LA PRACTICA BREVIS DI GIOVANNI PLATEARIO

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LA PRACTICA BREVIS DI GIOVANNI PLATEARIO Giuseppe Lauriello Lo scenario storico culturale Nel 1837 Teodoro Henschel (1790-1856), professore di medicina presso l’Ateneo di Breslavia nella Slesia orientale (oggi Wroclaw in Polonia) e collaboratore del periodico Janus, una delle riviste tedesche più prestigiose di storia della medicina, scopre nella locale Biblioteca universitaria ‘La Maddalena’ un codice del XII secolo contenente 35 trattati di scuola salernitana, di cui molti del tutto ignorati. Alla raccolta, che apre a una conoscenza nuova, più approfondita e affascinante intorno all’antica medicina di Salerno, assegna il nome di Compendium Salernitanum. I primi ad esserne informati, amici e colleghi dell’Henschel, sono il francese Carl Daremberg (1817-1872), bibliotecario della ‘Mazarina’ di Parigi e l’italiano Salvatore De Renzi (1800-1872), all’epoca medico ordinario dell’ospedale Incurabili di Napoli, ma già noto cultore di storia sanitaria. A diffondere la notizia in Europa è proprio il Daremberg, che plaudente esclama: « Nous pouvons pénetrer maintenant dans l’interieur même de l’école de Salerne: nous y voyons les maîtres ensegneir les éleves assistant aux cours, rédigeant et nous trasmettant les leçons ! »1, mentre in Italia il ritrovamento è divulgato dallo stesso De Renzi, che fa trascrivere l’intero documento a sue spese 2. Una ventata di intenso fervore e di interesse attraversa i centri intellettuali europei più accreditati: è il momento della Scuola medica salernitana e della pubblicizzazione dei suoi testi. All’interno del Compendium è contenuto tra l’altro un corposo trattato di clinica medica: il De Aegritudinum curatione, monumento di medicina salernitana. Il testo si snoda in una serie di articoli scritti da più mani, mani di maestri famosi della Scuola, individuati dal De Renzi in Giovanni Plateario, Giovanni Afflacio, Cofone, Bartolomeo, Ferrario, Petronio (Pietro Musandino) e Trotula, tutti medici attivi tra il cadere dell’XI secolo e la prima metà del XII. Il lavoro è organizzato, come evidenzia lo stesso De Renzi, per processi morbosi, di ognuno dei quali si illustra clinica e terapia; a capo di ogni malattia è riportato il brano vergato da Plateario; seguono gli articoli degli altri Autori relativi alla malattia in esame. Non sempre però per ogni entità morbosa è riportato il pensiero dei vari Maestri (Trotula ad esempio è presente solo in pochi articoli), ma l’impianto espositivo è come se l’anonimo compilatore avesse voluto fornire un panorama completo e aggiornato della medicina praticata ai suoi tempi attraverso le parole stesse dei più qualificati luminari dell’epoca. Ad aver maggior risalto, comunque, in tale rapsodia scientifica sono i brani attribuiti a Plateario, che, riuniti assieme, non solo ne evidenziano la significativa autorevolezza clinica, ma risultano essere non altro che frammenti della Practica brevis, i quali, una volta assemblati, la ripropongono quasi integralmente. E’ credibile, come annotano il Daremberg e lo stesso De Renzi, che l’adunatore di tali frammenti possa essere stato un allievo della Scuola, che li abbia raccolti come appunti di lezioni o ricopiati da altri manoscritti a lui precedenti. Lo Steudel3 suppone che l’intero assemblaggio del Compendium, sia avvenuto tra il 1160 e il 1170, in un epoca ormai lontana dalla vita degli estensori dei brani. Dall’introduzione a ‘L’école de Salerne. Traduction en vers français’ di Ch. M. Saint Marc, Baillière, Paris 1880. Daremberg comunicò la notizia del ritrovamento nel 1845, dopo essere stato incaricato dal governo francese ad esaminare i codici e stabilirne l’autenticità. 2 La copia fatta redigere da De Renzi è l’unica testimonianza rimasta del documento, essendo andato distrutto il manoscritto originale nel 1944 in seguito ad un bombardamento. Tale unica vestigia è conservata presso la Biblioteca provinciale di Salerno. 3 J.STEUDEL: Salerno Nordlich der Alpen, Med.Sec. 1972, IX, 1, 10-13 1

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La Practica brevis, opera già nota prima della scoperta di Breslavia, è assegnata a Giovanni Plateario all’epoca della sua fioritura, cioè tra il 1080 e il 1120, e, come attesta De Renzi, può essere definita un manuale di medicina interna, un breviario ad uso del medico pratico, e ciò in considerazione della sua essenzialità, della sua esposizione in forma piana, accessibile anche agli iniziati e nello stesso tempo di grande supporto per il medico professionista avviato all’arte, ma comunque bisognoso di informazioni suppletive, di consultazione, di ausilio a inevitabili carenze. Il testo si presenta come un miracolo di sintesi nell’illustrazione della cause e dei segni che si raccordano alla diagnosi, vera e propria semeiotica fisica di tempi lontani, ma dettagliato e puntuale nei suggerimenti terapeutici più adeguati, descritti con semplicità e chiarezza; insomma un libro, come vuole il titolo, di estremo pragmatismo, che raccoglie quanto di sostanziale, veramente utile e aggiungo di certo (rapportato ai tempi) vi fosse allora nello scibile medico al servizio dei giovani studenti di medicina e del medico pratico. L’aspetto più rilevante, che non è sfuggito a De Renzi e trasfuso nelle pagine della Practica, è la genuina riproposizione del dottrinario ippocratico-galenico, indirizzo che vediamo affacciarsi in ogni suggerimento, in ogni giustificazione terapeutica. Siamo ancora lontani dalle contaminazioni arabistiche che caratterizzeranno la seconda fase della Scuola e che tanto l’allontaneranno dall’originaria posizione. Evidentemente le traduzioni di Costantino non hanno ancora inciso in modo significativo sulla cultura medica del tempo, ma si sa peraltro che le innovazioni hanno bisogno di un periodo di maturazione per essere comprese e recepite. Centralità dello studio è il malato, la valutazione della cui patologia è fondata sul sintomo, aspetto cardine della malattia, che a sua volta è centrale nell’ambito dell’organismo umano. Solo una corretta disamina dei sintomi e degli effetti terapeutici è in grado di assicurare una prognosi precisa, una preconoscenza. L’aderenza alla patologia umorale classica, che pervade il testo, evidenziando lo stretto allineamento ippocratico, si può desumere già dalle prime enunciazioni che danno inizio al ‘Trattato delle cure’: “Quattro sono gli elementi da cui hanno origine i quattro umori, di cui è costituito il corpo umano. Questi alterandosi producono le malattie. Fin quando il corpo si mantiene in sanità ed equilibrio, anche gli umori in esso contenuti si presentano normali e non trascendono dal loro naturale corso. Ma se questi sovrabbondano o degenerano, anche la salute del corpo viene meno e insorgono malattie sistemiche e di organo”. In tali formulazioni lapidarie la dottrina umorale si consolida ancora una volta quale fulcro della medicina salernitana, un modello concettuale che per ventitrè secoli ha avuto il merito di aver reso comprensibili processi fisiologici e metabolici complessi e spiegato difficili meccanismi patogenetici. Lo stato di salute è giusta mescolanza di umori, dalla cui alterata distribuzione e putrefazione dentro e fuori i vasi hanno origine le malattie. La malattia non è che un sovvertimento umorale, mai espressione di un evento localizzato, ma solo e sempre manifestazione di un impegno organico generale. Ne consegue che ciò che per noi è il sintomo, per gli ippocratici è il primum movens di ogni distinto processo morboso. La terapia s’inserisc in tale contesto, logica e deduttiva, per favorire l’espulsione dell’umore corrotto e facilitare il processo di guarigione, che la natura già di per se tende ad attuare4. Espressa questa prima valutazione sul contenuto dell’opera, è da chiedersi su quale terreno culturale e sapere medico essa sia nata e soprattutto su quale background scientifico si sia innestata. E’ opportuna quindi una digressione atta ad illuminare la situazione sociopolitica e intellettuale, che agita la Salerno dell’ XI-XII secolo. Cfr: P. BUSACCHI: Le fortune dell’ippocratismo in medicina, Rass. Clin. Ter. Sc. Affini 32, 6, 1933; W.A. HEIDEL: Hippocratic medicine, its spirit and method, Columbia Univ. New York 1941; W. LOFFLER: Ippocrate, il fondatore della medicina scientifica, Symposium Ciba 7, 1959; L. PREMUDA: Metodo e conoscenza da Ippocrate ai nostri giorni, CEDAM, Padova 1971; 4

