Castello rosso di tripoli

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Il Castello Rosso di Tripoli Un’esperienza di ricerca per un intervento di conservazione


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“IL CASTELLO ROSSO DI TRIPOLI UN’ESPERIENZA DI RICERCA PER UN INTERVENTO DI CONSERVAZIONE A cura di LAURA BARATIN LILIANA MAURIELLO Traduzioni: lingua inglese: Dott.ssa Gilly Fratini lingua araba: Dott. Ahmed Abdulhadi

ISTITUTO ITALIANO DI CULTURA TRIPOLI

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO “CARLO BO” Dipartimento di Scienze di Base e Fondamenti Scuola di Conservazione e Restauro

DEMINE - D&M ONG

DEPARTMENT OF ARCHAELOGY

In collaborazione con:

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio

UNIONE EUROPEA

Progetto finanziato dal MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI con i Fondi della ex Legge 212/92


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Il Castello Rosso di Tripoli Un’esperienza di ricerca per un intervento di conservazione

a cura di

Laura Baratin e Liliana Mauriello

Gabbiano editore


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“Ha senso restaurare il contenuto se non si restaura anche il contenitore?” sono parole pronunciate nella cerimonia di chiusura di un corso di tecniche di restauro organizzato dall’UNESCO per i funzionari libici del Dipartimento delle Antichità volto a mettere in sicurezza l’ ampia documentazione cartografica, fotografica, planimetrica, prevalentemente di natura archeologica, custodita all’interno del Castello Rosso. Il grido di allarme lanciato nelle stesse sale della fortezza tripolina, e ripreso dai media locali, anticipava la presentazione di questo bel volume, il cui scopo ultimo è quello di richiamare l’attenzione delle autorità libiche sui rischi di un lento e pericoloso degrado del simbolo principe della città, le cui fondamenta stanno facendo risalire l’umidità che potrebbe compromettere proprio quella documentazione che si è voluto recentemente far oggetto di cure e restauri specifici. Frutto e compendio tangibile di una lunga e travagliata missione finanziata dal Ministero degli Affari Esteri e guidata dall’Università di Urbino, questo ampio e documentato volume sarà senz’altro punto di riferimento per i futuri rilievi e progetti di riassetto che lo storico manufatto tripolino merita in quanto patrimonio non solo libico ma dell’umanità. Quanto dell’originario progetto per difficoltà ambientali non si è potuto fare e portare a termine lo si potrà fare ora nella nuova Libia libera, che sta decidendo il suo futuro. La domanda di saper fare è alta quanto mai da parte libica, e l’Italia ha riserve di esperienza e di capacità da condividere. In questa direzione l’Istituto Italiano di Cultura ha favorito l’instaurarsi di un proficuo rapporto di collaborazione tra l’università di Urbino e il Libya Board of Architects che, sotto l’egida del Ministero della Cultura della Libia, certamente saprà adoperare le sue risorse per proseguire congiuntamente, con tutte le autorità preposte, il ripensamento del Castello. Se Tripoli sarà la porta di ingresso e la cartolina postale della Libia per i turisti che numerosi la vorranno visitare quando si sarà pacificata, Il Castello Rosso ne sarà inevitabilmente il simbolo più affascinate e vistoso, e dunque non possiamo che augurarci di vederlo presto riaperto al pubblico, per i tesori, non solo archeologici, che contiene e per la mole di storia mediterranea di cui parlano i suoi cortili e i suoi bastioni. RUBENS PIOVANO Direttore Istituto Italiano di Cultura di Tripoli


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Ricordiamo ancora tutti i preparativi e i lunghi dibattiti tra il Dipartimento delle Antichità e la Responsabile scientifica di questo progetto, la professoressa architetto Laura Baratin, iniziati verso la metà del 2004 e coronati a febbraio 2005 con la firma di un accordo tra il Dipartimento delle Antichità e l’Università di Urbino, con la cooperazione della Scuola di Specializzazione per lo Studio ed il Restauro dei monumenti dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”. Il titolo dell’accordo era “Progetto di recupero e valorizzazione del Castello Rosso di Tripoli - Studio di fattibilità e formazione del personale” nonché ricerche negli archivi storici italiani, libici e maltesi. Questo libro si inserisce in questo contesto. E’ un lavoro che ricostruisce le fasi storiche che hanno coinvolto il Castello, come edificio di difesa e come sede del governatore, dall’inizio del VII secolo fino al XIV secolo, per poi seguire la fase spagnola, i Cavalieri di San Giovanni, il primo periodo Ottomano, l’epoca dei Caramanli, il secondo periodo Ottomano, fino all’arrivo degli italiani nel 1911. Tutto ciò è documentato con fotografie, planimetrie e dettagli relativi alle diverse fasi storiche, tratti da diverse fonti, rendendo questo libro un lavoro di documentazione non solo del Castello, ma anche della Medina di Tripoli e degli edifici costruiti durante il periodo coloniale, arricchito dalla descrizione degli edifici del castello, la sua storia, gli studi, i restauri e le modifiche succedutesi nel tempo. Dai testi e dalle foto possiamo constatare la cura con cui gli architetti della prima metà del ventesimo secolo abbiano rispettato il legame tra il Castello e la città vecchia e le costruzioni architettoniche minori, mantenendo i diversi elementi architettonici in armonia con tutte le altre componenti. Inoltre, il libro presenta Tripoli con la sua veduta marina, una città mediterranea che condivide le sue caratteristiche con le città del Nord Africa e del Mediterraneo, ricordando che l’architettura è stata anche uno strumento di dominio nel periodo italiano in Libia. Per quanto riguarda gli interventi architettonici sull’edificio del Castello Rosso, il libro ricorda gli impegni dell’ingegnere Armando Brasini che ha eseguito molti restauri tra il 1922 e 1923, e gli interventi in ambito urbano dell’ingegnere Florestano De Fausto nel periodo tra il 1934 e il 1935 che hanno creato un legame armonico tra il castello e la città moderna. Da ricordare inoltre Salvatore Aurigemma, che ricoprì la funzione di direttore degli scavi e dei monumenti in Tripolitania dal 1912 al 1919, e fu il primo responsabile delle antichità in Libia. In una pubblicazione del 1923, tra molte altre che riguardano le antichità libiche, ha trattato il Castello, esaminando la maggior parte dei documenti storici che lo riguardano e costituendo una fonte di riferimento anche per questo nostro libro. E’ utile ricordare qui che nel 2008 il Dipartimento delle Antichità ha pubblicato un libro, autore Mahmoud Essiddig Abohamed, ex direttore del dipartimento delle ricerche archeologiche e degli archivi storici in lingua araba, che tratta la storia dell’edificio del Castello. Oggi siamo di fronte a un’altra opera che parla di questo baluardo storico, in veste nuova nei modi, nell’esposizione, nel racconto e nelle informazioni, che non si limita solo al Castello Rosso ma esplora anche il suo vasto contesto come una cerniera di collegamento e di interazione con le costruzioni dell’area circostante. Chi leggerà questo libro si renderà conto degli sforzi compiuti per realizzarlo, e avrà il piacere di conoscere, attraverso le informazioni e le foto presenti un’importante parte della nostra storia e del nostro passato. Non vi è dubbio che la sua presenza nelle biblioteche, risponderà al bisogno di molti specialisti, studiosi, interessati e dei lettori in generale, e occuperà una importante posizione tra i testi che hanno trattato il Castello Rosso e l’eterna città di Tripoli. Vogliamo infine ringraziare ed esprimere piena gratitudine a chi ha contribuito alla realizzazione di questo lavoro, e l’alto apprezzamento per gli sforzi e gli impegni profusi per una pubblicazione che tratta di un importante monumento storico e richiede a tutti di conservarlo. ABDURRAHMAN YAHKLUF ABDURRAHMAN Presidente dell’Ente delle Antichità

MUSTAFA ABDALLAH ETTURGIOMAN Direttore del Dip. Delle ricerche e studi Archeologici


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L’esperienza presentata non rappresenta soltanto uno studio storico-architettonico del Castello di Tripoli, ma è stata l’occasione per alcune riflessioni sullo stato di conservazione di questo importante monumento libico, per avanzare proposte operative per il suo recupero e la sua valorizzazione, e infine un momento di confronto con un mondo ed una sensibilità radicalmente diversi, pur se collegati all’Italia da intense relazioni storiche e culturali. Il volume è il risultato di un lungo progetto nato dalla collaborazione dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” con il Dipartimento delle Antichità di Tripoli, con la partecipazione della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio per lo Studio ed il Restauro dei Monumenti dell’Università degli Studi di Roma “Sapienza” e con il sostegno di un’organizzazione non governativa di Firenze – Demine, che aveva già operato in Libia nel 2000, sviluppando alcune analisi preliminari ed elaborati esemplificativi sul modo di operare per la conoscenza e la salvaguardia del patrimonio culturale. La cooperazione culturale in generale e in quest’area in particolare, riveste un’importanza cruciale, favorendo da una parte il recupero d’importanti complessi architettonici di cui l’area del Mediterraneo è ricca, tramite lo scambio di metodologie e tecniche fra personale di diversi paesi, e dall’altra lo sviluppo economico nel procedere del processo di pacificazione con un auspicato incremento della presenza turistica. Italia e Libia, già in passato, sulla base di diversi Accordi bilaterali sia nel campo scientifico e tecnologico che in quello culturale, hanno sottolineato sia l’importanza di rafforzare l’impatto socioeconomico degli interventi nel campo della conservazione e valorizzazione del patrimonio dei beni culturali, in particolare del patrimonio archeologico, sia la necessità di un continuo stimolo alla promozione della lingua e della cultura italiana in Libia e ad una maggiore cooperazione interuniversitaria ed interculturale tra di due Paesi. L’Università di Urbino ha fin dagli anni ’50 avuto rapporti con la Libia attraverso l’attività della Missione Archeologica Italiana a Cirene: ricordiamo dal 1957 al 1991 l’opera di Sandro Stucchi, poi fino al 1996 quella di Lidiano Bacchielli ed ora quella, tutt’ora in corso, di Mario Luni con il significativo apporto di numerosi ricercatori e tecnici che hanno collaborato nei vari cantieri. I contributi pubblicati sono rappresentativi delle ricerche effettuate dai diversi studiosi arricchite da alcune appendici che presentano in modo sintetico alcuni approfondimenti di questa ricca storia della città di Tripoli e del suo monumento più significativo. I risultati scientifici conseguiti nel corso di questi anni all’interno del progetto possano servire per rilanciare, in un futuro quanto mai prossimo, la conservazione e valorizzazione del Castello Rosso riportandolo alla sua completa fruizione e al ruolo simbolo storicamente assunto nell’area mediterranea. STEFANO PIVATO Rettore Università degli Studi di Urbino


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ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI A.C.S. M.A.E. A.S.D. I.s.I.A.O. S.Geo.I

Roma - Archivio Centrale dello Stato Roma - Ministero Affari Esteri Roma - Archivio Storico Diplomatico del Min.AA.EE. Roma - Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente Roma – Società Geografica Italiana

I.A.O.

Firenze - Istituto Agronomico per l’Oltremare

M.A.I.

Roma - Fondo Ministero dell’Africa Italiana

OO.PP.

Roma - Fondo Opere Civili

AA.Civ.

Roma - Fondo Affari Civili

A.O.I. I.C.C.D. Inv. Cons.

Cart.

Roma - Fondo Africa Orientale Italiana Roma - Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione Roma - Fondo Inventario Consiglio Superiore coloniale

fondo cartografico

b.

busta

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pacco

fasc.

fascicolo


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PREFAZIONE Un’esperienza di ricerca sul Castello Rosso di Tripoli Giovanni Carbonara

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INTRODUZIONE Il Castello Rosso di Tripoli: un progetto di cooperazione per il recupero e la valorizzazione Laura Baratin CAPITOLO

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Il monumento e il suo contesto: la città storica di Tripoli Liliana Mauriello 1.1 La ricerca bibliografico-archivistica 1.2 La struttura urbana della Medina 1.3 La cinta delle fortificazioni ed il Castello 1.4 Le vicende del Piano Regolatore di Tripoli: la Medina e la nuova Tripoli

CAPITOLO

2

Quadro storico-evolutivo del Castello fino al 1911 Liliana Mauriello 2.1 Il fortilizio a scopo difensivo e la residenza reale dal VII al XIV secolo 2.2 La fortezza dei Cavalieri di Malta dal XV al XVI secolo 2.3 La dominazione turca, l’età dei Karamanli, la conquista italiana dal XVI al XIX secolo

APPENDICE 1 IL CASTELLO DI TRIPOLI 1530-1551: LA RICERCA NEGLI ARCHIVI MALTESI The Hospitaller Occupation of Tripoli 1530-1551

Stephen Spiteri APPENDICE 2 LA RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELL’EVOLUZIONE STORICA

Laura Baratin 10

p. 116


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CAPITOLO

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3.2 Il restauro di Armando Brasini tra il 1922 e il 1923: liberazione e ripristino p. 133 3.3 Interventi e “ritocchi estetici” di Florestano di Fausto nel 1934-35 p. 144 3.4 L’apertura ed il collegamento tra due lungomari e il contesto urbano nel 1938-39 p. 149 APPENDICE 3 GLI INTERVENTI DI ARMANDO BRASINI A TRIPOLI, TRA DOCUMENTI E STORIOGRAFIA

Elisabetta Procida CAPITOLO

p. 160

4

Il Castello e la città recente Liliana Mauriello 4.1 Il Castello, la Medina, la città moderna

p. 176 p. 177

4.2 Il progetto per l’inserimento del Museo Archeologico p. 182 APPENDICE 4 L’ARCHIVIO DIGITALE

Marco Carretta, Liliana Mauriello, Laura Baratin

INDICE

Liliana Mauriello 3.1 Architetti romani a Tripoli: urbanistica e architettura “razionale”, revival e restauro

Il Castello Rosso di Tripoli

L’Italia in Libia: l’architettura strumento di politica coloniale

p. 194

APPENDICE 5 APPUNTI PER UN PROGETTO DI CONSERVAZIONE

Maurizio Berti, Giovanni Carbonara

p. 212

SCHEDA TECNICA 1 · IL RILIEVO

Laura Baratin, Giovanni Checcucci

p. 212

SCHEDA TECNICA 2 · LA DIAGNOSTICA

Maria Letizia Amadori

p. 220

Bibliografia

p. 224

Referenze fotografiche

p. 228 11


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prefazione Un’esperienza di ricerca sul Castello Rosso di Tripoli Giovanni Carbonara

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Un’esperienza di ricerca sul Castello Rosso di Tripoli

L’esperienza di studio storico-architettonico, urbanistico e d’analisi del degrado che qui si presenta, accompagnata da conseguenti rigorose proposte operative per la riduzione del danno, per l’eliminazione, nei limiti del possibile, delle sue cause ed anche per una ben calibrata valorizzazione culturale del Castello, risulta stimolante ai fini d’una riflessione su questioni di buona conservazione e restauro in un ambiente non ristretto al circuito nazionale ma, viceversa, aperto su un mondo e una sensibilità radicalmente diversi, pur se collegati all’Italia da intense relazioni storiche e culturali. Essa è condotta, infatti, nell’ambito d’un programma di cooperazione italo-libica, da un gruppo di qualificati esperti e operatori italiani, perlopiù d’estrazione universitaria, in collaborazione con le autorità di tutela della Libia. Nella sua formulazione più completa il progetto prevedeva attività congiunte di studio e d’analisi, scambi di materiali (documentazione archivistica, testimonianze iconografiche ecc.), di apparecchiature specialistiche, ripetute campagne sul luogo, il tutto accompagnato dalla discussione comune di proposte d’intervento e da una parallela attività di formazione specialistica nel campo della conservazione architettonica e archeologica. Per ragioni amministrative il programma è stato parzialmente modificato e ridimensionato, ma non impoverito, senza quindi toccare le aspettative di comprensione e di studio del Castello Rosso, monumento di grande importanza e largamente stratificatosi nel tempo, riconfigurato da consistenti restauri nella prima metà del Novecento, ulteriormente rielaborato in seguito; alterato, inoltre, nella sua stessa presentazione urbanistica dalla rimozione del minuto ma significativo tessuto edilizio che, fino a non molti decenni fa, lo circondava e, in parte, gli si addossava. È interessante, dunque, far conoscere questa iniziativa perché rappresenta un positivo esempio di scambio culturale, di servizio del nostro Paese ad una nazione vicina bisognosa, in questo campo, d’un sostegno non tanto economico né finanziario quanto metodologico e formativo. Il lavoro si fa apprezzare anche per il suo carattere interdisciplinare, essendo costruito sulla sinergia e convergenza di plurime competenze: di topografia e rilievo, di restauro, di storia dell’architettura e dell’urbanistica, di archeologia, infine di scienze fisico-chimiche, specialmente petrografiche e geologiche, e di tecniche della conservazione. A tutto ciò si aggiunga la previsione d’una seconda fase del programma concordato, volta all’alta formazione scientifica e professionale di giovani laureati presso la ‘Scuola di Specializzazione in beni architettonici e del paesaggio’ (già ‘Scuola di Specializzazione per lo studio ed il restauro dei monumenti’, recentemente riformata e ampliata nelle sue competenze) dell’Università di Roma “La Sapienza”. In questo modo il legame può divenire ancora più forte e assolutamente più solida la preparazione dei giovani tecnici, che dovranno essere selezionati con cura, introdotti ad operare in una struttura post-universitaria di eccellenza caratterizzata, fra l’altro, da due peculiari qualità, congruenti con quanto appena detto: un’apertura internazionale, perseguita dalla Scuola fin dalla sua origine, ed un piano educativo e formativo modulato tra aspetti fondativi, di natura storico-critica, metodologica e teoretica, ed aspetti tecnico-applicativi, affrontati, oltretutto, in maniera interdisciplinare e mettendo a confronto (quali allievi della stessa scuola, aperta a diversi tipi di laureati) architetti, ingegneri, storici dell’arte, archeologi e conservatori, invitati a sviluppare congiuntamente tesi su argomenti di comune interesse.

prefazione 13


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introduzione

Il Castello Rosso di Tripoli: un progetto di cooperazione per il recupero e la valorizzazione Laura Baratin

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Il Castello Rosso di Tripoli: un progetto di cooperazione per il recupero e la valorizzazione

Il progetto “Recupero e valorizzazione del Castello Rosso di Tripoli - Studio di fattibilità e formazione del personale” finanziato dal Ministero degli Affari Esteri con i fondi previsti dalla Legge 212/92 si inquadrava nel generale processo di consolidamento dei rapporti fra il nostro paese e la Libia, già in atto da molti anni e quanto mai necessario, alla luce dei profondi processi di cambiamento e trasformazione che stanno avvenendo nel paese. Il progetto nasceva dalla collaborazione dell’Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” con il Department of Archaelogy, con la partecipazione della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio per lo Studio ed il Restauro dei Monumenti dell’Università degli Studi di Roma “Sapienza” e con il sostegno di un’organizzazione non governativa di Firenze – Demine, che aveva già operato in Libia nel 2000, sviluppando alcune analisi preliminari ed elaborati esemplificativi sul modo di operare per la conoscenza ed il recupero di questo importante monumento. All’interno di questo processo la cooperazione culturale riveste un’importanza cruciale, favorendo da una parte il recupero d’importanti complessi architettonici di cui l’area del Mediterraneo è ricca, tramite lo scambio di metodologie e tecniche fra personale di diversi paesi, e dall’altra lo sviluppo economico grazie al forte incremento della presenza turistica. Italia e Libia, già in passato, sulla base di diversi Accordi bilaterali sia nel campo scientifico e tecnologico che in quello culturale, hanno sottolineato sia l’importanza di rafforzare l’impatto socioeconomico degli interventi nel campo della conservazione e valorizzazione del patrimonio dei beni culturali, in particolare del patrimonio archeologico, sia la necessità di un continuo stimolo alla promozione della lingua e della cultura italiana in Libia e ad una maggiore cooperazione interuniversitaria ed interculturale tra di due Paesi. Il progetto, quindi, si inseriva in un contesto che doveva puntare ad una migliore programmazione delle attività sui beni culturali, prendendo come esempio in particolare il monumento più rappresentativo per la città di Tripoli – il Castello Rosso – con la definizione, nella prima parte, di una metodologia di conservazione e nella seconda parte di un percorso formativo nel restauro finalizzato non solo al trasferimento di tecnologie e di conoscenze nell’ambito specifico, ma anche a valorizzare in termini socio-economici questo tipo di investimenti, evidenziando le ricadute in altri settori come quello del turismo, della cooperazione e dell’artigianato. Il Castello Rosso è assimilabile ad un complesso urbano eterogeneo, fortemente compenetrato ed integrato. Le modifiche e le ricostruzioni succedutesi nel tempo non sempre sono state realizzate usando metodologie e materiali appropriati; inoltre, un’evidente assenza di interventi di manutenzione sia della struttura che degli impianti, i cambiamenti avvenuti dopo gli ultimi eventi bellici, hanno contribuito all’attuale stato di decadenza dell’edificio nel suo complesso. L’iniziativa si proponeva, infine, di fornire alle Istituzioni che si occupano della città di Tripoli, e della sua salvaguardia e valorizzazione, un progetto per la sistemazione del Castello. Il progetto, attraverso un percorso formativo e sperimentazioni tecniche in loco, avrebbe dovuto dare l’opportunità al personale locale di avere a disposizione una struttura tecnica per la programmazione, direzione e a realizzazione di tutti gli interventi necessari per il recupero e la valorizzazione dell’edificio. Le singole attività dovevano essere ripartite in due fasi, e precisamente una prima fase che riguardava lo studio di fattibilità per la conoscenza, il rilievo critico, il progetto degli interventi e la valorizzazione socio-economica attraverso la messa a punto di linee guida sintesi del lavoro di analisi sviluppato sotto i diversi aspetti.

introduzione 15


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Il Castello Rosso di Tripoli: un progetto di cooperazione per il recupero e la valorizzazione

Questa fase partiva dall’evoluzione storica per giungere alla catalogazione del bene, dall’analisi a scala urbana alla pianificazione dell’area alle attività di diagnosi e di rilievo critico finalizzate alla progettazione, sia dal punto di vista tecnico che di messa in valore per diverse funzionalità ed utilizzazioni. La seconda fase avrebbe dovuto riguardare la formazione di giovani tecnici neo-laureati, proposti e selezionati dalle Istituzioni coinvolte, nel campo del restauro. Gli eventi bellici e la situazione politica di questi ultimi anni ci hanno costretto a completare soltanto in parte questo iter progettuale, i cui risultati per molti aspetti inediti sono presentati in questa pubblicazione. Seguendo l'iter progettuale la parte che ha avuto maggiore sviluppo è quella relativa all'evoluzione storica del Castello. L’indagine è stata indirizzata sulla ricostruzione delle vicende storiche, anche su base descrittiva, per comprendere che cosa potesse avere influenzato la stratificazione del complesso. La ricca documentazione archivistica, pubblicata sino agli anni ’30, è stata sviluppata per indagare, in primo luogo il manufatto storicamente, secondo i metodi di analisi relazionati al restauro modernamente inteso, in secondo luogo per comprendere a fondo le ultime vicende e gli interventi ormai storicizzati compiuti durante gli anni della dominazione italiana. In linea generale, dunque, la ricerca bibliografica è stata finalizzata alla ricostruzione delle fasi storiche attraverso l’analisi della documentazione d’archivio fino ai restauri italiani del ventennio fascista e agli interventi di restauro moderno. L'analisi storica è stata arricchita da una particolare ricerca negli archivi maltesi. Il Castello di Tripoli, infatti, fu occupato dai Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni nell’ultimo periodo della loro storia ed è rimasto una delle opere fortificate meno note e comprese nella storia delle fortificazioni. Altro approfondimento, come il precedente, inserito nelle appendici della narrazione, riguarda la figura di Armando Brasini e la sua attività a Tripoli indagata all'interno del suo vasto archivio. Un “archivio storico digitale” in italiano e in inglese permetterà di consultare la documentazione on line, distinta in foto, disegni e testi, consentendo una consultazione rapida di tutti i materiali studiati corredati delle informazioni per il loro reperimento e di una scheda sintetica dei contenuti. Il progetto prevedeva la realizzazione del rilievo dell'intero complesso architettonico alle diverse scale per collocare il manufatto nel suo contesto urbanistico edilizio e per analizzarlo, nei minimi dettagli e in tutti i suoi apparati decorativi e costruttivi, in funzione del successivo intervento progettuale. Il lavoro doveva essere articolato in un rilievo dell’area con evidenziati i singoli manufatti presenti rappresentati nelle diverse scale attraverso l’integrazione di tecniche di rilievo topografico, fotogrammetriche non convenzionali, laser scanner e rilievi diretti, in piena collaborazione con il personale locale. Si era prevista la realizzazione di fotopiani per tutte le facciate di particolare pregio storico-artistico e lungo tutta la cinta muraria al fine di documentare in modo esaustivo lo stato di fatto completato dall’analisi dello stato di degrado delle superfici. Gli elaborati avrebbero dovuto essere la base di un ulteriore archivio per tutte le informazioni non solo geometrico-dimensionali alle diverse scale di dettaglio, ma anche per la mappatura del degrado e del quadro fessurativo, dei materiali e della loro stratigrafia. Il programma di ricerca doveva riguardare l’investigazione archeometrica dei materiali costitutivi (pietre, mattoni, intonaci, ceramiche, etc.) provenienti dal Castello con lo scopo di identificare lo stato di conservazione dei materiali in pietra, l’individuazione della loro vulnerabilità, la formulazione di un protocollo per l’intervento di mantenimento, fra cui tests e valutazione dei risultati. In particolare, le fasi previste avrebbero dovuto partire da un’ispezione macroscopica di tutte le superfici investigate per arrivare ad una selezione per aree campione particolarmente rappresentative per quel che riguarda i materiali costituenti in pietra, i fattori di alterazione e le strategie per gli interventi di mantenimento. La catalogazione e la mappatura dei materiali costituenti trasferita sui rilievi geometrico-formali secondo i

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Il Castello Rosso di Tripoli: un progetto di cooperazione per il recupero e la valorizzazione

criteri standardizzati dalle schede Normal relativi ai materiali lapidei avrebbe richiesto anche un'analisi accurata di campioni di pietre naturali, intonaci, mattoni e dei loro prodotti deteriorati. I campioni, poi, sarebbero stati analizzati seguendo diverse metodologie analitiche: dalla microscopia ottica attraverso la trasmissione e riflessione di luce al fine di definire la composizione minero-petrografica di pietre, mattoni ed intonaci; alla porosimetria al mercurio per conoscere la porosità totale delle pietre, mattoni ed intonaci; alla diffrattometria ai raggi x (XRD) per individuare la composizione mineralogica dei materiali costituenti e dei prodotti deteriorabili; alla cromatografia a ioni (IC) per definire la presenza di sali solubili. Basandosi, infine, sui risultati dell’investigazione sarebbe stato possibile procedere alla valutazione della durevolezza dei trattamenti effettuati anche negli anni passati attraverso il controllo e la verifica delle metodologie e dei prodotti proposti e sperimentati per verificare la validità degli interventi con test ed analisi condotte sia sul luogo che in laboratorio. Il risultato di questa diagnostica avrebbe permesso di controllare l’evoluzione temporale delle trasformazioni dei manufatti in pietra; di valutare degli indicatori di vulnerabilità e pericolosità al fine di definire il grado di suscettibilità dei manufatti degradabili; di formulare dei protocolli operativi e linee guida finalizzate ad ottimizzare gli interventi di conservazione che sono stati precedentemente verificati ma continuamente modificati sulla base di nuovi dati, provenienti da esperienze ben quantificate; di diffondere metodi operativi ottimizzati in dipendenza dell’ambiente geografico oltre che dalla tipologia dei materiali costitutivi. Per la parte strutturale e per la mappatura dei sottoservizi era prevista una campagna di indagine georadar per analizzare e fornire i parametri fisici del terreno investigato, per avere informazioni sulla presenza di eventuali cavità presenti, per ricercare fratture o anomalie strutturali. La parte progettuale, che avrebbe dovuto rappresentare l'ultima attività del programma finanziato, è stata raccolta in forma di appunti derivati dalle analisi effettuate, dall'esperienza di ricerca sviluppata, dalla riflessione teorica: al contempo sintesi e prassi operativa, linee indicative di approfondimento per arrivare ad un vero e proprio progetto di intervento che conservi e valorizzi questo importante monumento.

