GIORGIO PITTERI
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Tornado F. Mk.3 appartenente al 21° Gruppo, confluito nel 36° Stormo nel 2001, fotografato in avvicinamento ad Aviano con colorazione Tiger Meet ispirata a quella realizzata nel 1988 su un F-104S.
I Tornado ADV italiani presentavano un’inedita coccarda tricolore “low-viz“ dove il rosso era stato sostituito da un rosa pallido.
SET/OTT 2020 | AEROFAN
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London
valour Una tappa fondamentale del soccorso in mare
Paolo Gianvanni
I
l Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco ricevette i suoi primi elicotteri nel 1954 ma giĂ in precedenza il Corpo aveva iniziato ad acquisire familiaritĂ col nuovo mezzo aereo particolarmente adatto ad operazioni di ricognizione e soccorso.
43
1
Il cap. Enrico Rinaldo decolla col suo motorista sull'I-VFEN equipaggiato in questo caso con la scaletta.
44
AEROFAN | LONDON VALOUR
2
ARCHIVIO MAURO CINI
motivi si erano congedati o si erano arruolati in altri Corpi dello Stato come i VV.F. Proprio in quegli anni i Conti Agusta di Cascina Costa, che si erano dedicati fino a quel momento solo alla produzione di motociclette e veicoli derivati, acquisirono da Bell Helicopter la licenza di costruzione del Bell 47 nonché l'esclusiva commerciale per le vendite dell'elicottero in Europa. Così alla fine del 1952 giunsero i primi Bell 47G da assemblare in Italia. I primi dieci, collaudati nel 1953, andarono all'Aeronautica Militare, ma nel 1954 tre furono acquistati dai Vigili del Fuoco (per 210 milioni di lire) ed uno dalla Forestale. Nel giugno 1954 un primo gruppo di quattro ufficiali ed otto specialisti furono addestrati presso Agusta ed i primi elicotteri dei VV.F., AB.47G equipaggiati con un motore Franklin 6V4-200-C32 da 180 CV, entrarono in servizio ricevendo marche che contenevano nelle due lettere finali le sigle delle targhe automobilistiche delle città dove furono istituiti i primi Nuclei provinciali: IVFRO (Roma), I-VFMO (Modena) e I-VFNA (Napoli). I numeri di costruzione erano rispettivamente 12, 43 e 30.
PAOLO GIANVANNI
Così, durante la disastrosa alluvione del Polesine del 1951, due ufficiali dei VVF, gli ingg. Moscato e Antenucci insieme al Direttore Generale dei Servizi Antincendi prefetto Piéche già comandante generale dell'Arma dei Carabinieri, presero parte a voli di ricognizione a bordo di HRS (versione navale del Sikorsky S-55) che il comando della VI Flotta statunitense aveva messo a disposizione dei Vigili del Fuoco. Si trattò di un'esperienza molto positiva che servì da trampolino di lancio per i passi successivi facilitati da alcune circostanze casuali e fortuite. La prima era la completa autonomia decisionale di spesa di cui a quel tempo godeva la Direzione Generale dei Servizi Antincendi nell'ambito del Ministero dell'Interno; questa consentiva di disporre di risorse finanziarie gestite secondo le determinazioni di un Consiglio di Amministrazione che controllava un fondo denominato Cassa Sovvenzioni Antincendi. La seconda era la presenza, nell'organico dei Corpi Provinciali VV.F. di diversi ex piloti che in qualità di ufficiali e sottufficiali avevano militato nelle file dell'Aeronautica Militare nel conflitto e che per vari
Il primo elicottero del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco fu l'AB.47G numero di costruzione 12 assegnato al Nucleo di Roma con le marche I-VFRO.
