città dei mille - aprile maggio 2016

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ISSN 1826-1426

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PAOLO MALVESTITI

INTERVISTE: Ivan Rota Gianfranco Bresciani Maria Carolina Marchesi

APRILE / MAGGIO 2016

Anno 19 - N°2 Aprile/Maggio 2016 - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BERGAMO In caso di mancato recapito si restituisca a: Città dei Mille - viale Giulio Cesare, 29 - 24124 Bergamo, che si impegna a pagare la relativa tassa. Euro 3,00






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Edito riale

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iamo in primavera e si avverte la fine di questo inverno bislacco. Riparte il ciclo della luce: ancora una volta i giorni diventano più lunghi, l’aria più tiepida e anche le piogge, se arrivano lasciano poi cieli puliti. Così abbiamo pensato di dedicare questo numero al rinnovamento. Per esempio raccontando la storia di chi ha ripercorso le orme dei pellegrini sul camino di Santiago, come Ivan Rota. Oppure intervistando Paolo Malvestiti, desideroso di spalancare le finestre della Camera di Commercio, allontanando la crisi e facendo entrare aria frizzante e foriera di novità. E anche le scuole cominciano a vedere il traguardo di quest’anno scolastico, come ci racconta GianFranco Bresciani. Infine Maria Carolina Marchesi, Assessore ai Servizi Sociali del Comune di Bergamo, fa aumentare la nostra speranza di una politica migliore e più attenta ai bisogni dei cittadini. Insomma c’è in giro aria di ottimismo: ogni primavera succede. Il prossimo numero invece toccheremo un’emergenza: “donne al volante”...e guai a voi se completate la frase con la solita scontata conclusione. Buona lettura! e.lanfranco@inwind.it

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di Emanuela Lanfranco Direttore Responsabile


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Approfondimento

Noi, gli animali e Copernico

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rrivo a casa e ad aspettarmi c’è Fido (non si chiama Fido ma Fido è un nome simbolo ed è comodo usarlo). Mi viene incontro, scodinzola e decido che è proprio felice di vedermi. Si struscia alle mie gambe e mi guarda dal basso in alto: mi sento forte e necessaria. Non mi contesta mai, lui ha occhi umidamente adoranti.

male i piedi sotto il banco e lo sguardo si perde sempre di là dalla finestra. L’ho già pagata cara e sono stato bocciato. Ma c’è una cosa che mi fa sentire a posto: Fido. Lo accarezzo e so di fare bene, ne ho cura, come di cosa preziosa e fragile. Per fortuna non è un quaderno: mica tutti siamo necessari alla matematica!

Sono anziano, è dura essere solo. Da quando lei se ne è andata; è stata una fuga radicale e senza ritorno, di certo non voluta. La strada del cimitero è pesante da percorrere da solo, ma c’è Fido. Mi trotterella vicino e i bambini per via si fermano a guardarlo, così guardano anche a me, che sono attaccato al suo guinzaglio. E allora riempio le tasche di caramelle.

Questi potrebbero essere tanti incipit da continuare a proposito della relazione profonda e insostituibile che ci lega agli animali, che qui per comodità hanno preso il volto pacifico e intelligente di quello che fu anche il primo a riconoscere Ulisse al suo ritorno a casa, il cane. Ma in fondo tutti gli animali, visti da noi, hanno un tratto comune: sono appunto animali. Ci sarebbe molto da dire su questa etichetta che, come tutte le parole, è una specie di comodo modo per

Dicono che imparo di più, da quando c’è lui. Sono un disastro a scuola, mi fanno

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riordinare il mondo: di qui ci siamo noi, esseri pensanti, di là ci sono loro, senza anima né pensiero. Di qui ci siamo noi, la “cultura”, di là ci sono loro, “la natura”. Ma a me piace invece immaginare un nuovo sguardo con cui guardarli: uno sguardo strabico che metta insieme noi e loro. Perché ho la sensazione che Fido non sarebbe Fido senza di me. Infatti tutte le storie che sono state scritte sugli animali hanno sempre bisogno di un uomo per dare loro senso. Rin Tin Tin non ci interesserebbe molto senza Rusty. Moby Dick non avrebbe certo nessun significato, non vorrebbe dire niente al di fuori del continuo inseguimento che riempie la vita di Achab ma che al contempo fa diventare la balena la leggenda che è. Perfino Bambi, così tenero e dolce, non parlerebbe ai nostri cuori se non attribuissimo al cerbiatto la stessa solitudine di un bambino orfanello. Insomma i “nostri” animali, sono proprio nostri, frutto dei pensieri con cui li costruiamo. Nel dicembre del 1917, Rosa Luxemburg mentre si trova nel carcere di Breslavia da

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tre anni scrive una lettera a Sonja Liebnecht (Sonicka), inizia parlando della vita del carcere, poi della scomparsa di un amico comune, insomma non sono notizie allegre quelle che snocciola all’amica ma a un certo punto la lettera “vira” e diventa un testo accorato e drammatico. Si tratta del racconto che mi piace riportare ai miei lettori. Lei è nel cortile della prigione e vede arrivare dei carri tirati da bufali, vede un guardiano si mette a batterli. E così Rosa descrive la scena: “Sonicka, la pelle del bufalo è famosa per esser dura e resistente, ma quella era lacerata. Durante le operazioni di scarico gli animali se ne stavano esausti, completamente in silenzio, e uno, quello che sanguinava, guardava davanti a sé e aveva nel viso nero, negli occhi scuri e mansueti, un’espressione simile a quella di un bambino che abbia pianto a lungo. Era davvero l’espressione di un bambino che è stato punito duramente e non sa per cosa e perché… gli stavo davanti e l’animale mi guardava, mi scesero le lacrime – ma erano le sue lacrime; per il fratello più amato non si potrebbe fremere più dolorosamente di quanto non

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fremessi io, inerme davanti a quella dolorosa sofferenza. Quanto erano lontani, quanto erano irraggiungibili e perduti i verdi pascoli, liberi e rigogliosi, della Romania!… E qui, in questa città, ignota e abominevole, la stalla cupa, il fieno nauseante e muffito, frammisto di paglia putrida, gli uomini estranei e terribili… le percosse, il sangue che scorre giù dalla ferita aperta. Oh, mio povero bufalo, mio povero e amato fratello, ce ne stiamo qui entrambi impotenti e torbidi, e siamo tutt’uno nel dolore, nella debolezza, nella nostalgia.” Ecco a me sembra che questa descrizione si avvicini al senso del nostro rapporto con gli animali: essi sono il nostro specchio. Anche loro come noi fanno parte del mondo vivente, sono necessari, come noi, all’armonia del tutto, un’armonia non esente da violenze, ma dentro cui l’uomo non è il solo “padrone”, come spesso ci siamo abituati a pensare. Eppure da Copernico in poi avremmo dovuto imparare che non siamo il centro proprio di un bel niente: e gli animali questo continuamente ci ricordano.


Sommario Editoriale Approfondimento Città dei Mille - anno 19 n. 2 Aut. Trib. n. 52 del 27 Dicembre 2001 Editore: AD Communication S.r.l. direzione@adcommunication.it www.adcommunication.it Direzione e Redazione: Viale Giulio Cesare, 29 Bergamo Tel. 035 35 91 011 www.cittadeimille.com Direttore responsabile: Emanuela Lanfranco Redazione: Fabio Cuminetti Abbonamenti: 035 35 91 011 1 anno - 27 euro Stampa: Sigraf - Treviglio (Bg)

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in Vetrina

KI Concept - Negozio di abbigliamento La commedia «Il Sarto», per A.O.B., Associazione Oncologica Bergamasca Aperitivo con... la regina Elisabetta Le Poste celebrano l'aeroporto di Bergamo

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vip & news

«Imprese, il vento sta tornando favorevole» «Sul Cammino di Santiago. Per ritrovarsi» Gianfranco Bresciani, pioniere delle scuole paritarie e di formazione in Lombardia «Vogliamo più spirito di solidarietà»

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Nasce BTL, Banca del Territorio Lombardo Noleggio auto con conducente: viaggiare senza pensieri

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rubriche

Elezioni ONAOSI 2016 L'opera di Franca Ceruti in mostra al Cab De Gregori sulle orme di Bob Dylan Artist-in-residence al Kilometro Rosso Bergamo Film Meeting, vince «Enklava» Misericordia Vultus: capolavori fiamminghi Incontriamo la dottoressa Ermanna Vezzoli per parlare del progetto "A Scuola di Dirittti e Doveri" Lifting per il Donizetti: cantieri nel 2017 Yoon C.Joyce nella Rete con Geppi Cucciari

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cultura

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KI Concept - Negozio di abbigliamento

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abato 19 marzo dalle ore 16,30 in via sant’Orsola , 10/e - passaggio santa Giulia- Evelina Rodigari , già campionessa di Short Track, pattinaggio di velocità su pista corta, ha presentato, nel suo negozio KI Concept, le nuove collezioni primavera-estate 2016. Ba z a r d e L u xe , G i a d a B e n i n c a s a , Fiorentini+Baker, Album di Famiglia, Giorgio Brato, Daniele Basta, Majo, Officine Creative, People, Avant Toi, Borse Tyberia: questi alcuni dei Brand che sono stati presentati nel corso dell’evento. Che, tra un dolcetto e l’altro, le clientiamiche-clienti hanno potuto ammirare, provare e acquistare.

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La commedia «Il Sarto» per A.O.B., Associazione Oncologica Bergamasca

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enerdì 11 marzo presso il Cineteatro “Gavazzeni” a Seriate, la Compagnia amatoriale “Autoteatro” ha presentato “Il Sarto”, commedia brillante in tre atti, spettacolo fatto di colpi di scena dalla comicità travolgente con personaggi tipici della commedia degli equivoci dei primi del Novecento francese. La trama è basata sul classico triangolo adulterino, tutti i personaggi si incontrano dove non si sarebbero mai dovuti incontrare: mariti, mogli, amanti dei mariti e delle mogli. Un gioco che non è mai fine se stesso, ma mira a rilevare i crollo dei valori di una società borghese fondata solo sull’apparenza, rendendo ancora oggi attualissimo il messaggio. La Compagnia amatoriale teatrale “Autoteatro” è composta da sette amici berga-

maschi, imprenditori e professionisti impegnati nella vita lavorativa come in quella sociale, che hanno scelto di condividere uno spontaneo percorso amatoriale frutto della comune passione per la recitazione ed il teatro. Sono tutti attori dilettanti e il frutto del loro impegno ha portato alla realizzazione di questo spettacolo, i cui proventi sono stati devoluti all’A.O.B. Onlus (Associazione Oncologica Bergamasca Onlus), presso l’Unità di Oncologia dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, una realtà locale che opera per dare risposte concrete ai bisogni dei malati oncologici e delle loro famiglie. Fanno parte del cast: Roberto Catellani, Toni cattaneo, Loris ferro, Enrica Foppa Pedretti, Maria grazia Gambarara, Marco Castoldi, Orietta Rota.

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Aperitivo con… la regina Elisabetta

a Galleria OTTOBARRADIECI in via San Bernardino 10, con la collaborazione di Mister Plastic, giovedì 10 marzo ha organizzato un’asta benefica il cui ricavato è stato devoluto all’Associazione Aiuto Donna-Uscire dalla Violenza. Un'asta decisamente inusuale, che è riuscita nell'intento di unire creatività, solidarietà e divertimento. Betty Boop, Crudelia De Mon, Minnie, Moira Orfei, Marylin Monroe, Audrey Hepburn, Ava Gardner, Miss Piggy, Raffaelle Carrà, la famosa giornalista di moda Anna Piaggi, e non per ultime Lady Diana con la suocera, la regina Elisabetta II che per questa occasione ha portato pure l’abito regale: queste sono le donne che hanno contribuito alla realizzazione dell’evento.

In che modo? Lasciando che la loro immagine fosse realizzata in una sagoma di cartone, ad altezza naturale e battuta all’asta da donne altrettanto famose in città, con l’eccezione di Cristian Raimondi, difensore-centrocampista dell’Atalanta, che in compagnia della moglie Sara si è prestato a questa nobile causa. Presenti alla serata l’assessore alla Cultura Nadia Ghisalberti, che con Oliana Maccarini Graff, presidente del Consiglio delle Donne, ha portato in questo evento anche la conoscenza di quanto sia allarmante il numero di casi di violenza di cui le donne sono vittime e quanto bisogno di aiuto c’è per affrontare questa piaga sociale. Tra le ospiti, nonché battitori d’asta: Lara Magoni, Francesca Valla, Corinne Pavoni e Wilda Algani.

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Le Poste celebrano l’aeroporto di Bergamo

Uno speciale annullo filatelico, con cartolina dedicata in tiratura limitata, nella giornata dedicata ai 100 milioni di passeggeri che dal 1972 a oggi hanno utilizzato «Il Caravaggio»

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oste Italiane ha partecipato con uno speciale annullo filatelico alla giornata dedicata ai 100 milioni di passeggeri che dal 1972 a oggi hanno utilizzato l’Aeroporto “Il Caravaggio” di Bergamo. L’iniziativa è stata promossa da Sacbo Spa, società di gestione dello scalo. Lunedì 21 marzo, dalle 7.30 alle 20.30, presso i banchi check-in dell’area gruppi dell’aerostazione, è stato allestito uno spazio filatelico temporaneo dove era possibile ottenere l’annullo speciale sulla cartolina dedicata, edita da Poste Italiane in una tiratura limitata di 1.100 esemplari; raffigura la facciata illuminata dell’ingresso dell’aeroporto vista dal basso

verso l’alto. Alla cartolina, distribuita in omaggio ai passeggeri che hanno visitato la postazione filatelica, sono stati abbinati francobolli di valore. Alle 9.30 cerimonia di timbratura alla presenza del presidente di Sacbo Miro Radici, del direttore di Poste Italiane della Filiale di Bergamo 1 Antonio Fiaschetti e della referente di Filatelia Area Territoriale Lombardia Antonella Foschetti. Erano disponibili le più recenti emissioni di francobolli anche con tematiche attinenti alla manifestazione, che la clientela poteva acquistare insieme ai tradizionali prodotti filatelici di Poste Italiane: folder, pubblicazioni e tessere filateliche, carto-

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line, libri e raccoglitori per collezionisti. L’annullo speciale è stato poi depositato presso lo Sportello Filatelico dell’ufficio postale di Bergamo Centro per i sessanta giorni successivi, per soddisfare le richieste dei collezionisti.

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Inter vista

«Imprese, il vento sta tornando favorevole»

Paolo Malvestiti guida la Camera di Commercio dal 2010: è il primo presidente dal dopoguerra che non proviene dal mondo dell’industria. «Sono anche stato fortunato: ero al posto giusto nel momento giusto»

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residente-bis della Camera di Commercio, visto che a marzo 2015 è stato rieletto alla guida dell'ente camerale per il quinquennio 2015-2020 con 27 voti su 32: sono state cinque le schede bianche, quelle di Confindustria e Ance. Ma c’è di più: Malvestiti è anche al timone dell'Ascom, l'associazione dei commercianti (di cui è appena stata ristrutturata la sede centrale di via Borgo Palazzo) dal 2000. Camera di Commercio: cos’è e a cosa serve. È la rappresentanza del mondo imprenditoriale del territorio bergamasco. È la grande testimonianza della vicinanza del mondo

istituzionale al momento operativo delle nostre imprese, in sostanza. La Camera di Commercio è però adesso in attesa di questa riforma, che dovrebbe portare sicuramente una riduzione come numero - da 105 a 60 enti in Italia -, ma anche a una diminuzione della sensibilità operativa nei confronti di un territorio che non è solo imprenditoriale. Perché, con la riduzione del 40 per cento di introiti quest'anno, e 50 per cento l'anno prossimo, noi andiamo sicuramente a contenere i bilanci camerali, ma nel medesimo tempo anche l’attenzione della nostra Camera di Commercio al mondo che la circonda.