introduzione 17


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capitolo

Il monumento e il suo contesto: la cittĂ storica di Tripoli

Liliana Mauriello 1.1 La ricerca bibliografico-archivistica 1.2 La struttura urbana della Medina 1.3 La cinta delle fortificazioni ed il Castello 1.4 Le vicende del Piano Regolatore di Tripoli: la Medina e la nuova Tripoli


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1.1 La ricerca bibliografico-archivistica

La vicenda coloniale italiana inizia alla fine dell’‘800, dopo l’Unità. Nel 1882 il neonato Regno d’Italia conquista Assab centrando l’obiettivo espansionistico in Africa: le prime colonie sono Eritrea e Somalia1. Nel 1911 il liberale Giolitti scatena con un motivo pretestuoso una guerra contro la Turchia allora dominante la Tripolitania. Un attacco arabo-turco sorprende così, i bersaglieri italiani nell’oasi di Sciara Sciat con 500 vittime. La rappresaglia italiana è immediata e feroce: 2000 arabi fucilati e 5000 deportati tra Ustica, Favignana, Ponza e le Tremiti. Si inizia così a strutturare “l’impero coloniale italiano”, per amministrare il quale viene prontamente istituito un nuovo ministero. Il 20 novembre 1912 col Regio Decreto n. 1205, trasformando in ministero la Direzione Centrale degli Affari Coloniali facente parte del Ministero per gli Affari Esteri, nasce il Ministero delle Colonie, che assume l’incarico di amministrare le colonie italiane e di dirigerne l’economia tramite Governatori. Il Regio Decreto n. 431 dell'8 aprile 1937, in seguito alla conquista italiana dell'Etiopia e la nascita dell'Africa Orientale Italiana, modifica l’intitolazione in Ministero dell’Africa Italiana, quasi ad indicare l’univocità dell’obiettivo coloniale. Dopo la fine del secondo conflitto verrà poi soppresso, con la L. 430 del 19.4.1953. Dopo questo evento la consistente documentazione ar-

1. Tripoli, vista del Castello del 1817 Nella didascalia si legge che l’immagine mostra l’acquedotto che riforniva il Castello di acqua potabile; l’immagine è tratta da Narrative of a ten year’s residence at Tripoli in Africa, London, 1817

2. Tripoli, schizzo delle fortificazioni del castello e delle mura verso il porto, attribuibile al secolo XVII

1 - La prima legge coloniale italiana è la L. 857 del 6 luglio 1882, con la quale si approvava la convenzione della Società Rubattino e la condizione giuridica degli indigeni in riferimento alla Baia di Assab. Cfr. Cibelli Enrico “Sudditanza coloniale e cittadinanza italiana libica”, Napoli, 1930.

capitolo1

IL MONUMENTO E IL SUO CONTESTO: LA CITTÀ STORICA DI TRIPOLI 19


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1.1 La ricerca bibliografico-archivistica

3. Piano Regolatore della città di Tripoli del 1914, alla scala 1:2000 Indicazioni sulla planimetria catastale delle destinazioni d’uso delle preesistenze e dei tagli viari. (originale 70.5 x 99.5 cm)

chivistica, dapprima dispersa, è confluita in diverse sedi: l’Archivio Storico Diplomatico del Ministero Affari Esteri, (in cui sono conservati i documenti dell’A.O.I., cioè Africa Orientale Italiana e quelli dell’Africa Occidentale, il Fondo privato Volpi ed altri fondi relativi alla dominazione italiana principalmente nella fase del ventennio fascista); l’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente - IsIAO (nato nel 1995 dalla fusione dell’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente - IsMEO, fondato nel 1933 da Giovanni Gentile e Giuseppe Tucci, con l’Istituto Italo-Africano - IIA, fondato nel 1906), l’Archivio Centrale dello Stato a Roma e l’Istituto Agronomico per l’Oltremare di Firenze erede dell’Istituto Agricolo Coloniale Italiano divenuto nel 1938 Istituto Agronomico per l’Africa Italiana2. Le principali fonti cartografiche relative a rilievi e studi archeologici sono appunto conservate presso l’archivio cartografico dell’I.s.I.A.O., censite e catalogate in maniera completa negli anni ’80 da Claudio Cerreti3. Purtroppo, pur disponendo l’Istituto anche di un consistente patrimonio fotografico, questo non è consultabile perché non del tutto inventariato. L’ esame del Piano Regolatore di Tripoli presso il suddetto archivio ha consentito di rilevare importanti informazioni concernenti in particolare il castello e l’area urbana limitrofa e di comprendere le modifiche determinate dagli sventramenti sulla Medina e sul tessuto urbano adiacente, ai quali si sovrappone il nuovo sistema di assi viari della nuova Tripoli. Gli archivi documentano i molti interventi legati alla politica coloniale italiana, spesso di carattere edilizio ed infrastrutturale ed emerge che le coeve esperienze di indagine, restauro, scavi archeologici sono realizzate secondo disposizioni

2 - La consultazione al Ministero degli Affari Esteri - Archivio Storico-Diplomatico (M.A.E.) a Roma e precisamente dei fondi dell’ex Ministero dell’Africa Italiana (M.A.I.) ha permesso lo studio di un consistente patrimonio cartografico e soprattutto fotografico, che costituisce la documentazione di tipo politico ed amministrativo della seconda fase e decisiva della colonizzazione, cioè quella fascista. La cartografia territoriale documenta non solo gli studi sull’assetto delle aree di interesse, ma anche i resoconti militari (ad es. le Fotografie con i resoconti della Campagna di Libia 192223) e quanto potesse essere utile per programmare e testimoniare lo sviluppo economico della colonia. Rilevante l’implicazione culturale e idealistica che rilegge nella colonizzazione fascista il ritorno di “Roma” imperiale. Particolarmente interessante è il Fondo Volpi che ha restituito una corposa documentazione fotografica della Tripolitania ed in particolare della capitale Tripoli; in essa sono testimoniati gli interventi edilizi ed architettonici più significativi. Molte sono le immagini in cui compare il Castello Rosso, dal momento che costituisce la sede amministrativa e diplomatica nella capitale. Sono ampiamente documentati anche i movimenti economici ed i finanziamenti italiani per gli interventi sul Castello tra le altre opere ed infrastrutture; è presente anche una discreta documentazione culturale per quel che concerne l’attività di scavo e scoperta della Soprintendenza, guidata da Salvatore Aurigemma. Ben descritto anche il museo libico di Storia Naturale. I principali fondi consultati sono: Fondo privato Volpi 1911-1945 · Africa II (1859-1945) · Africa III miscellanea (1879-1955) · Africa V Miscellanea ed integrazioni · Materiale recuperato al Nord · Archivio storico M.A.I. · Comitato per la documentazione dell’attività · italiana in Africa (Miscellanea 1953-1976) · Inventario archivio consiglio superiore coloniale (1923-39) Presso l’Archivio Centrale dello Stato (A.C.S.) è stato poi consultata la parte di documentazione relativa al M.A.I. antecedente al ventennio fascista. L’argomento che si e meglio potuto sviluppare in questa sede è stato essenzialmente relativo al Piano Regolatore di Tripoli degli anni dal 1934 al ‘36, come variante a quello del 1914. Infine dalla consultazione del fondo della Presidenza del Consiglio dei Ministri (P.C.M.) negli anni dal 1922 al 1953 sono emerse altre vicende. Sono gli anni in cui lo stesso Mussolini, prima come ministro della A.I. e poi come Duce si occupa personalmente della Tripolitania e Cirenaica ed in generale delle colonie africane, come simbolo di potenza dell’Impero della nuova Roma. Sono documentati numerosi viaggi diplomatici e ricerche commissionate per valutare tutte le variabili dello sviluppo economico: flusso turistico, opere pubbliche realizzate dal Regime, installazione di infrastrutture industriali e potenziamento dell’attività agricola e dell’allevamento. L’I.A.O. nasce nel 1904 come Istituto Agricolo Coloniale con la finalità di compiere studi e ricerche in appoggio ai servizi agrari delle colonie (formazione di tecnici, pubblicazione della rivista «Agricoltura Coloniale», consulenze) e aiutare gli emigranti italiani a inserirsi nelle nuove realtà agricole. Nel 1939 diventa Ente di Stato con il nome di Istituto Agricolo per l'Africa Italiana ed i suoi compiti consistono nel preparare i tecnici e fornire consulenza agricola ai governi di Eritrea, Somalia, Libia ed Etiopia, in linea con gli obiettivi della politica di sviluppo delle colonie inaugurata dal regime fascista, a dimostrazione di efficienza amministrativa e di azione civilizzatrice nella dominazione delle colonie. Nel secondo dopoguerra l'Istituto fornisce assistenza tecnica agli emigranti italiani in America Latina, mantenendo rapporti di collaborazione con le ex colonie. Nel 1953 passa sotto il controllo del Ministero degli Affari Esteri con la denominazione attuale e nel 1962 ne diventa l'organo di consulenza nel campo tecnico-scientifico agrario. Attualmente i suoi compiti riguardano la cooperazione allo sviluppo, la formazione, la ricerca, la raccolta di documentazione e l'assistenza tecnica. Tra i fondi consultati sono gli album fotografici di reportage dello sviluppo agricolo delle colonie e la serie pubblicata di una delle principali riviste dell’epoca “Libia” che nasce a scopo documentario-illustrativo sull’operato nella colonia. 3 - Cerreti Claudio “La raccolta cartografica dell’Istituto Italo-Africano”, Roma, 1987. Importante anche l’art. di Gasbarri Carlo “Fondi archivistici e bibliografici esistenti a Roma: l’Archivio storico del soppresso Ministero dell’Africa Italiana”, in Africa, 1973, (pagg. 461-74). Dal testo di Cerreti è stato possibile rintracciare la versione depositata in copia presso l’I.s.I.A.O. del P.R.G. di Tripoli approvato nel 1912 a firma di Pasini e modificato nel 1914. Le planimetrie sono in scala 1:2.000 e 1:5.000 (in originale all’Archivio Centrale dello Stato - A.C.S.). La consultazione è stata relativa all’Armadio F, Cassetto 3, Cartella 2, busta b e Cartella 3, busta a).

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1.1 La ricerca bibliografico-archivistica

4. Leptis Magna, area archeologica monumentale La gradinata del teatro e la scena

5. Veduta di Tripoli del 1688 Tratta da De La Croix Relation de l’Afrique ancienne et moderne, Amaulry, 1688 pubblicata in Aurigemma S. Le fortificazioni della città di Tripoli in Notiziario Archeologico del Ministero delle Colonie II nel 1916. Le fortificazioni della città murata sono in primo piano, così come spicca la mole cilindrica che allude al Castello. Sono visibili anche molti elementi verticali, forse diversi mirhab delle numerose moschee della Medina

normative, estese anche alle colonie. Spesso, anzi, queste ultime, assumono il ruolo di accogliere esercitazioni compositive ed architettoniche, attraverso concorsi di progettazione, che nelle città storiche italiane non sarebbe possibile compiere. Naturalmente le preesistenze costituiscono fonte e oggetto di studio e di ricerca, come avviene anche soprattutto nel caso della Libia, con l’esempio di Tripoli, Leptis Magna o Sabratha, luoghi che la politica estera italiana, legata alla propaganda di regime, strumentalizza riconoscendo la continuità della presenza da Roma con il nuovo Impero. Tripoli, prima sede di rappresentanza italiana sul fronte africano, riveste un ruolo chiave in questa fase e questo avviene soprattutto attraverso gli interventi su architetture e monumenti. È la maggiore città della costa africana, una “metropoli” ed è in questo contesto che, scelto come rappresentativo il Castello Rosso, prima sede del Governatorato italiano, si procede ad un’operazione di restauro finalizzata a trasformare il complesso architettonico nella nuova sede del potere. Le indagini effettuate da molti storici, architetti e studiosi all’epoca, come Aurigemma, Rava, Guidi, Rossi, Romanelli hanno rappresentato, dunque, sotto il profilo bibliografico-critico, il punto di partenza per gli studi pubblicati in questa sede, oltre ad essere praticamente le ultime monografie complete sul monumento: questi studi, infatti, e tra essi i testi di Salvatore Aurigemma in particolare, rivestono un ruolo di determinante importanza, per aver strutturato una serie di analisi ed una raccolta di dati di grande interesse, non solo sul piano dell’attendibilità scientifica indiscussa, ma anche per la quantità di documentazione reperita. Salvatore Aurigemma4, archeologo e studioso, viene nominato Soprintendente alle Antichità e Belle Arti in Tripolitania nel 1914, quasi subito dopo la nascita del Ministero delle Colonie, in un contesto culturale che vede l’Italia all’avanguardia nel panorama europeo, non solo nella tutela, ma anche nelle ricerche e negli studi di carattere storico-architettonico ed archeologico5.

4 - Salvatore Aurigemma, nato a Monteforte Irpino il 10.02.1885, morto a Roma l’1 04.1964, si laurea all’Ateneo romano con Ettore De’ Ruggiero e diventa romanista, dedito sovente alle ricerche epigrafiche. Nel 1935 ottiene la libera docenza in Antichità Classiche all’Università di Bologna. Collaboratore e genero di Spinazzola, dei cui scritti diviene depositario cura la monumentale opera in tre volumi su Pompei alla luce degli scavi nuovi di Via dell’Abbondanza. Il suoi più importanti contributi riguardano l’esplorazione della necropoli etrusca di Spina in Valle Trebba e delle paludi di Comacchio e la creazione del Museo di Spina nel Palazzo di Lodovico il Moro in Ferrara. A Roma e nel Lazio si devono a lui numerosi contributi di cui tra quelli di maggiore rilievo sono le esplorazioni di Villa Adriana a Tivoli ed il restauro del Tempio della Fortuna Primigenia di Palestrina. Le tappe della sua carriera lo vedono Ispettore in Libia tra i primi incarichi nel 1914 e poi del Museo Nazionale a Napoli; nel 1924 diventa Soprintenderete alle Antichità dell’Emilia Romagna e nel 1939 Soprintendente dell’Etruria Meridionale con sede a Villa Giulia. Nel 1942 è Soprintendente del antichità del Lazio al Museo Nazionale Romano e si occupa della salvaguardia dei monumenti dopo l’ultimo conflitto, tanto da curare la riapertura del Museo Nazionale Romano ampliando il numero delle sale. Non meno importanti le sistemazioni urbane, come la Basilica Neopitagorica a Porta Maggiore, di cui cura la difesa dalle vibrazioni del traffico urbano con un’operazione di consolidamento. Allievo e collaboratore di Halbherr alla Scuola Archeologica di Atene a Roma, ha compiuto fondamentali studi in Libia in cui è stato un precursore degli scavi essendovisi recato subito dopo lo scoppio della guerra italo-turca. Tra i vari uffici ricoperti in Tripolitania c’è naturalmente il ruolo di Soprintendente alle cose d’antichità e d’arte ed uno dei principali studi pubblicato postumo riguarda l’arco di Marc’Aurelio a Tripoli. 5 - È opportuno un breve riferimento al contesto culturale italiano del periodo: appena completata l’Unità, nel panorama complesso di unificazione del sistema legislativo si compie un atto di sincretismo dei corpi legislativi degli stati pre-unitari in materia di tutela, di cui la documentazione è pubblicata a Roma nel 1881 dalla Tipografia Salviucci. L’Italia affronta in questa fase, dunque, il tema delle leggi di tutela delle “cose di interesse d’arte e di archeologia”. Nell’ambito del lunghissimo e complesso dibattito, tra diverse soluzioni e nuove proposte accettate si concretizza quella di istituire delle figure professionali di coordinamento, quali gli Ispettori, con ampi poteri di controllo e verifica, ma anche di studio e ricerca. La soluzione è proposta, tra l’altro, nel Progetto Boito presentato nel 1882 dalla Commissione Permanente Belle Arti, in cui l’oggetto è appunto l’istituzione della figura di “Ispettori regionali per lo studio e la conservazione dei Monumenti d’arte e di antichità”. La proposta è articolata in maniera concreta, con gli stipendi per ognuna delle figure: Ispettori, Disegnatori, Aggiunti; le sedi di ognuno di essi sono le principali città italiane ed i compiti riguardano essenzialmente aspetti operativi e pratici: lo studio storico, archeologico ed artistico dei Monumenti e la composizione dei progetti di restauro da sottoporre al Ministero della Pubblica Istruzione cfr. A.C.S.; AA.BB.AA. – 1° versam. - Busta 363 – Fasc. 1.17 Proposta di legge: “Punto 3°: Gl’Ispettori Generali avranno le loro sedi in Roma, Napoli, Palermo, Bologna, Torino, Venezia e Milano. Un Regolamento speciale stabilirà le loro circoscrizioni. Punto 4°: Gli Ispettori generali hanno i seguenti incarichi: a) lo studio artistico, storico ed archeologico dei Monumenti per preparare copiosi e sinceri materiali alla storia Nazionale della Belle Arti - b) la composizione e la compilazione dei progetti per la conservazione dei Monumenti o per il loro restauro, e le relative proposte al Ministero della Pubblica Istruzione”. Le colonie “come estensione del territorio italiano” risultano essere soggette alle medesime leggi. Il primo Ispettore di Antichità nominato in una sede coloniale è appunto Salvatore Aurigemma, titolare della prima Soprintendenza strutturata nei territori delle colonie.

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6. Tripoli, Castello Rosso Una rara vista panoramica con il Bastione di S. Giorgio in primo piano e il San Giacomo visto di scorcio

7. Piano regolatore di Tripoli, variante del 1933 (XI) Sono ben evidenti gli assi della nuova Tripoli tracciati dai segni viari, come la Sciara al Garbi, che indipendentemente dal tessuto di sedime articolano la città nuova. La Medina è ancora salvaguardata e assolutamente priva di manomissioni, mentre il Castello è una sorta di cittadella indipendente dal tessuto urbano circostante e dalla cinta muraria

Nella considerazione che Aurigemma sia stato tra i primi studiosi ad interessarsi agli scavi in Tripolitania ed alla ricostruzione delle fasi storiche del Castello Rosso, subito dopo la conquista italiana, si potrebbe quasi ipotizzare che i suoi studi costituiscano le basi e il presupposto per i restauri compiuti al Castello; anzi forse proprio la motivazione per la scelta del Castello come prima sede rappresentativa della presenza italiana in Africa è, con molta probabilità, da ricercare nelle approfondite ricerche compiute subito dopo l’insediamento del nuovo Soprintendente. La raccolta dei dati, soprattutto archivistici e cartografici, è consistente ed ha costituito la solida base su cui sviluppare tutti i successivi tematismi di ricerca. Come Soprintendente alle Antichità e Belle Arti e responsabile, quindi, dell’ufficio Archeologico della Tripolitania, Aurigemma fa eseguire indagini accurate nei principali archivi europei, tra cui il Service hydrographique de la Marine o il Dépôt géographique della Bibliothèque Nationale, a Parigi, o ancora a Londra allo State Papers Domestic del Public Record Office e al British Museum6. In questi archivi Aurigemma raccoglie e poi pubblica una lunga serie di rappresentazioni del Castello Rosso e della cinta muraria della Medina, più o meno realistiche, ma pur sempre utili ai fini degli studi, riferite ad un arco temporale compreso tra il XVII e il XVIII secolo, quando la costa africana è stata oggetto di studio da parte delle nascenti potenze coloniali europee7. Le pubblicazioni, quindi, pur “peccando”, se così si può dire, della mancanza di una sintesi finale delle fasi costruttive di moderna concezione e strutturate nella lettura del complesso secondo un taglio più “archeologico-ipotetico” che “architettonico-scientifico”, rappresentano, allo stato attuale, la ricerca compilativa più completa compiuta sotto il profilo archivistico. Nell’agosto del 1921, dopo la nomina a Governatore della Tripolitania, il finanziare veneziano Giuseppe Volpi inizia subito a promuovere studi e indagini, in aderenza agli obiettivi della politica estera intenti a riaffermare il dominio dell’Italia sulla Tripolitania. “Essenzialmente quattro ne furono i punti fondamentali: rioccupare tutto il territorio colonizzabile; favorirne lo

6 - Attualmente la collezione presenta il corpus più ricco presso la Bibliothèque Nationale pour l'histoire de la Nouvelle-France, mentre lo State Papers Domestic presso il Public Record Office raccoglie a tutt’oggi la documentazione relativa a diversi argomenti: ecclesiastico, diplomatico, navale e militare terrestre, università e Parlamento, leggi, etc. Sono inseriti anche proclami legislativi, adunanze e liste di giudici. 7 - Aurigemma S. “Le fortificazioni di Tripoli in antiche vedute del ‘600 e ‘700”, in “Rivista delle Colonie Italiane”, III, 1929, 11 (pagg. 1104-1128); III, 1929, 12 (pagg. 1217-1237). È la pubblicazione più completa della serie di planimetrie e di tutta la documentazione archivistica, conservata a Parigi e Londra. Si è reso dunque opportuno un riesame per rintracciare elementi che consentissero di approfondire l’evoluzione storica e costruttiva della fabbrica. Anche per quanto concerne le fortificazioni della Medina, che in quegli anni l’Italia andava in parte demolendo, l’Aurigemma di formazione archeologo, è stato accurato nella ricerca. Le pubblicazioni più complete sono Aurigemma S. “Le fortificazioni della città di Tripoli” in “Notiziario Archeologico del Ministero delle Colonie” II, fasc. I-II; 1916 (pagg. 217-300); Romanelli P. “Scavi e scoperte nella città di Tripoli” (pagg. 301-364); “Demolizione delle mura della città di Tripoli. Nel periodo settembre 1915 – marzo 1916” (pagg. 365-393). Anche Pietro Romanelli, archeologo di formazione, che segue Aurigemma nell’incarico di Soprintendente alle Antichità e Belle Arti nel 1919, ha ampiamente documentato ricerche e scoperte, relative agli interventi compiuti sotto la sua direzione.

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1.1 La ricerca bibliografico-archivistica

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Tripoli, veduta dalla terrazza del Castello (1922-26) (Archivio Volpi) La foto ritrae il panorama della Medina di Tripoli prima delle modifiche determinate dal nuovo Piano Regolatore; ben riconoscibile la nuova viabilità costruita

sviluppo produttivo agricolo ad opera degli italiani; provvedere al risanamento e allo sviluppo di Tripoli, città rappresentativa della sovranità italiana e sede del governo; valorizzare il patrimonio archeologico della Tripolitania”8. Naturalmente finalizzata a realizzare gli intenti dell’ultimo obiettivo di valorizzazione è l’attività di studio e di ricerca di Soprintendenti come Aurigemma prima e di Romanelli in seguito. Gli ultimi studi e le pubblicazioni sul Castello Rosso di Tripoli, dunque, risalgono agli anni della dominazione italiana e sono precedenti agli interventi compiuti durante il regime fascista, fatto salvo un breve saggio di Guidi del 19359. Gli studiosi successivi, infatti, si sono interessati all’architettura islamica in generale, ai tessuti urbani delle sovrastrutture arabe sulla matrice romana o a temi architettonici, come le architetture fortificate, categoria della quale il Castello Rosso è un esempio significativo10. È molto probabile che gli studi fino ad allora compiuti e pubblicati, siano serviti in modo marginale agli interventi di restauro compiuti tra il 1922 e il ’39, periodo in cui l’Italia attraversava la lunga stagione del “restauro storico”, iniziando a mostrare attenzione verso la ricerca storica quale presupposto all’intervento di restauro11. Successivamente alle fasi di studio legate agli anni della espansione italiana sulla costa africana, si registra una battuta d’arresto nella produzione bibliografica circoscritta al tema del singolo complesso. Allo stato attuale, quindi, resta inesplorato il periodo moderno che ha poi trasmesso il Ca-

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10. Tripoli, Porta di Settimio Severo adiacente il Castello

8 - Talamona M. in “La Libia: un laboratorio di architettura” in Rassegna n.51/3 anno XIV “Architetture nelle colonie italiane in Africa”, Milano, sett. 1992 (pagg. 62-79). 9 - Guidi G. “Il restauro del castello di Tripoli negli anni XII e XIII con una breve storia del fortilizio e la descrizione delle opere d'arte che vi sono custodite” ed. Cacopardo, 1935, Tripoli. Al presente fa eccezione un significativo articolo di Marino A. “Il castello e la fortificazione di Tripoli nel Mediterraneo” in“Tripoli, città fortificata del Mediterraneo”, Ricerche di Storia dell’Arte, n. 86, 2005 (pagg. 27-37) in cui sono sintetizzate le fasi storico-architettoniche principali di evoluzione del monumento. 10 - Unico testo contemporaneo è quello di Santoro R. “Il Castello di Tripoli: storia e architettura”, Palermo?, 1996 non edito e purtroppo incompleto, perché si tratta di una bozza di stampa priva di immagini; l’autore affronta in maniera esauriente il tema dell’evoluzione del complesso, ma rimanendo essenzialmente legato al suo ruolo di architettura fortificata, dal momento che è un esperto di architettura e arte militare. L’unico aspetto per il quale, infatti, il testo risulta utile è l’accuratissima descrizione delle modalità di guerra per le quali il Castello è chiamato a difendere o attaccare e i conseguenti danni che può aver riportato secondo il tipo di attività bellica. Vengono anche suggeriti interessanti confronti con la torre rossa di Salonicco e la torre rossa del castrum Superior di Palermo. L’autore giudica impossibile la ricostruzione delle fasi storiche del manufatto, per la mancanza di documentazione, ma pare che abbia comunque visionato le maggiori pubblicazioni sull’argomento, che, come si è detto, afferiscono ad Aurigemma, Bosio e Guidi. 11 - Cfr. Sette M. P. Profilo storico in Carbonara G. “Restauro architettonico”, vol. I - UTET, Torino, 1996 (pagg. 111-290).

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1.1 La ricerca bibliografico-archivistica

11. Planimetria di Tripoli, estratta dalla Guida breve di Italia Meridionale, Insulare - Libia a cura della Consociazione Turistica Italiana

stello nella facies attuale, dal progetto di Brasini, se mai è stato relazionato agli studi pubblicati in precedenza, fino ad arrivare all’ultimo intervento dell’UNESCO con il quale è stato inserito ed allestito il Museo Archeologico12. Sono state dunque esaminate le fonti bibliografiche e fotografiche pubblicate, integrando con l’analisi degli studi di carattere urbano; quindi si è aggiunta la consultazione dei fondi presso le sedi archivistiche prima citate al fine di ricostruire il complesso delle vicende storiche, re-interpretando le fonti pubblicate agli inizi del secolo integrate con la ricerca e l’indagine di quelle che ora sono divenute fonti archivistiche, come il Piano Regolatore di Tripoli o gli elaborati di Brasini. In linea generale la ricerca bibliografica ed archivistica è stata finalizzata alla ricostruzione delle fasi evolutive della fabbrica, fino alla composizione della facies precedente i restauri italiani del ventennio; gli interventi di restauro moderno, invece, sono stati studiati e ricostruiti dall’analisi della documentazione d’archivio e dei resoconti delle attività culturali italiane in Libia. Ne è emerso un quadro riccamente complesso e, se si considera la stratificazione già registrata da Aurigemma a partire dalla fase romana fino al periodo islamico, altrettanto si può dire complesso l’insieme degli interventi successivi. Agli studi precedenti, inoltre, è stato ritenuto necessario aggiungere il contributo dell’indagine condotta negli Archivi della Biblioteca Nazionale di La Valletta, relativamente all’Ordine dei Cavalieri di Malta e una ricongnizione dell’Archivio privato di Brasini, che ha restituito una ricca documentazione grafico-descrittiva e fotografica. 12 - Unica pubblicazione sull’argomento Bouchenaki M. “The Jamahiriya museum Tripoli” in Mimar 35 (pagg. 40-44) rivista on line.

