Aerofan #16

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Anno 3 | Numero 16 | Lug/Ago 2021 | € 12,00

l ia ec e sp in o ag er 2 p um 11

in questo numero

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un giorno a amendola

LA RIVISTA ITALIANA DI STORIA E TECNICA AERONAUTICA

La più grande base aerea italiana tra storia e futuro

speciale desert storm L’Armée de l’Air e l’operazione Daguet

F-104 zell Lo Starfighter a decollo... “quasi” verticale

a proposito di... Un veterano di Desert Storm al museo

fairey gannet Un cacciatore di sommergibili per le portaerei di Sua Maestà

gli occhi della nasa Gli apparecchi foto/cine/video del programma spaziale americano

gino pizzati dalla regia all’anr Storie di guerra di un aviatore veneto

latécoère 631 L’ultimo grande idrovolante di linea

mini monografie

north american xb-70 valkyrie Il bombardiere da Mach 3

un giorno a amendola

La più grande base aerea italiana tra storia e futuro

speciale desert storm L’Armée de l’Air e l’Operazione Daguet

gli occhi della nasa

Gli apparecchi foto/cine/video del programma spaziale americano

PERIODICO BIMESTRALE - P.I. 10/08/2021



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inalmente eccoci. L’attesa è stata più lunga del solito ma volevam o preparare un num ero ch e p o te s s e accompagnarvi durante le vacanze estive, il momento dell’anno in cui molti hanno più tempo libero del solito. E allora, assecondando le richieste di alcuni affezionati lettori, abbiamo pensato a un numero speciale di ben 112 pagine, il primo da quando Aerofan ha ricominciato la pubblicazione nel 2019. Più pagine vuol dire più articoli, più approfondimenti, più fotografie ma, soprattutto... più notti insonni per comporre la rivista, quindi vi invitiamo a non farci l’abitudine! Lo diciamo soprattutto per coloro che sperano ad ogni uscita che Aerofan diventi addirittura mensile... La genesi della copertina di questo numero è stata, paradossalmente, LA RIVISTA ITALIANA DI STORIA E TECNICA AERONAUTICA una delle più travagliate dell’intera produzione Aerofan. Benché le immagini di G.91 non manchino, tra tutte quelle che abbiamo visionato non riuscivamo a trovarne una adatta; c’erano fotografie bellissime ma con risoluzione troppo bassa per reggere il formato A3, fotografie in alta risoluzione ma non particolarmente significative, fotografie con il soggetto “girato” dalla parte sbagliata e via di questo passo. Fortunatamente, quando ormai tutto sembrava perduto ed eravamo rassegnati ad usare la prima immagine scelta a caso, siamo stati salvati dal comandante Canton che ci ha inviato con noncuranza una decina di fotografie una più bella dell’altra, ma non solo, ha iniziato a raccontarci una serie di aneddoti che... ma ora volete sapere troppo, di questo parleremo prossimamente! Passando a raccontare i contenuti di questo numero, si comincia con un articolo sulla base di Amendola dove per decenni i Pinguini sono diventati Aquilotti e dove oggi vola il più moderno e discusso velivolo in dotazione all’Aeronautica Militare, l’F-35, al quale abbiamo dedicato la prima pagina dell’articolo. Per il report completo sulla storia e l’impiego del Lightning II vi rimandiamo invece al numero 300 del dicembre 2068, più o meno. Per il momento l’aeroplano è troppo giovane per queste pagine... Ma questo è solo l’inizio, perché in questo numero parliamo di molti aeroplani diversissimi tra 31 marzo 1982. loro: lo Starfighter ZELL tedesco, il Fairey Gannet inglese, il grande idrovolante francese G.91T-1 della Scuola Volo Basico Latécoère 631 e infine lo straordinario e bellissimo Valkyrie americano. E, se ancora non Avanzato Aviogetti di Amendola. Decollo da solista durante bastasse, abbiamo la Guerra del Golfo in salsa francese e un curioso articolo su come la NASA il Corso Istruttori. abbia attrezzato gli astronauti dei programmi Gemini e Apollo per farne, oltre che dei tecnici e (Claudio Canton) dei geologi, anche dei fotografi. Raccontiamo infine la storia di Gino Pizzati, aviatore veneto passato dalla Regia Aeronautica all’Aeronautica Nazionale Repubblicana, scegliendo il Nord Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre. Ultima nota: parafrasando il celebre romanzo di Susanna Tamaro, all’inizio di alcuni articoli trovate “vai dove ti porta il QuErre”, una nuova idea per rendere la rivista più interattiva. Puntando lo smartphone sul codice potrete vedere un video relativo all’articolo e altri contenuti correlati. Buona lettura e ricordate: volare è impossibile!

Luciano Pontolillo

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n l ia ec e sp in o ag er 2 p um 11 e

Aerofan Numero 16 Luglio/Agosto 2021 Direttore Responsabile Luciano Pontolillo Consulente Storico Giorgio Apostolo Coordinamento Editoriale Roberta Di Grande Comitato di Redazione Giuseppe Caporale, Massimo Dominelli, Paolo Gianvanni, Luca Parrillo Corrispondente dagli Stati Uniti Moreno Aguiari Hanno collaborato a questo numero Claudio Canton, Roberto Cimarosti, Stefano D’Amadio, Valerio D’Amadio, Fulvio Felicioli, Eric Hourant, Giuseppe Lapenta, Paolo Monti, Hubert Peitzmeier Si ringrazia Cactus Starfighter Squadron/Sta el Prezzo di copertina 12€ (arretrati 18€) Abbonamento 12 mesi 79€ (valido solo per l’Italia) Redazione e Amministrazione viale F. Petrarca 37/a | 20078 San Colombano al Lambro | Tel. 351.976.71.71 | aerofan@luckyplane.it Base operativa Aeroporto Casale Monferrato LILM | Accademia di Volo Italiana | Strada Alessandria 29 Concessionaria per la distribuzione SO.DI.P. Angelo Patuzzi Spa | via Bettola 18 | 20092 Cinisello Balsamo | 02.660301 Stampato in deroga da Color Art | Rodengo Saiano (BS) Servizio Clienti e Abbonamenti 351.976.71.71 | aerofan@luckyplane.it

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un giorno a amendola La più grande base aerea italiana tra storia e futuro

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speciale desert storm L’Armée de l’Air e l’operazione Daguet

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F-104 zell Lo Starfighter a decollo... “quasi” verticale

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a proposito di... Un veterano di Desert Storm al museo

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fairey gannet Un cacciatore di sommergibili per le portaerei di Sua Maestà

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gli occhi della nasa Gli apparecchi foto/cine/video del programma spaziale americano

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gino pizzati dalla regia all’anr Storie di guerra di un aviatore veneto

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Aerofan è una pubblicazione

latécoère 631 L’ultimo grande idrovolante di linea

Luckyplane S.n.c. di Roberta Di Grande e Luciano Pontolillo Edizioni Aeronautiche & Comunicazione Visiva viale Petrarca 37/A | 20078 S. Colombano al Lambro | C.F. e P.IVA 10364630961 www.luckyplane.it | info@luckyplane.it Periodico bimestrale ISSN 2611-996X | registrazione Tribunale di Lodi n. 5/2018 del 20/09/2018 | registrazione R.O.C. n. 32035 del 27/09/2018

mini monografie

north american xb-70 valkyrie Il bombardiere da Mach 3

Riproduzione vietata È vietato riprodurre testi e illustrazioni con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. La Direzione si riserva di apportare modifiche ai testi per esigenze editoriali. Le opinioni espresse negli articoli non corrispondono necessariamente a quelle della Luckyplane S.n.c. Ove necessario, si è provveduto con la richiesta di autorizzazione all’uso del materiale iconografico da parte degli aventi diritto. Nel caso in cui questi siano risultati irreperibili, l’Editore resta a disposizione per regolare eventuali spettanze. Realizzato in Italia © 2021 Luckyplane S.n.c. | tutti i diritti riservati

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Aerofan Numero 16 Luglio/Agosto 2021 Direttore Responsabile Luciano Pontolillo Consulente Storico Giorgio Apostolo Coordinamento Editoriale Roberta Di Grande Comitato di Redazione Giuseppe Caporale, Massimo Dominelli, Paolo Gianvanni, Luca Parrillo Corrispondente dagli Stati Uniti Moreno Aguiari Hanno collaborato a questo numero Claudio Canton, Roberto Cimarosti, Stefano D’Amadio, Valerio D’Amadio, Fulvio Felicioli, Eric Hourant, Giuseppe Lapenta, Paolo Monti, Hubert Peitzmeier Si ringrazia Cactus Starfighter Squadron/Sta el Prezzo di copertina 12€ (arretrati 18€) Abbonamento 12 mesi 79€ (valido solo per l’Italia) Redazione e Amministrazione viale F. Petrarca 37/a | 20078 San Colombano al Lambro | Tel. 351.976.71.71 | aerofan@luckyplane.it Base operativa Aeroporto Casale Monferrato LILM | Accademia di Volo Italiana | Strada Alessandria 29 Concessionaria per la distribuzione SO.DI.P. Angelo Patuzzi Spa | via Bettola 18 | 20092 Cinisello Balsamo | 02.660301 Stampato in deroga da Color Art | Rodengo Saiano (BS) Servizio Clienti e Abbonamenti 351.976.71.71 | aerofan@luckyplane.it

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un giorno a amendola La più grande base aerea italiana tra storia e futuro

31

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42

F-104 zell Lo Starfighter a decollo... “quasi” verticale

50

a proposito di... Un veterano di Desert Storm al museo

52

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65

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75

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mini monografie

north american xb-70 valkyrie Il bombardiere da Mach 3

Riproduzione vietata È vietato riprodurre testi e illustrazioni con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. La Direzione si riserva di apportare modifiche ai testi per esigenze editoriali. Le opinioni espresse negli articoli non corrispondono necessariamente a quelle della Luckyplane S.n.c. Ove necessario, si è provveduto con la richiesta di autorizzazione all’uso del materiale iconografico da parte degli aventi diritto. Nel caso in cui questi siano risultati irreperibili, l’Editore resta a disposizione per regolare eventuali spettanze. Realizzato in Italia © 2021 Luckyplane S.n.c. | tutti i diritti riservati

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Un giorno a

amendola La più grande base aerea italiana tra storia e futuro

Stefano D’Amadio Valerio D’Amadio Fulvio Felicioli

È

proprio nelle vicinanze di Foggia che il Tavoliere delle Puglie merita, più di ogni altro punto della sua vasta estensione, il proprio nome. In questa pianura piuttosto brulla, a metà strada tra Foggia e Manfredonia si trova l'aeroporto di Amendola, intitolato alla memoria della Medaglia d'Oro al Valor Militare Ten. Pil. Luigi Rovelli abbattuto l'8 maggio del 1941 a bordo del suo Savoia Marchetti S.79 durante una missione di aerosiluramento sul Mediterraneo.

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Vai dove ti porta il QuErre. Guarda il video e seguici sul nostro canale YouTube.

Decollo “full-AB” di un F-35 del 32° Stormo dalla pista di Amendola.


Un giorno a

amendola La più grande base aerea italiana tra storia e futuro

Stefano D’Amadio Valerio D’Amadio Fulvio Felicioli

È

proprio nelle vicinanze di Foggia che il Tavoliere delle Puglie merita, più di ogni altro punto della sua vasta estensione, il proprio nome. In questa pianura piuttosto brulla, a metà strada tra Foggia e Manfredonia si trova l'aeroporto di Amendola, intitolato alla memoria della Medaglia d'Oro al Valor Militare Ten. Pil. Luigi Rovelli abbattuto l'8 maggio del 1941 a bordo del suo Savoia Marchetti S.79 durante una missione di aerosiluramento sul Mediterraneo.

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Vai dove ti porta il QuErre. Guarda il video e seguici sul nostro canale YouTube.

Decollo “full-AB” di un F-35 del 32° Stormo dalla pista di Amendola.


Con i suoi 1.050 ettari di estensione, Amendola è la prima base aerea italiana in ordine di grandezza (la seconda è Pratica di Mare nelle vicinanze di Roma) e la seconda d'Europa dopo Ramstein, in Germania. Pur già operativa nella Seconda guerra mondiale, utilizzata dapprima dalla Regia Aeronautica e poi dalla Luftwaffe, Amendola può considerarsi un'installazione relativamente recente. È stata progettata e ampliata dall'USAF, dopo la liberazione del territorio da parte delle Forze Alleate, fino a diventare una delle installazioni più estese al mondo in grado ospitare circa 7.000 militari e servire come base principale per i bombardieri pesanti. I lavori di costruzione iniziarono nei primi mesi del 1944 e, grazie all'impiego di manodopera composta da prigionieri di guerra, terminarono nel giugno dello stesso anno permettendo così l'immediato impiego da parte dei velivoli americani. Su di essa furono basati il 57th Fighter Group su P-47 “Thunderbolt” (27 ottobre 1943/1 marzo 1944), il 321st Bomber Group che impiegava i B-25 “Mitchell” (20 novembre 1943/14 gennaio 1944), il 97th Bomber Group su B-17 “Flying Fortress” (16 gennaio 1944/1 ottobre 1945) ed il 2nd Bomber Group sempre sui B-17 (19 novembre 1945/28 febbraio 1946) che, utilizzandola come trampolino di lancio, potevano sfruttare al massimo il loro raggio di azione per colpire agevolmente obiettivi situati in Iugoslavia, Albania, Grecia, Bulgaria, Romania, Ungheria, Austria e Germania, oltre ovviamente a quelli posti sul territorio del nord Italia. Lo stesso aeroporto fu

sede della Balkan Air Force formata anche da velivoli appartenenti alla neonata Aeronautica Militare italiana (ufficiosamente definita “Cobelligerante”), dando supporto ai partigiani iugoslavi e greci. Il 1° febbraio 1947, dopo una solenne cerimonia, la base fu presa in carico, assieme ai relativi automezzi ed attrezzature, dall'AM andando così ad occupare un posto di primaria importanza nella storia della nostra aviazione. Proprio ad Amendola, infatti, si completò nel dopoguerra la rinascita delle Forze Armate e quella degli stessi piloti italiani. A partire dagli anni '50, sino al 30 giugno 1993, la base ha sempre operato come scuola con l'attività iniziata dal NAVAR (Nucleo Addestramento Velivoli a Reazione) dotato dei bi-coda inglesi DH-100 “Vampire” e ricevendo, proprio a seguito dell'adozione di tali assetti, l'ufficioso nome di “Vampiria”. Non è un caso se la Fenice, il mitico uccello che risorge dalle proprie ceneri, fu successivamente scelta come simbolo per rappresentare lo stemma definitivo, al quale fu aggiunto il motto virgiliano “Primo a volso non deficit alter” a significare la continuità dell'addestramento. Nel 1953, a seguito dell'introduzione in servizio dei T-33, si decise lo scioglimento del NAVAR sostituendolo con la SAA (Scuola Addestramento Aviogetti) la quale comprendeva la Scuola Addestramento Tattico e Tiro dotata dei T-Bird, la Scuola Caccia Ognitempo su velivoli DH-113 e T-33 e la Scuola Centrale Istruttori di Volo. Nel 1957 si ebbe la chiusura della Scuola Caccia

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B-17G 44-6264 "In the Bag” appartenente al 49th BS, 2nd BG, in riparazione ad Amendola. La fotografia è stata scattata tra maggio e novembre del 1944.

Ognitempo, il trasferimento della Scuola Centrale Istruttori di Volo sull'aeroporto di Grottaglie, presso Taranto, e del Nucleo Standardizzazione su quello di Pratica di Mare. Nel 1962 vi fu un nuovo cambio di denominazione passando da quella che fino ad allora era stata la SAA, alla SVBAA (Scuola Volo Basico Avanzato Aviogetti), il cui compito era quello di completare l'addestramento dei neo-piloti e di impartire i primi rudimenti del volo operativo specifici per le varie specialità dei reparti da caccia e bombardamento. Il 1964 fu un anno importante per la base pugliese con l'ingresso in linea del FIAT G.91 T/1, la versione biposto del gioiello dell'Ingegnere Gabrielli, che prima affiancò e poi sostituì definitivamente i T-33. ll sodalizio Amendola-Virus, fu questo il soprannome affettuosamente dato dagli equipaggi al G.91T, durerà per più di trent'anni terminando alle 12,46 del 30 settembre 1995, quando la M.M. 6363 poggiò per l'ultima volta le ruote sulla pista dell'aeroporto foggiano. Un periodo lunghissimo contraddistinto dal raggiungimento, nel 1984, delle 200.000 ore di volo sul velivolo e dalla trasformazione nel 1986, da SVBAA in 60° Brigata Aerea. N e l 1 9 93 , n e l q u a d ro d e l l ' a m m o d e rn a m e n to dell'Aeronautica, si ebbe l'ennesima, e per il momento definitiva trasformazione, in 32° Stormo.

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Allievi piloti e istruttori assistono alle evoluzioni di un collega sul cielo campo di Amendola. Alle loro spalle, allineamento di Vampire.

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T-33 della Scuola Addestramento Aviogetti.

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FIAT G.91T in linea con la Scuola di Volo di Amendola a partire dal 1964.

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Con i suoi 1.050 ettari di estensione, Amendola è la prima base aerea italiana in ordine di grandezza (la seconda è Pratica di Mare nelle vicinanze di Roma) e la seconda d'Europa dopo Ramstein, in Germania. Pur già operativa nella Seconda guerra mondiale, utilizzata dapprima dalla Regia Aeronautica e poi dalla Luftwaffe, Amendola può considerarsi un'installazione relativamente recente. È stata progettata e ampliata dall'USAF, dopo la liberazione del territorio da parte delle Forze Alleate, fino a diventare una delle installazioni più estese al mondo in grado ospitare circa 7.000 militari e servire come base principale per i bombardieri pesanti. I lavori di costruzione iniziarono nei primi mesi del 1944 e, grazie all'impiego di manodopera composta da prigionieri di guerra, terminarono nel giugno dello stesso anno permettendo così l'immediato impiego da parte dei velivoli americani. Su di essa furono basati il 57th Fighter Group su P-47 “Thunderbolt” (27 ottobre 1943/1 marzo 1944), il 321st Bomber Group che impiegava i B-25 “Mitchell” (20 novembre 1943/14 gennaio 1944), il 97th Bomber Group su B-17 “Flying Fortress” (16 gennaio 1944/1 ottobre 1945) ed il 2nd Bomber Group sempre sui B-17 (19 novembre 1945/28 febbraio 1946) che, utilizzandola come trampolino di lancio, potevano sfruttare al massimo il loro raggio di azione per colpire agevolmente obiettivi situati in Iugoslavia, Albania, Grecia, Bulgaria, Romania, Ungheria, Austria e Germania, oltre ovviamente a quelli posti sul territorio del nord Italia. Lo stesso aeroporto fu

sede della Balkan Air Force formata anche da velivoli appartenenti alla neonata Aeronautica Militare italiana (ufficiosamente definita “Cobelligerante”), dando supporto ai partigiani iugoslavi e greci. Il 1° febbraio 1947, dopo una solenne cerimonia, la base fu presa in carico, assieme ai relativi automezzi ed attrezzature, dall'AM andando così ad occupare un posto di primaria importanza nella storia della nostra aviazione. Proprio ad Amendola, infatti, si completò nel dopoguerra la rinascita delle Forze Armate e quella degli stessi piloti italiani. A partire dagli anni '50, sino al 30 giugno 1993, la base ha sempre operato come scuola con l'attività iniziata dal NAVAR (Nucleo Addestramento Velivoli a Reazione) dotato dei bi-coda inglesi DH-100 “Vampire” e ricevendo, proprio a seguito dell'adozione di tali assetti, l'ufficioso nome di “Vampiria”. Non è un caso se la Fenice, il mitico uccello che risorge dalle proprie ceneri, fu successivamente scelta come simbolo per rappresentare lo stemma definitivo, al quale fu aggiunto il motto virgiliano “Primo a volso non deficit alter” a significare la continuità dell'addestramento. Nel 1953, a seguito dell'introduzione in servizio dei T-33, si decise lo scioglimento del NAVAR sostituendolo con la SAA (Scuola Addestramento Aviogetti) la quale comprendeva la Scuola Addestramento Tattico e Tiro dotata dei T-Bird, la Scuola Caccia Ognitempo su velivoli DH-113 e T-33 e la Scuola Centrale Istruttori di Volo. Nel 1957 si ebbe la chiusura della Scuola Caccia

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B-17G 44-6264 "In the Bag” appartenente al 49th BS, 2nd BG, in riparazione ad Amendola. La fotografia è stata scattata tra maggio e novembre del 1944.

