio del cofano. Il veicolo entrerà a far parte della Jaguar Land Rover Collection. I fan Land Rover sono invitati ad effettuare l'upload dei loro viaggi più memorabili, effettuati a bordo delle Serie Land Rover e Defender, sulla piattaforma online “Defender Journeys”. Su questo album digitale, Land Rover intende raccogliere tutte le emozionanti avventure che verranno inviate, affinché chiunque possa ammirarle e condividerle. L'obiettivo è raccogliere, tramite un crowdsourcing, i viaggi effettuati alla guida delle Land Rover, riunendoli in un'unica mappa online, conservando così, per le generazioni future, le memorie delle entusiasmanti avventure vissute a bordo delle leggendarie 4x4.
*Arte Mario Donizetti
Disegno: tecnica a punta d’argento (o piombo)
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grandi artisti hanno sempre eseguito disegni per precisare quanto avrebbero fatto in opera dipinta. Il disegno si fa con il preciso scopo di selezionare ed escludere dalla realtà dell’ opera d’ arte quelle parti inutili alla tematica dell’ artista e di evidenziare quelle parti, tolte sempre dalla realtà, significative della tematica. Così il disegno è la parte più importante di un’ opera d’arte dipinta, o di una scultura, perché è la sintesi dei valori del linguaggio e della trasmissione di un’ idea, o di un sentimento, o di una atmosfera. Il disegno non è una copia della realtà, ma la acquisizione di un valore tematico, ossia è la trasmissione di una realtà personalmente razionale. Le tecniche del disegno sono solo strumenti dell’ arte come la tematica è l’ analogia formale alla realtà. Per disegnare a punta d’ argento (o piombo) occorre stendere su un foglio di carta uno strato di tempera composta da colori minerali veicolati con colla di pelle, acqua e ammoniaca. Dopo la levigatura di questa preparazione, effettuata con lama tagliente, il disegno va eseguito usando una mina di argento o di piombo. Il procedimento di questa tecnica costituisce la prima lezione in video - consultabile anche in lingua inglese - del sito online: www.donizetti-museoscuola.it.
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*Cinema Film da rivedere, da riscoprire, da riassaporare
Pietro Bianchi
Una giornata particolare (1977) di Ettore Scola
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oma, 1938. Le immagini dei cinegiornali dell’epoca mostrano l’arrivo trionfale del Führer, ricevuto alla stazione Ostiense, costruita per l’occasione, da Vittorio Emanuele III e da Mussolini. Al termine del servizio, la voce tonante e solenne di Guido Notari annuncia il grande appuntamento dell’indomani, nella via dei Fori Imperiali, dove si svolgerà davanti a Hitler l’imponente parata di tutta la forza bellica italiana: “Nessun romano mancherà allo storico evento, che suggellerà il patto di collaborazione tra due razze create per intendersi”. Il cinegiornale si chiude e la macchina da presa inquadra un immenso caseggiato popolare, i suoi infiniti ingressi e le enormi scale a vista. È l’alba del 6 maggio: le tapparelle si alzano, le luci si accendono. In uno di questi modesti appartamenti Antonietta, madre di sei figli, è già al lavoro, per dare un’ultima stirata agli abiti che i ragazzi indosseranno e preparare il caffè per Emanuele, il dispotico marito, usciere al Ministero dell’Africa Orientale. La donna si dà un gran daffare perché i suoi non giungano in ritardo alla storica parata. Anche lei, popolana priva di istruzione, condivide del resto l’ideologia fascista e subisce il fascino virile del duce, di cui espone in casa un originale ritratto fatto con bottoni. In un album, che aggiorna con cura, raccoglie poi immagini, articoli e citazioni che celebrano la figura e il pensiero di Mussolini. Tutti sono pronti. Decine e decine di persone svuotano il palazzo, salutando la portiera, fascista convinta, anche lei esaltata dall’atmosfera festante. Resta a casa Antonietta, a malincuore, già stanca ma costretta a mettere tutto in ordine, come si addice ad una brava “custode del focolare”. Potrebbero essere solo ore d’attesa, nel vuoto e nel silenzio del condominio, rotto dall’incessante cronaca dell’evento che la radio, accesa all’esterno dalla portinaia a tutto volume, scandirà attimo per attimo per tutto il giorno. E invece sarà la giornata di un indimenticabile incontro, dovuto ad un piccolo incidente (la breve fuga dalla gabbia di Rosmunda, il merlo indiano di Antonietta), con un dirimpettaio, della cui presenza – vive lì solo da due mesi – non si era ancora accorta. È Gabriele, un annunciatore della radio licenziato, scoraggiato e disperato, destinato quella stessa sera
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ad essere prelevato e portato al confino. La visita inaspettata di Antonietta lo distoglie dai pensieri peggiori ed anzi gli ridà voglia di parlare, di vivere e, se possibile, di ridere. La reciproca curiosità li attrae e finisce per indurli a trascorrere insieme l’intera giornata. Antonietta resta via via sempre più confusa e turbata da quell’uomo diverso da tutti gli altri, delicato nei modi, disposto ad aiutarla, che apprezza le donne e si interessa alla sua opinione, capace anche però di incrinare le sue certezze su un modo di vivere e di pensare a cui lei si è acriticamente adeguata. Gabriele apre dunque in lei un primo spiraglio verso nuove consapevolezze. Dal canto suo, lui cerca di godersi quelle ultime ore di libertà, quasi giocosamente. Saliti sulla terrazza del condominio per il ritiro dei panni, Gabriele la copre con un lenzuolo e l’abbraccia: lei ride e lo bacia e fraintende. In un momento di grande tensione, lui le urla in faccia la verità e il suo dolore di omosessuale emarginato e vilipeso, privato del lavoro e condannato per non essere in linea con l’ideale di uomo proposto dall’ideologia fascista: non è né marito, né padre, né soldato. È una confessione, di fronte alla quale Antonietta reagisce male in prima battuta, salvo subito pentirsene. È anzi la chiave per un ulteriore avvicinamento, per un urgente bisogno di confidenza, di condivisione di un uguale destino di umiliazione, che tocca anche lei, continuamente tradita dal marito, da ultimo con una maestra, un affronto ancor più crudele quasi a rinfacciarle la sua ignoranza. La vicinanza tra loro si fa a quel punto per Antonietta urgenza d’amore, di un’unione necessitata non tanto o non solo dal desiderio carnale, quanto piuttosto dal bisogno, nel dolore, di un calore e di una tenerezza che non ha mai ricevuto. Gabriele lascia fare, senza avere quel trasporto che la sua natura non gli concede, ma alla fine quel che le dice val più di qualsiasi altra parola: “Incontrarti, conoscerti, parlarti e passare tutto il giorno con te, proprio oggi: questo è stato importante per me”. È la fine del pomeriggio. Mentre tutti fanno ritorno a casa, c’è giusto lo spazio per un ultimo bacio, ognuno poi verso il suo destino. Gabriele diretto al confino, Antonietta nuovamente in famiglia, con il marito infervorato ed eccitato, pronto a sparare a letto gli ultimi fuochi di quella gloriosa giornata.