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1.2 La struttura urbana della Medina 12. Tripoli, ideogramma dello schema di evoluzione delle fasi insediative della Medina Il grafico sintetizza l’ipotesi che la cittadella del Castello sia parte del ciclo di primo impianto, cioè della matrice di insediamento, isolata poi in forma di fortificazione con in successivi cicli di consolidamento dell’abitato. Elaborazione grafica (L. Mauriello) sulla planimetria pubblicata da L. Micara nel 2005

“Tripoli (...), situata su una sporgenza del litorale, è la metropoli e il principale porto della Libia, sede del Governatore generale. Circondata da un immenso parco costituito dalle vecchie oasi, è divisa distintamente in due parti: CITTÀ VECCHIA, chiusa nell’ambito delle antiche mura e pittoresca nel suo carattere arabo, e CITTÀ NUOVA, in continuo sviluppo, formata dai quartieri metropolitani dall’aspetto spesso sontuoso e che si affacciano sul porto e su un superbo lungomare”. Con questo incipit la guida del Touring Club1 inizia la descrizione di Tripoli, l’antica Oea, di origine punica. La Tripolitania, così chiamata dai Greci per la presenza della triade di città fenicie e cioè Oea, Sabratha e Leptis, si è strutturata per lo più secondo insediamenti di popolazioni semi-sedentarizzate, organizzate in tribù. Una di esse, Oea, diviene appunto Tripoli, capitale della Tripolitania2. Per l’insediamento di Oea la presenza del mare è determinante nella conformazione della Medina, nucleo storico della città, circoscritto dalla cinta muraria che lascia libero appunto il lato sul mare fortificato con gli Arabi e di nuovo libero con le demolizioni del secondo decennio del '900. L’insenatura

13. Pianta delle fortificazioni di Tripoli con i nomi dei singoli forti elaborata da S. Aurigemma

1 - Guida dell’Italia Meridionale, Insulare e Libia, Consociazione turistica italiana, Milano, 1940 (p. 389). Si tratta dell'edizione del 1940 della Guida del Touring Club, rinominato nel 1938 Consociazione turistica italiana, a seguito della campagna di italianizzazione dei nomi stranieri. In questa edizione la Libia era divisa in due regioni geografiche: la Tripolitania, con capitale Tripoli e la Cirenaica, con capitale Bengasi. Tra le città di una certa rilevanza sono descritte Derna in Cirenaica e Zauia ed El-Azizia in Tripolitania. Il termine Libia designava in quel periodo l’entroterra desertico. 2 - Aurigemma S. “Notizie archeologiche sulla Tripolitania” in “Notiziario Archeologico del Ministero delle Colonie”, n 4, apr. 1915, (pagg. 1-10). L’articolo è una relazione sommaria di Salvatore Aurigemma sull’archeologia di Tripoli e della Libia. Si chiarisce che l’origine etimologica di Tripoli allude a tre città che un tempo erano le principali in Tripolitania: Lebki o Leptis (att. Leptis Magna); Sabrat o Sabratha e Macar Uiat o Oea (odierna Tripoli) che i Greci chiamarono Tripolis, tre città, che fondate dai Fenici commerciavano con la Grecia. Tripoli (Oea) non ebbe molta rilevanza sino all’VIII secolo d.C. ed assunse importanza solo sotto Marc’Aurelio. Solo poche colonne e l’arco attestano la passata grandezza. (L’arco di Marc’Aurelio, infatti, fu oggetto di un consistente “restauro di liberazione” durante la dominazione italiana). Questa fase della romanizzazione è rilevante, non solo per comprendere la consistenza di trasformazioni significative che fecero di Tripoli una città, ma soprattutto perché durante la fase di colonizzazione italiana la propaganda fascista strutturò la retorica di regime intorno al tema del ritorno della nuova Roma del Littorio in Africa del Nord ed alla ricostruzione in prosecuzione diretta con la rediviva grandezza.

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14. Libia, Forte di Kussafat (Archivio G. Volpi)

15. Libia, Forte di Tgutta (Archivio G. Volpi) Le foto inserite all'interno di una documentazione fotografica sui forti libici sono ascrivibili agli anni del dominio italiano durante il fascismo

portuale determina la morfologia della fortificazione muraria che delimita l’abitato e la sua distribuzione planimetrica: un “recinto pentagonale” avente come lato il mare, mentre a sud e ad est si estendono i sobborghi, in gran parte sventrati o demoliti per far posto al costruendo abitato moderno. Applicando al contesto del Castello Rosso la metodologia di analisi morfologica dei tessuti urbani di scuola muratoriana, è stato possibile formulare un’ipotesi sui presupposti che hanno determinato ed articolato la struttura insediativa, attraverso la comprensione del sistema di percorsi: primo livello di indagine è l’individuazione delle vie di accesso. In questo caso si raggiunge l’insediamento dalla costa, mentre le vie che proseguono lungo di essa consentono di relazionarsi via terra con altri nuclei disposti sia lungo la fascia costiera, che nell’entroterra. La cinta muraria che circoscrive la Medina presenta un’apparecchiatura in conci e fa perno su alcuni fortilizi e torrette. Ai due estremi, sul lato del mare, sono posizionati i due “forti” di maggiore rilevanza. Uno è il Forte S. Pietro (o di Darghùt) il baluardo di Ponente, l’altro è il Castello Rosso. Ma le relazioni viarie principali, che motivano la presenza dei nuclei costieri a finalità commerciali, sono da rilevare nei collegamenti con l’entroterra: “Le città di Leptis, Oea e Sabratha si trovavano ciascuna a capo di una delle carovaniere che dalla costa si snodavano sino al centro dell’Africa e fungevano da canali attraverso i quali affluivano al Mediterraneo – e quindi a Roma e nell’Impero – polvere d’oro, avorio, penne di struzzo, pelli, schiavi ecc.”3. È evidente, quindi, che il nucleo urbano delle città costiere è stato generato da un movimento “verso” e “dalla” costa, concomitante con l’approdo dal mare e con l’uso come scalo commerciale di popolazioni non indigene. Questa riflessione trova conferma in una rapida disamina della mappa delle piste carovaniere tra Gat, Gadames e il Sudan4. In essa si può notare che gli assi

16. Libia, Forte di Sinauen (Archivio G. Volpi)

3 - Messana G. “La Medina di Tripoli” in Quaderni dell’Istituto di Cultura Italiano di Tripoli, n°1, Roma 1979 (pagg. 6-35). 4 - Cfr. M.A.E.: A. S. D.; M.A.I – archivio storico., pacco 2, fasc. 6 e 9 Cartografia della Tripolitania e Cirenaica; mappa in scala 1:2.000.000.

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1.2 La struttura urbana della Medina

17. Mappa con l’indicazione delle principali piste carovaniere del 1933, dettaglio Si noti la posizione di Gadames e Sinauen, i due forti ovest di Tripoli dei quali è presente una consistente documentazione fotografica nel Fondo Volpi

viari sono orientati nord-sud, verso la costa e convergono in senso verticale rispetto al mare in luoghi, che saranno sede di complessi fortificati come Sinauen o Gadames in tutto simili alla cittadella fortificata della Medina. Nel caso di Tripoli l’arrivo delle carovaniere dall’interno raggiunge una lingua di terra favorevole all’insediamento, mentre nell’approdo da nord sulla costa libica, questo punto è il più comodo per accedere, quello cioè in cui l’insenatura è più ampia. La posizione privilegiata di avvistamento per scorgere chi sopraggiunge è quella in cui è situato il Castello, che costituisce il punto principale su cui fa perno il sistema difensivo. Non bisogna tralasciare, inoltre, le opportune considerazioni di Aurigemma sull’insenatura a nord-ovest, con la spiaggia di Tripoli, soggetta a fenomeni di marea incostante, assolutamente inadatta all’insediamento e scarsamente difendibile5. La posizione del porto di Tripoli è dunque la migliore e la più adatta, tanto che Oea sopravvive alla triade di città sulla costa: “in definitiva fu

18. Dettaglio della mappa delle piste carovaniere della Tripolitania di collegamento con la costa del 1912 Si tratta della “Carta parziale dimostrativa della Tripolitania” presenta Tripoli ben visibile con la sagoma delle fortificazioni. La mappa presenta un timbro del Comando di Corpo d’occupazione della Tripolitania. Sono evidenziate in particolare le lunghe percorrenze di collegamento tra la costa e l’entroterra e tra queste si notano le principali piste carovaniere di accesso a Tripoli

5 - “Ora in realtà anche oggi, all’occidente della città, nel tratto compreso tra la linea della spiaggia e la corona degli scogli che si estendono nel tratto a ponente di Tripoli (…) il mare è si basso che in pochi minuti la sua profondità supera l’altezza di un uomo. E la conformazione antica della spiaggia - a quanto è lecito sospettare da alcune piante di Tripoli del secolo XVI – poteva forse in antico favorire maggiormente l’azione di sorpresa del Mudlig’ e dei suoi compagni”. Da Aurigemma S. “Le fortificazioni della città di Tripoli” in “Notiziario Archeologico del Ministero delle Colonie”, n. 5, fasc. II - 1916 (pag. 227).

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19. Mappa con le indicazioni dei fortilizi del 1883 Si tratta della mappatura con la localizzazione dei fortilizi presenti sulle tutte le coste del Mediterraneo

essa a sopravvivere proprio in ragione del suo porto: il migliore che s’incontrasse nel tratto di costa africana cha va da Gabes a Tobruk” 6. La piccola lingua di terra su cui si attesta Tripoli con il suo porto, infatti, vede il mare ai due lati, con un gruppo di isolotti a nord-ovest e la delimitazione di “una collinetta” a sud-est sulla quale si estende l’espansione con il quartiere della Dahra. A proposito di quest’ultimo, Messana dice: “era un luogo ideale, (...) capace di accogliere le pesanti navi mercantili, -al quale- si affiancavano: a Settentrione una costa piuttosto bassa protetta da una scogliera delimitante uno specchio d’acqua idonea alla pesca artigianale di allora, e un tratto di spiaggia favorevole all’esercizio delle minute attività legate alla vita marinara: costruzione di barche, calafataggio fabbricazione di reti, ecc. (…) Infine, ad Occidente, sulla terra ferma si ergeva una collinetta quanto mai propizia alla sorveglianza del mare: una collinetta sulla sommità della quale si potevano avvistare per tempo le navi in arrivo, nemiche o amiche che fossero”7. Questa opinione farebbe pensare che la Medina attuale con la cinta muraria siano successive alla prima romanizzazione, con la quale avviene la conquista della costa africana, e che siano afferenti alla fase tardo-imperiale, per cui la fortificazione si rende necessaria a protezione dal flusso proveniente dall’entroterra, quando la città conosce il suo massimo sviluppo economico per i commerci8. Nell’ambito del tessuto urbano di quest’ultima, gli assi individuati verso il mare sono due, come conferma la tesi di Messana, e la consistenza dell’insediamento fenicio è stata ipotizzata nell’area settentrionale del promontorio. È probabile, quindi, che si tratti di un nucleo insediativo fondato con valenza economica a

20. Schema distributivo di Siviglia, ricavata da P. Cuneo Storia dell’urbanistica. Il mondo islamico, Bari, 1986. Molto evidente la matrice araba in tutto simile a quella della Medina di Tripoli, con la cinta fortificata che segue l’andamento del terreno, le porte di accesso e le emergenze della Moschea e dei nuclei insediativi principali

21. Planimetria di Toledo, ricavata da P. Cuneo Storia dell’urbanistica. Il mondo islamico, Bari, 1986

6 - Messana G. “La Medina di Tripoli” op. cit. (pag. 8). 7 - Messana G. “La Medina di Tripoli” op. cit. (pag. 8); cfr. anche Aurigemma S., “Con ogni verosimiglianza, la collinetta è la odierna Dàhra (Dàhra=collina) donde in realtà(….) si ha un eccellente veduta della città. E del resto tutta la regione tra la Dahra e il mare era tra le più adatte per stabilirvi un campo, sia per naturale posizione (…) sia perché elevata, e perché ricca di giardini e di acque pei bisogni dell’approvvigionamento dell’esercito”. in Le fortificazioni della città di Tripoli, op. cit. (pag. 228). Cfr. Bergna C. “Tripoli dal 1510 al 1850”, Tripoli, 1924 in cui l’autore dice della Dahra essere distante circa mezzo miglio dalla città. Descrivendo l’attacco turco del XVI secolo nel testo dichiara “che la distanza di circa mezzo miglio esistente tra la Dahra e il Castello, poteva benissimo essere coperta con trincee e sotterranei, facili a scavarsi”. 8 - I Romani, infatti, in genere nell’insediamento tipo “colonia” non costruivano “riempiendo i lotti” all’interno di una cinta muraria e se avessero costruito un castrum questo avrebbe avuto con tutta probabilità una pianta quadrata.

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23. Mosul (Iraq), pianta della città Pubblicata in Micara L. Città e architettura nell’Islam. Le istituzioni collettive e la vita urbana, Roma, 1985; da Sarre F., Herzfeld E., Archäologische Reise im Euphrat und Tigris genie, Berlin, 1920. Si noti la forte similitudine morfologica rilevabile nell’assetto dell’abitato

22. Tunisi, pianta della Medina con la Grande Moschea Pubblicata in Micara L. Città e architettura nell’Islam. Le istituzioni collettive e la vita urbana, Roma, 1985; da R. Berardi Espace et ville en pays d’Islam in L’espace social de la ville arabe, Paris, 1979

funzione commerciale, in cui l’assetto urbano mostra i segni della romanizzazione, con una sovrastruttura islamica ancora del tutto leggibile, che in seguito viene fortificato per migliorarne la difendibilità. Prima di analizzare brevemente la struttura della Medina, quindi, è necessario sintetizzare alcune ulteriori osservazioni: la prima considerazione è che questo nucleo insediativo deriva verosimilmente dall’accrescimento, durante la fase di sedentarizzazione delle popolazioni seminomadi e dal nucleo costiero fondato dai Fenici come scalo commerciale. La scelta da parte di gruppi umani che avevano bisogno di approdi intermedi per le attività di commercio marittimo non è stata casuale: “i Fenici s’insediarono in una zona ideale per gente che veniva dal mare e viveva del mare commerciando e pescando”9. La seconda considerazione è che non solo la scelta del luogo, ma anche la struttura dell’abitato è condizionata dalle vie costiere che si dipartono dalla fascia insediata. Con molta probabilità è stata giudicata di interesse l’area già antropizzata da popolazioni semi-stabili ed il luogo doveva consentire di proseguire verso l’entroterra e di commerciare con gli altri mercati interni. Beguinot osservava che l’addensamento delle popolazioni stabili e seminomadi in Tripolitania era concentrato quasi esclusivamente sulla fascia costiera, forse per la maggiore presenza di oasi e di acqua dolce10. L’interno era per lo più desertico e non adatto all’agricoltura. Non è raro, infatti, che molti insediamenti derivati da scali commerciali fenici o punici si siano trasformati in seguito in sedi stabili, come confermato dagli scavi degli anni ’20: i Cartaginesi in arrivo sulla costa libica si fondono lentamente alle popolazioni residenti ed autoctone dell’Ifrikia, popolazioni di nomadi sedentarizzati11. L’osservazione che le vie di collegamento di terra fossero rilevanti per il commercio verso l’interno, e che a Tripoli l’area tra la Dahra e il Castello fosse nevralgica, è confermata dalla posizione della Piazza del Pane adiacente in esterno al Castello, come luogo di convergenza dei mercanti che non invadesse la città. L’utilizzo di quest’area posizionata fuori dalla cinta muraria potrebbe essere

9 - Messana G. “La Medina di Tripoli” op. cit. (pag. 7). 10 - Da Volpi G. “La Rinascita della Tripolitania”, op. cit. (pag. 38). 11 - Aurigemma S. “Notizie archeologiche sulla Tripolitania” in “Notiziario Archeologico del Ministero delle Colonie” op cit. in cui si legge “L’elemento autoctono che i Cartaginesi prima dei Romani, trovarono sulle coste tripolitane non si doveva differenziare gran che dall’elemento che popolava il resto delle coste nord-africane”. Le popolazioni con cui i Romani vengono a contatto sono appunto quella dei Libi, descritti anche da Sallustio come “sparsi in mille tribù che parlavano la lingua di Masinissa e di Giugurta”.

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24. Planimetria delle fortificazioni di Badajòz e Càcerez ricavata da P. Cuneo Storia dell’urbanistica. Il mondo islamico, Bari, 1986. La dinamica della struttura insediativa islamica, prevede l’insediamento dei territori attraverso il cosiddetto sistema parallattico, contrapposto al palinsesto, che caratterizza l’urbanizzazione europea: le città musulmane sono spesso fondate da monarchi anche in luoghi appositamente scelti e del tutto ex novo, come nuove capitali o nuovi luoghi legati alla memoria di questo o quel sovrano. Questo produce spesso un abbandono di centri abitati, a favore di nuove fondazioni, diversamente da quanto accade in Europa, in cui la tradizione e la memoria storica aiutano e sostengono la persistenza dei nuclei urbani. Nel caso della Medina di Tripoli, l’analogia con gli esempi proposti è evidente nella formulazione dello schema delle fortificazioni di chiara matrice islamica, di chiusura difensiva ad un sito già insediato

contestuale alla fase di medievalizzazione: “Nessuna piazza nella Medina, così come non si incontrano piazze nella città medievali arabo musulmane. I luoghi dove i cittadini (...) convengono in gran numero sono la moschea e il mercato: - il mercato (almeno quello del bestiame, delle granaglie, degli ortaggi all’ingrosso) era un’area libera situata generalmente ai margini della città, o vicina alle sue porte quando la città era recintata da una muraglia. A Tripoli è famoso il Suq El-Thalata, (…) che, agli albori del secolo, si svolgeva a sud del Castello e più tardi a ovest della Medina”12. Quest’ultima caratteristica del mercato grosso esterno alla città murata si riscontra spesso anche in area europea nella fase di ripresa economica successiva all’incastellamento13. Per quanto concerne la morfologia della città vecchia, con le distorsioni al tessuto edilizio apportate dalla nuova presenza musulmana, è rintracciabile una continuità storico-formale tra l’islamizzazione delle città romane nate da fondazioni fenicie presenti sulla costa della Spagna e le città della costa nord-occidentale dell’Africa, continuità consolidata anche dalla successiva comune matrice spagnola14. Alcune grandi città andaluse come Malaga, Toledo, Granada, ma anche Sevilla e Cordoba sono nate come scalo commerciale fenicio secondo uno schema distributivo del tutto simile a quello tripolino e presentano una cinta muraria associata al castello. L’unica differenza è la posizione di quest’ultimo: nei casi spagnoli è leggermente soprelevato, ma marginale rispetto alla cinta muraria perché costruito dai musulmani e poi spesso fortificato dagli Spagnoli dopo la “Reconquista”. A Tripoli, invece, la posizione del castello è di chiusura della cinta muraria sul mare e non sulla Dahra: questo potrebbe costituire un’ulteriore conferma che si tratta della fortificazione successiva di un nucleo di tessuto urbano precedente 12 - Messana G. “La Medina di Tripoli” op. cit. (pag. 19). 13 - Messana G. “L’Architettura musulmana della Libia” Castelfranco Veneto, 1972, schematizzando storicamente e geograficamente l’architettura islamica distingue le seguenti scuole di architettura: siro-egiziana (attiva dai primi secoli dell’Egira, offre un vasto panorama di quanto abbia prodotto l’impero islamico nelle varie epoche); maghrebina, caratteristica dell’nord-Africa e della Spagna, con raffinatezze stilistiche e decorative (arte mudejar); persiana (dall’XI secolo in poi, con riferimenti all’arte pre-islamica; architettura dei mattoni, cotti e crudi); ottomana (fine XIV in Asia Minore, trionfa dopo la presa di Costantinopoli); indiana (fine XIII secolo). La Libia, che si estende tra Egitto e Maghreb, è interessata dalle prime due scuole sopradescritte. Quando giungono gli Arabi, il paese ha già subito un secolo di dominazione dei Vandali. Successivamente i Bizantini si limitano a ripristinare parte della situazione, intervenendo sugli edifici pubblici danneggiati e sulle fortificazioni, tuttavia la situazione doveva essere abbastanza critica quando gli islamici sono entrati in possesso dei territori. Dopo la venuta dei Normanni, la cui dominazione interessa soltanto Tripoli, la Libia subisce le ripetute invasioni degli Arabi e poi le continue interferenze dei Cristiani i Doria ed infine gli Spagnoli. A causa di queste circostanze, secondo l’autore non si è sviluppata una vera e propria architettura islamico - libica; l’unica notizia si ha su una grande opera maghrebina: la Grande Moschea di Tripoli, distrutta dagli Spagnoli e rinnovata dai Fatimīdi. 14 - Sulla continuità del sistema insediativo tra gli scali commerciali fenici, la fase di romanizzazione e la successiva islamizzazione al tramonto dell’impero romano, si può costruire un parallelo tipologico e storico con le città costiere della Spagna islamizzata, grazie all’approfondito studio di Cuneo P. “Storia dell’urbanistica. Il mondo islamico”, Bari, 1986. Tripoli, inoltre, viene “occidentalizzata” proprio con la dominazione spagnola nel XVI secolo. Nel testo citato l’autore analizza la sequenza dello sviluppo, cioè la storia del sistema insediativo islamico in relazione alle vicende storiche. La prima disamina è effettuata sulla struttura della città islamica e le conclusioni cui giunge possono essere sintetizzate come descritto di seguito: l’insediamento dei territori spesso avveniva secondo il cosiddetto sistema parallattico, contrapposto al palinsesto, tipico dell’urbanizzazione europea: le città musulmane sono spesso fondate da monarchi anche in luoghi differenti e del tutto ex novo, solo come nuove capitali e nuovi luoghi legati alla memoria di questo o quel sovrano. Questo produce spesso un abbandono di centri abitati, a favore di nuove fondazioni, diversamente da quanto accade in Europa, in cui la tradizione e la memoria storica aiutano e sostengono la persistenza dei nuclei urbani; le componenti essenziali della città islamica non sono dunque espresse da tipi edilizi o da schemi aggregativi riconoscibili. In generale il centro abitato è composto da: nucleo urbano, includente il centro religioso e culturale, il centro della vita commerciale e il centro politico e amministrativo. L’autore distingue anche tra una viabilità primaria, che fa capo a questi nuclei principali, e una rete viaria secondaria, che articola la struttura insediativa. Una cinta muraria bastionata, talvolta doppia, spesso determina una vera e propria cittadella fortificata e in questo è evidente l’analogia con la capitale libica; alla base della multietnicità della città orientale sta il sincretismo religioso e culturale, ed è condizionata nello sviluppo da grandi movimenti di masse come le deportazioni e i trasferimenti di popolazioni vinte; un elemento importante è che i caratteri organizzativo-spaziali della città islamica, intesa come modello di riferimento cui uniformare i successivi esempi, non si trovano descritti o teorizzati, perché manca una trattatistica analoga a quella europea ridotta a schemi grafici o prescrizioni tecnico-giuridiche. Altro elemento formante della città islamica è costituito dal complesso delle aree residenziali conservate entro le mura, organizzate in quartieri compatti e con poche aree libere interposte. Importante poi, è la cinta muraria, come elemento costitutivo della città dotato di forte evidenza: formante un poligono mistilineo, la cinta muraria racchiudeva la cittadella da difendere, la cui conformazione, in generale, dipende dalla natura dei luoghi. In generale la cinta muraria è costruita in materiale precario, a volte in muratura di terra cruda, e perciò di considerevole spessore. Le mura urbane avevano, insieme alla Grande Moschea, il ruolo di esternare l’immagine della città in tutta la compattezza della compagine urbana. Nel quadro diacronico riveste particolare importanza per questo caso la fase della dinastia Ommyyade di Cordova (pagg. 756-1031). Dalla prima metà del VIII secolo una dinastia di discendenza Ommayyade si era resa indipendente da Damasco, dando origine prima all’Emirato e poi al Califfato dei Cordova, con la conseguente autonomia delle aree nordafricane che dipendono dal dominio diretto degli Arabi di Spagna. “La politica urbanistica dei Califfi fu quella di riutilizzare il maggior numero possibile di regno romano-barbarici, semplicemente sovrapponendo al strutture sepolte dal materiale di demolizione e riporto (…) le nuove entità urbane ed edilizie che ne fecero altrettante «città dell’Islam» con gradi diversi di persistenza dei contesi sociali” (pag. 145).