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Si suole suddividere la storia della Scuola medica salernitana in tre periodi: le origini, l’apogeo, il declino. Tanto sia a scopo didattico-mnemonico, sia soprattutto per distinguerne le diverse connotazioni culturali e dottrinarie alla luce degli eventi storico politici sottesi all’evoluzione dell’ esercizio medico. Interessante, anche se incastonata in gran parte nell’oscurità di una scarsa attestazione documentaria e conseguentemente affidata alla leggenda, è la storia delle origini ovvero dell’ aggrumarsi dell’attività medica a Salerno agli esordi della sua comparsa e della formazione scientifica primeva, quella che lo storico Pazzini suole definire con termine appropriato: periodo precostantiniano e l’erudito Beccaria: periodo presalernitano5. Bisogna arrivare alla fine del XVII sec. per avere delle informazioni alquanto storiche su Salerno e lo si deve al concittadino priore Antonio Mazza (XVII sec.), autore peraltro non del tutto affidabile nella utilizzazione delle fonti 6. Dopo il Mazza, a parlare della Scuola di Salerno è John Freind (1675-1728), ma le sue cognizioni appaiono abbastanza limitate, se accenna soltanto a Costantino e a Bartolomeo 7. Segue nel ‘700 l’ Ackermann (1756-1801) con una prima sequenza cronologica di fatti e personaggi8, mentre con lo Sprenghel (1766-1833)9, che sostanzialmente si richiama alle tesi dell’Ackermann, si chiude il breve elenco dei primi chiosatori della storia sanitaria salernitana. Numerose quindi le illazioni e le teorie sull’iniziale conglutinarsi della scienza medica nella città arechiana anteriormente al Mille, congetture condensatesi pressoché definitivamente intorno alle ormai annose e note ipotesi sulle radici monastiche della Scuola avanzata dal Puccinotti10 e sull’ impronta laica della stessa sostenuta dal De Renzi11. Alla luce dell’immensa mole di ricerche, di studi e di interpretazioni compiute negli ultimi 150 anni dai tanti studiosi di elevata caratura intellettuale, italiani, europei e americani, non si può che concludere accreditando una soluzione eclettica alle pur ponderate e ponderose ipotesi di lavoro e linee di pensiero succedutesi nel tempo, un accordo che si tenterà brevemente di illustrare 12. Con il crollo dell’impero romano d’Occidente una intera civiltà è in disfacimento, i pilastri della cultura sono scompaginati. Si assiste alla graduale scomparsa delle Scuole mediche, alla distruzione delle biblioteche, alla marginalizzazione delle istituzioni, all’arresto della ricerca scientifica. In tanta rovina il Cristianesimo trova un terreno fertile, specialmente tra i deboli, gli emarginati, gli oppressi, i perseguitati, perché eleva il valore della vita umana e la rende degna di essere vissuta. Gli infimi diventano oggetto di particolare riguardo e di affettuosa premura; il malato è considerato un prediletto del Signore, perché la sofferenza è Grazia, non castigo e quindi non va identificato in lui il peccatore che sta espiando la pena, ma il bisognoso di attenzione, di aiuto, il destinatario del dovere evangelico di charitas, della carità cristiana.13 San Benedetto è 5

A. PAZZINI: Storia della medicina, I, Milano 1947, pp. 411-426. A. MAZZA, Historiarum epitome de rebus salernitanis, Napoli 1681. 7 J. FREIND, The History of Physik; from the Time of Galen to the Beniging of the Sixteenth Century, London 1725-26: (Costantin l’A. pp. 217-223, Bienvenue, pp. 253-258) 8 G. ACKERMANN, Introduzione a: Regimen Sanitatis Salerni, sive Scholae Salernitanae de conservanda bona valetudine praecepta, Stendal 1790, pp.1-92. 9 K. SPRENGHEL, Storia prammatica della medicina, Venezia 1812, IV, pp.177-198. 10 F. PUCCINOTTI, Storia della medicina, II, p. 255, Prato1866 11 S. DE RENZI, Storia documentata della Scuola Medica di Salerno, Napoli 1857 ed ancora in: Addizione alla Storia della medicina in Italia, p. 11, 1850 12 Cfr. H.P. BAYON: The Masters of Salerno and the Origins of Professional medical practice, ‘Science Medicine and History written in honour of Charles Singer’, Underwood, Oxford 1953; O.P. KRISTELLER: Studi sulla Scuola medica salernitana, Guerini, Napoli 1986. 13 Cfr: A. PAZZINI, Il Cristianesimo nella Storia della medicina, Roma 1944; Il monachesimo nell’Alto Medioevo e la formazione della civiltà occidentale, in “Settimane di Studio del Centro Italiano sull’Alto Medioevo”, IV, Spoleto 1957; 6