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Ispirato anche dal ricordo degli eventi ai quali effettivamente partecipò all’età di 7 anni, da bravo figlio della lupa, “Una giornata particolare” è il capolavoro - amaro, malinconico, commovente - di Ettore Scola, grande sceneggiatore e regista del cinema italiano da poco scomparso. Scritto e sceneggiato con Ruggero Maccari, con la collaborazione di Maurizio Costanzo, il film è un’appassionata riflessione su una mentalità emarginante, che nel 1977 Scola sentiva ancora molto presente, nei confronti delle donne e degli omosessuali. La collocazione della storia nell’epoca fascista, pregna di dogmi indiscutibili e repressivi verso le une e gli altri, è parsa forse inevitabile e comunque quanto mai felice. La bravura di Scola e dei suoi collaboratori è stata quella di rappresentare quel clima di intolleranza, in un giorno di eccezionale consenso di massa, per vie trasversali (la lettura delle citazioni raccolte nell’album, i martellanti messaggi provenienti dalla radio), per dedicarsi completamente alla storia intima e privata di Antonietta e Gabriele, rimasti soli nel condominio a confrontarsi nel loro dolore, a cercar conforto l’una nell’altro e, insieme, un sussulto di dignità e coraggio. L’enfasi della radiocronaca, inneggiante a uomini “forti, instancabili, fieri della loro marziale bellezza, magnifica realtà dell’Italia fascista”, è il non visto che dà la misura dell’isolamento e della ghettizzazione dei due protagonisti, estraniati da un contesto collettivo che identifica lui in un disfattista sovversivo e relega lei nell’unico ruolo di procreatrice a servizio dell’uomo e dello stato. Immersi nella realtà decolorata di allora (ben resa dalla scenografia di Luciano Ricceri e dalla fotografia virata al seppia di Pasqualino De Santis) Sofia Loren e Marcello Mastroianni, dimessi e sommessi, recitano divinamente, rendendo palpitante ogni attimo della loro faticosa e forse vana ribellione ad una rassegnata esistenza. Lei, priva di trucco e il corpo prosperoso nascosto in umili abiti, tra calze rotte e ciabatte bucate, è più bella che mai. Lui, in un ruolo opposto al cliché di latin-lover che lo ha sempre contraddistinto, si meritò (con il film) una candidatura all’Oscar, vedendosi sfuggire il premio per un pelo. Attori immensi al servizio della sensibilità del regista, che fanno bello e vibrante il cinema con storie immortali come questa.
*il Pensatore Liutprandoar
Asini e dintorni L’asino… Parmi adesso: era una sera | d’ottobre nella strada di Sogliano | Cigolava per l’erta la corriera. | […] | nero sopra un trascolorar leggero | tutto il cielo, come un’ombra netta, | nero e fermo lassù come un mistero, || l’asino vidi con la sua carretta. (Giovanni Pascoli)
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erché scomodare un gran poeta del Novecento Italiano per parlare d’asini, asinelli, ciuchini muli e bardotti? Non saprei... a dir la verità, forse è per ostentare un po’ di cultura che in questo mondo radical scic non guasta mai, o forse per meglio far comprendere l’asino sia nel suo contesto bucolico, fatto di una quotidianità contadina, che giorno dopo giorno fino ai giorni nostri si è disgregata, sia per denunciare pubblicamente le inutili sofferenze che questi animali devono subire, essendo considerati una specie minore, o forse solo per parlare a briglia sciolta di asini e “derivati”. Suppongo che l’interesse per i ciuchini deve andare oltre la definizione di quadrupede buono, sonnecchioso, cocciuto, volenteroso, disposto a tutto per una manciata di biada... ops... di paglia, in quanto la biada viene e veniva esibita solo ai cavalli, animali sicuramente di lignaggio più nobile. Se percorressimo a ritroso nel tempo la storia dei ciuchini nella nostra cultura, ci apparirebbe subito chiara la motivazione del perché abbiamo l’obbligo morale di amarli e quindi di avere nei loro confronti dei comportamenti eticamente corretti. Già Aristotele nel Generatione Animalium, che l’elaborò negli anni in cui il suo pensiero filosofico aveva raggiunto la piena maturità, e dopo aver dedicato una vita allo studio della logica e della metafisica, prende in considerazione con ampie disquisizioni i ciuchini, i loro accoppiamenti ecc., quasi volesse anticipare quello che noi oggi chiamiamo bioetica. Nel mondo greco l’asino era considerato sacro e veniva identificavano come dio della sessualità e della lussuria, Pindaro lo canta nelle sue odi, Aristofane ne fa un portatore di misteri, per non parlare delle Favole di Fedro e dell’asino d’oro di Apuleio. Il culto religioso dell’asino, Onolatria, è stato praticato già nell’antico Egitto ed era rappresentato dal Dio Seth, mentre nell’impero romano l’onolatria è stata strumentalizzata come prova ulteriore di scherno nei confronti dei primi Cristiani e dei Giudei, in quanto parrebbe che i re ebrei cavalcassero esclusivamente gli asini e che avessero confinato i cavalli ai lavori più servili. Il periodo più “buio” per questi animali, e non solo, è stato il Medioevo dove veniva portato nelle chiese e fustigato davanti all’altare in quanto era considerato l’incarnazione del demonio. Gli asini sono stati partecipi di avvenimenti storici
