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Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
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2014 · Editrice Gabbiano srl · Ancona
a cura di Ruggero Giacomini e Clizia Pavani Grafica e impaginazione Clizia Pavani Finito di stampare nel mese di Aprile nell’anno 2014 da Tipografia Kennedy · Ancona · www.tip-kennedy.it ISBN: 9788898831036 Per informazioni: Gabbiano Srl · 0719989979 info@adriaeco.eu È vietata la riproduzione dell’opera o parte di essa con qualsiasi mezzo se non espressamente autorizzata dall’editore
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1944 sotto l’ombra di un bel fior Walter Germontari e il quartiere Grazie Tavernelle di Ancona
a cura di
Ruggero Giacomini e Clizia Pavani
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INDICE
1944: sotto l’ombra di un bel fior Walter Germontari e il quartiere Grazie Tavernelle di Ancona
Premessa Come nasce questo libro di Simonetta Gorga
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Prefazione Claudio Maderloni (presidente Anpi Marche) Michele Cantarini (presidente Arci Ancona)
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Introduzione I Circoli popolari in Ancona, Antifascismo e Resistenza di Ruggero Giacomini
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Parte I Walter Germontari e i partigiani di Arcevia e dell’Anconetano Walter Germontari, un giovane della Resistenza di Aurora Ferraro L’Eccidio di Monte Sant’Angelo di Angelo Verdini Il contributo alla Resistenza dell’arceviese Aldo Michelini di Gastone Michelini Dilo Ceccarelli, giovane di ieri di Lilith Verdini Come e perché si diventava partigiani di Giampaolo Lucarini (Paolo) Gli Anconetani nella lotta partigiana di Paolo Orlandini
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Parte II I partigiani delle Grazie-Tavernelle Ivo Baldoni ricordato dal fratello Enzo Luciano Lucarini ricordato dal fratello Lanfranco Alessandro Maggini (Doro) ricordato dalla sorella Vera Mario Torresi (Torre) ricordato da Simonetta Pasqualini Mario Aldobrandini (Mariolì) Attilio Taddei (Deo)
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INDICE
Parte III Il Circolo e le Grazie Il circolo “Walter Germontari”: breve storia di Rosalba Cesini
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“Le chiavi sulle porte” al quartiere Grazie e il Circolo operaio di mutuo soccorso “Walter Germontari” di Rossana Frattini
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Parte IV Testimonianze Umberto Baldinelli Elsa Mangiaterra Cesini Raffaela Jonna Dianella Pennoni in Muti e Filomena Maturi Roberto Re Frida Di Segni Russi Luigi Stacco e Ida Bilò raccolte da: Rosalba Cesini, Simonetta Gorga, Aurora Ferraro, Rossana Frattini
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Appendice I I giovani di ieri incontrano i giovani di oggi. Il bisogno di far dialogare i valori Istituto Comprensivo “Grazie Tavernelle” Claudia Ferri, Elisabetta Micciarelli
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Appendice II Come si viveva e si mangiava alle Grazie di Simonetta Gorga
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PREMESSA
Come nasce questo libro di Simonetta Gorga
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gni anno, il 25 aprile, il Circolo Operaio “Walter Germontari” celebra la ricorrenza della Liberazione: per il Circolo e per il quartiere i valori dell’antifascismo e della Resistenza sono iscritti nel loro DNA, tant’è che i soci, in passato, preferirono chiudere la sede piuttosto che sottostare alla giurisdizione fascista. Il 2014 è un anno particolarmente importante per il Circolo perchè ricorre il 70° anniversario della Liberazione delle Marche e della città di Ancona, ma anche perchè è il 70° anniversario della morte di Walter Germontari a cui il Circolo Operaio è intitolato. Walter Germontari è il giovane partigiano nato ad Ancona – quartiere Grazie – morto appena ventenne nell’eccidio di Monte Sant’Angelo ad Arcevia la mattina del 4 maggio 1944. Il Comitato Direttivo ha voluto che la ricorrenza del 2014 fosse particolarmente significativa e per questo ha coinvolto la scuola Secondaria del quartiere “G. Marconi”, l’ANPI di Ancona e di Arcevia e, perchè della cerimonia rimanesse una testimonianza indelebile, ha voluto raccogliere in questo libro varie memorie e testimonianze: “Confrontandosi per crescere insieme”. Questa pubblicazione così ricca di testimonianze di uomini e donne che hanno vissuto gli anni del periodo della guerra e della Resistenza racconta come si viveva nel quartiere, le sofferenze, le distruzioni e le tragedie particolarmente pesanti in una città che è stata tra le più bombardate d’Italia. L’obiettivo è quello di salvaguardare quella memoria storica che appartiene a tutti noi e che deve essere trasmessa ai più giovani affinché sappiano che la realtà di oggi, assai diversa da quella di ieri, è il frutto di quelle tragedie. Occorre anche ricordare ai giovani di oggi che tantissimi “giovani di ieri” hanno combattuto e sono morti per la libertà del nostro Paese: i tanti episodi raccolti nel libro sono testimonianze dirette e, in alcuni casi, inedite di ragazzi che, poco più grandi di quelli con i quali abbiamo collaborato per la stesura del libro, hanno messo in gioco la propria vita per gli ideali di libertà e di giustizia come ha fatto Germontari. Di Walter fino ad oggi si conoscevano ben poche cose: era necessario che quella foto appesa all’interno del Circolo avesse una storia e che quella storia fosse conosciuta dal quartiere e non solo. Avere ricostruito l’identità di questo giovane eroe significa anche che, da oggi, il Circolo “W.G.” ha sancito per sempre il suo legame indissolubile con i valori universali della Resistenza e dell’Antifascismo.