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l’interprete di questo impegno, enunciato chiaramente nella “Regola” e al cui rispetto ne vincola i confratelli della comunità claustrale.14 I precetti benedettini, oltre che disciplinare i comportamenti della vita monastica, raccolgono in nuce i fondamenti dell’esercizio medico e della promozione culturale della medicina. L’obbligo all’assistenza dei fratelli malati, infatti, è manifestamente espresso nel capitolo 36: De infirmis fratribus, che recita: “Infirmorum cura ante omnia et super omnia adhibenda est, ut sicut revera Christo, eis ita serviatur”, opera di charitas massima, confortata e corroborata dalle stesse parole di Gesù, opportunamente richiamate nel passo successivo: “Infirmus fui et visitasti me” (Mt. 25.36) e “Quod fecistis uni de his minimis, mihi fecistis” (Mt. 25.40 ). Ma un adeguato soccorso medico prevede un’idonea preparazione, che ritroviamo implicitamente sollecitata nell’incitamento ad istruirsi e ad applicarsi nel lavoro manuale e nella lettura (cap. 48: De opera manuum cotidiana): “Otiositas inimica est animae; et ideo certis temporibus occupari debent fratres in labore manuum, certis iterum horis in lectione divina”, “Ab hora autem quarta usque ora quasi sexta agente lectioni vacent”. Sono inviti ripetutamente riproposti nel corso del capitolo, unitamente all’imperio di ritirare i libri dalla biblioteca per assolvere tale dovere: “accipiant omnes singulos codices de bibliotheca, quos per ordinem ex integro legant”. Sono esortazioni apparentemente generiche, riferite in gran parte a letture edificanti e tese a magnificare l’opera di Dio, ma certamente non solo destinate a glorificare il Signore con la preghiera, la meditazione e il lavoro, ma anche a promuovere la cultura e, per quanto riguarda l’assistenza agli infermi, a incentivarla con umiltà e zelo attraverso lo studio della medicina: “Artifices si sunt in monasterio, cum omni humilitate faciant ipsas arte, si permiserit abbas” (cap. 57). Certo è che tutta l’impostazione etica cristiana delle grandi abbazie benedettine è finalizzata alla purificazione spirituale, all’elevazione intellettuale e alle opere di carità, un’impostazione su cui s’impernia la medicina monastica, assumendo un ruolo prevalente e dominante nell’ambito dell’organizzazione sanitaria altomedievale. Sorgono quindi all’interno dei monasteri le infermerie destinate ai fratelli ammalati e accanto ad esse gli orti dei semplici per la coltivazione delle piante medicinali.15 Nel loro ambito viene a delinearsi la figura di un personaggio nuovo, che pur non essendo medico, ne ha tutta la perizia e le qualità ed in più possiede le doti della cortesia e del timor di Dio: il monachus infirmarius. Sono poche ed elementari le nozioni di anatomia, fisiologia, patologia e terapia possedute da questo operatore di salute, ma che legate a un sano e logico buon senso, a un sagace realismo clinico, ad un’arguta e naturale intelligenza, a una lunga esperienza ed a un maturo rapporto medico paziente, riescono ad essere utili, efficaci ed affidabili. Il monachus infirmarius, che pur non possedendo un titolo di studio ufficiale è anche chiamato monachus medicus o monachus physicus, gode di grande autorità e rispetto per il suo consolidato sapere e per la sua sorprendente manualità e competenza; attorno a lui si alternano giovani novizi sedotti dal fascino dell’iniziazione all’arte salutare. Ma il sapere dell’infirmario non è soltanto frutto di una solida tradizione trasmessa all’interno della comunità, si avvale anche di acquisizioni raccolte dagli antichi e preziosi codici di medicina conservati nelle biblioteche abbaziali, sopravvissuti al naufragio culturale dell’età barbarica, codici che gli consentono di accedere alle perdute dottrine, a dimenticate A. PAZZINI, I fondamenti cristiani della medicina medievale, Conferenza IV Conv. Region. Sardo A.M.C., I, Sassari 1958; G. PENCO, Storia del monachesimo in Italia dalle origini alla fine del Medioevo, Roma 1961; A. VAUCHEZ, La spiritualità nel Medioevo, Milano, 1978; A. MECCHIA: L’influenza del cristianesimo nello sviluppo del concetto dim medicina sociale, Med. Sec. 8,42, 1979; J. AGRIMI, C. CRISCIANI, Carità e assistenza nella civiltà cristiana medievale, in ‘Storia del pensiero medico occidentale. Antichità e Medioevo, a cura di M. D. GRMEK, Roma-Bari 1993, pp.217259; 14 Cfr: La Regola di San Benedetto a cura di G. HOLZHERR, Casale Monferrato 1992. 15 Cfr: C. ALBASINI, Medici frati e frati medici, “Boll. Ist. Storia It. Arte Sanitaria”, I, 1931, pp. 15-29; H. CAPREZ, La medicina monastica, Milano 1932;