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25. Planimetrie del sito di Mahdya, ricavata da P. Cuneo Storia dell’urbanistica. Il mondo islamico, Bari, 1986 La collina su cui si attesta l’edificato ha stessa funzione della Dahra di Tripoli, così come analoga è la localizzazione della fortificazione

alla fase islamica e confermerebbe l’ipotesi della preesistenza fenicia e poi romana15. Dalla piazza antistante il Castello, che conserva la memoria del ‘mercato’ nella toponomastica (Piazza del Pane in prossimità della Bab-el-Mescia, “la porta della Mescia”), divenuta con la nuova pianificazione del 1912 Piazza Italia, si dipartono, dunque il lungomare intorno al quale si articola il tessuto moderno e la Sciara Dahra Grande. Nell’ambito del sistema dei collegamenti viari, si può assegnare il ruolo di percorso-matrice al tratto di costa murato sul mare tra il forte di S. Pietro e il Castello e in relazione a questo percorsomatrice si riscontra un orientamento coerente del tessuto insediativo, cui si sovrappone una sorta di “rotazione”, che si ripete anche in alcuni tratti all’interno dell’abitato, coerente con la dirittura d’arrivo in linea con l’asse dell’approdo. Questo allineamento si riscontra nella distribuzione di alcuni corpi della cittadella racchiusa dal Castello (dalla Moschea alla Casa Karamanli) e nel tessuto urbano interno, come alcuni esempi sporadici di edilizia privata a carattere specialistico: la Jama Mustafa Bey Burgi, oppure ancora la più importante Jama Darghùt Pasha o la Jama Ahmàd Pascha al-Karamanli, cioè le abitazioni di famiglie rappresentative durante la dominazione turca. Senza dubbio la locazione di questi nuclei famigliari deve essere legata al prestigio delle sedi scelte. Il ripetersi parallelo degli assi anche

15 - Dal momento che un carattere distintivo delle città Ommayyadi di Spagna è la compresenza di diverse etnie socio-culturali, è molto probabile che questa sia una caratteristica simile alle città islamizzate anche in nelle altre aree del Mediterraneo. In particolare la stessa Cordova è una città trasformata da romano-visigotica in Islamica, come anche Malaga, Toledo, Granada e Siviglia. Almerìa riveste un’importanza particolare: “La fondazione ufficiale della città ad opera di ‘Abd ar-Rahman III, nel 951, consisté in realtà nel recingere di muro e dotare di una grande Moschea quello che era già un attivo borgo marinaro” Cuneo P. op. cit. (pag. 151) e da ciò è naturale supporre che possa essere avvenuto lo stesso per Tripoli. Anche Malaga offre un esempio che può essere paragonato al caso di Tripoli: già porto fenicio e cartaginese, poi città romana, è tra le prime conquiste arabe in Spagna. Viene poi dotata di Arsenale, Grande Moschea e Rībat. La città antica (madāna) e il sobborgo (rabad) furono entrambi cinti di mura. Di particolare interesse anche la fase delle dinastie islamiche nord-africane dalla fine dell’ottavo all’inizio del decimo secolo. Tra la seconda metà dell’VIII secolo e la prima metà del X secolo le province islamiche di Nordafrica e Marocco si affrancano dal dominio diretto di Baghdad. I singoli stati danno avvio dunque alla formazione di culture locali indipendenti, dando luogo a diverse entità culturali che tuttora sussistono tra i diversi stati africani. Verso la fine dell’VIII secolo una dinastia auto proclamatasi indipendente, gli Idrīsidi con capostipite Idrīs, riuscì ad unificare i numerosi regni berberi già autonomi. Numerose furono le città che nacquero dal riutilizzo di precedenti siti romani: Pomaria, nella Mauritania, dopo essere passata dai Visigoti ai Bizantini, diventò Agadir, “la fortezza”. (in un’immagine c’è la Medina di Sousse, con una cinta muraria simile a quella di Tripoli, dotata di fortini ai punti nodali, e una fortificazione a sud che ricorda per dimensioni e posizione il Castello Rosso. “Un’altra serie di interventi urbani degli Aghlabiti riguarda le città costiere per lo più di origine romano-bizantina, tutte ampliate e consolidate nella loro struttura monumentale, e nelle fortificazioni” Cuneo P. op. cit. (pag. 162). Nel capitolo Le città dell’Islam dal decimo al quattordicesimo secolo si fa riferimento all’inizio del X secolo le città dell’Ifriqiya che, soggette al dominio degli Aghlabidi, furono conquistate da una nuova dinastia, che estese il suo potere anche alla Sicilia e a gran parte del medio-oriente: i Fātimidi, discendenti di Fatima, figlia di Maometto. Nel paragrafo relativo alle città palatine dell’Ifriqiya è citato l’esempio di Mahdia, edificata come città di rappresentanza su una stretta penisola rocciosa sulla costa tunisina, tra Sfax e Sousse. Fortificata da un spessa cinta muraria conteneva tra l’altro due palazzi reali. “Per prepararsi alla conquista dell’Egitto i Fātimidi avevano bisogno di organizzare, oltre i porti e la flotta, un sistema di punti di appoggio anche sulla rotta di terra dal Maghreb al Delta del Nilo, e per tale esigenza occuparono, svilupparono e consolidarono una serie di centri lungo la direttrice della Libia: oltre che a Tripoli (ove riedificarono, fra l’altro, dandole la forma compiuta che conserva tuttora, con materiale di spoglio bizantino, la Moschea di Al-Naqa, «la Cammella») essi eseguirono importanti opere edilizie ed urbanistiche nella regione sirtica, l’odierna Cirenaica, in corrispondenza dei punti di sbocco sul Mediterraneo delle principali carovaniere transahariane attraverso il deserto libico, delle intendevano controllare il proficuo commercio dell’oro proveniente dal Sudan” Cuneo P. op. cit. (pag. 170). Tra i centri principali è citato Sort, in latino Syrtis, oggi Medina Sultan, sorto come sviluppo in epoca islamica dell’emporio fenicio di Charax, e della città romana di Iscina, là dove le carovane dal Ciad raggiungevano la costa. “Nel X –XI secolo, epoca di massimo sviluppo, l’impianto urbano comprendeva, oltre un vasto sobborgo extra-muros, un recinto di mura bastionate in pietra di forma poligonale irregolare, in cui si innestavano due fortezze racchiudenti i quartieri residenziali con moschee, bagni e bazar, come attestano i geografi contemporanei (il solito Al-Bakrā) mentre una terza fortezza, destinata forse alla residenza dei governatori, sorgeva isolata verso il mare” Cuneo P. op. cit. (pag. 170) In seguito l’autore cita espressamente il caso di Tripoli quando descrive il dominio della dinastia turca degli Ottomani un impero paragonabile solo a quello romano per entità, dal Marocco all’Iran, dalla Russia allo Yemen, dall’Austria al Golfo persico. Gli esempi a cui si fa riferimento sono: Tripoli e Algeri. “Anche nelle città portuali dell’Africa mediterranea, venute in possesso dei Turchi nella prima metà del secolo XVI, non si verificarono in epoca ottomana grandi trasformazioni urbane, ma lunghe fasi di assestamento e riorganizzazione delle antiche strutture, accompagnate di norma da un rifiorire di traffici (di cui era gran parte la pirateria semi-riconosciuta dal governo turco) mentre si formavano e si consolidavano compagini urbane molto articolate per composizione etnica e per struttura sociale” Cuneo P. op. cit. (pag. 392). “I Governatori che a partire dalla seconda metà del XVI secolo ressero la città di Tripoli (tolta ai Cavalieri di Malta nel 1551) non operarono modifiche fondamentali nella struttura che si era andata formando sotto le diverse dominazioni precedenti: si trattava d’una compatta ma non solida cinta di mura pentagonali appoggiata al castello a guardia del porto e racchiudente una rete irregolare di vie, attraversata però da un cardo e due decumani rettilinei che si incrociavano nella zona del bazar collegandola con le strade carovaniere provenienti dal territorio” Cuneo P. op. cit. (pagg. 392-93). La trasformazione in città ottomana avvenne tra il XVI e il XVIII secolo attraverso il potenziamento del sistema delle moschee e madrasa, e dei bazar, due entità legate tra loro attraverso l’ordinamento giuridico dei waqf. Pur senza una esplicita intenzione di piano, il centro funzionale della città, abbandonando la zona del Tetrapilo di Marco Aurelio di fronte al vecchio porto si spostò sensibilmente in questo periodo verso il baricentro dell’area urbana, avvicinandosi al crocicchio detto Arba ‘Arsat, le «Quattro Colonne», che conserva non per caso nel nome e nei rocchi di colonne incastonate agli spigoli degli edifici circostanti, e negli archi sovrastanti tre delle strade ivi convergenti, una sorta di simulacro degli analoghi esempi di architettura classica che segnavano il quadrivio della città antica. Dal XVII secolo la città fu retta, con l’accordo di Istanbul, da una dinastia autonoma (rimasta al potere sino al 1835 allorché fu restaurata la dominazione diretta ottomana), i Karamanli, cha stabilirono la loro residenza nel castello opportunamente riadattato, assicurarono un periodo di pace e prosperità che consentì l’esecuzione di opere pubbliche includenti il restauro delle mura e la costruzione di un acquedotto a servizio della Moschea e Madrasa dei Karamanli, ed esercitarono una politica di tolleranza verso Cristiani ed Ebrei” Cuneo P. op. cit. (pag. 393). Naturalmente questo aspetto determina per Tripoli una condizione di pacifica città multietnica in cui le diverse popolazioni si occupano di diverse attività in relazione alla loro fede e alle prescrizioni di culto.

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1.2 La struttura urbana della Medina

26. Planimetria della Medina di Sousse, ricavata da P. Cuneo Storia dell’urbanistica. Il mondo islamico, Bari, 1986

in posizione distante dalla costa lascia ipotizzare una certa consistenza nell’estensione areale del tessuto urbano16. È presumibile, come accennato in precedenza, che i diversi assi distributivi evidenziati abbiano differenti collocazioni storiche: risalirebbe al primo impianto fenicio quello a cui afferisce il percorso-matrice della fascia costiera e cioè la ripetizione dell’asse viario della costa, sporadico nella parte interna, che potrebbe rimandare all’assetto dell’abitato nella fase di insediamento preromano. Gli assi romani successivi, invece, rigorosamente orientati da nord-ovest a sud-est, sono chiaramente riconoscibili. Nell’ambito di essi è possibile distinguere una duplice fase: una prima, afferente alla colonizzazione della Tripoli fenicia durante la Roma repubblicana e la prima fase espansionistica sulla costa africana, a cui fa seguito una successiva trasformazione in epoca imperiale. Su questi assi ortogonali restano ben leggibili le superfetazioni della medievalizzazione islamica, con rifusioni e deformazioni del tessuto edilizio.

27. Planimetria del sito di Almerìa, ricavata da P. Cuneo Storia dell’urbanistica. Il mondo islamico, Bari, 1986. Esaminando la storia del sistema insediativo islamico in relazione alle vicende storiche e da una disamina compiuta sulla struttura della città islamica emergono numerose analogie con gli elementi islamici rilevabili nella Medina di Tripoli. Le componenti essenziali della città islamica non sono espresse da tipi edilizi o da schemi aggregativi riconoscibili. In generale il centro abitato è composto da: nucleo urbano, compreso il centro religioso e culturale, centro della vita commerciale e centro politico e amministrativo. È distinguibile anche una rete viaria primaria, che fa capo a questi nuclei principali, e una secondaria, che articola la struttura insediativa. Una cinta muraria bastionata, talvolta doppia spesso determina una vera e propria cittadella fortificata. Gli elementi compositivi dell’insediamento islamico rilevati nell’esempio riportato e analogamente nella Medina di Tripoli sono: 1. arroccamento delle funzioni difensive su una cittadella; 2. complesso delle aree residenziali conservate entro le mura, organizzate in quartieri compatti e con poche aree libere interposte; 3. cinta muraria come elemento costitutivo della città dotato di forte evidenza: formante un poligono mistilineo, la cinta muraria racchiudeva la cittadella da difendere, la cui conformazione, in generale, dipendeva dalla natura dei luoghi. In generale la cinta muraria era costituita in materiale non precario, a volte in muratura di terra cruda, e perciò di considerevole spessore. Le mura urbane avevano, insieme alla Grande Moschea, il ruolo di esternare l’immagine della città in tutta la compattezza della compagine urbana; 4. insieme di spazi, edifici ed attrezzature di lavoro e di servizio localizzate nel complesso del centro cittadino

16 - Naturalmente sono escluse da questa logica distributiva le moschee, per le quali, compresa quella del Castello, G. Messana osserva sono determinanti le esigenze cultuali che impongono, secondo le prescrizioni coraniche, orientamento e distribuzione. Essendo, dunque, discordi dal tessuto urbano circostante, si suppone siano successive, perché se fossero contestuali o precedenti, con tutta probabilità il tessuto urbano sarebbe stato costruito in accordo. L’ipotesi, dunque, è che ai complessi preesistenti si sia sovrapposta la costruzione delle moschee con l’islamizzazione dell’insediamento. “All’osservatore occidentale può sembrare strano che il santuario non abbia i lati paralleli a quelli del quadrilatero perimetrale del complesso.; ma non bisogna dimenticare che l’orientamento di un qualsiasi oratorio musulmano (fronte diretta verso al Mecca) è prioritario rispetto a qualsiasi altro fattore, compresa la direzione delle vie che delimitano il lotto” Cfr. Messana G. "La Medina di Tripoli", op. cit. (pag. 31).

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1.2 La struttura urbana della Medina 28. Tripoli, analisi morfologica del tessuto urbano della Medina Lo studio elaborato sulla planimetria pubblicata da L. Micara nel 2005 (L. Mauriello), evidenzia gli orientamenti degli assi viari rintracciando gli elementi coerenti e compatibili sul tessuto urbano e all’interno della cittadella fortificata. La fase di primo impianto, afferibile all’insediamento fenicio, concerne unicamente una ridotta fascia costiera, mentre internamente alla cittadella castellare è possibile individuare unicamente gli assi relativi alla prima fase di urbanizzazione. Questo dimostrerebbe che fino alla fase di prima romanizzazione la cittadella interna al castello era parte integrante del tessuto edilizio e quindi presenta orientamento dell’abitato coerente con gli assi individuati nella Medina. Le fasi successive, romana imperiale e medievale, non presentano tracce individuabili all’interno del Castello, che già è stato chiuso in forma di fortificazione

La cittadella racchiusa all’interno del Castello è articolata secondo un doppio schema planimetrico: un primo allineato con quello della fascia costiera ed un secondo afferente alla seconda fase di romanizzazione. Questi due schemi sono coerenti anche con l’orientamento di molti spazi interni, a carattere cultuale, ma anche associativo e ricettivo. Si potrebbe dunque ipotizzare che questa piccola città interna al Castello, divenuta poi fortezza e residenza reale, protetta dalle mura spagnole nel XVI secolo, rappresenti proprio la matrice d’insediamento che ha generato la Medina; questo troverebbe conferma nella mancanza di riferimenti agli assi della medievalizzazione islamica, segno che la cittadella è stata fortificata da mura prima (diventando il cosiddetto Forte Rosso) o durante la dominazione turca. Gli assi della prima romanizzazione, dunque, possono essere considerati allineati al percorso matrice della Medina: successivi a questi derivati dall’impianto cardo-decumanico, sono gli assi che si dipartono dalla Bab-el-Menscia e da Bab-el Hurria e che convergono nel punto della città in cui è posizionato l’arco di Marc’Aurelio, e questi potrebbero essere considerati afferenti alla seconda fase della romanizzazione, con il nuovo interesse di imperatori spesso originari della costa africana. Dalla disamina effettuata della cartografia della Medina disegnata da Fehimi-Bey17, e meglio ancora dall’elaborazione grafica della Planimetria di Tripoli pubblicata da Micara, si evidenzia la “biforcazione” dei due assi, uno dei quali è il cardo, a partire dall’arco di Marc’Aurelio. In seguito alle operazioni di ristrutturazione edilizia italiana e di “liberazione” dell’area intorno al Castello e intorno all’arco, questa biforcazione non è più immediatamente percepibile e assume un ruolo chiave solo l’asse viario da Bab-el-Hurria. Anche nella planimetria delle fortificazioni di Tripoli di Aurigemma18, gli assi relazionati alle fortificazioni che si dipartono dalle due porte citate hanno pari significato, sebbene solo uno di essi sia il cardo. Questa analisi trova conferma nelle osservazioni di Micara19 che ha rilevato l’incoerenza tra il decumano principale e il 17 - Sangiovanni O. “La Medina di Tripoli. Dal Piano Regolatore del 1912 ai lavori del 1936-37”, in “Islam, Storia e Civiltà”, IX, 1 gennnaio-marzo 1990, (pagg. 48-58); Planimetria di Tripoli in AA.VV. “Ricerche di Storia dell'Arte”, n. 86/anno 2005 op. cit. Micara L. “Tripoli Madinat al-Qadima: un tessuto urbano mediterraneo” in “Tripoli, città fortificata del mediterraneo”, Ric. di Storia dell’Arte, n. 86, anno 2005, (pagg. 43-51). 18 - Cfr. I.s.I.A.O., archivio cartografico, armadio F, cassetto 3, busta II b; foglio 12613/2 Pianta di Tripoli con i nomi delle fortificazioni, di Aurigemma S.. 19 - Micara L. “Tripoli Madinat al-Qadima: un tessuto urbano mediterraneo” in “Tripoli, città fortificata del mediterraneo”, Ric. di Storia dell’Arte, n. 86, anno 2005, (pagg.43-51).

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29. Tripoli, analisi morfologica del tessuto urbano della Medina con in particolare lo studio degli assi viari Lo studio evidenzia i differenti orientamenti degli assi viari e le porzioni di edificato di rifusione, determinate dalle distorsioni medievali. Elaborazione grafica (L. Mauriello) sulla planimetria pubblicata da L. Micara nel 2005

cardo determinato dall’orientamento dell’arco di Marc’Aurelio. Infatti, come dichiara lo studioso, l’orientamento dell’arco di Marc’Aurelio permette di individuare un cardo non coerente con i decumani più evidenti. In realtà, se si “legge” il tessuto urbano relazionando gli assi viari con l’orientamento distributivo di alcune delle preesistenze architettoniche di maggiore rilievo, è possibile individuare la doppia maglia ortogonale, appunto, un doppio sistema di cardo-decumano, che come descritto in precedenza potrebbe afferire alle due fasi della romanizzazione: la prima di conquista della costa d’Africa e ad una seconda di epoca tardo-imperiale con cui l’arco di Marc’Aurelio risulta coerente. Se si considera che Oea, compresa tra Leptis e Sabratha, è situata nella fascia costiera sottoposta al dominio cartaginese, è plausibile che la “prima romanizzazione” della Medina afferisca all’età repubblicana, successiva alla conquista di Cartagine e della costa africana (142 a.C.). L’Arco di Marc’Aurelio, invece con le implicazioni morfologiche del nuovo orientamento degli assi, potrebbe essere legato al momento successivo di massima espansione economica e commerciale della città, durante la fase matura dell’Impero, che comporta interventi anche all’interno del Castello, ancora non trasformato in fortezza difensiva. L’assetto viario della Medina, più evidente del tessuto interno al Castello, con i suoi vicoli, i suq e i fonduch, ci permette di leggere a tutt’oggi la scomposizione della maglia ortogonale romana e la sovrapposizione del tessuto medievale. L’espansione dalla costa verso l’interno crea un effetto analogo a quello della medievalizzazione sugli insediamenti romani in area europea, pur con le dovute differenze culturali. La preesistenza romana come sedime, comunque, è dimostrata dal per-

30. Tripoli, studio delle assialità rilevabili nel tessuto urbano della Medina, ricavato da Messana G. La Medina di Tripoli nella collana Quaderni dell’Istituto Italiano di cultura di Tripoli, n.1, Roma, 1979

20 - Cfr. Micara L. “Architettura e spazi nell’Islam. Le istituzioni collettive e la vita urbana.”, Roma, 1985. Dalla prefazione di Quaroni emerge che la ragione per cui gli edifici pubblici islamici siano ad un solo piano va cercata in una concezione del rapporto spazio-volume del tutto diversa da quella occidentale; in più l’organismo edilizio islamico non è come quello occidentale, ma “l’idea dell’edificio (è) ottenuta per giustapposizione di tanti elementi - di solito quadrati o, per derivazione, ottagonali - ognuno con una sua individualità spaziale (ottenuta soprattutto curando il valore spaziale e decorativo della copertura), ma giustapposto cioè accostato, non incastrato, agli altri, simili o più grandi, in maniera da «comporre» poi un sistema anche molto complesso, ben leggibile all’esterno”. Quaroni evidenzia che queste caratteristiche sono motivate dalla possibilità di annettere sempre nuovi ambienti a quelli già costruiti in modo da mantenere intatti i moduli di base e “i diversi modi e stili finiscono per aiutarsi a vicenda nella esaltazione del monumento stesso”. A conferma di ciò sono riportati diversi esempi come Baghdad o Damasco che mantengono la struttura urbanistica romana ed ellenistica, articolata secondo il tessuto a scacchiera, con una via recta porticata che attraversa la città da est ad ovest.

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1.2 La struttura urbana della Medina

31. Tripoli, planimetria disegnata da Fehmy Bey del 1910 Dettaglio con l’evidenza del Castello Rosso in cui è visibile l’assetto degli edifici interni alla cittadella

32. Tripoli, Arco di Marc’Aurelio Veduta prospettica dell’Arco di Marc’Aurelio e delle sistemazioni previste intorno. Restauro di liberazione dal tessuto urbano circostante. Disegno assonometrico della sistemazione di progetto; matita su carta schizzi. (originale 41.5x60 cm)

sistere nell’orientamento interno di molte emergenze architettoniche, sia di edilizia privata di spicco che in quella pubblica20. Quando nel 1510 gli Spagnoli d’Aragona conquistano Tripoli, la struttura della città si presenta del tutto simile allo stato attuale, con la sua complessa stratificazione e le caratteristiche costruttive ed artistiche comuni, come si è detto, alla cultura spagnola, avendo come matrice l’impronta araba sia nei tipi edilizi che nell’estetica decorativa. È questo il sedime che permane fino al XVII secolo, evidenziato nelle moltissime rappresentazioni grafiche, tra cui esemplificativa è la pianta di Seller datata al 1675, rimanendo evidente e leggibile sino alla conquista italiana dei primi del XIX secolo, come conferma la planimetria di Fehmi Bey del 1910. “La struttura urbana della Madinat al-Qadima, raff igurata dal Seller, rimane fondamentalmente simile a quella della pianta di Tripoli disegnata da Fehmi Bey nel 1910, alla vigilia dell’occupazione italiana, e del primo piano regolatore italiano del 1912-14. Nell’articolata topografia sono riconoscibili segni urbani noti, riconducibili ad alcuni particolari momenti della storia della Medina: i tracciati ortogonali di alcune strade che richiamano l’ordine e la misura cardo-decumanica dell’impianto classico, i percorsi curvilinei e irregolari da cui si generano vicoli e cul de sac a raggiungere le parti più interne della città araboislamiche, le geometrie poligonali delle mura e delle fortif icazioni bastionate cinquecentesche”21. In sintesi, dunque, è possibile distinguere almeno tre fasi evolutive nel palinsesto della Medina: il primo insediamento si attesta sulla fascia costiera come approdo e scalo commerciale dei Fenici in prossimità di un nucleo di popolazioni autoctone sedentarizzate. Questa fase può essere identificata come nucleo di primo impianto o matrice di insediamento ed è centrata sull’area del Castello, in seguito fortificato. La considerazione che Castello sia nato come porzione di tessuto urbano è confermata anche nell’incipt della descrizione dell’anonimo autore dell’Historire chronologique: “Il Castello di Tripoli è la cittadella del Reame. Fu fondato

21 - Micara L. “Tripoli Madinat al-Qadima: un tessuto urbano mediterraneo” in “Tripoli, città fortificata del mediterraneo”, Ric. di Storia dell’Arte, n. 86, anno 2005, (pag.44).

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Leptis Magna, Area archeologica monumentale

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dagli Africani, ingrandito dagli Spagnuoli e dai Maltesi. È situato in un angolo della città dal lato di mezzogiorno; il suo circuito è di circa 500 passi; il mare batte contro le sue mura dal lato d’oriente, e il resto è circondato da un largo fossato a fondo di cuna”22. In seguito il nucleo insediato si è espanso avendo come direttrici preferenziali gli assi di primo impianto: cardo e decumano. Nell’ambito della romanizzazione è plausibile, dunque, distinguere due impianti cardo-decumanici sovrapposti e ruotati tra loro, uno dei quali, chiaramente rintracciabile anche all’interno del Castello, determina l’orientamento dell’Arba’a Arsat (Quattro Colonne) e dell’Arco di Marc’Aurelio. Con la medievalizzazione avviene l’accrescimento del tessuto urbano con gomiti ed inclinazioni agli assi viari e parti di rifusione ed intasamento del tessuto edilizio. In seguito, con il dominio turco, il Castello viene “chiuso” dalla cinta muraria divenendo il perno delle fortificazioni della Medina e cristallizzando così la sua espansione; la città storica assume l’attuale facies pentagonale, cioè, “preso atto” della consistenza dell’edificato, gli viene stato riconosciuto il ruolo di tessuto urbano unitario e il significato di città, tanto da isolarlo dai sobborghi e dall’edilizia circostante23.

22 - Da Guidi G. “Il restauro del castello di Tripoli negli anni XII e XIII con una breve storia del fortilizio e la descrizione delle opere d'arte che vi sono custodite” ed. Cacopardo, 1935, Tripoli (pag. 16). In realtà l’anonimo autore è stato poi identificato con il medico svizzero Girard, condotto schiavo a Tripoli dal 1668 al 1676 e la descrizione è contenuta nel manoscritto “Cronique du Royaume de Tripoly de Barbarie”, oggi conservato nella Bibliothèque Nationale a Parigi. Il manoscritto risale all’epoca della prigionia subita dai corsari durante la guerra di Candia. 23 - Cfr. Messana G. “L’Architettura musulmana della Libia”, op. cit. Ben sintetizza l’autore le caratteristiche della “sovrapposizione” culturale islamica sulla matrice romana, pur contaminata dalle popolazioni barbare a seguito del crollo dell’Impero. La costruzione di castelli e recinti difensivi è il primo intervento, e diversi sono i tipi di castelli che si incontrano: semplici padiglioni di caccia corredati di servizi, oppure residenze recintate e fortificate. A confine con la Libia, in Tunisia si trovano tipi architettonici del tutto diversi e caratteristici: i ribat, sorta di monasteri fortificati, in cui trovavano sede i monaci-guerrieri. All’interno, oltre che le celle dei monaci trovavano posto anche torri d’angolo e bastioni. Importante la notizia sulla tecnica costruttiva di questi manufatti di pianta solitamente rettangolare o quadrata: essi erano costruiti con ciottoli o sassi, con malta di fango (esattamente allo stesso modo con cui si dichiara costruito il Castello di Tripoli al momento del sopralluogo dei Cavalieri di Malta) e a volte intonacati. In generale l’autore dice che in Libia per i castelli si preferì la costruzione su alture o colline limitrofe alla città: dahra, cioè collina, a margine della quale nella maggior parte dei casi, si sviluppa il centro abitato. (ben diverso, anzi opposto, il caso di Tripoli, in cui il castello non è relazionato alla Dahra, ma posizionato al vertice dell'insenatura del golfo, a difesa del porto. L’autore infatti poi cita e descrive il Castello di Tripoli, riferendosi principalmente ad autori come Aurigemma, Rossi, Guidi. Concorda con quest’ultimo nel datare l’edificio attuale completamente afferente all’epoca spagnola e con Aurigemma nell’attribuzione romana delle origini del castello. In particolare rileva che all’interno del castello si trova una moschea a cupolette, tipica dell’architettura libica. Per quanto concerne l’urbanistica, l’autore fa riferimento a Fosfat, Kufa e Bassorah, che sono tra le città arabe più note fondate dai Musulmani. Si trattava di campi militari che poi sono divenuti insediamenti stabili (un po’ come è accaduto per molte città di origine romana). Pur essendo molto lodata, Baghdad non fu mai imitata con il suo sistema radiocentrico. In Libia due sono stati i capoluoghi più importanti: Agedabia e Medinet Sultan. Anzi l’autore dichiara espressamente che “gli Arabi si insediarono nelle città esistenti ed esse, a lungo andare, assunsero la fisionomia degli altri centri promossi dai musulmani”. Le caratteristiche delle città islamiche nord africane sono costituite da elementi comuni: strette vie che non si risolvono in grandi piazze, l’architettura monumentale soffocata dall’edilizia minuta, ma soprattutto i quartieri dei mercanti, i suk coperto da lunghe volte a botte in cui tutte le attività sono distinte per tipo, in analogia con le città medievali europee. Tutte inoltre possedevano una cinta muraria fortificata ed un castello a difesa di quest’ultima.