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PREFAZIONE
L’importanza di ricordare. Il passato, una sfera magica che predice il futuro di Claudio Maderloni
E
ravamo abituati a sentir parlare della resistenza al nazifascismo del 43-45 e, in modo separato, dall’impegno antifascista nei venti anni della dittatura. Con il nuovo corso dell’ANPI si è contribuito, secondo me, alla riunificazione della lotta al fascismo (regime che non è stato mai diverso dall’essere autoritario, repressivo, antisociale e violento) con la resistenza. Chi ha combattuto nella resistenza aveva alle proprie spalle tanta attività antifascista, frutto di quella “scuola politica” che era nata e si era forgiata dentro le carceri, al confino e, per molti, all’estero. Il lavoro fatto nella clandestinità è servito da base anche culturale per la lotta partigiana. Il primo insegnamento che ci è stato trasmesso è l’etica della politica: la politica che deve occuparsi della risoluzione dei problemi collettivi. Insegnamento che oggi sembra essersi perso: infatti spesso la politica viene intesa, o peggio utilizzata, quale strumento per la risoluzione dei fatti propri. Lottare contro ogni soprafazione, è un altro insegnamento fondamentale che porta dritto alla lotta per la libertà, la giustizia, l’uguaglianza; la barra di direzione è la nostra Costituzione. Si sente ancora vivo lo spirito battagliero, l’altruismo, la voglia di donare se stesso per le ragioni di tutti. Questo soffio vitale viene trasmesso anche alle nuove generazioni nelle tante iniziative che si fanno nelle scuole, negli incontri con gli studenti. E noi dovremmo saper guardare al futuro e assimilare dalle nuove generazioni la voglia di cambiamento che sta scuotendo il mondo. Ricordare gli avvenimenti della Resistenza significa ricordare la nostra storia, continuare a tenere in vita la memoria di tanti che si sono sacrificati per darci un mondo nuovo, ribadire anche oggi ai loro familiari e a noi stessi che quei compagni non sono morti invano. E’ importante ricordare quali erano le condizioni di vita della stragrande maggioranza degli italiani; stiamo parlando del periodo fascista, dopo la marcia su Roma, che durerà per vent’anni. L’8 settembre non arrivò così per caso. La miseria era la compagna quotidiana di tantissime famiglie, tanto peggio se famiglie di antifascisti i quali conoscevano la disoccupazione il carcere ed il confino. Si sopravviveva grazie
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PREFAZIONE
L’IMPORTANZA DI RICORDARE. IL PASSATO, UNA SFERA MAGICA CHE PREDICE IL FUTURO
alla rete di solidarietà che veniva tessuta fra amici e compagni. Non c’erano le libertà di base: pensiamo all’impossibilità di iscriversi e militare in un sindacato, di porre in atto qualsiasi strumento teso a garantirsi un futuro migliore. Le Camere del Lavoro furono date alle fiamme, come furono bruciati i libri. Erano vietati i partiti e le associazioni culturali, era vietato semplicemente riunirsi in assemblea. Non c’erano le istituzioni pubbliche, non funzionava né la Camera dei Deputati né il Senato; al loro posto c’era il gran Consiglio. Non c’erano neanche i quotidiani, quelli liberi, e in genere nessun strumento di informazione era ammesso. Non si poteva criticare le scelte del governo fascista. Fino ad arrivare alle sciagurate leggi razziali del 1938… I circoli operai, come quello che oggi porta il nome di Walter Germontari, furono sostanzialmente usurpati e resi alle strutture fasciste. Se i dirigenti dei circoli si rifiutavano di “donare” la struttura all’associazione fascista, questi venivano chiusi, i portoni venivano incendiati, i soci venivano minacciati e perseguitati. Questo era il fascismo, oltre alle tante guerre, dall’Africa alla Spagna dalla Grecia alla Russia. Mio padre Raffaele, “Raffa”, così lo chiamavano durante la clandestinità i suoi compagni, è stato fondamentale nella mia vita, come in quella dei miei fratelli. L’antifascismo ci è stato trasmesso quasi come patrimonio genetico, così come l’importanza di impegnarci sempre in prima persona per il bene collettivo. Non nascondo che la sua scelta politica ha avuto un costo a livello familiare, ed è stata soprattutto mia madre Rinalda a pagarne il conto. Mia madre si faceva carico della famiglia quando lui veniva messo in carcere o inviato al confino a Ventotene o licenziato...come in tutte le famiglie antifasciste. Tutto questo è durato per venti anni. Ed anche dopo la liberazione sulla famiglia e su mia madre hanno pesato le conseguenze del difficile rapporto con il Partito Comunista di Ancona, peso ancor più gravoso proprio perché la vicenda veniva ordita all’interno di quel Partito. Da lui ho appreso il valore dei rapporti fraterni tra compagni. Rispetto e fiducia nati nella clandestinità e rafforzati durante la Resistenza. Più che dai racconti o dalla lettura dei libri, tante cose le ho apprese indirettamente “respirando” il rispetto l’attenzione e l’affetto che, anche a distanza di anni, si serbavano. Quando raccontava del suo confino a Ventotene, difficilmente parlava delle sue condizioni di vita, piuttosto si soffermava sulla situazione politica generale e sulle lotte dei confinati per ottenere libri, piuttosto che la mensa, oppure per il diritto a riunirsi o a studiare. Delle sue reali condizioni ne sono venuto a conoscenza dopo la sua morte, andando alla ricerca dei documenti che mi servivano per raccontare la storia dei sessanta confinati politici marchigiani a Ventotene. Questi erano gli antifascisti. E quindi occorre rinnovare la memoria affinché ciò non accada mai più. Per non perpetrare negli errori commessi, bisogna non rimanere indifferenti: la partecipazione è lo strumento indispensabile per scongiurare questi pericoli. La libertà è la condizione essenziale per una vita degna ed è necessario vigilare sempre ed in prima persona perché la libertà la giustizia l’equità non sono garantite a tutti e per sempre. Cominciamo con il saper individuare e debellare anche le piccole angherie rivolte magari a pochi che però nel tempo possono costituire terreno fertile per l’ingiustizia e la violenza. Dobbiamo superare la visione individuale con la consapevolezza che solo se le condizioni di uguaglianza sono garantite a tutti, si afferma la pace e la democrazia. Una delle conseguenze di questa grave crisi economica è che si è portati a guardare al vicino