Ognitempo, il trasferimento della Scuola Centrale Istruttori di Volo sull'aeroporto di Grottaglie, presso Taranto, e del Nucleo Standardizzazione su quello di Pratica di Mare. Nel 1962 vi fu un nuovo cambio di denominazione passando da quella che fino ad allora era stata la SAA, alla SVBAA (Scuola Volo Basico Avanzato Aviogetti), il cui compito era quello di completare l'addestramento dei neo-piloti e di impartire i primi rudimenti del volo operativo specifici per le varie specialità dei reparti da caccia e bombardamento. Il 1964 fu un anno importante per la base pugliese con l'ingresso in linea del FIAT G.91 T/1, la versione biposto del gioiello dell'Ingegnere Gabrielli, che prima affiancò e poi sostituì definitivamente i T-33. ll sodalizio Amendola-Virus, fu questo il soprannome affettuosamente dato dagli equipaggi al G.91T, durerà per più di trent'anni terminando alle 12,46 del 30 settembre 1995, quando la M.M. 6363 poggiò per l'ultima volta le ruote sulla pista dell'aeroporto foggiano. Un periodo lunghissimo contraddistinto dal raggiungimento, nel 1984, delle 200.000 ore di volo sul velivolo e dalla trasformazione nel 1986, da SVBAA in 60° Brigata Aerea. N e l 1 9 93 , n e l q u a d ro d e l l ' a m m o d e rn a m e n to dell'Aeronautica, si ebbe l'ennesima, e per il momento definitiva trasformazione, in 32° Stormo.

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Allievi piloti e istruttori assistono alle evoluzioni di un collega sul cielo campo di Amendola. Alle loro spalle, allineamento di Vampire.

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T-33 della Scuola Addestramento Aviogetti.

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FIAT G.91T in linea con la Scuola di Volo di Amendola a partire dal 1964.

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FIAT G.91Y in carico al 32° Stormo.

esattamente il 10 settembre, esso tornò a nuova vita sull'aeroporto di Brindisi Casale sul quale operò sino al 1993 con alle dipendenze il 13° Gruppo CBR (Caccia Bombardieri Ricognitori), inizialmente su G.91R, poi sui G.91Y. Dal 1994 fu riequipaggiato con gli Aeritalia AMX e AMX-T “Ghibli”. L'entrata in servizio del nuovo aereo vide anche il trasferimento del reparto sull'attuale aeroporto d i A m e n d o l a , s p o s t a m e n to c h e c o i n c i s e c o n l'acquisizione di un ulteriore Gruppo, il 101° OCU (Unità di Conversione Operativa), per l'addestramento dei piloti sulla nuova macchina. Contestualmente si istituì anche la 632a Squadriglia Collegamenti e Soccorso, operando sulla base foggiana per oltre un decennio con gli elicotteri AB-212 AMI/SAR utilizzati a pieno titolo anche per il servizio S.A.R. nazionale, e poi con gli NH-500 coi quali perse le capacità di soccorso. Nel 2007 ricevette gli

Aermacchi MB-339 A e CD con i quali la 632a tutt'ora opera con compiti di collegamento e mantenimento della proficiency del personale navigante. Con i Ghibli, il cui ruolo principale era quello di FBA (Fighter Bomber Attack), il reparto prese parte all'Operazione “Deliberate Guard” per il mantenimento della pace in Bosnia-Erzegovina nel 1997. In questo contesto le missioni erano svolte con “pacchetti di volo” composti da due velivoli che decollavano previa richiesta della 5a ATAF, con armamento che poteva variare a seconda del tipo di sortita e del territorio sorvolato. Per quanto riguardava le ricognizioni a vista sulla Bosnia, i Ghibli erano dotati di solo armamento di autodifesa composto da due missili all'infrarosso Sidewinder AIM9L montati sulle rotaie alle estremità alari, oltre al cannone M61 A1 Vulcan da 20 millimetri, potendo

contare inoltre su una dotazione completa di dispositivi ECM. Nella primavera del 1999 il 32° Stormo partecipò all’Operazione “Allied Force” effettuando 220 missioni di guerra. Vista la sua posizione geografica lo Stormo dipende gerarchicamente dalla 3° Regione Aerea con sede a Bari, mentre per le esercitazioni NATO e le operazioni reali fa capo alla 5a ATAF o dal COFA (Comando Operativo Forze Aeree) di Vicenza. Attualmente dallo Stormo dipendono il 13°, 28° e il 61° Gruppo Volo, oltre alla già citata 632a Squadriglia Collegamenti.

9

AMX del 32° Stormo in decollo.

G.91T in avvicinamento ad Amendola e formazione mista di AMX e G.91T del 32° Stormo,questi ultimi con le insegne a bassa visibilità utilizzate negli ultimi anni di impiego del “Virus”.

AEROFAN | UN GIORNO A AMENDOLA

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FIAT G.91Y in carico al 32° Stormo.

esattamente il 10 settembre, esso tornò a nuova vita sull'aeroporto di Brindisi Casale sul quale operò sino al 1993 con alle dipendenze il 13° Gruppo CBR (Caccia Bombardieri Ricognitori), inizialmente su G.91R, poi sui G.91Y. Dal 1994 fu riequipaggiato con gli Aeritalia AMX e AMX-T “Ghibli”. L'entrata in servizio del nuovo aereo vide anche il trasferimento del reparto sull'attuale aeroporto d i A m e n d o l a , s p o s t a m e n to c h e c o i n c i s e c o n l'acquisizione di un ulteriore Gruppo, il 101° OCU (Unità di Conversione Operativa), per l'addestramento dei piloti sulla nuova macchina. Contestualmente si istituì anche la 632a Squadriglia Collegamenti e Soccorso, operando sulla base foggiana per oltre un decennio con gli elicotteri AB-212 AMI/SAR utilizzati a pieno titolo anche per il servizio S.A.R. nazionale, e poi con gli NH-500 coi quali perse le capacità di soccorso. Nel 2007 ricevette gli

Aermacchi MB-339 A e CD con i quali la 632a tutt'ora opera con compiti di collegamento e mantenimento della proficiency del personale navigante. Con i Ghibli, il cui ruolo principale era quello di FBA (Fighter Bomber Attack), il reparto prese parte all'Operazione “Deliberate Guard” per il mantenimento della pace in Bosnia-Erzegovina nel 1997. In questo contesto le missioni erano svolte con “pacchetti di volo” composti da due velivoli che decollavano previa richiesta della 5a ATAF, con armamento che poteva variare a seconda del tipo di sortita e del territorio sorvolato. Per quanto riguardava le ricognizioni a vista sulla Bosnia, i Ghibli erano dotati di solo armamento di autodifesa composto da due missili all'infrarosso Sidewinder AIM9L montati sulle rotaie alle estremità alari, oltre al cannone M61 A1 Vulcan da 20 millimetri, potendo

contare inoltre su una dotazione completa di dispositivi ECM. Nella primavera del 1999 il 32° Stormo partecipò all’Operazione “Allied Force” effettuando 220 missioni di guerra. Vista la sua posizione geografica lo Stormo dipende gerarchicamente dalla 3° Regione Aerea con sede a Bari, mentre per le esercitazioni NATO e le operazioni reali fa capo alla 5a ATAF o dal COFA (Comando Operativo Forze Aeree) di Vicenza. Attualmente dallo Stormo dipendono il 13°, 28° e il 61° Gruppo Volo, oltre alla già citata 632a Squadriglia Collegamenti.

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AMX del 32° Stormo in decollo.

G.91T in avvicinamento ad Amendola e formazione mista di AMX e G.91T del 32° Stormo,questi ultimi con le insegne a bassa visibilità utilizzate negli ultimi anni di impiego del “Virus”.

AEROFAN | UN GIORNO A AMENDOLA

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28° GRUPPO Costituito a Lonate Pozzolo il 1° gennaio 1931, a giugno dello stesso anno si spostò a Ferrara per far parte del ricostituito 8° Stormo da Bombardamento Notturno. Inizialmente composto dalla sola 19a Squadriglia, fu poi raggiunto dalla gloriosa 10a. Quest'ultima era nata il 25 giugno 1916 a Campo Villaverla nei pressi di Thiene con una dotazione di bombardieri Ca.3, distinguendosi per il famoso stemma che ornava le fusoliere dei suoi aerei rappresentante un quadrifoglio con il motto D'Annunziano “Senza cozzar dirocco”. Anche il 27° Gruppo entrò a far parte dello Stormo, completandone così l'organico. Il 13 ottobre 1931 il reparto fu rischierato definitivamente sul campo di volo di Poggio Renatico, prendendo parte a numerose esercitazioni e manifestazioni a livello nazionale; la linea volo fu al principio basata sui Breda Ba.15 e poi, dall'agosto del 1934, sui Ca.102. Nel novembre 1935 l'8° venne trasferito in Africa Orientale, sostituito sull'aeroporto di Poggio Renatico da un altro reparto, ugualmente denominato 8° Stormo, e composto da Gruppi e Squadriglie aventi stessa numerazione ed araldica ma con l'aggiunta del suffisso “Bis” per distinguerle da quelle africane (ufficialmente i reparti furono denominati 8° Stormo Metropolitano e 8° Stormo Africa Orientale). La compagine che rimase sul territorio nazionale ebbe dotazione iniziale di velivoli Ca. 74, Ca. 100, Ca. 102, Ca. 111 per transitare poi, nel gennaio 1936, sui SIAI S.81 con i quali si rischierò sull'aeroporto bolognese di Borgo Panigale e svolse un’intensa attività addestrativa dedicata soprattutto al volo notturno. Agli inizi del 1937, in preparazione dell'imminente impiego nella Guerra Civile Spagnola a suppor to del Generalissimo Franco, il repar to metropolitano fu riequipaggiato con i nuovissimi velivoli da bombardamento veloce S.79, e con essi iniziò a svolgere numerose esercitazioni tattiche e lunghi voli di navigazione. Il 30 novembre dodici Sparviero del 28° Gruppo (10a e 19a Squadriglia) si trasferirono a Palma di Maiorca dove, il 12 gennaio 1938, furono raggiunti dalla 18a Squadriglia del 27° Gruppo, ricostituendo in terra spagnola l'intero 8° Stormo, unico Reparto operante al completo in quelle che verranno definite, in codice, O.M.S. (Operazioni

Militari Spagna). L'attività di quelli che furono poi denominati Falchi delle Baleari fu subito intensa e gli Sparviero vennero impiegati in operazioni dirette principalmente contro il naviglio, installazioni costiere, officine, vie di comunicazione, depositi ed aeroporti. L'8° operò sul territorio iberico per tutto il conflitto, terminando il suo impiego il 30 marzo del 1939 dopo 639 azioni di guerra per un totale di 7.527 ore di volo, e lanciando un totale di 1.239 tonnellate di bombe. A questo vanno aggiunti undici velivoli repubblicani abbattuti, quattro piroscafi ed un veliero affondati, e numeroso altro naviglio colpito e danneggiato. Il 30 maggio venne sciolto il Comando dell'Aviazione Legionaria delle Baleari, e con esso 8° Stormo e 28° Gruppo. Appena due mesi dopo, il primo luglio 1939, l'8° si ricostituì a Bologna con il 115° Gruppo formato dalla 264a e 275a Squadriglia, e dal 116° Gruppo con la 276a e 277a Squadriglia, avendo come dotazione ancora il fedele S.79. Entrambi i Gruppi furono destinati all'impiego in Africa Orientale Italiana, ma pochi giorni prima della loro partenza per il continente africano furono posti nuovamente in posizione quadro. Dopo l'ennesima riorganizzazione il personale, quasi tutto reduce dalla Spagna, fu ancora una volta riversato al 27° e 28° Gruppo appena riattivati trasferendosi sull'aeroporto di Alghero. I venti di guerra ormai prossimi fecero sì che il 28° venisse spostato sul campo di manovra di Villacidro, nei pressi di Cagliari, da dove iniziò ad operare con l'entrata in guerra dell'Italia il 10 giugno 1940. Inizialmente le attenzioni si rivolsero verso le basi francesi in Corsica ma ben presto, con la resa della Francia, le operazioni si orientarono contro obiettivi navali nel Mediterraneo Occidentale. Fu durante questo ciclo che, assieme alle Squadriglie del 32° Stormo, anche il 28° si guadagnò la Medaglia d'Argento al Valor Militare per la partecipazione alla già citata battaglia di Punta Stilo. A settembre l'unità tornò ad Alghero, riprendendo l'addestramento degli equipaggi ed effettuando importanti ricognizioni a largo raggio nel Mediterraneo Centrale ed Occidentale, e missioni di bombardamento su formazioni navali britanniche nei pressi di Capo Teulada e

dell'isola di La Galite. Dopo un nuovo rientro a Villacidro, agli inizi del 1941, il 27° Gruppo con la 18a Squadriglia si trasferì in Africa Settentrionale, mentre il 28° rimase sul campo sardo fino ad aprile, quando la sola 19a Squadriglia ricevette l'ordine di raggiungere la Libia transitando a Castelbenito per poi giungere a Berka. Il Comando e la 10a Squadriglia continuarono ad operare dalla Sardegna ma dal 26 maggio si spostarono anch'essi per riunirsi al Gruppo gemello.

All'inizio del 1942 lo Stormo si basò a Perugia per la riorganizzazione della Regia Aeronautica. Lasciati gli esausti S.79, gli equipaggi iniziarono l'addestramento presso la ditta Cantieri Riuniti dell'Adriatico di Monfalcone sui CANT Z.1007 bis Alcione che avrebbero dovuto costituire la nuova dotazione di volo dell'unità. In realtà, dopo averne ricevuti solo otto esemplari, in autunno essi furono versati ad altri reparti. In giugno arrivò l'ordine di

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S.79 Sparviero del 10° Gruppo in volo verso l’obiettivo.

L'8° tornò a ranghi completi solo a novembre quando anche la 19a, che nel frattempo era stata messa alle dipendenze del Comando della 5a Squadra, si ricongiunse con il resto del reparto sulla base di Martuba. Per tutto il 1941 lo Stormo combatté senza sosta, con missioni di bombardamento diurne e notturne. Ai bombardamenti si alternarono anche ricognizioni costiere e d'altura, cacce al naviglio nemico, scorte ai sommergibili ed ai convogli. Lo strapotere alleato e la precaria situazione in cui versavano i nostri reparti di cielo e di terra, costrinsero infine al ritiro le truppe italiane. Per gli uomini e i mezzi del 28° Gruppo fu necessario spostarsi dapprima a Barce, poi a Misurata da dove, il 30 dicembre, rientrarono in patria con il poco materiale di volo ancora efficiente.

S.81 in volo sui Balcani.

trasferimento a Viterbo dove i piloti familiarizzarono col nuovo S.84 bis, velivolo che doveva rappresentare la versione migliorata e naturale successore del “79” ma che, alla fine, fu molto meno apprezzato ed amato dagli equipaggi. Contemporaneamente le sorti del conflitto stavano pendendo sempre più a favore degli anglo-americani per cui, a gennaio del 1943, l'8° si dislocò in Sicilia prima a Palermo Boccadifalco e poi, in marzo, a Chinisa-San Giuseppe. Da questo aeroporto operò inizialmente con una linea volo composta da SM.84 ed S.79, per poi passare di nuovo sui CANT Z.1007, partecipando ad un nuovo intenso ciclo operativo. Durante questa fase bellica, a fine aprile, il 28° si trasferì a

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28° GRUPPO Costituito a Lonate Pozzolo il 1° gennaio 1931, a giugno dello stesso anno si spostò a Ferrara per far parte del ricostituito 8° Stormo da Bombardamento Notturno. Inizialmente composto dalla sola 19a Squadriglia, fu poi raggiunto dalla gloriosa 10a. Quest'ultima era nata il 25 giugno 1916 a Campo Villaverla nei pressi di Thiene con una dotazione di bombardieri Ca.3, distinguendosi per il famoso stemma che ornava le fusoliere dei suoi aerei rappresentante un quadrifoglio con il motto D'Annunziano “Senza cozzar dirocco”. Anche il 27° Gruppo entrò a far parte dello Stormo, completandone così l'organico. Il 13 ottobre 1931 il reparto fu rischierato definitivamente sul campo di volo di Poggio Renatico, prendendo parte a numerose esercitazioni e manifestazioni a livello nazionale; la linea volo fu al principio basata sui Breda Ba.15 e poi, dall'agosto del 1934, sui Ca.102. Nel novembre 1935 l'8° venne trasferito in Africa Orientale, sostituito sull'aeroporto di Poggio Renatico da un altro reparto, ugualmente denominato 8° Stormo, e composto da Gruppi e Squadriglie aventi stessa numerazione ed araldica ma con l'aggiunta del suffisso “Bis” per distinguerle da quelle africane (ufficialmente i reparti furono denominati 8° Stormo Metropolitano e 8° Stormo Africa Orientale). La compagine che rimase sul territorio nazionale ebbe dotazione iniziale di velivoli Ca. 74, Ca. 100, Ca. 102, Ca. 111 per transitare poi, nel gennaio 1936, sui SIAI S.81 con i quali si rischierò sull'aeroporto bolognese di Borgo Panigale e svolse un’intensa attività addestrativa dedicata soprattutto al volo notturno. Agli inizi del 1937, in preparazione dell'imminente impiego nella Guerra Civile Spagnola a suppor to del Generalissimo Franco, il repar to metropolitano fu riequipaggiato con i nuovissimi velivoli da bombardamento veloce S.79, e con essi iniziò a svolgere numerose esercitazioni tattiche e lunghi voli di navigazione. Il 30 novembre dodici Sparviero del 28° Gruppo (10a e 19a Squadriglia) si trasferirono a Palma di Maiorca dove, il 12 gennaio 1938, furono raggiunti dalla 18a Squadriglia del 27° Gruppo, ricostituendo in terra spagnola l'intero 8° Stormo, unico Reparto operante al completo in quelle che verranno definite, in codice, O.M.S. (Operazioni

Militari Spagna). L'attività di quelli che furono poi denominati Falchi delle Baleari fu subito intensa e gli Sparviero vennero impiegati in operazioni dirette principalmente contro il naviglio, installazioni costiere, officine, vie di comunicazione, depositi ed aeroporti. L'8° operò sul territorio iberico per tutto il conflitto, terminando il suo impiego il 30 marzo del 1939 dopo 639 azioni di guerra per un totale di 7.527 ore di volo, e lanciando un totale di 1.239 tonnellate di bombe. A questo vanno aggiunti undici velivoli repubblicani abbattuti, quattro piroscafi ed un veliero affondati, e numeroso altro naviglio colpito e danneggiato. Il 30 maggio venne sciolto il Comando dell'Aviazione Legionaria delle Baleari, e con esso 8° Stormo e 28° Gruppo. Appena due mesi dopo, il primo luglio 1939, l'8° si ricostituì a Bologna con il 115° Gruppo formato dalla 264a e 275a Squadriglia, e dal 116° Gruppo con la 276a e 277a Squadriglia, avendo come dotazione ancora il fedele S.79. Entrambi i Gruppi furono destinati all'impiego in Africa Orientale Italiana, ma pochi giorni prima della loro partenza per il continente africano furono posti nuovamente in posizione quadro. Dopo l'ennesima riorganizzazione il personale, quasi tutto reduce dalla Spagna, fu ancora una volta riversato al 27° e 28° Gruppo appena riattivati trasferendosi sull'aeroporto di Alghero. I venti di guerra ormai prossimi fecero sì che il 28° venisse spostato sul campo di manovra di Villacidro, nei pressi di Cagliari, da dove iniziò ad operare con l'entrata in guerra dell'Italia il 10 giugno 1940. Inizialmente le attenzioni si rivolsero verso le basi francesi in Corsica ma ben presto, con la resa della Francia, le operazioni si orientarono contro obiettivi navali nel Mediterraneo Occidentale. Fu durante questo ciclo che, assieme alle Squadriglie del 32° Stormo, anche il 28° si guadagnò la Medaglia d'Argento al Valor Militare per la partecipazione alla già citata battaglia di Punta Stilo. A settembre l'unità tornò ad Alghero, riprendendo l'addestramento degli equipaggi ed effettuando importanti ricognizioni a largo raggio nel Mediterraneo Centrale ed Occidentale, e missioni di bombardamento su formazioni navali britanniche nei pressi di Capo Teulada e

dell'isola di La Galite. Dopo un nuovo rientro a Villacidro, agli inizi del 1941, il 27° Gruppo con la 18a Squadriglia si trasferì in Africa Settentrionale, mentre il 28° rimase sul campo sardo fino ad aprile, quando la sola 19a Squadriglia ricevette l'ordine di raggiungere la Libia transitando a Castelbenito per poi giungere a Berka. Il Comando e la 10a Squadriglia continuarono ad operare dalla Sardegna ma dal 26 maggio si spostarono anch'essi per riunirsi al Gruppo gemello.

All'inizio del 1942 lo Stormo si basò a Perugia per la riorganizzazione della Regia Aeronautica. Lasciati gli esausti S.79, gli equipaggi iniziarono l'addestramento presso la ditta Cantieri Riuniti dell'Adriatico di Monfalcone sui CANT Z.1007 bis Alcione che avrebbero dovuto costituire la nuova dotazione di volo dell'unità. In realtà, dopo averne ricevuti solo otto esemplari, in autunno essi furono versati ad altri reparti. In giugno arrivò l'ordine di

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S.79 Sparviero del 10° Gruppo in volo verso l’obiettivo.