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1.3 La cinta delle fortificazioni e il Castello

36. Tripoli, planimetria disegnata da Fehmy Bey del 1910

La pratica di circoscrivere con una muratura difensiva il nucleo urbano delle città islamiche si attesta nello stesso periodo in cui in Europa si verifica il processo di incastellamento, quando con il ciclo di recupero di gran parte degli insediamenti di promontorio molti tessuti vengono re-insediati e chiusi da un recinto murario. Nell’ambito delle architetture fortificate di matrice araba che si distinguono nei paesi del Nord Africa è necessario sottolineare che spesso, a differenza dei castelli che si incontrano nell’oriente musulmano, in Libia non si trovano né palazzi fortificati, ne fortezze, né conventi ma spesso solo “alcuni castelli arabo-berberi e castelli turchi (per lo più sorti sulle rovine di quelli) il cui organismo palesa numerose affinità (...) soprattutto col ribat. (...) I castelli libici sono di mole considerevole, di forma generalmente rettangolare o quadrata, con sporgenze e rientranze, con torri d’angolo o senza. Sono costruiti con sassi no squadrati o addirittura con ciottoli cementati col fango, intonacati o no. Alle pareti perimetrali, e dal lato interno, si addossano numerosi locali o stanzette su due o tre piani, con possibilità di accesso alle terrazze mediante rozze scale. Al centro un cortile per le adunate; su uno o più lati: scuderie, magazzini, servizi vari. Il Libia, il castello costruito di un’altura (Dara), fu spesso il nucleo intorno al quale nacque, e poco a poco si sviluppò, il villaggio” 1. È evidente che il Castello di Tripoli è uno dei nodi della cinta muraria, anzi ne rappresenta il perno principale. Per quanto concerne l’assetto delle fabbriche contenute, è plausibile ipotizzare, come spiegato in precedenza, che esso sia nato come rifusione di diversi corpi di fabbrica accostati a potenziare una torre iniziale, che sia stato poi articolato in forma di cittadella secondo gli schemi tipici dell’architettura islamica libica, e che in

1 - Cfr. Messana G. “L’Architettura musulmana della Libia”, op. cit. (pag. 78). L’autore descrive le caratteristiche storico-formali principali dell’architettura libica, tuttavia sostiene, e probabilmente con ragione, che “Nei secolo passati fu famoso, per merito di viaggiatori e marinai, quello che veniva comunemente designato col nome di «Castello di Tripoli di Barberia». Esso non rientra nel quadro del nostro studio perché, come scrisse Giacomo Guidi «L’edificio attuale non conserva nulla ce sia anteriore all’epoca spagnola»”. (pag. 78). A conferma di quanto detto, infatti, Messana dichiara che la posizione del mihrab attesta che l’ambiente aveva in origine una diversa destinazione, infatti altro non era che la chiesa di San Leonardo, edificata dai cavalieri di Malta. Per quanto concerne il ribat si tratta di un semplice recinto difensivo che sorse, almeno in Tunisia, lungo le coste per fronteggiare gli attacchi dei cristiani e per accogliere i musulmani che volevano ottemperare alle prescrizioni coraniche di preghiera e lotta. Era, quindi, una sorta di “ritiro” o anche un campo di battaglia ed allenamento. “L’organismo del ribat è dei più semplici: consiste in un recinto al quale si addossano le celle dei militi lasciando libera una grande area interna che serviva da piazza d’armi. Le celle sono solitamente disposte su due piani; una o più scale permettono di raggiungere la copertura di quelle più alte oppure un cammino di ronda, e quindi di prendere posizione dietro i merli e le feritoie. Torri d’angolo e bastioni completano la fabbrica che, ovviamente, contiene anche una moschea”.

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37. Tripoli, Castello Rosso Dall’elaborazione sulla planimetria del Dipartimento delle Antichità della Tripolitania è stato ricavato lo studio e graficizzazione degli allineamenti e ortogonalità dei manufatti interni alla cittadella. Sono evidenti gli assi di primo impianto e quelli di consolidamento, coerenti con quelli evidenziati nel tessuto urbano della Medina e relazionati ad alcuni elementi principali

seguito sia stato fortificato in analogia con le tipologie dell’architettura fortificata di matrice occidentale diffuse nel Mediterraneo. Questa tesi troverebbe conferma in alcune immagini pubblicate da Aurigemma2, tra cui uno schizzo a penna, non datato, in cui è riportato il segno delle mura e del Castello, in una sorta di visione tridimensionale3. La presenza del Castello non può essere scissa dal rapporto con la cinta muraria e il suo ruolo deve essere compreso nell’insieme complesso e stratificato della Medina e allo stesso tempo integrato alla cinta muraria che la circoscrive. “Appena dal mare si profila la bianca città adagiata mollemente sul verde cupo dell’oasi, si scorge subito, fra la selva dei minareti e dei candidi edifici del “Lungomare Conte Volpi” la linea severa e massiccia del castello medievale. È il baluardo di Tripoli di Barberia, di cui parlano le vecchia cronache”4. Dalla descrizione è evidente quale fosse lo stretto rapporto tra le fortificazioni e il complesso castellare nello sky line della città. Il ruolo del Castello è quello di parte integrante, ma al contempo di elemento principale delle fortificazioni, formante un “pentagono irregolare” costituito dalla cinta muraria e da torri ai vertici, come sintetizza Aurigemma5. Il perno opposto simmetricamente al Castello rispetto alla costa è il forte di Ponente o di S. Pietro6. “I fondatori di Uiat costruirono probabilmente un recinto a protezione del loro abitato, conformemente al costume fenicio; ma di tale recinto non rimangono né traccia e né ricordo. 2 - Volpi G. “La Rinascita della Tripolitania”, Milano, 1926; Articolo di Aurigemma S., “Il Castello di Tripoli in Barberia”, op. cit. (pagg.535-563). 3 - L’immagine è datata al 1817 ed è riprodotto il fianco del Castello con l’acquedotto che portava acqua ad esso ed alla città. Le strutture dell’acquedotto appaiono in forma di rudere, mentre la facies del Castello è difficilmente riconoscibile, mi si rintraccia qualche elemento noto della condizione attuale. Cfr Aurigemma S., “Il Castello di Tripoli in Barberia”, op. cit. 4 - Art. dattiloscritto di Piccioli A. “Il Castello di Tripoli” (M.A.E.; Africa III – busta 56; fasc. 3), databile intorno al 1928. L’articolo era stato estratto dalla precedente collocazione per essere consegnato al prefetto Gorini in occasione degli ultimi restauri subiti dal Castello e nella lettera di riconsegna è espressamente indicato che l’art. era stato estratto perché fosse “utilizzato come appendice ai restauri di Brasini”. Il testo, comunque, costituisce una sintesi, con interi passi riportati, dell’art. di Aurigemma in Volpi. La specifica attribuzione “di Barberia” che segue sempre il nome di Tripoli è una definizione dovuta ai Cavalieri di Malta, per distinguerla dalla omonima città nel Libano. 5 - Cfr. Pianta di Tripoli con i nomi delle fortificazioni, di Aurigemma S. “Le fortificazioni della città di Tripoli” in “Notiziario Archeologico” op. cit. La pianta è conservata in originale all’I.s.I.A.O. cart., armadio F, cassetto 3, b. II b, f. 12613/2) Nell’art. “Per una storia delle fortificazioni di Tripoli”, in Rivista delle Colonie Italiane, anno III, num. 5, anno 1929 (pp.460-473) viene riportata le veduta, quella prospettica e quella a volo d’uccello di Seller J., dall’Atlas Maritimus del 1675; viene inoltre riportata la traduzione della descrizione delle fortificazioni dall’Histoire cronologique (Anonimo, ms. 12.219 Bibl. Naz. Parigi) da cui di seguito sono trascritte le descrizioni delle porte. Si veda anche l’art. di Romanelli P. “Restauri delle mura barbaresche di Tripoli” in Boll. d’Arte del Min. della PP. Istruzione, Mi-Rm, anno II, 1923 vol II, (Serie II), (pagg. 570-576). 6 - Cfr. Bergna C. o.f.m. “Tripoli dal 1510 al 1850”, op. cit. (pag. 63) in cui si conferma che il Forte S. Pietro, ricostruito da Dargùt Pascià prese anche da lui il nome.

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1.3 La cinta delle fortificazioni e il Castello

38. Tripoli, schema del quadro evolutivo della Medina, ricavato da Messana G. La Medina di Tripoli nella collana Quaderni dell’Istituto Italiano di cultura di Tripoli, n.1, Roma, 1979 L’autore sviluppa uno studio sistematico dello sviluppo della Medina, articolato secondo uno schema di metodo differente da quello strettamente tipologico. Individua, comunque, delle direttrici di sviluppo preferenziale e ipotizza un orientamento per l’abitato di epoca fenicia, tuttavia si ferma alle considerazioni espresse dall’Aurigemma negli anni ’20. Il contesto temporale in cui opera Messana è quello degli anni ‘70 in cui ancora non sono sviluppati gli studi storico-morfologici. “Le città di Leptis, Oea e Sabratha – dice l’A. si trovavano ciascuna a capo di una delle carovaniere che dalla costa si snodavano sino al centro dell’Africa e fungevano da canali attraverso i quali affluivano al Mediterraneo – e quindi a Roma e nell’Impero – polvere d’oro,avorio, penne di struzzo, pelli, schiavi ecc.”. Le osservazioni sono opportune e, come di seguito è dimostrato nella disamina del lavoro di Aurigemma, ma non si concorda sulla posizione che l’area abitata in età romana fosse quella a nord, dove è situato l’arto di Marc’Aurelio, non considerando che già in epoca romana è possibile distinguere varie fasi di edificazione relative alle vicende storiche dell’espansione romana. È molto presumibile l’area a nord possa essere una zona di “espansione” della Tripoli imperiale, successiva al periodo repubblicano di conquista di tutta la costa. Inoltre è plausibile che l’impianto viario della Medina possa riferirsi interamente alla romanizzazione, ma che sia precedente. “Dalle ricerche accurate condotte dall’archeologo Salvatore Aurigemma risulta che la zona degli edifici pubblici occupava la parte settentrionale dell’attuale Medina, proprio la zona dove si erge ancora l’Arco di Marc’Aurelio, unico monumento superstite di quell’epoca”. Messana ipotizza un insediamento fenicio ed un orientamento del tessuto abitato, localizzandolo proprio tra la collina e il promontorio che definisce l’insenatura portuale, in relazione al presupposto che nell’abitato fenicio gli orientamenti sono relazionati alle vie più brevi per andare verso il mare. “I Fenici s’insediarono in una zona ideale per gente che veniva dal mare e viveva del mare, commerciando e pescando: ad Occidente un porto profondo e ben riparato: non bisogna dimenticare che se anticamente Oea era meno importante di Leptis e Sabratha, in definitiva fu essa a sopravvivere proprio in ragione del suo porto: il migliore che s’incontrasse nel tratto di costa africana cha va da Gabes a Tobruk”. Non pare condivisibile, invece, l’ipotesi sostenuta che fosse romana la cinta muraria, coeva dell’impianto cardo-decumanico, innanzitutto per la conformazione (avrebbe avuto un aspetto di castrum) e poi perché la struttura pentagonale è tipica delle fortificazioni di epoca tardo antica, medievale ed europea. Messana continua: “Roma, che vedeva grande, costruì una grande muraglia a protezione di Oea, dalla sola parte di terra (il mare era suo), una muraglia che racchiudeva un’area molto più estesa di quanto non fosse l’emporio fenicio. Così come aveva fatto in altri luoghi prima che ad Oea, e come farà ancora dopo, essa tracciò i suoi cardi e decumani, in conformità con la situazione di fatto delimitando dei lotti che col tempo si sarebbero coperti di edifici. Roma costruì anche una fortezza verso Sud-Est, dove ora sorge il Castello”. È nostra opinione, invece, che i Romani non abbiano costruito “riempiendo i lotti” all’interno di una cinta muraria preesistente e se avessero costruito un castrum questo sarebbe stato organizzato secondo uno schema quadrangolare, di cui un sedime sarebbe stato certamente in qualche modo riconoscibile.

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39. Planimetria delle fortificazioni di Tripoli, elaborazione di S. Aurigemma pubblicata nel 1916 La planimetria indica la posizione ed il nome dei forti che articolano il sistema difensivo della Medina

I Romani a loro volta costruirono una muraglia (ipotizzata da Aurigemma). Non ne conosciamo né l’altezza, e nemmeno lo spessore o la tecnica muraria. Non si sa che fecero i Vandali; probabilmente ne demolirono qualche tratto: infatti i cronisti dicono che i Bizantini, loro successori, la rinforzarono e ne rialzarono le parti abbattute”7. In un articolo del 1916 Aurigemma8 sintetizza la sua idea di evoluzione della cinta muraria. Secondo la sua ipotesi afferiscono all’epoca romana non solo le mura nel tratto nord, ma anche un piccolo forte a base rettangolare, forse una torre, localizzata nel lato sud del Castello. In sostanza l’estensione di Tripoli comprendeva, secondo lo studioso, quasi tutta la superficie ora interessata dalla Medina ed il Castello altro non era che una torre d’avvistamento. “Il muro di Tripoli terminava a mare, - dice El Bakrî, - senza che vi fosse muro di separazione tra il mare e la città, e i vascelli entravano nel porto fino alle case. (...) Delle mura di Tripoli in età romana non rimangono ora, al piano attuale di sistemazione stradale, tracce sicure. All’età bizantina potrebbe invece appartenere la parte più bassa delle mura che si estendono oggi a sinistra di chi guardi all’interno della città la porta detta Bâb Zanâta. Le fila più basse di questo tratto di mura sono infatti costituite da parallepipedi di pietra, di altezza che si aggira in genere sui 45 centimetri (un piede e mezzo romani) e per resto messi in opera con poca regolarità, e per dimensioni così vari, e succedentisi con tale difformità, che la fortificazione apparisce del genere di quelli frequenti in età bizantina, costituite con materiale raccogliticcio di ogni genere”9. La prima facies del Castello potrebbe essere stata, dunque, simile a quella che conserva oggi il forte Draghùt, simmetrico rispetto alle mura sul lato del mare e poi potrebbe essersi sviluppato a partire da una torre costiera.

40. Studio delle fortificazioni di Tripoli Il grafico rappresenta l'ipotesi di evoluzione cronolgica delle fortificazioni suggerita da Aurigemma. L'idea trova conferma negli studi di carattere morfologico, che sostengono sia stata sede della prima fortificazione romana una torretta ubicata presumibilmente dov’è ora il Bastione di S. Giorgio. In seguito, costruite le fortificazioni e la cinta muraria, queste hanno subito delle modifiche nella parte occidentale fino ad assumere la forma pentagonale, mentre il Castello assume e mantiene fino all’epoca attuale la facies di cittadella fortificata, (v. pag. 61 Capitolo 2)

7 - Messana G. La Medina di Tripoli, op. cit. (pag. 11). 8 Vedi “Le fortificazioni della città di Tripoli” in “Notiziario Archeologico del Ministero delle Colonie”, n. 54, anno II, fasc. II – 1916, (pagg. 217-296) con una serie di tavole allegate. Nell’art. si descrivono le mura di Tripoli ed è documentata, infine, la demolizione di parte della cinta a sud, contro il parere della Soprintendenza. 9 - Aurigemma S. “Le fortificazioni della città di Tripoli” op. cit. (pag. 227), in cui cita la descrizione di El-Bakrî da “Description de l’Afrique septentrionale” e Aurigemma S. (pag. 229).

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41. Planimetria delle fortificazioni di Tripoli, elaborazione di S. Aurigemma pubblicata nel 1916, alla scala 1:5000 La planimetria mostra i resti dell’antica testata a mare della cinta murale a ponente di Bâb Zanâta

43. Planimetria dei dintorni del territorio di Tripoli del 1916 Dettaglio con i Quartieri di Shara e Mehalla. Scala 1:10.000 (originale 60.9x70.0 cm)

42. Pianta delle mura tra lo sperone del Castello e Dâr el-Bârûd La planimetria si riferisce all’epoca della parziale e discussa demolizione del tratto di muratura La vicenda è documentata da Romanelli P. Restauri delle mura barbaresche a Tripoli in Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione, anno II, 1923

La costruzione della cinta muraria potrebbe essere ascritta al periodo del pieno medioevo, circa il XII secolo10 se, come riferisce A. Marino, “un sultano abasside agli inizi del ‘300 trasferisce la sua residenza nel castello, già esistente insieme alla cortina di mura e di fitte torri (...)”11. La condizione riscontrata al momento della conquista spagnola, dunque, vede completa la cinta muraria, tanto che parti di essa vengono riutilizzate per la ricostruzione del castello. È molto probabile, poi, che l’esigenza di “recintare” il nucleo abitato sia relativa alla fase turca, quando da “scalo commerciale” diventa una “città”, da difendere attacchi esterni. Aurigemma, tuttavia, nei suoi studi dichiara che la cinta muraria appartiene all’età romana, senza scendere in dettaglio ulteriore: “Quando il mare era tenuto quasi senza contrasto dai Cartaginesi prima, poi dai Romani, infine dai Bizantini, Tripoli che fu dapprima città punica, poi romana, infine bizantina, non aveva alcuna ragione di guardarsi dalla parte di mare; mentre la perpetua minaccia delle incursioni dell’interno (...) obbligava i cittadini di Tripoli a star sempre in guardia”12. Per quanto concerne lo sviluppo urbano della Medina, cristallizzato in una conformazione pseudo-pentagonale dalla cinta mura-

10 - Da Aurigemma S. “Le fortificazioni della città di Tripoli” op. cit. è possibile sintetizzare il seguente regesto: · 643 d.C. – Tripoli fu occupata dai Musulmani · 749-750 d.C. (132 d.E.) - le mura furono rialzate · 956-957 d.C. (345 d.E.) - nuova ricostruzione delle mura · 1143 - viene conquistata dopo vari attacchi dai Normanni. Il geografo Edrîsî dice che “era una città forte, cinta da una muraglia in pietra”. · 1146 - assalto dei Franchi, dopodiché cacciata dei Normanni · 1217-1218 (614 d.E.) - intrapresi nuovamente i lavori di ricostruzione delle mura 11 - Da Marino A. “Il castello e la fortificazione di Tripoli nel Mediterraneo” in op. cit. 12 - Aurigemma S. “Notizie archeologiche sulla Tripolitania” in “Notiziario Archeologico del Ministero delle Colonie” op. cit. (pag. 226).

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44. Dettagli delle fortificazioni di Tripoli Ipotesi della fortificazione in età romana secondo Aurigemma: all’interno della Medina, con un lato fortificato solo a nord, si inizia a strutturare una cittadella con sistema cardo-decumano, mentre nell’area del Castello è presente soltanto una piccola torre dove ora sorge il Bastione di S. Giorgio. Nel testo in basso si legge: “In rosso sono individuate le parti di cui si ricostruisce l’esistenza”

45. Tripoli, pianta del bastione di Bâb Zanâta, elaborazione di S. Aurigemma pubblicata nel 1916

ria, esso fa pensare ad una crescita maggiore lungo gli assi cardo-decumano e che la “recinzione” con la cinta muraria “abbia consolidato”, come si è in precedenza dimostrato, una situazione di fatto, riconoscendo al tessuto urbano la qualità di unità; se fosse dovuta, infatti, alla prima romanizzazione, con tutta probabilità avrebbe rispettato la struttura quadrangolare tipica dal castrum, mentre in questo caso il tessuto edilizio lungo gli assi viari principali dimostra una linea di sviluppo privilegiata, ma non programmata. Questa opinione non concorda, quindi, con quanto poi riportato da Aurigemma, che sostiene come probabile l’ipotesi che “Le fortificazioni di Oea, (l’odierna Tripoli) si fanno con verosimiglianza rimontare al periodo romano; non è improbabile che anche la cittadella debba rimontare a quel periodo”13 e che fu solo dopo l’occupazione musulmana del 643 d.C. che si andò consolidando il tessuto abitato che arriverà immutato fino alla conquista italiana. Le fonti parlano di “fortilizio romano precedente”, a proposito del Castello, così come conferma Guidi, che accenna a preesistenze romane e bizantine, forse utilizzate come fondazioni durante le successive fasi costruttive. Quando si è resa necessaria la costruzione di un sistema difensivo, almeno due elementi dovevano fare da perno tra le mura e il mare, cioè il forte Draghùt e il Castello; Guidi, tuttavia, ipotizza la presenza di un inizio di fortificazione già in epoca bizantina14. La presenza di molti forti, nell’articolazione della cinta muraria riconosciuta da Aurigemma come databile tra fine del XVI secolo e la dominazione ottomana15, è compatibile con il giudizio che uno di questi possa essere stato accresciuto fino a costituire una cittadella fortificata.

46. Tripoli, Veduta del bastione di Bab-el-Gedid del 1936

13 - Aurigemma S. “Il Castello di Tripoli in Barberia”, in Volpi G. op. cit. (pag. 536). 14 - Guidi G. “Il restauro del castello di Tripoli negli anni XII e XIII con una breve storia del fortilizio e la descrizione delle opere d'arte che vi sono custodite” ed. Cacopardo, 1935, Tripoli. L’ipotesi di fortificazione bizantina è si plausibile, ma solo per quanto riguarda Tripoli; sarebbe dunque successiva alla massima espansione romana avvenuta con Marc’Aurelio. Un confronto con i siti di Leptis Magna e Sabratha, entrambe decadute intorno al III-IV sec. d.C., per le progressive invasioni dei Vandali di Genserico, conferma la necessità di fortificare da parte dei Bizantini solo i nuclei abitati attivi e non in decadenza, quindi in questo caso solo Tripoli. 15 - Cfr. Aurigemma S. “Notizie archeologiche sulla Tripolitania” in “Notiziario Archeologico del Ministero delle Colonie”, op. cit.

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47. Planimetria delle fortificazioni di Tripoli, elaborazione di S. Aurigemma pubblicata nel 1916 La planimetria indica la posizione ed il nome dei forti che articolano il sistema difensivo della Medina

La possibilità che Aurigemma e Guidi abbiano espresso un’errata valutazione, attribuendo alla romanizzazione tutte le fasi costruttive del complesso castellare, potrebbe essere motivata dal clima culturale in cui operano, spesso teso a dimostrare l’azione “civilizzatrice” di Roma nel bacino mediterraneo perpetuata dalla cultura fascista. In conclusione si può affermare che la vecchia Tripoli viene dotata di una cinta di protezione in epoca romana, ma solo dalla parte della campagna e sono poi gli Arabi a completarne la costruzione dal lato del mare fino a chiudere l’intera città; l’attuale conformazione con i forti a vertici del poligono è opera dei Turchi, abituati a costruire edifici efficienti e muniti. La facies della Medina si perpetua durante il periodo di dominazione spagnola, cosicché quando nel 1911 gli Italiani vengono in possesso della piazzaforte tripolina, l’assetto della città è quello descritto dal citato autore dell’Historire chronologique: “La pianta della città di Tripoli è quella di un pentagono imperfetto; il suo circuito è di circa 180mila passi geometrici. La cinta è di mura mediocri; ha due porte, sei bastioni, un forte e un castello che la dominano. La porta della Missiè (=Bab el-Menscià) per la quale si comunica con la campagna è tra il fossato del castello e il bastione della polveriera, e non ha oggigiorno né bastione né ponte levatoio. (…). Il bastione della Polveriera, ha pianta quadrata, non ha né orecchioni né casamatta, né bastioni bassi. (…) Da questo bastione sino alla Conceria il muro è semplice. Il bastione della Conceria – che ha ricevuto tal nome perché i conciatori di pelli lavoravano sotto il bastione – non è un bastione perfetto, sebbene ne abbia esteriormente le parvenze. (…). Il bastione del Marabutto è quadrato e vuoto. Vi è la tomba di un famoso marabutto da cui prende il nome; sebbene sia piuttosto elevato non vi si saprebbe portare se no con gran fatica l’artiglieria(…) Il bastione di Babzenette è relativamente regolare e piuttosto largo; possono esservi allogati dieci cannoni. Sorge a uno degli angoli della città. un tempo vi era una porta, ma fu chiusa quando si costruì il bastione. Il nome di Babzenette risulta da due parole arabe: bab che significa porta e zenet, che significa cortigiana: e tal nome viene alla località

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48. Dettagli della planimetria delle fortificazioni di Tripoli, elaborazione di S. Aurigemma pubblicata nel 1916 Ipotesi della consistenza delle fortificazioni intorno al 1559: le mura perimetrali della Medina sono quasi complete a formare il recinto pentagonale. Nel testo in basso si legge: “I nomi in rosso sono tratti dalla veduta impressa nel 1567. Le parti delle mura in rosso sono quelle che sono state posteriormente modificate”.

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1.3 La cinta delle fortificazioni e il Castello

49. Foto delle mura presso Bâb Zanâta È ben visibile la tipologia di apparecchiatura muraria, in grossi blocchi a spigoli stondati. Si tratta presumibilmente di calcare locale, piuttosto poroso, intonacato

50. Dettagli della planimetria delle fortificazioni di Tripoli, elaborazione di S. Aurigemma pubblicata nel 1916 Le fortificazioni nel 1916, dopo le demolizioni avvenute di quasi la metà del recinto pentagonale. Nel testo in basso si legge “In punteggiato sono segnate le parti delle mura che sono state demolite in tutto o in parte solo della loro altezza. In rosso sono segnate le parti di mura la cui sistemazione era già avvenuta durante la dominazione ottomana”.

perché le prostitute hanno alloggio nelle immediate vicinanze. (…) L’angolo della Giudecca è volto a terra dal lato di occidente e guarda il mare da nord. (…) Quest’angolo della città prende il nome dagli Ebrei che vi abitan dappresso. (…) Il forte di Tapia - in arabo significa muraglia – è chiamato anche forte dello sceriffo. È assai alto ed ha una più massiccia apparenza dal lato della città che dal di fuori. (…) Il bastione o forte Dragut è una costruzione di buona fabbrica: forma il terzo angolo, e guarda il mare da due lati. (...) Da questo bastione sino al Castello si ha il muro che si chiama della Marina e che guarda il porto. S’incontra dapprima la Piattaforma detta il Belvedere (Miradour), perché si va a vedere il porto. (...) Dopo la porta della marina si trovan nel muro alcune piccole torri e una seconda piattaforma (…) e il luogo si chiama Forte dei Mattatoio, perché vi si faceva un tempo la vendita d carne. (…) La città non ha fossati, né controscarpa, né fortificazioni esterne né palizzata come quando gli Spagnoli e i Maltesi (=i Cavalieri di Rodi, poi di Malta) n’eran signori” 16. La struttura materica della cinta muraria di Tripoli è stata del tutto compresa solo durante l’operazione di demolizione e scavo di gran parte di essa, effettuata con gli interventi che costituiscono la prima operazione prevista dal P. R. del 1915. Viene alla luce all’epoca la doppia tessitura in pietrame e terra che costituiva sia il vano di accesso che la struttura muraria: “La demolizione del tratto tra Bab El Hurria e Bab Zenata mise in evidenza la doppia cinta di cui si è detto sopra. Essa era costituita da due possenti muraglie con interposto un terrapieno. Ognuna di queste due muraglie era a sua volta costituita da due cortine in muratura di pietrame racchiudenti un altro terrapieno”17. L’infelice operazione di demolizione è descritta oltre che da P. Romanelli, allora Soprintendente, anche da O. Sangiovanni, che descrive le diverse fasi operative dagli inizi del 1914 alla fine del 1915. La prima ad essere demolita è la cortina di Sud-Ovest, lungo la Sciara Sidi Omran a cui ha fatto seguito quella opposta lungo il mare. “Sul luogo del forte del Faro verrà poi realizzato il Piazzale della Vittoria (raccordato al sottostante Lungomare della vittoria

16 - Da Aurigemma S. “Per la storia delle fortificazioni di Tripoli”, in Rivista delle Colonie Italiane, op. cit. (pag. 462); cfr. anche Messana G. La Medina di Tripoli, op. cit. e Aurigemma S., “Il Castello di Tripoli in Barberia”, op. cit. 17 - Messana G. La Medina di Tripoli, op. cit. (pag. 14). L’operazione contrastata dalla Soprintendenza allora guidata da Aurigemma ha inizio nel 1914.

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1.3 La cinta delle fortificazioni e il Castello

51. Piano Regolatore della città di Tripoli del 1914, alla scala 1:5.000 (originale 77.5x107.5 cm)

da una gradinata), con al centro il Monumento omonimo, opera dell’architetto Armando Brasini”18. “Nei primi mesi del 1914 cadde la prima cortina a sud-ovest della città, lungo la Sciara Sĩdĩ Omrân; poi, tra il 1914 e il 1915, la cortina opposta lungo il mare, tra forte della Vite e il forte Spagnuolo, compreso il grosso caposaldo del forte del Faro, dal quale risorgeva fortunosamente alla luce il fresco tronco prassitelico di Apollo”19. Segue la cortina a nord, compreso il forte del Faro, al posto del quale viene allocato il monumento alla Vittoria, opera di Brasini. In seguito, a metà del 1915, vengono demolite altre parti, tra cui appunto Bâb-Zenata, che era stato uno dei principali baluardi sotto il profilo sia storico che topografico. Malgrado le “ottimistiche” considerazioni espresse al momento, come le acquisizioni di carattere archeologico e documentario, non si possono non considerare le molte pagine della storia tripolina così cancellate.