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L’IMPORTANZA DI RICORDARE. IL PASSATO, UNA SFERA MAGICA CHE PREDICE IL FUTURO
PREFAZIONE
come ad un concorrente se non addirittura come ad un nemico; se poi l’altro non è nato nella tua città o nella tua stessa regione o magari in Italia… Fanno presa le tentazioni ostentate dai movimenti populisti che, tragicamente, possono portare solo a momenti autoritari. L’ho già detto ma voglio ripeterlo: la partecipazione è lo strumento per cambiare. L’ANPI recentemente ha scritto ”non è l’Italia che volevamo” spiegando, però, che è la nostra stessa Costituzione a prevede gli strumenti con i quali poter cambiare. La Costituzione garantisce i diritti ed individua i doveri e i modi per rendere realmente fruibile quanto sancito. Applicare la Costituzione è l’impegno di ogni amministratore pubblico e di ogni politico; applicarla, non modificarla. Nella Costituzione si trova tutto quello che serve per definire compiutamente un uomo, una donna, un cittadino, non un suddito. Dobbiamo chiedere ai giovani di tenere attiva la coscienza, devono innamorarsi del loro coraggio, saper dire di no a chi ha paura del loro pensiero, difendere i loro diritti e le loro libertà, e pretendete la giustizia, difendere ciò che gli è caro, difendere la natura che li circonda, ma soprattutto imparare a condividere, a rispettare e a partecipare. Ed è evidente che quando parliamo della Costituzione, non possiamo non parlare di chi ci ha dato questa carta fondamentale e, quindi, riparliamo dalle lotte per la liberazione che oggi è al suo settantesimo anniversario per la nostra Regione.
Tratto da “Il prezzo della libertà”. A cura dell’Associazione Nazionale Perseguitati Politici Antifascisti. Episodi di lotta antifascista
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L’anticamera del tribunale speciale di Raffaele Maderloni Verso la fine dell’estate 1932 il IV, il VI e l’VIII braccio di “Regina Coeli” erano pieni di detenuti politici. Rappresentavano tutte le province d’Italia. Prevalevano gli operai e i contadini braccianti. Tutti i partiti antifascisti erano rappresentati, ma la grande maggioranza era costituita da comunisti, quasi tutti tra i 20 e i 35 anni di età Da mesi il tribunale speciale oziava mentre i detenuti si ammucchiavano sempre più numerosi in celle che dovevano ospitarne uno solo. Una notte il carcere si riempì fino all’inverosimile. Grandi retate di antifascisti erano state effettuate nei Castelli e ora gli arrestati venivano pigiati dentro il carcere romano. La vita, nelle celle, diventava sempre più dura; si desiderava l’inizio dei processi – sembra incredibile a dirsi – per poter andare in una casa di reclusione, augurandosi, magari, di capitare nel penitenziario di Volterra, dove, si diceva, era rinchiuso Mauro Scoccimarro che, si diceva, dava lezioni di economia politica.
”
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PREFAZIONE
Una parola c’è Resistenza di Michele Cantarini
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Italia ha poco più di centocinquant’anni di storia. Nei primi ottanta ha fatto guerre e creato un mostro. Negli ultimi settanta ha fatto di tutto per dimenticare il mostro che aveva creato. Ciò comporta dei rischi. Il primo è quello di dimenticare troppo, di non ricordarsi più il come e il perché quel mostro era nato. Il secondo è quello di dimenticare che c’è stato qualcuno che ha dato la vita per combattere ed eliminare quel mostro. E invece bisogna ricordare, bisogna ricordarseli tutti, questi “partigiani”, questi eroi, questi difensori. Perché ricordarsi di loro vuol dire ricordare la storia, ricordare i come e i perchè, ma anche certi concetti perduti, la Patria con la maiuscola, la Libertà. E oggi? Il mostro è stato sostituito da mostriciattoli insidiosi, per i quali civiltà e cultura significano nemici da combattere. L’impressione è che ci sia il pericolo di scivolare tutti al loro basso livello. E la domanda è: se ci fosse ancora bisogno di difensori, di eroi, ci sarebbe ancora oggi qualcuno disposto a dare tutto? Per cosa? Un dubbio legittimo. Ecco perché dobbiamo sapere, dobbiamo imparare, dobbiamo ripetere i nomi e cognomi di quegli eroi, gente come noi, che veniva dalla nostra terra, che si è battuta per un qualcosa che adesso si fa fatica a concepire. Solo la conoscenza, solo la comprensione dei momenti passati consente di preparare il terreno culturale e le risposte ai mostri e mostriciattoli di oggi e di domani. Ecco perché, quindi, c’era e c’è bisogno di questo libro, in questo luogo e in questa occasione. E mi piace rilevare la affinità tra Walter Germontari, difensore della Patria e della Libertà, e il Circolo che porta il suo nome, Circolo storico della città di Ancona, Circolo ARCI, Circolo che difende da sempre i valori di associazionismo e socialità, la socialità fatta da gente che SI INCONTRA, SI PARLA, SI SCAMBIA IDEE PER DAVVERO, il che nel modello di comunicazione oggi dominante, basato su messaggi scritti da e per sconosciuti attraverso macchine senza volto e senza voce appare quasi alieno. Promozione di socialità, cultura, memoria storica: il tutto in un libro, nel ricordo della storia di un uomo e di una Associazione che di quest’uomo porta il nome. Nel 2014, nel mondo della chiusura individuale e degli egoismi dominanti, dei separatismi e dei revisionismi, come possiamo definire tutto ciò? Una parola c’è. Resistenza.