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Cioè? Alludo ai contributi per investimenti in opere di pubblico interesse, come il Donizetti e l'Accademia Carrara, o a manifestazioni quali BergamoScienza. La Camera di Commercio è sempre stata vicina alle iniziative più importanti del territorio. Questo fino a che il Governo ce l'ha permesso. Ma con questa riduzione è ovvio che noi adesso penseremo solo ed esclusivamente al mondo imprenditoriale. Voglio ricordare anche che il nostro ente, nello studio effettuato da Unioncamere nazionale lo scorso anno, si è dimostrato estremamente efficiente: siamo al secondo posto in graduatoria su 105. Una bella gratificazione. Sì, ma che non ci ha colto di sorpresa, perché l'ente camerale è gestito da persone di coscienza, con alta professionalità, che hanno sempre lavorato bene. Lei è al secondo mandato. Sta portando avanti quanto iniziato nel primo, immagino. Premessa: io sono capitato in un momento particolarmente difficile perché, con il mio primo mandato, iniziava il periodo della grande crisi, che non è ancora finito. Molte imprese hanno abbassato la saracinesca. Nel medesimo tempo c'è stato un cambiamento radicale di tantissime nostre società partecipate, che hanno dovuto per forza di cose chiudere i battenti. Cito, ad esempio, Assist, che si occupava di internazionalizzazione; e Servitec, altra società molto importante che ha terminato l’attività perché le evoluzioni e le nuove necessità hanno portato a volgere lo sguardo a soluzioni completamente diverse, più innovative. C’era bisogno di maggiore tempestività e determinazione. Che eredità le ha lasciato Sestini? Una buonissima Camera di Commercio, ben consolidata sotto il profilo economico e con competenze di alto livello. Non finirò mai di ringraziarlo. Torniamo alle partecipate: cosa si può fare per evitare la chiusura? Le faccio un esempio che riguarda La Tecnodal, polo scientifico di Dalmine. Abbiamo avuto il Cda, dove è stato trasformato letteralmente tutto il consiglio. Questo perché il mandato che era stato dato loro, quello di traghettare la Servitec in Tecnodal, si è esaurito. Da un Cda a 5 componenti siamo passati a 3, con un notevole risparmio. Garantiamo l'operatività ancora a Tecnodal,

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ma cambiano fini e principi: ci si è orientati verso le start-up. I grandi finanziamenti dalla Regione arriveranno se nel contesto della Tecnodal - o della Bergamo Sviluppo, rappresentanza della Camera di Commercio - noi avremo nuove aziende giovani. È sempre un fiore all'occhiello della Camera di Commercio, la Tecnodal, condivisa con Provincia e Comune di Dalmine, finanziata da noi attraverso Bergamo Sviluppo. Che rapporti ha con il Kilometro Rosso la Camera di Commercio? Buonissimi. Mondo imprenditoriale con alta tecnologia: la Camera di Commercio non può che andarci a braccetto. Anche perché, seppur diverso, il polo tecnologico di Dalmine e Kilometro rosso hanno lo stesso fine ultimo: la ricerca tecnologica. Abbiamo avuto delle disposizioni specifiche da parte dell’Ocse per la favorire la formazione della classe imprenditoriale in un territorio in netta evoluzione. Parliamo di Confindustria. Anche qui il rapporto è buonissimo, con una grande stima per il Cda bergamasco, a partire dal presidente Ercole Galizzi e dal direttore Guido Venturini. Dialoghiamo settimanalmente per condividere programmi, progetti, principi. Ad esempio, all'interno di Bergamo Sviluppo, condividiamo la sensibilità per l'internazionalizzazione e l'attenzione alle start-up. Il domani è dietro l'angolo, per questo l'internazionalizzazione è tanto importante: le aziende che si sono salvate o hanno sofferto di meno sono quelle appunto che hanno lavorato con l'estero. Noi invece abbiamo avuto un po' di carenza di ossigeno. Però sono fiducioso: sta cambiando il vento a favore del mondo imprenditoriale. Abbiamo visto negli ultimi mesi una ripresa modesta, che però continua nel tempo. Internazionalizzazione non vuol dire anche delocalizzazione? Bisogna essere sinceri: dobbiamo sgravare di tasse le nostre imprese. Molte società hanno stabilimenti sia sul nostro territorio che all'estero: in Polonia, ad esempio, produrre costa la metà sia in termini di tasse governative che di costo del lavoro. È normale che si finisca anche per guardare verso altri lidi. A volte alcune scelte di produzione fatte all'estero garantiscono la sopravvivenza alle aziende italiane. Certo, bisogna cambiare: non possiamo andare avanti così.

Qual'è la soluzione? Come può il Governo trovare risorse per abbassare le tasse? Noi continuiamo a dirlo: c'è uno sperpero mostruoso di denaro dello Stato. Il mondo imprenditoriale, che lavora e rischia dalla mattina alla sera, non può accettarlo. Per fortuna che c'è Bruxelles che ci controlla dall'alto, altrimenti non avremmo più le fondamenta delle nostra case. Abbiamo speso più di quanto percepivamo, come Stato, negli anni passati, per cui si è creato quell'enorme deficit che ora ci zavorra. Come imprese, gli anni della crisi sono stati tamponati usando le riserve accantonate, ma poi non è rimasto più nulla. Ora le banche sono disponibili a concedere finanziamenti alle imprese che investono, anche grazie alle Bce, ma c'è un fattore psicologico che condiziona: la paura di sbagliare e di fallire per le aziende, la paura di spendere e non avere risparmio per il consumatore. L'euro ci ha un po' sfasato. L'euro, sotto il profilo delle garanzie comunitarie, ci ha dato grossi vantaggi. Ma secondo me andava introdotto con dei valori completamenti diversi: doveva essere più vicino alle mille che alle duemila lire. Detto questo, oggi è la paura che domina il mercato. I consumi da novembre a metà gennaio sono andati bene, ora hanno accusato un nuovo stop. Oggi, si guarda meno alla qualità, al marchio, alla garanzia del prodotto, e più al risparmio. In ogni modo, è necessario guardare con ottimismo al futuro, perché anche di questo si nutre la ripresa. A proposito di grande distribuzione: abbiamo bisogno di tutti questi centri commerciali? No, e infatti non si stanno più dando concessioni, perché il territorio è saturo. Aprono però quelle realtà che hanno mantenuto viva la concessione ottenuta per anni. Le concessioni comunali e provinciali ottenute, se si paga regolarmente, non scadono, ma non ce ne sono di nuove. Cosa resta ai piccoli negozi? Gli esercenti del nostro territorio hanno avuto una grande fortuna: 15-20 anni fa, quando sono stati inaugurati i primi grandi insediamenti commerciali, hanno avuto diritto di prelazione sull'occupazione degli spazi all'interno delle strutture, in base a un accordo tra Ascom e le direzioni dei centri. Ho combattuto molto per tutelare

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questo diritto. Certo, non è tutto facile: stare in un centro commerciale costa e c’è molta concorrenza. Non tutti i negozianti si sono assoggettati a convivere con le realtà della grande distribuzione. I negozi multimarchio, ad esempio, subiscono la presenza dei franchising. La risposta qual'è, per i piccoli? Lavoriamo, sia come Ascom che come Camera di Commercio, sulla vitalità e sulla formazione. A Osio Sotto abbiamo creato l'Accademia del Gusto, dove facciamo 120 corsi tutti gli anni per rafforzare la professionalità dei nostri commercianti, sia sui modi per poter approcciare i consumatori che sulla capacità di cogliere gli orientamenti. Oggi un grande marchio dura al massimo sul territorio due-tre anni. Dopodiché il negoziante deve essere in grado di cambiare questo marchio nel proprio negozio e promuovere ciò che sta arrivando alla ribalta. Solo così si può tenere il mercato, ma ci vuole la giusta formazione. E nei centri storici? Questa è la vera sfida: vanno salvati. Una saracinesca alzata nel centro storico è un successo per tutti: c'è vitalità, c'è luce, c'è un presidio per la sicurezza, c'è attenzione alla qualità. Il commerciante tradizionale su cosa può contare? L'alta professionalità, i prodotti di maggiore qualità, il sorriso, il buongiorno e la cordialità del rapporto diretto con il cliente. Però, con le liberalizzazioni, tutti vendono tutto: si creando delle sovrapposizioni. Vero. Molte attività aprono e chiudono nel giro di due anni. C'è molto turnover, sia nei centri storici che in quelli commerciali. Questo condiziona la professionalità: è una gara allo sconto, all'occasione, al saldo. Qual'è la percentuale delle start-up che non va avanti? Il 30 per cento. Noi li aiutiamo con i corsi di formazione e specializzazione, però bisogna vedere alla prova dei fatti se l'impresa riesce ad andare avanti. Oggi non si inventa più niente: nessuno ha l'esclusiva di un prodotto. Non è questo il momento in cui andrei a consigliare di aprire un negozio, sinceramente. È più il momento di aspettare. Va diminuita la pressione fiscale, c'è poco da fare. Non è solo una questione di sopravvivenza economica, ma di occupazione e sviluppo.

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Parliamo della Sacbo: va benissimo. Ha fatto ancora 12 milioni di utili, e noi siamo azionisti come Camera di Commercio. E' una delle poche società che ci dà ancora una riconoscenza economica da poter investire nel mondo imprenditoriale. Parliamo di lei: so che da giovane faceva parte di un complesso musicale. Beh, dai 15 ai 21 anni ho suonato il pianoforte nei “Randagi”. Ci esibivamo soprattutto nelle sale da ballo; facevamo musica leggera ed eravamo legati alla Rca di Roma. Eravate famosi. E tutti bergamaschi. Avevamo anche canzoni nostre, ma eravamo dilettanti. Poi è arrivato il servizio militare e ho abbandonato. Al mio ritorno la realtà era diversa: mettere su famiglia, avere figli e un salario mensile.

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Quindi ho cominciato a fare l'operaio, poi il rappresentante nel mondo della pelletteria. Quindi ho aperto un negozio: oggi ne ho cinque, con il marchio Pelletteria Luisa, ed è in arrivo il sesto, perché raddoppiamo la nostra presenza dentro Oriocenter. Gli altri quattro sono a Curno, Seriate, Stezzano e nel centro storico di Osio Sotto. Grazie ai figli e alla moglie, in sostanza, ci siamo addentrati in un mondo imprenditoriale commerciale che ci ha sempre garantito il pane quotidiano. Lei è di Osio Sotto. Esatto, classe 1947. Sono figlio d'arte: mio padre faceva il calzolaio. Parliamo ora di Ascom. In 16 anni di Ascom di cose ne ho fatte. La vecchia Associazione Commercianti, in

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provincia, non aveva una sala riunioni e avevamo uffici in affitto. Ora abbiamo dieci delegazioni periferiche su tutto il territorio, più la sede centrale, appena ristrutturata, e sono tutte di nostra proprietà. La politica di andare noi sul territorio, senza far venire il commerciante da noi, è stata premiante. Una rivoluzione. Che rapporto c’è tra la Camera di Commercio e le organizzazioni di categoria? La Camera di Commercio ha un dialogo aperto con tutte le associazioni e le tiene in considerazione alla pari. Ho doti politiche riconosciute e so dialogare con tutti. Del resto ero il primo di cinque fratelli e ho fatto tanta gavetta. Un’enorme fatica ripagata da tante soddisfazioni.


Inter vista

«Sul Cammino di Santiago. Per ritrovarsi»

Ivan Rota, ex parlamentare dell’Italia dei Valori. «La molla più forte è stata l'esperienza politica, da cui sono uscito devastato. Avevo bisogno di prendermi del tempo per me, ritrovare motivazioni ed entusiasmo»

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n viaggio per 214 ore, distribuite in 22 giorni tra fine luglio e inizio agosto, lungo 949 chilometri. «Un mese di "libera solitudine", ore e ore camminando sotto il sole o la pioggia», ha scritto su Facebook Ivan Rota, esponente bergamasco di spicco dell'Italia dei Valori che, come catarsi di un momento politico struggente, ha deciso di mettersi in Cammino, quello con la C maiuscola. Il più famoso d’Europa. «Credo che aldilà delle ragioni, per ognuno diverse, di partire per Santiago, il Cammino è una palestra di vita utile per fare il punto su ciò che desideriamo, per migliorare il rapporto con sé stessi e con gli altri, per riportarci in forma fisica, per riflettere su una dimensione più alta del nostro vivere. Poi si rientra nella quotidianità, ci si reimmerge nei problemi lasciati, ci dobbiamo confrontare con chi non ha vissuto la stessa esperienza, ci ritroviamo a dover decidere con maggior consapevolezza se continuare come prima o se dare una svolta alla nostra vita… ecco che allora ha inizio il vero Cammino». Sulla

sua esperienza ha anche scritto un libro. Come è nata l’idea di intraprendere il Cammino? Era da sei anni che la cullavo. Incontri persone che l'hanno fatto, leggi un articolo, ti imbatti in un libro, e tutto ciò suscita il desiderio di affrontare quell'avventura. Non c'era però una ragione particolare: semplicemente avevo voglia di fare quest'esperienza. Di che libro parla? Quello di Paulo Coelho, intitolato appunto "Il cammino di Santiago". Con trama diversa, ma altrettanto intrigante, il film di Emilio Estevez, bellissimo. Ma la molla più forte è stata l'esperienza politica, da cui sono uscito devastato. Avevo bisogno di prendermi del tempo per me, ritrovare motivazioni ed entusiasmo. Volevo percorrerlo da solo, e la convinzione della bontà di quest'idea si è rafforzata cammin facendo. Il titolo del mio libro, "Ritrovarsi sul Cammino", è doppiamente significativo: si riferisce alla ricerca di se stessi, in questo caso me, e naturalmente del rapporto con

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gli altri: si incontrano persone di ogni nazionalità, di ogni età, di ogni professione e ceto sociale. Ci cammini assieme un chilometro o una giornata, li perdi, li ritrovi due giorni dopo, ti confronti... Chi percorre il Cammino? L'ultima parte del percorso lo affrontano in molti, il Cammino intero molti meno. E pochi lo fanno per ragioni prettamente religiose; tanti, soprattutto i giovani, vanno perché è un modo per fare una vacanza a basso costo; c'è chi lo fa come performance fisica; e chi come esperienza spirituale. In ogni caso, al termine del viaggio, il lato spirituale emerge in tutti: camminare chilometri e chilometri da solo, in mezzo alla natura, ti permette di rivedere il film della tua vita. Quindi cerchi di ritararlo, quel film, su ciò che verrà dopo. Cosa ha portato a casa da questo viaggio? Sicuramente una serenità maggiore, e una maggiore consapevolezza. Non tanto di quello che voglio fare, perché dipende da quanto può accadere, ma di quello che

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non voglio fare. Non voglio più sopportare l’ipocrisia e la falsità delle persone, che magari prima tolleravo obtorto collo. Si capisce inoltre che la vita lancia dei segnali che tante volte - per pigrizia, opportunità e quieto vivere - si ignorano, ed è sbagliato. Un'altra riflessione che ho fatto, portando sulle spalle per un mese tutto il necessario

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è: quanti pesi inutili ci portiamo addosso inutilmente nelle nostra vita. Parliamo del lato religioso. In un passaggio ho scritto: «mi sono scoperto un credente poco credibile, incredibilmente credente». Non sono un gran praticante, ma prima di partire per raggiungere Santiago de Compostela sono passato da Lourdes,


dove vedi cos'è veramente la sofferenza e la disponibilità del prossimo. Mi sono confessato da padre Francesco, missionario. Mi ha dato un consiglio, dopo aver saputo che stavo per intraprendere il Cammino: recitare il Rosario tutte le mattine. Lì per lì non capivo, ma l’ho fatto, dando un (mio) senso a ciò che stavo facendo: portare in viaggio con me i miei cari, i miei parenti, gli amici, gli ammalati e chi non è più con noi; a loro dedicavo di volta in volta i vari Misteri. Questa pratica mi ha aiutato e arricchito. Qual è stato il momento più critico? Non le è mai venuta voglia di abbandonare? No, abbandonare mai. Anzi, c'era il desiderio di svegliarmi la mattina, a qualsiasi ora, per andare a scoprire segnali, incontrare persone,cogliere momenti di riflessione. Chiaro che la stanchezza è arrivata: il Cammino intero andrebbe percorso in un mese, mentre io l'ho fatto in 22 giorni. All'inizio ci si mette in gioco fisicamente. La seconda parte, introspettiva, è quella che fa rivedere il film della propria esistenza. Nella terza l'introspezione si modifica in una ricerca delle risposte in prospettiva, per il futuro. L'ultima è caratterizzata dal desiderio di arrivare alla cattedrale, che però di per sè è l'aspetto meno importante. C'è stato un momento in cui ha sofferto veramente tanto, a livello introspettivo?