di notevole importanza, che hanno condizionato in maniera notevole la nostra cultura; gli esempi più significativi si possono così riportare: erano nella grotta a scaldare Gesù insieme a un bue, Giuseppe e Maria con in grembo Gesù scapparono sulla groppa di un asino da Erode. Sia nella grande guerra che nella seconda guerra mondiale sono stati degli eroi, senza che nessuno ne riconoscesse l’atto eroico, salvando molti soldati da morte certa. Ma soprattutto per quello che hanno rappresentato per la civiltà contadina, per il sudore speso per l’uomo senza che gli fosse riconosciuto un ruolo sociale. Molti scrittori ne hanno menzionato il loro ruolo sociale, per Giovanni Verga, nelle sue novelle, gli asini sono parte integrante dello spaccato di vita della società Italiana del primo del novecento, a tal punto che non si capisce se i protagonisti siano gli asini o i personaggi umani che da loro dipendono. Dopo tutta questa disquisizione sugli asini, dovremmo fare delle riflessioni conclusive, intelligenti, che a dir la verità, forse, non ne sono in grado, anche se una timida idea mi sovviene... le lascio ad Arthur Schopenhauer che, nel suo libro “L'arte di amare gli asini”, postula in maniera egregia la vera natura di questi animali, e rileggendo alcuni postulati potremmo trovarci delle conclusioni sensate e significative. Postulato n°1, Una vita Felice per Noi asini è impossibile. Il massimo a cui possiamo arrivare è una vita eroica. Vive così chi in un modo o nell’altro, in certe circostanze, affronta difficoltà insormontabili per il bene di tutti, e alla fine risulta il vincitore, ma gliene viene poco o nulla. Postulato n°2, Dietro il mondo si nasconde qualcos’altro: se lo meritiamo, possiamo raggiungerlo sbarazzandoci del mondo stesso. Noi asini non ci siamo mai riusciti. Postulato n°3, che, la verità alle vostre orecchie suoni strana è abbastanza spiacevole, ma ciò non può valere come criterio di misura. Postulato n° 4, la ricchezza è come l’acqua del mare: più se ne beve, più si ha sete. Lo stesso vale per la cattiveria degli uomini nei confronti degli asini. Postulato n°5, la condizione di noi asini per essere saggi è vivere in un mondo di uomini. Postulato n°6, per noi asini sposarsi significa fare il possibile per venirsi reciprocamente la nausea. Postulato n° 7, tutti gli Asini sono nati in Arcadia, tutti veniamo al mondo pieni di pretese di felicità e di piaceri e nutriamo la folle speranza
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di farle valere fino a quando il destino ci afferra bruscamente e ci mostra che nulla è nostro, mentre tutto è suo. Postulato n°8, l’asino che mantiene la calma in tutte le avversità della vita mostra semplicemente di sapere quanto immensi e molteplici siano i mali della vita. Postulato n°9, dato che ogni felicità e ogni piacere sono di genere negativo, mentre il dolore e di genere positivi, noi asini possiamo ritenerci fortunati. Postulato n°10, lasciare trasparire l’ira o odio nelle parole o nelle espressioni del volto e delle orecchie è inutile , pericoloso, non intelligente ridicolo e volgare. Postulato n°11, osservare spesso quelli che stanno peggio di noi asini, poi quelli che sembrano stare meglio. La consolazione più efficace nei confronti dei nostri mali reali ci è data in primo luogo dalla considerazione delle sofferenze molto maggiori degli altri, in secondo luogo dalla compagnia dei socii malorum, che si trovano nella nostra stessa situazione. Postulato n°12, il mondo è un inferno e gli asini che lo abitano sono, le anime dannate, gli uomini sono i diavoli. Postulato n° 13, ciò che impedisce agli asini di diventare più saggi e intelligenti dell’uomo è, fra le altre cose, la brevità di vita: ogni trent’anni compare una nuova generazione, che non sa nulla, e deve ricominciare da capo. Postulato n°14, la bellezza degli asini sta a quella degli uomini come la pittura a olio sta al pastello. Postulato n°15, la condizione per essere un asino Saggio è quella di vivere in un mondo di umani. Postulato n°16, il moderno materialismo asinesco è il letame adatto a fertilizzare il terreno per la filosofia asinesca. Postulato n°17, come nell’uomo, quanto uno pensa, tanto più ha gli occhi ovunque in lui il vedere deve prendere posto del pensare. Postulato n°18, alla natura sta a cuore solo in nostro essere, non il nostro benessere, se no per quale ragione ci fa vivere vicino all’uomo? Se riuscissimo a capire i bisogni degli uomini potremmo comportarci di conseguenza. Postulato n°19, tutti gli asini vogliono vivere, ma nessuno sa perché. Postulato n°20, gli uomini gradirebbero che noi asini facessimo loro un sacco di complimenti, ma noi non pensiamo nemmeno, perché non li rispettiamo più di quanto meritano.
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*il Veterinario Angelo Rinaldi Medico Veterinario
Leishmaniosi: “Patologia emergente!?!”
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a leishmaniosi è una malattia protozoaria sostenuta da leishmania spp, trasmessa al cane e all’uomo unicamente attraverso degli insetti ematofagi, i flebotomi; è importante sottolineare la via di trasmissione in quanto senza questo vettore la leishmaniosi non esisterebbe. La sua diffusione è relegata nelle aree geografiche a clima tropicale e subtropicale. In Italia le regioni centro meridionali sono le più colpite; la sua diffusione varia da 1,7 a 48,4%. Nelle regioni settentrionali fino al 1989 non era presente, fatta eccezione per la Liguria. A partire dagli anni ’90 sono stati segnalati nuovi focolai di leishmaniosi in alcune aree del nord Italia precedentemente ritenute indenni; questi nuovi casi si possono mettere in relazione con il problema della “tropicalizzazione del pianeta”. Le mutazioni climatiche cui si assiste in questi ultimi anni (in particolare quest’anno) possono determinare un abitat favorevole per la sopravvivenza e la moltiplicazione dei flebotomi anche in zone dove il flebotomo non era presente. Senza fare facili allarmismi si può affermare che presto il flebotomo e il protozoo faranno la loro comparsa anche in Provincia di Pavia, quindi è bene conoscere la malattia per prevenirla. La malattia nel cane è facile da diagnosticare se si verifica con i sintomi classici descritti in letteratura,può essere di difficile riconoscimento nelle forme iniziali in conseguenza della presenza di sintomi vaghi e simili ad altre malattie.