L'8° tornò a ranghi completi solo a novembre quando anche la 19a, che nel frattempo era stata messa alle dipendenze del Comando della 5a Squadra, si ricongiunse con il resto del reparto sulla base di Martuba. Per tutto il 1941 lo Stormo combatté senza sosta, con missioni di bombardamento diurne e notturne. Ai bombardamenti si alternarono anche ricognizioni costiere e d'altura, cacce al naviglio nemico, scorte ai sommergibili ed ai convogli. Lo strapotere alleato e la precaria situazione in cui versavano i nostri reparti di cielo e di terra, costrinsero infine al ritiro le truppe italiane. Per gli uomini e i mezzi del 28° Gruppo fu necessario spostarsi dapprima a Barce, poi a Misurata da dove, il 30 dicembre, rientrarono in patria con il poco materiale di volo ancora efficiente.

S.81 in volo sui Balcani.

trasferimento a Viterbo dove i piloti familiarizzarono col nuovo S.84 bis, velivolo che doveva rappresentare la versione migliorata e naturale successore del “79” ma che, alla fine, fu molto meno apprezzato ed amato dagli equipaggi. Contemporaneamente le sorti del conflitto stavano pendendo sempre più a favore degli anglo-americani per cui, a gennaio del 1943, l'8° si dislocò in Sicilia prima a Palermo Boccadifalco e poi, in marzo, a Chinisa-San Giuseppe. Da questo aeroporto operò inizialmente con una linea volo composta da SM.84 ed S.79, per poi passare di nuovo sui CANT Z.1007, partecipando ad un nuovo intenso ciclo operativo. Durante questa fase bellica, a fine aprile, il 28° si trasferì a

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svolte a bassa quota (250 piedi dai rilievi, 100 piedi sulla terra, 50 sull'acqua) a 0.64 Mach di velocità, divennero ancor più difficoltose con lunghi tratti dove non era possibile verificare se la rotta seguita fosse corretta, e con buone probabilità di mancare gli obiettivi da fotografare. Grazie all’eccellente lavoro svolto dal personale, il contingente italiano ricevette numerosi riconoscimenti da parte delle autorità italiane e della NATO. Nel 1992, poco prima della radiazione dello “Spillone”, il Gruppo festeggiò le 50.000 ore di volo sul bisonico della Lockheed cui seguì un periodo non molto entusiasmante: l'attività di volo, ridotta all'essenziale, si svolse impiegando i due MB.339 assegnati alla Squadriglia Collegamenti, mentre i tecnici iniziavano i corsi di istruzione teorica sul nuovo velivolo AMX pur non sapendo l'effettiva data della sua entrata in servizio. Nel 1993, finalmente, il Gruppo ricevette il primo Ghibli seguito poi da altre assegnazioni, potendo così iniziare la conversione sul nuovo velivolo nel ruolo primario di Caccia-Bombardiere, e in quello secondario della Ricognizione Fotografica. Il Gruppo rimase attivo con l'AMX fino al 30 settembre 1997, data in

cui fu nuovamente posto in posizione quadro lasciando definitivamente la base di Villafranca. Ricostituito il 1° febbraio 2005, si spostò nello stesso anno sulla base foggiana di Amendola aprendo un capitolo del tutto nuovo nella propria storia operativa. Attualmente è, di fatto, il primo Gruppo Volo in Italia ad impiegare in operazioni aeree gli Aeromobili a Pilotaggio Remoto (APR), inizialmente con velivoli RQ-1B aggiornati allo standard MQ-1C Predator A Plus a partire dal 2009 e, dal 2010, con velivoli MQ-9A Reaper che nell'ambito della Forza Armata sono ufficialmente nominati Predator-B. Ad oggi le Streghe del 28° sono state proficuamente impegnate in Iraq per l'operazione Antica Babilonia, in Afghanistan per l'operazione ISAF, e a Gibuti per l'operazione Atlanta, totalizzando circa 1.900 missioni operative e poco più di 16.000 ore di volo. Dal 2014 un'aliquota di droni è rischierata in Kuwait, per l'operazione Inherent Resolve e Prima Parthica per il contrasto di Daesh e dello Stato Islamico, contribuendo con 590 missioni ed oltre 8.000 ore di volo.

RF-84F Thunderflash in avvicinamento a Villafranca. 16Il “Thunderflash” presentava notevoli di erenze strutturali rispetto all'F84F a cominciare dalle prese d'aria sdoppiate, necessarie per consentire la sistemazione, nella sezione anteriore della fusoliera, di una ricca dotazione aerofotografica, per anni la più completa e sofisticata disponibile a bordo di un velivolo tattico della NATO.

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AEROFAN | UN GIORNO A AMENDOLA

Formazione stretta di F-104G del 3° Stormo di Villafranca.

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Formazione a bastone di AMX del 51° Stormo armati con smart bombs nel corso di un esercitazione a Goose Bay, in Canada.

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svolte a bassa quota (250 piedi dai rilievi, 100 piedi sulla terra, 50 sull'acqua) a 0.64 Mach di velocità, divennero ancor più difficoltose con lunghi tratti dove non era possibile verificare se la rotta seguita fosse corretta, e con buone probabilità di mancare gli obiettivi da fotografare. Grazie all’eccellente lavoro svolto dal personale, il contingente italiano ricevette numerosi riconoscimenti da parte delle autorità italiane e della NATO. Nel 1992, poco prima della radiazione dello “Spillone”, il Gruppo festeggiò le 50.000 ore di volo sul bisonico della Lockheed cui seguì un periodo non molto entusiasmante: l'attività di volo, ridotta all'essenziale, si svolse impiegando i due MB.339 assegnati alla Squadriglia Collegamenti, mentre i tecnici iniziavano i corsi di istruzione teorica sul nuovo velivolo AMX pur non sapendo l'effettiva data della sua entrata in servizio. Nel 1993, finalmente, il Gruppo ricevette il primo Ghibli seguito poi da altre assegnazioni, potendo così iniziare la conversione sul nuovo velivolo nel ruolo primario di Caccia-Bombardiere, e in quello secondario della Ricognizione Fotografica. Il Gruppo rimase attivo con l'AMX fino al 30 settembre 1997, data in

cui fu nuovamente posto in posizione quadro lasciando definitivamente la base di Villafranca. Ricostituito il 1° febbraio 2005, si spostò nello stesso anno sulla base foggiana di Amendola aprendo un capitolo del tutto nuovo nella propria storia operativa. Attualmente è, di fatto, il primo Gruppo Volo in Italia ad impiegare in operazioni aeree gli Aeromobili a Pilotaggio Remoto (APR), inizialmente con velivoli RQ-1B aggiornati allo standard MQ-1C Predator A Plus a partire dal 2009 e, dal 2010, con velivoli MQ-9A Reaper che nell'ambito della Forza Armata sono ufficialmente nominati Predator-B. Ad oggi le Streghe del 28° sono state proficuamente impegnate in Iraq per l'operazione Antica Babilonia, in Afghanistan per l'operazione ISAF, e a Gibuti per l'operazione Atlanta, totalizzando circa 1.900 missioni operative e poco più di 16.000 ore di volo. Dal 2014 un'aliquota di droni è rischierata in Kuwait, per l'operazione Inherent Resolve e Prima Parthica per il contrasto di Daesh e dello Stato Islamico, contribuendo con 590 missioni ed oltre 8.000 ore di volo.

RF-84F Thunderflash in avvicinamento a Villafranca. 16Il “Thunderflash” presentava notevoli di erenze strutturali rispetto all'F84F a cominciare dalle prese d'aria sdoppiate, necessarie per consentire la sistemazione, nella sezione anteriore della fusoliera, di una ricca dotazione aerofotografica, per anni la più completa e sofisticata disponibile a bordo di un velivolo tattico della NATO.

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Formazione stretta di F-104G del 3° Stormo di Villafranca.

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Formazione a bastone di AMX del 51° Stormo armati con smart bombs nel corso di un esercitazione a Goose Bay, in Canada.

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CL-13 Sabre del 13° Gruppo nella classica livrea mimetica “stile RAF”.

AMX del 13° Gruppo (MM 71698) Durante il rischieramento sulla base 22spagnola di Albacete, sede del Tactical Leadership Programme, nel 2006.

21

G.91Y del 13° Gruppo.

Sulla deriva è visibile l’insegna “fuori ordinanza”dedicata alla Coppa del Mondo vinta quell’anno dagli Azzurri.

dotati di solo armamento di autodifesa composto da due missili all'infrarosso Sidewinder AIM-9L montati sulle rotaie alle estremità alari, oltre al cannone M61 A1 Vulcan da 20 millimetri, potendo contare inoltre su una dotazione completa di dispositivi ECM. Per aumentarne l'autonomia, i velivoli trasportavano due serbatoi esterni da 580 litri. Il 30 aprile 1999 il 13° Gruppo iniziò la partecipazione all'Operazione Allied Force per fronteggiare la crisi del Kosovo. Allo scopo, sempre sulla base foggiana, fu costituita la Sezione Operativa AMX che raggruppò macchine provenienti dai diversi reparti. La principale ragione che portò alla formazione di un gruppo misto fu quella di raddoppiare le capacità di fornire un alto rateo di sortite belliche che, altrimenti, nessun gruppo avrebbe potuto garantire singolarmente; in secondo luogo fu pressante la necessità di ridurre le ore di volo necessarie ai velivoli di Istrana per raggiungere gli obiettivi (almeno cinque in tutto) e, di conseguenza, decongestionare il traffico aereo del nord-est italiano. La Sezione Operativa fu composta da 19 velivoli appartenenti al 13°, 14°, 103° e 132° Gruppo prelevati dalle linee in base al grado di maggiore efficienza e di scadenze manutentive; di questi, dieci furono impiegati attivamente e nove vennero posti in riserva. Per rinforzare le fila del personale, al contingente si unirono anche gli specialisti ed i piloti del 101° Gruppo OCU i cui AMX-T non presero parte alle operazioni a causa della ridotta autonomia. Ai primi di maggio i velivoli volarono sul Kosovo effettuando prevalentemente Close Air Support e

23

DH 100 Vampire e, nel 1957, i più prestanti CL-13 Sabre Mk. IV (equivalenti agli F-86E). Sui Sabre operò per circa un decennio sulla base di Brescia Montichiari, poi su quella di Cameri passando per Gioia del Colle e, infine, sull'aeroporto di Brindisi-Casale nel 1965. Con lo scioglimento del 2° Stormo, il Gruppo diventò momentaneamente autonomo per passare il 1° ottobre del 1967 alle dipendenze del 32° Stormo. Dotato di FIAT G.91R, transitò nel 1974 sui G.91Y trasferendosi sull'attuale base di Amendola il primo luglio 1993.

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AEROFAN | UN GIORNO A AMENDOLA

Battlefield Air Interdiction contro installazioni fisse. Inizialmente l'armamento prevedeva quattro bombe MK.82 a caduta libera, ma già dopo pochi giorni si resero disponibili i kit Opher che permettevano di trasformare gli ordigni “dummy” in dotazione alla Forza Armata in vere e proprio bombe intelligenti “fire and forget” grazie al sensore IR passivo montato sull'ogiva che si agganciava” alle fonti di calore dei bersagli. Le caratteristiche di sgancio erano del tutto simili a quelle delle vecchie Snakeye, per cui i piloti non dovettero intraprendere alcuna ulteriore campagna di certificazione. In circa 50 giorni di attività i piloti italiani effettuarono 244 sortite per un totale di 645 ore di volo, e con lo sgancio di 463 bombe Mk.82 e 39 Opher. Dieci anni dopo, nel 2009, gli AMX del Task Group Black Cats, con un'aliquota di piloti e personale del 13° Gruppo, vennero rischierati nell'ambito dell'ISAF dove, in sei anni di attività fino al giugno del 2014, svolsero circa 3.000 missioni di interdizione e ricognizione grazie al nuovo pod Reccelite accumulando circa 10.000 ore di volo. Allo scadere della missione in Afghanistan, nel dicembre del 2013, il gruppo fu posto in posizione quadro per poi essere riattivato il 19 aprile 2016, quando è stato il primo in Italia ed in Europa ad acquisire il velivolo F-35 e a raggiungere l'Initial Operational Capability, entrando inoltre ufficialmente nel Quick Reaction Alert della difesa aerea italiana il 30 novembre 2018.

Formazione di AMX e AMX-T del 32° Stormo.

Dall'anno successo il reparto fu equipaggiato con gli Aeritalia-Embraer AMX, il cui ruolo principale era quello di Fighter Bomber Attack. Proprio col Ghibli, prese parte all'Operazione Deliberate Forge per il mantenimento della pace in Bosnia-Erzegovina nel 1997. In questo contesto le missioni furono svolte con “pacchetti di volo” composti da due velivoli che decollavano previa richiesta della 5° ATAF, con armamento di bordo che poteva variare a seconda del tipo di missione e del territorio sorvolato. Per quanto riguardava le ricognizioni a vista sulla Bosnia, i Ghibli furono

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CL-13 Sabre del 13° Gruppo nella classica livrea mimetica “stile RAF”.

AMX del 13° Gruppo (MM 71698) Durante il rischieramento sulla base 22spagnola di Albacete, sede del Tactical Leadership Programme, nel 2006.

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G.91Y del 13° Gruppo.

Sulla deriva è visibile l’insegna “fuori ordinanza”dedicata alla Coppa del Mondo vinta quell’anno dagli Azzurri.

dotati di solo armamento di autodifesa composto da due missili all'infrarosso Sidewinder AIM-9L montati sulle rotaie alle estremità alari, oltre al cannone M61 A1 Vulcan da 20 millimetri, potendo contare inoltre su una dotazione completa di dispositivi ECM. Per aumentarne l'autonomia, i velivoli trasportavano due serbatoi esterni da 580 litri. Il 30 aprile 1999 il 13° Gruppo iniziò la partecipazione all'Operazione Allied Force per fronteggiare la crisi del Kosovo. Allo scopo, sempre sulla base foggiana, fu costituita la Sezione Operativa AMX che raggruppò macchine provenienti dai diversi reparti. La principale ragione che portò alla formazione di un gruppo misto fu quella di raddoppiare le capacità di fornire un alto rateo di sortite belliche che, altrimenti, nessun gruppo avrebbe potuto garantire singolarmente; in secondo luogo fu pressante la necessità di ridurre le ore di volo necessarie ai velivoli di Istrana per raggiungere gli obiettivi (almeno cinque in tutto) e, di conseguenza, decongestionare il traffico aereo del nord-est italiano. La Sezione Operativa fu composta da 19 velivoli appartenenti al 13°, 14°, 103° e 132° Gruppo prelevati dalle linee in base al grado di maggiore efficienza e di scadenze manutentive; di questi, dieci furono impiegati attivamente e nove vennero posti in riserva. Per rinforzare le fila del personale, al contingente si unirono anche gli specialisti ed i piloti del 101° Gruppo OCU i cui AMX-T non presero parte alle operazioni a causa della ridotta autonomia. Ai primi di maggio i velivoli volarono sul Kosovo effettuando prevalentemente Close Air Support e

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DH 100 Vampire e, nel 1957, i più prestanti CL-13 Sabre Mk. IV (equivalenti agli F-86E). Sui Sabre operò per circa un decennio sulla base di Brescia Montichiari, poi su quella di Cameri passando per Gioia del Colle e, infine, sull'aeroporto di Brindisi-Casale nel 1965. Con lo scioglimento del 2° Stormo, il Gruppo diventò momentaneamente autonomo per passare il 1° ottobre del 1967 alle dipendenze del 32° Stormo. Dotato di FIAT G.91R, transitò nel 1974 sui G.91Y trasferendosi sull'attuale base di Amendola il primo luglio 1993.

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Battlefield Air Interdiction contro installazioni fisse. Inizialmente l'armamento prevedeva quattro bombe MK.82 a caduta libera, ma già dopo pochi giorni si resero disponibili i kit Opher che permettevano di trasformare gli ordigni “dummy” in dotazione alla Forza Armata in vere e proprio bombe intelligenti “fire and forget” grazie al sensore IR passivo montato sull'ogiva che si agganciava” alle fonti di calore dei bersagli. Le caratteristiche di sgancio erano del tutto simili a quelle delle vecchie Snakeye, per cui i piloti non dovettero intraprendere alcuna ulteriore campagna di certificazione. In circa 50 giorni di attività i piloti italiani effettuarono 244 sortite per un totale di 645 ore di volo, e con lo sgancio di 463 bombe Mk.82 e 39 Opher. Dieci anni dopo, nel 2009, gli AMX del Task Group Black Cats, con un'aliquota di piloti e personale del 13° Gruppo, vennero rischierati nell'ambito dell'ISAF dove, in sei anni di attività fino al giugno del 2014, svolsero circa 3.000 missioni di interdizione e ricognizione grazie al nuovo pod Reccelite accumulando circa 10.000 ore di volo. Allo scadere della missione in Afghanistan, nel dicembre del 2013, il gruppo fu posto in posizione quadro per poi essere riattivato il 19 aprile 2016, quando è stato il primo in Italia ed in Europa ad acquisire il velivolo F-35 e a raggiungere l'Initial Operational Capability, entrando inoltre ufficialmente nel Quick Reaction Alert della difesa aerea italiana il 30 novembre 2018.

Formazione di AMX e AMX-T del 32° Stormo.

Dall'anno successo il reparto fu equipaggiato con gli Aeritalia-Embraer AMX, il cui ruolo principale era quello di Fighter Bomber Attack. Proprio col Ghibli, prese parte all'Operazione Deliberate Forge per il mantenimento della pace in Bosnia-Erzegovina nel 1997. In questo contesto le missioni furono svolte con “pacchetti di volo” composti da due velivoli che decollavano previa richiesta della 5° ATAF, con armamento di bordo che poteva variare a seconda del tipo di missione e del territorio sorvolato. Per quanto riguardava le ricognizioni a vista sulla Bosnia, i Ghibli furono

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nei miei anni di permanenza ad Amendola guasti e avarie non siano mancate. Avarie… alcune reali… altre un po' meno! Accadde, infatti, che un giorno, al termine del primo pacchetto di dieci o dodici missioni (molto dipendeva anche dalle capacità di apprendimento), uno dei miei ragazzi era finalmente pronto per il decollo da solista. Mi sistemai in biga e da lì seguii il rullaggio e l'allineamento. Dopo l'iniziale corsa, all'improvviso, l'aeroplano si fermò a metà pista, si aprì il tettuccio e sentii dichiarare emergenza al pilota via radio. Non capendo cosa stesse succedendo, inforcai immediatamente il binocolo sugli occhi: lo vidi sganciarsi rapidamente dal seggiolino e scendere come una furia dal cockpit… ma rimase goffamente impigliato con la cinta del battellino ad un predellino e non poté allontanarsi! La scena fu comica e tragica allo stesso tempo. Più tardi si scoprì che l'allievo notò del fumo fuoriuscire dalle bocchette del sistema anti-appannamento del canopy ricollegando ad un incendio. In realtà la giornata era molto umida e il reostato della temperatura cabina era settato su un valore basso cosicché la combinazione dei fattori fece sparare fuori dai condotti un po' di vapore di condensa … insomma, fu una delle emergenze più strane cui mi capitò di assistere.

24-25

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G.91T-1 della Scuola Volo Basico Avanzato Aviogetti nel corso dell’attività quotidiana di volo e addestramento dei nuovi piloti militari.

AEROFAN | UN GIORNO A AMENDOLA

noi istruttori eravamo abituati a fissare una bustina per eventuali problemi di stomaco al cosciale della tuta. Personalmente non ne ho mai avuto bisogno, ma vi posso assicurare che ho visto rientrare alcuni colleghi con delle facce davvero provate e il sacchettino pieno. In volo il “Gi” era veloce e non aveva alcuna limitazione per le manovre acrobatiche, a patto di rispettare determinati parametri con gli occhi sempre fissi su assetto e velocità. Erano queste le raccomandazioni che davo ai miei ragazzi perché il velivolo soffriva di vistosi fenomeni di buffeting a velocità comprese tra i 200 e i 250 nodi, dove era assolutamente necessario non “tirare” le manovre. Per fare un esempio, nel looping si entrava a circa 400 nodi iniziando la salita gradualmente; al raggiungimento dei fatidici 250 nodi all'allievo raccomandavo di non “forzare” la cloche e di far scadere la velocità fino ai 200. Alla sommità del looping ci si ritrovava a circa 150 nodi iniziando la discesa, e passando i soliti 250 senza maltrattarlo. Se tutto era stato fatto a puntino, il Tango ti ripagava con una figura pulita e piacevole… se lo avevi portato oltre i suoi limiti, ti “sbatacchiava” per bene. Sotto questo aspetto era altamente istruttivo: contando che all'epoca gli allievi, con molta probabilità, sarebbero arrivati alla linea F-104, imparare a rispettare le velocità e gli inviluppi era un aspetto fondamentale e che sarebbe tornato utile a tutti i futuri piloti dello Spillone. Era anche un aeroplano molto ben strumentato con un'avionica completa e molto simile proprio al '104. Durante le missioni strumentali stressavamo molto gli allievi sulle procedure TACAN proprio perché sarebbero state il loro pane quotidiano una volta assegnati ai reparti operativi. Tutto sommato il T era una macchina affidabile benché

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G.91T-1 con le insegne della 60a Brigata Aerea.

mista di G.91T-1 della 60a Brigata Aerea 27accompagnati da F-104Formazione Starfighter del 21° Gruppo di Cameri (53° Stormo).