Quando ho percorso una tappa di notte, camminando per quindici ore per coprire 55 chilometri. Ritrovarsi soli e infreddoliti, a notte fonda, su sentieri in mezzo ai boschi, in montagna, mi ha fatto vivere momenti particolari, difficili da esprimere. E mi è capitato più volte di ritrovarmi con le lacrime agli occhi, nel corso del Cammino. Ci si libera, metaforicamente, di alcune cose. Ricordo un paio di momenti, in particolare quello in cui mi sono liberato dal fardello di una persona che mi ha fatto soffrire molto. E del resto il gesto di lasciare il proprio sasso sul percorso va in questo senso. Io ci ho lasciato anche un anello arrugginito, di quelli che si usavano per i cavalli, raccolto sulle rive del Brembo, e un fil di ferro trovato sul tragitto, che ho modellato in tre «p», con l'aiuto di una pinza chiesta in prestito a una nonnina del posto. Cosa significano queste tre «p»? Preoccupazioni, paura, procrastinazione. Altri momenti forti?

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Beh, ce ne sono tanti. È capitato anche di ritrovarsi abbracciato ad altre persone con cui abbiamo condiviso le nostre storie di vita. Ricordo una volta, mentre mi dissetavo a una fontana: si è affacciato un uomo da un portone da cui usciva una musica magica, coinvolgente, e mi ha chiesto: «Pellegrino italiano, quand'è l'ultima volta che qualcuno ti ha offerto una birra?». Io ho risposto: «Sul Cammino mai, ma l'ho offerta io». Lui risponde: «Ciò che al Cammino dai, il Cammino ti torna. Vieni che ti offro una birra». Sono entrato e c'erano altre due persone: un marine americano e un basco. Si erano conosciuti l'anno prima, perché il secondo aveva rallentato il suo passo, per cinque giorni, per portare il primo in questo luogo, dove gli sarebbero stati curati i piedi massacrati. Si erano dati appuntamento lì, dopo un anno. La persona che più l'ha colpita? Più d'una. L'hospitalero che mi ha offerto una birra, innanzitutto, che ha lasciato tutto

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ciò che aveva, per prendere quell'albergue dove ospitare i pellegrini. E una ragazza belga, partita da Santiago con l'obbiettivo di arrivare a piedi a Roma, offrendo un amorevole abbraccio a tutti i pellegrini che andavano in senso opposto. Ma di storie ce ne sarebbero tantissime. Gente che abbandonava il cammino ne ha incontrata? Ho incontrato gente che non riusciva più ad appoggiare i piedi, martoriati da vesciche, essendo partiti in modo incosciente senza informarsi su cosa andava incontro. Bisogna prepararsi fisicamente, è necessario portare con sé ciò che serve per curarsi. Una volta a cena ho incontrato un tipo, sceso dalle scale, che non guardava nessuno negli occhi. Si è messo a mangiare con la testa bassa. Ho cercato di attaccare bottone, ma lui non rispondeva. Era polacco, e non parlava nessun'altra lingua. Allora prendo il mio Iphone e con Google Translate cerco di comunicare. Vengo a sapere che era da due giorni in quel posto, con 40 di febbre, e non poteva muoversi. Era triste, non tanto per i malanni ma per l'impossibilità di terminare il viaggio. Lì ho capito che spesso ci si fa un’opinione sulle persone che spesso può risultare totalmente sbagliata, perché fatta in un momento particolare. Il momento più doloroso?

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Verso la fine del Cammino. Gli ultimi quattro giorni incontro Andrea, 44 anni. Cominciamo a camminare insieme. Era come se mi conoscesse: per due giorni aveva camminato con Lidia, con cui giorni prima mi ero fermato al convento benedettino, e lei aveva parlato di me. Le avevo raccontato molte cose: è molto più facile aprirsi con gli sconosciuti, raccontare ciò che provi e che senti. Non hai paura di essere misurato, giudicato, come può avvenire con famigliari e amici. Con Andrea ho camminato quattro giorni e, strada facendo, avevamo deciso che saremmo arrivati a Finisterre a vedere il tramonto; non a piedi, perché il tempo a disposizione prima di prendere l'aereo era poco. Abbiamo noleggiato le biciclette per fare i 122 chilometri che separano Santiago dal promontorio affacciato sull’Atlantico. Ma lui non era molto avvezzo alla bicicletta: l'ho aiutato, ma dopo cento chilometri è andato in crisi nera, si è fermato e ha preso un taxi. Io ho tenuto duro, in sella. È stata veramente dura: sono arrivato ma in lacrime, con l'angoscia di non vedere il sole tramontare. E infatti non l'ho visto, per un minuto probabilmente. Sforzo enorme, obbiettivo a portata di mano, ma niente. Mi è successo altre volte nella vita di non coronare tanto impegno profuso aspettando gli altri, ma non riesco a fregarmene degli

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altri, ad essere cinico. Però Andrea, col taxi, ce l'ha fatta, e ha scattato delle foto per me. E' un'esperienza che una persona dovrebbe fare, nella vita? Sì. Poi non so come la vivrà un altro. Sicuramente è un'esperienza forte. Veniamo al libro. Che ha una motivazione precisa. Dico innanzitutto che nel libro riporto foto e post messi su Facebook. Durante il viaggio ho anche risposto a tutti i commenti ai miei


post, anche rubando tempo al sonno. Ho sempre avuto il timore di perdermi quello che mi sembrava di capire: le cose vissute, le esperienze, i pensieri, le emozioni. Quindi, mentre camminavo, oltre a fare fotografie, ho preso appunti. I post su Facebook erano più per me: mi servivano a fissare i momenti importanti e ad averne traccia. Già chi aveva seguito questo mio diario online mi aveva chiesto di farne un libro, mi chiedevo perché? Poi, al ritorno, ho incontrato un amico che ogni martedì, da 6-7 anni, prende in braccio una donna per portarla dal primo piano al pian terreno. Mi racconta che Cecilia, questo è il suo nome, ha come sogno di fare il Cammino di Santiago, ma non è in condizione di farlo. Ecco allora la decisione di mettere assieme post e fotografie e realizzare un libro: grazie ad alcuni sponsor e con il ricavato della vendita raccoglieremo i fondi per portare Cecilia a Santiago. L'esperienza stessa, raccontata, può diventare uno stimolo per ogni persona normodotata e per chi ha problemi fisici seri, lanciando il messaggio: se hai un sogno puoi realizzarlo. Ho preparato il materiale per raccontare dell’esperienza negli oratori, alle pro loco, in biblioteca, ovunque mi sarà chiesto di farlo; ne parlerò in molti meeting dell’associazione di servizio Lions International, che ha voluto essere coinvolta nel progetto.

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Inter vista

Gianfranco Bresciani, pioniere delle scuole paritarie e di formazione in Lombardia

Nel campo da mezzo secolo, ha fatto la storia del settore. E continua a farla. Il Centro Studi Leonardo da Vinci è nato nel 1995 dall’unione di altre realtà scolastiche avviate dal 1965. Ultima grande intuizione? Una scuola di Osteopatia

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e si parla di scuole paritarie, a Bergamo (e non solo, come vedremo), non si può prescindere dal nome di Gianfranco Bresciani. È sul campo da mezzo secolo. Ha fatto la storia del settore, e continua a farla. Il Centro Studi Leonardo da Vinci nasce nel 1995 per sua iniziativa: ha portato all’unione dell’istituto Conoscere per Geometri e Ragionieri, avviato nel 1949, con l’istituto tecnico industriale per l’elettronica, l’ottica e l’odontotecnica Fratelli Calvi, operativo dal

1965, e il liceo Manzoni, costituito nel 1984 con gli indirizzi Linguistico e Scientifico. Il segreto? La costante attenzione ai processi evolutivi della didattica applicati al contesto sociale, per proporre agli studenti e alle loro famiglie un’offerta formativa sempre attuale, efficace e innovativa. Oltre all'istruzione superiore, l’istituto è un Ente di formazione accreditato presso la Regione Lombardia Sezione A: opera dal 1972 (prima come Fratelli Calvi, poi Leonardo da Vinci) nel settore formativo

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post diploma per le Professioni Sanitarie e le Arti Ausiliarie delle Professioni Sanitarie, attraverso il marchio Synapsy. Nel 2009 la grande intuizione di Bresciani: dare vita al percorso di formazione di Osteopatia (della durata di cinque anni), integrandolo con quello già esistente di Massoterapista. In modo da dare comunque la possibilità di esercitare una professione dopo due anni. Due parole sull’Osteopatia. Si tratta di una disciplina riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha lo scopo di individuare la reale causa responsabile del dolore, che spesso risiede lontano da dove viene riferito il sintomo. Si basa sulle scienze fondamentali e le conoscenze mediche tradizionali (anatomia, fisiologia, etc.) non prevede l'uso di farmaci né il ricorso alla chirurgia, ma attraverso manipolazioni e manovre specifiche si dimostra efficace per prevenzione, valutazione e trattamento di disturbi che interessano non solo l'apparato neuro-muscolo-scheletrico, ma anche cranio-sacrale (legame tra il cranio, la colonna vertebrale e l'osso sacro) e visce-

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rale (azioni sulla mobilità degli organi viscerali). In Italia c’è da oltre trent’anni: da iniziativa personale di pochi pionieri, entusiasti degli studi seguiti in Inghilterra o in Francia soprattutto, la disciplina nata negli Stati Uniti a fine Ottocento si è organizzata in scuole e associazioni di categoria e ha conquistato sempre maggiori spazi e considerazione tra il pubblico: dati Istat e Eurispes dicono che circa il 7-8% della popolazione si rivolge agli osteopati, con un grado di soddisfazione del 78%. Adesso l’Osteopatia tenta il «grande salto» del riconoscimento come professione sanitaria. Sì, perché, ancora oggi, i circa 5 mila osteopati (7 mila, secondo alcune stime) che operano nel nostro Paese non hanno un inquadramento specifico, mentre in altri paesi europei è una professione normata da tempo. Partiamo dal corso di Massoterapista: come è nato? Prima avevamo il corso di Massofisioterapista, ora abbandonato completamente, nel senso che non esiste più quella denominazione e quell'indirizzo formativo. Oggi il

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massaggio terapeutico passa infatti unicamente dalla Massoterapia, e la Lombardia è stata la prima ad avviare questi corsi. È corretto parlare di corso post diploma? In realtà oggi vi ha accesso anche chi ha conseguito le qualifiche professionali, ma in futuro diventerà a tutti gli effetti un corso unicamente post diploma. È un percorso biennale di 1.500 ore totali, di cui mille di scuola e 500 di tirocinio, fatte in strutture sanitarie. Un percorso completo, dunque, che porta ad avere un'abilitazione all'esercizio della professione nel campo delle Arti Ausiliarie delle Professioni Sanitarie. Ci spieghi meglio cosa significa questo termine. Un esempio: l'ottico è legato all'oculista, l'odontotecnico è legato all'odontoiatra, c'è un medico specialista di riferimento, in parole povere. La figura del Massoterapista è collegata soprattutto al fisiatra, ma anche all'ortopedico, al medico di base e al neurologo. Dopo l'abilitazione, il percorso può continuare.


Esatto, con la nostra Scuola di Osteopatia, che ha due formule di preparazione: una full-time, l'altra part-time. La prima, a tempo pieno, dura cinque anni, vi hanno accesso ragazzi in possesso di qualunque diploma di maturità. La cosa interessante è che nei primi due anni di questa scuola full time sono inglobati quelli di Massoterapia, quindi viene data la certezza all'allievo di poter operare in ambito sanitario anche dopo un biennio. Se lo studente prosegue fino al quinto anno a tempo pieno diventa a pieno titolo Osteopata. Oppure può cominciare a lavorare come Massoterapista e nel frattempo proseguire per quattro anni gli studi part time per diventare Osteopata. Come sono organizzati questi quattro anni? Nei quattro anni verranno affrontati sia materie di medicina specialistica, sia materie osteopatiche. Le materie osteopatiche comprendono tecniche manipolative sull’apparato muscolo-scheletrico, viscerale

e craniale. Queste tecniche, possono essere applicate anche in ambito pediatrico. Normalizzata? Ci spieghi il termine. Il trattamento osteopatico è l’insieme di tutte le tecniche manuali atte a ristabilire la normale mobilità in quelle zone dove, per vari motivi, è ridotta. Restrizioni articolari e miofasciali interferiscono infatti con la vascolarizzazione e con l’innervazione di alcune strutture, l'Osteopatia riportando queste aree in una condizione più fisiologica, permette all’organismo di autoregolarsi e di auto guarirsi, principio su cui si fonda l’osteopatia. Al termine del percorso formativo si arriva al diploma di Osteopatia, che però in Italia non è riconosciuto. Vero, è però in via di riconoscimento. Ma si può già utilizzare il titolo "Osteopata", secondo una contraddizione tipicamente italiana: ci ha pensato la legge numero 4 del 2013 sulle professioni non normate. La proposta di legge per il riconoscimento

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completo è stata presentata lo scorso 15 febbraio, ma l'iter sarà ancora lungo: si ipotizza un riconoscimento tra 2018 e 2019, ma non è detto. Comunque i vostri diplomati in Osteopatia possono già lavorare. Sì, perché hanno comunque l'abilitazione in Massoterapia, seppure il Diploma in Osteopatia non sia riconosciuto. Abbiamo infatti tantissimi allievi che fanno soltanto Massoterapia e non pensano ancora all'Osteopatia, anche perché i massoterapisti possono lavorare in autonomia o essere assunti da centri fisioterapici o presidi sanitari. Il Massoterapista è una figura riconosciuta anche dalle federazioni sportive: può andare in campo, anche nel calcio, in Serie A. Il "massaggiatore" c'è sempre stato: non è una figura nuova. Sì, ma ciò che ci distingue è il fatto che noi formiamo delle figure abilitate che operano in ambito sanitario. Il titolo è effettivamente

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quello del 1928 ‘Massaggiatore e Capo Bagnino degli Stabilimenti Idroterapici’, più brevemente conosciuto come MCB. La nostra scuola è accreditata in sezione A

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dalla Regione Lombardia, e sottoposta a severi controlli. Le materie e i programmi sono definiti, così come le ore di tirocinio, importantissime perché fatte sul paziente.

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Ci sono ulteriori sviluppi della scuola in vista? Prima di tutto stiamo cercando di predisporre dei master a livello universitario.


Soprattutto per una delle lauree che dà meno sbocchi: Scienze Motorie. Sono pochi gli sbocchi che attualmente concede: nell'insegnamento le possibilità sono praticamente inesistenti; nelle palestre qualcosa c'è, ma le retribuzioni sono basse. Se invece avessero una competenza in Massoterapia, le cose cambierebbero. Non sarebbero più solo personal trainer, ma potrebbero rieducare con le mani. Per l'Osteopatia abbiamo già invece predisposto dei master dedicati ai laureati in Fisioterapia. Da sottolineare però che in genere un Massoterapista è un miglior Osteopata rispetto ad un Fisioterapista: forse ha meno conoscenze a livello teorico, ma maggiore esperienza nella manipolazione. I vostri insegnanti sono medici? Sì, per la maggior parte. Specialisti, naturalmente. Per il resto si tratta di osteopati di grande esperienza. In Osteopatia, infatti, ci sono diverse metodologie. Nelle nostre sedi riteniamo opportuno seguire una metodologia efficace, pragmatica e supportata da riscontri e valutazioni scientifiche, anche in un’ottica di collaborazione con l'Università dell'Insubria, dove si consegue la laurea in Scienze Motorie.