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La diagnosi certa quindi comporta una attenta valutazione e interpretazione dei dati disponibili. Si tratta di una patologia sistemica grave, di difficile diagnosi per le variabilità delle presentazioni cliniche con risultati terapeutici variabili (si sono registrati rari casi di leishmaniosi anche nel gatto). Di notevole importanza è l’aspetto zoonosico, (ovvero è una malattia che si trasmette dall’animale all’uomo attraverso i vettori), che non deve preoccupare eccessivamente in quanto l’uomo è più resistente del cane all’infezione da leishmania spp, infatti i soggetti più colpiti sono i soggetti immunodepressi o che comunque presentano delle condizioni fisiopatologiche predisponenti . La leishmaniosi canina e umana viene trasmessa principalmente tramite la puntura di un flebotomo, sopprattutto dei generi Phelebotomus e Lutzomyia, anche se esistono altri insetti vettori e sono state descritte sporadiche trasmissioni dirette. La leishmania completa il suo ciclo biologico in due fasi utilizzando due ospiti, il cane (nelle cellule del sistema mononucleare fagocitarlo, in cui prende il nome di amastigote) e il flebotomo (nel tratto digerente, in cui prende il nome di promastigote). Il flebotomo, che ha dimensioni di 2-3 mm, normalmente vive tra tra il livello del mare e i 1500 m; ha la sua attività massima all’alba e al tramonto, in particolare nel periodo estivo, quando le femmine del parassita, le uniche a essere ematofaghe, vanno alla ricerca del cibo
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e succhiano il sangue dei vertebrati. Essendo il cane l’unico “rèservoir” del parassita, possiamo affermare il ruolo fondamentale del medico Veterinario nella vigilanza e nell’individuazione degli animali infetti. I continui spostamenti degli animali in regioni dove la leishmaniosi è endemica può portare a creare dei focolai ectopici, quindi rivolgersi al proprio Medico Veterinario di fiducia prima di compiere viaggi è importante, in quanto con i dovuti consigli si può ridurre la probabilità di un’infezione, mentre per prevenire i focolai ectopici è bene sottoporre il proprio animale a indagini diagnostiche almeno una volta all’anno, in quanto con esse si può valutare se il proprio cane si è infettato. Non dobbiamo però dimenticare che la prevenzione e le indagini diagnostiche dovrebbero essere effettuate anche su cani stanziali, ovvero cani che non si muovono al di fuori del territorio.
Quadrato interrotto n 2, 1979
Cult
I bronzi di Piero Cattaneo a Milano
La Galleria Cortina ha ospitato una retrospettiva dello scultore bergamasco a quasi 50 anni di distanza dalla sua prima mostra nel capoluogo lombardo. In esposizione alcune tra le sue prime opere
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culture in fusione unica che ripropongo un lessico architettonico classico piegato in chiave onirica, al punto da indurre un grande scrittore come Dino Buzzati a parlare di «cattedrali schizofreniche in rovina» (Corriere della Sera, 29 marzo 1969). Sono state loro le protagoniste, dal 19 aprile al 28 maggio, alla Galleria Cortina di Milano – Associazione Culturale Renzo Cortina (via Mac Mahon, 14), di una mostra dedicata allo scultore Piero Cattaneo (Bergamo 19292003), realizzata in collaborazione con l’Associazione Piero Cattaneo. Le sculture esposte sono le stesse che, 50
anni prima, animarono la prima mostra di Cattaneo nel capoluogo lombardo. Sempre alla Galleria Cortina, ma nella precedente sede di via Fatebenefratelli 15. Partendo da queste prove della fine degli anni Sessanta, la mostra procede con alcuni bronzi di grande interesse per la ricerca dell’artista e che riflettono il ricchissimo e variegato clima culturale della scultura italiana nei decenni immediatamente successivi agli anni Cinquanta. Sono «costruzioni di sogni» archeologici, che hanno un potere magico, come pagine di ermetiche scritture come ebbe a definirle Giuseppe Marchiori in occasione
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a cura della redazione
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della grande mostra personale tenuta al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica di Milano, nel 1976; esposizione che valse a Cattaneo un significativo riconoscimento da parte del sindaco e della città di Milano. Accompagnano le sculture alcune prove pittoriche, i polimaterici di gesso e acrilico su faesite; superfici segniche in cui il linguaggio dell’artista trova espressione e continuità con le opere plastiche, in quella sorta di vocabolario fantastico che si concretizza in lastre a «stiacciato». L’indagine artistica procede nei decenni con significative presenze in cui convivono, in un curioso equilibrio due materiali tra loro estremamente difformi e lontani, l’acciaio inox tirato a specchio e il bronzo. Ma l’indagine dell’artista non cambia direzione, caso mai , si spinge oltre, cercando nell’immagine riflessa degli andamenti del bronzo, una proiezione e una continuità in una dimensione nuova e altra, al di là della terza dimensione propria della scultura.