52. Pianta di Tripoli del 1914, alla scala 1:5.000 Visibile in dettaglio l’assetto interno del Castello

18 - Sangiovanni O. “La Medina di Tripoli. Dal Piano Regolatore del 1912 ai lavori del 1936-37”, op. cit. (pag. 49). 19 - Romanelli P. “Scavi e scoperte nella città di Tripoli” (pagg. 301-364) e “Demolizione delle mura della città di Tripoli. Nel periodo settembre 1915 – marzo 1916”, (pagg. 365-393), in “Notiziario Archeologico del Ministero delle Colonie” II, fasc. I-II; 1916. La difesa dell’arsenale e del porto era affidata ad un forte a mare, che sorgeva sopra uno scoglio, e che era disgiunto da resto della cinta urbana. Presso al forte (l’antico “castilegio” divenuto poi il nucleo principale del posteriore Burg el-mandrîk) erano i due moli: di uno di essi si sono ben conservati gli avanzi della stazione di sanità marittima, mentre le tracce dell’altro, segnate anche nelle carte posteriori alla occupazione italiana di Tripoli, vanno sparendo in causa delle nuove opere portuali. Interessante nel testo una citazione di al-Ayyâs’î “La fortezza (hisn) nella quale (risiede) l’Emiro è contigua alla città dalla aperte della porta di terraferma (bâb al-barr), fra questa ed il mare”. Si legge in una citazione di Berbrugger, della quale si dice che la notizia di prima è inesatta: “Il castello in cui risiede l’emiro, sebbene (posto) fuori della città, le è d’accosto dal lato di Bab-el-Ber; fra esso (castello) e il mare v’è tutta la larghezza della città anzidetta”. Per quanto concerne le demolizioni delle mura della città esse sono relative all’espansione programmata con il nuovo P.R., allo scopo di consentire lo sviluppo edilizio. Il testo riporta anche molte immagini della muratura “a cortina”. Sull’argomento si veda anche Romanelli P. “Restauri delle mura barbaresche a Tripoli”, in “Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione” anno II, 1923, vol II, (serie II), Milano-Roma (pagg. 570-576). L’articolo rappresenta una sintesi degli interventi -definiti restauri, ma consistenti in tutt’altro- effettuati sulle mura barbaresche di Tripoli, in cui appare chiara e decisa l’opinione dell’A. sul danno storico irreparabile e sull’inutilità delle demolizioni, motivate dall’obiettivo di ritrovamenti archeologici di età romana. “D’altronde, a demolizione compiuta, vien così facile di riconoscere che i vantaggi sperati furono tanto scarsi, e che così ingombrante e antiestetico, come sempre, è riuscito anche a Tripoli l’innesto del nuovo sul vecchi, che non si può non riflettere senza recriminazione a quanto più saggio sarebbe stato andar più cauti nella decisione di abbattimento, o per lo meno qualche volta guardar più lontano di quelle che apparivano le necessità od opportunità più imminenti” (pag. 570). Attualmente, del periodo romano in città rimane proprio soltanto l’arco di Marco Aurelio, sul tratto della baia che costeggia la città vecchia (ex Lungomare Principe di Piemonte, ora Shari’a al-Fatah).

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1.4 Le vicende del Piano Regolatore di Tripoli: la Medina e la nuova Tripoli 53. Dettaglio della planimetria dei dintorni di Tripoli, alla scala 1:25.000 Sono graficizzati gli assi viari lungo i quali è attestato l’edificato, oggetto di ristrutturazione nei progetti di P.R.G.; come si può notare la prima area di espansione interessa la fascia compresa tra la costa e il lato sud. (originale 49x60.2 cm)

“Nella prima decade del gennaio 1912, tre mesi dopo lo sbarco degli italiani in Libia, il Ministero dei Lavori Pubblici inviava a Tripoli l’ingegner Luigi Luiggi, ispettore superiore del genio civile”1. Il primo progetto di Piano Regolatore viene rappresentato su una vecchia mappa turca della città, redatto 1:2000 in base ai rilievi degli ingeneri francesi. In seguito viene elaborato e presentato nel 1912, approvato con Regio Decreto il 2 settembre dello stesso anno, ma la vicenda si conclude solo nel 1914, con l’edizione definitiva, seguita negli anni ’30 da successive varianti2. Premessa generale e prioritaria è la conservazione della città vecchia (la Medina) contenuta all’interno della cinta muraria, mentre il tessuto urbano disordinato e caotico all’esterno delle mura viene recepito e considerato come ambito di sperimentazione per la contemporanea architettura per la quale le città coloniali, e Tripoli in particolare, sono considerate ambito ideale nel quale operare. I primi obiettivi dell’operazione di pianificazione sono diretti a migliorare le infrastrutture marittime e la rete fognaria e a potenziare la canalizzazione di acqua irrigua per l’agricoltura3. Non è secondaria l’esigenza di dotare la città di attrezzature moderne e di intervenire con soluzioni di risanamento e di igiene edilizia nella Medina. “Al momento dell’occupazione italiana, Tripoli contava circa 30.000 abitanti, tra mussulmani,

54. Piano regolatore di Tripoli, variante del 1925 (III)

1 - Talamona M. in “La Libia: un laboratorio di architettura” in Rassegna, n.51/3 anno XIV “Architetture nelle colonie italiane in Africa”, Milano, sett. 1992, (pagg. 62-79). 2 - Sangiovanni O. “La Medina di Tripoli. Dal Piano Regolatore del 1912 ai lavori del 1936-37”, in “Islam, Storia e Civiltà”, IX, 1 gennaio-marzo 1990, (pagg. 48-58). L’autore indaga sulle vicende che a partire dalle nuove formulazioni di Piano proseguono fino a determinare l’assetto della nuova Tripoli, su cui si concentrano gli interventi degli Italiani, a dimostrazioni dell’efficienza del nuovo governo delle colonie. 3 - Cfr. Luiggi L. “Le Opere Pubbliche a Tripoli. Note di viaggio” in “Nuova Antologia”, XLVII, fasc. 965, 1-3, 1912, (pag. 115).

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1.4 Le vicende del Piano Regolatore di Tripoli: la Medina e la nuova Tripoli 55. Piano regolatore di Tripoli, variante del 1925 (III), alla scala 1:5.000 È ancora visibile l’agglomerato caotico e disordinato del tessuto urbano. Sono ben evidenti gli assi della nuova Tripoli tracciati dai segni viari, come la Sciara al Garbi, che indipendentemente dal tessuto di sedime articolano la città nuova. La Medina è salvaguardata e assolutamente priva di manomissioni, fatto salvo minimi intervento di igiene edilizia, mentre il Castello è una sorta di cittadella indipendente dal tessuto urbano circostante e dalla cinta muraria. (originale 77.5x 107.5 cm)

56. Planimetria dei dintorni del territorio di Tripoli del 1916, alla scala 1:10.000

ebrei e altre minoranze”4 e, si potrebbe aggiungere, conservava ancora la struttura intatta delle mura e del Castello. Il primo aspetto di grande interesse in questa operazione urbanistica è senza dubbio quello di “interpretare” il nucleo della città vecchia come un unicum, per i tratti tipologici architettonici e costruttivi rilevati nell’edificato circoscritto dalla cinta muraria. Ornella Sangiovanni osserva che, malgrado l’orientamento nella cultura del ventennio, che in Italia sosteneva l’utilità degli “sventramenti” per gli interventi edilizi di risanamento igienico, la presenza nella Medina di elementi tipici arabi e musulmani, pur considerati nella valenza di “decorazioni”, ha permesso di mantenerla intatta e di salvaguardarne la sua peculiarità5. Queste caratteristiche sono così evidenti che sebbene in parte sventrata, la Medina non subisce quella massiccia operazione di demolizioni come avviene nello stesso periodo in molti centri storici italiani. La finalità di “tutela” si registra anche dalle norme tecniche di corredo al

4 - Cfr. Gresleri G., Massaretti P., Zagnoni S. (a cura di) “Architettura italiana d’oltremare”, catalogo della mostra Gall. D’Arte Mod. Bologna, 26 sett. 1993 - 10 gen. 1994. Art di Talamona M. in“Città europea e città araba in Tripolitania” (pagg. 257-277). - 1912-14 – proposte e piani per Tripoli italiana; e 1921-25 – la costruzione della città. Nel testo si legge: “Al momento dell’occupazione italiana Tripoli contava circa 30.000 abitanti, tra musulmani, ebrei e altre minoranze. La città - costruita sull’estremità del promontorio nel luogo dell’antica colonia fenicia di Uaiat, Oea sotto i romani – conservava ancora intatti il castello e la cinta delle mura cinquecentesche. Solo nell’ultimo decennio di occupazione turca l’abitato aveva cominciato ad espandersi extra moenia, lungo le strade carovaniere che si dipartivano a ventaglio dal Suk el Kobza, (Mercato del pane) a est del castello e si inoltravano nella rigogliosa oasi di palme per molti chilometri verso levante” (pag. 257). 5 - Sangiovanni O. “La Medina di Tripoli. Dal Piano Regolatore del 1912 ai lavori del 1936-37”, in “Islam, Storia e Civiltà”, op. cit.

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57. Dettaglio della pianta di Tripoli del 1914, alla scala 1:5.000 Visibile in dettaglio l’assetto interno del Castello. (originale 64x44 cm)

58. Piano Regolatore della città di Tripoli del 1914, alla scala 1:2000 Indicazioni sulla planimetria catastale di strade e preesistenze: la tavola è propedeutica ai grafici contenenti gli sventramenti da apportare al tessuto urbano. (originale 68 x 90.5 cm)

P.R. del 1914 ed è significativo che questo episodio si verifichi malgrado la predilezione tutta italiana per i de-restauri di tipo archeologico (che comporta la distruzione delle fasi storiche successive) e l’abituale scelta culturale di privilegiare la purezza e la leggibilità della fase romana6. L’unico sventramento che viene realizzato è l’isolamento dell’Arco di Marc’Aurelio, posto al centro della Medina e soffocato da una densa edilizia minuta di botteghe, piccole abitazioni e negozi. L’intervento, realizzato negli anni ’30, ha la finalità di liberazione dagli edifici addossati che occludono la visibilità del monumento, ma questa straordinaria stratificazione, sacrificata alle superiori ragioni dell’archeologia, ha avuto come unico risultato un monumento “snaturato dal contesto ed una lacerazione all’interno del tessuto urbano”7. I propositi di piano vengono portati a termine nella quasi totalità, secondo quanto confermano le sintesi critiche sulle “Azioni Culturali” consultate nei fondi del Ministero degli Affari Esteri: “Il primo Piano Regolatore della città di Tripoli, la Capitale della nuova Colonia, fu compilato nel 1913, quando cioè la città era costituita soltanto dagli attuali quartieri indigeni entro il perimetro delle antiche mura e da qualche sobborgo, che sotto il dominio turco si era andato formando disordinatamente lungo le carovaniere che convergevano alla porta del Castello, dando origine alla vecchia Piazza del Pane, (attualmente Piazza Italia) a sfondo sabbioso”8. Avendo, dunque riconosciuto la Medina come elemento unitario soggetto solo ad un minimo diradamento per igiene edilizia, gli obiettivi del nuovo piano sono il risanamento del nucleo storico, ma soprattutto il riassetto del tessuto urbano disordinato e caotico che si è agglomerato all’esterno alle mura della città vecchia. Sugli elaborati di Piano sono evidenti in rosso i segni monumentali della città, dei nuovi viali e dei tagli al tessuto edilizio, per le nuove arterie. Non meno importante è il verde, disegnato ed integrato in aree geometriche secondo il sistema a scac-

6 - Cfr I.s.I.A.O - R.D. del 15 gen 1914. n°57, in cart.; armadio F, cassetto 3, busta II b; foglio 12590 e A.C.S. - M.A.I., b. 114, fasc. 2, sf.2 - Nota del 4 sett. 1935/XIII con la quale si approva il P.R. di Tripoli; si legge: “I caratteri fondamentali posti alla base dello studio del nuovo P.R. sono: a) conservazione dell’integrità della vecchia e caratteristica città araba-israelita delimitata dalla cerchia delle antiche mura”; e continua con gli altri principi per l’ampliamento. 7 - Cfr. Sangiovanni O. “La Medina di Tripoli. Dal Piano Regolatore del 1912 ai lavori del 1936-37” op. cit. (pag. 58) “Il 23 Febbraio 1912 un decreto del generale Caneva autorizzava il comandante della piazza di Tripoli ad acquistare e far evacuare l’edificio (…) e le botteghe che gli si erano addossate. Il pittoresco insieme stratificato stava per essere sacrificato alle ragioni dell’archeologia. Le opere di «liberazione» iniziarono il 27 Marzo 1912, e il monumento, rimosse le «sovrastrutture che lo deturpavano», venne consolidato e restaurato, isolandolo dall’ambiente circostante, e abbassandone notevolmente il livello, per ristabilire il piano originario di circa tre metri più basso rispetto all’attuale” (pag. 50). 8 - M.A.E., - A.S.D.; Africa V, Miscellanea ed integrazioni; Pacco 1 – Azione culturale; nell’ultima parte che descrive le Opere Pubbliche (pag.55).

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59. Dettaglio del Piano Regolatore della città di Tripoli del 1914, alla scala 1:2.000 Sventramenti da compiere sul tessuto urbano esterno alla Medina ed interventi nell’area portuale. (originale 70.5x 99.5 cm)

60. Piano Regolatore della città di Tripoli del 1914, alla scala 1:2.000 Indicazioni sulla planimetria catastale delle destinazioni d’uso delle preesistenze e dei tagli viari. (originale 70.5x 99.5 cm)

chiera dell’urbanistica ottocentesca europea9. Le scelte di progetto, dunque, sono operate secondo un’ottica di intervento contemporanea, infatti il piano regolatore di Tripoli costituisce un interessante esempio di fusioni e riferimenti alla cultura architettonica e urbanistica mitteleuropea, dai site planning ai garden-city10. Sono evidenti anche citazioni di scelte comuni all’urbanistica coloniale delle città francesi e inglesi, sommati alle competenze tecnico-ingegneristiche sulle città portuali proprie del progettista e alla cultura e conoscenza dei modelli delle città americane che hanno modificato le capitali europee, della Parigi di Haussmann al Ring di Vienna, associati a confronti continui con le città nord-africane da Tunisi a Il Cairo11. “Il piano, pur prevedendo un “giudizioso e parco diradamento igienico” del nucleo antico e disciplinando con alcuni tagli la parte di città dovuta alla prima occupazione italiana, interessava soprattutto le zone esterne di quest’ultima. L’oasi, al di fuori delle aree espressamente previste per l’ampliamento, veniva salvaguardata nella sua integrità. (…) Le nuove zone di espansione furono divise in quartieri per indigeni e quartieri per europei, proponendo così la netta separazione

9 - I.s.I.A.O.- elaborati di Piano Regolatore del 1914, archivio cartografico, armadio F, cassetto 3, busta II b foglio 12576, ma anche f. 12577 e f. 12579. 10 - Cfr. Talamona M. in “La Libia: un laboratorio di architettura” in Rassegna, op. cit. 11 - I.s.I.A.O.- archivio cartografico, armadio F, cassetto 3, busta II b; Foglio 12590: Regio Decreto 15.01.1914 “col quale vengono approvate alcune modificazioni al piano regolatore della città di Tripoli ed alle norme per la sua esecuzione”. Il testo è bilingue, italiano ed arabo; a pag. 3 le motivazioni degli sventramenti limitrofi al castello. - A.C.S. - M.A.I. b. 114 - fasc.1, sf. 2 - variante al Piano Regolatore di Tripoli del 1914, compilato negli anni dal 1934 al ’36. Sono descritte le caratteristiche della città, il ruolo e la conformazione della Medina, che viene rispettata, fatta eccezione per alcune zone assolutamente fatiscenti, per le quali, secondo gli schemi giovannoniani, si propone il “diradamento”. La città, infatti, viene descritta come formatasi per successive aggregazioni, le parti nuove i aderenza e continuità alle altre, non sovrapposte. Il quartiere storico, circoscritto dalle mura, alle quali fa capo il complesso del Castello, contiene anche i resti del vecchio acquedotto turco, con le sorgenti Bumeliani e Fornaci. Molto interessante l’approccio metodologico con cui si distinguono le “zone” che strutturano la città. Si legge infatti nella Premessa alla Relazione di Piano Regolatore 1934 – XII: “La Città di Tripoli, come si è venuta formando per successive aggregazioni, è costituita: dalla vecchia città araba serrata nel perimetro delle antiche mura, dai sobborghi che già sotto il dominio turco si formarono a ventaglio lungo le carovaniere convergenti alla Porta del Castello ove originarono la piazza detta “del pane, ora piazza Italia”; principale fra tutti il quartiere Bel-Ker, da costruzioni recenti sorte in formazione tuttora rada nella pianura a sud delle demolite mura di Sidi Omran, a cavaliere del nuovo Corso Sicilia, da nuclei sparsi a oriente della zona più intensamente edificata, e arrivanti fino agli Uffici del Governo. Sono nuclei vecchi come intorno alla Dahra, nuovissimi come i villini della Cooperativa Italia, e villaggetti indigeni, da saldature recenti che fra tutti questi diversi nuclei vengono formandosi con l’espansione della città, ma in modo non abbastanza organico”. Questa disamina costituisce l’ossatura per strutturare il Piano e per i molteplici interventi di carattere architettonico ed urbanistico, distinguendo come zone di espansione quelle esterne alle mura e come aree da conservare, quelle interne alle mura alle quali viene peraltro riconosciuta valenza storica ed archeologica. Tuttavia i valori riconosciuti in questo momento storico non sono gli stessi che corrispondono ai moderni principi della conservazione integrata. Molto ben documentata anche l’attività di OO.PP. civili in Cirenaica e molti interventi a Derna. V. anche M.A.E.; A.S.D. Inv. Cons. Sup. Coloniale, Pacco 6 (1928) fasc. 158, Variante al P.R. di Tripoli. Testo della relazione – 19 ottobre 1928-VI; Relazione di variante al Piano Regolatore di Tripoli – indirizzata al Ministro “Sono note all’E.V. le ragioni che hanno indotto il Governo di Tripoli a far compilare da quell’ufficio Opere Pubbliche il progetto di variante al piano regolatore del capoluogo N. 3303, concernente l’ampliamento di Piazza Italia e la sua sistemazione a portici, e lo spostamento verso N.O. dell’asse Sciara El Garbi, in modo da farlo coincidere, attraverso la piazza stessa, con l’asse del primo tratto del Lungomare Volpi ed in modo da dare per sfondo alla grande arteria verso il mare il grandioso ed artistico sperone del castello. Tali ragioni sono state apprezzate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, il quale, in data 27 settembre u.s., esaminato il rapporto di questo ufficio (…) ha espresso parere favorevole all’approvazione dell’opera, con le sole varianti dell’abolizione dei portici sui lati del breve sbocco della nuova piazza alla via del castello e del mantenimento attuale lungo il lato sud-est di quest’ultima via”. Segue la stima della spesa e l’impegno a richiedere l’autorizzazione con Decreto Reale, che di seguito è presente nel fascicolo. La variante di piano, con le modifiche alla Piazza è dunque immediatamente successiva al primo intervento di Brasini.

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1.4 Le vicende del Piano Regolatore di Tripoli: la Medina e la nuova Tripoli

61. Dettaglio del Piano Regolatore della città di Tripoli del 1914, alla scala 1:2.000 È ben visibile la sistemazione interna della cittadella del Castello, pur non essendo possibile distinguerne i volumi

62. Tripoli, veduta del golfo (Archivio G. Volpi)

razziale codificata come una delle norme base del I Convegno di urbanistica coloniale, che si era tenuto a Parigi in occasione dell’Esposizione Internazionale del 1931”. Il nuovo insediamento urbano viene affiancato e non più sovrapposto, dunque, al vecchio tessuto edilizio, secondo un criterio di salvaguardia dei centri antichi adottata dalle principali nazioni coloniali sul finire del secolo. È molto interessante soprattutto la descrizione della zonazione e delle logiche distributive della parte nuova di città, con i servizi ad uso di entrambe le comunità12. In questo nuovo schema la Piazza del Mercato assume un ruolo importante, quello di raccordo, di cerniera tra il vecchio e il nuovo, una cerniera nella quale il Castello occupa un posto rilevante. “Nella Piazza del Mercato del pane – punto di contatto tra il porto, la medina e la città nuova – era ubicato il novo palazzo del Municipio; a est del castello, la residenza del governatore con ai lati le sedi dell’amministrazione civile e militare”13. All’esterno della cinta muraria viene dunque ridisegnata la nuova Tripoli italiana, avendo come raccordo tra vecchio ed nuovo il Castello Rosso e la piazza antistante. Il proposito di salvaguardare la Medina come unicum, è finalizzato, comunque, ad un ulteriore obiettivo non meno importante del primo, come giustamente rileva Talamona: “Lasciare la popolazione nel proprio habitat originario significava mitigarne le resistenze e, allo stesso tempo, poiché concentrata in un unico luogo, controllarla militarmente con più facilità”14. Dalle tavole di piano emergono chiaramente delineate con un segno rosso le aree degli interventi: le nuove passeggiate sui lungomare della città, aventi come snodo il Castello Rosso, la monumentale Piazza Italia e l’emiciclo a metà del viale pensato parallelo ad un lato del pentagono che disegna la cinta muraria, quasi che i “segni” della città vecchia siano utili a determinare assi e struttura della nuova città che crescerà all’esterno15. Il Piano insiste molto sulle nuove sistemazioni urbane, il cui obiettivo è senza dubbio la qualità sotto il profilo architettonico ed am-

12 - Talamona M. “La Libia: un laboratorio di architettura”, op. cit. (pag. 65), “Studiato secondo i criteri di un azzonamento rigoroso, il piano della città nuova ne prevedeva lo sviluppo verso nordest, rafforzando così quelle direttrici tracciate da Reschid Bey negli ultimi anni della dominazione turca. Lungo le strade che partivano a ventaglio dalla Piazza del Mercato del Pane verso l’oasi (Sciara Riccardo Cassar, Sciara Mizran, Sciara Bel-Her e Sciara el Garbi) erano ubicati i quartieri di abitazione, ripartiti in quartieri di abitazioni medie, città-giardino, residenze signorili”. 13 - Talamona M. “Città europea e città araba in Tripolitania” in Gresleri G., Massaretti P., Zagnoni S. op. cit. 14 - Talamona M. in “La Libia: un laboratorio di architettura” op. cit. (pag. 64). 15 - Cfr. Procida E. The definition of Tripoli’s outlook: 1921 to 1925, Volpi and Brasini (pagg. 477-482) in Micara Petruccioli Vadini (a cura di) “The mediterranean Medina”, International seminar, Atti del convegno 1992, Gangemi editore, 2010.

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63. Planimetria della Medina di Tripoli del 1914 Dettaglio del P.R.G. con evidenza dell’idea progettuale, in rosso, dei nuovi segni di “viabilità monumentale” sovrapposta al tessuto edilizio esistente, alla scala 1:2000. (originale 68x90.5 cm)

64. Tripoli, Castello Rosso: scorcio dei bastioni di S. Giorgio e di S. Giacomo La VI° illustrazione rappresenta in B/N un quadro di Michele Cascella intitolato “Il Castello di Tripoli”, esposto alla I° Mostra d’Arte Coloniale della La Fiera di Tripoli. Michele Cascella (Ortona 1892 – Milano 1989) è stato tra i numerosi artisti che hanno vissuto ed operato a Tripoli, come Funi, Ghiringhelli, Melis, Prini, Quaglino, Reggiani, Selva. Di cultura milanese, espone alla Biennale di Venezia per dieci anni, ma anche a Milano, Roma e Parigi

bientale, almeno secondo le intenzioni del governo italiano, finalizzate a dimostrare l’efficienza della nuova amministrazione della colonia. “Furono costruite le prime strade cittadine con regolare massicciata, demoliti e bonif icati agglomerati indigeni sparsi nelle varie zone della città. Di particolare importanza la costruzione dei due Lungomari (Conte Volpi, Principe di Piemonte, della Vittoria) del Corso Vittorio Emanuele, la ricostruzione di Piazza Castello. Nel 1931 ebbe inizio (…) un nuovo piano regolatore (…) di ampio sviluppo corrispondente all’attuale aspetto della città. lasciata intatta la parte vecchia e caratteristica della città, stabilite alcune zone nel centro a costruzioni di quattro piani, vennero presi e costruiti moltissimi fabbricati a carattere estensivo e giardinetti”16. Il tipo di edificato descritto infine, è dovuto in gran parte alle scelte progettuali operate in sede di modifiche al Piano Regolatore, scelte analoghe a quelle che si stavano portando avanti negli stessi anni nella capitale, con lottizzazioni intensive per le costruzioni a palazzine. Argomento di interesse e di forti discussioni anche con il governo centrale italiano, sono le norme di attuazione del piano che regolano l’esproprio per pubblica utilità. La procedura prevista, infatti, tende a innescare un processo di speculazione costituendo in tempi brevi un vasto demanio di aree fabbricabili pronte per essere utilizzate dai privati. Il modello per l’indennizzo è desunto dalla legge per Napoli del 1865 e prevede il corrispettivo di un’indennità di esproprio, ma nessuna inchiesta o procedura per stabilire l’esigenza della pubblica utilità, lasciando quasi all’arbitrio il decreto di esproprio17. Con la data del 12 novembre 1913 viene presentata, a firma di Riccardo Simonetti, la prima variante al piano di Luiggi. Il nuovo piano è molto simile al precedente, con la sola differenza che non si indicano in maniera perentoria le sedi dei nuovi uffici o istituti pubblici. Degli intenti programmatici di questo piano vengono realizzate le nuove condutture d’acqua, gli scavi e la liberazione dell’arco di Marc’Aurelio, l’esproprio dei terreni per la costruzione della stazione centrale e, come

16 - M.A.E.; A.S.D. – Africa III, miscellanea (1879-1955) - b. 56, fasc. OO.PP. - Fascicolo 2 di OO.PP. in cui c’è un rendiconto delle opere civili, tra cui gli interventi sul porto di Tripoli. Indicazioni dei lavori eseguiti suddivisi per anno. Il testo trascritto è ripreso da un articolo dattiloscritto che sembra essere un rendiconto forse per un articolo da pubblicare. “Ancora agli inizi degli anni trenta la stesura dei piani regolatori di Tripoli e Bengasi segue il modello dei piani regolatori redatti per le città italiane, con una distinzione fra le diverse zone residenziali, quella per i bianchi e quella per gli indigeni, che ricalca la divisione tra quartieri signorili e quartieri popolari, propria di ogni piano urbano”. Cfr. Gresleri G., Massaretti P., Zagnoni S. (a cura di) “Architettura italiana d’oltremare”, catalogo della mostra Gall. D’Arte Mod. Bologna, 26 sett. 1993 - 10 gen. 1994; Art. di Ciucci G. “Architettura e urbanistica. Immagine mediterranea e funzione imperiale” (pag. 109). 17 - Talamona M. “in “La Libia: un laboratorio di architettura” in Rassegna op. cit.