Non avete pensato di attivarvi anche sul fronte della Chiropratica? In questo momento la Chiropratica a livello mondiale non ha i riconoscimenti che l’Osteopatia ha ottenuto. Avete anche una sede a Brescia. Sì, però al momento solo per i corsi di Massoterapia. Collegamento con l'Università di Bergamo? Si siamo in atte che l’Università attivi il corso di laurea in Medicina. In questo caso potremmo allora proporremo un master di Osteopatia. Quanti iscritti ha Synapsy? Oltre cinquecento. E i numeri sono in crescita. Un grande risultato. Perché facciamo le cose bene! Ma non bisogna abbassare la guardia e tenere invece alta l'asticella della qualità, per poter competere con le altre realtà che operano nel campo della formazione. Quali altri corsi di successo avete lanciato, in passato? Numerosi. Con il Fratelli Calvi avevamo aperto Elettronica per primi in Lombardia:

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non esisteva. Stessa cosa per Chimica Alimentare. E ancora oggi Odontotecnica e Ottica sono solo al Leonardo da Vinci. Abbiamo anche dato inizio ad una scuola prestigiosa come l’Istituto Aeronautico. Non bisogna avere fretta di avere risultati immediati, ripeto, ma puntare sempre sul prestigio e la qualità della Scuola, formulando valide proposte. A proposito, quando è nato in origine il corso di Osteopatia? Abbiamo cominciato nel 2001, come sezione distaccata di altre scuole, prima del Sio di Padova e poi dell'Iso di Milano. Le adesioni erano contenute. Nel 2009 abbiamo iniziato ufficialmente con la nostra Scuola Osteopatia Synapsy e siamo andati bene dall'inizio. In Regione, insomma, siete sempre all'avanguardia. Sì, tant'è che dalla Direzione Istruzione, Formazione e Lavoro della Lombardia talvolta vengo chiamato a tavoli di lavoro in ambito formativo. Contributo riconosciuto, diversi anni fa, con il ‘cavalierato’! In 51 anni di lavoro posso dire di aver senza dubbio acquisito esperienza.

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Studio Green Design. Da trent’anni diamo forma al paesaggio intorno a Il progetto dell’insieme nel rispetto del particolare Studio Green Design di Roberto Cigliano Via Monte Resegone 7 24020 Gorle – Bergamo T 035.299500 F 035.4240308 info@green-design.com www.green-design.com


Inter vista

«Vogliamo più spirito di solidarietà»

Maria Carolina Marchesi: «Il mio assessorato si chiama Coesione sociale: abbiamo messo da parte la dicitura “Servizi” per insistere su questo concetto. Vogliamo far crescere la collaborazione reciproca dalle radici»

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a passione per il suo lavoro la si legge negli occhi e nell’inflessione della voce. Mentre la competenza sta nelle parole, sicure, con cui Maria Carolina Marchesi, assessore alla Coesione sociale della giunta Gori, fa una panoramica di quanto si sta facendo in questo mandato in un ambito complesso, che comprende politiche sociali, politiche giovanili, reti sociali, integrazione e pari opportunità. Una delega estremamente articolata, «che attraversa questioni - spiega Marchesi -, età e condizioni diverse, con un attenzione particolare per le fragilità. Un compito delicato, perché l'azione deve considerare

le specificità della persona, senza per forza individuare un'etichetta da appioppare a tutti i casi similari, indistintamente». La stagione in cui si è trovata ad operare, tra l’altro, non è molto favorevole dal punto di vista economico… Abbiamo risentito noi stessi come Amministrazione del periodo di crisi. Ma soprattutto ne hanno risentito le famiglie: sono aumentate le richieste d’aiuto, collocate su diversi fronti. Partiamo proprio dal tema della famiglia. È un'istituzione in difficoltà, e non solo per motivi economici. Nella realtà di oggi, l'organizzazione del lavoro e della vita rende

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le cose complicate anche per una famiglia "sana", dove tutto procede tranquillamente. Nostro primo compito, dunque, è di mantenere sane le famiglie che già lo sono: devono essere un pilastro della comunità e poter esser in grado di aiutare le altre. E cosa si fa per le famiglie "sane"? Cerchiamo di utilizzare tutti gli strumenti che il Governo e la Regione ci mettono a disposizione attraverso il fondo nazionale per l'assistenza, per esempio aiutando le famiglie quando nasce un bambino, soprattutto con asili nido e ludoteche, e comunque sostenendole nei più diversi ambiti per evitare che vadano incontro a difficoltà. Importanti anche gli interventi educativi sul territorio indirizzati alle famiglie. Passiamo alle famiglie in difficoltà. Il primo passo è il sostegno immediato, anche economico, quando viene a mancare l'unica entrata per la perdita del lavoro. In questi casi la famiglia cerca di utilizzare, se li ha, i risparmi, quindi si rivolge ai famigliari. Poi si arriva a noi. È un passaggio importante: c'è chi fatica a esporre il proprio bisogno, a "chiedere". Quindi è importante l'accoglienza che viene fatta e l'indicazione che viene data, perché il momento è delicato. Certo, non possiamo aiutare tutti quanti e sempre nello stesso modo: ci sono delle regole. C'è il Fondo Famiglia Lavoro, costituito dal Comune, dalla Fondazione Misericordia Maggiore, dalla Caritas, con una partecipazione dell'Università nei casi in cui i figli del nucleo in difficoltà la frequentino. Cosa vi consente di fare il fondo? Nell'immediato, di pagare le utenze e fornire buoni spesa. Poi abbiamo la possibilità di individuare dei percorsi lavorativi che, attraverso i voucher, consentono alle persone, in un anno, di avere un piccolo reddito e quindi riconquistare un po' di autonomia. Nel frattempo il servizio di assistenza sociale cerca di trovare dei canali per rendere questa autonomia definitiva: un posto di lavoro, innanzitutto, per risolvere il problema. Anche se non è facile. Questo se si tratta di una difficoltà temporanea... Sì, perché ci sono anche fragilità croniche: persone che, per il loro modo di essere, non ce la fanno a raggiungere quell'autonomia indispensabile per avere una vita tranquilla, quindi periodicamente tornano. In risposta,

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cerchiamo periodicamente di reimpostare dei percorsi di reinserimento in parametri di vita "normale": tenere un minimo di lavoro, garantire l'autonomia nella gestione di sé, della casa, delle relazioni sociali. Nessuno viene abbandonato a sé stesso. Disabili. Il Comune di Bergamo da sempre è stato attento, in questo campo, e ha realizzato molti servizi per loro e con loro. Dico con loro perché molto è stato realizzato in collaborazione con le famiglie, che sono un punto di riferimento insostituibile. Abbiamo un Centro diurno disabili che accoglie 30 persone, ma un altro gruppo di oltre 60 afferiscono a strutture diverse, attraverso un progetto personalizzato: ad altri centri diurni, o al Centro socio-educativo per l'autismo, nato nel 2009, importantissimo per noi e per me in particolare, perché questo è il tema in assoluto più difficile da affrontare all'interno della disabilità. Abbiamo poi aperto una serie di nuovi percorsi: laboratori per l'autonomia e di attività occupazionale, importantissimi perché hanno come punto di riferimento la dignità della persona. Questo sempre all'interno di un discorso di relazione. Su Bergamo esiste anche il progetto Senzacca, che ha come obbiettivo quello di stimolare i quartieri, perché siano loro stessi attivi nell'inclusione dei disabili nella nostra comunità. C'è anche il progetto Città Leggera, che è piaciuto anche ad altre città come Milano e Lecco, dove siete andati a raccontare la vostra esperienza. Si tratta di appartamenti, nove per la precisione, destinati all'esperienza di vita autonomia di persone con disabilità, psichica e fisica. Ormai quattro persone risiedono stabilmente in questi appartamenti, quindi stiamo procedendo in questa esperienza molto interessante con le famiglie. Gli appartamenti sono dislocati in diversi quartieri, non concentrati: il quartiere viene invitato a costruire relazioni con quelle persone, a sostenerle. Cambia la partecipazione dei cittadini, in sostanza. Sì, un cambiamento di rotta fortemente voluto da questa amministrazione. Il mio assessorato, innanzitutto, si chiama Coesione sociale: abbiamo messo da parte la dicitura "Servizi" per insistere su questo concetto di partenza. Dal basso, dalle radici,

vogliamo far crescere lo spirito di solidarietà, di condivisione e di collaborazione reciproca su tutti i temi che riguardano la vita di una persona. Lavorando in questo senso, abbiamo scoperto una città molto ricca di realtà vitali: ci sono in tutti i quartieri, in forma e modo diverso a seconda della storia del quartiere, gratuitamente a disposizione della comunità. È su questo che abbiamo fatto leva per rendere i cittadini protagonisti, per dar luogo a quella partecipazione che va oltre l'elezione di rappresentanze democratiche. Ci sono già dei risultati da questa scelta? Abbiamo diviso la città in sette zone. Ad ogni zona, composta ognuna da 3-4 quartieri, abbiamo dato un supporto, un operatore di quartiere. È un tecnico, non un politico, non è nominato da me né dal sindaco. È una persona che ha competenze di operatore di comunità. Stanno lavorando in maniera molto solida: abbiamo avuto già molti incontri, perché ogni tre mesi gli operatori portano il report della loro attività in modo che ne siamo informati i cittadini. Il tutto all'interno di un progetto che ha ottenuto un finanziamento da Fondazione Cariplo. Quando parla di realtà vitali nei quartieri, a cosa fa riferimento esattamente? Il quartiere è una rete sociale a 360 gradi. Ci sono gruppi spontanei, come quelli del bridge e degli scacchi, che offrono ad altri la loro passione. Ci sono associazioni, come le polisportive. Ci sono le istituzioni: la parrocchia con l'oratorio, la scuola, etc. Ci sono i nostri servizi come l'assistente sociale e i custodi sociali che si occupano degli anziani. Tutte queste realtà attive spesso non hanno mai fatto rete tra loro: ora cominciano a farlo. Ma potremmo andare avanti con centri terza età, commercianti, etc. Tema anziani, importantissimo. Abbiamo in città 22 centri anziani, e per ogni centro gli iscritti sono in media 250-300. A Longuelo sono 750. Gli over 65 sono oltre 27mila, che non sono tutte persone fragili. Anzi, molto spesso tra di loro troviamo quei volontari che hanno tempo, competenza ed esperienza da dedicare agli altri. Faccio sempre l'esempio del centro terza età di Valtesse che si è inventato "Ol Disnà", servizio di consegna di pasti a domicilio per gli anziani in difficoltà, oggi allargato a tutta la città. È un'azione che

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noi sosteniamo come Amministrazione, ma a gestirla in toto sono ancora gli anziani di Valtesse. Una sorta di mutuo soccorso virtuoso. Stamo cercando di costruire una filiera da questi anziani in buona salute verso quel percorso di invecchiamento in stato di fragilità. Il 12 marzo avete inaugurato il Centro diurno integrato al Villaggio degli Sposi. È stato dato in gestione alla Fondazione Carisma (Casa di Ricovero Santa Maria Ausiliatrice, ex Gleno, ndr). È pensato per gli anziani che hanno qualche fragilità ma stanno ancora bene. Il centro dà assistenza, protezione, aiuto, capacità di relazione. Lasciando che le persone tornino poi a casa loro. A questo centro si affianca quello estivo, che fa la stessa cosa, con grande apertura al quartiere, ma senza protezioni sanitarie professionali. Va dalla metà di giugno alla fine di agosto e gli ospiti sono circa una cinquantina. Passano l'estate insieme con attività di animazione. È un servizio così apprezzato che ci chiedono di farlo anche d'inverno, ma le nostre risorse sono quelle che sono. Veniamo agli anziani che fanno ancora più fatica. In questi casi ci sono l’assistenza domiciliare, gestita attraverso l'Asl, e i custodi sociali. Non hanno un compito sanitario, ma di compagnia, rispettando i desideri della persona. Sono presenti in quattro quartieri, ma stiamo raccogliendo fondi per ampliare il servizio a Longuelo e Loreto, dove il numero delle persone anziane è molto alto. Come vengono individuati i casi che meritano assistenza? O tramite l'assistente sociale, a cui loro stessi, o i loro parenti, si rivolgono; oppure, importantissimo, attraverso la rete del territorio. Spesso sono i vicini di casa a rivolgersi a noi. Nella Bergamasca quest'azione viene considerata un po' da ficcanaso; di fatto invece è preziosa, è segno di attenzione: grazie a segnalazioni del genere siamo riusciti a fermare sul nascere casi di forte degrado. Se inizia processo di involuzione, i risultati in termini di decadimento fisico e mentale possono essere irrecuperabili. Chi sono i custodi? Persone preparate attraverso un nostro percorso di formazione. E quando le cose si fanno più difficili?

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Abbiamo un rapporto stretto con Carisma. Da un lato, quando le persone sono a casa, possiamo effettuare dei ricoveri di soccorso, anche temporanei. Se la situazione si aggrava scatta il ricovero in ospedale, e in ogni caso si pone il problema del passo successivo. Il progetto "Tornare a casa" si occupa di questo: quando la situazione acuta è risolta bisogna decidere, se le persone sono sole, in quali casi tornare a casa con un'assistenza adeguata, o a casa di un familiare. La scelta che vogliamo evitare, talvolta l'unica praticabile, è il ricovero definitivo in Rsa. Stiamo anche sperimentando, con il consorzio Ribes, alcune esperienze di cohousing per gli anziani, ovvero appartamenti protetti in cui possano vivere insieme, ma i risultati sono altalenanti.

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Perché? Alcuni nodi vengono al pettine: lo sradicamento dal territorio, perché nessun anziano si sposta volentieri verso un altro quartiere; il disorientamento, perché si perdono i proprio punti di riferimento; la difficoltà di vivere insieme. Interessante, in tema di serena convivenza, i portierati sociali dell’Aler, che cercano di far incontrare le diverse anime dei complessi edilizi popolari, di risolvere i piccoli problemi pratici che si possono presentare e di dirimere eventuali contrasti, tra stranieri e anziani in particolare. Cambiamo argomento: minori e donne con minori. È un tema molto delicato. L'accoglienza delle mamme con bambini, spesso oggetto di violenza, allontanate dal coniuge: devono

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trovare un riparo per il tempo necessario a rimettersi in sesto, il che vuol dire avere casa, lavoro, servizi. Rimettere in pista tutte queste cose richiede tempo. Ci sono case in cui, grazie anche all'aiuto di Caritas e del terzo settore, ospitiamo queste donne e cerchiamo di riprendere questo discorso di vita. A volte l’allontanamento viene deciso dal giudice per i soli minori: vengono ospitati in comunità educative, a spese del Comune, e il carico economico di questi casi sull’assessorato è alto. Poi abbiamo tutta quell'area dei minori stranieri non accompagnati: le protezioni messe in campo fino ad oggi non sono sufficienti. Al raggiungimento della maggiore età non possiamo abbandonarli: sono ancora a rischio, andrebbero protetti.


Poi c'è l'area della cosiddetta bassa soglia: i senza fissa dimora. Anche qui abbiamo un rapporto molto intenso con Caritas e terzo settore. Ne sono prova Casa Amadei, il Nuovo Albergo Popolare, il progetto Terre di Mezzo, che lavora soprattutto nella zona della stazione e di Boccaleone. Nell'ultimo caso è stato costituito un pool, a cui prende parte il Comune, per evitare che diventino zone di degrado, ma soprattutto con l'obbiettivo di accompagnare queste persone verso un riparo - come il dormitorio Caritas al Galgario, piuttosto che il Nap - e con il fine ultimo di aiutarle a ritrovare una strada. Non tutti, ovviamente sono disponibili: a questi viene semplicemente offerto un pasto caldo dal servizio Esodo o dai Cappuccini. Lei è anche assessore alle Politiche giovanili. A cui tengo molto, peraltro. Per la nostra città sono indispensabili: dobbiamo investire tanto sui nostri pochi giovani, sulla loro capacità imprenditiva, sulla loro creatività. Sarà quella la nostra forza nel futuro. Stiamo facendo due cose importanti: il percorso di riedizione del Polaresco, innanzitutto. Ha fatto delle cose bellissime, favorendo esperienze di gestione autonoma che hanno portato alla nascita dell'Edonè. E poi c'è il nuovo spazio della Malpensata, che vogliano sia gestito dai giovani del quartiere. Stiamo

anche pensando a un'esperienza di scambio tra Italia ed Europa: il 18 maggio avremo in città la presenza di 1.300 giovani del progetto Erasmus, che staranno qui per 5 giorni in occasione della loro "Agorà" semestrale. È la prima volta che viene scelta una città piccola come la nostra: ne siamo onorati. Per i giovani, però, l'occupazione langue. E infatti stiamo lavorando sull'aggancio tra giovani e mondo del lavoro. Abbiamo in corso un progetto importante, Job-In 3.0, esperienza che contiene coworking e formazione in itinere per ragazzi dai 18 ai 35 anni. Mettiamo a disposizione degli spazi e delle risorse economiche con l'intenzione di attivare dei percorsi che producano risultati. Cosa manca, al mondo giovanile bergamasco? Un adeguato collegamento con il mondo adulto. Ci vuole più comunicazione: alcune iniziative ben riuscite sono rimaste confinate nello spazio di una generazione. Siamo insomma su due linee separate. Serve più dialogo. Il mondo degli adulti deve considerare parte di sé quanto i giovani riescono a fare: vorrei che il nuovo Polaresco avesse successo in questa impresa. Vita privata: insegna ancora all'università? Sì, qualcosa lo faccio ancora. Si occupa sempre di pedagogia nel campo della disabilità?