Nel 1955 seguirono altri esemplari con cui venne inaugurato il Nucleo di Milano sull'aeroporto di Linate mentre cinque anni più tardi chiudeva il Nucleo di Napoli a seguito del gravissimo incidente del 23 luglio 1960 sull'AB.47G I-VFNA che costò la vita del primo caduto in servizio di volo dei VV.F., l'ufficiale pilota Domenico Padula, morto insieme al magg. Athos Laghi dell'Aeronautica Militare durante un'operazione di soccorso sul Monte Faito. Quindi, nel 1962, il Nucleo di Milano fu trasferito ed accorpato al Nucleo di Genova che fu il primo ad avere caratteristiche di Nucleo con spiccate attitudini marittime. Il Nucleo di Genova nacque intorno a due personaggi eccezionali, i comandanti Franco Coppi, modenese appartenente ad una famiglia che aveva dato all'Italia ben sette piloti della Regia Aeronautica, e Rinaldo Enrico. Intanto anche l'elicottero subiva una profonda evoluzione con il modello G-2, il G-3 rimotorizzato con un Lycoming da 220 CV, equipaggiato con servocomandi e con la cellula potenziata ed il G-3B1 con turbo compressore. Proprio un G-3B1, l'I-VFEN numero di costruzione 1597 consegnato ai VV.F. nel 1965, divenne il leggendario elicottero dell'allora cap. Rinaldo Enrico. Nato ad Albenga nel 1920 e proveniente dai ranghi dell'Aeronautica Militare, il baffuto pilota col suo modo di fare e le gran di capa cità di pilota, con quistò immediatamente il rispetto e la simpatia della stessa popolazione genovese, sempre pronto a decollare per rispondere a qualsiasi chiamata. Il suo rosso I-VFEN era ben conosciuto e col passare del tempo si allungava, sul lato sinistro della cabina, la successione di sagomine di persone che stavano ad indicare le vite salvate.
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4
Esercitazione a Genova con l'uso della scaletta, un sistema di salvataggio che, oltre all'abilità del pilota, richiedeva la piena collaborazione della persona da soccorrere.
L'AB.47G-2 I-VFED decolla nelle mani del cap. Enrico Rinaldo. L'elicottero volava raramente nella configurazione con i galleggianti che limitava le prestazioni dell'elicottero sia in termini di peso che di resistenza aerodinamica.
SET/OTT 2020 | AEROFAN
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Il cap. Enrico Rinaldo decolla col suo motorista sull'I-VFEN equipaggiato in questo caso con la scaletta.
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ARCHIVIO MAURO CINI
motivi si erano congedati o si erano arruolati in altri Corpi dello Stato come i VV.F. Proprio in quegli anni i Conti Agusta di Cascina Costa, che si erano dedicati fino a quel momento solo alla produzione di motociclette e veicoli derivati, acquisirono da Bell Helicopter la licenza di costruzione del Bell 47 nonché l'esclusiva commerciale per le vendite dell'elicottero in Europa. Così alla fine del 1952 giunsero i primi Bell 47G da assemblare in Italia. I primi dieci, collaudati nel 1953, andarono all'Aeronautica Militare, ma nel 1954 tre furono acquistati dai Vigili del Fuoco (per 210 milioni di lire) ed uno dalla Forestale. Nel giugno 1954 un primo gruppo di quattro ufficiali ed otto specialisti furono addestrati presso Agusta ed i primi elicotteri dei VV.F., AB.47G equipaggiati con un motore Franklin 6V4-200-C32 da 180 CV, entrarono in servizio ricevendo marche che contenevano nelle due lettere finali le sigle delle targhe automobilistiche delle città dove furono istituiti i primi Nuclei provinciali: IVFRO (Roma), I-VFMO (Modena) e I-VFNA (Napoli). I numeri di costruzione erano rispettivamente 12, 43 e 30.
PAOLO GIANVANNI
Così, durante la disastrosa alluvione del Polesine del 1951, due ufficiali dei VVF, gli ingg. Moscato e Antenucci insieme al Direttore Generale dei Servizi Antincendi prefetto Piéche già comandante generale dell'Arma dei Carabinieri, presero parte a voli di ricognizione a bordo di HRS (versione navale del Sikorsky S-55) che il comando della VI Flotta statunitense aveva messo a disposizione dei Vigili del Fuoco. Si trattò di un'esperienza molto positiva che servì da trampolino di lancio per i passi successivi facilitati da alcune circostanze casuali e fortuite. La prima era la completa autonomia decisionale di spesa di cui a quel tempo godeva la Direzione Generale dei Servizi Antincendi nell'ambito del Ministero dell'Interno; questa consentiva di disporre di risorse finanziarie gestite secondo le determinazioni di un Consiglio di Amministrazione che controllava un fondo denominato Cassa Sovvenzioni Antincendi. La seconda era la presenza, nell'organico dei Corpi Provinciali VV.F. di diversi ex piloti che in qualità di ufficiali e sottufficiali avevano militato nelle file dell'Aeronautica Militare nel conflitto e che per vari
Il primo elicottero del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco fu l'AB.47G numero di costruzione 12 assegnato al Nucleo di Roma con le marche I-VFRO.