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INTRODUZIONE
I circoli popolari in Ancona antifascismo e resistenza di Ruggero Giacomini
Q
uesto libro Sotto l’ombra di un bel fior richiama nel titolo la celebre canzone partigiana Bella ciao e vuole ricordare nel 70° della morte la figura eroica del giovane partigiano graziarolo Walter Germontari, caduto ad Arcevia con tanti suoi compagni il 4 maggio 1944 per la giustizia e la libertà d’Italia; cerca di ricostruire attraverso le testimonianze ed altre esperienze il contesto di quella scelta, e anche ripercorre la vicenda del circolo popolare del quartiere che, rimasto chiuso sotto il fascismo, ne assunse il nome alla riapertura dopo la riconquistata libertà, divenendo anche un centro di riferimento negli anni del dopoguerra per la vita ricreativa culturale e politica del quartiere, nella sua espansione e trasformazione. I contributi qui raccolti, frutto del lavoro di un gruppo attivo di soci e soprattutto socie, vengono così a sviluppare ed integrare la pubblicazione di Gianni Pistelli del 1981 sui primi Cento anni di storia del circolo,1 e quella di Reilvo Muti del 1984 sul quartiere delle Tavernelle, a cura del Circolo Operaio ARCI “Pietro Ranieri”.2 Va detto per altro, come curiosità storica, che la famiglia di Ranieri – militante anarchico costretto all’esilio dal fascismo e morto combattendo valorosamente in Spagna in difesa della Repubblica - abitava al numero 11 di via delle Grazie, verso il Piano San Lazzaro. A quell’indirizzo scrive da Barcellona alla madre Annita Rossi vedova Ranieri il 16 agosto 1936 una delle sue ultime lettere, intercettata dalla polizia, dove chiedeva aiuto per rifarsi i documenti di cui era rimasto privo, scrivendo anche quella che fu la sua ultima dichiarazione di fede: “fate quello che potete se mi potete mandarmi, perché io non scrivo ne a Mussolini e ne al papa e nemmeno al Padre terno, se ce un padreterno quando morirò farò i conti con lui e nessun altro”.3 Il circolo Germontari nacque come “Società Operaia di Mutuo Soccorso” nel giugno del 1881, con il nome di ispirazione risorgimentale “30 Aprile”, legato alle vicende della Repubblica romana. Primo scopo era, attraverso una cassa finanziata dai contributi dei soci lavoratori e vendita di bevande e feste, dare un sussidio a chi non potendo lavorare per malattia sarebbe stato alla fame. Le società operaie di mutuo soccorso, che si erano diffuse largamente in Italia dopo l’unità, avevano rappresentato un salto di qualità nel campo assistenziale dal punto di vista della efficienza e dignità rispetto a pur benemerite società caritatevoli e di soccorso alla miseria come la S. Vin1 - Gianni Pistelli, Circolo operaio “W.Germontari” Cento anni di storia 1881-1981, Ancona 1981. 2 - Reilvo Muti, Storia popolare di un borgo di periferia. Antifascismo e resistenza a Tavernelle di Ancona, Circolo Operaio ARCI “P. Ranieri”, Ancona 1984. 3 - La lettera intercettata dalla polizia e conservata all’Archivio di stato di Ancona nel fondo Questura, è riprodotta fotograficamente in R. Lucioli, M. Papini, Dal mutualismo all’associazionismo democratico. Per una storia dei circoli operai nell’anconetano, Arci Ancona/ Il Lavoro editoriale, Ancona 1995, p. 44.