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Esatto. Mi piace molto. Confido che le persone con le quali ho fatto questi percorsi formativi continuino a pensare che siano stati utili. Che sia servito non tanto sul piano professionale, quanto su quello umano. Incontrare i giovani nella costruzione della loro professionalità e nello stesso tempo far rimettere in gioco alcuni valori della loro vita è fondamentale. Nascono domande tipo: che senso ha andare a insegnare a un ragazzino che non imparerà mai a leggere e a scrivere? Qual'è il senso di fare l'insegnante in questa dimensione? È sposata, ha figli? Sono sposata ma non ho figli, e questo mi ha permesso di fare cose che altrimenti non avrei potuto fare. In che quartiere vive? San Paolo, da sempre. Ci sono arrivata che avevo 4 anni, da Costa Mezzate, e non c'era nulla. L'ho visto sorgere, praticamente, e ho visto la sua evoluzione, con il costituirsi di una numerosissima comunità boliviana. L'integrazione è stata abbastanza buona, però. Sono legatissima a quartiere e parrocchia: abbiamo cambiato casa tre volte, ma sempre nella stessa piazza. Cosa le piace fare nel tempo libero? Mi piace tantissimo viaggiare. E poi leggere, andare in montagna, andare a teatro. Insomma, ho l'imbarazzo della scelta.

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Nasce Btl, Banca del Territorio Lombardo

Fiocco rosa nel Credito Cooperativo: dall’aggregazione tra Bcc di Pompiano e Franciacorta» e Bcc di Bedizzole Turano Valvestino. Il Direttore Generale Mensi: «Pronti ad affrontare con forza le nuove sfide»

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al primo marzo è ufficialmente operativa la Banca del Territorio Lombardo, nata dall’aggregazione tra Bcc di Pompiano e Franciacorta e Bcc di Bedizzole Turano Valvestino. «Abbiamo iniziato un nuovo cammino – spiega il Direttore Generale Luigi Mensi - per restare sempre al fianco dei nostri soci e clienti e dare più opportunità e certezze al futuro delle comunità locali che da sempre operano in simbiosi con la banca di credito cooperativo. La Banca del Territorio Lombardo rappresenta la volontà di guidare il processo di cambiamento in atto e di affrontare le nuove sfide partendo da una posizione di forza; una scelta che ci consente di garantire continuità ai valori della cooperazione di credito che ci differenziano dalle altre banche: la territorialità, la trasparenza, la semplicità,

la mutualità e il rapporto umano. Siamo sempre stati la banca della gente e tali resteremo, mantenendo inalterato il nostro sostegno all’economia locale». Btl è la più grande banca di credito cooperativo della Lombardia e la terza Bcc nazionale per dimensioni e patrimonio. I dati a fine 2015 parlano chiaro: un attivo patrimoniale che sfiora i 3,5 miliardi di euro, un patrimonio di oltre 300 milioni di euro, mezzi amministrati per più di 5 miliardi di euro ed un Cet 1 del 16% a fronte di un minimo richiesto dalle autorità di vigilanza che si attesta attorno al 7,5%. Btl opera con 71 filiali a Brescia, Milano, Bergamo, Monza Brianza e Lecco. Ottomila i soci, 400 i dipendenti.

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B ANCA DEL T ERRITORIO L OMBARDO LE OPPOR T UN IT À R ADDOP P IAN O

B ANCA DEL T ERRITORIO L OMBARDO LE OP P OR TUNITÀ RADDOPPIANO La Banca del Territorio Lombardo nasce dall’unione di due realtà sane e ben radicate nel territorio: Bcc di Pompiano e Franciacorta e Banca di Bedizzole Turano Valvestino.

La Banca del Territorio B T L Lombardo nasce dall’unione duedirealtà e ben radicate nel territorio: La più grandedi Banca Creditosane Cooperativo della Lombardia. Bcc di Franciacorta e Banca di Bedizzole Turano Valvestino. La Pompiano terza Banca die Credito Cooperativo italiana per dimensioni e patrimonio.

BTL

La più grande Banca di Credito Cooperativo della Lombardia. La terza Banca di Credito Cooperativo italiana per dimensioni e patrimonio. www.bancadelterritoriolombardo.it


Impr ese

Noleggio auto con conducente: viaggiare senza pensieri

Nome di spicco del settore e tra le più grandi operanti nella provincia di Bergamo dal 1992 è la Travel Cars. I punti di forza? Serietà, esperienza, puntualità, sicurezza.

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n servizio sempre più richiesto, in Italia, quello di noleggio auto con conducente (Ncc). Le aziende da tempo ne fanno uso, perché è assodato sia la soluzione migliore per spostarsi nel massimo comfort. Esigenze professionali a parte, però, molti non sanno ancora di cosa si tratti esattamente, tant’è che si parla anche di «taxi privato», per dare un’idea. È un servizio rivolto a chiunque intenda spostarsi verso qualsiasi meta evitando lo stress del traffico, del parcheggio e della guida in città o autostrada. A un prezzo (e a un orario) già concordato. Nome di punta del settore, in provincia, è la Travel Cars di Seriate, presente sul mercato (e in costante crescita) dal 1992. Negli anni si è guadagnata e mantenuta la fiducia di privati esigenti e di numerose piccole, medie e

grandi aziende (di primo piano) del territorio. È operativa 24 ore al giorno per 365 giorni all’anno e mette a disposizione della clientela vetture che assicurano un viaggio di classe, ad alto livello qualitativo. Le parole d’ordine di Travel Cars? Serietà, esperienza, puntualità, sicurezza. Un altro fattore importante rispetto alla maggior parte dei concorrenti è la presenza di un ufficio operativo e di una persona dedicata con il compito di ricevere le prenotazioni, svolgere i normali compiti di segreteria e (in aggiunta al titolare e al figlio) a gestire gli imprevisti “dell’ultimo minuto” che in questo lavoro sono all’ordine del giorno. Questo evita spiacevoli conversazioni al cellulare e con conseguente distrazione per chi è alla guida con i clienti a bordo. «Il servizio dedicato alle

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a cura della redazione

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aziende - conferma il titolare Giuseppe Allegrini - rappresenta oltre il 90 per cento del nostro lavoro: portiamo clienti, ospiti, titolari e dirigenti dalle sedi delle società, o dal proprio domicilio, verso aeroporti, hotel e altre destinazioni. Ci rivolgiamo comunque anche alla clientela privata, che però non ha ovviamente la stessa ampiezza di necessità forse perché ancora non conosce il noleggio con conducente. Essendo una società di buone dimensioni del settore, avendo una decina di dipendenti e un ampio parco auto, possiamo adempiere anche numerose prenotazioni contermporanee di trasferimenti. Ovviamente garantiamo la necessaria flessibilità per ogni genere di richiesta». Come in caso di disposizioni per cene e meeting, consegne di documenti importanti o riservati, visite nelle città o verso i più grandi outlet e negozi fashion. Tutti gli autisti sono esperti e regolarmente assunti, selezionati tra soggetti con comprovate caratteristiche umane, in grado di svolgere i trasferimenti assicurando al passeggero una guida altamente professionale, puntuale, con tutte le gentilezze e attenzioni del caso. E parlano inglese. Aziende a parte, l’Ncc è prezioso per le occasioni di festa. «Sono molte le richieste che riceviamo per i matrimoni, soprattutto in primavera e in estate, anche se non mancano cerimonie fuori stagione». Garantiti anche spostamenti rapidi in città o verso aeroporti, porti e ospedali. Per i privati, oltre che per le aziende. «Sulle medie e lunghe percorrenze abbiamo prezzi concorrenziali rispetto ai normali taxi, con il vantaggio di sapere prima la tariffa, indipendentemente da tragitto ed eventuali rallentamenti». Potendo usufruire delle Ztl e delle corsie preferenziali, l’auto a noleggio con conducente è in grado di avvicinarsi rapidamente alle mete. Il parco auto è di primo livello: 14 le vetture di prestigio di proprietà a disposizione, dotate di vari optional e sottoposte a periodica ed accurata manutenzione sono tutte dotate di regolare autorizzazione. Vengono sostituite continuamente. «Si tratta soprattutto di berline: Mercedes Classe E e Bmw Serie 5, ideali per il servizio di rappresentanza. Poi abbiamo una Maserati Ghibli, oltre a minibus e monovolumi Mercedes per soddisfare la necessità di trasporto di più persone e bagagli. Su richiesta disponiamo di bus da 16, 30 e 54 posti». La maggior parte dei trasferimenti sono da e per gli aeroporti di Linate e Malpensa, dove l’autista accoglie i passeggeri con cartello con nome e/o logo aziendale. Non mancano però richieste particolari: le consegne urgenti di documenti o pacchi all’estero, ad esempio. L’autista può entrare direttamente negli uffici, garantendo il massimo riserbo: non è un semplice fattorino. «Ci occupiamo anche di pratiche burocratiche, su richiesta», aggiunge Allegrini. Infine, il sistema di fatturazione mensile con riepilogo dettagliato dà la possibilità al cliente di poter verificare e conoscere ogni servizio usufruito. Ogni autovettura è inoltre dotata di sistema di pagamento con carta di credito. Nulla è lasciato al caso. E’ un servizio al servizio di tutti. TRAVEL CARS s.a.s. - Via Nazionale 93, Seriate (BG) Tel. 035.299232 - Fax 035.301155 travelcars@tin.it - www.travelcars.it

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Concorso letterario 2016

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iunge alla quarta edizione il concorso letterario organizzato da LUBERG per valorizzare e promuovere il talento e la creatività del territorio. Il concorso, che nelle precedenti edizioni ha raccolto una nutrita adesione di partecipanti, viene rinnovato anche nel 2016 ed è destinato a chi crede che esprimersi sia un bisogno fondamentale radicato in ciascuno di noi. E per chi sia persuaso che le parole continuino a essere strumenti privilegiati per esplorare ed esprimere l'interiorità dell'uomo e raccontare il mondo. Per questa ragione il concorso si rivolge a studenti universitari e/o laureati dell'Ateneo di Bergamo ma anche a studenti e laureati di altri atenei, purché nati o residenti a Bergamo e provincia. C O M E PA RT E C I PA R E A L CONCORSO Per partecipare al concorso letterario è necessario inviare elaborato, scheda di iscrizione e bonifico consegnandoli direttamente alla segreteria LUBERG – a Bergamo in Via dei Caniana, 2 – oppure inviandoli via mail all'indirizzo: concorsoletterario@luberg.it. La scheda di iscrizione con la copia del bonifico per la quota di partecipazione – che sarà di 15 Euro per soci LUBERG e studenti e di 30 Euro per laureati non associati – dovrà pervenire entro il 25 giugno 2016. Gli elaborati dovranno essere consegnati in formato pdf, entro il 15 settembre, in duplice copia: una copia riporterà nella prima pagina il nome dell’autore e il titolo del racconto, la seconda copia riporterà nella prima pagina solo il titolo del racconto. Il regolamento del concorso e la scheda d’iscrizione con la liberatoria sono dispo-

nibili sul sito Luberg.it. PREMI E GIURIA Il presidente della giuria sarà anche per l'edizione 2016 il professor Franco BREVINI, dell'Università degli Studi di Bergamo, che sarà supportato dai membri LUBERG Daniela ANGELETTI, Cristiana CATTANEO, Aristide DE CIUCEIS, e da Giorgio GANDOLA (Direttore de “L’Eco di Bergamo”), Daniele GIGLIOLI (professore Università degli Studi di Bergamo), Riccardo NISOLI (Direttore “Corriere della Sera, Edizione di Bergamo”). Il presidente dell'Associazione dei Laureati, Domenico BOSATELLI, e il Rettore dell'ateneo cittadino, Remo MORZENTI PELLEGRINI, saranno i presidenti onorari del concorso letterario. La giuria selezionerà una rosa di finalisti

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e, tra questi, identificherà i tre vincitori ai quali verrà corrisposto un premio in denaro rispettivamente di 1.000 Euro al primo classificato, 500 Euro al secondo classificato e 250 Euro al terzo classificato. I racconti dei finalisti saranno pubblicati in un volume edito da Sestante Edizioni. La premiazione dei finalisti e la consegna del premio finale del concorso avverrà in occasione della cerimonia di fine anno LUBERG. I VINCITORI DELL'EDIZIONE 2015 I vincitori dell'ultima edizione del concorso Luberg sono stati Federico Ranzanici, primo classificato con il racconto “Al di là del muro”, Marta Colleoni, che con “Esposito’s” si è aggiudicata la seconda posizione, ed Alberto Comelli che ha ricevuto il terzo premio per il racconto dal titolo “Blisclavret”.

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*Cucina di Pierangelo Cornaro Chef Patron del Ristorante Colleoni & dell'Angelo (Bergamo)

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n questo numero che prelude alla primavera/estate ho pensato a quelle erbe che sono le fondamenta della nostra cucina. In particolare al basilico e alla Liguria, in omaggio a quello che forse è stato il maestro della gastronimia Italiana del 900: Nino Bergese. Le erbe aromatiche sono la caratteristica della cucina ligure. La bellezza selvaggia di questa natura costiera si rispecchia nei suoi piatti, al primo posto nel pesto. Fra tutte le composizioni della cucina ligure, piatti o condimenti, il pesto è quella salsa che anche il più inesperto e impreparato fra coloro che ambiscono ad esaminare le cucine regionali ha, se non assaggiato, quanto meno sentito nominare. Molte sono le varianti, certe a carattere locale, altre a carattere personale. Anni fa fu pubblicata in un volume, con la firma di tre illistri gastronomi, la ricetta di un “pesto ereticale” che comprendeva tra gli ingredienti anche prezzemolo e spinaci. Il pesto autentico richiede, prima di tutto, del basilico che non abbia subito contaminazioni o ibridazioni, assai frequenti, con la menta. Ecco perché quel basilico a foglia piccola, che le vecchie genovesi coltivavano in vasi di fortuna al settimo o ottavo piano delle loro case che guardano il mare, è sempre da considerarsi il migliore. Componenti del pesto, dunque: basilico, aglio, formaggio pecorino e formaggio parmigiano, questi ultimi in parti uguali,

sale e il necessario allungamento con olio extra vergine di oliva. Nel savonese, in ispecie, si tende ad aggiungere pinoli e anche noci, ma già entriamo nel campo delle varianti. Industrialmente c’è chi vi omette l’aglio e, quindi, fornisce un prodotto che assolutamente perde ogni caratteristica per essere ridotto a una semplice salsaina verde. Altri, in luogo dell’olio di oliva, adoperano olio di semi, e giustificano tale sostituzione con la richiesta, proveniente dal piemonte e dalla lombardia, di un prodotto considerato in tal modo più digeribile. Mentre l’aggiunta di pinolo e noci può essere gradita, l’assenza dell’aglio o la sostituzione dell’olio d’oliva con olio di semi crea un prodotto che, virtualmente, non è più pesto. E’ importante evitare i frullatori, specie se il pesto deve essere conservato a lungo, in quanto il riscaldamento può alterare il gusto dell’olio. Naturalmente il pesto classico richiede il mortaio di marmo e il pestello di legno. Per conservarlo è meglio non aggiungere subito i due formaggi, ma farlo solo al momento dell’uso e, nel condire, specie con la pasta e gli gnocchi, usare una cucchiaiata dell’acqua calda di cottura per diluirlo.