Nel 1955 seguirono altri esemplari con cui venne inaugurato il Nucleo di Milano sull'aeroporto di Linate mentre cinque anni più tardi chiudeva il Nucleo di Napoli a seguito del gravissimo incidente del 23 luglio 1960 sull'AB.47G I-VFNA che costò la vita del primo caduto in servizio di volo dei VV.F., l'ufficiale pilota Domenico Padula, morto insieme al magg. Athos Laghi dell'Aeronautica Militare durante un'operazione di soccorso sul Monte Faito. Quindi, nel 1962, il Nucleo di Milano fu trasferito ed accorpato al Nucleo di Genova che fu il primo ad avere caratteristiche di Nucleo con spiccate attitudini marittime. Il Nucleo di Genova nacque intorno a due personaggi eccezionali, i comandanti Franco Coppi, modenese appartenente ad una famiglia che aveva dato all'Italia ben sette piloti della Regia Aeronautica, e Rinaldo Enrico. Intanto anche l'elicottero subiva una profonda evoluzione con il modello G-2, il G-3 rimotorizzato con un Lycoming da 220 CV, equipaggiato con servocomandi e con la cellula potenziata ed il G-3B1 con turbo compressore. Proprio un G-3B1, l'I-VFEN numero di costruzione 1597 consegnato ai VV.F. nel 1965, divenne il leggendario elicottero dell'allora cap. Rinaldo Enrico. Nato ad Albenga nel 1920 e proveniente dai ranghi dell'Aeronautica Militare, il baffuto pilota col suo modo di fare e le gran di capa cità di pilota, con quistò immediatamente il rispetto e la simpatia della stessa popolazione genovese, sempre pronto a decollare per rispondere a qualsiasi chiamata. Il suo rosso I-VFEN era ben conosciuto e col passare del tempo si allungava, sul lato sinistro della cabina, la successione di sagomine di persone che stavano ad indicare le vite salvate.
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Esercitazione a Genova con l'uso della scaletta, un sistema di salvataggio che, oltre all'abilità del pilota, richiedeva la piena collaborazione della persona da soccorrere.
L'AB.47G-2 I-VFED decolla nelle mani del cap. Enrico Rinaldo. L'elicottero volava raramente nella configurazione con i galleggianti che limitava le prestazioni dell'elicottero sia in termini di peso che di resistenza aerodinamica.
SET/OTT 2020 | AEROFAN
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porto di Genova. Nella foto del dettaglio del cassero di prua, con alcuni marinai che attendono i soccorsi, è visibile sullo sfondo una pilotina dei soccorritori in bilico sulla cresta di un'onda.
dell'elicottero all'imboccatura del porto di Genova, dove una nave era scarrocciata, a causa dell'improvviso scatenarsi degli elementi atmosferici, contro la diga foranea. Chiedevo alla TWR dell'aeroporto Cristoforo Colombo l'autorizzazione all'attraversamento della pista, indi mi dirigevo con l'elicottero verso il luogo del sinistro. Giuntovi, eseguivo una breve ricognizione sopra la nave e, valutata la gravità della situazione, via radio comunicavo alla centrale di avvertire il Comando della Capitaneria di Porto perché disponesse l'invio
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AEROFAN | LONDON VALOUR
ARCHIVIO ALTOMAREBLU
Due immagini dei soccorsi alla London Valour 9-10 ormai schiacciata contro la diga foranea. La motovedetta CP 233, protagonista di interventi al limite dell'eroismo, è ben visibile nella prima foto ma nella seconda, trovandosi nell'incavo dell'onda, è praticamente sparita e se ne vede solo l'estremità dell'albero.
11
Il grande relitto della London Valour rimase davanti alla diga foranea di Genova per 18 mesi finché la sua sezione posteriore, riempita con palline di polistirolo, venne strappata dalla scogliera da due rimorchiatori. L'idea era di aondarla su un fondale di 3.500 metri, ma Ā il peggioramento delle condizioni meteo costrinse a tagliare i cavi ben prima.