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nei miei anni di permanenza ad Amendola guasti e avarie non siano mancate. Avarie… alcune reali… altre un po' meno! Accadde, infatti, che un giorno, al termine del primo pacchetto di dieci o dodici missioni (molto dipendeva anche dalle capacità di apprendimento), uno dei miei ragazzi era finalmente pronto per il decollo da solista. Mi sistemai in biga e da lì seguii il rullaggio e l'allineamento. Dopo l'iniziale corsa, all'improvviso, l'aeroplano si fermò a metà pista, si aprì il tettuccio e sentii dichiarare emergenza al pilota via radio. Non capendo cosa stesse succedendo, inforcai immediatamente il binocolo sugli occhi: lo vidi sganciarsi rapidamente dal seggiolino e scendere come una furia dal cockpit… ma rimase goffamente impigliato con la cinta del battellino ad un predellino e non poté allontanarsi! La scena fu comica e tragica allo stesso tempo. Più tardi si scoprì che l'allievo notò del fumo fuoriuscire dalle bocchette del sistema anti-appannamento del canopy ricollegando ad un incendio. In realtà la giornata era molto umida e il reostato della temperatura cabina era settato su un valore basso cosicché la combinazione dei fattori fece sparare fuori dai condotti un po' di vapore di condensa … insomma, fu una delle emergenze più strane cui mi capitò di assistere.

24-25

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G.91T-1 della Scuola Volo Basico Avanzato Aviogetti nel corso dell’attività quotidiana di volo e addestramento dei nuovi piloti militari.

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noi istruttori eravamo abituati a fissare una bustina per eventuali problemi di stomaco al cosciale della tuta. Personalmente non ne ho mai avuto bisogno, ma vi posso assicurare che ho visto rientrare alcuni colleghi con delle facce davvero provate e il sacchettino pieno. In volo il “Gi” era veloce e non aveva alcuna limitazione per le manovre acrobatiche, a patto di rispettare determinati parametri con gli occhi sempre fissi su assetto e velocità. Erano queste le raccomandazioni che davo ai miei ragazzi perché il velivolo soffriva di vistosi fenomeni di buffeting a velocità comprese tra i 200 e i 250 nodi, dove era assolutamente necessario non “tirare” le manovre. Per fare un esempio, nel looping si entrava a circa 400 nodi iniziando la salita gradualmente; al raggiungimento dei fatidici 250 nodi all'allievo raccomandavo di non “forzare” la cloche e di far scadere la velocità fino ai 200. Alla sommità del looping ci si ritrovava a circa 150 nodi iniziando la discesa, e passando i soliti 250 senza maltrattarlo. Se tutto era stato fatto a puntino, il Tango ti ripagava con una figura pulita e piacevole… se lo avevi portato oltre i suoi limiti, ti “sbatacchiava” per bene. Sotto questo aspetto era altamente istruttivo: contando che all'epoca gli allievi, con molta probabilità, sarebbero arrivati alla linea F-104, imparare a rispettare le velocità e gli inviluppi era un aspetto fondamentale e che sarebbe tornato utile a tutti i futuri piloti dello Spillone. Era anche un aeroplano molto ben strumentato con un'avionica completa e molto simile proprio al '104. Durante le missioni strumentali stressavamo molto gli allievi sulle procedure TACAN proprio perché sarebbero state il loro pane quotidiano una volta assegnati ai reparti operativi. Tutto sommato il T era una macchina affidabile benché

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G.91T-1 con le insegne della 60a Brigata Aerea.

mista di G.91T-1 della 60a Brigata Aerea 27accompagnati da F-104Formazione Starfighter del 21° Gruppo di Cameri (53° Stormo).

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Speciale

desert storm L’Armée de l’Air e l’operazione Daguet

Paolo Gianvanni

N

ell'ambito della Desert Storm, la Francia nella sua

I due velivoli da attacco francesi protagonisti della “Daguet”, Mirage F.1CR e Jaguar, in formazione. Il Mirage fu inizialmente tenuto lontano dalla mischia per timore di fuoco amico per la presenza nell'Aviazione irachena di numerosi velivoli dello stesso modello.

Vai dove ti porta il QuErre. Guarda il video e seguici sul nostro canale YouTube.

operazione ribattezzata “Daguet” rappresentò la terza forza in termini di dimensioni complessive e per la parte aerea mise in campo, oltre ai velivoli da trasporto e supporto, fino a 55 velivoli da caccia ed ol tre 100 elicotteri, questi ul timi protagonisti del formidabile attacco dell'Armée de Terre sul fronte Nord.

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Speciale

desert storm L’Armée de l’Air e l’operazione Daguet

Paolo Gianvanni

N

ell'ambito della Desert Storm, la Francia nella sua

I due velivoli da attacco francesi protagonisti della “Daguet”, Mirage F.1CR e Jaguar, in formazione. Il Mirage fu inizialmente tenuto lontano dalla mischia per timore di fuoco amico per la presenza nell'Aviazione irachena di numerosi velivoli dello stesso modello.

Vai dove ti porta il QuErre. Guarda il video e seguici sul nostro canale YouTube.

operazione ribattezzata “Daguet” rappresentò la terza forza in termini di dimensioni complessive e per la parte aerea mise in campo, oltre ai velivoli da trasporto e supporto, fino a 55 velivoli da caccia ed ol tre 100 elicotteri, questi ul timi protagonisti del formidabile attacco dell'Armée de Terre sul fronte Nord.

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operazioni notturne fu adattata una telecamera commerciale. Intanto, in risposta alla violazione delle truppe irachene dell'ambasciata f rancese a Kuwait City, il presidente Mitterrand annunciò il 15 settembre l'operazione “Daguet” con l'invio nell'area di velivoli da combattimento. Quattro Dassault Mirage 2000C della 5e Escadre de Chasse di Orange e quattro Dassault Mirage F.1CR della 33e Escadre de Reconnaissance di Strasburgo furono i primi a giungere il 3 ottobre ad Al Ahsa, in Arabia Saudita, a 300 km ad est della capitale Riyad, seguiti l'8 ottobre da un secondo gruppo con la stessa composizione. I Mirage 2000C, che alla fine sarebbero divenuti 12, erano ai più recenti standard S4-1 e S4-2 con radar RDI e armati con missili Magic 2 a corto raggio e Super 530D a medio raggio. I Mirage F.1CR montavano uno scanner infrarosso interno Super Cyclope e trasportavano il pod da ricognizione Raphael SLAR; per l'autodifesa gli F.1CR potevano montare due missili Magic alle estremità alari e disponevano di pod Philips-Matra Phimat con chaff, pod di disturbo ESD Barax e lanciatore di flare Lacroix questo ultimo montato nel compartimento del paraf reno alla base della deriva. Il sistema SNAR

(Système de Navigation, Attaque et Reconnaissance), associato al radar Cyrano IVMR, off riva numerose modalità di impiego: aria-aria e aria-suolo per il cannone, aria-aria per missili Magic 2 a guida infarosso (ma non per i Super 530), sgancio bombe a caduta libera sia su obiettivi le cui coordinate fossero state caricate in fase di preparazione del volo sia contro obiettivi di opportunità con designazione sull'HUD. Il grosso della componente da attacco era costituito da Sepecat Jaguar; i primi quattro giunsero a Al Ahsa il 15 ottobre ben equipaggiati di misure di autoprotezione con due lanciatori di chaff/flare inseriti nelle radici alari liberando un pilone per un missile Magic 2 a fianco dei cannoni da 30 mm, bombe a caduta libera, missili a guida laser AS.30L (con carica bellica di 240 kg e raggio di 10 km) associati al pod elettro-ottico/laser ThomsonCSF ATLIS e missili antiradar ARMAT. Si trattava di velivoli in gran parte dell'Escadron 2/11 affiancati da alcuni aerei delle altre due Escadrille della 11e Escadre e altri della 7e Escadre. In realtà lo sforzo francese nell'area si articolava su tre diverse operazioni: “Daguet” in Arabia Saudita, “Méteil” in Qatar e “Busiris” negli Emirati Arabi Uniti. La situazione francese nell'area vedeva nel gennaio 1991 la base di Al Ahsa con 40 velivoli da combattimento,

un Transall C.160G Gabriel del 51e Escadron Electronique da ascolto elettronico, due Puma, un radar, sistemi antiaerei con un totale di circa 1.000 uomini di supporto. La grande base di Ryadh assicurava il trasporto ed il rifornimento in volo con cinque cisterne, cinque Transall, due velivoli da collegamento e 400 uomini. Altri quattro distaccamenti erano a Dhahran sulla base americana con 40 specialisti che supportavano i Mirage F.1CR del Kuwait scappati al momento dell'invasione, a Doha dove era basata un'Escadrille di Mirage F.1C dell'Escadron de Chasse 12 per la difesa aerea del Qatar, negli Emirati Arabi Uniti, con postazioni di missili terra-aria Crotale e di specialisti per i Mirage 2000 degli Emirati. Inoltre l'Aeronautica aveva distaccati a terra con la Division Daguet del personale con missili antiaerei Crotale ed un radar per guidare gli aerei al di sopra delle truppe amiche. Al 23 febbraio l'Armée de l'Air aveva così in Arabia Saudita 28 Jaguar, 14 Mirage 2000, 6 Mirage F.1CR, 6 C135FR, 10 C.160F/NG degli Escadron de Transport 61 e 64, 2 C-130, 1 Nord 262, 1 Mystère 20 dell'ET 65 (poi sostituito da un Mystère 10 della Marina) e 2 Puma, mentre a Doha si trovavano 8 Mirage F.1C. Fino allo scoppio delle ostilità, i Mirage F.1CR vennero usati nel quadro della missione “Nabucco”, lungo la

f rontiera irachena, per ottenere una cartografia dettagliata delle difese avversarie usando il pod SLAR (Side-Looking Airborne Radar). In febbraio lo schieramento venne posizionato, con un continuo lavoro di addestramento al coordinamento di appoggio interalleato, con alcune piccole incursioni in territorio occupato. Così la mattina del 22 febbraio con un raid di elicotteri vennero distrutti cinque veicoli di cui tre blindati e tre postazioni difensive irachene. Alle 8.05 ora di Parigi del 17 gennaio, l'aviazione francese lanciò la prima missione di guerra con un attacco a bassissima quota alla base di Al Jaber a sud di Kuwait City (dove l'Intelligence riteneva si trovasse anche un deposito di missili Scud B) di due formazioni (“Jupiter 01” e “Jupiter 11”) ciascuna con sei Jaguar; otto velivoli erano armati con bombe a submunizioni BLG 66 Belouga e otto con bombe frenate da 250 kg queste ultime destinate a distruggere i ricoveri degli aerei. Le due formazioni erano scalate di 30 secondi con un profilo di navigazione a bassissima quota. Nel rifornimento in volo dalle piattaforme inerziali di bordo dei C-135FR francesi venne aggiornato come previsto il sistema di navigazione dei Jaguar col punto preciso definito dalle cisterne ma, mentre la prima formazione completò con successo questo passaggio, la seconda

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Un Mirage F.1CR della 33e Escadre equipaggiato con il grosso pod da ricognizione Raphael SLAR. Il sistema venne utilizzato per cartografare le difese irachene prima dell’attacco.

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operazioni notturne fu adattata una telecamera commerciale. Intanto, in risposta alla violazione delle truppe irachene dell'ambasciata f rancese a Kuwait City, il presidente Mitterrand annunciò il 15 settembre l'operazione “Daguet” con l'invio nell'area di velivoli da combattimento. Quattro Dassault Mirage 2000C della 5e Escadre de Chasse di Orange e quattro Dassault Mirage F.1CR della 33e Escadre de Reconnaissance di Strasburgo furono i primi a giungere il 3 ottobre ad Al Ahsa, in Arabia Saudita, a 300 km ad est della capitale Riyad, seguiti l'8 ottobre da un secondo gruppo con la stessa composizione. I Mirage 2000C, che alla fine sarebbero divenuti 12, erano ai più recenti standard S4-1 e S4-2 con radar RDI e armati con missili Magic 2 a corto raggio e Super 530D a medio raggio. I Mirage F.1CR montavano uno scanner infrarosso interno Super Cyclope e trasportavano il pod da ricognizione Raphael SLAR; per l'autodifesa gli F.1CR potevano montare due missili Magic alle estremità alari e disponevano di pod Philips-Matra Phimat con chaff, pod di disturbo ESD Barax e lanciatore di flare Lacroix questo ultimo montato nel compartimento del paraf reno alla base della deriva. Il sistema SNAR

(Système de Navigation, Attaque et Reconnaissance), associato al radar Cyrano IVMR, off riva numerose modalità di impiego: aria-aria e aria-suolo per il cannone, aria-aria per missili Magic 2 a guida infarosso (ma non per i Super 530), sgancio bombe a caduta libera sia su obiettivi le cui coordinate fossero state caricate in fase di preparazione del volo sia contro obiettivi di opportunità con designazione sull'HUD. Il grosso della componente da attacco era costituito da Sepecat Jaguar; i primi quattro giunsero a Al Ahsa il 15 ottobre ben equipaggiati di misure di autoprotezione con due lanciatori di chaff/flare inseriti nelle radici alari liberando un pilone per un missile Magic 2 a fianco dei cannoni da 30 mm, bombe a caduta libera, missili a guida laser AS.30L (con carica bellica di 240 kg e raggio di 10 km) associati al pod elettro-ottico/laser ThomsonCSF ATLIS e missili antiradar ARMAT. Si trattava di velivoli in gran parte dell'Escadron 2/11 affiancati da alcuni aerei delle altre due Escadrille della 11e Escadre e altri della 7e Escadre. In realtà lo sforzo francese nell'area si articolava su tre diverse operazioni: “Daguet” in Arabia Saudita, “Méteil” in Qatar e “Busiris” negli Emirati Arabi Uniti. La situazione francese nell'area vedeva nel gennaio 1991 la base di Al Ahsa con 40 velivoli da combattimento,

un Transall C.160G Gabriel del 51e Escadron Electronique da ascolto elettronico, due Puma, un radar, sistemi antiaerei con un totale di circa 1.000 uomini di supporto. La grande base di Ryadh assicurava il trasporto ed il rifornimento in volo con cinque cisterne, cinque Transall, due velivoli da collegamento e 400 uomini. Altri quattro distaccamenti erano a Dhahran sulla base americana con 40 specialisti che supportavano i Mirage F.1CR del Kuwait scappati al momento dell'invasione, a Doha dove era basata un'Escadrille di Mirage F.1C dell'Escadron de Chasse 12 per la difesa aerea del Qatar, negli Emirati Arabi Uniti, con postazioni di missili terra-aria Crotale e di specialisti per i Mirage 2000 degli Emirati. Inoltre l'Aeronautica aveva distaccati a terra con la Division Daguet del personale con missili antiaerei Crotale ed un radar per guidare gli aerei al di sopra delle truppe amiche. Al 23 febbraio l'Armée de l'Air aveva così in Arabia Saudita 28 Jaguar, 14 Mirage 2000, 6 Mirage F.1CR, 6 C135FR, 10 C.160F/NG degli Escadron de Transport 61 e 64, 2 C-130, 1 Nord 262, 1 Mystère 20 dell'ET 65 (poi sostituito da un Mystère 10 della Marina) e 2 Puma, mentre a Doha si trovavano 8 Mirage F.1C. Fino allo scoppio delle ostilità, i Mirage F.1CR vennero usati nel quadro della missione “Nabucco”, lungo la

f rontiera irachena, per ottenere una cartografia dettagliata delle difese avversarie usando il pod SLAR (Side-Looking Airborne Radar). In febbraio lo schieramento venne posizionato, con un continuo lavoro di addestramento al coordinamento di appoggio interalleato, con alcune piccole incursioni in territorio occupato. Così la mattina del 22 febbraio con un raid di elicotteri vennero distrutti cinque veicoli di cui tre blindati e tre postazioni difensive irachene. Alle 8.05 ora di Parigi del 17 gennaio, l'aviazione francese lanciò la prima missione di guerra con un attacco a bassissima quota alla base di Al Jaber a sud di Kuwait City (dove l'Intelligence riteneva si trovasse anche un deposito di missili Scud B) di due formazioni (“Jupiter 01” e “Jupiter 11”) ciascuna con sei Jaguar; otto velivoli erano armati con bombe a submunizioni BLG 66 Belouga e otto con bombe frenate da 250 kg queste ultime destinate a distruggere i ricoveri degli aerei. Le due formazioni erano scalate di 30 secondi con un profilo di navigazione a bassissima quota. Nel rifornimento in volo dalle piattaforme inerziali di bordo dei C-135FR francesi venne aggiornato come previsto il sistema di navigazione dei Jaguar col punto preciso definito dalle cisterne ma, mentre la prima formazione completò con successo questo passaggio, la seconda

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Un Mirage F.1CR della 33e Escadre equipaggiato con il grosso pod da ricognizione Raphael SLAR. Il sistema venne utilizzato per cartografare le difese irachene prima dell’attacco.

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non riuscì nell'aggiornamento. Il risultato fu che la prima giunse sul bersaglio immediatamente dopo l'attacco degli F-4G Wild Weasel e di una cinquantina di F-16 dell'USAF incontrando una contraerea forte ma che non fece danni significativi, ma la seconda si trovò sulla sinistra della base costretta ad una virata supplementare giungendo sul bersaglio ormai perfettamente preavvisato con un certo ritardo sul TOT (Time On Target) sorvolando oltretutto un posto di comando di divisione particolarmente protetto. Un aereo incassò un colpo di cannone nel carter motore, un altro fu colpito da un SA-7 con conseguente incendio al motore destro e un terzo pilota restò ferito di striscio alla testa da un proiettile di Kalashnikov che trapassò il tettuccio. I due Jaguar danneggiati gravemente (A91 e A104), scesero sulla base americana di Jubaïl e l'A91, che aveva incassato il missile, venne rimandato in patria nel compartimento di carico di un Transall e, dichiarato inutilizzabile, è stato conser vato sulla base di Châteaudun. Altri tre velivoli furono colpiti da armi leggere (A99, A104 e A108). Il giorno seguente, visto il pericolo rappresentato dalla contraerea leggera, la tattica passò all'attacco da 6.000 m in picchiata a 50° con richiamata a 4.000 m e disimpegno con post-combustione e lancio di chaff/flare per coprirsi le spalle. Contemporaneamente i

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AEROFAN | SPECIALE DESERT STORM

primi Mirage 2000-RDI a giungere sul teatro 7 furono quattro aerei della 5e IEscadre di Orange. Nella foto, uno dei velivoli

Mirage 2000 iniziavano le missioni di copertura aerea mentre restavano a terra i Mirage F.1CR per evitare confusione con gli aerei dello stesso tipo che risultavano in servizio nell'Aeronautica Irachena. Dal 20 gennaio le forze aeree francesi passarono sotto il controllo tattico operativo del comandante americano (CENTAF/Central Air Force) pur restando sotto il comando operativo francese. Il 19 e 20 gennaio i Jaguar distrussero un deposito di munizioni a Ras-al-Qlaya a 30 km a sud di Kuwait City e dopo il 23 gennaio si dedicarono ai depositi e ad una base navale con due raid giornalieri usando oltre alle bombe da 250 e 400 kg anche i missili AS-30 Laser. Oltre 60 AS-30L furono lanciati in combattimento ottenendo risultati eccezionali. A partire dal 24 gennaio vennero autorizzati attacchi nel sud dell'Iraq poi estesi al fiume Eufrate ed ai suoi ponti. Così il 25 gennaio i velivoli francesi rivolsero la loro attenzione alla Guardia Repubblicana ed agli attacchi si unirono il 26 anche i Mirage F.1CR fino a quel momento usati solo come ricognitori e utilizzabili con sicurezza essendo scomparsi dalla scena i Mirage F.1 iracheni ormai annientati o fuggiti in Iran. Cessata la necessità di attacco, i Mirage F.1CR, che avevano operato con un carico massimo di quattro bombe da 250 kg ai piloni subalari, tornarono poi al loro ruolo originale di ricognitori il 5 febbraio. Dal 12 febbraio le missioni aria-superficie vennero concentrate sulla prevista zona di attacco a terra della Division Daguet e quello stesso giorno i piloti della FATAC (Force Aérienne TACtique) sganciarono la 1.000ª bomba da 250 kg della Daguet. Da parte loro i Mirage 2000 festeggiarono il 18 febbraio la 1.000ª ora di operazioni sul teatro di operazioni. Il 22 e 23 febbraio

ripreso sul deserto arabo con classico armamento missilistico di due Magic 2 a corto raggio a guida IR e due Super 530D a medio raggio a guida radar.

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Manutenzione di linea su un Mirage 2000C dell’EC 2/5 “Ile de France”; gli specialisti stanno provvedendo alla sostituzione dell’intero gruppo antenna del radar RDI.

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Quando le truppe della Coalizione raggiunsero l’aeroporto di Al Jaber trovarono sparsi sul terreno i gusci ormai vuoti delle bombe BLG 66 Belouga sganciate dai francesi durante i loro attacchi.

a bordo di un C-135FR dell’Armée de l’Air dei feriti 9 nell’esplosioneRimpatrio di due mine in un posto di comando iracheno a As-Salman.

Si trattò del più grave episodio di guerra per il contingente francese che costò la vita di due militari ed il ferimento di altri 23.