PESTO (secondo Nino Bergese) Ingredienti: 160 g di basilico 60 g di pinoli 6 sicchi d’aglio 10 g di sale grosso 40 g di pecorino 80 g di Parmigiano ¼ olio di oliva Pestare nel mortaio il sale grosso, i pinoli e l’aglio e aggiungere le foglie di basilico lavate e asciugate. Grattugiare i due formaggi e aggiungerli all’ultimo momento insieme all’olio. Si può preparare anche in grandi quantità perché coperto in frigorifero si conserva parecchi giorni e nel frezer anche mesi. In tal caso farne porzioni da 200/250 grammi e riporlo in contenitori adeguati.


*Spiritualità don Giambattista Boffi Direttore Centro missionario diocesano

Giubileo, tempo per la giustizia

È

una parola impegnativa quella che fa i conti con la profondità delle relazioni con sé stessi, con gli altri, con le cose, persino con Dio: giustizia. Possibili le riduzioni, illusoria l’ideologizzazione, devastante l’individualizzazione, sconcertante il disinteresse.. potremmo continuare in un desolante elenco di parole che sembrano tanto lontane, ma alla fine sono di una concretezza immediata, perché verificabili lungo il cammino delle ventiquattro ore quotidiane. La giustizia, nel bene e nel male, ci appartiene. La fatica è nella sua comprensione, nel farla cioè diventare nostra. C’è una tentazione a livello personale che condiziona ogni relazione. E’ quella del giudizio. Sputare sentenze: si dice proprio così. La malizia spesso è signora di queste situazioni nella quali vince il “si dice” o i luoghi comuni del perbenismo. Così si costruiscono castelli, si pensa che gli altri pensino, si vendono affermazioni frutto più dell’immaginazione che della realtà, spesso ci si abbandona al desiderio di emergere oltre ogni misura. Davanti al male si cerca subito un capro espiatorio, nell’esperienza del peccato non si riesce a distinguere la dignità di chi lo compie dalla gravità del gesto. Nella confusione si diventa censori, incapaci di vedere quelle benedette travi che attraversano i nostri stessi occhi. A ciascuno il compito di verificare la verità di questa affermazione. C’è anche una tentazione legata alla vita comunitaria. E’ quella del possedere.

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Importante è che stia bene io: questa la sintesi dell’egoismo. L’orizzonte non va oltre il proprio naso, le ragioni coincidono con sé stessi, niente di più. Non ha senso tutto quello che è plurale, non esiste quello che ha il sapore della condivisione, neutralizzato ogni riferimento al bene comune. La dimensione della cittadinanza si realizza dentro il proprio interesse, la giustizia ha la misura del guadagno. Anche le dimensioni dell’affettività si riducono al piacere , l’altro è un oggetto. C’è una tentazione anche nella relazione con Dio. E’ la tremenda esperienza dell’ipocrisia. Non sono come quelli: è la convinzione di chi è meglio degli altri. Costruirsi un piedistallo e collocarsi con la presunzione di essere meglio degli altri è tutt’uno con l’arroganza di chi si fa misura di ogni cosa. Dio si riduce a un surrogato di sé stessi, un alter ego in cui compiacersi, a proprio uso e consumo. E la giustizia va a coincidere con l’ansia di essere come Dio, delirio di onnipotenza. Oltre queste tentazioni, delle quali tutti siamo più o meno vittime, ci vuole condurre il tempo del Giubileo. E’ troppo facile denunciare le grandi ingiustizie del mondo senza percepire il bisogno di “far parte” della giustizia. Vuol dire metterci su la pelle! Non mancano le situazioni più quotidiane, quelle che ci chiedono di sospendere il giudizio e di declinare la misericordia, quelle che ci chiedono la saggezza dell’incontro perché le parole siano segnate dalla misericordia, quelle

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che ci chiedono di andare da Dio liberi nella preghiera consapevoli di avere bisogno di misericordia. Misericordia e giustizia. Non sono in conflitto, solo la superficialità le contrappone. La misericordia da spazio all’altro nel suo mistero. Lo offre alla relazione chiedendo di lasciare spazio al cuore oltre ogni ragione, nella libertà del cuore. La giustizia segna il tempo dell’altro nella concretezza della sua storia, racconta le sue fatiche, quelle segnate dalla sconfitta. Questo incontro scava in profondità la vita e la riconcilia per sempre nel mistero di Dio. E’ una scommessa con sé stessi. E’ una provocazione a lasciar perdere i massimi sistemi, spesso paravento di subdole scuse e superficialità per riconoscere la responsabilità di essere portatori di una giustizia che ci coinvolge e spinge ad andare oltre, ad “uscire” ci ripete papa Francesco. Una giustizia così cambia il mondo a cominciare da me. Occorre crederci!


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a Range Rover Evoque Convertible è il primo SUV Premium compatto cabriolet al mondo ed il primo prodotto convertibile per Range Rover. Evoque è il SUV compatto per definizione. Le sue caratteristiche di design – linee decise, profilo scolpito e tetto rastremato – sono diventate l’emblema dello stile urbano contemporaneo. Il veicolo ora è pronto a spingersi oltre. La nuova Convertible aumenta la desiderabilità della famiglia Evoque, portando il marchio Land Rover ad un pubblico di clienti alla ricerca di una combinazione unica di lusso roof-down e raffinatezza. Di s p o n i b i l e n e g l i a l l e s t i m e n t i S E Dynamic e HSE Dynamic, la nuova Range Rover Evoque Conver tible, impone nuovi standard di design, dinamicità e piacere di guida. I fari adattivi full LED opzionali, con un look distintivo e un fascio di luce

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potenziato per la visibilità e la sicurezza notturna, offrono un perfetto complemento alle linee del veicolo. La funzione adattiva dei fari allinea automaticamente la direzione del fascio di luce allo sterzo, seguendo le curve della strada. I fari anteriori diurni hanno un design distintivo e svolgono anche la funzione di indicatori di direzione con un lampeggiamento color ambra. L’auto dispone di una capote in tessuto Ebony con apertura a Z si abbina perfettamente con l’intera palette di vernici esterne. L’azionamento elettrico, con apertura e chiusura facilmente controllabili grazie all’interruttore nella console centrale, può essere attuato anche in movimento fino a 48 km/h. La capote ha un rivestimento interno acustico che riduce i rumori stradali e offre un ottimo isolamento all’abitacolo. Il design del portellone posteriore offre

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un facile accesso al bagagliaio. La capacità del vano di carico resta invariata indipendentemente dalla posizione della capote e consente di alloggiare una borsa golf standard o una carrozzina per bambini. Una gamma di eleganti caratteristiche dona ancor più appeal alle linee architettoniche e fluide degli interni. I sedili anteriori sono dotati delle più recenti tecnologie ed i sedili climatizzati, offrono una guida più rilassante e confortevole. Il sistema di infotainment di serie InControl Touch offre una riproduzione musicale altamente fedele, permettendo di cogliere tutti gli acuti, le note basse e le sonorità di ogni strumento. A tutto questo va aggiunto il Touch-screen da 10.2’’ con connessione simultanea per due telefoni e la possibilità di streaming tramite Bluetooth. Il nuovo motore diesel Ingenium garantisce prestazioni assolutamente inedite sia in termini di emissioni che di consumo di carburante. Il motore 2.0 4 cilindri Ingenium è disponibile con due livelli di potenza: 150CV e 180CV, con trazione integrale di serie. Il motore benzina Si4 è una leggera unità 2.0 totalmente in alluminio con 240 CV e trazione integrale di serie. E’ un motore che si distingue subito per il sound corposo che si avverte ai regimi più elevati, oltre che per il sistema di gestione elettronica all’avanguardia. Range Rover Evoque Convertible sarà disponibile in Concessionaria dal mese di Luglio 2016.


*Arte Mario Donizetti

Tecnica a pastello encaustizzato, modifiche strutturali e stabilità meccanica del dipinto

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a tecnica della pittura a pastello, mediante le modifiche strutturali che ho realizzato, non è più secondaria rispetto all’affresco, alla tempera all’uovo o all’olio. Queste modifiche permettono un cromatismo superiore e assoluta stabilità meccanica del dipinto. La prima modifica riguarda il supporto costituito da tela incollata su tavola (con preparazione eseguita a quarzo ventilato e colla reversibile) al posto della carta. La seconda consiste in un trattamento del dipinto a vapore bollente per conseguire il fissaggio del pigmento alla preparazione del fondo. Il pastello, con il metodo tradizionale, non consente un fissaggio del colore perché i fissativi deturpano, quando non distruggono, le velature e i passaggi più delicati. Questo mio nuovo metodo consente invece il perfetto fissaggio e, quindi, la conservazione di tutte le velature e la possibilità di ulteriori stesure di pigmento senza compromettere le prime già incorporate nel fondo. Volendo, è possibile verniciare il dipinto e velarlo con colori organici. Si possono così ottenere le classiche trasparenze e tonalità della migliore pittura della tempera a tuorlo d’uovo.

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*Cinema Film da rivedere, da riscoprire, da riassaporare

Pietro Bianchi

TANGUY (2001) di Etienne Chatiliez

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a capacità del cinema francese di trattare allegramente argomenti serissimi, fregandosene beatamente di restare nei binari del politically correct, ha sfornato negli ultimi anni film di grande successo. Attenta alla realtà sociologica e alle trasformazioni dei tempi (uno degli ultimi trionfi al botteghino è stato, la stagione scorsa, “Non sposate le mie figlie!”, di Philippe De Chauveron: al centro il tema dei matrimoni multirazziali, con tutte le implicazioni razziste che ne potevano derivare), la commedia d’oltralpe ha portato anche sui nostri schermi storie divertentissime, acide e cattive al punto giusto. “Tanguy” del 2001 dell’ex pubblicitario Etienne Chatiliez, di cui si sono poi perse le tracce, ne è una prova esemplare. Tanguy è un ventottenne intelligentissimo (master in filosofia, padronanza delle lingue orientali, un brillante percorso di laurea in letteratura cinese), che vive come un pascià nella casa parigina dei genitori, i benestanti Edith e Paul. Viziato in modo irreparabile, il ragazzone, pur con una carriera già segnata (tiene lezioni universitarie e collabora con il Governo), se ne guarda bene dal lasciare il nido: senza alcuna remora e pudore, anzi, ci porta le sue conquiste - è sessualmente molto attivo - e i suoi coetanei, anche nel bel mezzo delle feste che i genitori organizzano con i loro amici. Mamma Edith e papà Paul cominciano a non sopportare più la sua presenza e le sdolcinatezze divenute riti. Edith va in analisi e parla del suo disagio. Paul cerca di tranquillizzarla: Tanguy, in fondo, ha già programmato un viaggio di sei mesi a Pechino e anche la laurea è ormai vicina.

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Quando, però, il figlio comunica loro che rimanderà di un anno la discussione della tesi e il viaggio, la situazione diventa insostenibile. Da questo momento in avanti, anzi, lo scontro si farà sempre più duro e feroce. Paul ed Edith provano in ogni modo a indurre Tanguy a lasciare la casa. Prima cercano di rendergli la convivenza scomoda con piccoli dispetti e sabotaggi, ma il ragazzo è come un muro di gomma: tutto gli scivola addosso. Poi lo convincono a trasferirsi, ma Tanguy soffre di attacchi di panico e dopo sole due notti se lo devono riportare a casa. Gli impongono a quel punto regole ferree: dovrà farsi il letto e il bucato, tenere pulito il bagno e chiedere il permesso per parlare, alzarsi e uscire, ma anche in questo caso lui sopporta tutto con assoluta nonchalance. La situazione degenera quando Paul viene a scoprire che, tra lezioni private e universitarie, borse di studio e altro, il figlio guadagna più di € 4.000,00 al mese. Inferocito, lo caccia da casa, ma di risposta Tanguy cita lui e Edith in giudizio per violazione dei loro doveri genitoriali. Per Paul e Edith sarà uno smacco processuale e una nuova forzata convivenza: reagiranno con nuovi colpi bassi, fino a quando una trasferta in Cina finalmente si concretizzerà. Partendo da dati realistici e cronache giudiziarie riguardanti un po’ tutta l’ Eu r o p a ( u n m a l e g e n e r a z i o n a l e , sentenzia ad un certo punto lo psicologo), Chatiliez sfodera un attacco micidiale ai pilastri dell’istituto famigliare con un racconto corrosivo, in un crescendo grottesco e paradossale che non risparmia neppure un caposaldo quasi sacro, quale è l’amore materno.

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Mettendo alla berlina gli eccessi genitoriali che rendono i figli dei bamboccioni incapaci di affrontare una loro vita lontani da casa, il regista deride irriverente i proclami iniziali (nel prologo si vede la giovane mamma coccolare il piccolino e rassicurarlo, sussurrandogli “se vuoi, puoi restare qui con noi per tutta la vita”) e accentua le successive esasperazioni, che portano i genitori, non più disposti a sopportare quel figlio inamovibile e incrollabile, a gesti, pensieri e azioni inconcepibili. Edith fa sogni spaventosi, immaginando di roteare il figlio bambino e di lanciarlo in pasto ai lupi (senonché, anche nel sogno, lui torna sempre a casa, come un boomerang sorridente) e, ascoltando la notizia di un disastro aereo sulla rotta Pechino/Parigi con due vittime francesi, per un attimo sorride all’idea che una delle due possa essere Tanguy. Paul, dal canto suo, arriva a violenze, verbali e non, senza più alcun freno. Persino la nonna (paterna), contro ogni modello benpensante, non si fa scrupolo di giudicare il “pechinese” - così definisce il nipote - un parassita approfittatore. Insomma, una sorta di “guerra dei Roses” fra genitori e figlio buttata sul ridere, recitata alla grande da tutti i protagonisti. Eric Berger è l’inaffondabile Tanguy, ma sono soprattutto i due genitori persecutori, mamma Sabine Azema e papà André Dussoliér, a lasciare tracce indelebili in questa commedia nera, resa appena appena più rosa dall’accomodante finale.