ARCHIVIO ALTOMAREBLU
ARCHIVIO LA REPUBBLICA
03 Il grande scafo della London Valour, in preda alle onde 7-8 dell'improvvisa tempesta, viene sbattuto contro la diga foranea del
immediato di tutti i natanti idonei a disposizione, per soccorrere l'equipaggio della nave che, ormai in balia del mare, urtava con sempre maggior violenza contro i massi frangiflutti della diga foranea. Per circa 10 minuti nessuno apparve sul ponte; poi finalmente si scorgevano due membri dell'equipaggio aggrappati alla ringhiera del cassero di poppa. Pochi istanti dopo apparivano, sempre sul cassero di poppa, altri marinai ed altri ancora sulla plancia del ponte di comando. Ormai la situazione precipitava. Dall'elicottero si scorgevano i primi soccorritori sulla diga foranea che, con mezzi lanciasagole, cercavano di far giungere ai pericolanti una fune per approntare una teleferica atta al recupero delle persone. All'inizio i tentativi risultavano vani, tanto che il Comandante del Corpo provinciale, ing. Cappuccini, mi chiedeva via radio se ritenevo possibile (data l'instabilità dell'elicottero causata dal vento che raggiungeva i 70 km e più di velocità) prelevare un cavo a poppa della nave e portarlo sul rimorchiatore per tentare il disincaglio della nave dalla scogliera. Rispondevo positivamente al Comandante. Intanto dall'alto coordinavo e dirigevo le squadre sul posto. Si stava sorvolando la T/N “London Valour” quando il cassero di poppa all'improvviso si immergeva, trascinando tra i flutti tutti i marinai. Immediatamente l'elicottero si abbassava tentando di soccorrere i nauf raghi con l'attrezzatura fissa agganciata all'apposito sistema in dotazione all'elicottero (scaletta); ma purtroppo, quando uno di questo quasi la raggiungeva, una raffica di vento più forte allontanava l'elicottero di 10-20 metri dal nauf rago. Dopo vari tentativi, il pericolante si
agganciava alla scaletta, ma a causa delle sue precarie condizioni fisiche, dovute al freddo e alla nafta che aveva invaso lo specchio d'acqua interessato, non riusciva a tenerne la presa. Intanto dalla caserma centrale veniva comunicato che l'anemografo ivi installato segnava raffiche di vento dell'intensità di 60 nodi. A questo punto decidevo, visto il risultato negativo ottenuto con l'impiego della scaletta, di porgere ai naufraghi un altro attrezzo di salvataggio (rete) ed il motorista con gesti invitava i naufraghi ad aggrapparsi e a resistere quel tanto necessario da permettere di essere trainati fino ai natanti di soccorso che stazionavano all'interno della diga. Con questa manovra era possibile effettuare il salvataggio di quattro marinai. Intanto informavano via radio che un membro dell'equipaggio si trovava all'esterno della diga, oltre la nave. Lo scrivente si portava sul posto e, individuato il naufrago, iniziava la manovra di recupero. Ormai il mare aveva raggiunto forza otto ed il vento non accennava a calare, anzi rinforzava l'intensità. Data la posizione dell'uomo, a distanza ravvicinata della nave, l'operazione di recupero durava 20' circa con il costante pericolo che l'elicottero venisse sbattuto dal vento contro i bighi e le strutture della plancia della nave, quasi totalmente sommersa. Finalmente il naufrago riusciva ad inserirsi nell'attrezzo di salvataggio dell'elicottero e poteva essere trasportato fino al Piazzale Kennedy, dove veniva affidato al personale del Nucleo ed ai vigili liberi dal servizio che soccorrevano il malcapitato e lo affidavano al personale di una autolettiga che provvedeva al suo traspor to all'ospedale di S. Martino.
porto di Genova. Nella foto del dettaglio del cassero di prua, con alcuni marinai che attendono i soccorsi, è visibile sullo sfondo una pilotina dei soccorritori in bilico sulla cresta di un'onda.
dell'elicottero all'imboccatura del porto di Genova, dove una nave era scarrocciata, a causa dell'improvviso scatenarsi degli elementi atmosferici, contro la diga foranea. Chiedevo alla TWR dell'aeroporto Cristoforo Colombo l'autorizzazione all'attraversamento della pista, indi mi dirigevo con l'elicottero verso il luogo del sinistro. Giuntovi, eseguivo una breve ricognizione sopra la nave e, valutata la gravità della situazione, via radio comunicavo alla centrale di avvertire il Comando della Capitaneria di Porto perché disponesse l'invio
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AEROFAN | LONDON VALOUR
ARCHIVIO ALTOMAREBLU
Due immagini dei soccorsi alla London Valour 9-10 ormai schiacciata contro la diga foranea. La motovedetta CP 233, protagonista di interventi al limite dell'eroismo, è ben visibile nella prima foto ma nella seconda, trovandosi nell'incavo dell'onda, è praticamente sparita e se ne vede solo l'estremità dell'albero.