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cognizioni, attraverso un’immane e oscuro lavoro di decifrazione e trascrizione condotto all’interno degli scriptoria. Il tutto nasce a Montecassino,16 monastero primevo dell’ordine religioso e sede del fondatore. A Montecassino è notevole l’interesse per la medicina; vi si conservano numerosi manoscritti medici riguardanti autori in voga, come Oribasio, Alessandro di Tralles, Moschione, Teodoro Prisciano, Paolo d’Egina, ed ancora discreta è la presenza di testi di farmacologia: Dioscoride, Pseudo Apuleio, Sesto Placito, Sereno Sammonico e altri. A Montecassino si leggono e si trascrivono le opere di Ippocrate e di Galeno. Gli infirmari cassinesi sono forti di un notevole bagaglio culturale medico; sono loro i primi a stilare i manuali delle piante medicinali con le relative virtù specifiche e le tecniche di coltivazione: i cosiddetti herbari sanitatis o hortuli. A Montecassino si allineano le grandi abbazie satelliti, alcune delle quali assurgono a rilevante notorietà per la perizia medica dei loro monaci medici e dei loro abati (Reichenau, Fulda, Cluny, Bobbio, ecc.).17 Il diuturno accesso ai testi antichi trascritti, illustrati e commentati, non possono non fare cultura. In Occidente nella seconda metà del primo millennio la stragrande produzione di erbari, lapidari, bestiari e scritti di medicina è opera di monaci o comunque di ecclesiastici. 18 Tanto per fare alcuni esempi, lo Pseudo Apuleio è attribuito all’abate Bertario di Montecassino, l’enciclopedico De rerum naturae in 22 libri con ampie cognizioni di medicina è di Rabano Mauro del monastero di Fulda; Walafrido Strabone, abate di Reichenau redige un Hortulus di particolare celebrità, Isidoro, vescovo di Siviglia, compone le Etimologiae o Origines, Benedetto Crispo, arcivescovo di Milano il Medicinae libellus. Insomma, conferma Castiglioni: “la medicina di questo periodo è conventuale; attorno ai conventi si formano gli ospedali; d’altronde in un’epoca di sanguinose contese nessuno può avere la pace e la serenità necessarie per assicurare l’assistenza agli infermi, se non gli ordini religiosi”19. E i medici laici? A tale interrogativo risponde lapidario e illuminante Pazzini: “Dopo la caduta del classicismo e la breve parentesi gota, la medicina, quella ufficiale, almeno dal VI all’XI sec., non offre sentore di sé nella cultura occidentale. In questo periodo lavorano in silenzio le scuole monastiche. Ciò non significa che gli esercenti laici siano del tutto dispersi, ma i loro nomi, rimasti oscuri, mostrano che la scienza laica è ridotta a un semplice e umile mestiere”. 20 E’ intuitivo quindi il contributo sostanziale della medicina monastica all’evoluzione storica dell’arte salutare, un’influenza significativa e tanto più apprezzabile quanto più l’epoca appare desolatamente depressa sotto il profilo scientifico. In questi secoli bui, intanto, va organizzandosi un iniziale insegnamento preminentemente pratico nell’ambito delle infermerie claustrali, un’attività che nasce dall’esigenza di trasmettere le conoscenze acquisite e intesa ad evitare il dissolvimento di un patrimonio tanto pazientemente e tenacemente accumulato, nonostante le insidie devastanti di un mondo imbarbarito. E sempre dai Benedettini parte l’iniziativa della fondazione di scuole cattedrali e di monasteri scuole (Chartres, Fulda, Parigi, Metz, Lione), nelle quali è insegnata anche la medicina, introdotta tra le ‘arti liberali’ sotto il nome di ‘fisica’.

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Cfr: L. TOSTI, Storia della Badia di Montecassino, Roma 1888-90; H. BLOCH, Montecassino in the Middle Age, Roma 1986. 17 “Montecassino diviene, se non una vera scuola di medicina, centro importante di studi nei quali la medicina ha grandissima parte. Dall’antico chiostro la dottrina di S. Benedetto e la sua pratica si estendono ai numerosi chiostri che vanno rapidamente sorgendo e così poco a poco ospedali, brefotrofi e ricoveri hanno posto vicino ai conventi e maggiormente si diffonde nei monaci l’interesse per lo studio” (A. CASTIGLIONI, Storia…cit., p. 264) 18 A. CASTIGLIONI, Herbs and Herbals, Ciba Symposium, 5-6, 1943. 19 A. CASTIGLIONI, Storia della medicina, I, p. 263, Milano 1948. 20 A. PAZZINI, Storia della…cit. , I, p.351.

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E’ verosimile quindi che, almeno fino all’XI sec. gran parte della medicina pratica sia svolta all’interno delle mura claustrali, così come gran parte della medicina salernitana sia sostenuta da religiosi o comunque da personaggi in certo qual modo vincolati alle istituzioni ecclesiastiche, sviluppandosi tra i cenobi benedettini di S. Massimo, S. Lorenzo e S. Benedetto. Ed anche a Salerno intorno al Mille si è costretti a constatare la quasi inesistenza di medici laici e quei pochi presenti scarsamente autorevoli se non anonimi, visto il silenzio su di loro delle cronache e dei documenti coevi. Il primo medico, il cui nome appare nella storia di Salerno, è quello dell’archiatra Girolamo, famulus Dei, che, nonostante l’attenta e sofferta consultazione di una grande quantità di libri di medicina, è costretto a dichiararsi impotente di fronte al male che sta divorando la giovane sposa Teodonanda.21 Siamo intorno all’880: signore di Amalfi è Pulcari (874-883) e principe di Salerno Guaiferio (861-880). La vicenda evidenzia come la città sia già nota quale sede di medici valenti. Altro episodio è quello della sfortunata sfida dottrinaria tra un medico salernitano e Deroldo, vescovo di Amiens, svoltasi a Parigi intorno al 920 all’epoca di Carlo il Semplice (879-929)22 o, come sostiene Oldoni, nel 946 presso la corte di Lotario23. Anche in questo caso non è pura contingenza il nome di un salernitano, che appare inteso quale identificazione di quanto di meglio vi sia all’epoca in tema di scienza medica, non solo, ma per una serie di circostanze il personaggio, anche se anonimo, non può non essere che un ecclesiastico. Nel 984 giunge a Salerno Adalberone, vescovo di Verdun, per farsi curare dai medici24. Soffre di calcolosi vescicale ed è stato Gerberto di Aurillac (950-1003), futuro papa Silvestro II, a consigliargli di consultare i Maestri salernitani. Visitato e purtroppo giudicato incurabile, muore durante il rientro in patria. E’ un altro tassello abbastanza significativo della fama di Salerno e di un ambiente sanitario affidato sostanzialmente a religiosi. Altro episodio: intorno al 1050, Desiderio, monaco del monastero di Santa Sofia di Benevento, divenuto successivamente abate di Montecassino (1058) e poi papa Vittore III (1086), giunge a Salerno per farsi curare, in quanto seriamente ammalato per le lunghe astinenze e veglie di preghiera.25 . Anche in questo caso è difficile pensare a un luogo di cura esterno a una istituzione monastica e a medici che non siano clerici medici ovvero operatori in certo qual modo vincolati ad istituzioni ecclesiastiche. Il reiterarsi di questi eventi citati nelle cronache d’epoca sembra confermare la tesi originaria dell’ Ackermann26 e del Puccinotti circa un esordio monastico della medicina a Salerno e che nell’ambito di queste infermerie claustrali si sia concretizzato in nuce il disegno di quelle che saranno successivamente le privatae scholae. In queste infermerie maestri e allievi rispettivamente istruiscono ed apprendono, si scrivono manuali: practicae, per agevolare l’insegnamento, si prendono appunti o si recepisce a memoria quanto quotidianamente è 21