Senza titolo, 1991 bronzo e acciaio inox
Colonna a base quadra, 1975
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Riflesso aperto, 1984
Cult
Carrara, 115mila visitatori in un anno
Il nuovo ordinamento della collezione permanente comprende un totale di oltre 600 opere esposte il 30 per cento in più rispetto alla storica sistemazione) tra dipinti, in larga maggioranza, e sculture
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l 23 aprile è stato il primo anniversario dalla riapertura dell’Accademia Carrara. Oggi è un museo riconosciuto che raccoglie sempre maggior consenso di pubblico (quasi 115mila i visitatori in un anno) e di critica, ha organizzato e organizza progetti importanti, consolida relazioni nazionali e internazionali, prosegue nell’attività di ricerca e conservazione e che si prepara al futuro grazie a un nuovo direttore, Emanuela Daffra, e una nuova Fondazione presieduta da Giorgio Gori. Il nuovo ordinamento della collezione permanente comprende un totale di oltre 600 opere esposte (il 30% in più rispetto alla storica sistemazione) tra dipinti, in larga maggioranza, e sculture; il percorso si sviluppa su un arco cronologico di cinque secoli, dall’inizio del Quattrocento sino alla fine dell’Ottocento, toccando le principali scuole pittoriche italiane, dalla Lombardia al Veneto, dal Piemonte all’E-
milia Romagna, dalla Toscana all’Umbria; non mancano sguardi alla pittura d’oltralpe, specialmente alle Fiandre e all’Olanda. L’allestimento della Carrara si caratterizza come un percorso storicoartistico ed emozionale, dai grandi nomi della pittura di tutti i tempi agli esempi della ricchezza e vastità della raccolta, da piccoli capolavori assoluti a opere solenni, da spazi caratterizzati da un’atmosfera più raccolta a sale più ampie illuminate da grandi vetrate. È proseguita durante questo primo anno la campagna conservativa, con interventi che hanno interessato una parte considerevole del patrimonio. I restauri, dal 2008 a oggi, hanno coinvolto circa 130 opere tra i più importanti capolavori di Accademia Carrara, oltre a una serie di lavori meno conosciuti perché mai esposti prima. I numerosi interventi di restauro, compiuti in questi anni da eccellenti laboratori italiani, hanno interessato diversi
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di Fabio Cuminetti
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livelli di azione su opere straordinarie. Impegnata nella ricerca e nella valorizzazione del proprio patrimonio sia a livello nazionale sia internazionale, la Carrara ha inoltre messo in campo una politica di valorizzazione delle proprie collezioni, organizzando mostre, in collaborazione con alcune delle più prestigiose sedi museali italiane ed estere, dall’Australia agli Stati Uniti, dall’Europa alla Russia, che hanno coinvolto circa un milione di visitatori. Un’attività che ha permesso di ampliare enormemente la conoscenza di Accademia Carrara a livello mondiale, divenuta ambasciatrice del Rinascimento
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italiano, e non solo, dentro e fuori i confini e di tessere relazioni e partnership preziose. «Una governance forte, la riapertura con una grande festa di piazza che ha richiamato oltre 5000 persone, le code all’ingresso per la visita delle oltre 600 opere esposte, una campagna di comunicazione di alto livello e di grande efficacia, la nomina del nuovo direttore Emanuela Daffra, il grande successo dell’esposizione de Il Sarto, la musica di Raphael Gualazzi e i dischi scelti dal divo hollywoodiano Elijah Wood, oltre 70mila visitatori: sono solo alcune delle immagini che si sono impresse in un anno
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di riapertura dell’Accademia Carrara – ha commentato Gori -, un anno in cui il più importante museo bergamasco ha saputo riattivare un pezzo di città, dialogando con la Gamec attraverso una straordinaria offerta culturale. La Carrara in pochi mesi si è guadagnata una riconoscibilità tra i più importanti musei d’arte del nostro Paese. Emanuela Daffra e il suo staff sono al lavoro, sia sulla progettazione artistica sia sulla costruzione di relazioni sul territorio e all’estero. Li accompagna la piena fiducia della Fondazione e dell’Amministrazione Comunale e lo speciale affetto che lega i bergamaschi alla ‘loro’ pinacoteca».
Cult
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“L’amore ai tempi dell’hi-tech”
econdo me, l’innovazione semplifica la vita. Se non ne fossi convinto, non ne avrei fatti un lavoro e non lo insegnerei in università. Il punto, però, è che semplificarla non significa necessariamente migliorarla. Anzi. L’ambito in cui questa affermazione diventa triste realtà sono gli affari di cuore. Sfido chiunque a dirmi che da quando esistono cellulari, sms, social network, skype (o persino la “vecchia” email) non abbia avuto almeno una volta un problema sentimentale causato dall’uso di queste tecnologie. Un’incomprensione col proprio partner, un moto di gelosia immotivata o forse no, un dubbio più o meno giustificato e covato in silenzio per timore che avesse
fondatezza, un malinteso sull’interpretazione di un commento, un malcelato tentativo di flirt... Palle di neve che rotolano sul pendio della crisi di coppia, quando giungono a valle sono diventate slavine che fanno tabula rasa. “La porta del cuore”, si diceva una volta. E noi ci immaginavamo proprio una porta, di legno massello, con la sua classica maniglia a “L”, in ottone, e la possibilità di aprirla e chiuderla dall’interno o dall’esterno, volendo anche a chiave. Facevi parte della vita di qualcuno o non ne facevi parte. E viceversa. Cer to a volte rimaneva socchiusa, qualcuno esitava sulla soglia, ma gli spifferi sconsigliavano di tenerla in quella
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di Leonardo Marabini
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posizione tanto a lungo. Oggi, con le nuove tecnologie, le porte dei nostri cuori sono diventate porte girevoli. Come quelle d’ingresso agli hotel di lusso: di vetro, senza serrature, e con un continuo traffico in entrata e in uscita. Una relazione non è finita mai del tutto, un’altra relazione non inizia mai del tutto. Perché la tentazione latente di controllare lo status di whatsapp di qualcuno c’è, e prima o poi cedi. A quella segue un pensiero leggero del tipo “Ma sì, gli scrivo un ‘ciao’ estemporaneo, cosa vuoi che succeda”. Da lì al “Vediamoci, dai” il passo è breve. Inutile dire dove si va a parare, quasi sempre. Vogliamo mettere lo sbattimento di un tempo a scrivere una lettera a mano, magari prima in brutta copia poi in bella,
imbustarla, affrancarla, spedirla, sperare che il destinatario la ricevesse (Poste Italiane...), fissare per giorni quell’unico telefono di casa sperando squillasse solo per sentirsi dire “L’ho ricevuta”, aspettare altri giorni o settimane per ricevere una risposta? Oggi ti scrivo, clicco “invia” con nonchalance, la velocità del tutto inibisce sul nascere ogni eventuale senso di colpa, e succeda quel che succeda, tanto ormai ho inviato. Teniamo i “contatti buoni”, abbiamo il cellulare pieno di numeri appartenenti alla categoria del “non si sa mai”: una vecchia fiamma, un possibile flirt. Una mia amica recentemente su questo tema ha usato espressioni azzeccatissime quali: “Bulimia del flirt, del fare un mezzo cenno a lui o lei nel mondo virtuale” e di
“...accumulare link con gente che magari un giorno o una sera chissà, nella cartucciera delle opportunità”. Ora, facciamo una bella cosa: aboliamo le porte girevoli del cuore. Torniamo a quelle care vecchie porte di legno con la maniglia, apriamole o chiudiamole: o stai dentro, o rimani fuori. Sulla soglia non ci deve stare nessuno. La tecnologia deve essere utilizzata con buon senso e criterio, anche se so bene che la moralità di ognuno di noi dovrebbe prescindere dai mezzi che si utilizzano, siano essi il piccione viaggiatore o la fibra ottica. Ma poiché la tecnologia ci offre la possibilità di interagire meglio, più spesso e più velocemente col prossimo, almeno non confondiamola con la possibilità di interagire in altri modi.