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Il grande relitto della London Valour rimase davanti alla diga foranea di Genova per 18 mesi finché la sua sezione posteriore, riempita con palline di polistirolo, venne strappata dalla scogliera da due rimorchiatori. L'idea era di aondarla su un fondale di 3.500 metri, ma Ā il peggioramento delle condizioni meteo costrinse a tagliare i cavi ben prima.
ARCHIVIO ALTOMAREBLU
ARCHIVIO LA REPUBBLICA
03 Il grande scafo della London Valour, in preda alle onde 7-8 dell'improvvisa tempesta, viene sbattuto contro la diga foranea del
immediato di tutti i natanti idonei a disposizione, per soccorrere l'equipaggio della nave che, ormai in balia del mare, urtava con sempre maggior violenza contro i massi frangiflutti della diga foranea. Per circa 10 minuti nessuno apparve sul ponte; poi finalmente si scorgevano due membri dell'equipaggio aggrappati alla ringhiera del cassero di poppa. Pochi istanti dopo apparivano, sempre sul cassero di poppa, altri marinai ed altri ancora sulla plancia del ponte di comando. Ormai la situazione precipitava. Dall'elicottero si scorgevano i primi soccorritori sulla diga foranea che, con mezzi lanciasagole, cercavano di far giungere ai pericolanti una fune per approntare una teleferica atta al recupero delle persone. All'inizio i tentativi risultavano vani, tanto che il Comandante del Corpo provinciale, ing. Cappuccini, mi chiedeva via radio se ritenevo possibile (data l'instabilità dell'elicottero causata dal vento che raggiungeva i 70 km e più di velocità) prelevare un cavo a poppa della nave e portarlo sul rimorchiatore per tentare il disincaglio della nave dalla scogliera. Rispondevo positivamente al Comandante. Intanto dall'alto coordinavo e dirigevo le squadre sul posto. Si stava sorvolando la T/N “London Valour” quando il cassero di poppa all'improvviso si immergeva, trascinando tra i flutti tutti i marinai. Immediatamente l'elicottero si abbassava tentando di soccorrere i nauf raghi con l'attrezzatura fissa agganciata all'apposito sistema in dotazione all'elicottero (scaletta); ma purtroppo, quando uno di questo quasi la raggiungeva, una raffica di vento più forte allontanava l'elicottero di 10-20 metri dal nauf rago. Dopo vari tentativi, il pericolante si
agganciava alla scaletta, ma a causa delle sue precarie condizioni fisiche, dovute al freddo e alla nafta che aveva invaso lo specchio d'acqua interessato, non riusciva a tenerne la presa. Intanto dalla caserma centrale veniva comunicato che l'anemografo ivi installato segnava raffiche di vento dell'intensità di 60 nodi. A questo punto decidevo, visto il risultato negativo ottenuto con l'impiego della scaletta, di porgere ai naufraghi un altro attrezzo di salvataggio (rete) ed il motorista con gesti invitava i naufraghi ad aggrapparsi e a resistere quel tanto necessario da permettere di essere trainati fino ai natanti di soccorso che stazionavano all'interno della diga. Con questa manovra era possibile effettuare il salvataggio di quattro marinai. Intanto informavano via radio che un membro dell'equipaggio si trovava all'esterno della diga, oltre la nave. Lo scrivente si portava sul posto e, individuato il naufrago, iniziava la manovra di recupero. Ormai il mare aveva raggiunto forza otto ed il vento non accennava a calare, anzi rinforzava l'intensità. Data la posizione dell'uomo, a distanza ravvicinata della nave, l'operazione di recupero durava 20' circa con il costante pericolo che l'elicottero venisse sbattuto dal vento contro i bighi e le strutture della plancia della nave, quasi totalmente sommersa. Finalmente il naufrago riusciva ad inserirsi nell'attrezzo di salvataggio dell'elicottero e poteva essere trasportato fino al Piazzale Kennedy, dove veniva affidato al personale del Nucleo ed ai vigili liberi dal servizio che soccorrevano il malcapitato e lo affidavano al personale di una autolettiga che provvedeva al suo traspor to all'ospedale di S. Martino.