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I due Jaguar colpiti dalla contraerea irachena nel primo attacco del 17 gennaio all’aeroporto di Al Jaber ripresi dopo l’atterraggio di emergenza a Jubaïl. In primo piano appare l’esemplare A91 col motore destro semidistrutto da un missile SA-7 e dietro l’A104 che nell’azione incassò un colpo di cannone.


non riuscì nell'aggiornamento. Il risultato fu che la prima giunse sul bersaglio immediatamente dopo l'attacco degli F-4G Wild Weasel e di una cinquantina di F-16 dell'USAF incontrando una contraerea forte ma che non fece danni significativi, ma la seconda si trovò sulla sinistra della base costretta ad una virata supplementare giungendo sul bersaglio ormai perfettamente preavvisato con un certo ritardo sul TOT (Time On Target) sorvolando oltretutto un posto di comando di divisione particolarmente protetto. Un aereo incassò un colpo di cannone nel carter motore, un altro fu colpito da un SA-7 con conseguente incendio al motore destro e un terzo pilota restò ferito di striscio alla testa da un proiettile di Kalashnikov che trapassò il tettuccio. I due Jaguar danneggiati gravemente (A91 e A104), scesero sulla base americana di Jubaïl e l'A91, che aveva incassato il missile, venne rimandato in patria nel compartimento di carico di un Transall e, dichiarato inutilizzabile, è stato conser vato sulla base di Châteaudun. Altri tre velivoli furono colpiti da armi leggere (A99, A104 e A108). Il giorno seguente, visto il pericolo rappresentato dalla contraerea leggera, la tattica passò all'attacco da 6.000 m in picchiata a 50° con richiamata a 4.000 m e disimpegno con post-combustione e lancio di chaff/flare per coprirsi le spalle. Contemporaneamente i

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primi Mirage 2000-RDI a giungere sul teatro 7 furono quattro aerei della 5e IEscadre di Orange. Nella foto, uno dei velivoli

Mirage 2000 iniziavano le missioni di copertura aerea mentre restavano a terra i Mirage F.1CR per evitare confusione con gli aerei dello stesso tipo che risultavano in servizio nell'Aeronautica Irachena. Dal 20 gennaio le forze aeree francesi passarono sotto il controllo tattico operativo del comandante americano (CENTAF/Central Air Force) pur restando sotto il comando operativo francese. Il 19 e 20 gennaio i Jaguar distrussero un deposito di munizioni a Ras-al-Qlaya a 30 km a sud di Kuwait City e dopo il 23 gennaio si dedicarono ai depositi e ad una base navale con due raid giornalieri usando oltre alle bombe da 250 e 400 kg anche i missili AS-30 Laser. Oltre 60 AS-30L furono lanciati in combattimento ottenendo risultati eccezionali. A partire dal 24 gennaio vennero autorizzati attacchi nel sud dell'Iraq poi estesi al fiume Eufrate ed ai suoi ponti. Così il 25 gennaio i velivoli francesi rivolsero la loro attenzione alla Guardia Repubblicana ed agli attacchi si unirono il 26 anche i Mirage F.1CR fino a quel momento usati solo come ricognitori e utilizzabili con sicurezza essendo scomparsi dalla scena i Mirage F.1 iracheni ormai annientati o fuggiti in Iran. Cessata la necessità di attacco, i Mirage F.1CR, che avevano operato con un carico massimo di quattro bombe da 250 kg ai piloni subalari, tornarono poi al loro ruolo originale di ricognitori il 5 febbraio. Dal 12 febbraio le missioni aria-superficie vennero concentrate sulla prevista zona di attacco a terra della Division Daguet e quello stesso giorno i piloti della FATAC (Force Aérienne TACtique) sganciarono la 1.000ª bomba da 250 kg della Daguet. Da parte loro i Mirage 2000 festeggiarono il 18 febbraio la 1.000ª ora di operazioni sul teatro di operazioni. Il 22 e 23 febbraio

ripreso sul deserto arabo con classico armamento missilistico di due Magic 2 a corto raggio a guida IR e due Super 530D a medio raggio a guida radar.

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Manutenzione di linea su un Mirage 2000C dell’EC 2/5 “Ile de France”; gli specialisti stanno provvedendo alla sostituzione dell’intero gruppo antenna del radar RDI.

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Quando le truppe della Coalizione raggiunsero l’aeroporto di Al Jaber trovarono sparsi sul terreno i gusci ormai vuoti delle bombe BLG 66 Belouga sganciate dai francesi durante i loro attacchi.

a bordo di un C-135FR dell’Armée de l’Air dei feriti 9 nell’esplosioneRimpatrio di due mine in un posto di comando iracheno a As-Salman.

Si trattò del più grave episodio di guerra per il contingente francese che costò la vita di due militari ed il ferimento di altri 23.

10

I due Jaguar colpiti dalla contraerea irachena nel primo attacco del 17 gennaio all’aeroporto di Al Jaber ripresi dopo l’atterraggio di emergenza a Jubaïl. In primo piano appare l’esemplare A91 col motore destro semidistrutto da un missile SA-7 e dietro l’A104 che nell’azione incassò un colpo di cannone.


zell F-104

Lo Starfighter a decollo... “quasi” verticale

Giuseppe Lapenta

L

idea di utilizzare aerei che non avessero bisogno di una pista per il decollo

vide i primi tentativi di sviluppo durante la Seconda guerra mondiale in Germania da parte della Luftwaffe che, per contrastare i bombardieri alleati e cercare di mantenere la superiorità aerea, sviluppò progetti di velivoli con radicali innovazioni tecniche.

42

Vai dove ti porta il QuErre. Guarda il video e seguici sul nostro canale YouTube.

L’F-104 ZELL DA+102 durante uno dei primi lanci effettuati sulla base aerea di Edwards.


zell F-104

Lo Starfighter a decollo... “quasi” verticale

Giuseppe Lapenta

L

idea di utilizzare aerei che non avessero bisogno di una pista per il decollo

vide i primi tentativi di sviluppo durante la Seconda guerra mondiale in Germania da parte della Luftwaffe che, per contrastare i bombardieri alleati e cercare di mantenere la superiorità aerea, sviluppò progetti di velivoli con radicali innovazioni tecniche.

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L’F-104 ZELL DA+102 durante uno dei primi lanci effettuati sulla base aerea di Edwards.


1

Il pilota Lothar Sieber riceve le ultime istruzioni dall'ingegnere Erich Bachem. Il 28 febbraio 1945 Sieber volò su un Ba 349A, che venne lanciato dall’area di addestramento militare vicino a Stetten am kalten Markt. A 500 m di quota la cappottina si staccò e il velivolo, giratosi sul dorso, prima salì a 1.500 m, e poi precipitò al suolo uccidendo il pilota.

Tra questi ricordiamo l'Heinkel P.1077, che decollava da una rampa di lancio e atterrava su una slitta al posto del tradizionale carrello di atterraggio, e l'unico caccia intercettore operativo con motore a razzo, il Messerschmitt Me 163 Komet, impiegato senza troppo successo. Un altro interessante progetto fu l'aereo a lancio verticale dotato di propulsione a razzo, il Bachem Ba-349 Natter. Il velivolo, dopo il lancio da una torre verticale, utilizzando razzi ausiliari avrebbe volato verso le formazioni di bombardieri nemici, cercando di abbatterli con una salva di razzi montati nel suo muso. L'aereo e il pilota avrebbero poi

3

44

Un Republic F-84 Thunderjet viene lanciato dalla rampa durante i test del sistema ZELL negli Stati Uniti.

AEROFAN | F-104 ZELL

dovuto usare dei paracadute separati per atterrare dopo la missione. L'unico volo di prova con equipaggio terminò con la morte del pilota collaudatore Lothar Sieber. A metà degli anni '50 la necessità di rispondere ad un eventuale attacco nemico anche nel caso in cui gli aeroporti fossero inagibili, portò al concetto che ogni aereo da caccia potesse decollare nel minor tempo possibile e senza necessità di una pista; in questo senso si progettarono soluzioni per “verticalizzare” il decollo degli aerei. Nel 1955 negli Stati Uniti il primo aereo a decollare in modalità ZELL (ZEro Lenght Launch) con l'ausilio di un razzo fu un F-84G Thunderjet. Il progetto era in realtà lo ZELMAN (Zero Length Launch/Mat Landing) che prevedeva il successivo “appontaggio” senza carrello su un enorme materasso gonfiabile dopo l’ingaggio di un cavo d’arresto. Anche i sovietici compirono esperimenti in tal senso, utilizzando un MiG-19 (rinominato SM-30), il cui primo lancio avvenne nell'aprile 1957. Le motivazioni sovietiche per l'impiego dello ZELL erano diverse in quanto si

2

Il MiG-19 SM-30 con il quale i sovietici esplorarono il concetto del decollo a lunghezza zero.

volevano lanciare intercettatori di difesa aerea da luoghi remoti e da zone di battaglia avanzate. Con lo sviluppo dei più efficaci missili terra-aria i sovietici persero interesse e il progetto rimase solo alla fase di sviluppo iniziale. Nel 1957 iniziarono i primi esperimenti con gli F-100 Super Sabre. L'aereo veniva lanciato da una piattaforma di lancio portatile con un grande razzo booster della Rocketdyne che generava 59.000 kg di spinta per quattro secondi, fornendo un'accelerazione massima di 4 G. Subito dopo il lancio con il booster il Super Sabre raggiungeva una quota di 120 m e una velocità di quasi 450 km/h, fino all'esaurimento della spinta del razzo, per proseguire il volo con il motore a reazione. Un totale di 148 F-100 furono modificati in configurazione ZELL. All'inizio degli anni '60 gli strateghi della NATO erano convinti che, una volta iniziato un conflitto su larga scala tra i paesi dell'Alleanza Atlantica e il Patto di Varsavia, il principale obiettivo di un attacco sarebbero state le basi aeree situate nella Germania occidentale. L'idea alla base del progetto ZELL era dunque quella di impedire, durante la prima ondata di attacchi, la localizzazione e la distruzione del potenziale offensivo di ritorsione della NATO, potendo decentrare gli aeroplani

lontano dagli aeroporti. La strategia di "ritorsione massiccia" della NATO prevedeva che ad ogni attacco all'Alleanza Atlantica dovesse seguire un'estesa azione di contrattacco. Si pensava a una soluzione che garantisse la difesa aerea e il rapido riposizionamento di aerei dotati di armamento nucleare, senza dipendere da piste e infrastrutture aeroportuali, considerate obiettivi troppo vulnerabili. Si iniziò a lavorare sulla tecnica del decollo e atterraggio verticale e questo approccio portò ad aerei come il Dornier Do31 e l'EWR VJ101. L'altra soluzione riguardava la riduzione o l'eliminazione della dipendenza dalle piste aeroportuali. Si studiò inizialmente il lancio con l'ausilio di catapulte SATS (Short Air Field for Tactical Support), un programma di test per il decollo e l'atterraggio su piste corte con l'aiuto di catapulte e ganci di arresto, simili a quelle usate sulle portaerei. Dopo la sua sperimentazione, prima negli Stati Uniti e poi in Germania, il sistema SATS (AAE-44B-2C) portò indirettamente all'introduzione dei dispositivi di arresto a fine pista in caso di interruzione decollo degli F104. I lanci di aerei con razzi erano stati testati sugli F-84G e F100 e si erano rivelati un successo con i bombardieri senza pilota Martin B-61 “Matador”. Così, all'inizio degli anni '60, l'idea del lancio di aerei con razzi aggiuntivi portò la Germania a firmare un contratto con la Lockheed per lo sviluppo del sistema di decollo ZELL sullo Starfighter. La sigla ZELL, indicata anche ZLL, ZLTO e ZEL, identificava un sistema di lancio costituito da una piattaforma t ra s p o r t a b i l e s u c u i ve n i va i n s t a l l a to l ' a e re o,

4

Sulla Edwards AFB il sistema ZELL viene testato su un North American F-100 Super Sabre configurato per un ipotetica rappresaglia nucleare. L’aeroplano trasporta infatti sotto l’ala sinistra il simulacro di una bomba atomica Mk. 7.

appositamente modificato con un razzo supplementare a propellente solido “usa e getta”. Una volta portata a termine la missione, l'aeroplano sarebbe dovuto atterrare su piste preparate aff rettatamente, e perfino su autostrade, equipaggiate con il dispositivo di arresto SATS. Per testare il concetto ZELL negli Stati Uniti venne usato un singolo F-104G, il secondo Starfighter costruito dalla Lockheed per la Luftwaffe (Construction Number 6832002, company model 683-10-19), codice DA+102, poi designato 20+02. Lo Starfighter ZELL subì varie modifiche rispetto alla versione dell'F-104G: oltre all'interruttore di controllo e attivazione del razzo in cockpit, sulla struttura esterna vennero installati i dispositivi di attacco del booster, vari rinforzi alla cellula e un sistema carburante modificato che impediva al JP-4 di fuoriuscire dai serbatoi durante la fase di lancio. Il primo volo e la consegna avvennero nel 1960, ma il programma fu divulgato al pubblico solo nella primavera del 1963. I primi collaudi iniziarono in gran segreto presso la Edwards Air Force Base in California. Prima dei test con un vero F-104, furono utilizzati dei telai d'acciaio riempiti di calcestruzzo, chiamati Iron Crosses o Dummies. Ciò permise di simulare il peso, le dimensioni, il centraggio e i momenti d'inerzia dell'aereo al decollo. Ci furono due fasi di prove, la prima utilizzando 12 Dummies costruiti dalla Lockheed (dal 14 dicembre 1962 al 28 agosto 1963), la seconda con ulteriori 8 Dummies inviati dalla VFW tedesca (dal 18 marzo al 22 luglio 1964). Nell'aprile del 1963 il pilota collaudatore della Lockheed Eldon "Ed" Brown (ex pilota della US Navy) effettuò il primo


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Il pilota Lothar Sieber riceve le ultime istruzioni dall'ingegnere Erich Bachem. Il 28 febbraio 1945 Sieber volò su un Ba 349A, che venne lanciato dall’area di addestramento militare vicino a Stetten am kalten Markt. A 500 m di quota la cappottina si staccò e il velivolo, giratosi sul dorso, prima salì a 1.500 m, e poi precipitò al suolo uccidendo il pilota.

Tra questi ricordiamo l'Heinkel P.1077, che decollava da una rampa di lancio e atterrava su una slitta al posto del tradizionale carrello di atterraggio, e l'unico caccia intercettore operativo con motore a razzo, il Messerschmitt Me 163 Komet, impiegato senza troppo successo. Un altro interessante progetto fu l'aereo a lancio verticale dotato di propulsione a razzo, il Bachem Ba-349 Natter. Il velivolo, dopo il lancio da una torre verticale, utilizzando razzi ausiliari avrebbe volato verso le formazioni di bombardieri nemici, cercando di abbatterli con una salva di razzi montati nel suo muso. L'aereo e il pilota avrebbero poi

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Un Republic F-84 Thunderjet viene lanciato dalla rampa durante i test del sistema ZELL negli Stati Uniti.

AEROFAN | F-104 ZELL

dovuto usare dei paracadute separati per atterrare dopo la missione. L'unico volo di prova con equipaggio terminò con la morte del pilota collaudatore Lothar Sieber. A metà degli anni '50 la necessità di rispondere ad un eventuale attacco nemico anche nel caso in cui gli aeroporti fossero inagibili, portò al concetto che ogni aereo da caccia potesse decollare nel minor tempo possibile e senza necessità di una pista; in questo senso si progettarono soluzioni per “verticalizzare” il decollo degli aerei. Nel 1955 negli Stati Uniti il primo aereo a decollare in modalità ZELL (ZEro Lenght Launch) con l'ausilio di un razzo fu un F-84G Thunderjet. Il progetto era in realtà lo ZELMAN (Zero Length Launch/Mat Landing) che prevedeva il successivo “appontaggio” senza carrello su un enorme materasso gonfiabile dopo l’ingaggio di un cavo d’arresto. Anche i sovietici compirono esperimenti in tal senso, utilizzando un MiG-19 (rinominato SM-30), il cui primo lancio avvenne nell'aprile 1957. Le motivazioni sovietiche per l'impiego dello ZELL erano diverse in quanto si

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Il MiG-19 SM-30 con il quale i sovietici esplorarono il concetto del decollo a lunghezza zero.

volevano lanciare intercettatori di difesa aerea da luoghi remoti e da zone di battaglia avanzate. Con lo sviluppo dei più efficaci missili terra-aria i sovietici persero interesse e il progetto rimase solo alla fase di sviluppo iniziale. Nel 1957 iniziarono i primi esperimenti con gli F-100 Super Sabre. L'aereo veniva lanciato da una piattaforma di lancio portatile con un grande razzo booster della Rocketdyne che generava 59.000 kg di spinta per quattro secondi, fornendo un'accelerazione massima di 4 G. Subito dopo il lancio con il booster il Super Sabre raggiungeva una quota di 120 m e una velocità di quasi 450 km/h, fino all'esaurimento della spinta del razzo, per proseguire il volo con il motore a reazione. Un totale di 148 F-100 furono modificati in configurazione ZELL. All'inizio degli anni '60 gli strateghi della NATO erano convinti che, una volta iniziato un conflitto su larga scala tra i paesi dell'Alleanza Atlantica e il Patto di Varsavia, il principale obiettivo di un attacco sarebbero state le basi aeree situate nella Germania occidentale. L'idea alla base del progetto ZELL era dunque quella di impedire, durante la prima ondata di attacchi, la localizzazione e la distruzione del potenziale offensivo di ritorsione della NATO, potendo decentrare gli aeroplani

lontano dagli aeroporti. La strategia di "ritorsione massiccia" della NATO prevedeva che ad ogni attacco all'Alleanza Atlantica dovesse seguire un'estesa azione di contrattacco. Si pensava a una soluzione che garantisse la difesa aerea e il rapido riposizionamento di aerei dotati di armamento nucleare, senza dipendere da piste e infrastrutture aeroportuali, considerate obiettivi troppo vulnerabili. Si iniziò a lavorare sulla tecnica del decollo e atterraggio verticale e questo approccio portò ad aerei come il Dornier Do31 e l'EWR VJ101. L'altra soluzione riguardava la riduzione o l'eliminazione della dipendenza dalle piste aeroportuali. Si studiò inizialmente il lancio con l'ausilio di catapulte SATS (Short Air Field for Tactical Support), un programma di test per il decollo e l'atterraggio su piste corte con l'aiuto di catapulte e ganci di arresto, simili a quelle usate sulle portaerei. Dopo la sua sperimentazione, prima negli Stati Uniti e poi in Germania, il sistema SATS (AAE-44B-2C) portò indirettamente all'introduzione dei dispositivi di arresto a fine pista in caso di interruzione decollo degli F104. I lanci di aerei con razzi erano stati testati sugli F-84G e F100 e si erano rivelati un successo con i bombardieri senza pilota Martin B-61 “Matador”. Così, all'inizio degli anni '60, l'idea del lancio di aerei con razzi aggiuntivi portò la Germania a firmare un contratto con la Lockheed per lo sviluppo del sistema di decollo ZELL sullo Starfighter. La sigla ZELL, indicata anche ZLL, ZLTO e ZEL, identificava un sistema di lancio costituito da una piattaforma t ra s p o r t a b i l e s u c u i ve n i va i n s t a l l a to l ' a e re o,

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Sulla Edwards AFB il sistema ZELL viene testato su un North American F-100 Super Sabre configurato per un ipotetica rappresaglia nucleare. L’aeroplano trasporta infatti sotto l’ala sinistra il simulacro di una bomba atomica Mk. 7.

appositamente modificato con un razzo supplementare a propellente solido “usa e getta”. Una volta portata a termine la missione, l'aeroplano sarebbe dovuto atterrare su piste preparate aff rettatamente, e perfino su autostrade, equipaggiate con il dispositivo di arresto SATS. Per testare il concetto ZELL negli Stati Uniti venne usato un singolo F-104G, il secondo Starfighter costruito dalla Lockheed per la Luftwaffe (Construction Number 6832002, company model 683-10-19), codice DA+102, poi designato 20+02. Lo Starfighter ZELL subì varie modifiche rispetto alla versione dell'F-104G: oltre all'interruttore di controllo e attivazione del razzo in cockpit, sulla struttura esterna vennero installati i dispositivi di attacco del booster, vari rinforzi alla cellula e un sistema carburante modificato che impediva al JP-4 di fuoriuscire dai serbatoi durante la fase di lancio. Il primo volo e la consegna avvennero nel 1960, ma il programma fu divulgato al pubblico solo nella primavera del 1963. I primi collaudi iniziarono in gran segreto presso la Edwards Air Force Base in California. Prima dei test con un vero F-104, furono utilizzati dei telai d'acciaio riempiti di calcestruzzo, chiamati Iron Crosses o Dummies. Ciò permise di simulare il peso, le dimensioni, il centraggio e i momenti d'inerzia dell'aereo al decollo. Ci furono due fasi di prove, la prima utilizzando 12 Dummies costruiti dalla Lockheed (dal 14 dicembre 1962 al 28 agosto 1963), la seconda con ulteriori 8 Dummies inviati dalla VFW tedesca (dal 18 marzo al 22 luglio 1964). Nell'aprile del 1963 il pilota collaudatore della Lockheed Eldon "Ed" Brown (ex pilota della US Navy) effettuò il primo


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Il pilota collaudatore della Lockheed Eldon "Ed" W. Brown Jr. primo a testare l’F-104G della Luftwa e a Edwards.