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65. Tripoli, Moschea Karamanli La moschea è posta al centro dell’abitato della Medina (riconoscibile per la copertura a cupoline estradossate)

66. Foto aerea di Tripoli del 1933 Si noti sullo sfondo il recinto pentagonale della Medina, con il complesso del Castello Rosso a destra, a margine del golfo. All’esterno l’espansione della Tripoli italiana, con i lungomare e gli assi di nuova edificazione

spiegato nel precedente capitolo, la progressiva demolizione di intere parti di mura di cinta della città vecchia18. Questo è lo stato di attuazione del piano, quando, terminata la guerra, il 3 agosto del 1921 succede a Luigi Mercatelli, come Governatore della Tripolitania, il finanziere Giuseppe Volpi19, che fin dall’inizio chiarisce l’intento principale del suo mandato: riaffermare l’autorità e la sovranità della politica italiana. Gli obiettivi del nuovo governatore possono essere sintetizzati in quattro punti: riconquista militare di tutto il territorio coloniale, creazione di un vasto demanio di terreni produttivi ed agricoli gestito da operai e manovalanza italiana, risanamento e sviluppo di Tripoli, come capitale e sede rappresentativa del governo e della sovranità italiane e infine, ma non in ultimo per importanza, la valorizzazione del consistente patrimonio archeologico e culturale. “Sin dai primissimi giorni di governo Volpi mise a punto una strategia di intervento che prendeva a modello il «vasto programma di 18 - Vedi capitolo precedente. Cfr. anche M.A.E. – A.S.D. Inventario archivio consiglio superiore coloniale (1923-39) - Pacco 6 (1928) n. 158 – variante al P.R. di Tripoli ; n° 5 fogli contenenti le motivazioni per aver concesso la variante al P.R. di Tripoli che consentiva le modifiche a Piazza Italia. Gli assi interessati sono il Lungomare Volpi e la prospettiva del Castello. Dal Testo della Relazione – 19 ottobre 1928-VI. Oggetto: Relazione di variante al Piano Regolatore di Tripoli – al Ministro - “Sono note all’E.V. le ragioni che hanno indotto il Governo di Tripoli a far compilare da quell’ufficio Opere Pubbliche il progetto di variante al piano regolatore del capoluogo N. 3303, concernente l’ampliamento di Piazza Italia e la sua sistemazione a portici, e lo spostamento verso N.O. dell’asse Sciara El Garbi, in modo da farlo coincidere, attraverso la piazza stessa, con l’asse del primo tratto del Lungomare Volpi ed in modo da dare per sfondo alla grande arteria verso il mare il grandioso ed artistico sperone del castello. Tali ragioni sono state apprezzate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, il quale, in data 27 settembre u.s., esaminato il rapporto di questo ufficio (…) ha espresso parere favorevole all’approvazione dell’opera, con le sole varianti dell’abolizione dei portici sui lati del breve sbocco della nuova piazza alla via del castello e del mantenimento attuale lungo il lato sud-est di quest’ultima via”. Segue la stima della spesa e l’impegno a richiedere l’autorizzazione con Decreto Reale, che di seguito è presente nel fascicolo. La variante di piano, con le modifiche alla Piazza è dunque immediatamente successiva al primo intervento di Brasini. 19 - Volpi G. è stato Governatore della Tripolitania dal 1921 al 1925. Per quanto concerne il regesto delle vicende generali recenti dalla riconquista italiana e di intervento sul castello, si può effettuare la seguente sintesi: ·1911 le truppe italiane occupano Tripoli ·1912 il P.R. di Tripoli viene consegnato a firma di Albino Pasini. La proposta era stata studiata dal Luiggi ·1914 redazione del primo Piano Regolatore di Tripoli, ad opera di Alpago Novello, Calbiati e Terrazza; nomina di Salvatore Aurigemma a Soprintendente alle Antichità e Belle Arti ·1917 variante al Piano Regolatore di Tripoli ·1919 nomina di Pietro Romanelli a Soprintendente alle Antichità e Belle Arti ·1920 variante al Piano Regolatore di Tripoli ·1921 Giuseppe Volpi è Governatore della Tripolitania, al posto di Luigi Mercatelli (sino al 1925) ·1923 primo intervento sul castello di Tripoli, (progetto di A. Brasini) secondo le descrizioni dell’art. di Bartoccini (v. Boll. Min. Pubb. Istr. N. 4) ad opera di Armando Brasini e nomina di Renato Bartoccini a Soprintendente alle Antichità e belle Arti ·1924 nomina di Benito Mussolini a Ministro delle Colonie ·1925 dopo le dimissioni di Volpi, il Governatore della Tripolitania è Emilio De Bono ·1926 primo viaggio di Mussolini in Tripolitania e Cirenaica ·1927 nella Piazza IV novembre si svolge la I Fiera Campionaria di Tripoli ·1928 nomina di Giacomo Guidi a Soprintendente alle Antichità e Belle Arti ·1930 Piero Badoglio è Governatore della Libia (sino al 1934) ·1934 Italo Balbo è governatore della Libia (sino al 1940) ·1935-36 approvazione della variante al Piano Regolatore di Tripoli ·1935 secondo intervento sul Castello di Tripoli (progetto di F. Di Fausto) viene restaurato il cortile dei Caramanli; la Moschea centrale con la scoperta dell’altare della chiesa di S. Leonardo e delle tumulazioni dei cavalieri di Malta. (progetto di F. Di Fausto) ·1936 le due Soprintendenze di Tripolitania e Cirenaica vengono unificate in un’unica Soprintendenza alle antichità della Libia ·1937 (marzo) secondo viaggio di Mussolini in Tripolitania ·1937-39 cambiamento di denominazione del Ministero delle Colonie che diventa Ministero dell’Africa Italiana (M.A.I.) ·1938-39 terzo restauro sul Castello di Tripoli, effettuato sul contesto urbano.

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67. Panorama di Tripoli La foto è contenuta in un fascicolo di documentazione fotografica varia anche di opere pubbliche, tra cui le foto della visita di Mussolini in Libia.

opere civili e militari» condotte dal maresciallo Lyautey in Marocco durante gli anni dieci:...”20. Il 21 novembre dello stesso anno viene riunita una commissione al Castello, prima sede del Governo Italiano, per decidere quali sono gli elementi di pregio storico-artistico da salvaguardare in quanto espressivi dell’architettura araba. “Era la prima volta che i monumenti dell’epoca post-classica ricevevano attenzione, e una visita preliminare attenta e particolareggiata, ai vecchi quartieri della città produsse risultati notevoli, poiché si constatò che gli edifici degni di interesse erano numerosi, e si trattava per lo più di case private, di epoca compresa tra il secolo XVII e la prima metà del XIX” 21. Il nuovo Governatore si pone l’obiettivo di “ridisegnare” la città, in coerenza con la realizzazione del piano regolatore, ma soprattutto per formulare un’immagine della capitale legata al suo nome, in cui gli interventi architettonici sono strumentali e tangibili manifestazioni del nuovo potere della Roma imperiale e fascista22. Ma torniamo alle vicende del Piano Regolatore: dalla consultazione dei documenti conservati presso l’archivio storico-diplomatico del M.A.E. emerge che lo strumento urbanistico redatto su proposta di Pasini ed elaborato dall’ing. Luiggi, diventa operativo in seguito a diverse modifiche apportate anche alle Norme Tecniche, per cui la stesura definitiva è

68.

69.

Tripoli, immagini della città vecchia Riproduzioni di due opere di Domenico del Bernardi, nell’ambito della documentazione di arte coloniale, esposte durante la Mostra di Arte Coloniale a Napoli, 1934. Si tratta di uno scorcio della città e di un’immagine del Such el Naggiara. Di origine varesina (nato a Besozzo nel 1892) e autodidatta, De Bernardi compare spesso tra le due guerre (Biennale di Venezia e Quadriennale di Roma) come pittore di scorci urbani

20 - Talamona M. “in “La Libia: un laboratorio di architettura” in Rassegna op. cit. 21 - Sangiovanni O. “La Medina di Tripoli. Dal Piano Regolatore del 1912 ai lavori del 1936-37”, in “Islam, Storia e Civiltà”, op. cit. (pag. 51). Tutti gli elementi di interesse, nella valenza di Caratteri Costruttivi degli edifici, vengono riconosciuti e censiti dalla Commissione appositamente riunita il 21 nov. del 1921, per volontà del Soprintendente Aurigemma, con l’incarico di redigere l’elenco degli edifici di interesse storico-artistico. Grande attenzione anche ai monumenti di epoca post-classica relativi all’arte tardo-romana e agli esempi caratteristici dell’architettura araba come i fondugh architetture tipicamente commerciali adibite a deposito di mercanzie. In seguito, con il R.D. dell’aprile del 1922 vengono dichiarati di interesse storico-artistico vari edifici dell’oasi di Tripoli: nell’elenco stilato compaiono moschee e case private situate nella città vecchia di Tripoli e nell’oasi della Menscia. Come spiegato gli elementi tipici dell’abitazione tripolina vengono registrati come aspetti decorativi, come osserva Sangiovanni, “rivestimenti in piastrelle maiolicate, motivi di rilievo a stucco, soffitti in legno intagliato e dipinto, cornici in pietra scolpite attorno ai vani di porte e finestre” elementi che in qualche modo saranno salvaguardati, pur con modifiche e trasformazioni, nella fase del primo restauro del Castello. 22 - Cfr. Procida E. “The definition of Tripoli’s outlook: 1921 to 1925”, in Volpi and Brasini op. cit.

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70. Panorama di Tripoli La foto è presumibilmente ripresa dalla terrazza del Castello. Sono evidenti i nuovi assi viari che si dipartono da Piazza Italia.

del 1931 a firma di Alpago Novello, Ottavio Calbiati e Guido Ferrazza, con successive modifiche approvate nel 1933. L’intento di conservare nella sua interezza la Medina si conferma nelle relazioni di piano del decennio successivo, infatti, nell’allegato di Criteri Generali della Variante del 1934 si legge: “A differenza di molte altre città nelle quali il vecchio nucleo storico è d‘impaccio alla moderna riorganizzazione e all’espandersi dell’abitato, Tripoli ha la fortuna di averlo tutto raccolto in disparte, così da poterlo lasciare intatto senza pregiudizio alla comunicazione della precedente città. Fortuna anche maggiore per il fatto che la vecchia Tripoli araba ed israelita è molto caratteristica, ricca non solo di monumenti noti e celebri, ma anche di strade, vicoli, gruppi edilizi pittoreschi e singolari; sicché salvarla nella sia integrità vuol dire assicurare l’esistenza della Città orientale più vicina all’Europa: fonte di godimento per artisti e incentivo al movimento turistico. Occorre che in questa parte della città (già delimitata dalle antiche mura) non sorgano nuovi edifici di tipo europeo, ma si favorisca la ricostruzione, ove occorra, da parte degli indigeni secondo il tipo tradizionale. Solo per motivi igienici si dovrà, come opportunamente già fatto, proseguire con una cauta e garbata opera di diradamento, là dove l’eccessivo sfruttamento dell’area, specie nella Hara, ha fatto sopralzare in vie strette, o riempire gli indispensabili spazi scoperti. D’altra parte anche gli allargamenti dei Lungomare circostanti, e le sistemazioni di piazzali e di verde, previsti lungo le mura e presso Porta Nuova, valgono per un maggiore respiro. Il concetto dell’integrità della città vecchia risponde pure al principio di economia, per il quale non convengono costosi sventramenti ed impianti in settori già organizzati su modeste basi. Conviene invece che l’attrazione degli altri quartieri più modernamente impiantati faciliti il desiderato spontaneo diradamento”23. In seguito il testo della Variante, nell’’Adunanza del 18 marzo 1936/XIV cita: “La città di Tripoli formatasi per successive aggregazioni di centri abitati consta principalmente: Della città araba.

71. Tripoli, scorcio del lungomare Volpi (Archivio G. Volpi)

72. Tripoli, il Pontile dell’Imperatore ripreso in occasione del viaggio di Vittorio Emanuele a Tripoli Nella foto si intravede in castello di scorcio, “liberato” del tessuto urbano circostante prima addossato, come fondale scenico della parata

23 - Cfr. A.C.S. - M.A.I. b. 114, fasc. 1 in cui si legge anche il Parere dell’Ispettorato di Sanità Pubblica del 19 dic.1934/XII. “Il progetto stesso non contempla la città araba, che l’interesse turistico vuole conservata nelle sue linee e nelle sue caratteristiche originali; a questo riguardo trovo luogo a raccomandare che, a complemento del piano regolatore e di ampliamento in esame, si studio un programma organico ed ordinato di miglioramento igienico, progressivo della vecchia città, enormemente affollata ancora di una popolazione, che la tradizione ed il fatalismo, rendono restia ad ogni progresso, per quanto riguarda l’igiene e la pulizia della casa e delle persone. Senza togliere alla città araba alcuna delle caratteristiche che ne fanno un’attrazione turistica di straordinario interesse, credo che si potrebbero pur sempre ottenere sensibili vantaggi sanitari con opera sistematica ed organica, intesa al miglioramento igienico delle abitazioni, e con qualche demolizione e corrispondente creazione di piccoli giardini, ai quali si potrebbe pur dare con facilità il colore esotico corrispondente all’ambiente. Ma soprattutto mi sembra indispensabile che, con adeguate provvidenze, si cerchi di richiamare parte degli abitanti della vecchia città nei nuovi quartieri da creare, per ottenere in questa il diradamento indispensabile della popolazione”. A conferma della continuità di intenti si riporta di seguito un brano dalla Relazione allegata all’Ampliamento dei Piano Regolatore: “30 mar 1935/XIII° “Meritevoli invece di menzione sono la variante che stabilisce il rispetto assoluto della caratteristica della Città Vecchia che rinunzia all’apertura di ogni nuova strada o piazza avente carattere di sventramento, e l’altra che prevede l’isolamento, la conservazione ed il restauro delle vecchia mura fra Bab El Huria e Suk El Muscir e dell’annesso bastione di Dar El Barut sullo sfondo tra Piazza Italia, - isolamento e restauro già attuato contemporaneamente alla sistemazione di detta Piazza ed al suo raccordo diretto con Piazza Castello ottenuto con la demolizione del gruppo di vecchie costruzioni situate fra Suk El Muscir e Corso Vittorio Emanuele”. Di seguito si legge: “Il piano dovrà soddisfare ancora delle altre esigenze, essenziale, fra tutte, quella di rispettare l’Oasi meravigliosa che costituisce la cornice superba della Città e fa di Tripoli la città più bella e suggestiva dell’Africa Mediterranea. Con l’Oasi, naturalmente, dovrà essere conservato il paesaggio, e perciò le linee del P.R. dovranno essere tracciate in modo da rispettare le località più interessanti per caratteristiche costruzioni locali, macchie di verde, suggestivi sfondi di orizzonte, di oasi, di mare, ecc. tutto ciò insomma che rappresenta un elemento di bellezza o una nota di colore locale e che costituisce una gioia dell’artista e l’attrazione del visitatore”.

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73. Tripoli, lungomare Volpi

74. Tripoli, la passeggiata Volpi

75. Tripoli, la passeggiata del porto Visibile sul lato sinistro uno scorcio del Bastione di S. Giacomo appena restaurato

di 73

Dei sobborghi formatisi sotto la dominazione turca, articolatisi dai nuclei di abitazioni in fregio alle antiche piste carovaniere le quali disposte in senso radiale sboccavano nell’attuale Piazza Italiana. Da recenti costruzioni sorte verso il nuovo Corso Sicilia. Da nuclei sparsi ad oriente della zona più intensamente edificata fino alla sede degli uffici del Governo. Deriva da un tale insieme di diff icoltà lo studio di P.R. il quale tenendo conto della speciale fisionomia della città ne coordini organicamente le varie parti procedendo inoltre ad un razionale risanamento del quartiere più vecchio e più denso cioè quello arabo e ne determini, in modo organico, le aree da occuparsi con i nuovi quartieri di ampliamento, disciplinandone il loro sviluppo. Dal punto di vista del carattere e della vista panoramica della città è necessario osservare come il progettato Piano Regolatore abbia risolto abbastanza felicemente il problema. Infatti ha mantenuto in complesso la vecchia città araba, uno dei punti più caratteristici, mentre provvede con opportuni diradamenti e ricostruzioni a migliorarne lo stato presente. In quest’ordine di idee e per i pregi che si possono rilevare in un minuto esame de progetto, questo risulta ben studiato e rispondente agli odierni bisogni della città. Allo scopo di interrompere il sistema stellare già formatosi con le costruzioni sporadiche dei sobborghi, lungo le già cennate piste carovaniere, i progettisti hanno opportunamente disposto un sistema di strade trasversali di cui due delle principali sono tra loro parallele dirette da Est ad Ovest in modo da creare un collegamento razionale tra i quartieri già in formazione verso Est ed avviare lo sviluppo della città odierna verso la plaga più adatta. Infatti la città si è sviluppata lungo la costa spontaneamente data l’esistenza dei popolari quartieri di S. Francesco e della Dahra”24. La vicenda del Piano Regolatore prima del nuovo Governatore Volpi, è determinante per i consistenti interventi di carattere architettonico ed urbano. Tra questi il primo e più importante documentato nel corso della sua realizzazione, è Piazza Italia con lo sfondo del Castello Rosso e i due lungomare che si dipartono da esso. Si tratta di un ambito urbano importantissimo, perché rap-

24 - Si riferisce alla collina della Dahra (il termine stesso il arabo è traducibile con collina) e compare in molti testi tra cui Aurigemma S., “Notiziario Archeologico della Tripolitania” op. cit. Il testo citato è tratto da A.C.S. - M.A.I. b. 114, fasc. 1. Ma bisogna evidenziare che prende lo spunto comunque dalla conclusioni espresse negli anni precedenti.; infatti nella Premessa alla Relazione di Piano del 1934-XII si legge parimenti: “La Città di Tripoli, come si è venuta formando per successive aggregazioni, è costituita: · dalla vecchia città araba serrata nel perimetro delle antiche mura, · dai sobborghi che già sotto i dominio turco si formarono a ventaglio lungo le carovaniere convergenti alla Porta del Castello ove originarono la piazza detta “del pane, ora piazza Italia”; principale fra tutti il quartiere Bel-Ker, · da costruzioni recenti sorte in formazione tuttora rada nella pianura a sud delle demolite mura di Sidi Omran, a cavaliere del nuovo Corso Sicilia, · da nuclei sparsi a oriente della zona più intensamente edificata, e arrivanti fino agli Uffici del Governo. Sono nuclei vecchi come intorno alla Dahra, nuovissimi come i villini della Cooperativa Italia, e villaggetti indigeni, · da saldature recenti che fra tutti questi diversi nuclei vengono formandosi con l’espansione della città, ma in modo non abbastanza organico”. – A.C.S. - M.A.I. b. 114, fasc. 1.

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76. Tripoli, Porta di Settimio Severo e un'ala del Castello dopo la liberazione 77. Tripoli, Arco di Marc’Aurelio, in una veduta di Lemaine del terzo decennio del secolo XIX

presenta il primo impatto visivo che si ha della capitale africana ed assume il significato di determinare e caratterizzare il profilo visto dal mare. Nel contesto di ridisegno del tessuto esterno alle mura e nell’ambito di destinazione residenziale della zona già insediata a margine del tessuto riconosciuto, il più lontano e popolare quartiere della Dahra viene percepito come un insieme incoerente da ridisegnare completamente: esso ospiterà la Cattedrale di Tripoli, con la monumentale Piazza ed i complessi INPS e INA, conferendo a tutta l’area la caratteristica di “quartiere italiano”. “Vennero demoliti sulla piazza del Pane (poi Piazza Italia) il Fundugh el-Maksen, per la costruzione del cinema Alhambra, e un altro (già adibito al noleggio dei somari) per far posto all’Albergo Nazionale. Anche la Galleria De Bono sorse sul luogo prima occupato da un famoso fundugh. Il fundugh in Suq el-Turk (costruito verso il 1654 e trasformato poi nel 1835), noto col nome di Fundugh el-Drusi, fu trasformato nel 1912 nel Teatro Politeama”. Al posto del fossato quattrocentesco, riempito e privato della funzione di isolamento, intorno al Castello si erano addossate unità edilizie che ne avevano modificato le immediate adiacenze e la percezione d’insieme, in maniera simile a quanto era avvenuto in alcuni casi europei, in cui il “monumento” era divenuto base della stratificazione urbana25. La demolizione delle superfetazioni intorno al Castello e lo sventramento di piazza Italia, poi ulteriormente ingrandita e in seguito denominata Piazza Verde, insieme all'intervento di liberazione dell'Arco di Marc'Aurelio, sono motivate da queste tendenze culturali26. Terminati alcuni guasti ormai irreparabili si registra come tentativo in controtendenza appunto il censimento di tutte le emergenze architettoniche di pregio voluto da Volpi, con la commissione del 1921. Inizia così manifestarsi una sorta di “rispetto” e curiosità, determinata inizialmente da motivazioni di carattere turistico, dell’architettura minore, dei caratteri arabi, fino a che la variante di Piano, approvata nel 1935, non registra il “cambio di indirizzo” culturale verso il restauro scientifico-conservativo. 25 - Molti sono i casi in cui il sedime di un complesso monumentale determina la morfologia di un contesto urbano. Si pensi all’anfiteatro di Arles, de-restaurato nel XIX secolo, al teatro romano a Napoli, che determina il contesto del tessuto urbano o l’anfiteatro di Lucca, che attualmente costituisce il fondamento della conformazione dell’abitato. 26 - A Tripoli la stratificazione urbana ha un ulteriore interessante connotato storico, dato dalla coesistenza di culture diverse: quella spagnola e cristiana e quella araba e turca, quindi musulmana. Gli interventi italiani, quindi, possono essere letti come una successiva ulteriore fase storica, per l’applicazione di un nuovo linguaggio architettonico-artistico, in cui il razionalismo italiano si fonde a suggestioni e stilemi locali.

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1.4 Le vicende del Piano Regolatore di Tripoli: la Medina e la nuova Tripoli

79. Tripoli, Arco di Marc’Aurelio (Archivio G. Volpi) L’aulica didascalia sottostante recita: Le scuole medie di Tripoli traggono auspici di romanità sotto l’arco di Marco Aurelio 78. Tripoli, isolamento dell’Arco di Marc’Aurelio e sistemazione della zona circostante, progettata e realizzata dall’Arch. Florestano Di Fausto La foto è inserita nel Fascicolo quarto, contenente la documentazione fotografica di molte opere pubbliche realizzate a Tripoli, tra cui la Cassa di Risparmio della Tripolitania di Brasini, un atrio del quartiere artigiano e l’isolamento dell’arco di Marc’Aurelio di Florestano Di Fausto, la sistemazione di Piazza Italia e padiglione Italia alla Fiera di Tripoli di Limongelli e l’arco trionfale per l’arrivo di sua Maestà a Tripoli, progettato da C.E. Rava. Di Fausto ha progettato anche il Grande Albergo a Cirene, l’Albergo E.T.A.I. a Nelut, l’Arco celebrativo della Litoranea del Golfo a Sirte e a Tripoli l’Albergo dei Mehari, l’edificio per il Comando dell’Aeronautica, il nuovo Palazzo del Governo, mentre Limongelli è autore anche del Padiglione Roma alla Fiera di Tripoli e di un progetto di sistemazione di Piazza Italia.

Nella modifica al Piano Regolatore, approvata nel 1935 e citata in precedenza, si leggono le giuste linee-guida: “isolamento e restauro già attuato contemporaneamente alla sistemazione di detta Piazza ed al suo raccordo diretto con Piazza Castello ottenuto con la demolizione del gruppo di vecchie costruzioni situate fra Suk El Muscir e Corso Vittorio Emanuele”. Di seguito si legge: “Il piano dovrà soddisfare ancora delle altre esigenze, essenziale, fra tutte, quella di rispettare l’Oasi meravigliosa che costituisce la cornice superba della Città e fa di Tripoli la città più bella e suggestiva dell’Africa Mediterranea. Con l’Oasi, naturalmente, dovrà essere conservato il paesaggio, e perciò le linee del P.R. dovranno essere tracciate in modo da rispettare le località più interessanti per caratteristiche costruzioni locali, macchie di verde, suggestivi sfondi di orizzonte, di oasi, di mare, ecc. tutto ciò insomma che rappresenta un elemento di bellezza o una nota di colore locale e che costituisce una gioia dell’artista e l’attrazione del visitatore”. 80. Tripoli, Arco di Marc’Aurelio (Archivio G. Volpi)

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Quadro storico-evolutivo del Castello fino al 1911 Liliana Mauriello 2.1 Il fortilizio a scopo difensivo e la residenza reale dal VII al XIV secolo 2.2 La fortezza dei Cavalieri di Malta dal XV al XVI secolo 2.3 La dominazione turca, l’età dei Karamanli, la conquista italiana dal XVI al XIX secolo

APPENDICE 1 IL CASTELLO DI TRIPOLI 1530-1551: LA RICERCA NEGLI ARCHIVI MALTESI · The Hospitaller Occupation of Tripoli 1530-1551

Stephen Spiteri APPENDICE 2 LA RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELL’EVOLUZIONE STORICA 66 Laura Baratin


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2.1 Il fortilizio a scopo difensivo e la residenza reale dal VII al XIV secolo

1. Tripoli, il Castello visto dal mare La foto è degli anni ’40, quando ancora l’asola di acqua dolce non era ancora stata costruita. Il Castello ha sempre goduto di questa prospettiva venendo dal mare, caratterizzando fortemente il profilo della città

2. Tripoli, il Bastione di S. Giacomo nel 2001 La prospettiva attuale del Castello non prescinde dall’acqua, grazie all’asola di acqua dolce ritagliata

“Il castello di Tripoli esisteva forse di già in età romana; l’occupazione mussulmana del 643 d.C., ne determinò il consolidamento; nel secolo nono esso era certo in tutta la sua efficienza, poiché Abdàlla, figlio di Brahìim ibn el-Aglab, fondatore della dinastia degli Aglabiti, vi sostenne un assedio da parte delle truppe ammutinate …”1. Quello che oggi si vede avvicinandosi alla costa di Tripoli è il profilo del Castello non più in aggetto sul mare per ragioni di conservazione; è stata infatti ritagliata un’asola con l’avanzare della costa, con uno specchio d’acqua dolce. L’immagine del monumento resta riflessa, così non è stato alterato lo stretto rapporto con il mare che il castello ha sempre avuto. È ben evidente il bastione di S. Giacomo quale segno forte, caratteristico e distintivo di cui immediatamente si percepiscono le grandi dimensioni. “Questo può essere assimilato ad un quadrilatero irregolare, diciamo così “sghimbescio”, caratterizzato da torri fuoriuscenti dai quattro angoli e poste a Nord, Est, Sud, Ovest del perimetro. Le cortine di raccordo tra torre e torre sono di diverso spessore. Ciò dipende da fatto che, nella prima metà del cinquecento i siculiaragonesi applicarono la tecnica costruttiva del fronte bastionato “all’italiana” a tre delle quattro cortine. La realizzazione del bastionamento avvenne – come d’uso – all’infuori della cinta già esistente ragion per cui le cortine più antiche si dovrebbero riconoscere nelle facce che guardano all’interno del Castello. Ciò è possibile oggi solo sui fronti N.E. e S.E., benché anch’essi modificati. Mentre la faccia esterna della cortina di N.O. dovrebbe essere quella antica. È comunque intuibile che le cortine di raccordo fra torre e torre dovevano avere andamento rettilineo” (pagg. 12-13). “La torre di Ovest è a pianta quadrata. È l’unica che conserva ancora oggi l’iconografia planimetrica originaria anche se, probabilmente, fortemente rincamiciata” (Santoro, 1996)2.

1 - Aurigemma S. “Il Castello di Tripoli in Barberia”, (pag. 536), in Volpi G. op. cit. Si veda anche Piccioli A. “Il Castello di Tripoli” in M.A.E. – A.S.D., Africa III – miscellanea (1879-1955) b. 56, fasc. dattiloscritto il cui testo è ripreso nella parte.2.

