SULLA TRASMISSIONE DELLA CULTURA MEDICA ARABA A SALERNO Giuseppe Lauriello
Tutto comincia con la caduta dell’impero romano. Le invasioni barbariche e il ripetuto saccheggio dell’Occidente, operato da conquistatori incolti e razziatori, dissolvono gran parte del sapere greco latino: le scuole di medicina scompaiono, i maestri si dileguano, l’organizzazione sanitaria è sconvolta, ma soprattutto i libri, i codici preziosi, sono bruciati e dispersi. Quel che resta dello scibile medico è raccolto in Occidente nei monasteri, in Oriente da Bisanzio ed Alessandria. Sulla scena della storia (fatidico 622, anno dell’Egira), compare un popolo nuovo: gli Arabi, Questi, incitati dalla predicazione di Maometto e spronati da una profonda fede religiosa, irrompono in Siria in Palestina, in Egitto, nei territori del Tigri e dell’Eufrate, venendo a contatto con nuove nazioni e nuove civiltà: l’indo iranica, la siriaca, l’egiziana, la grecoromana. Dopo un primo periodo di stragi, guerre e distruzioni, l’incontro con questi popoli e soprattutto con il mondo greco ingenera un profondo interesse per le loro espressioni intellettuali, quanto basta per diventarne cultori appassionati e dar vita nei propri territori ad accademie, biblioteche, ospedali. L’attenzione è rivolta soprattutto alla scoperta dei saperi e delle dottrine dei popoli conquistati, da cui una vivace attività di traduzione dei loro libri, particolarmente marcata sotto la dinastia abbaside (750-1258) ed in specie per il mecenatismo di tre califfi illuminati: Al Mansur (754-775), Harun al Rashid (786-709) e Al Ma’mun (813-833). Sorgono così nel VII-IX sec. delle scuole di traduzione dal greco bizantino in arabo e in siriaco (la lingua orientale dei dotti: una variante dell’aramaico), tra cui alcune di eccezionale competenza e livello, come quelle di Edessa e Gondisciapur: Edessa, all’epoca in Siria, oggi in Turchia con il nome di Urfa, Gondisciapur in Persia, di cui non restano che rovine. L’elevata cultura filosofica e scientifica di tali scuole, è legata alla presenza di un nutrito numero di dotti, rifugiati nestoriani, sfuggiti alle persecuzioni dei cristiani ortodossi e alle vessazioni di Bisanzio, in quanto eretici condannati dal Concilio di Efeso nel 431, sostenitori del duofisismo, cioè della presenza in Cristo di due nature distinte: umana e divina. Ma non solo i nestoriani contribuiscono alla feconda attività di traduzione, ad essi si associano molti dotti provenienti dall’ accademia neoplatonica di Atene, soppressa da Giustiniano nel 529. Altro centro di primaria rinomanza resta Alessandria, che, nonostante le devastanti incursioni islamiche, si presenta pur sempre caposaldo del sapere e della ricerca scientifica anche in età medievale. Né va dimenticata Bagdad, città fondata dal califfo Al Mansur nel 765, dove eccelle la scuola di Hunayn ibn Ishaq (808-873), medico filosofo e cristiano nestoriano, noto in Occidente con il nome di Ioannitius, perfetto conoscitore dell’arabo, del siriaco e del greco. Questi, protetto e stipendiato dal califfo Al Mutawakki (822-861), si dedica alla versione dal greco in siriaco di numerosi testi greci, tra cui Galeno ed Ippocrate (gli Aforismi), affidando ai suoi allievi la versione dal siriaco in arabo. Gli Arabi sono sostanzialmente un popolo pragmatico e quindi con scarsa propensione per la letteratura narrativa e per l’arte, ma forte attenzione per le discipline positive, come la matematica, la geometria, l’astronomia…la medicina. Nelle loro scuole si traducono, 1