Nella cronaca anonima riguardante la vita e i miracoli di S. Trofimena, Historia inventionis ac traslationis et miracula Sanctae Trofimenae (‘Acta Sanctorum’, Iul. II, Antverpiae 1731, pp.233-240) è raccontata la triste vicenda di Teodonanda, giovane sposa di Minori, che giudicata affetta da un male incurabile da un Maestro di medicina salernitano, Girolamo per l’appunto, è miracolata infine da S. Trofimena. Vedi anche: R. A VALLONE, La ‘Historia S. Trophimenae’ e il Chronicon Salernitanum, Critica Letteraria, 69,1990, pp.757-774. 22 L’episodio è raccontato dallo storico RICHER di Reims nella Richeri Historiae, II, 29: “Deroldus quidem utpote litterarum artibus eruditus probabiliter obiecta diffiniebat, Salernitanus vero licet nulla litterarum scientia praeditus, tamen et ingenio naturae multam in rebus experientiam habebat”. 23 M. OLDONI, La scuola medica di Salerno nella cultura europea fra IX e XIII secolo, ‘Quad. Mediev’, 32,1987, p.7493. 24 “Salernum eodem anno benedictionis suae curatione gratia exposceret nostris secum comitatis. Qui, cum ibi moraretur et a medici curare non posset, reversus Italiam, obiit” H. DE FLAVIGNY, Chron. Virdunensis, MGH, 55, VIII, 1848, p.367. 25 “Desiderius ob nimiam abstinentiam, multasque vigilias in languorem non modicum decidens, medendi gratia Salernum perrexit” LEONE OSTIENSE, Chron. Cass., MGH, 55, 34, 1980, p.368. 26 G. ACKERMANN, Introduzione a Regimen Sanitatis Salern…cit.

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mostrato ed è impartito. E’ un insegnamento pratico: l’obbiettivo è l’opera di carità, non la ricerca scientifica; un ammaestramento empirico, che riguarda la conoscenza del corpo umano, le piante salutari, le norme per conservare la buona salute, lo stile di vita, gli interventi elementari di sana pratica dettati dall’esperienza quotidiana, il tutto ispirato alla fede cristiana e alla fiducia nell’ausilio divino. Le fonti documentarie riferite alle origini attestano la presenza di medici chierici, cioè di personaggi dotati di una discreta preparazione medica e che sotto vario titolo rientrano nelle gerarchia ecclesiastica, portano la tonsura quale segno di appartenenza alla categoria e sono sottomessi alla disciplina dell’ordine religioso. Sostiene Pazzini che il termine medicus et clericus si ritrova solo a Salerno,27 il che sta a dimostrare che a Salerno la medicina intrattiene rapporti stretti e particolari con l’ambiente religioso. Certamente non mancano i professionisti laici, ma sono una folla di anonimi, di oscuri, di cui è arduo precisare la capacità e la sfera d’influenza. La primigenia medicina salernitana, quella delle origini, che si conclude con la venuta di Costantino a Salerno e con l’inizio della dominazione normanna (anni 70 dell’XI secolo), si svolge interamente sotto le insegne dei sovrani longobardi28. A tutt’oggi però non sussiste una solida documentazione, atta a delucidare eventuali rapporti tra i principi longobardi e la medicina professata nei monasteri. Ma anche se sulla scorta di pochi e fragili indizi, è possibile comunque avanzare delle congetture ragionevoli. E’ probabile che le radici della Scuola affondino proprio negli anni di Arechi II (758-787), se si accetta di interpretare le parole di Paolo Diacono (720-799) riportate sull’epitaffio della tomba del principe: “Ornasti patriam doctrinis” , nel senso di “decorasti la patria di saperi”: letterari, filosofici, scientifici… medici.29 Da tale ipotesi si lascia sedurre Carucci30 ed ancora Avallone31 e ancor più Rizzo32, che ricorda come Arechi impreziosisse Salerno di fasto regale, arricchendo la città di quanto di meglio esisteva nel mondo della cultura, soprattutto facendo affluire da Montecassino un robusto contingente di monaci eruditi e fra questi quotati monaci medici, un clima culturale promosso e accentuato anche dal risveglio generale degli studi in Occidente palesatosi intorno alla fine VIII secolo e voluto dalla riforma carolingia. Sono noti peraltro gli ottimi rapporti intercorrenti tra il principe e gli ordini religiosi del tempo “e che vi fossero rapporti tra le autorità religiose e politiche di Salerno e Montecassino non si può mettere in dubbio” sostiene Morpurgo33, e allo stesso modo gli scambi culturali. Ricorda Beccaria: “Noi non dobbiamo dimenticare che pure nei periodi più oscuri e travagliati del medioevo l’interesse culturale e insieme una non mai spenta curiosità scientifica hanno sempre stimolato a scambiare i mezzi del sapere fra l’uno e l’altro scrittorio, fra l’una e l’altra comunità, forse più di quanto sia lecito supporre”34 E’ sostenibile quindi che un primo nucleo di maestri di medicina, operanti nei vari monasteri salernitani, si sia costituito in Salerno proprio nella seconda metà dell’VIII secolo. Anteriormente a questa data non abbiamo testimonianze, ma un secolo dopo (il tempo per costruirsi una reputazione) ne ritroviamo le tracce nelle cronache dell’epoca, come per esempio la nascita dei due monasteri benedettini, crogioli di assistenza e di cultura medica, S. Benedetto e S. Massimo, che si vuole fissata rispettivamente negli anni 793 e 795, date che coinciderebbero con 27

A. PAZZINI, La medicina nella storia, Milano 1968, p. 352. Per un approfondimento sull’età longobarda nel Meridione d’Italia cfr: F. H IRSCH-M. SCHIPA, La Longobardia meridionale (570-1077). Il ducato di Benevento, il principato di Salerno, a cura di N. Acocella, Roma 1968; N. CILENTO: Italia meridionale longobarda, Milano Napoli 1971, pp. 97 ss. 29 “Hai ornato la patria di saperi, palazzi, leggi, per cui eterna sarà la tua gloria” (vv. 25-26) 30 A. CARUCCI, Opulenta Salernum , Salerno 1989, p. 75. 31 R. AVALLONE, Recensione alla traduzione del Chronicon Salernitanum in ‘ Rass. Stor. Salern.’ 10, 319,1988. 32 R. RIZZO, Storia della terapia antalgica, Milano 1996, p.114. 33 P. MORPURGO, Filosofia della natura nella Schola salernitana del XII secolo, Bologna 1990, p. 55. 34 A. BECCARIA, I codici di medicina del periodo presalernitano, Roma 1956, p. 59. 28