Cult
Prosa, che successo: 52.915 presenze
Raggiunta al Donizetti una percentuale di riempimento della sala pari al 92,4% (più 5%). Nella prossima stagione «Human» di Lella Costa e Marco Baliani e «Bianco su Bianco» di Daniele Finzi Pasca
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i chiudono con grande soddisfazione per i risultati di pubblico e critica la Stagione di Prosa e quella di Altri Percorsi 2015-2016 del Teatro Donizetti di Bergamo: 52.915 spettatori (49.882 al Donizetti e 3.033 al Sociale; la scorsa stagione ci si era fermati a 49.955) - un record rispetto alle precedenti stagioni - che costituiscono il più grande patrimonio per il Teatro bergamasco e che hanno seguito con passione e attenzione gli spettacoli e le proposte di approfondimento durante la stagione. In dettaglio è interessante notare come si sia raggiunta al Donizetti una percentuale
di riempimento della sala pari al 92,4% (+5% rispetto al 2014-2015) e un incremento del 17,7% nella media dei biglietti venduti per ogni titolo. Lo spettacolo più visto è stato Decamerone (6.084 presenze), seguito a pochissima distanza da Calendar Girls, da Amleto a Gerusalemme e da Il visitatore, che hanno fatto registrare numerosi sold out consecutivi. Risultati ancor più interessanti per Altri Percorsi, considerata la specificità e il progetto culturale che sta alla base della programmazione di questa prestigiosa stagione al Sociale: abbonamenti e carnet sono cresciuti del 16,8%, la percentuale di
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a cura della Redazione
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riempimento ha toccato l’87% (era ferma al 67,7%) e le 3.033 presenze costituiscono il 10,4% in più rispetto alla scorsa Stagione. “Il grande patrimonio del Donizetti? È il suo pubblico: esigente, attento e competente, mai solo spettatore – spiega l’assessore alla Cultura Nadia Ghisalberti – Chiudiamo infatti la Stagione con numeri di grande soddisfazione: i numerosi sold out e una media di riempimento di oltre il 92% sono dati straordinari che fanno del teatro cittadino una solida realtà nel panorama italiano. Sono risultati che si devono ad un cartellone che il direttore artistico Maria Grazia Panigada ha costruito con l’intento di offrire alla città quanto di meglio il teatro italiano sta producendo in questi anni, ospitando i grandi nomi del palcoscenico. Ma a testimoniare il legame del pubblico con il teatro è stata la grande partecipazione alle iniziative di approfondimento e incontro con gli artisti e il percorso di formazione del pubblico più giovane che ha coinvolto circa 3.500 studenti. Il nostro è un teatro che non dimentica mai di essere teatro civico – continua l’assessore – di avere quindi dei doveri verso la cittadinanza, come ad
esempio quello di sollecitare o a volte provocare una riflessione, anche scomoda, sui temi della contemporaneità: le migrazioni, i diritti civili, le aspirazioni intime delle persone spesso frustrate dalle convenienze, gli scontri generazionali, temi sociali o esisten-
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ziali. Ma che non si dimentica di fare anche ridere sulle comuni difficoltà del vivere». «È stata una stagione di grandi soddisfazioni – afferma il direttore artistico Maria Grazia Panigada – Bergamo è di nuovo al centro del sistema teatrale italiano, ospi-
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tando una prima nazionale e spettacoli in anteprima per la Lombardia. Il pubblico ha risposto con entusiasmo non solo partecipando agli spettacoli in calendario, ma anche alle iniziative culturali e formative proposte a fianco della programmazione di Prosa e di Altri Percorsi. Una conferma di ciò è per noi motivo di grande soddisfazione è stata la partecipazione agli incontri pomeridiani con gli artisti, incontri ormai sospesi da qualche anno e che hanno sempre registrato il tutto esaurito: è il segno tangibile dell’interesse del pubblico alla conoscenza del lavoro che sta dietro alla messinscena e al confronto diretto con gli interpreti. È stato un anno di lavoro intenso che è diventato ancora più bello perché condiviso con le persone che collaborano alla stagione: ciascuno, con il proprio ruolo, ha permesso di realizzare al meglio le proposte in calendario e di creare un clima accogliente che
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credo gli spettatori abbiano apprezzato». Della stagione di prosa 2016-2017 – che si svolgerà come è ormai noto al Teatro Donizetti – si annuncia, in anteprima, uno dei progetti più interessanti e nuovi: Human (10-15 gennaio 2017) scritto e interpretato da Lella Costa e Marco Baliani (impegnato anche nella regia), con scene e costumi dello stilista Antonio Marras e musiche del celebre trombettista jazz Paolo Fresu. Si tratta di un progetto ispirato all’Eneide di Virgilio e al mito di Ero e Leandro, amanti che vivevano sulle sponde opposte dell’Ellesponto (lo stretto dei Dardanelli), che ci riporta alle origini della nostra cultura e si incrocia con le vicende più attuali legate al tema delle migrazioni e alla volontà di raccontarne l«odissea ribaltata»: al centro si pone lo spaesamento comune, quell’andare incerto di tutti quanti gli human beings
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in questo tempo fuori squadra. Human debutterà al Ravenna Festival l’8 Luglio 2016, ma il diario di viaggio dello spettacolo si può già seguire online sul sito www.progettohuman.it. Nella stagione di Altri Percorsi 2016-2017 al Teatro Sociale arriverà invece la magia e il mondo surreale di Bianco su Bianco di Daniele Finzi Pasca (22 e 23 dicembre 2016), spettacolo teatrale e clownesco interpretato da due attori con una grande esperienza circense, per una storia di straordinaria delicatezza e al contempo bravura e precisione tecnica, in cui anche le più semplici emozioni riserveranno sorprese inattese. Uno spettacolo dove l’estetica della Compagnia Finzi Pasca, che ha rapito il pubblico di Bergamo con La verità lo scorso dicembre, si misura con la vertigine della semplicità.