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INTRODUZIONE
I CIRCOLI POPOLARI IN ANCONA, ANTIFASCISMO E RESISTENZA
cenzo de Paoli. Furono anche i primi passi organizzativi del movimento operaio e continuarono a vivere anche dopo la costituzione dei sindacati di mestiere e delle camere del lavoro, rappresentando come in Ancona una rete diffusa e radicata di luoghi di ritrovo e aggregazione autogestiti, che il fascismo cercò di soffocare, facendoli chiudere o cercando di impadronirsene e fascistizzarli. Mussolini, chiamato al governo dal re Savoia e sostenuto inizialmente in Parlamento dai voti determinanti di liberali, democratici sociali e cattolici popolari, si propose da subito, tenendo a sé il ministero dell’Interno e controllando così la polizia, di emarginare e soffocare le forze di opposizione, ostacolandone in ogni modo l’attività grazie al potere dei prefetti. Questi, controllati direttamente da Roma, furono sollecitati a usare ampiamente della facoltà discrezionale di intervento di cui godevano, col pretesto di dover assicurare l’ordine pubblico. In Ancona già nell’agosto 1922, dopo l’occupazione della città da parte delle squadre fasciste armate convogliate da tutta Italia per saggiare fino a che punto potevano contare sulla collaborazione delle autorità di governo e come prova generale per la successiva “marcia su Roma”, furono devastate la gran parte delle sedi delle organizzazioni popolari, dalla Camera del lavoro agli Archi, allo storico circolo “Andrea Costa” dei socialisti al piano, alle sedi degli anarchici e del giovane partito comunista. Col governo Mussolini furono prese di mira anche quelle associazioni che non facevano direttamente riferimento ai partiti politici, ma costituivano luoghi di ritrovo e discussione di popolani che vi manifestavano le loro libere idee, e per questo viste con timore dal regime che aspirava a imporsi totalitariamente. Particolarmente invise erano le società di mutuo soccorso, per lo spirito solidaristico e di resistenza che mantenevano vivo e praticavano. La cassa comune era alimentata dalle quote associative e sottoscrizioni straordinarie, e dai proventi del bar, delle feste e delle cene. Le sedi erano state realizzate in gran parte col lavoro volontario, sforzi e sacrifici di generazioni di popolani, e costituivano una concreta e ramificata articolazione della società civile anconetana. Il 3 gennaio 1925, sostenuto dal re, il fascismo uscì dalla crisi seguita al rapimento e all’assassinio del deputato socialista unitario Matteotti con un discorso aggressivo di Mussolini alla Camera contro le opposizioni, in cui rivendicò a sé sfrontatamente la responsabilità politica di quanto era successo e dei crimini squadristi. L’indomani partiva da Roma una circolare che ordinava ai prefetti di sottoporre a stretta repressiva tutto ciò che si muoveva nel campo dell’opposizione. Vennero allora chiuse d’autorità le sedi ancora funzionanti del partito repubblicano e molte società popolari non direttamente politiche. E’ questo un aspetto della costruzione forzosa del “consenso” da parte del fascismo su cui spesso si sorvola. Le notizie che seguono, relative alla realtà anconetana, sono ricavate dalla corrispondenza tra il prefetto dorico e il ministero dell’Interno, conservata in un fondo di polizia all’archivio centrale dello stato.4 Dunque nello stesso mese di gennaio 1925 il prefetto fece chiudere la Società di mutuo soccorso del Borgaccio, intitolata al patriota risorgimentale romagnolo, fervente mazziniano, “Eugenio Valzania”. A dire del funzionario era composta in gran parte di “elementi sovversivi o per lo meno abituale ritrovo dei medesimi, di guisa che è da presumersi che essi vi convengano più a scopo politico che di divertimento”. Contemporaneamente furono pure chiusi al Borgaccio il circolo “1° Agosto 1906”; in via Ponteconocchio la Società repubblicana “Mazzini e Dovere”; al Pinocchio la società di mutuo soccorso “Aurelio Saffi”; agli Archi “Pace e Concordia”. Inoltre furono chiuse tutte le sezioni del partito repubblicano di Ancona e provincia, l’Associazione Italia Libera “Lamberto Duranti” in piazza Garibaldi 2, la società sportiva “Edera” in via Vasari 40.5 4 - ACS, PS G1, b.220, fasc. Ancona. 5 - Elenco delle Associazioni esistenti nella Provincia di Ancona che sono state disciolte, s.d. (ma 1925), in Acs, Ancona, 1912-1926.
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I CIRCOLI POPOLARI IN ANCONA, ANTIFASCISMO E RESISTENZA
INTRODUZIONE
In via Cardeto fu chiusa la Società popolare educativa “Gioconda”, attiva dal 1902. La sede, costituita da una casa ad un piano denominata “villa Gioconda”, venne confiscata; e il podestà Moroder, nominato liquidatore, si incaricò di venderla e “devolvere il ricavato netto a favore di qualche istituto di assistenza per la protezione delle donne e dei fanciulli”, cercando di abbellire l’atto che si consumava contro i soci. Reilvo Muti nella già richiamata storia popolare ricorda come fu “conquistato” il Circolo di mutuo soccorso “Il Potere”, che era nato nel 1905 alle Tavernelle: il 6 gennaio 1925 ci fu un’assemblea convocata dal segretario della sezione fascista e dominata dai fascisti intervenuti senza essere soci, e fu imposta di prepotenza la donazione della sede all’Opera nazionale dopolavoro insieme anche il cambiamento del nome in quello di “Armando Canalini”, deputato fascista di Forlì, che era stato ucciso in tram a Roma il 12 settembre ‘24 da un operaio per vendicare Matteotti.6 Nel novembre 1926 Mussolini, sempre con l’assenso del suo sodale Savoia, attuò un colpo di stato, facendo arrestare notte tempo alla vigilia della riunione della Camera i deputati e maggiori esponenti dell’opposizione, tra cui Gramsci; ponendo fine al parlamento rappresentativo e alle elezioni, mettendo fuori legge tutti i partiti politici diversi