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Elezioni ONAOSI 2016

Opera Nazionale per l'Assistenza agli Orfani dei Sanitari Italiani Ad aprile i sanitari bergamaschi al voto

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Medici chirurghi, gli Odontoiatri, i Farmacisti e i Veterinari bergamaschi nel mese d’aprile sono chiamati a rinnovare i consiglio d’amministrazione dell’ONAOSI. L’ONAOSI, acronimo di Opera Nazionale per l’Assistenza agli Orfani dei Sanitari Italiani, è una Fondazione privata (fondata nel 1890), senza fini di lucro, finanziata esclusivamente da medici, odontoiatri, farmacisti e veterinari, che non si avvale di alcun tipo di finanziamento pubblico. L’ONAOSI ha il solo scopo di assistere gli orfani dei Sanitari, per tutta la durata degli studi (fino alla laurea e alla eventuale successiva specializzazione) con sostegno economico diretto o indiretto (assegno a casa o permanenza nei Collegi). Anche i figli dei sanitari contribuenti (viventi) possono usufruire dei Collegi pagando una equa retta annua. Dalla sua fondazione a oggi molte decine di migliaia di orfani (molti Bergamaschi) hanno goduto del sostegno economico, morale ed educativo dell’Ente completando gli studi e affermandosi, poi, nel mondo del lavoro. Come in tutte le tornate elettorali i sindacalisti delle differenti categorie professionali sono scesi in campo per cercare di vincere le elezioni, ma un nutrito gruppo di professionisti, tra cui alcuni Bergamaschi, si sono uniti nell’Associazione Caduceo. L’Associazione, fondata 50 anni fa, che raggruppa gli ex allievi ONAOSI, coloro che hanno usufruito a vario titolo della sua assistenza, testimonia la concreta validità della Fondazione che ha rappresentato un perno per tante famiglie di sanitari italiani colpite da uno stato luttuoso dando la possibilità ai figli di conseguire un titolo di studio. Interessante è che tale associazione non rappresenta alcun partito politico o sindacato. Il suo fine ultimo è quello di dare quel vigore e quella trasparenza ai fini istituzionali. I vari professionisti sono accomunati unicamente da un profondo

sentimento di gratitudine per l’ONAOSI e dal desiderio di tutelare tale nobile ed unica Istituzione, quale garanzia attuale e futura per i figli dei colleghi più sfortunati. Avendo come obbiettivo il non sperpero del patrimonio dell’Opera, che è per la tangibile scadenza dell’assistenza e il palese di proprietà di tutti i sanitari contribuenti. disinteresse dell’attuale amministrazione per le loro Di seguito il loro programma in sintesi. “CADUCEO – ex allievi ONAOSI: RINNOVAMENTO NELLA TRADIZIONE” COSA VOGLIAMO FARE

• Tutelare il patrimonio mobiliare da spese ingenti, “incaute” e immotivate (per esempio: il progetto di costruire, a Perugia, un nuovo collegio con previsione iniziale di spesa di 20 milioni di euro, al posto di quello già esistente, che è in buono stato e che dovrebbe essere solo parzialmente ristrutturato) • Tutelare il patrimonio immobiliare da vendite non necessarie o da accordi svantaggiosi con Enti pubblici (per esempio: con il Comune di Perugia è stato stipulato un accordo di cessione gratuita, da parte dell’ONAOSI, di un immobile di pregio in centro città e di parte del parco che circonda il Collegio) • Ridurre gli attuali sprechi riducendo il numero, per esempio, degli Amministratori (attualmente sono ben 39) e il loro costo per l’Ente (attualmente di circa 800 mila euro all’anno e che verrà incrementato di circa altri 200 mila euro come deliberato di recente dalla attuale maggioranza, diventando 1 milione di euro all’anno!) • Bloccare assunzioni e consulenze inutili, costose ed inutili (l’ONAOSI ha circa 220 dipendenti: non ha certo bisogno di consulenti) • Evitare la fusione con Enti previdenziali più grandi (tipo ENPAM) che ingloberebbero solamente il patrimonio economico dell’ONAOSI e la priverebbero della propria storia e peculiarità (è recente il tentativo, fallito grazie alla nostra opposizione, di voler trasferire la sede amministrativa da Perugia a Roma, come primo passo). Ma è purtroppo stata votata dalla maggioranza, la modifica del 1° articolo dello Statuto che permette, d’ora in avanti, all’ONAOSI di potersi associare ad altri Enti previdenziali • Migliorare l’assistenza nei collegi, per ripristinare quella eccellenza educativa che è stata sempre l’orgoglio dell’ONAOSI. Attualmente i ragazzi ospiti dei collegi lamentano apertamente (attraverso lettere inviate al Presidente) malcontento

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esigenze • Bloccare la progressiva e programmata riduzione degli ospiti nei Collegi di Perugia: in 5 anni sono stati ridotti i posti di circa 150 unità, avendo chiuso, senza valido motivo, il Campus Universitario di Montebello e una parte del Collegio di via della Cupa • Realizzare case di riposo per sanitari in pensione: progetto mai concretizzato. Progetto di immediata realizzazione a Perugia dove l’ONAOSI possiede già una splendida struttura costruita a tale scopo e mai utilizzata a tal fine (Residenza di Montebello). Successivamente verrebbero individuate altre sedi in altre città sulla base delle esigenze nazionali • Riconoscere i diritti acquisiti dei sanitari contribuenti in pensione, esentandoli dal pagamento del contributo attualmente obbligatorio per conservare i benefici • Realizzare un’estesa campagna informativa presso i Sanitari Italiani sui vantaggi che l’adesione, a bassissimo costo, all’ONAOSI comporta (in realtà è una assicurazione sulla vita), in modo da allargare in maniera consapevole la base contributiva, ridando la possibilità anche ai liberi professionisti di potersi iscrivere all’ONAOSI • Stipulare convenzioni con assicurazioni, ditte produttrici di attrezzature elettromedi- cali, agenzie finanziarie, istituti bancari, vantaggiose per tutti i contribuenti. In poche parole vogliamo una Amministrazione che miri SOLO E SOLTANTO al bene degli assistiti, alla tutela del patrimonio dell’Ente e al suo rinnovamento. "Caduceo - ex allievi Onaosi: rinnovamento nella tradizione” ha come obiettivo evitare il fallimento morale ed economico dell’ONAOSI. L’ONAOSI è una nobile Istituzione, un grande beneficio per noi Sanitari che la finanziamo da oltre 100 anni. Un’Istituzione che merita di essere potenziata e difesa da ogni pericolo.

di Flavio Liutprando

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L’opera di Franca Ceruti in mostra al Cab

Il 31 marzo si è conclusa la retrospettiva postuma che il Circolo Artistico Bergamasco ha dedicato alla creativa. Un percorso, il suo, improntato alla ricerca e al dialogo fattivo col fruitore

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na retrospettiva postuma dedicata a un’artista che ha fatto della continua ricerca il fil rouge della propria opera: Franca Ceruti. Inaugurazione sabato 19 (ore 18) al Circolo Artistico Bergamasco, via Malj Tabaiani 4. L’esposizione è rimasta in allestimento fino a giovedì 31 marzo con il seguente orario: da martedì a sabato dalle 16 alle 19, domenica dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19. «La pittrice bergamasca Franca Ceruti, da poco scomparsa, era un'artista dalla vasta esperienza sviluppata nel campo dell’arte sia come pittrice dotata, che come responsabile per molti anni della galleria d'arte L'Araldo - scrive Cesare Morali - Se agli esordi le opere rispondono a un’espressione figurativa tradizionale, progressivamente la ricerca sviluppata sull'utilizzo di materiali di semplice uso quotidiano come stoffe, fili

di cotone, graffette, carte colorate, spille da balia, pezzi di giornale e pellicole fotografiche modifica radicalmente il suo linguaggio artistico che è riconducibile all'estetica postmoderna. Congegnando i rapporti dei piani e dei volumi con il vivace utilizzo del colore, nelle sue composizioni la pittrice dispone questi materiali e li sovrappone definendo, con una serie di strutture ricche di ingegnosa creatività, lo stato d’animo ispiratore dell’opera. La lettura di un lavoro richiede a volte un’attenta analisi e un’accurata decodificazione dei vari elementi, anche simbolici, che Franca Ceruti introduce nei suoi lavori artistici. L'esposizione personale del 1990, allestita nella storica sede del Circolo Artistico Bergamasco in via Pignolo sviluppa questa caratteristica ricerca personale. Le opere riflettono esperienze di vita vissuta, interpretazioni emozionali della pittrice e illustrano percorsi, brani o frammenti del

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di Fabio Cuminetti

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suo racconto autobiografico. Seguono varie esposizioni personali alla Galleria d’Arte “Fontana del Delfino”, alla Galleria d’arte “La Nassa” di Lecco, all’Atelier dell’Arte di Clusone, alla galleria “Il Vicolo” di Voghera, alla Galleria Mazzoleni di Bergamo, alla Biblioteca Rionale di Città alta, in piazzetta Manzù, allo spazio espositivo “Rubbi” di Sorisole, alla nuova Galleria del Circolo Artistico Bergamasco e alla Biblioteca Ciro Caversazzi». Parallelamente all’attività artistica, Franca Ceruti progetta un metodo sperimentale basato sul colore, sul disegno e sulla composizione. «Raccoglie le sue concezioni in un libro prosegue Morali - che, accanto a varie soluzioni cromatiche personalizzabili, dimostra di poter stimolare l’interesse dei fruitori, impegnandoli in una collaborazione pratica, che mette in evidenza e valorizza il loro gusto estetico. La pittrice esplora varie discipline anche di natura psicologica per verificare la possibilità di applicare il suo tipo di ricerca a diversi campi, come quello della creatività infantile, quello della cura di persone portatrici di problemi, e quello della formulazione di un messaggio comunicativo interpersonale. Nascono così i metodi “Colori e forme”, “Stare bene con i colori”, “L’arte come terapia”. Per i giovani predispone il suo programma che prevede l’utilizzo del colore, di una varia simbologia, di una specifica gestualità ed è rivolto alle scuole elementari come divertimento, alle scuole medie come

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possibilità di espressione, e alle scuole superiori come supporto nella comunicazione. Le potenzialità di questo programma sono state verificate con successo alla Scuola Media “Stoppani” di Malgrate e alla Scuola Elementare di Maggianico (Lecco). Il corso “Percezione e visione”, seguito da un gruppo di ospiti della Casa Circondariale di Lecco, ha raccolto giudizi molto favorevoli. Il lavoro di ricerca di Franca Ceruti è stato preso in considerazione nella tesi di laurea dal titolo: “La ricerca del benessere nella società odierna attraverso l’arte-terapia” con la quale Tiziana Suardi si è laureata in Psicologia all’Università di Padova. “Piccoli creativi” è l’ultima opera elaborata per i bimbi della Scuola Materna che è stata presentata alla inaugurazione della sua ultima esposizione personale alla Biblioteca Caversazzi. I reconditi significati di alcune espressioni che appartengono alla sensibile interpretazione di Franca Ceruti e rivelano le urgenze del suo mondo interiore, fanno pensare alla definizione di Sigmund Freud secondo cui: “Gli artisti sanno una quantità di cose tra cielo e terra che il nostro sapere accademico neppure sospetta…”».

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De Gregori sulle orme di Bob Dylan

Il cantautore lunedì 11 aprile sarà al Creberg Teatro per la tournèe di «Amore e furto», disco di cover, tradotte e interpretate, del collega statunitense Robert Allen Zimmerman

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unedì 11 aprile al Teatro Creberg Francesco De Gregori sarà in concerto con il suo “Amore e furto tour 2016”, presentando live, oltre ai suoi più grandi successi, alcuni brani estratti dall’ultimo album “De Gregori canta Bob Dylan – Amore e furto” (Caravan/Sony Music), certificato disco di platino . «Questo concerto è un altro film rispetto a quello del “Vivavoce Tour” – dichiara Francesco De Gregori – C’è Dylan, e ci sono pezzi che non ho mai fatto». Sul palco De Gregori è accompagnato dalla sua band formata da Guido Guglielminetti (basso e contrabbasso), Paolo Giovenchi (chitarre), Lucio Bardi

(chitarre), Alessandro Valle (pedal steel guitar e mandolino), Alessandro Arianti (hammond e piano), Stefano Parenti (batteria), Elena Cirillo (violino e cori), Giorgio Tebaldi (trombone), Giancarlo Romani (tromba) e Stefano Ribeca (sax). “De Gregori canta Bob Dylan – Amore e furto” è un album in cui Francesco De Gregori traduce e interpreta, con amore e rispetto, 11 canzoni di Bob Dylan: “Un angioletto come te” (“Sweetheart like you”), “Servire qualcuno” (“Gotta serve somebody”), “Non dirle che non è così” (“If you see her, say hello”), “Via della Povertà” (“Desolation row”), “Come il giorno” (“I shall be released”), “Mondo

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politico” (“Political world”), “Non è buio ancora” (“Not dark yet”), “Acido seminterrato” (“Subterranean homesick blues”), “Una serie di sogni” (“Series of dreams”), “Tweedle Dum & Tweedle Dee” (“Tweedle Dee & Tweedle Dum”), “Dignità” (“Dignity”).

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Artist-in-residence al Kilometro Rosso

Sette giovani artisti, sette centri di ricerca scientifica e tecnologica, un unico viaggio creativo. Il progetto promosso dall’Accademia di belle arti G. Carrara torna in pista con la seconda edizione

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ulla scorta del successo della prima edizione, che si è tenuta nell’anno 2013-14, ha preso il via la seconda edizione del progetto «Artist-in-residence Kilometro Rosso», l’unico programma di formazione in Italia a creare le condizioni d’integrazione tra la sperimentazione artistica e la ricerca tecnologica e scientifica. Giovani artisti e ricercatori di nuovo insieme per generare visioni di innovazione. Il progetto è promosso da Accademia di belle arti G. Carrara e il Parco Scientifico Tecnologico Kilometro Rosso, con il sostegno di Banca Popolare di Bergamo. Una collaborazione che da quest’anno è suggellata anche da una specifica Convenzione: «Il progetto Artistin-residence Kilo-

metro Rosso – sottolineano Alessandra Pioselli, Direttore Accademia di belle arti G. Carrara, e Leonardo Marabini, Direttore Commerciale e Marketing Kilometro Rosso - è nato dalla condivisione di intenti tra Accademia di belle arti G. Carrara e Kilometro Rosso. La firma della Convenzione quadro tra le due istituzioni, a sostegno della collaborazione culturale e della ricerca, valorizza questa sinergia e lo sviluppo di una rete territoriale che intende dare impulso a progetti innovativi, anche a favore delle comunità e del territorio di riferimento». Sette giovani artisti, selezionati tramite bando, avranno l’opportunità di frequentare e di sviluppare il proprio lavoro artistico presso sette aziende e centri di ricerca

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a cura della redazione

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scientifica e tecnologica, che hanno sede al Kilometro Rosso: Brembo, Intellimech, Istituto Mario Negri, Petroceramics, Umania e – novità di questa edizione - Laboratorio di Meccatronica dell’Università degli Studi di Bergamo e lo stesso Kilometro Rosso. Da marzo a maggio 2016 i sette artisti saranno in residenza presso i centri di ricerca, entrando a contatto con professionisti e ricercatori, che faranno da tutor. Da questo incontro nasceranno altrettante opere e progetti, che saranno presentati in

una mostra collettiva che si terrà presso Kilometro Rosso, in concomitanza con Bergamoscienza a ottobre 2016. Artist-in-residence Kilometro Rosso è un programma non convenzionale di formazione e di sostegno ai giovani artisti e neo-diplomati presso l’Accademia di belle arti. L’Accademia, Kilometro Rosso e le aziende partecipanti, hanno dunque lanciato una sfida nel dare impulso a un progetto innovativo, incentivando le contaminazioni tra saperi, processi e tecnologie, e al contempo che sia anche

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a favore delle comunità e del territorio di riferimento. La sinergia cross-disciplinare dei saperi, infatti, produce pensieri di processo creativi che riverberano sia sulla pratica artistica, sia su altri mondi in cui l’innovazione è il principio motore della ricerca. Il progetto Artist-in-residence Kilometro Rosso intende dunque rispondere alla necessità culturale, che caratterizza la contemporaneità, di uscire dai ristretti ambiti disciplinari e di creare “ambienti” virtuosi dove si possano incontrare i professionisti e i creativi che nel proprio lavoro perseguono finalità di ricerca, con lo scopo di sperimentare nuove forme di collaborazione, di produzione e di scambio di saperi. Artisti e aziende: Sara Benaglia / Petroceramics Giusy La Licata / Umania Lorenzo Lunghi / Intellimech Marco Manzoni / Istituto Mario Negri Federico Orlando / Brembo Stefano Parimbelli / Kilometro Rosso Francesca Santambrogio / Laboratorio di Meccatronica – Università degli Studi di Bergamo

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Bergamo Film Meeting, vince «Enklava»

Goran Radovanovic racconta il percorso di un ragazzino serbo che vive in una comunità cristiana del Kosovo. L’imminente morte del nonno lo porta ad avvicinarsi ai suoi coetanei albanesi

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el corso di 9 giorni la 34esima edizione del Bergamo Film Meeting ha proposto oltre 140 film - tra lungometraggi, documentari e corti - anteprime, cult movie e incontri con gli autori, e ha avuto tra i numerosi ospiti Anna Karina, Shane Meadows, Petr Zelenka, Jasmila Žbanić, Vladimir Leschiov e Keren Cytter. Il festival è stato inaugurato il 4 marzo con l’anteprima italiana della performance live della band islandese múm, che ha sonorizzato il celebre film «Menschen am Sonntag» (Uomini, di domenica). Accanto alla Mostra Concorso ha proposto la sezione Visti da Vicino, dedicata al documentario; la retrospettiva del maestro ungherese Miklós Jancsó; l'omaggio ad Anna Karina, e ancora, «Europe Now! Cinema europeo contemporaneo», con le personali di Jasmila Žbanić, Petr Zelenka, Shane Meadows e una selezione

di corti delle scuole di cinema europee; i cortometraggi d'animazione di Vladimir Leschiov; la video-installazione del lituano Deimantas Narkevičius (Bergamo, Sala alla Porta Sant'Agostino) e la retrospettiva della videoartista Keren Cytter, l'inaugurazione di Bergamo Jazz. Veniamo al vincitore della Mostra Concorso di questa edizione, a cui va il Premio Bergamo Film Meeting – Banca Popolare di Bergamo: «Enklava/ Enclave» di Goran Radovanović, Serbia, Germania 2015, 92’. Il premio, che consiste in un riconoscimento economico di 5.000 euro, vuole essere un aiuto concreto alle produzioni che investono nei giovani autori, oltre che un apprezzamento verso il cinema di qualità. A «Wir konnen nicht den hellen Himmel traumen» (We Cannot Dream a Bright Blue Sky) di Carmen Tartarotti premio per il miglior documentario.