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l’avvenuto consolidamento in città dei cenobiti giunti a Salerno da Montecassino per volere di Arechi. Tra gli studiosi che si sono interessati di medicina salernitana è serpeggiata spesso una certa perplessità sul silenzio che circonda l’attività di questa Scuola nei documenti anteriori al Mille, come il Codex Diplomaticus Cavensis. E difatti nella Salerno longobarda, non v’è alcuna allusione riguardante la sussistenza di una Scuola intesa come struttura istituzionalizzata composta da docenti e allievi e finalizzata allo studio della medicina. Da quei scarsi accenni pervenutici sembra infatti di cogliere soltanto una presenza di medici (probabilmente clerici medici), che esercitavano l’arte salutare con particolare valentia e perspicaci e in vario modo annodati all’ambiente clericale o monastico, il cui nome, rimasto oscuro, s’era identificato con quello della città, rendendola famosa, tanto da farne varcare la nomea oltre i confini del Ducato. Tale interpretazione potrebbe giustificare il senso di quella disputa parigina tra il vescovo Deroldo e il salernitano, anonimo sì, ma anche ben definito esponente di una classe di medici (clerici) nota per abilità e perizia pratica35 e allo stesso modo chiarire l’esclamazione di Alfano: tum medicinali tantum florebat in arte36 e la precisazione di Romualdo Guarna: medicinae artis diu famosam atque praecipuam.37 In conclusione tra IX-X secolo Salerno era famosa per la presenza di un gruppo di medici pratici particolarmente valenti, non associati tra loro, di estrazione preminentemente ecclesiastica, che operavano alla luce di acquisizioni ippocratico-galeniche, come ampiamente acclarato da Beccaria.38 Queste ultime, peraltro, erano l’unico bagaglio di conoscenze scientifiche dell’epoca, recepite per tradizione e/o per informazioni infraclaustrali, impartite dai medici, operanti singolarmente, ai giovani apprendisti desiderosi di imparare l’arte, in genere uno, ma anche più di uno39. Alcuni di questi Maestri poi, pressati dalle insistenze dei discepoli, hanno anche scritto dei manuali pratici di medicina (practicae) atti ad arricchire la lezione orale e a facilitare l’istruzione, un’istruzione puramente empirica, priva cioè di qualsiasi fondamento teorico o metodologico. Non è superfluo ricordare come spesso l’apprendimento fosse esclusivamente mnemonico per la carenza di libri e di materiale su cui trascrivere appunti. Sostiene giustamente Kristeller40 che spesso gli studiosi mescolano indiscriminatamente a proposito della Scuola “pratica medica, istruzione pratica in medicina, letteratura medica, insegnamento organizzato di medicina e finalmente corporazione o Collegio di medici organizzati sotto un preside che conferisce lauree e rilascia diplomi”, senza tener conto di una sequenza cronologica oltre che razionale dei vari momenti. In merito va precisato che la Salerno medica delle origini si distinse per una sana ed avveduta pratica medica, nonostante il modesto now how utilizzabile, coronata da un apprendistato di giovani volenterosi e dalla redazione di qualche succinto e schematico manuale ad uso degli allievi. L’insegnamento aulico organizzato e istituzionalizzato, la letteratura medica, i commentari, la corporazione, il collegio e quanto altro furono supporti decisamente posteriori. 35

Riportando la vicenda descritta da RICHER, KRISTELLER sottolinea opportunamente la situazione culturale presente nel X secolo all’epoca dello storico francese e cioè la contrapposizione tra due medicine ecclesiastiche: quella dotta francese e quella pratica salernitana: Scrive KRISTELLER: “L’episodio intende illustrare la superiorità della medicina ecclesiastica francese sulla medicina salernitana. Deroldo possiede maggiore cultura, il salernitano ingegno naturale ed esperienza pratica. La fama di Salerno come centro di famosi medici pratici ha così raggiunto la Francia settentrionale verso la fine del X secolo.”(P.O. KRISTELLER, Studi…cit., p.21). 36 Da: I carmi di Alfano I arcivescovo di Salerno, a cura di A. LENTINI e F. AVAGLIANO, carme 20, v. 21. 37 ROMUALDI Chronicon, a cura di C. A. GARUFI, Città di Castello 1935, p. 189. 38 A. BECCARIA, I codici…cit. pp. 24-31. 39 A proposito della diffusione della cultura medica salernitana in Europa cfr. anche: M. S CHMID: Salerno in Norden, Atti XIV Congr. Intern. St. Med., Roma-Salerno 1954, pp. 1088-1104; R. CANTARELLA: Importanza della Scuola medica salernitana nella cultura d’Europa, ‘Salerno’, 1, 1967, 1-2, pp. 50-51; A. L. THOMASEN: Salerno und das nordische Mittelalters, ‘Pag.Stor.Med.’ 16, 1972, 2, pp. 71-82; M. OLDONI: La scuola medica di Salerno…cit . 40 P. O. KRISTELLER, Studi …cit., Napoli 1986, p. 18.

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Nel diffuso anonimato di tale periodo affiora l’identità di due personaggi: Guarimpoto o Garioponto e Petroncello o Pietro clerico, clericus quest’ultimo, diacono il primo41. Con loro si conclude il periodo precostantiniano, ha inizio il declino della medicina monastica e si entra nella fase più propriamente laica. Alfano potrebbe essere l’anello di congiunzione di tale trapasso 42. I due Maestri fioriscono nella prima metà dell’XI secolo sotto il regno di Guaimario IV, principe illuminato e potente, cui Salerno deve il raggiungimento del suo massimo splendore, una floridezza determinata oltre che dalla saggezza politica del sovrano, dalla propria preminenza nel campo della cultura, fra l’altro favorita dalla posizione geografica e dai legami con la cultura greca e Guaimario è palesemente interessato al potenziamento della medicina nella convinzione che l’autorevolezza di questa sia motivo di prestigio e fortuna per la città e il principato. Non è dato sapere se i due medici abbiano operato indipendentemente l’uno dall’altro o se uno sia stato maestro dell’altro; certamente il loro lavoro è svolto all’ombra di una istituzione ecclesiastica e a noi piace immaginarli fra le mura benedettine dell’ospizio-ospedale di S. Massimo o dell’infermeria del monastero di S. Benedetto. L’identificazione di Petroncello tra i tanti Pietri clerici citati dai cronisti dell’epoca appare difficile, anche se attestato da Trotula e da Plateario, che lo vuole autore di una Practica medica. L’opera, scritta probabilmente intorno al 1035, sembra rappresentare, per comune consenso dei commentatori, la sintesi della medicina presalernitana ovvero il condensato delle conoscenze correnti nell’altomedioevo, intorno alla cui natura e consistenza ancora sussiste un’oscurità pressoché assoluta. La presenza di falsi concetti, errate interpretazioni e astrusi paradossi di cui è condensato il testo di Petroncello confermano l’esistenza di una sostanziale ignoranza imperante nei secoli bui, distortamente ispirata a una decadente cultura romano-alessandrina. Ciò nonostante, Petroncello appare come il personaggio di transito da un’epoca confusa di inesatto e limitato sapere a una cultura medica che va delineandosi e irrobustendosi. La Practica43 si rivela in sostanza quasi una traduzione di una perduta opera greca (lo testimonia la profusione di termini greci storpiati e spesso incomprensibili) ovvero un’antologia di brani altomedievali, probabilmente alessandrini, raccolti male e infelicemente compresi ed illustrati. 44 Ma a parte questo lato negativo, essa ha il merito di essere una prima, organica esposizione di argomenti medici non priva di spunti interessanti come la parte diagnostica realisticamente tratteggiata e interpretata secondo i canoni della teoria umorale in voga, nonché la parte terapeutica arricchita di farmaci tratti dalla natura e specialmente dalla botanica. Scarna la tecnica chirurgica, anche se degna di menzione è la citazione della legatura dei vasi in corso di emorragia grave. Di tale procedura purtroppo non si ha la descrizione, ma già l’accenno lascia ritenere una sua appropriata conoscenza. Dall’explicit della lettera premessa alla Practica, che comunque resta il più antico trattato di medicina scritto a Salerno che abbiamo, si osserva come il libro sia stato vergato per un unico allievo. L’Autore infatti gli si rivolge con parole affettuose: “Figlio carissimo” e “Figlio dolcissimo”, invitandolo a trarne il massimo profitto nel momento in cui si accingerà alla cura del corpo umano. 41