da quello fascista e creando il tribunale speciale con giudici della milizia fascista per sentenziare nei processi di indole politica. Con totale discrezionalità e senza scomodare alcun giudice si potevano effettuare perquisizioni e arresti e comminare condanne fino a cinque anni al confino politico, reiterabili e reiterate senza limiti, tanto che alcuni dei primi arrestati tornarono in libertà solo con la caduta del fascismo. Era la completa dittatura e il regno del totale arbitrio dello stato fascista di polizia. In questo clima nel febbraio 1928 in Ancona fu scoperto che il circolo “Goffredo Mameli” delle Torrette, già chiuso come sottosezione del partito repubblicano, continuava a vivere e “ad assistere occultamente i soci praticando il mutuo soccorso”. Per troncare tale attività pericolosa agli occhi del regime ne fu confiscato d’autorità il patrimonio, un fabbricato di 5 vani, che era stato affittato e adibito a forno. Anche quella che era stata la sede del circolo “Pace e Concordia” degli Archi era stata affittata, e vi si era stabilito il Dopolavoro ferroviario. Ma nel dicembre 1929 il prefetto trovò che con il ricavato delle attività venivano soccorse famiglie in condizioni di bisogno, per cui ne decretò immantinente la confisca. L’edificio valeva allora 80 mila lire, in più c’erano i mobili, gli utensili e una somma liquida in cassa di L.1.885,15; tutto fu trasferito al Comitato di Ancona dell’Opera nazionale dopolavoro, organizzazione del regime che vi si installò. Nell’aprile 1928 il prefetto trovò che la società “Aurelio Saffi”, “già composta di soci anarchici e repubblicani”, continuava pure essa “nella sua attività sotto forma di occulta assistenza ai soci, con i quali d’accordo, tende a ridare completa attività al sodalizio, col pretesto di trasformarlo in ‘Dopolavoro”. Era chiaramente un tentativo di continuare a vivere, inserendosi formalmente nell’organizzazione dopolavoristica del regime. Il prefetto tuttavia era intervenuto “allo scopo di rompere definitivamente una tale compagine di resistenza antinazionale”, per cui decretò la confisca di tutti i beni, “con divieto di ricostituirla sotto qualsiasi forma o denominazione”. Furono così sequestrati il fabbricato che era la sede della Società al Montagnolo e tutti i beni che vi aveva. Il mese dopo il prefetto in una lettera al Ministero ricordava il decreto di chiusura da lui emanato poiché la società aveva continuato ad esplicare attività di mutuo soccorso, “mantenendo così ancora vivo il legame fra i soci, che in questo frattempo non hanno dato prove convincenti di avere abbandonato i propri principi e di voler seguire l’indirizzo del Governo Nazionale”. Nel giugno 1928 sempre il prefetto riferì a Roma che anche la società di mutuo soccorso “Val6 - Muti, Storia popolare, cit., pp.24-5.
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INTRODUZIONE
I CIRCOLI POPOLARI IN ANCONA, ANTIFASCISMO E RESISTENZA
zania” continuava occultamente l’attività assistenziale “a mezzo dei soci Pietrini Augusto fu Colombo di anni 62 e Papa Cesare fu Giovanni di anni 58, abitanti al Borgaccio”, per cui requisiva la sede di proprietà in via Palombella 103, e la passava ad organizzazioni del regime. Contemporaneamente l’autorità lavorava a promuovere una occupazione “dall’interno” da parte dei fascisti, come si era fatto alle Tavernelle. Nel giugno 1928 il prefetto sciolse il Consiglio direttivo del circolo “Mazzini e Dovere” agli Archi e nominò un commissario con il compito di “impedire lo sperpero delle attività dell’Associazione”, cioè l’erogazione di sussidi ai disoccupati, malati e famiglie in stato di bisogno, e di “tentare di indirizzare il sodalizio alle sane e patriottiche attività”. L’anno dopo doveva registrare tuttavia il fallimento dell’operazione, in quanto il commissario aveva “tentato vari mezzi per raggiungere lo scopo”, incontrando tuttavia “sempre una tenace resistenza tra i soci, i quali hanno dimostrato di volere mantenere indipendente il sodalizio”. Insomma non si volevano sottomettere; per cui il prefetto confiscò le proprietà, costituite da due fabbricati rispettivamente in via Ponteconocchio 23 pianoterra e via Palombella 32 di 3 piani, mobili vari, un biliardo e denaro compresa una cartella di mille lire del prestito del Littorio, e trasferì il tutto all’Opera nazionale Balilla, che aveva a suo giudizio “necessità di istituire un locale rionale al quartiere degli Archi, una volta rocca del sovversivismo anconetano”. Un analogo tentativo di occupazione dall’alto fu messo in opera verso la Società “Pace e Unione” di Pietralacroce. Nel settembre 1926 il prefetto sciolse il direttivo col solito pretesto dei “motivi di ordine pubblico” e nominò un commissario, il quale “procedè alla riorganizzazione del sodalizio, modificò lo statuto sociale, ed eliminò qualche elemento sovversivo più in vista”; cambiò la urtante denominazione “Pace e Unione” in quella più gradita di “IV Novembre” che richiamava la vittoria nella guerra; fece ratificare dai soci i provvedimenti ed eleggere un nuovo direttivo, “che risultò composto di qualche fascista e di simpatizzanti pel fascismo”. Dopo di che “nel febbraio 1927 fu autorizzata la riapertura del locale”. Ben presto però “si dovette constatare che l’attività del sodalizio non era mutata di molto, poiché gli ascritti, ligi, nel loro interno, alle ideologie dei partiti sovversivi, non assecondarono in alcun modo gli sforzi dei dirigenti per uniformare l’attività del sodalizio alle direttive del Governo Nazionale”. Così nel novembre 1929 il prefetto ne decretò il definitivo scioglimento e la confisca dei beni. Il locale, del valore stimato di lire quarantamila di allora, più mobili e liquidi vennero passati all’Opera Balilla, che anche nella popolosa borgata aveva “scarso sviluppo” a causa della “ostentata indifferenza