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di Fabio Cuminetti

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Misericordiae Vultus: capolavori fiamminghi

Opere della Fondazione Credito Bergamasco (Banco Popolare) in mostra per riflettere sul Giubileo della Misericordia al Museo d’Arte e Cultura Sacra di Romano di Lombardia, dal 3 aprile al 10 luglio

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a Fondazione Credito Bergamasco – in collaborazione con la Fondazione Banca Popolare di Lodi, il Banco Popolare e il Museo d’Arte e Cultura Sacra di Romano di Lombardia – propone, a credenti e non, una riflessione tramite l’arte sul Giubileo della Misericordia voluto da Papa Francesco (8 dicembre 2015 – 20 novembre 2016). Presso la Sala Alberti del M.A.C.S. di Romano di Lombardia saranno esposte

alcune opere fiamminghe facenti parte del prezioso patrimonio artistico del Banco Popolare. Due cicli di dipinti di Cornelis de Wael che ben rispecchiano i temi del Giubileo della Misericordia: sette dedicati alle Opere di Misericordia corporale e quattro alla Parabola del figliuol prodigo. Cornelis de Wael – pittore, incisore e mercante d’arte, nato ad Anversa nel 1592, ma cittadino genovese a tutti gli effetti – fu una delle figure di punta, con

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a cura della redazione

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Antoon van Dyck, dell’affiatato gruppo di artisti fiamminghi che soggiornarono a Genova dagli anni Venti del Seicento sulle orme del breve passaggio che Rubens vi fece nel 1608. L’iniziativa rientra in un progetto articolato di valorizzazione del consistente e qualificato patrimonio artistico del Banco Popolare che conta più di 10.000 opere diffuse su tutto il territorio nazionale. Dopo la tappa di Romano di Lombardia, l’esposizione proseguirà a Lodi, presso il Museo Diocesano d’Arte Sacra, dal 17 settembre al 30 ottobre 2016. «Con le mostre dedicate ai principali capolavori del Banco Popolare – organizzate a Bergamo e Lodi in occasione di Expo 2015 – abbiamo inteso iniziare un percorso volto a far emergere opere d’arte, generalmente sottratte alla vista del grande pubblico, e a condividerle, facendo leva sulle complesse e virtuose sinergie di un sistema di banche che a loro volta sono coinvolte nella condivisione di un progetto – spiega Angelo Piazzoli, segretario della Fondazione Credito Bergamasco e Responsabile del Patrimonio Artistico del Banco Popolare

–. L’intendimento era (ed è) quello di rendere itinerante un percorso destinato ad aprirsi verso i territori di appartenenza delle collezioni, in una spirale capace di riannodare i fili con il passato e con il presente, proiettandole verso il futuro». «Quello delle Opere di Misericordia è un tema di grande rilievo sia religioso che civile; tali opere rappresentano comportamenti virtuosi sul piano etico e sociale, costituendo buone pratiche assai diffuse nella nostra storia e nella nostra cultura. Guardare alle nostre radici – storiche, culturali, sociali, artistiche – consente di discernere meglio il presente, attraverso un’operazione che mescola insieme memoria, futuro e speranza – prosegue Angelo Piazzoli –. Se è vero che un popolo senza memoria non ha un futuro – e, in un contesto senza speranza, non ha neppure un presente – risvegliare la consapevolezza di se stessi, della propria identità e delle ragioni dello stare insieme può essere un meccanismo virtuoso per invertire l’attuale negativa tendenza. A maggior ragione se ciò avviene tramite la bellezza che riesce a colpire, attraverso le emozioni e l’entusiasmo, il cuore dell’uomo».

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«Papa Francesco ci invita ad aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali – commenta Tarcisio Tironi, Direttore del M.A.C.S. e curatore dell’esposizione insieme ad Angelo Piazzoli – ad alleviare le ferite dell’umanità con “l’olio della consolazione, a fasciarle con la misericordia, a curarle con la solidarietà e l’attenzione dovuta” (Misericordiæ Vultus, 5). Da qui nasce l’invito a riflettere sulle Opere di Misericordia corporale e spirituale e a metterle in pratica. Nei secoli l’arte ha valorizzato le Opere di Misericordia, raffigurandone i momenti salienti attraverso diverse esperienze, con lo scopo di indicare, tra l’altro, che quelle forme di vita erano diventate cultura e comportamento quotidiano, prima dei credenti e poi di tutti. Seminare gesti di misericordia non è tipico della debolezza di chi si arrende a tutto ma richiama la profezia di un mondo nuovo.» Romano di Lombardia, Museo d’Arte e Cultura Sacra (Sala Alberti - Piazza Fiume, 5). Sabato, domenica e festivi: dalle ore 9.30 alle ore 12.00; dalle ore 16.00 alle ore 19.00. Ingresso libero.

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Incontriamo la dottoressa Ermanna Vezzoli per parlare del progetto "A Scuola di Diritti e Doveri"

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ottoressa Vezzoli, dove nasce questa passione per fare progetti nel settore dell’istruzione, della sanità e soprattutto nell’interesse delle donne e dei bambini? Da sempre mi occupo del Sociale, ora mi

voglio dedicare ai ragazzi che si trovano nel periodo più delicato della loro crescita, in un mondo molto cambiato, un mondo che corre veloce e che ti concede poco tempo per pensare, coperti da informazioni che non riescono a valutare nelle

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loro conseguenze e spesso con genitori molto impegnati e molto assenti. Perché il titolo di questo ultimo progetto “A SCUOLA DI DIRITTI E DOVERI"? Perché le due D viaggiano insieme. Se c’è un Diritto di qualcuno, c’è un dovere di qualcun altro. Se io ti do il diritto alla salute, tu non devi mangiare, bere o assumere sostanze che neutralizzano il diritto che ti ho riconosciuto. Se io ti do il diritto all’istruzione, tu devi prendere lo studio con serietà. L’adulto non può garantirti il futuro, ma ti deve dare le opportunità, poi seguire i tuoi sogni è compito e fatica tua. Ho considerato che nella scuola media non si insegna il Diritto, è sparita anche l’Educazione Civica, e quindi abbiamo voluto coprire questo buco mettendoci la nostra professionalità, di Avvocati, di Magistrati, di Esperti nelle materie giuridiche. Inoltre con la lettera D iniziano parole importanti come: Disciplina, Dignità, Disponibilità, Dedizione, tutte che aiutano a crescere. Perché ROTARY? Io appartengo ad un Club Rotary di Milano di cui sono stata presidente nell’Anno 2013/2014 e il Rotary ha nel suo Statuto l’impegno al Servizio e la messa a disposizione della Società delle singole professionalità dei Soci, in tutti i settori della cultura, della sanità, e dell’aiuto ai popoli per il conseguimento e il mantenimento della Pace, e Dio sa quanto ne abbiamo bisogno. Com’è organizzato? Gli Avvocati e comunque gli esperti Giuristi mettono a disposizione delle Scuole 4 giornate di 2 ore ciascuna. Grazie alla collaborazione dell’Avv. Rita Duzioni che ha scritto un testo di Diritto penale , appositamente studiato per essere fruito dai ragazzi nella fascia 10/14, vengono esaminati e discussi i principali reati, sia contro la persona che contro il patrimonio, affinchè i ragazzi ne conoscano la portata e soprattutto le conseguenze. In collaborazione con la Scuola, vengono

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fissate le 4 giornate e i Docenti entrano in classe instaurando un metodo interattivo con gli studenti, partendo dai fatti realmente accaduti . Abbiamo molte richieste sia da parte dei Genitori che degli Insegnanti per fatti che succedono spesso, come diffamazione, danneggiamento, violenza privata, spesso concentrati in comportamento di bullismo .Solo nel mese di febbraio e Marzo di quest’anno abbiamo gestito 4.080 ore di formazione. Qual è la fascia di intervento e perché dai 10 anni ai 14? La scelta è stata direi obbligatoria con la raccolta dei dati ISTAT, dai quali risulta che la maggior parte dei reati minorili sono concentrati nella fascia 10/14. Inoltre, almeno la mia esperienza per i corsi di Diritto fatti nelle Scuole Superiori in tanti anni, mi ha convinto che a 16 anni è già tardi, bisogna iniziare molto prima, in quella fascia d’età in cui i ragazzi sono molto più recettivi e disponibili ad apprendere. Chi sostiene il progetto con il Patrocinio e chi finanzia il progetto pagando le spese di stampa del materiale? Il Progetto è patrocinato dall’Ufficio Scolastico Regionale., dal CO.RE.COM, dall’AGAM, da Confindustria Bergamo. del Tribunale dei Minori di Milano; le spese di stampa del materiale sono sostenute da Aziende provate. L’Avv. Rita Duzioni ha ceduto i Diritti d’Autore alla FONDAZIONE ROTARY MILANO per MILANO per tutta l’Italia e per sempre, mantenendo l’impegno di aggiornare il testo in base alle modifiche alle leggi attuali fatte dal Parlamento ( Vedi la recente introduzione dell’omicidio stradale ). Quindi il Progetto può essere attuato da tutti i Club Rotary d’Italia, e in tutte le Scuole italiane. Qual'è stata la risposta degli Avvocati Docenti? Direi splendida. Per loro è un’esperienza nuova e anche impegnativa, perché non è facile spiegare il diritto penale a ragazzini di questa età, ma, ad oggi, nel questionario finale che viene compilato dai ragazzi, abbiamo risposte positive al

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100%, su un elenco di 17 domande. Prima dell’inizio dei corsi, facciamo un incontro di formazione agli Avvocati, non per spiegare il Diritto Penale, ma per dare loro un metodo di approccio adeguato all’età dei ragazzi. Come hanno risposto i ragazzi? L’idea di essere nominati testimonial dei Diritti e dei Doveri, la possibilità di partecipare alla discussione nella veste di Giudice, di testimone, di imputato o di parte lesa su fatti che hanno interessato loro coetanei, li fa ragionare moltissimo e li rende responsabili. Quale è stato il gradimento dei Dirigenti scolastici e degli insegnanti ? Ad oggi abbiamo risultati molto positivi, un gradimento altissimo da parte dei Dirigenti Scolastici, da parte degli Insegnanti, per non dire dei Genitori. Abbiamo aggiunto al Progetto anche un aspetto di solidarietà: I ragazzi, quando ritirano il libretto di Diritto penale, offrono un contributo che sarà destinato ad un bisogno locale da loro scelto, in collaborazione con la Scuola. Quale futuro auspica a questo Progetto e quale interesse potrebbe avere nella scuola italiana? Ho trasmesso l’intero progetto al Ministero dell’Istruzione che l’ha considerato importante e molto interessante per come è strutturato. Aspetta da noi un report del lavoro che faremo nei prossimi 3 anni per valutare se nel Progetto “ BUONA SCUOLA “sarà possibile inserire ore di Diritto nella Scuola media di 1° grado. Noi Rotariani ce l’auguriamo perché riteniamo che, quando il Progetto è valido, debba essere affidato al pubblico, nell’interesse dell’intera Società, come ho fatto nel 1985 con il Centro di Senologia della ns. città che, una volta progettato e realizzato dal Soroptimist nei due anni della mia presidenza, e grazie al contributo iniziale delle 3 Banche Bergamasche allora operanti sul territorio, è stato affidato all’ASL, e ad oggi funziona alla grande. Se così avverrà, vedrò di creare un altro progetto.


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Lifting per il Donizetti: cantiere nel 2017

Raccolti dalla Fondazione del teatro già 12 milioni di euro: nove da parte di privati; tre da parte del Comune di Bergamo e da Regione Lombardia. Presto una sottoscrizione pubblica

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el 2017 il cantiere per la ristrutturazione del Teatro Donizetti: si tratta di una delle opere più attese dalla città di Bergamo (se ne parla ormai da decenni e l’iter in vista di una sua ristrutturazione vide il suo inizio circa 15 anni fa), un luogo dal notevole valore simbolico e turistico e che può rappresentare una delle chiavi per la rivitalizzazione del centro cittadino. I fondi raccolti dalla Fondazione sono nel frattempo saliti a quota 12 milioni (9 da parti di privati, di cui 4,2 già incassati; 3 da parte del Comune di Bergamo e da Regione Lombardia): nelle prossime settimane potrebbero inoltre arrivare altri 3 milioni dal Mibact, che ha dato la propria disponibilità. I prossimi passaggi sono stati evidenziati

dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori durante una lunga conferenza stampa. Entro il prossimo giugno sarà modificato lo statuto della Fondazione Donizetti, costituita dall’Amministrazione Tentorio nella primavera 2014 per raccogliere i fondi necessari alla ristrutturazione del teatro: la fondazione passerà da ente di diritto privato a ente di diritto pubblico, un passaggio necessario per vedersi riconoscere dal Consiglio Comunale di Bergamo l’affidamento del teatro in vista della sua valorizzazione e ristrutturazione. Nei mesi successivi il progetto esecutivo, elaborato dallo studio Berlucchi, sarà validato dai tecnici dei Lavori Pubblici del Comune di Bergamo. Nel frattempo la Fondazione Donizetti istruirà il bando di gara europea per la realizzazione dei

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lavori: dal momento della pubblicazione sulla gazzetta europea ci vorranno tra i 6 e gli 8 mesi per l’aggiudicazione. Il sindaco ha incontrato e incassato il parere favorevole nei confronti dell’operazione da parte del Consiglio d’Amministrazione e del Comitato di Indirizzo della Fondazione. Non solo: la Fondazione potrebbe lanciare una sottoscrizione pubblica aperta a tutti i cittadini, che potrebbero così “adottare” uno dei simboli della città di Bergamo e divenire protagonisti del suo rilancio e della sua riqualificazione. Confermata quindi al Donizetti la stagione lirica 2016.

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Cult

Yoon C. Joyce nella Rete con Geppi Cucciari

Recitano in una serie dedicata agli anni ’80. Tantissimi gli ospiti all’interno delle vicende. Un esempio? Bastianich (quello di Masterchef) diventa Guardia di Finanza e poi barbone

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a pochi giorni è online una serie in cui l’attore bergamasco di origine coreane Yoon C. Joyce recita accanto a Geppi Cucciari. Si tratta di «Eities, se Ottanta vi dà tanto», un nuovo format visibile online che ogni giovedì esce con un nuovo episodio. La storia ruota attorno al direttore cinese di un albergo (Joyce), Lino Pao (per gli amici Paolino), di terza generazione, tant'è vero che l’accento è marcatamente milanese, e alla sua impiegata Mary (Geppi Cucciari), amante degli oggetti vintage e degli anni '80. Il tutto assume toni alquanto paradossali quando Paolino offre a Mary una particolare applicazione per cellulare grazie alla quale è possibile viaggiare nel tempo. Da quel momento Mary inizia a fare

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avanti-indietro dagli anni '80 combinando casini a go-go e cambiando puntualmente la realtà del presente, così capita che Bastianich (quello di Masterchef ) diventi una Guardia di Finanza e poi un barbone, Francesco Facchinetti un pazzo scappato dal manicomio, etc. Tantissimi gli ospiti che appariranno in panni inusuali all'interno delle varie vicende. Si tratta di un’operazione all’insegna di revival e nostalgia, con tanta autoironia. La Cucciari, nel suo decennio preferito, si ritrova perfettamente a suo agio tra vestiti dai colori discutibili, giacche con le spalline, capelli alla Ivana Spagna. La serie (visibile su it.dplay.com) è ideata da Luca Bottura e interpretata anche da Valentina Lodovini.

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Bergamo - Via Grumello, 32 035.255257



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