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Opere, balletti, concerti nel nome di Donizetti
«Olivo e Pasquale» e «Rosmonda d'Inghilterra»: due perle rare per l'autunno; grandi interpreti come Jessica Pratt, Eva Mei e Leo Nucci; nascono l'Orchestra e il Coro Donizetti e si rafforzano le collaborazioni
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opo il primo anno intenso e “rivoluzionario”, vissuto senza sosta dalla Fondazione Donizetti e dalla città di Bergamo fra musica, parole, immagini, colori di e per il compositore orobico, sta per iniziare il nuovo programma preparato dal direttore artistico Francesco Micheli. Due i nuclei principali del programma 2016: la Doni-
zetti Night sabato 11 giugno (preceduta da una settimana di eventi correlati) e poi in autunno il Festival Internazionale Donizetti Opera (23 novembre – 4 dicembre) durante il quale andranno in scena due rarità donizettiane, come Olivo e Pasquale (nell’edizione di Napoli) e Rosmonda d'Inghilterra. Tutto intorno, un fitto calendario di altre proposte
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a cura della Redazione
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musicali tradizionali e non, per far conoscere il repertorio operistico e la figura di Donizetti, puntando non solo sulla qualità artistica ma anche su un progetto innovativo di coinvolgimento della città natale di uno degli autori più rappresentati al mondo grazie a modalità, contesti e linguaggi nuovi e interessanti. Novità cui si affiancano e sostengono il prestigio e la reputazione scientifica della Fondazione Donizetti, per la messa in scena del catalogo donizettiano che richiama anche il pubblico internazionale. La stagione 2016 è dedicata a Gianandrea Gavazzeni nel ventennale della scomparsa, musicista, direttore d’orchestra e intellettuale bergamasco il cui nome è profondamente legato al repertorio donizettiano e alla nascita della Fondazione Donizetti. La risposta a questa enorme eredità musicale cittadina è l’istituzione di due nuove compagini musicali al servizio del “verbo donizettiano”: l’Orchestra e il Coro Donizetti. «La Donizetti Evolution prosegue all’insegna dello scandalo, inteso come inciampo, anomalia, cortocircuito. Donizetti è uomo dell’Ottocento eppure è più vivo che mai: questo imperativo categorico dell’anno scorso. L’idea di quest’anno è semplice: questa città ha bisogno di un festival all’insegna del suo più grande cittadino, sarà tanto più internazionale quanto maggiore sarà la sua impronta bergamasca sapore bergamasco. Se una città si edifica sulle fondamenta della propria storia - dichiara il direttore artistico Francesco Micheli - la musica e il teatro di Donizetti non possono che essere, per noi bergamaschi, i materiali di costruzione dell'identità cittadina, nel loro valore di modernità, pluralismo, internazionalità. È per questo che continuiamo a credere in una funzione molteplice della Fondazione Donizetti e delle sue manifestazioni, al tempo stesso di tutela e valorizzazione del repertorio ma anche stimolo alla formazione della cittadinanza di oggi e di domani oltre che dell'immagine di Bergamo nel mondo, data la sempre maggiore attrattiva che la
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programmazione riveste presso i critici e gli appassionati del mondo dell'opera». Da queste premesse prende vita il progetto artistico del 2016, che fa tesoro dei successi ottenuti e si spinge oltre, rimodulando soprattutto la sezione autunnale dedicata alle opere di Donizetti, che assumerà sempre più i caratteri di un festival concentrato intorno al Dies Natalis del 29 novembre, così da incrementare anche le presenze di pubblico dall’estero. Come detto, saranno due i titoli donizettiani 2016, il melodramma giocoso «Olivo e Pasquale» e il melodramma serio «Rosmonda di Inghilterra», due assolute rarità che coinvolgeranno in prima linea anche la sezione scientifica della Fondazione diretta da Paolo Fabbri, e che faranno nuovamente accendere i riflettori sulla città di Bergamo, impegnata verso una sempre maggiore identità con il compositore. «Olivo e Pasquale» sarà allestito al Teatro Sociale, in Città alta, e andrà in scena il 28 e 30 ottobre, e poi ancora il 26 novembre nell’ambito del Festival (ante-
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prima Giovanni 26 ottobre). La regia è firmata da OperAlchemica, cioè da Guido Giacomazzi e Luigi Di Gangi che, nel 2015 hanno segnato l’estate bergamasca con Donizetti Alive. Il progetto per Olivo e Pasquale nasce certamente come “sperimentale” perché affidato a un gruppo di artisti anagraficamente giovani ma di rilievo, ai quali Bergamo offre un’occasione di prestigio. Naturalmente giovani anche gli interpreti: Bruno Taddia e Filippo Morace, Laura Giordano e Pietro Adaini, affidati alle cure di una bacchetta esperta come quella di Federico Maria Sardelli, che salirà sul podio dell’Orchestra dell’Accademia Teatro alla Scala, composta da giovani strumentisti selezionati tra i migliori diplomati in Italia e all'estero. La parte visiva dello spettacolo completa il carattere di “opera studio” di questo titolo: scene e costumi sono firmati da Domenico Franchi, già assistente di Tito Varisco ed Ezio Frigerio, nonché docente dell’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia (fra le istituzioni che – insieme al Liceo Artistico “Giacomo
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e Pio Manzù”, l’Istituto “Caterina Caniana” di Bergamo e l’Associazione formazione professionale Patronato San Vincenzo – hanno permesso ai propri alunni di essere parte creativa e realizzativa dello spettacolo); un circuito di eccellenza che sottolinea il ruolo di leadership della Fondazione Donizetti nel territorio. Olivo e Pasquale fu presentata in prima a Roma per il carnevale 1827; su libretto di Jacopo Ferretti è una commedia borghese (derivata da una pièce di Sografi), quasi nella tradizione goldoniana, arricchita di moderni ingredienti del repertorio francese larmoyant: in questo caso un doppio suicidio, simulato per impietosire un padre tirannico, ulteriore esempio dello stile comico donizettiano di derivazione rossiniana ma già indirizzato verso nuove strade. A Bergamo verrà presentata la versione dell'autunno 1827, realizzata per il Teatro Nuovo di Napoli sotto la supervisione