Una delle “iron crosses” utilizzate per simulare il comportamento dell’aeroplano durante il decollo.

La prima struttura di lancio utilizzata per i test negli Stati Uniti.

AEROFAN | F-104 ZELL

degli otto decolli con lo Starfighter ZELL DA+102. Al termine del volo, molto soddisfatto, dichiarò: "Tutto quello che ho fatto è stato premere il pulsante di attivazione del razzo. L'aereo ha volato da solo per i primi secondi e poi ho assunto il comando. Sono rimasto sorpreso dalla scorrevolezza, che si è rivelata più fluida di un lancio dalla catapulta a vapore delle portaerei". Sul DA+102 era installato il seggiolino Lockheed C-2, non utilizzabile per l'eiezione durante la prima fase di decollo e all'atterraggio, in quanto non aveva capacità zero-zero, cioè non poteva essere usato anche con aereo fermo. La Lockheed aveva studiato per i lanci ZELL un sistema che prevedeva un razzo estrattore nel paracadute posteriore, che avrebbe dovuto lanciare il pilota abbastanza in alto da permettere l'apertura del paracadute, una soluzione alquanto macchinosa. Dopo le prime prove rimanevano le preoccupazioni circa la controllabilità dell'aereo in caso di vento al traverso durante la fase di decollo. Il velivolo non risultava aerodinamicamente controllabile, era solo stabile dal punto di vista balistico. Questo problema sarebbe stato risolto in una fase successiva di test, così nel 1965 l'aereo fu trasferito in Germania. Venne prima modificato presso la VFW-Lemwerder e arrivò, nel 1966, sulla Base Aerea di Lechfeld in Baviera, sede del JaBo 32. Tra le modifiche effettuate, venne rinforzata la barra di rottura che doveva tenere l'aereo sul telaio di lancio fino al raggiungimento della piena spinta da parte del booster e del motore J79. Sull'aereo apparve il nuovo schema di colorazione “Norm 62” e il nuovo numero di serie DB+127. A Lechfeld, tra il 4 maggio e il 7 giugno 1966, furono effettuati un totale di 11 lanci ZELL, 5 dei quali con i Dummies. Il pilota della Lockheed Ed Brown completò con successo i primi cinque voli ZELL; fu poi il turno del pilota collaudatore tedesco Horst Philipp che ne fece altri due, l'ultimo dei quali avvenne il 12 luglio 1966. Prima di questi ultimi due lanci il velivolo venne equipaggiato con il nuovo seggiolino di lancio Martin Baker GQ-7(A) “zero-zero” in quanto il Lockheed C-2, anche dopo varie modifiche, non era considerato sufficientemente sicuro per l'impiego durante i lanci ZELL. Per le sperimentazioni ZELL la rampa di lancio aveva una direzione di decollo parallela alla pista; la superficie posteriore in calcestruzzo assicurava che i gas di scarico non fossero diretti anteriormente, evitando il rischio di essere risucchiati dal motore. Al centro c'erano dei punti di supporto per il carrello di atterraggio principale e un telaio con una barra di collegamento all'aereo. La procedura di lancio prevedeva che la squadra preparasse il booster separatamente dall'aereo, che doveva essere spinto sopra la rampa di lancio appoggiando sui punti di sollevamento del carrello principale. Dopo i controlli prevolo e il rifornimento di carburante, l'equipaggio agganciava il booster; quest'ultimo era sensibile alla temperatura, che doveva essere mantenuta a 27 °C, e doveva restare avvolto con un tappetino termico, altrimenti si rischiava di ottenere valori di spinta diversi da quelli previsti. La posizione del booster veniva regolato con i teodoliti, in modo che avesse il vettore di spinta posizionato correttamente.

LUG/AGO 2021 | AEROFAN

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Il pilota collaudatore della Lockheed Eldon "Ed" W. Brown Jr. primo a testare l’F-104G della Luftwa e a Edwards.

Una delle “iron crosses” utilizzate per simulare il comportamento dell’aeroplano durante il decollo.

La prima struttura di lancio utilizzata per i test negli Stati Uniti.

AEROFAN | F-104 ZELL

degli otto decolli con lo Starfighter ZELL DA+102. Al termine del volo, molto soddisfatto, dichiarò: "Tutto quello che ho fatto è stato premere il pulsante di attivazione del razzo. L'aereo ha volato da solo per i primi secondi e poi ho assunto il comando. Sono rimasto sorpreso dalla scorrevolezza, che si è rivelata più fluida di un lancio dalla catapulta a vapore delle portaerei". Sul DA+102 era installato il seggiolino Lockheed C-2, non utilizzabile per l'eiezione durante la prima fase di decollo e all'atterraggio, in quanto non aveva capacità zero-zero, cioè non poteva essere usato anche con aereo fermo. La Lockheed aveva studiato per i lanci ZELL un sistema che prevedeva un razzo estrattore nel paracadute posteriore, che avrebbe dovuto lanciare il pilota abbastanza in alto da permettere l'apertura del paracadute, una soluzione alquanto macchinosa. Dopo le prime prove rimanevano le preoccupazioni circa la controllabilità dell'aereo in caso di vento al traverso durante la fase di decollo. Il velivolo non risultava aerodinamicamente controllabile, era solo stabile dal punto di vista balistico. Questo problema sarebbe stato risolto in una fase successiva di test, così nel 1965 l'aereo fu trasferito in Germania. Venne prima modificato presso la VFW-Lemwerder e arrivò, nel 1966, sulla Base Aerea di Lechfeld in Baviera, sede del JaBo 32. Tra le modifiche effettuate, venne rinforzata la barra di rottura che doveva tenere l'aereo sul telaio di lancio fino al raggiungimento della piena spinta da parte del booster e del motore J79. Sull'aereo apparve il nuovo schema di colorazione “Norm 62” e il nuovo numero di serie DB+127. A Lechfeld, tra il 4 maggio e il 7 giugno 1966, furono effettuati un totale di 11 lanci ZELL, 5 dei quali con i Dummies. Il pilota della Lockheed Ed Brown completò con successo i primi cinque voli ZELL; fu poi il turno del pilota collaudatore tedesco Horst Philipp che ne fece altri due, l'ultimo dei quali avvenne il 12 luglio 1966. Prima di questi ultimi due lanci il velivolo venne equipaggiato con il nuovo seggiolino di lancio Martin Baker GQ-7(A) “zero-zero” in quanto il Lockheed C-2, anche dopo varie modifiche, non era considerato sufficientemente sicuro per l'impiego durante i lanci ZELL. Per le sperimentazioni ZELL la rampa di lancio aveva una direzione di decollo parallela alla pista; la superficie posteriore in calcestruzzo assicurava che i gas di scarico non fossero diretti anteriormente, evitando il rischio di essere risucchiati dal motore. Al centro c'erano dei punti di supporto per il carrello di atterraggio principale e un telaio con una barra di collegamento all'aereo. La procedura di lancio prevedeva che la squadra preparasse il booster separatamente dall'aereo, che doveva essere spinto sopra la rampa di lancio appoggiando sui punti di sollevamento del carrello principale. Dopo i controlli prevolo e il rifornimento di carburante, l'equipaggio agganciava il booster; quest'ultimo era sensibile alla temperatura, che doveva essere mantenuta a 27 °C, e doveva restare avvolto con un tappetino termico, altrimenti si rischiava di ottenere valori di spinta diversi da quelli previsti. La posizione del booster veniva regolato con i teodoliti, in modo che avesse il vettore di spinta posizionato correttamente.

LUG/AGO 2021 | AEROFAN

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TORNADO GR.1 AL MUSEO Riceviamo dal nostro lettore Gabriele Montebelli, e volentieri pubblichiamo, alcuni scatti del Tornado GR.1 “Miss Behavin’” esposto presso il National Museum of the United States Air Force a Dayton. L’aeroplano, assegnato al No. 17 Squadron della RAF, ha partecipato a Desert Storm effettuando 33 missioni ed è giunto al museo nell’ottobre del 2002.

2

Miss Behavin’ fotografato nel 2002 al suo arrivo presso il museo di Dayton.

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1

Il Tornado Miss Behavin’ in decollo da Dhahran, in Arabia Saudita, durante l’operazione Desert Storm.

Vai dove ti porta il QuErre. Guarda il video e seguici sul nostro canale YouTube.

4

50

Particolare della “nose art” di Miss Behavin’.

Il Tornado GR.1 nella sua collocazione definitiva all’interno del museo.


TORNADO GR.1 AL MUSEO Riceviamo dal nostro lettore Gabriele Montebelli, e volentieri pubblichiamo, alcuni scatti del Tornado GR.1 “Miss Behavin’” esposto presso il National Museum of the United States Air Force a Dayton. L’aeroplano, assegnato al No. 17 Squadron della RAF, ha partecipato a Desert Storm effettuando 33 missioni ed è giunto al museo nell’ottobre del 2002.

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Miss Behavin’ fotografato nel 2002 al suo arrivo presso il museo di Dayton.

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Il Tornado Miss Behavin’ in decollo da Dhahran, in Arabia Saudita, durante l’operazione Desert Storm.

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Particolare della “nose art” di Miss Behavin’.

Il Tornado GR.1 nella sua collocazione definitiva all’interno del museo.


Fairey

gannet Un cacciatore di sommergibili per le portaerei di Sua Maestà

Luca Parrillo

U

na delle questioni che maggiormente attirò l'attenzione dei

comandi militari britannici durante la Seconda guerra mondiale fu la lotta ai sommergibili tedeschi ed alle loro scorribande lungo l'Atlantico, per il cui co n t ra s to s i r i ve l ò d e te r m i n a n te l'utilizzo di ricognitori aeronavali a lungo raggio. Un conto, però, è individuare una unità nemica, ma ben altra cosa è affondarla, posto che i grandi plurimotori difficilmente riuscivano ad attaccare con precisione i battelli in immersione, se non all'esito di estenuanti inseguimenti.

52

L’imponente aspetto del Fairey Gannet: le semiali si richiudevano a forma di doppia “Z” per ridurre al massimo gli ingombri.


Fairey

gannet Un cacciatore di sommergibili per le portaerei di Sua Maestà

Luca Parrillo

U

na delle questioni che maggiormente attirò l'attenzione dei

comandi militari britannici durante la Seconda guerra mondiale fu la lotta ai sommergibili tedeschi ed alle loro scorribande lungo l'Atlantico, per il cui co n t ra s to s i r i ve l ò d e te r m i n a n te l'utilizzo di ricognitori aeronavali a lungo raggio. Un conto, però, è individuare una unità nemica, ma ben altra cosa è affondarla, posto che i grandi plurimotori difficilmente riuscivano ad attaccare con precisione i battelli in immersione, se non all'esito di estenuanti inseguimenti.

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L’imponente aspetto del Fairey Gannet: le semiali si richiudevano a forma di doppia “Z” per ridurre al massimo gli ingombri.


Per risolvere il problema, nel 1943 venne emessa la specifica O.5/43, che richiedeva giustappunto un velivolo espressamente votato all'assalto a n t i s o m m e rg i b i l e e n e l l e c u i m o re n a cq u e i l monomotore Fairey Spearfish, poi finito nel calderone dei programmi cancellati dalla fine delle ostilità. Terminata la guerra, però, il contrasto ai sottomarini era ancora un argomento irrisolto e si provò a sanarne le lacune con la nuova gara GR.17/45, con cui si chiedeva la costruzione di un apparecchio biposto imbarcato e capace di operare indistintamente con siluri, razzi e cariche di profondità. Al concorso parteciparono solamente tre case costruttrici, cioè la Fairey, con il modello “Type Q” (talora indicato come “Type 17”), la Short, che propose il goffo bimotore SB.3, e la Blackburn, che presentò il progetto Y.A. 5, maggiormente noto in storiografia come B-54. Partendo dal più infelice, ossia lo Short SB.3, questa macchina raccoglieva le ceneri del precedente Short Sturgeon, che era stato presentato al concorso S.6/43, poi sostituito dal bando S.11/43, e che era stato varato per un ricognitore veloce da imbarcare sulla futura portaerei HMS Hermes.

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Essenzialmente, lasciando inalterata la cellula dello Sturgeon, gli ingegneri ne sostituirono i motori con due turbine Armstrong-Siddley Mamba e ne ridisegnarono la sezione anteriore, che fu abnormemente ingrandita per ospitare due operatori radar e la relativa strumentazione. Del bimotore venne completato un solo prototipo (matricola WF632), che fu portato in volo il 12 agosto 1950: collaudato da Tom Brooke-Smith, esso manifestò dei gravissimi limiti di maneggevolezza ed emersero pesanti problematiche attorno all'improvvisata scelta di installare due turbine su un progetto che non era stato concepito per il loro utilizzo. Davanti a tali evenienze, pertanto, il programma venne abbandonato e l'esemplare finì demolito nel 1951. Un discorso più approfondito richiede il concorrente Blackburn Y.A. 5, anche perché fu al centro di una successione di sigle identificative su cui risulta opportuno fare chiarezza. Va detto che in un primo momento i tecnici ipotizzarono di partecipare al concorso ripescando il B48 Firecrest, a sua volta proposto senza successo nel 1947, e di modificarne la struttura per trasformarlo in

bombardiere tattico biposto con un motore a turbina. Data l'enorme diversità concettuale tra il Firecrest, che di fatto era un cacciabombardiere, ed il ruolo a n t i s o m m e r g i b i l e q u i v i r i c h i e s to , i l p i a n o f u rapidamente scartato e venne disegnato un aeroplano completamente nuovo identificato come B-54. L'assaltatore proponeva una linea tradizionale, con un'ampia fusoliera a sezione rettangolare e che ospitava una larga stiva di carico, ed era inoltre munito di ala a “gabbiano rovesciato” ripiegabile in due sezioni per facilitarne lo stivaggio, poi ulteriormente frammentata in tre parti mobili per ridurne maggiormente gli ingombri. Punto debole del modello era l'abitacolo, che era costituito da un unico vano al centro della fusoliera e che, nonostante fosse sormontato da un tettuccio a bolla interamente trasparente, limitava sensibilmente il sottostante campo visivo. Inizialmente venne deciso di motorizzare il Blackburn B-54 con la turbina Napier Double Naiad, ma il relativo sviluppo fu discontinuo ed il primo prototipo venne attrezzato con un Rolls-Royce Griffon 56 da 2.000 hp e con la designazione Y.A. 7: collaudato nel settembre del

1949, l'aeroplano fu al centro di diversi esami ed appontaggi a sulla HMS Illustrious, ma, in sostanza, servì unicamente da banco prova. Nel giugno del 1950 venne approntato una seconda unità, che venne parimenti utilizzata solo per scopi di ricerca con il diverso nome Y.A. 8, poiché, pur essendo spinto ancora una volta dal Rolls-Royce Griffon 56, era triposto. Il cerchio si chiuse con l'arrivo del terzo prototipo, siglato Y.B.1 (B-88 secondo la numerazione interna del costruttore) ed equipaggiato con un propulsore Armstrong-Siddley Double Mamba, cioè un complesso meccanico costituito da due blocchi indipendenti, detti “Single Mamba”, e capaci di erogare complessivamente 2.950 hp di potenza: presentato alle autorità alla fine dell'agosto 1950, tuttavia, il velivolo non ebbe seguito, dato che a quella data era già stato deciso di appoggiare il disegno Fairey. Quest'ultimo, venendo a noi, era il frutto del lavoro di Herbert E. Chaplin e di D.L. Hollis-Williams ed era stato

3

Il Blackburn B-54, nelle sue numerose sigle identificative, fu il concorrente principale del Gannet. In fotografia il modello Y.A.7 temporaneamente equipaggiato con il motore a pistoni Rolls Royce Gri on 56.

Lo Short SB.3 era un derivato improvvisato del bimotore Sturgeon e ai collaudi rivelò delle qualità di volo molto scadenti.

Il primo prototipo del Fairey Gannet: a itto da instabilità longitudinale, il mezzo venne estesamente modificato.

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Per risolvere il problema, nel 1943 venne emessa la specifica O.5/43, che richiedeva giustappunto un velivolo espressamente votato all'assalto a n t i s o m m e rg i b i l e e n e l l e c u i m o re n a cq u e i l monomotore Fairey Spearfish, poi finito nel calderone dei programmi cancellati dalla fine delle ostilità. Terminata la guerra, però, il contrasto ai sottomarini era ancora un argomento irrisolto e si provò a sanarne le lacune con la nuova gara GR.17/45, con cui si chiedeva la costruzione di un apparecchio biposto imbarcato e capace di operare indistintamente con siluri, razzi e cariche di profondità. Al concorso parteciparono solamente tre case costruttrici, cioè la Fairey, con il modello “Type Q” (talora indicato come “Type 17”), la Short, che propose il goffo bimotore SB.3, e la Blackburn, che presentò il progetto Y.A. 5, maggiormente noto in storiografia come B-54. Partendo dal più infelice, ossia lo Short SB.3, questa macchina raccoglieva le ceneri del precedente Short Sturgeon, che era stato presentato al concorso S.6/43, poi sostituito dal bando S.11/43, e che era stato varato per un ricognitore veloce da imbarcare sulla futura portaerei HMS Hermes.

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Essenzialmente, lasciando inalterata la cellula dello Sturgeon, gli ingegneri ne sostituirono i motori con due turbine Armstrong-Siddley Mamba e ne ridisegnarono la sezione anteriore, che fu abnormemente ingrandita per ospitare due operatori radar e la relativa strumentazione. Del bimotore venne completato un solo prototipo (matricola WF632), che fu portato in volo il 12 agosto 1950: collaudato da Tom Brooke-Smith, esso manifestò dei gravissimi limiti di maneggevolezza ed emersero pesanti problematiche attorno all'improvvisata scelta di installare due turbine su un progetto che non era stato concepito per il loro utilizzo. Davanti a tali evenienze, pertanto, il programma venne abbandonato e l'esemplare finì demolito nel 1951. Un discorso più approfondito richiede il concorrente Blackburn Y.A. 5, anche perché fu al centro di una successione di sigle identificative su cui risulta opportuno fare chiarezza. Va detto che in un primo momento i tecnici ipotizzarono di partecipare al concorso ripescando il B48 Firecrest, a sua volta proposto senza successo nel 1947, e di modificarne la struttura per trasformarlo in

bombardiere tattico biposto con un motore a turbina. Data l'enorme diversità concettuale tra il Firecrest, che di fatto era un cacciabombardiere, ed il ruolo a n t i s o m m e r g i b i l e q u i v i r i c h i e s to , i l p i a n o f u rapidamente scartato e venne disegnato un aeroplano completamente nuovo identificato come B-54. L'assaltatore proponeva una linea tradizionale, con un'ampia fusoliera a sezione rettangolare e che ospitava una larga stiva di carico, ed era inoltre munito di ala a “gabbiano rovesciato” ripiegabile in due sezioni per facilitarne lo stivaggio, poi ulteriormente frammentata in tre parti mobili per ridurne maggiormente gli ingombri. Punto debole del modello era l'abitacolo, che era costituito da un unico vano al centro della fusoliera e che, nonostante fosse sormontato da un tettuccio a bolla interamente trasparente, limitava sensibilmente il sottostante campo visivo. Inizialmente venne deciso di motorizzare il Blackburn B-54 con la turbina Napier Double Naiad, ma il relativo sviluppo fu discontinuo ed il primo prototipo venne attrezzato con un Rolls-Royce Griffon 56 da 2.000 hp e con la designazione Y.A. 7: collaudato nel settembre del

1949, l'aeroplano fu al centro di diversi esami ed appontaggi a sulla HMS Illustrious, ma, in sostanza, servì unicamente da banco prova. Nel giugno del 1950 venne approntato una seconda unità, che venne parimenti utilizzata solo per scopi di ricerca con il diverso nome Y.A. 8, poiché, pur essendo spinto ancora una volta dal Rolls-Royce Griffon 56, era triposto. Il cerchio si chiuse con l'arrivo del terzo prototipo, siglato Y.B.1 (B-88 secondo la numerazione interna del costruttore) ed equipaggiato con un propulsore Armstrong-Siddley Double Mamba, cioè un complesso meccanico costituito da due blocchi indipendenti, detti “Single Mamba”, e capaci di erogare complessivamente 2.950 hp di potenza: presentato alle autorità alla fine dell'agosto 1950, tuttavia, il velivolo non ebbe seguito, dato che a quella data era già stato deciso di appoggiare il disegno Fairey. Quest'ultimo, venendo a noi, era il frutto del lavoro di Herbert E. Chaplin e di D.L. Hollis-Williams ed era stato

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Il Blackburn B-54, nelle sue numerose sigle identificative, fu il concorrente principale del Gannet. In fotografia il modello Y.A.7 temporaneamente equipaggiato con il motore a pistoni Rolls Royce Gri on 56.

Lo Short SB.3 era un derivato improvvisato del bimotore Sturgeon e ai collaudi rivelò delle qualità di volo molto scadenti.

Il primo prototipo del Fairey Gannet: a itto da instabilità longitudinale, il mezzo venne estesamente modificato.