mostrata da quelle famiglie verso tali organizzazioni”. Così, il frutto di sacrifici volontariamente sostenuti da molti lavoratori finivano d’autorità ai fascisti, che, difensori ideologici della privata “proprietà” contro ogni idea di socializzazione, anarchica socialista o comunista, cercavano poi disinvoltamente nella pratica di rendere “propri” i beni altrui. E’ questo il contesto in cui avvenne che al circolo delle Grazie, che aveva già dovuto adattarsi per riaprire e sopravvivere all’abbandono del nome “30 Aprile”, giudicato “sovversivo” perché evocava la repubblica romana, in quello di “4 Novembre”, fu posta l’ulteriore condizione di cessare come associazione autonoma e confluire armi e bagagli nelle strutture dopolavoristiche del regime. Poiché in base allo statuto la Società non avrebbe potuto essere sciolta finché ci fossero stati almeno cinque soci disposti a mantenerla in vita, ci fu questa coraggiosa minoranza che si oppose alla liquidazione. Ciò permise ai soci, caduto il fascismo, di poter rientrare nella piena disponibilità giuridica del loro bene, al contrario di chi era passato, con le buone o con le cattive, al Dopolavoro, le cui proprietà furono incamerate dallo Stato. E’ questo un episodio di resistenza significativo, che si aggiunge ai tanti altri di quegli anni. Il circolo venne riaperto con una pubblica manifestazione la domenica 12 maggio 1946, mentre ferveva la campagna elettorale per l’Assemblea Costituente e il referendum Repubblica/Monarchia. Fu intitolato alla memoria del gio-
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vane partigiano caduto ad Arcevia Walter Germontari, in onore di un partigiano cresciuto nell’ambiente del quartiere, dove forse aveva respirato sotto traccia le prime idee di libertà, e come riconoscimento che era stata la lotta antifascista e di liberazione nazionale che aveva consentito con la riconquistata libertà di associazione la nuova vita al Circolo. Scarni sono i particolari biografici dell’infanzia e giovinezza di Germontari, che vengono qui ricostruiti per la prima volta nel contributo iniziale di Aurora Ferraro. Certo dovette contare per la sua scelta partigiana anche e specialmente l’esperienza durante la guerra come operaio al cantiere navale, dove operava da tempo una cellula comunista.7 Qui ebbe compagni di lavoro che sarebbero anch’essi divenuti combattenti partigiani, come Nello Stacchiotti, che ricorda Walter in uno degli appunti manoscritti che ha lasciato. Subito dopo l’8 settembre Germontari è partecipe delle prime attività di resistenza che coinvolgono il quartiere delle Grazie,8 per poi andare in montagna con i partigiani. Stando a un documento della Commissione regionale marchigiana per il riconoscimento della qualifica di partigiano, egli passò con i partigiani dal 2 novembre del ’43,9 unendosi alla formazione del monte S.Angelo di Arcevia dopo un periodo trascorso col Gap di Montacuto. Era stato spinto ad abbandonare il lavoro e sfollare dal capoluogo con la famiglia a causa del terribile bombardamento del 1 novembre, e fu naturale il suo associarsi ai partigiani, spinto dalla voglia di battersi per la giustizia e contribuire ad affrettare la fine della guerra. Scampoli della sua vita partigiana tra i ribelli del monte, prima del grande rastrellamento nazifascista, dell’ultima battaglia e della morte nella più efferata strage nazifascista delle Marche il 4 maggio 1944, emergono dai racconti di Wilfredo Caimmi, testimone e protagonista di quei fatti, il principale narratore della resistenza marchigiana.10 Già il 30 settembre 1944, mentre le Marche finivano di essere liberate, la Commissione regionale marchigiana proponeva per Walter Germontari ed altri protagonisti di quei tragici fatti la concessione della medaglia d’argento al valor militare, con la motivazione con cui gli verrà poi conferita la medaglia di bronzo e che è riportata integralmente nel contributo di Paolo Orlandini. Sotto l’ombra di un bel fior richiama come si è già detto la canzone più popolare della resistenza, Bella ciao. Probabilmente Walter Germontari e gli altri partigiani di Arcevia non la conoscevano ancora e tuttavia il rapporto di Bella ciao con i partigiani dell’Anconetano è molto più stretto di quanto non si pensi. Oggi sappiamo infatti di sicuro che essa era nota ai partigiani del monte San Vicino. Per molto tempo si è pensato che Bella ciao fosse nata dopo la lotta partigiana. Nella raccolta dei Canti della Resistenza italiana, pubblicata nel 1985 presso la Biblioteca universale Rizzoli, gli autori Savona e Straniero, presentando il “canto italiano di argomento partigiano più popolare” sostenevano che “presumibilmente Bella ciao non fu mai cantata durante la guerra partigiana, ma nacque nell’immediato dopoguerra”. In una ricerca più recente Stefano Pivato, attuale rettore dell’Università di Urbino, ha registrato che “la circolazione di Bella ciao durante la Resistenza risulta cir7 - Raffaele Maderloni, Ricordi 1923-1944, a cura di Claudio Maderloni e Massimo Papini, Istituto Gramsci Marche, “I Quaderni” n.13-14, dicembre 1995, p. 97, ricorda come esponenti: Remo Ricci, Leonida Remaggi, Emilio Medici, Idilio Marazzotti, Dino Squartini. 8 - Muti, Storia popolare, cit., p. 35. 9 - Ministero dell’Assistenza post-bellica, Commissione regionale marchigiana per il riconoscimento della qualifica di partigiano, Elenco errata-corrige n.2, Ancona, 28 Gennaio – 28 Febbraio 1947. Riportato ivi come Germondari, e anche da Muti, Storia popolare, cit., p. 81. 10 - Cf. in collaborazione con Alfredo Antomarini, Ottavo chilometro. Memorie di vita partigiana nelle Marche, Il Lavoro editoriale, Ancona 1995, e poi Al tempo della Guerra (Raccolta di racconti), A.C.Remel, Ancona 1996 e il suo capolavoro …con la pazienza degli alberi millenari, Centro culturale “La Città futura”, Ancona 2002.