CAPPARONI infatti lo ritiene ecclesiastico, in quanto definito subdiaconus nel Liber confratum della Confraternita dei Crociati di Salerno. 42 G. VITOLO, La svolta nella cultura medica salernitana del secolo XI, in ‘Salerno e la sua Scuola Medica’, Salerno 1994, pp. 34-39. 43 La Practica di PETRONCELLO è stata pubblicata la prima volta nella Collectio Salernitana di DE RENZI e tradotta da A. CAPPARONI nel 1958. Vedi il commento di CAPPARONI alla Practica, Roma 1958, pp 3-6. Confronta anche DE RENZI, Storia…cit. pp. 163-167; A. CASTIGLIONI, Storia… cit. I, p. 270; P.O.KRISTELLER, Studi… cit. p.25. 44 PETRONCELLO scrive infatti nella ‘Lettera’ introduttiva: “Pertanto, figlio carissimo, data questa mia lunga esperienza di medicina, volli succintamente ridurre in un’opera latina, traendoli dai passi greci degli autori seguiti, tutti i principi e le norme riguardanti le malattie” (Practica, trad. di A. CAPPARONI, Roma 1958, p. 13).

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Il coevo Garioponto, nato sul cadere del X secolo e morto il 1056, anche questi di estrazione ecclesiastica, è ripetutamente menzionato nella letteratura salernitana, tanto da far ritenere che almeno nell’XI secolo sia stato un clinico illustre, punto di riferimento dell’intera corporazione medica cittadina.45 E’ autore di un Passionarius,46 opera enciclopedica di medicina e chirurgia in cinque libri, scritta intorno al 1040, e di un Dinamidia, trattato di erboristeria, che Vitolo considera primo erbario di marca salernitana.47 Sono due monumenti letterari che segnano il punto sulle acquisizioni di patologia e terapia possedute all’epoca, pressoché interamente derivate da Galeno e dai medici bizantini. Nel Passionarius infatti, oltre Galeno, a cui per lungo tempo il testo è stato attribuito, sono menzionati Ippocrate, Teodoro Prisciano, Alessandro di Tralles, Basilio e Teodosio. L’opera tratta cinque argomenti e precisamente gli elementi, gli umori, le urine, i polsi e le infiammazioni. Ai cinque libri segue un trattatello sulle febbri: De febribus, in tre libri:48 il primo sulle febbri in generale, il secondo sulle febbri tipiche e il terzo sui sintomi delle febbri. Lo stile e il contenuto del Passionario evidenziano chiaramente il lavoro di compilazione e la finalità didattica, svolgendo un insieme di ragguagli tratti dalle esperienze degli antichi e dai personali vissuti quotidiani e accostandosi molto al bagaglio culturale proprio della medicina monastica. Va sottolineato infatti che, mentre è accurata, per quanto possibile, la diagnosi differenziale e corposa l’illustrazione dei procedimenti medici, estremamente sbrigativa è la descrizione degli atti chirurgici, espressione questa di una scarsa dimestichezza con le manualità tecniche propria degli ambienti monastici non inclini, anzi avversi a manovre cruente49. Garioponto appare palesemente più preparato ed esperto di Petroncello, il che rafforza la convinzione che tale Autore costituisca l’epicentro dello stato dell’arte raggiunto nella prima metà dell’XI secolo, un’attività peraltro quasi interamente e saldamente tra le mani dell’ordine benedettino. E’ un sapere dottrinario che trova le sue fonti nelle biblioteche claustrali e nell’esperienza pratica quotidiana dei monaci infirmari, trasmessa ai novizi con una ricchezza di osservazioni e di informazioni scarsamente riscontrabile in un ambiente laico. Certamente il Passionario non è opera originale, ma una sintesi destinata ai discepoli desiderosi di apprendere l’arte, scolari identificabili fra i novizi e i fraticelli, ma senza escludere anche qualche elemento laico, frequentatore di ambienti monastici. Originale invece la terminologia tecnica tratta dal linguaggio popolare, ampiamente sottolineata dal De Renzi, e che sottolinea la sussistenza di un empirismo autoctono avvedutamente ripreso dalla medicina erudita. 50 Degno ancora di essere posto in risalto il fatto che, mentre la Practica di Petroncello è scritta da un’unica mano e rivolta ad un unico scolaro, il Passionario di Garioponto è stilato con la collaborazione dei socii ed è ordinato e corretto con il contributo di un compagno: Albicio. In conclusione le opere di Petroncello e Garioponto compaiono in un’epoca di mezzo che segue in Occidente quattro secoli di totale oscurantismo e di silenzio scientifico appena sostenuto dal tenue filo di una dimessa tradizione classica e immediatamente prima della rinascita salernitana, ravvivata dalla consumata pratica professionale ampiamente esercitata dalla gente del Sud. 45