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sigle identificative ECM 4 ed ECM 6. Ormai obsoleto e superato, negli anni ‘60 il Gannet venne progressivamente ritirato dal servizio o relegato a compiti di collegamento, mentre il ruolo di antisommergibile fu affidato all'elicottero. Discorso a parte richiede la veloce narrazione del Fairey Gannet AEW.3, nato nel 1953 al fine di tradurne l'operatività anche nel supporto tattico tout court. Le origini di questa variante evolutiva risalgono alla scelta di utilizzare l'aeroplano come vedetta per la flotta al precipuo fine di fornire alla nave ammiraglia delle costanti indicazioni di quanto succedeva nelle acque circostanti.

60

AEROFAN | FAIREY GANNET

Si trattava del cosiddetto “Airborne Early Warning”, secondo cui il Gannet, sfruttando un impianto radar dall'ampio raggio d'azione, avrebbe dovuto tenere sotto controllo le zone limitrofe alla flotta segnalando la presenza di vascelli nemici in avvicinamento e coordinando i movimenti di risposta. Nacque in questo modo il Fairey Gannet AEW.3, ossia un cugino del Gannet originario, dal quale, pur mantenendone il nome, si differenziava per una nutrita serie di modifiche tecnico-strutturali. In particolare, per ospitare il grosso radar di bordo, collocato a fungo sul ventre della fusoliera, si dovette chiudere la stiva e snellire l'aerodinamica, che a sua volta

7

8

Un Gannet AS.4 dell'810 Sqn. durante un’esposizione del 1960.

9

Un Gannet in decollo dalla portaerei australiana HMAS Melbourne.

Fairey Gannet australiano XA403 incidentato nel luglio 1961 sulla HMAS Melbourne.

ricevette un nuovo impennaggio verticale del timone a forma quadrangolare. Fu poi necessario rimodulare anche la sistemazione dell'equipaggio, ora composto da un pilota e due operatori elettronici, i cui abitacoli dorsali erano stati rimossi ed integralmente annegati dentro la fusoliera, che venne ritagliata con degli appositi portelloni di accesso laterali. Del nuovo mezzo venne ordinato il solo prototipo XJ440, che fu portato in volo il 20 agosto 1958 e che fu

10

Uno dei Fairey Gannet in organico all'831 Sqn. convertito per il ruolo di contromisure elettroniche.

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sigle identificative ECM 4 ed ECM 6. Ormai obsoleto e superato, negli anni ‘60 il Gannet venne progressivamente ritirato dal servizio o relegato a compiti di collegamento, mentre il ruolo di antisommergibile fu affidato all'elicottero. Discorso a parte richiede la veloce narrazione del Fairey Gannet AEW.3, nato nel 1953 al fine di tradurne l'operatività anche nel supporto tattico tout court. Le origini di questa variante evolutiva risalgono alla scelta di utilizzare l'aeroplano come vedetta per la flotta al precipuo fine di fornire alla nave ammiraglia delle costanti indicazioni di quanto succedeva nelle acque circostanti.

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Si trattava del cosiddetto “Airborne Early Warning”, secondo cui il Gannet, sfruttando un impianto radar dall'ampio raggio d'azione, avrebbe dovuto tenere sotto controllo le zone limitrofe alla flotta segnalando la presenza di vascelli nemici in avvicinamento e coordinando i movimenti di risposta. Nacque in questo modo il Fairey Gannet AEW.3, ossia un cugino del Gannet originario, dal quale, pur mantenendone il nome, si differenziava per una nutrita serie di modifiche tecnico-strutturali. In particolare, per ospitare il grosso radar di bordo, collocato a fungo sul ventre della fusoliera, si dovette chiudere la stiva e snellire l'aerodinamica, che a sua volta

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Un Gannet AS.4 dell'810 Sqn. durante un’esposizione del 1960.

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Un Gannet in decollo dalla portaerei australiana HMAS Melbourne.

Fairey Gannet australiano XA403 incidentato nel luglio 1961 sulla HMAS Melbourne.

ricevette un nuovo impennaggio verticale del timone a forma quadrangolare. Fu poi necessario rimodulare anche la sistemazione dell'equipaggio, ora composto da un pilota e due operatori elettronici, i cui abitacoli dorsali erano stati rimossi ed integralmente annegati dentro la fusoliera, che venne ritagliata con degli appositi portelloni di accesso laterali. Del nuovo mezzo venne ordinato il solo prototipo XJ440, che fu portato in volo il 20 agosto 1958 e che fu

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Uno dei Fairey Gannet in organico all'831 Sqn. convertito per il ruolo di contromisure elettroniche.

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Gli occhi della

nasa Gli apparecchi foto/cine/video del programma spaziale americano Luciano Pontolillo

C

ome abbiamo potuto rivivere le grandi conquiste

Dave Scott, comandante dell’Apollo 15, a bordo del Lunar Roving Vehicle. L'astronauta è equipaggiato con un’apparecchio fotografico Hasselblad 500EL fissato alla tuta spaziale con una speciale imbracatura. Sul Rover sono fissate una cinepresa Maurer da 16 mm, davanti a Scott, e una Westinghouse Lunar Color Camera in corrispondenza della ruota anteriore destra.

Vai dove ti porta il QuErre. Guarda il video e seguici sul nostro canale YouTube.

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Gli occhi della

nasa Gli apparecchi foto/cine/video del programma spaziale americano Luciano Pontolillo

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ome abbiamo potuto rivivere le grandi conquiste

Dave Scott, comandante dell’Apollo 15, a bordo del Lunar Roving Vehicle. L'astronauta è equipaggiato con un’apparecchio fotografico Hasselblad 500EL fissato alla tuta spaziale con una speciale imbracatura. Sul Rover sono fissate una cinepresa Maurer da 16 mm, davanti a Scott, e una Westinghouse Lunar Color Camera in corrispondenza della ruota anteriore destra.

Vai dove ti porta il QuErre. Guarda il video e seguici sul nostro canale YouTube.

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L’astronauta Walter Schirra mostra ad alcuni colleghi la prima Hasselblad da lui modificata per l’impiego nello spazio. Sul tavolo è visibile una comune Hasselblad 500C.

Due apparecchi utilizzati sul volo orbitale Gemini 3 del 1965. A sinistra, una fotocamera sequenziale McDonnell da 16mm con obiettivo Kodak da 25mm f/1.9. A destra, una fotocamera Hasselblad modificata, con magazzino da 70mm e obiettivo Zeiss Planar 80mm f/2.8, alla quale è stato rimosso il mirino a pozzetto sostituito con una piastra avvitata alla parte superiore dell’apparecchio.

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AEROFAN | GLI OCCHI DELLA NASA

All'inizio degli anni '60 l'allora sconosciuto astronauta Walter Schirra entrò in un negozio di forniture fotografiche a Houston e acquistò una Hasselblad 500C dotata di obiettivo Zeiss Planar da 80 mm, con l'idea di portarla con sé nello Spazio. Le caratteristiche principali delle macchine fotografiche Hasselblad, prodotte in Svezia, erano il formato quadrato del fotogramma (6x6 cm, ben 4 volte superiore al normale formato 35mm), l'elevatissima qualità delle ottiche realizzate dalla Zeiss e la peculiarità di poter sostituire l'intera parte posteriore dell'apparecchio, contenente la pellicola, durante le riprese fotografiche, passando quindi da un tipo di pellicola ad un altro secondo le necessità. Queste caratteristiche avrebbero determinato il futuro successo delle Hasselblad nell'impiego spaziale. La prima “Hasselblad spaziale” fu modificata da Schirra togliendo le parti in similpelle dal corpo macchina di alluminio; l'astronauta dipinse poi l'apparecchio con una vernice nera per eliminare possibili riflessi di luce. Il 3 ottobre 1962 Schirra, a bordo della capsula Mercury “Sigma 7”, scattò le prime fotografie spaziali della Storia. Gli ingegneri della NASA erano letteralmente ossessionati dai carichi a bordo delle navicelle spaziali, e certamente un apparecchio fotografico per un tecnico era qualcosa di completamente inutile al fine della missione primaria ma, nonostante ciò, dopo le preoccupazioni iniziali la NASA comprese l'enorme ritorno di immagine della fotografia spaziale e così l'incontro casuale con l'universo Hasselblad divenne una collaborazione pluridecennale mentre gli apparecchi fotografici della piccola ditta svedese, man mano modificati per adattarsi alle varie missioni spaziali, accompagnarono gli astronauti fin sulla Luna. Soprannominate “Hassies”, queste fotocamere

presentavano una serie di modifiche dettate dal tipo di utilizzo e dall'ambiente molto particolare cui erano destinate: le prime montavano i consueti magazzini porta pellicola formato 120 o 220 in grado di scattare rispettivamente 12 o 24 fotogrammi 6x6 cm ma, con l'avvio del programma Apollo e in vista dello sbarco sulla Luna, le Hassies vennero equipaggiate con magazzini modificati caricati con pellicole Kodak a doppia perforazione da 70 mm che consentivano di scattare fino a 160 immagini a colori o fino a 200 in bianco e nero, sempre nel formato 6x6 cm; la manovella di ricarica manuale venne sostituita da un “winder”, un motore che permetteva alla pellicola di avanzare automaticamente sul fotogramma successivo dopo ogni scatto, mentre venne soppresso il mirino ottico e venne aggiunta un'impugnatura con un grilletto collegato al pulsante di scatto per facilitare le operazioni agli astronauti, ostacolati nei movimenti dalle ingombrati tute spaziali e dai grossi guanti protettivi. Le Hassies avevano una finitura decisamente più “grezza” delle Hasselblad commerciali, senza inserti in similpelle e altri orpelli che nello Spazio non avrebbero aggiunto nulla alla qualità tecnica degli apparecchi. Grazie a queste macchine fotografiche McDivitt potè immortalare la passeggiata spaziale di Ed White durante la missione Gemini 4, mentre l'equipaggio dell'Apollo 10 fotografò la Terra da oltre 150.000 km di distanza mostrando per la prima volta il nostro pianeta nella sua interezza. A partire dalla missione Apollo 11, le Hassies sbarcarono sulla Luna; la dotazione a disposizione di Armstrong, Aldrin e Collins era costituita da tre apparecchi Hasselblad 500EL. Due erano identici a quelli imbarcati per le missioni Apollo 8, 9 e 10 mentre il terzo, chiamato Data Camera, era quello da utilizzare specificamente sulla superficie lunare. Ogni

apparecchio montava solitamente un obiettivo Zeiss Planar 80 mm f/2.8, inoltre gli astronauti avevano a disposizione due teleobiettivi Zeiss, un Sonnar 250 mm f/5.6 e un Tessar 500 mm f/8, quest'ultimo da utilizzarsi per fotografare particolari geologici interessanti. Una delle due Hasselblad 500EL convenzionali, insieme a due magazzini porta pellicola di riserva, si trovava nel modulo di comando, mentre l'altra 500EL e la Data Camera erano collocate nel modulo lunare insieme ad altri due ulteriori magazzini di scorta. La Data Camera era una comune 500EL che differiva dalle altre in alcuni particolari, primo fra tutti la cosiddetta

3

4

La foto che John Glenn dichiarò essere il primo scatto della Terra eseguito con fotocamera a mano, sopra l’Africa del Nord, il 20 febbraio 1962. Glenn portò a bordo della capsula “Friendship 7” due Hi-Matic Minolta con attivazione dell’otturatore e di avanzamento pellicola modello “a pistola”, una delle quali adattata per la fotografia spettrografica UV.

Durante la missione Gemini 4 oltre ad un apparecchio fotografico Hasselblad, con il quale McDivitt realizzò tutte le immagini della prima EVA statunitense da parte di Ed White, venne sperimentato il sistema di controllo Hand Held Maneuvering Unit, dotato tra l’altro di un apparecchio fotografico Zeiss Contarex 35mm.


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L’astronauta Walter Schirra mostra ad alcuni colleghi la prima Hasselblad da lui modificata per l’impiego nello spazio. Sul tavolo è visibile una comune Hasselblad 500C.

Due apparecchi utilizzati sul volo orbitale Gemini 3 del 1965. A sinistra, una fotocamera sequenziale McDonnell da 16mm con obiettivo Kodak da 25mm f/1.9. A destra, una fotocamera Hasselblad modificata, con magazzino da 70mm e obiettivo Zeiss Planar 80mm f/2.8, alla quale è stato rimosso il mirino a pozzetto sostituito con una piastra avvitata alla parte superiore dell’apparecchio.

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All'inizio degli anni '60 l'allora sconosciuto astronauta Walter Schirra entrò in un negozio di forniture fotografiche a Houston e acquistò una Hasselblad 500C dotata di obiettivo Zeiss Planar da 80 mm, con l'idea di portarla con sé nello Spazio. Le caratteristiche principali delle macchine fotografiche Hasselblad, prodotte in Svezia, erano il formato quadrato del fotogramma (6x6 cm, ben 4 volte superiore al normale formato 35mm), l'elevatissima qualità delle ottiche realizzate dalla Zeiss e la peculiarità di poter sostituire l'intera parte posteriore dell'apparecchio, contenente la pellicola, durante le riprese fotografiche, passando quindi da un tipo di pellicola ad un altro secondo le necessità. Queste caratteristiche avrebbero determinato il futuro successo delle Hasselblad nell'impiego spaziale. La prima “Hasselblad spaziale” fu modificata da Schirra togliendo le parti in similpelle dal corpo macchina di alluminio; l'astronauta dipinse poi l'apparecchio con una vernice nera per eliminare possibili riflessi di luce. Il 3 ottobre 1962 Schirra, a bordo della capsula Mercury “Sigma 7”, scattò le prime fotografie spaziali della Storia. Gli ingegneri della NASA erano letteralmente ossessionati dai carichi a bordo delle navicelle spaziali, e certamente un apparecchio fotografico per un tecnico era qualcosa di completamente inutile al fine della missione primaria ma, nonostante ciò, dopo le preoccupazioni iniziali la NASA comprese l'enorme ritorno di immagine della fotografia spaziale e così l'incontro casuale con l'universo Hasselblad divenne una collaborazione pluridecennale mentre gli apparecchi fotografici della piccola ditta svedese, man mano modificati per adattarsi alle varie missioni spaziali, accompagnarono gli astronauti fin sulla Luna. Soprannominate “Hassies”, queste fotocamere

presentavano una serie di modifiche dettate dal tipo di utilizzo e dall'ambiente molto particolare cui erano destinate: le prime montavano i consueti magazzini porta pellicola formato 120 o 220 in grado di scattare rispettivamente 12 o 24 fotogrammi 6x6 cm ma, con l'avvio del programma Apollo e in vista dello sbarco sulla Luna, le Hassies vennero equipaggiate con magazzini modificati caricati con pellicole Kodak a doppia perforazione da 70 mm che consentivano di scattare fino a 160 immagini a colori o fino a 200 in bianco e nero, sempre nel formato 6x6 cm; la manovella di ricarica manuale venne sostituita da un “winder”, un motore che permetteva alla pellicola di avanzare automaticamente sul fotogramma successivo dopo ogni scatto, mentre venne soppresso il mirino ottico e venne aggiunta un'impugnatura con un grilletto collegato al pulsante di scatto per facilitare le operazioni agli astronauti, ostacolati nei movimenti dalle ingombrati tute spaziali e dai grossi guanti protettivi. Le Hassies avevano una finitura decisamente più “grezza” delle Hasselblad commerciali, senza inserti in similpelle e altri orpelli che nello Spazio non avrebbero aggiunto nulla alla qualità tecnica degli apparecchi. Grazie a queste macchine fotografiche McDivitt potè immortalare la passeggiata spaziale di Ed White durante la missione Gemini 4, mentre l'equipaggio dell'Apollo 10 fotografò la Terra da oltre 150.000 km di distanza mostrando per la prima volta il nostro pianeta nella sua interezza. A partire dalla missione Apollo 11, le Hassies sbarcarono sulla Luna; la dotazione a disposizione di Armstrong, Aldrin e Collins era costituita da tre apparecchi Hasselblad 500EL. Due erano identici a quelli imbarcati per le missioni Apollo 8, 9 e 10 mentre il terzo, chiamato Data Camera, era quello da utilizzare specificamente sulla superficie lunare. Ogni

apparecchio montava solitamente un obiettivo Zeiss Planar 80 mm f/2.8, inoltre gli astronauti avevano a disposizione due teleobiettivi Zeiss, un Sonnar 250 mm f/5.6 e un Tessar 500 mm f/8, quest'ultimo da utilizzarsi per fotografare particolari geologici interessanti. Una delle due Hasselblad 500EL convenzionali, insieme a due magazzini porta pellicola di riserva, si trovava nel modulo di comando, mentre l'altra 500EL e la Data Camera erano collocate nel modulo lunare insieme ad altri due ulteriori magazzini di scorta. La Data Camera era una comune 500EL che differiva dalle altre in alcuni particolari, primo fra tutti la cosiddetta

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La foto che John Glenn dichiarò essere il primo scatto della Terra eseguito con fotocamera a mano, sopra l’Africa del Nord, il 20 febbraio 1962. Glenn portò a bordo della capsula “Friendship 7” due Hi-Matic Minolta con attivazione dell’otturatore e di avanzamento pellicola modello “a pistola”, una delle quali adattata per la fotografia spettrografica UV.

Durante la missione Gemini 4 oltre ad un apparecchio fotografico Hasselblad, con il quale McDivitt realizzò tutte le immagini della prima EVA statunitense da parte di Ed White, venne sperimentato il sistema di controllo Hand Held Maneuvering Unit, dotato tra l’altro di un apparecchio fotografico Zeiss Contarex 35mm.


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9 giugno 1966. L'astronauta Thomas Sta ord 5-6fotografato dal collega Eugene Cernan accanto alla fotocamera

Maurer da 16mm, visibile vicino all’oblò della navicella, utilizzata per documentare il rendez-vous programmato con il bersaglio Agena durante la missione Gemini 9. Nonostante la missione si fosse risolta come un parziale fallimento a causa di un malfunzionamento della copertura del bersaglio Agena che impedì l’aggancio con la Gemini, Cernan compì una EVA (Extra Vehicular Activity) di oltre due ore, immortalato dall’Hasselblad di Sta ord.

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AEROFAN | GLI OCCHI DELLA NASA

piastra Reseau. Si trattava di un vetro di registro montato sul retro del corpo macchina, estremamente vicino al piano focale, sul quale erano state incise alcune croci per formare una griglia. Le intersezioni erano distanti tra loro 10 mm ed erano accuratamente calibrate con una tolleranza di 0,002 mm. Ad eccezione della croce centrale più grande, le altre misuravano 1 mm di lunghezza. Le croci, rimanendo impresse su ogni fotogramma, fornivano un mezzo di misurazione accurato per determinare le distanze angolari tra gli oggetti nel campo visivo. Rifinita completamente in color argento per renderla più resistente alle grandi escursioni termiche spaziali aiutando a mantenere una temperatura interna più uniforme, la Data Camera era equipaggiata con un nuovo obiettivo Zeiss, il Biogon 60 mm f/5.6, appositamente sviluppato per

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11 novembre 1966. L’astronauta Edwin E. Aldrin Jr., pilota della Gemini 12, realizza il primo “space selfie” della Storia durante l’attività extraveicolare seguita al rendez-vous con il bersaglio Agena. La fotografia è stata probabilmente realizzata con la Maurer da 16 mm.

L'astronauta Russell L. Schweickart, pilota del modulo lunare, durante la sua attività extraveicolare il quarto giorno della missione orbitale terrestre Apollo 9. La fotografia è stata scattata da David Scott, pilota del modulo di comando. Schweickart è equipaggiato con una fotocamera Hasselblad caricata con pellicola Ektachrome da 70 mm e obiettivo standard da 80 mm. L’Hasselblad ha già un’impugnatura dotata di grilletto simile a quelle che verranno utilizzate per le missioni lunari ma ha ancora il caricamento della pellicola manuale tramite la manovella visibile sulla destra dell’apparecchio.

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9 giugno 1966. L'astronauta Thomas Sta ord 5-6fotografato dal collega Eugene Cernan accanto alla fotocamera

Maurer da 16mm, visibile vicino all’oblò della navicella, utilizzata per documentare il rendez-vous programmato con il bersaglio Agena durante la missione Gemini 9. Nonostante la missione si fosse risolta come un parziale fallimento a causa di un malfunzionamento della copertura del bersaglio Agena che impedì l’aggancio con la Gemini, Cernan compì una EVA (Extra Vehicular Activity) di oltre due ore, immortalato dall’Hasselblad di Sta ord.

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piastra Reseau. Si trattava di un vetro di registro montato sul retro del corpo macchina, estremamente vicino al piano focale, sul quale erano state incise alcune croci per formare una griglia. Le intersezioni erano distanti tra loro 10 mm ed erano accuratamente calibrate con una tolleranza di 0,002 mm. Ad eccezione della croce centrale più grande, le altre misuravano 1 mm di lunghezza. Le croci, rimanendo impresse su ogni fotogramma, fornivano un mezzo di misurazione accurato per determinare le distanze angolari tra gli oggetti nel campo visivo. Rifinita completamente in color argento per renderla più resistente alle grandi escursioni termiche spaziali aiutando a mantenere una temperatura interna più uniforme, la Data Camera era equipaggiata con un nuovo obiettivo Zeiss, il Biogon 60 mm f/5.6, appositamente sviluppato per

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11 novembre 1966. L’astronauta Edwin E. Aldrin Jr., pilota della Gemini 12, realizza il primo “space selfie” della Storia durante l’attività extraveicolare seguita al rendez-vous con il bersaglio Agena. La fotografia è stata probabilmente realizzata con la Maurer da 16 mm.