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coscritta alle zone di Montefiorino, nel Reggiano, e dell’alto bolognese, oltre a quelle delle Alpi Apuane e del Reatino. Cantata pochissimo – e comunque tardivamente – fu in zone del Nord Italia come Piemonte, Lombardia e Friuli”11. Dunque canzone cantata nella Resistenza, ma in zone circoscritte, sopra la linea Gotica e tardivamente. E’ invece da rettificare anche quanto scritto da Pivato. Infatti da documentazione recentemente acquisita risulta che “Bella ciao” è stata cantata tra i partigiani delle Marche. Lo ricorda in una lettera del 24 aprile 1946 la cittadina russa Lydia Stocks, che era stata partigiana sul monte San Vicino nel distaccamento comandato dallo scozzese Douglas Davidson; lettera scritta dall’Inghilterra al comandante della brigata “Garibaldi – Ancona” Vittorio Amato Tiraboschi e ora conservata nel fondo Tiraboschi dell’Archivio dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche. Quello di Douglas era uno dei distaccamenti della V Brigata Garibaldi -Ancona e il comandante era un ex pugile e maresciallo dell’esercito britannico che si era unito ai partigiani subito dopo l’8 settembre, operando prima sul versante di Matelica e poi tra Poggio San Vicino, che allora era una frazione del comune di Apiro (oggi comune autonomo di circa trecento abitanti), e Poggio S. Romualdo, frazione di Fabriano, allora nota come “La Porcarella”. Tra Douglas e Lydia, che le vicende della guerra avevano fatto incontrare in terra straniera, era nato un legame affettivo; ed è questa forse la ragione per cui a quella data lei si trovava in Inghilterra. Davidson però tornato a casa vi aveva trovato ad aspettarlo l’antica fidanzata e si sarebbero sposati. E Lydia appare nella lettera all’antico comandante una donna amareggiata e delusa, sia sul versante dello scozzese che per le notizie che riceve dall’Italia, con miseria e difficoltà tra i partigiani a trovare un lavoro e ripresa di iniziativa del fascismo. Era stato da poco trafugato il cadavere di Mussolini e lei dall’Inghilterra vi vedeva con amarezza un ritorno della reazione: “vedo, che in Italia ancora si vive il Fascismo e si vede che c’è una organizzazione, altrimenti chi poteva essere interessati in corpo puzzolente”. Ed è a questo punto che ricorda nella lettera il canto di “Bella ciao”. Scrive infatti nel suo italiano non molto corretto, ma espressivo: “Quando penso di tutto ciò, ho voglia di piangere perche[’] ancora ricordo tutto quello che abbiamo provato, tutti quelle giovani ragazzi che andavano [a] morire con il canto “Bella ciao”. E poi venivano ferite e morti, che non dimenticherò mai finché vivrò, perché ho amato con tutto il mio cuore tutti quelli ragazzi e amerò sempre. Per me la Italia [è] stata una seconda Patria”. Dunque, oltre all’amore dichiarato e un po’ nostalgico della bella russa per l’Italia, quello che qui viene detto chiaramente è che i gruppi partigiani scendevano dal monte San Vicino per andare a compiere delle azioni di guerra cantando Bella ciao. Per quali vie la canzone sia giunta sul San Vicino dopo l’8 settembre del ’43 noi non sappiamo dire. Sappiamo dalle ricerche di Cesare Bermani, specialista delle tradizioni popolari, che “Bella ciao” è un adattamento di una canzone cantata dai soldati nella prima guerra mondiale denominata Fior di tomba II. Stesso il motivo, cambiano in parte le parole.12 Non si sa da chi sia venuto l’originario adattamento, ma esso era già avvenuto nella primavera del ’44 in una zona delle Marche. Il che rende ancora più pregnante l’associazione ideale suggerita dal titolo di questo libro tra il circolo delle Grazie e i fermenti di resistenza antifascista alimentati dalla sua tradizione, e il giovane Walter Germontari e i compagni partigiani caduti insieme sul monte S.Angelo di Arcevia, alla cui memoria e sacrifici tutto il lavoro è dedicato. 11 - S.Pivato, Bella ciao. Canto e politica nella storia d’Italia, Laterza, Bari 2005, p. 183. 12 - R. Giacomini, “Bella ciao” nella Resistenza marchigiana, “il bollettino” delle sezioni Anpi di Arcevia, Cerreto d’Esi, Fabriano, Sassoferrato, Serra San Quirico, novembre 2013, n.3, pp. 52-4.
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Parte I Walter Germontari e i partigiani di Arcevia e dell’Anconetano