PIER DAMIANI, cronista cassinese morto nel 1072, lo definisce: vir honestissimus et litteris eruditus medicus. Il Passionarius fu edito per la prima volta a Lione nel 1526 a cura di A. Blanchard. 47 G. VITOLO, Origine e sviluppi istituzionali della Scuola medica salernitana, in “Salerno e la sua Scuola medica”, Salerno 1994, p. 38. Il Liber dinamidorum si presenta più propriamente come un testo di farmacodinamica ante litteram, in quanto tentativo di spiegazione dell’effetto curativo delle erbe: …in herbarum cura vis ipsa dinamis dicitur. 48 Edito dalla Giardini di Pisa nel 1963, a cura di R. MANARA e U. CECCARELLI. 49 Celebre la frase ‘Ecclesia abhorret a sanguine’, che si vuole pronunciata ora al Concilio di Tours del 1163 ora al Concilio Lateranense del 1215, ma che in verità sembra una errata interpretazione dello storico medico francese François Quesnay di un passo di Etienne Pasquier in Recherches sur la France del 1550: “…et comme l’ église n’abhorre rien tant que le sang”. 50 Si ritrovano infatti sparse nel testo voci tratte dalla medicina demotica quali: gargarizzare, cicatrizzare, clisterizzare, ecc. 46

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L’arcivescovo Alfano, dotto in dottrine fisiche, rappresenta forse l’ultima compiuta competenza medica colta in mano ecclesiastica51. Siamo oramai in piena signoria normanna. Nel 1077 Roberto il Guiscardo ha detronizzato il cognato Gisulfo e si è assiso sul soglio longobardo: accanto a lui ha voluto Alfano come consigliere, avendone da subito apprezzato le alte doti intellettuali e la sagacia e accanto a lui ancora maggiore risalto ha avuto questa nobile figura di prelato e uomo di lettere, che da più di venti anni sta dominando il mondo culturale salernitano. Nel 1057 è stato nominato abate del monastero di San Benedetto in Salerno; nel 1058 Gisulfo II lo ha voluto arcivescovo della città e nel 1085 parteciperà con Gregorio VII e Roberto alla consacrazione del Duomo a gloria del principe e della cristianità. Il presule è un umanista: ha tradotto dal greco La natura dell’uomo di Nemesio di Emesa ed ha scritto due monografie su temi fisici: I quattro umori e I polsi. La medicina intanto, fiorita nei monasteri, sembra aver raggiunto il massimo fulgore, ma già venti rovinosi di smantellamento iniziano ad abbattersi su questa benemerita organizzazione. Nell’ansia di interpretare meglio ed estensivamente l’amore per il prossimo e l‘umana solidarietà dettata dai Vangeli, i monaci vanno derogando sempre più dai primari doveri spirituali, spesso rivelando una generosità non del tutto altruistica e lasciandosi andare a comportamenti non proprio in linea con l’abito monastico. Acquisito l’apogeo, per la medicina claustrale è iniziato un inarrestabile tramonto, segnato e accelerato da una serie di pronunce e censure conciliari che imperverseranno per tutto il secolo XII, invitando perentoriamente gli ecclesiastici a desistere dall’esercitare ogni forma di assistenza sanitaria. Il graduale allontanamento dei clerici da tale attività consente l’emergere e l’affermarsi di una nuova classe di professionisti, laici questa volta, il cui esercizio finora era stato offuscato dalla consumata abilità dei monaci, forti di esperienze secolari; laici, che peraltro hanno ricevuto i primi rudimenti metodologici proprio in ambito claustrale. Tra questi, due famiglie di medici, la cui arte per generazioni è trasmessa da padre in figlio: i Cofone e i Plateario. Di quest’ultima Giovanni Plateario senior si vuole sia il capostipite, fiorito intorno alla metà dell’XI secolo, ma De Renzi adombra anche la presenza di un Plateario medico, genitore di questi, il che conforta il convincimento dell’esistenza di una genealogia di antenati asclepiadi a noi ignoti, cancellati dal silenzio della storia. De Renzi comunque ne ricorda gli ultimi cinque: tre Giovanni e due Matteo. I Plateario e i Cofone sono l’espressione più schietta e vigorosa di quella tradizione classica, che ha permeato la civiltà occidentale durante il Medioevo, una tradizione antica modellata dal Cristianesimo e che ha infiorato a Salerno la Scuola delle origini. La loro voce scientifica è tra le ultime che ancora imprimono all’arte sanitaria un carattere nazionale. Supportate da Costantino Africano e dalle navi delle repubbliche marinare che trafficano con il Levante, stanno per giungere dottrine straordinarie, esoteriche ed astrologiche, che rivoluzioneranno i canoni della medicina arechiana, rimuovendole quei caratteri di autenticità, che tanto l’avevano resa famosa. Giovanni Plateario junior, figlio di Giovanni senior e, si vuole, di Trotula, nonché fratello di Matteo, è l’estensore della Practica brevis, di cui al discorso iniziale, e della quale si accennerà il contenuto. Lo si vuole fiorito tra gli ultimi anni dell’XI secolo e la prima metà del XII, in un momento di splendido sviluppo delle scienze e delle arti, il momento che sin dall’XI dà vita a quella straordinaria manifestazione culturale della cosiddetta ‘rinascenza del XII secolo’ 52. La stessa Practica probabilmente è redatta ai principi del XII. Plateario e’ certamente uno degli ultimi esponenti della più genuina medicina autoctona salernitana; i maestri che cita nel testo sono quelli

G. VITOLO, La svolta…cit. Vedi: R.L. BENSON - G.C. CONSTABLE: Renaissance and Renewal in the Twelfth Century, Cambridge, M.A. 1982; P. MORPURGO: Filosofia della natura…cit. ; L. GARCIA BALLESTER e al: Introduzione a Practical Medicine from Salerno to the Black Death, Cambridge 1994; A.R. AMAROTTA: Perché Salerno, alle radici della Scuola Medica, Salerno 1996; P. SKINNER: Health and Medicine in Early Medieval Southern Italy-The Medieval Mediterranean, Leiden 1997. 51 52

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della classicità: Ippocrate e Galeno, Alessandro di Tralles, Rufo d’Efeso e Stefano ateniese; questi ultimi medici bizantini; quattro sono di Salerno: Plateario senior, Petroncello, Ferrario e Cofone 53. Giuseppe Lauriello

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Vedi M. GALANTE: Il manoscritto del maestro salernitano Plateario: una nuova acquisizione della Provincia di Salerno, Apollo, 19, 2003, 107-110 ed ancora: Il manoscritto del maestro Plateario tra cultura e tecnologia, Apollo, 22, 2006, 69-72; T. HUNT: Anglo-Norman Medicine. Roger Frugard’s Chirurgia. The Practica brevis of Platearius, Oxford 1994, pp. 149 sgg.

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