di Donizetti stesso e ricostruita per quest'occasione da Maria Chiara Bertieri, con l’alternanza di dialoghi parlati e “numeri” cantanti, alla maniera dell'opéra-comique, con la parte di Pasquale in napoletano. «Rosmonda d'Inghilterra», melodramma serio su libretto di Felice Romani andò in scena alla Pergola a Firenze nella quaresima 1834. A Bergamo segna l’inaugurazione del Festival Donizetti Opera al Teatro Donizetti il 25 e 27 novembre (anteprima giovani il 23 novembre). Cast di eccellenza con protagoniste Jessica Prat nel ruolo di Rosmonda e Eva Mei in quello di Leonora; anche qui sul podio un giovane specialista del repertorio come Sebastiano Rolli. Lo spettacolo è affidato alle cure di Paola Rota per la regia, Nicolas Bovey per le scene e Massimo Cantini Parrini per i costumi. Ambientato nell'Inghilterra medievale, Rosmonda d’Inghilterra ha un soggetto il cui nucleo centrale ricorda quello di Anna Bolena. Virato com'è su tinte forti e situazioni perfino truci, esemplifica bene l’interesse di Donizetti per una teatralità (romantica) fatta di gesti esasperati e violenti. Proprio il confronto con la Bolena, andata
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recentemente in scena a Bergamo nella sua veste integrale, consentirà di verificare appieno il mutamento di rotta del teatro serio donizettiano agli inizi degli anni '30. Con questo titolo, presentato secondo la revisione sull'autografo realizzata da Alberto Sonzogni per conto della Fondazione Donizetti, prende avvio il Progetto “Donizetti e Firenze”, che si propone di mettere a fuoco il rapporto del compositore bergamasco coi teatri e l'ambiente toscano. Lo spettacolo vanta in questo senso la collaborazione artistica con l’Opera di Firenze che presenterà lo stesso titolo in forma di concerto. Il periodo del Festival Donizetti Opera sarà arricchito da numerose altre iniziative, fra le quali la versione per studenti di «Olivo e Pasquale» intitolata «Fratellanza» (28 e 29 novembre, Teatro Sociale), una serie di manifestazioni per il Dies Natalis (29 novembre), quindi il concerto (30 novembre, Teatro Donizetti) di uno dei più apprezzati e significativi baritoni di oggi Leo Nucci che – con l’arte della sua esperienza e il Donizetti Opera Ensemble – ci farà apprezzare i legami fra Donizetti e Verdi, visti proprio come padre e figlio. In quest’ottica rientra la scelta di rappresentare in chiusura del festival il più celebre titolo verdiano, La traviata, in una
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nuova produzione di I Teatri di Reggio Emilia, Teatro Comunale “Luciano Pavarotti” di Modena e OperaLombardia con la regia di Alice Rohrwacher e sul podio Filippo Lanzillotta (2 e 4 dicembre, Teatro Donizetti). Completano il programma annuale extra-festival l’altro titolo operistico realizzato in coproduzione con i teatri di OperaLombardia, Turandot, con la regia di Giuseppe Frigeni e sul podio Carlo Goldstein (3 e 5 novembre, Teatro Donizetti), due appuntamenti sinfonici con il concerto dell’Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala diretta da Christoph Eschenbach con musiche di Beethoven e Brahms (12 ottobre, Teatro Donizetti – concerto realizzato in collaborazione con UBI Banca) e quello dell’Orchestra del Festival pianistico internazionale di Brescia e Bergamo (13 novembre, Teatro Donizetti) diretta da Piercarlo Orizio con il pianista Alessandro Taverna, musiche di Mozart e Mendelssohn. Due gli appuntamenti con la danza: «Les ballets Trockadero», la più famosa è ironica compagnia maschile di danza classica (18 ottobre, Teatro Donizetti) e in chiusura, durante il periodo natalizio, «Lo Schiaccianoci» (21 dicembre, Teatro Donizetti) con il Ballet of Moscow.
Cult
Torna l’Happening delle cooperative sociali
Appuntamento al Lazzaretto dal 13 al 19 giugno. Tra i concerti (a ingresso libero) segnaliamo: il supergruppo di musicisti che hanno sempre accompagnato Francesco Guccini dal vivo, Roy Paci e i Tinturia, i Ministri
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orna al Lazzaretto di Bergamo l'appuntamento con l'Happening delle cooperative sociali. Una manifestazione che ogni anno porta in città grandi nomi del panorama teatrale e musicale italiano, oltre ad essere un'occasione per entrare in contatto con il mondo della cooperazione locale. Come tutti gli anni saranno presenti all'interno del Lazzaretto punti ristoro (bar, ristorante, pizzeria) e molte attività parallele, come due mostre dell'associazione Exodus sul gioco d'azzardo, la mostra collettiva «Innumerevoli» di Serigrafia Tantemani, laboratorio narrativo e serigrafico per richiedenti asilo ospitati a Bergamo (in collaborazione con Cooperativa Ruah e Caritas di Bergamo). Lunedì 13 giugno in concomitanza con
gli europei di calcio, maxi schermo per la prima partita della nazionale italiana. Il giorno successivo, martedì 14 giugno, serata reggae con Mo Kalamity e Sistah Awa. Mercoledì 16 giugno grande appuntamento con la musica che ha fatto la storia della canzone italiana impegnata. Anche se Francesco Guccini non ha più intenzione di calcare i palcoscenici, saranno i musicisti che l'hanno accompagnato nel corso della sua carriera a permettere alla sua musica di continuare a vivere anche dal vivo. Le chitarre e la voce di Juan Carlos Flaco Biondini, il pianoforte di Vince Tempera, le percussioni, il sax e le tastiere di Antonio Marangolo ed il basso di Pierluigi Mingotti riempiranno quasi due ore di spettacolo dal vivo. Giovedì 16 giugno altro appuntamento
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con una band "classica" ormai nel panorama italiano. Arriveranno sul palco del festival i Mau Mau, con il loro folk rock irresistibile. Venerdì 17 giugno è la volta di Roy Paci e i Tinturia: durante la serata cena con i prodotti di Libera. La sera dopo, sabato 18 giugno, grande appuntamento per gli appassionati di indie rock con i Ministri. Infine domenica 19 giugno pomeriggio dedicato al gioco e con una spettacolo teatrale, «Il cavallo King», ovvero la vera storia di un cavallo cieco che nonostante la sua diversità continua a fare Ippoterapia (naturalmente sarà presente il cavallo). Per la serata musicale invece sono previsti lo spettacolo di Stefano Damaro, e in apertura il gruppo bergamasco Nesis.
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