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2.1 Il fortilizio a scopo difensivo e la residenza reale dal VII al XIV secolo

Gli elementi essenziali e particolarmente significativi che Santoro riscontra sono: la complessa spazialità interna, la presenza di archi ogivati con colonne nicchiate che suggeriscono un iniziale calpestio più basso e l’apparecchiatura muraria in filari di blocchetti squadrati, unico esempio presente nel complesso palaziale, secondo il modello del csar di Agedabia. La matrice architettonica riconoscibile nel castello è quella dei castra romano-bizantini, modello per le fortificazioni nordafricane. Si può dunque, ipotizzare la presenza di una piccola torre, situata in corrispondenza di quello che oggi è il Bastione di S. Giorgio, prima sede del museo archeologico di Tripoli. La torretta è stata poi verosimilmente completata da un recinto quadrilatero e, in seguito, si è via via costruito per progressivo intasamento già in epoca imperiale. Della presenza durante la fase romana di un elemento sul sedime del castello dà testimonianza Aurigemma unitamente a molti altri autori. Tutte le descrizioni sembrano convergere sull’ipotesi, in precedenza enunciata, che il complesso del Castello sia il risultato di una rifusione di fabbriche, costruite nell’ambito del sistema di fortificazioni della Medina. Guidi, ad esempio, sostiene che i resti del primo fortilizio romano e poi bizantino siano nascosti nei livelli inferiori dello stato attuale, e che siano serviti da fondazioni per i livelli successivi. Quello che è certo è che i conquistatori successivi, turchi e spagnoli, si trovano di fronte ad un fortilizio da espugnare che è parte integrante di una città fortificata3.

3. Planimetria del Castello nel 1914 alla scala 1:2000 È visibile il complesso della cittadella interna al Castello con l’insieme dei fabbricati racchiusi dalle mura perimetrali. Dettaglio del Piano Regolatore di Tripoli; indicazioni sulla planimetria catastale delle destinazioni d’uso delle preesistenze e dei tagli viari. (originale 68x90.5 cm)

2 - Molto interessante, sotto il profilo descrittivo perché fissa il quadro agli anni ’90 è il testo di Santoro R., “Il Castello di Tripoli: storia e architettura”, Palermo?, 1996, purtroppo incompleto, perché non edito e privo del corredo iconografico di cui si fa cenno nelle descrizioni cfr. nota 10 par. 1.1. L’autore sostiene che gli spessori murari siano il risultato di robuste incamiciature (quindi che siano state giustapposte più fodere murarie). Infatti, è impossibile stabilire datazioni e fasi solo dall’analisi delle murature che sono visibili, in quanto può trattarsi di uniformi foderature eseguite nella stessa fase temporale. “Veniamo ora alle quattro torri angolari iniziando da quella di Nord. Oggi questa si presenta notevolmente deformata dall’innesto del corpo di fabbrica moderno che costituiva il fornice di accesso alla strada carrozzabile costruita a metà Novecento. (…) Essa doveva avere pianta quadrangolare e sporgere molto dall’angolo di innesto al recinto. Si veda infatti il notevole aggetto della sua parete occidentale mentre quella orientale venne pressoché annullata dal bastionamento cinquecentesco della cinta NE. La sua altezza è oggi pari a quella della cortina, ma all’origine doveva essere più alta”, (pag. 13). “La torre di Est, detta baluardo di S. Giacomo, è oggi pressoché irriconoscibile in quelle che dovevano essere le sue linee originali. Ciò non solo per i numerosi rimaneggiamenti subiti nei secoli, ma per il fatto che, come la torre di Nord, essa venne interamente sfondata per realizzare l’attuale fornice della strada. Attualmente vi è l’ingresso principale del Museo Archeologico ed è sovrastata da grandi arconi costruiti nella prima metà del Novecento. A parere di chi scrive questa torre, all’origine, doveva essere quadrangolare e sporgere molto dalle cortine che vi si raccordavano. Tale sporgenza venne annullata dall’avanzamento delle bastionate di NE e SE”, (pag. 13). “La torre di Sud è universalmente nota come Baluardo di S. Giorgio e per la sua rilevanza planovolumetrica può essere considerata come l’icona del riconoscimento storico-estetico del Castello di Tripoli. Questa torre così com’è oggi, non somiglia affatto a quella che doveva essere nel Medio Evo o nel Cinquecento quando venne trasformata dai siculo-aragonesi. Il suo aspetto attuale è dovuto alle notevoli soprelevazioni effettuate prima di turchi (nell’Ottocento) e poi dagli italiani (nella prima metà del Novecento). La sua pianta originale doveva essere un quadrilatero sghimbescio molto aggettante nella Punta rivolta alla Porta della Menscia. Doveva soprelevarsi di poco rispetto alle cortine. Gli aggetti in pianta sono stati annullati parzialmente dal bastiona mento dei fronti di SE e SO”, (pagg. 13-14). “Osserviamo ora le murature esterne di questa torre (Torre di Ovest) che, essendo stonacate, ci offrono la possibilità di analizzare la loro tessitura muraria. Questa si mostra più o meno identica su tutti i versanti con una prevalenza di conci informi di varia pezzatura disposti irregolarmente. Questa conformazione appare contraddetta, qua e là, da zone a tessitura regolare con filari di conci squadrati e disposti in assise orizzontali, evidente recupero da altre murature dismesse” (pag. 14) Viene dunque, considerata la torre più antica rimasta intera, anche per la pianta quadrata e la forma planimetrica, anche se forse con muratura di fodera. L’A. considera una Torre-Cisterna, per il deposito dell’acqua, ma poteva anche essere un ridotto difensivo, secondo il modello generale per le architetture nordafricane i castra romano-bizantini. “La Torre occidentale potrebbe essere considerata come una grande «torre-cisterna» (da cercare simili nel Nordafrica). I suoi massicci spessori murari e il fatto di contenere una cisterna sopraelevata rispetto alla quota della piazza esterna (…) ne fa un elemento piuttosto interessante nel complesso castellano”, (pag. 15). “Esaminiamo ora il gruppo di ambienti che costituiscono l’ingresso. Il portale appare piuttosto angusto ed immette in un vano oblungo che svasa, ad aprire, verso l’interno. L’asse di simmetria longitudinale piega verso la sinistra ed immette in una sorta di vestibolo la cui volta è più alta del locale precedente”, (pag. 16). “Il vecchio ingresso del Saraij (sulla via del Fossato) è l’unica porzione del Castello nella quale si respira un’atmosfera medievale. Si tratta comunque di una spazialità afferente ai modelli dell’architettura fatimida che ebbe una grande diffusione in Ifriqiya fra l’XI e il XIII sec”, (pag. 17). 3 - Guidi G. Il restauro del castello di Tripoli negli anni XII e XIII op. cit.

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2.1 Il fortilizio a scopo difensivo e la residenza reale dal VII al XIV secolo

4. Fortificazioni di Tripoli Ipotesi evolutiva delle fortificazioni di Tripoli: quadro d’insieme pubblicato da Aurigemma. Le fasi costruttive sintetizzate dallo storico sono quattro: una prima romana, con una torretta dove sorge ora il Bastione di S. Giorgio, una seconda relativa al 1559 dopo il lavori di ricostruzione condotti dagli Spagnoli, una terza relativa all’ultima fase della dominazione ottomana ed infine lo stato al 1916, dopo aver effettuato le demolizioni ad opera della Soprintendenza alle Antichità e Belle Arti (v. pag. 38 Capitolo 1)

“Tenendo pur conto dello stile del tempo ed anche dell’amor proprio del conquistatore, le stampe più antiche che ne riproducono la pianta, e le descrizioni lasciateci da scrittori arabi, come Moqaddasi del secolo X, il geografo arabo Edrisi del secolo XII che visse alla corte di re Ruggiero, El Bakri e il viaggiatore El Tigiani che fu in Tripoli nell’anno 1306-1309, concordano nell’affermare col suddetto comandante Spagnuolo e con certo Batistino De Tonsis, il quale partecipò alla spedizione del 1510, l’importanza di Tripoli come città munita di buone fortificazioni. Il castello, testimone di vicende secolari, separato dalla città per un largo fossato, prospettava la sua maestosa mole quadrata sul vasto porto e proteggeva la città dal mare e da terra. La lunga scogliera ad Occidente, sulla quale attualmente poggia il braccio del molo e si prolunga per tutto il lato settentrionale di Tripoli, l’assicurava da forti e improvvisi attacchi navali; e vi erano piccoli forti o ridotte disseminate nei punti più strategici, poco discoste dalle mura, a guisa di scolte avanzate, per iscosprire ed arrestare momentaneamente la forza nemica. Tanto nelle descrizioni che nelle antiche stampe si hanno tracce della torre de laquat ( torre dell’acqua), posta su la spiaggia a Levante di Tripoli, in ottima posizione per ricchezza di sorgenti,, in corrispondenza degli attuali pozzi dell’Hamidiè4. Naturalmente allo stato attuale non è più possibile stabilire quali siano gli elementi autentici di queste fasi iniziali, dal momento che il rifacimento cinquecentesco è stato compiuto quasi a fundamentis. In seguito si evolve il primo recinto quadrilatero, posizionando sull’asse mediano est-ovest e precisamente ad ovest, la porta di accesso spesso difesa da due torri, e ad est una piccola moschea. “Proporrei quindi anche a Tripoli, la presenza di un casr quadrangolare con torri sporgenti dagli angoli il che potrebbe ben coincidere con l’attuale planimetria dell’attuale castello, qualora lo si liberi dalle addizioni delle epoche che vanno dal primo Cinquecento in poi”5 La maggior parte della superficie interna del forte rimaneva all’aperto. Il primo cortile sulla destra dell’ingresso è forse legato all’impostazione planovolumetrica dello stesso androne. Al portico sono associate due costruzioni quadrilatere, identificabili come: casa ibrida e case binate.

4 - Cfr. Bergna C. “Tripoli dal 1510 al 1850”, Tripoli, 1924 in cui l’autore elenca tra l’altro anche gli altri forti come già riscontrato in Aurigemma op. cit. “Un secondo forte sorgeva su la scogliera occidentale a protezione dell’arsenale e del porto, indicato in una mappa veneziana del 1567col nome di (forte) S. Pietro e riconosciuto in seguito col nome di forte Spagnuolo, nelle vicinanze della stazione radio-telegrafica marittima. Un altro forte era segnato nei pressi dell’attuale macello e faceva da sentinella avanzata alla città dal lato si Settentrione; poco lungi, ma di epoca posteriore, è tuttora visibile dalla parte di ponente il fortino detto Burg Bu-Lela, o forte francese”. (pp. 17-18). Dal testo si rilevano anche altri elementi notevoli, come i nomi delle porte delle mura della città: Bab el gedid (porta Zenata) su fronte occidentale (piazza della Manifattura dei tabacchi); Bab el bahr (porta del mare) sul fronte nord-est, nei pressi dell’arco di Marc’Aurelio; Foom el bab (sbocco della porta) sul fronte sed-est, dalla parte della Mescia, all’angolo del cimitero, immetteva nell’antica Piazza del Pane (ora Piazza Italia); Bab el Hauara (contrapposta a porta Zenata,) rivolta verso al campagna abitata dalle tribù degli Hauara, detta anche Bab Abdalla. Porta de los alarbes, così chiamata dagli Spagnoli nel 1510, corrispondente all’antica porta turca Bab el Hurria (porta della libertà) e riaperta poi dal governo turco nel 1909. 5 - Santoro R. Il castello di Tripoli, op. cit. (pag. 19).

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Vedute di Tripoli Le vedute poste sulle porte all’ingresso del Museo di Tripoli, ritraggono quello che in gran parte è pubblicato nelle mappe del XVII e XVIII secolo da Aurigemma. Molto interessante il dettaglio in cui è raffigurata l’ideale scena dell’attacco al Castello nell’agosto del 1551 quando viene espugnato dai Turchi. La piattaforma di Santa Barbara è in atto di sparare, quindi presumibilmente si tratta dell’ultima difesa delle armate spagnole

8. Pianta del porto e rada di Tripoli dell’inizio del XIX secolo In fondo alla planimetria è specificato che i numeri semplici denotano il fondo in piedi francesi

7.

La volumetria di queste abitazioni è piuttosto semplice: corpo quadrangolare e con corte interna aperta, confrontabile con la struttura-base abitativa del mondo berbero, derivata dall’insula romana ed articolata in forma di cittadella fortificata. Alcune strutture architettoniche interne al castello risentono della tipologia egiziano-fatimida altre di quella berbera. La prima è evidente nell’androne d’ingresso, la seconda nei vari esempi di cortili. È probabile che contemporaneamente al supposto impianto palaziale fatimida si siano impostate le successive abitazioni derivate dalla tradizione berbera6. Una tipologia insediativa piuttosto diffusa è quella identificabile con le fattorie fortificate, dislocate lungo la prima linea del Limes, abitate da soldati e veterani utilizzate in fase di sedentarizzazione della popolazione locale berbera, di tradizione nomade e seminomade. “Il grande terrapieno venne creato nel Settecento per dare un piede di sostegno ad una parte del prospetto esterno del Palazzo Caramanli, quel settore che confinava con la Torre di Ovest” (per la quale l’autore suppone una crisi statica) Nell’interramento furono sacrificate per «annegamento» le strutture architettoniche (...) di un ancor precedente complesso palaziale il cui livello di piano-terra doveva forse coincidere con quello dell’adiacente attuale Moschea” 7. Un’ultima considerazione: il perimetro del complesso dispone i fronti a NordOvest, Sud-Ovest, Sud-Est, Nord-Est quindi gli spigoli del recinto sono posizionati in linea di massima sui quattro punti cardinali: Nord, Sud, Est, Ovest. Poiché questo orientamento appare “comandato” dalla linea della costa, esso sembra escludere un impianto arabo, dal momento che i casr arabi presentano sempre un lato rivolto a Est, quindi l’impianto tripolino avrebbe dovuto essere ruotato di 45°. La ragione di tutto questo è che gli Arabi collocavano al centro del fianco orientale dei loro casr la moschea che in tal modo si trovava orientata con il suo miḥrab verso Est e in genere moschea e ingresso del recinto castrense si trovavano dislocati sullo stesso asse che passava per il centro del casr. Nel caso del Castello, invece, il vecchio ingresso è sul fianco Sud-Ovest e non è condizionato dall’attuale moschea, che riutilizza la precedente chiesa cristiana. È probabile che dopo il primo impianto palaziale fatimida gli spazi vuoti sulla destra dell’androne possano essere stati occupati progressivamente da abi-

6 - Il testo di Santoro riporta il termine casr che potrebbe essere sinonimo di ksar, il villaggio fortificato caratteristico dell'architettura berbera costituito da un recinto di solito a forma quadrata o rettangolare cinto da un muro e munito di quattro torri e di un solo ingresso che conduce a un viale centrale coperto: lo spazio tra questa via e il muro è intasato da case, vicoli, una moschea e un pozzo. Sia il villaggio che le case spesso sono costruite in pisé (cioè terra battuta e paglia). La metà inferiore delle mura difensive è di terra, mentre la parte superiore a volte è in mattoni essiccati e presenta caratteristiche decorazioni di fango. Le torri si assottigliano dal basso verso l'alto. In effetti queste erano le condizioni in cui si presentò il castello, in buona parte, al momento dei restauri italiani. La costruzione in pietra, cioè descritta dalle cronache a proposito della ripresa dei Cavalieri di Malta, era stata in parte sostituita con terra e pietre, tipica appunto, dell’architettura berbera. Per quanto concerne l’esame dell’architettura fatimida (X-XI secolo) il confronto più utile è con Mahdia, esemplificativa dei modelli architettonici di matrice egiziana, analoga non solo per la tipologia di recinto, ma soprattutto per la vicenda storica: viene presa nel XVI secolo dal corsaro Dragùt che ne fa il suo rifugio e persa da Carlo V d'Asburgo 1550. Gli Spagnoli vi restano fino al 1554, anno in cui gli Ottomani prendono il controllo della città. 7 - Santoro R. Il castello di Tripoli, op. cit. (pag. 22). L’autore ipotizza che questo primo palazzo possa essere quello medievale (XI-XIV sec.) di architettura stilisticamente fatimida del quale alcuni relitti furono reimpiegati nell’Androne d’ingresso. Cfr. anche analisi degli assi interni, che riprende la romanizzazione del tessuto urbano.

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2.1 Il fortilizio a scopo difensivo e la residenza reale dal VII al XIV secolo

9. Dettagli delle fortificazioni di Tripoli Ipotesi della fortificazione nell’ultimo periodo della dominazione ottomana secondo Aurigemma: la Medina è interamente fortificata anche dal lato del mare. Nel testo in basso si legge: “In capo è segnata la parte di muro che si presume demolita da Dàrgul pascià”

10. Immagini dell’Atlas Maritimus di J. Seller La Medina di Tripoli nel 1675 (Londra, Atlas Maritimus) e la Madinat al-Qadima

tazioni di funzionari del governo di Tripoli ed è molto verosimile che la Torre di Ovest, la più massiccia, fosse stata una vera e propria torre Mastia, analoga a quelle che si riscontrano nelle fortificazioni europee. Nell’ambito degli studi sulle fortificazioni tripoline8 Aurigemma ascrive alla fase romana solo una torre a sud e parte della cinta muraria come sedime sul lato sud-ovest. La persistenza del recinto rettangolare indica l’obiettivo difensivo già nella costruzione. L’origine romana del Castello, dunque, secondo lo studioso è da localizzarsi nei pressi dell’attuale Bastione di S. Giorgio. Probabilmente doveva trattarsi di un elemento a base quadrata, tipo una torretta di avvistamento. In relazione a quanto in precedenza espresso sulla distribuzione e orientamento degli assi viari interni al castello e coerenti con la fase di romanizzazione, è ipotizzabile che il nucleo, in allineamento con questi assi è poi occupato dalle case Karamanli. La presenza dell’ingresso storico sul lato del Suq el Muscìr e la corrispondenza con quelli che sono stati identificati come assi di romanizzazione, potrebbero confermare questa tesi. Inoltre, adiacente alla preesistenza ipotizzata, è la “porta della Mescia”, la prima e la più importante della cinta muraria. “Roma costruì anche una fortezza verso Sud-Est, dove ora sorge il Castello. (… ) Molti archeologi ritengono che i primi a costruire sul suo sito un’opera di difesa siano stati i Romani: ma si trattava di un semplice fortilizio di cui non si hanno descrizioni” 9. Con il lento dissolversi della struttura centrale dell’impero romano, le progressive ondate di invasori oltrepassano i confini anche in Africa. Sotto il profilo architettonico e costruttivo l’influenza dei gruppi di Vandali che in seguito fanno incursione nelle aree della Tripolitania, Cirenaica o Bizacena (Tunisia) non apporta modifiche sostanziali al tessuto abitato né caratterizza l’architettura con un linguaggio spiccatamente locale. Questi gruppi etnici, inoltre, vivendo di un’economia fondata su ruberie e furti, certo non possono indulgere all’attenzione per la cultura architettonica, diversamente da quanto accade nella fase d’influenza Bizantina, in cui i caratteri costruttivi dell’architettura sacra risultano più spiccati. È possibile, infatti, rintracciarli nelle fasi evolutive

8 - Aurigemma S. “Le fortificazioni della città di Tripoli” in “Notiziario Archeologico” op. cit. in cui l’autore propone un'ipotesi di evoluzione cronologica. 9 - Messana G. op. cit. in cui l’autore aveva dichiarato: “Roma, che vedeva grande, costruì una grande muraglia a protezione di Oea, dalla sola parte di terra (il mare era suo), una muraglia che racchiudeva un’area molto più estesa di quanto non fosse l’emporio fenicio. Così come aveva fatto in altri luoghi prima che ad Oea, e come farà ancora dopo, essa tracciò i suoi cardi e decumani, in conformità con la situazione di fatto delimitando dei lotti che col tempo si sarebbero coperti di edifici” (pag. 8).

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11. Tripoli, Bastione di S. Giorgio

13. Il Castello di Tripoli nell’età dei Cavalieri Gerosolimitani (1530-1551) Il disegno riporta la facies del castello quando era presidio dei Cavalieri di Malta

12. Tripoli, piattaforma di S. Barbara

del castello tripolino, anzi Guidi10 parla appunto di castrum prima romano poi bizantino. “Passarono i Vandali e passarono i Bizantini; furono due secoli tristi. I Vandali non provavano interesse per il commercio, bensì per il saccheggio e la razzia; mentre le fonti di approvvigionamento di Bisanzio si trovavano a Oriente più che in Africa. Da qui la decadenza delle Tre Città della Tripolis. Arrivarono gli Arabi (643) Tripoli diventò Tarabulus”. Sostenendo la tesi secondo cui furono proprio gli Arabi i “soli che diedero a quelle tribù erranti non meno che alle sedentarie, il loro Dio, il loro Corano, la loro lingua – il che vuol dire la propria mentalità. Cosicché dal 643 al 1510 – e salvo l’intermezzo normanno che diede Tripoli in mano a Ruggiero di Sicilia dal 1146 al 1158, cioè per soli dodici anni – la Medina fu possedimento arabo o città araba”11. Gli Arabi curano di certo sia le fortificazioni che il Castello, tanto che nella fase ottomana esso diventa il simbolo di Tripoli, città murata. “Del castello si riparla in occasione di un altro avvenimento di particolare interesse per Tripoli, e cioè della cacciata della guarnigione normanna stabilita nella città nel 1146 dall’Ammiraglio di Ruggiero il Normanno, Giorgio di Antiochia” 12. Le vicende del Castello non possono prescindere, in questa fase, dalla storia di Tripoli, anche perché le fonti non fanno cenno al monumento nello specifico, mentre in tutte le descrizioni e nei grafici compare ben evidente la cinta fortificata. È probabile, dunque che questa e il Castello fossero identificate in un tutt’uno come fortificazione, tanto che “Della topografia di Tripoli del secolo decimo ci dà un elemento notevole lo scrittore al-Muqaddasî, che compilando nel 375 d.E. (a. 895-86 d.C.) la sua descrizione dei territori dell’Islam dice di Tripoli: «Atrabulus è città grande sul mare, cinta di mura di pietre e calce; ha la Porta del mare, la Porta d’Oriente, la Porta del Sud e la Porta d’Occidente»”13.

10 - Guidi G. “Il castello di Tripoli negli anni XII e XIII”, op. cit. in cui l’autore scrive: “L’edificio attuale non conserva nulla che sia anteriore all’epoca spagnola (…), ma senza dubbio i resti del primitivo fortilizio romano e poi bizantino si conservano nascosti negli strati più profondi del terreno e, almeno in parte, dovettero servire da fondamenta alle costruzioni susseguitesi in epoche posteriori. L’esistenza di un primitivo «castrum» romano e poi bizantino è confermata dalla notizia che gli Arabi invasori, appena impadronitisi della regione (643d.C) consolidarono la fortezza di Tripoli, che per sua posizione topografica era più atta a difendere insieme il porto, la città e le vicine campagne”, (pag. 9). 11 - Da Gresleri A. “La Libia e la storia dei viaggiatori” Torino, 1928, in Messana G. op. cit. (pag. 9). 12 - Da Aurigemma S. "Il Castello di Tripoli di Barberia" in Volpi G. La rinascita della Tripolitania, op. cit. (pag. 536). Dal testo è possibile sintetizzare il seguente Regesto: · 643 d.C. – Tripoli fu occupata dai Musulmani · 749-750 d.C. (132 d.E.) - Furono rialzate le mura della città · 956-957 d.C. (345 d.E.) - Nuova ricostruzione delle mura della città · 1146 - Tripoli fu conquistata dai Normanni dopo vari attacchi. Il geografo Edrîsî dice che “era una città forte, cinta da una muraglia in pietra”. · 1146 - Assalto vittorioso dei Franchi, dopodiché cacciata dei Normanni dalla città · 1217-1218 (614 d.E.) - Furono intrapresi nuovamente i lavori di ricostruzione delle mura della città. 13 - Da Aurigemma S. “Le fortificazioni della città di Tripoli” in Notiziario Archeologico del Ministero delle Colonie, 1916, anno II, fasc. II, n°54 (pag. 244).

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14. Crotone, Castello di Carlo V Il grafico sintetizza le fasi costruttive: i quadrati verdi e i cerchi rossi indicano le fasi principali che precedenti l’intervento di Carlo V. È evidente la similitudine tipologica con il Castello Rosso, soprattutto negli speroni angolari, conferma che il modello costruttivo per gli Spagnoli e poi per i Cavalieri di Malta sono state le fortezze europee

14

15. Tripoli nel 1559 Il grafico è tratto da una stampa della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, che, come recita la didascalia sottostante, figura un assedio mai avvenuto, da parte delle truppe cristiane nel 1559 agli ordini del Duca di Medina Celi. Sull’angolo destro delle fortificazioni cittadine compare il Castello isolato dal fossato e dal mare

All’inizio del XIV secolo lo scrittore At-Tîgânî lo segnala come una fortezza praticamente in rovina, come riporta anche Aurigemma: “Le rovine considerevoli di questa cittadella ci attestano la sua grandezza passata; le case private che la circondano oggigiorno sono state costruite dagli abitanti di Tripoli ai quali i governatori avevano venduto il terreno”14, anche se Abu Iàhia Zacarìa, il nuovo sultano degli Hafsidi, tornato a Tripoli appunto con lo scrittore At-Tîgânî nel 1318, si stabilisce nel Castello, edificando anche una sala per le udienze, “detta at-Tàrima, ricca di rivestimenti in maioliche e marmi, della quale fino ad ora, nei più recenti rimaneggiamenti dell’edificio, non è mai venuta alla luce alcuna traccia”15. Di certo si sa, come conferma Aurigemma, che la sala di cui si fa menzione nei testi è con tutta probabilità un recinto in muratura, all’interno del Castello, del genere di a quello che in Algeria o Marocco è il masciuàr cioè il luogo dove il sovrano tiene le pubbliche udienze e i consigli. Sempre lo scrittore turco al seguito del nuovo sultano, nell’ambito della descrizione di Tripoli, delle sua mura e delle sue porte, racconta che il lavoro in cui al momento sono impegnati i tripolini, lavoro che prosegue l’opera iniziata dai Normanni, è la costruzione di “un largo fossato che incominciava a sud-est dell’angolo del Castello, passava davanti alla porta della Mescia e proseguiva verso Bab el Gedid, con disegno di farlo sboccare a mare dalla parte di ponente”16. Al tempo del dominio turco afferiscono anche una caserma (1308) ed una palazzina adibita ad ufficio per uno dei comandi militari, costruite al lato del fossato che guarda verso la città. Entrambe saranno demolite con il restauro di liberazione del 192217.

14 - Aurigemma S. “Le fortificazioni della città di Tripoli” in Notiziario Archeologico del Ministero delle Colonie op. cit.(pag. 244); si veda anche Messana G. op. cit. in cui l’autore descrive anche lo stato rovinoso e fatiscente delle strutture murarie alla base del Castello dalla parte del centro abitato, base a cui erano addossate molte costruzioni private per abitazioni e commercio. 15 - Guidi G. “Il restauro del castello di Tripoli” op. cit. (pag. 19). La notizia è riportata anche in Aurigemma, naturalmente, in “Il Castello di Tripoli in Barberia”, in Volpi op. cit., che Abu Iàhia Zacharìa: “si stabilì a Tripoli e vi edificò la sua sede reale nelle mura ella città dalla parte vicina ala mare, e la chiamò at-Tàrima; e lo edificò con piastre di maiolica smaltata e con marmo” citando come fonti sia Ibn Khaldoun “Histoire des Bérberes”, Alger, 1852-56 che la Chronique des Almohades et des Hafçides attribuée a Zerkechi. L’A. nota che in entrambi gli autori che riportano la stessa notizia non c’è la conferma che fosse proprio il castello il luogo scelto per la prestigiosa costruzione. La conferma che si tratti proprio del castello è data dal fatto che sia prima che dopo Abu Iàhia Zacharìa il castello fu sede di capi del governo. 16 - Bergna C. “Tripoli dal 1510 al 1850”, op. cit. (pag. 19). 17 - Cfr. Aurigemma “Il Castello di Tripoli in Barberia”, in Volpi op. cit., in cui a proposito dei due fabbricati citati l’autore dice: “Più difficile in rapporto al dispendio dell’adattamento, ne sarà la demolizione: alla quale dovrà pure con forza addivenirsi, se si vorrà restituire all’antica fronte della cittadella tutta la sua massiccia imponenza”. Naturalmente la “cittadella” fa riferimento al Castello e i fabbricati da demolire sono addossati alla fronte dove era prima il fossato.

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