L'astronauta Russell L. Schweickart, pilota del modulo lunare, durante la sua attività extraveicolare il quarto giorno della missione orbitale terrestre Apollo 9. La fotografia è stata scattata da David Scott, pilota del modulo di comando. Schweickart è equipaggiato con una fotocamera Hasselblad caricata con pellicola Ektachrome da 70 mm e obiettivo standard da 80 mm. L’Hasselblad ha già un’impugnatura dotata di grilletto simile a quelle che verranno utilizzate per le missioni lunari ma ha ancora il caricamento della pellicola manuale tramite la manovella visibile sulla destra dell’apparecchio.

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La Maurer Data Acquisition Camera utilizzata durante la missione Apollo 11 è “ricomparsa” sulla Terra nel 2012, dopo la morte di Neil Armstrong, quando la moglie ha scoperto una borsa bianca contenente 17 cimeli, tra i quali appunto la DAC, conservati dal marito all’insaputa di tutti dal 1969.

AEROFAN | GLI OCCHI DELLA NASA

23 aprile 1972, missione Apollo 16. L’Ascent Module del LEM "Orion” accende il motore ripreso dalla telecamera montata sul Lunar Roving Vehicle. Controllata a distanza dal Mission Control Center della NASA a Houston, la telecamera permise per la prima volta di osservare da Terra il decollo del LEM.

venne staccata e montata su un treppiede a poca distanza dal LEM per mostrare i progressi delle attività extra veicolari. La LTC venne utilizzata per la sola missione Apollo 11 e solo sulla superficie lunare, anche se venne imbarcata come telecamera di riserva su Apollo 13 e 14. Utilizzata su Apollo 12 e 14, la Westinghouse Lunar Color Camera era montata sul LEM all'interno del Modularized Equipment Storage Assembly, esattamente come la LTC dell'Apollo 11, e prevedeva lo stesso impiego con in più però la possibilità di trasmettere immagini a colori. Sfortunatamente, durante la missione Apollo 12 che segnò il debutto della telecamera sulla luna, l'astronauta Alan Bean puntò inavvertitamente l'obiettivo verso il Sole mentre si preparava a montarla sul treppiede. Questa azione provocò un sovraccarico rendendo la telecamera inutilizzabile per il resto della missione. Durante la missione Apollo 14 invece, nonostante alcuni problemi di luminosità e contrasto dell'immagine, la LCC funzionò abbastanza bene. Una LCC venne infine utilizzata a bordo del Lunar Roving Vehicle durante le ultime tre missioni lunari.

13 dicembre 1972, missione Apollo 17. L'astronauta Eugene Cernan, comandante dell’ultima missione Apollo, si avvicina al Lunar Roving Vehicle. In primo piano, a sinistra, è visibile la telecamera a colori montata sul rover, che ci ha regalato le ultime immagini dell’Uomo sulla Luna. Almeno fino ad oggi...


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La Maurer Data Acquisition Camera utilizzata durante la missione Apollo 11 è “ricomparsa” sulla Terra nel 2012, dopo la morte di Neil Armstrong, quando la moglie ha scoperto una borsa bianca contenente 17 cimeli, tra i quali appunto la DAC, conservati dal marito all’insaputa di tutti dal 1969.

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23 aprile 1972, missione Apollo 16. L’Ascent Module del LEM "Orion” accende il motore ripreso dalla telecamera montata sul Lunar Roving Vehicle. Controllata a distanza dal Mission Control Center della NASA a Houston, la telecamera permise per la prima volta di osservare da Terra il decollo del LEM.

venne staccata e montata su un treppiede a poca distanza dal LEM per mostrare i progressi delle attività extra veicolari. La LTC venne utilizzata per la sola missione Apollo 11 e solo sulla superficie lunare, anche se venne imbarcata come telecamera di riserva su Apollo 13 e 14. Utilizzata su Apollo 12 e 14, la Westinghouse Lunar Color Camera era montata sul LEM all'interno del Modularized Equipment Storage Assembly, esattamente come la LTC dell'Apollo 11, e prevedeva lo stesso impiego con in più però la possibilità di trasmettere immagini a colori. Sfortunatamente, durante la missione Apollo 12 che segnò il debutto della telecamera sulla luna, l'astronauta Alan Bean puntò inavvertitamente l'obiettivo verso il Sole mentre si preparava a montarla sul treppiede. Questa azione provocò un sovraccarico rendendo la telecamera inutilizzabile per il resto della missione. Durante la missione Apollo 14 invece, nonostante alcuni problemi di luminosità e contrasto dell'immagine, la LCC funzionò abbastanza bene. Una LCC venne infine utilizzata a bordo del Lunar Roving Vehicle durante le ultime tre missioni lunari.

13 dicembre 1972, missione Apollo 17. L'astronauta Eugene Cernan, comandante dell’ultima missione Apollo, si avvicina al Lunar Roving Vehicle. In primo piano, a sinistra, è visibile la telecamera a colori montata sul rover, che ci ha regalato le ultime immagini dell’Uomo sulla Luna. Almeno fino ad oggi...


flying legends by Luckyplane

Gino Pizzati

dalla regia all’anr vivi la storia sulla tua pelle!

Storie di guerra di un aviatore veneto polo SORCI VERDI

Roberto Cimarosti

polo FEAR THE BONES

scopri di più su:

polo SF-260AM

www.flying legends.it

polo OMINO ELETTRICO

A

M i r a , u n a cittadina posta lungo la Riviera del Brenta a metà strada tra Venezia e Padova, poco dopo la fine della Grande Guerra e precisamente il 20 dicembre 1919, nasce Gino Pizzati che nel mirese diverrà un noto imprenditore tessile dando vita insieme alla moglie alla Daina Confezioni, un'azienda con più di 150 dipendenti.

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A

M i r a , u n a cittadina posta lungo la Riviera del Brenta a metà strada tra Venezia e Padova, poco dopo la fine della Grande Guerra e precisamente il 20 dicembre 1919, nasce Gino Pizzati che nel mirese diverrà un noto imprenditore tessile dando vita insieme alla moglie alla Daina Confezioni, un'azienda con più di 150 dipendenti.

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Gino fin da giovane è attratto dal volo, tanto che durante i campi estivi della Gioventù Italiana del Littorio, verso il 1939, riesce a conseguire il “Brevetto C” di Volo a Vela. Questo gli permette di arruolarsi nella Regia Aeronautica e di ottenere il brevetto di volo per velivoli. Date le sue buone qualità aviatorie, il 16 settembre del 1941 viene assegnato al 2° Gruppo Caccia Terrestre con il grado di sergente. Il 2° Gruppo CT è reduce della campagna in Africa settentrionale come Gruppo Autonomo (proveniva dal 6° Stormo CT), volando sui Fiat G.50 Freccia. Rientrato in Italia alla fine del luglio 1941, il reparto era in attesa di assegnazione di nuovi velivoli e, a partire dal 10 settembre del 1941, riceve l'ordine di passaggio sui Reggiane Re.2001, un velivolo di nuova produzione che avrà bisogno di un lungo periodo di collaudo presso un reparto operativo per

addestramento e conversione. Sempre a Gorizia, il Gruppo vola anche con alcuni Fiat CR.42 Falco, impiegati soprattutto per la difesa territoriale e le partenze su allarme. Entro la fine di gennaio 1942, viene riattivata la 150a Squadriglia e successivamente la 358a. Gino è assegnato alla 150a, dove conosce il sergente pilota Gianni Drigoli con il quale instaura una profonda amicizia. I giovani piloti del reparto venivano chiamati “i pulcini di Quarantotti” e a Gino viene in mente di dotare la Squadriglia di un distintivo personale e, dato che Drigoli era un bravo disegnatore e fumettista, i due creano il famoso “Pulcino Pistolero” (noto anche come Goletto). Il disegno viene presentato al comandante Quarantotti, il quale, entusiasta, decide di adottarlo per tutto il 2° Gruppo Caccia.

Z.506 Airone, impiegato in un'operazione di soccorso sul Canale di Sicilia; la formazione aerea viene intercettata da sette Supermarine Spitfire decollati da Malta e nel combattimento che ne consegue vengono abbattuti tre aerei inglesi, senza alcuna perdita per i cacciatori italiani; solo l’Airone riporta alcuni danni. Per Gino Pizzati il battesimo del fuoco avviene il 2 giugno, ma le missioni si susseguiranno nei giorni seguenti con diverse perdite tra i piloti italiani, tra essi il sergente pilota e amico Gianni Drigoli, abbattuto e ucciso il 10 giugno. Il 14 giugno, quindici Re.2001 passano di base a Castelvetrano, per essere impiegati in attacchi contro le forze navali inglesi nel Mediterraneo. Quello stesso giorno il Gruppo è impegnato in una missione di scorta a bombardieri Savoia Marchetti S.79 Sparviero del 132° Gruppo AS, assieme a sette Macchi MC.200 Saetta del 54° Stormo CT, mandati ad attaccare il convoglio inglese “Harpoon”. Questa nutrita formazione aerea si scontra con gli Hawker Sea Hurricane degli 801° e 803° Sqn. della FAA di scorta al convoglio. Nello scontro, il 2° Gruppo rivendica l'abbattimento di undici aerei nemici (due abbattuti da Quarantotti, due da Celentano, e uno a testa per Làrese, Pocek, Bartolozzi, Fabbri, Treggia, Cesaro, e un aereo in cooperazione tra Làrese e Fabbri) con la perdita di un solo aereo, pilotato dal M.llo Treggia, recuperato poi

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1

Reggiane Re.2001 con le insegne della 150a Squadriglia.

Allineamento di Reggiane Re.2001.

apportare le modifiche necessarie per un impiego operativo bellico. I primi velivoli vengono assegnati alla 150a Squadriglia con i piloti che iniziano un intenso ciclo di addestramento, apportando molte modifiche per una perfetta operatività del velivolo. In questo periodo il reparto si sposta dalle basi di Ravenna e Reggio Emilia. A fine dicembre del 1941 il Gruppo, sotto il comando del tenente colonnello Aldo Quarantotti, trasferisce la sua 152a Squadriglia a Gorizia, dapprima in via provvisoria e poi definitiva, per terminare l'addestramento sui Falco II. Il resto dei piloti rimane a Reggio Emilia per prelevare altri Re.2001, trasferendoli poi a Gorizia e iniziando il ciclo di

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da un peschereccio. Dopo attente valutazioni, gli abbattimenti reali da parte italiana risultano però solo tre, benché alcuni storici riportino sette vittorie aeree. Il 12 luglio per il Gruppo è una giornata di lutto, con la morte del comandante Aldo Quarantotti e dei tenenti Carlo Seganti e Francesco Vichi. L'episodio è ben raccontato da Gino Pizzati durante l'intervista fatta dal regista Claudio Costa che gli ha dedicato un documentario “Dai pulcini di Quarantotti alle comete di Visconti”. In questa intervista Gino spiega come durante il rientro da una missione su Malta il tenente pilota Francesco Vichi viene attaccato alle spalle da uno Spitfire e precipita in mare colpito a morte. Gino, accortosi dell'accaduto, stringe subito a sinistra e dà manetta per inseguire il pilota inglese. Sa che lo Spitfire è più veloce e ad un certo punto intuisce che il pilota nemico lo sta attirando in una trappola sopra Malta. Gino allora cerca di colpirlo con una raffica che passa sotto la fusoliera dello Spitfire e a quel punto decide di interrompere l'inseguimento e rientrare alla base. Al suo rientro vede due aerei pronti al decollo. Sono quelli del suo comandante Quarantotti e del tenente Seganti che si stanno apprestando a tornare in volo per cercare Vichi, visto (a detta di alcuni) lanciarsi con il paracadute in mare. Gino Pizzati immediatamente avvisa il suo comandante che Vichi non si è lanciato con il paracadute ma

AEROFAN | GINO PIZZATI DALLA REGIA ALL’ANR

Terminata la fase di addestramento e transizione, nel febbraio del 1942 il Gruppo viene trasferito a RomaCiampino con una ventina di Re.2001 Falco II, diventando ufficialmente 2° Gruppo Autonomo Intercettori e fregiandosi del famoso Goletto. La destinazione finale del reparto è la Sicilia, per partecipare alle azioni di scorta ai bombardieri sulla piazzaforte inglese di Malta. Così, il 4 maggio del 1942, diciotto Re.2001 basati a Santo Pietro di Caltagirone iniziano tre mesi di intensa attività bellica che costerà al reparto 17 aerei e 15 piloti. Il 17 maggio del 1942, diciannove Falco II stanno compiendo una missione di scorta ad un singolo Cant

LUG/AGO 2021 | AEROFAN

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Gino fin da giovane è attratto dal volo, tanto che durante i campi estivi della Gioventù Italiana del Littorio, verso il 1939, riesce a conseguire il “Brevetto C” di Volo a Vela. Questo gli permette di arruolarsi nella Regia Aeronautica e di ottenere il brevetto di volo per velivoli. Date le sue buone qualità aviatorie, il 16 settembre del 1941 viene assegnato al 2° Gruppo Caccia Terrestre con il grado di sergente. Il 2° Gruppo CT è reduce della campagna in Africa settentrionale come Gruppo Autonomo (proveniva dal 6° Stormo CT), volando sui Fiat G.50 Freccia. Rientrato in Italia alla fine del luglio 1941, il reparto era in attesa di assegnazione di nuovi velivoli e, a partire dal 10 settembre del 1941, riceve l'ordine di passaggio sui Reggiane Re.2001, un velivolo di nuova produzione che avrà bisogno di un lungo periodo di collaudo presso un reparto operativo per

addestramento e conversione. Sempre a Gorizia, il Gruppo vola anche con alcuni Fiat CR.42 Falco, impiegati soprattutto per la difesa territoriale e le partenze su allarme. Entro la fine di gennaio 1942, viene riattivata la 150a Squadriglia e successivamente la 358a. Gino è assegnato alla 150a, dove conosce il sergente pilota Gianni Drigoli con il quale instaura una profonda amicizia. I giovani piloti del reparto venivano chiamati “i pulcini di Quarantotti” e a Gino viene in mente di dotare la Squadriglia di un distintivo personale e, dato che Drigoli era un bravo disegnatore e fumettista, i due creano il famoso “Pulcino Pistolero” (noto anche come Goletto). Il disegno viene presentato al comandante Quarantotti, il quale, entusiasta, decide di adottarlo per tutto il 2° Gruppo Caccia.

Z.506 Airone, impiegato in un'operazione di soccorso sul Canale di Sicilia; la formazione aerea viene intercettata da sette Supermarine Spitfire decollati da Malta e nel combattimento che ne consegue vengono abbattuti tre aerei inglesi, senza alcuna perdita per i cacciatori italiani; solo l’Airone riporta alcuni danni. Per Gino Pizzati il battesimo del fuoco avviene il 2 giugno, ma le missioni si susseguiranno nei giorni seguenti con diverse perdite tra i piloti italiani, tra essi il sergente pilota e amico Gianni Drigoli, abbattuto e ucciso il 10 giugno. Il 14 giugno, quindici Re.2001 passano di base a Castelvetrano, per essere impiegati in attacchi contro le forze navali inglesi nel Mediterraneo. Quello stesso giorno il Gruppo è impegnato in una missione di scorta a bombardieri Savoia Marchetti S.79 Sparviero del 132° Gruppo AS, assieme a sette Macchi MC.200 Saetta del 54° Stormo CT, mandati ad attaccare il convoglio inglese “Harpoon”. Questa nutrita formazione aerea si scontra con gli Hawker Sea Hurricane degli 801° e 803° Sqn. della FAA di scorta al convoglio. Nello scontro, il 2° Gruppo rivendica l'abbattimento di undici aerei nemici (due abbattuti da Quarantotti, due da Celentano, e uno a testa per Làrese, Pocek, Bartolozzi, Fabbri, Treggia, Cesaro, e un aereo in cooperazione tra Làrese e Fabbri) con la perdita di un solo aereo, pilotato dal M.llo Treggia, recuperato poi

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1

Reggiane Re.2001 con le insegne della 150a Squadriglia.

Allineamento di Reggiane Re.2001.

apportare le modifiche necessarie per un impiego operativo bellico. I primi velivoli vengono assegnati alla 150a Squadriglia con i piloti che iniziano un intenso ciclo di addestramento, apportando molte modifiche per una perfetta operatività del velivolo. In questo periodo il reparto si sposta dalle basi di Ravenna e Reggio Emilia. A fine dicembre del 1941 il Gruppo, sotto il comando del tenente colonnello Aldo Quarantotti, trasferisce la sua 152a Squadriglia a Gorizia, dapprima in via provvisoria e poi definitiva, per terminare l'addestramento sui Falco II. Il resto dei piloti rimane a Reggio Emilia per prelevare altri Re.2001, trasferendoli poi a Gorizia e iniziando il ciclo di

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da un peschereccio. Dopo attente valutazioni, gli abbattimenti reali da parte italiana risultano però solo tre, benché alcuni storici riportino sette vittorie aeree. Il 12 luglio per il Gruppo è una giornata di lutto, con la morte del comandante Aldo Quarantotti e dei tenenti Carlo Seganti e Francesco Vichi. L'episodio è ben raccontato da Gino Pizzati durante l'intervista fatta dal regista Claudio Costa che gli ha dedicato un documentario “Dai pulcini di Quarantotti alle comete di Visconti”. In questa intervista Gino spiega come durante il rientro da una missione su Malta il tenente pilota Francesco Vichi viene attaccato alle spalle da uno Spitfire e precipita in mare colpito a morte. Gino, accortosi dell'accaduto, stringe subito a sinistra e dà manetta per inseguire il pilota inglese. Sa che lo Spitfire è più veloce e ad un certo punto intuisce che il pilota nemico lo sta attirando in una trappola sopra Malta. Gino allora cerca di colpirlo con una raffica che passa sotto la fusoliera dello Spitfire e a quel punto decide di interrompere l'inseguimento e rientrare alla base. Al suo rientro vede due aerei pronti al decollo. Sono quelli del suo comandante Quarantotti e del tenente Seganti che si stanno apprestando a tornare in volo per cercare Vichi, visto (a detta di alcuni) lanciarsi con il paracadute in mare. Gino Pizzati immediatamente avvisa il suo comandante che Vichi non si è lanciato con il paracadute ma

AEROFAN | GINO PIZZATI DALLA REGIA ALL’ANR

Terminata la fase di addestramento e transizione, nel febbraio del 1942 il Gruppo viene trasferito a RomaCiampino con una ventina di Re.2001 Falco II, diventando ufficialmente 2° Gruppo Autonomo Intercettori e fregiandosi del famoso Goletto. La destinazione finale del reparto è la Sicilia, per partecipare alle azioni di scorta ai bombardieri sulla piazzaforte inglese di Malta. Così, il 4 maggio del 1942, diciotto Re.2001 basati a Santo Pietro di Caltagirone iniziano tre mesi di intensa attività bellica che costerà al reparto 17 aerei e 15 piloti. Il 17 maggio del 1942, diciannove Falco II stanno compiendo una missione di scorta ad un singolo Cant

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purtroppo si è inabissato in mare con il suo aereo. Quarantotti non sente ragione e decolla comunque alla ricerca del suo pilota. I due non torneranno più alla base, abbattuti dal Flight Lieutenant George Beurling della Royal Canadian Air Force in volo a bordo di uno Spitfire del 249° Squadron RAF di Malta. Il comando del reparto passa al maggiore Pier Luigi Scarpetta, il quale designa Gino Pizzati come suo gregario sinistro. Il 13 agosto diciannove Reggiane del 2° Gruppo, partecipano alla “Battaglia di mezz'agosto”. Per l'occasione i velivoli si trasferiscono a Monserrato per poi prendere il volo e scortare una formazione di ben 39 S.79 Sparviero diretti a silurare le navi inglesi del convoglio

3

Bombardamento di Napoli del 4 agosto 1943.

“Pedestal”. Solo 4 siluranti riusciranno a compiere l'attacco e andare a segno. In fase di rientro, il Reggiane di Pizzati accusa noie al motore, ma il pilota riesce ugualmente ad atterrare alla base. Il giorno seguente il Gruppo è chiamato nuovamente per fornire la scorta a tre bombardieri tedeschi Heinkel He.111, sempre diretti contro il convoglio inglese del giorno precedente. Alla scorta partecipano diciotto Re.2001 italiani e quattro Bf.109 tedeschi. Il velivolo di Pizzati non è

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in grado di decollare per le noie al motore del giorno precedente e, benché Gino insista per partecipare alla missione con un Re.2001 di qualche altro pilota, Scarpetta gli nega il volo. Decollati da Pantelleria, ad un certo punto del volo la formazione è attaccata da alcuni Spitfire inglesi. Tre Reggiane si staccano dalla formazione impegnando i cacciatori inglesi e permettendo agli altri di proseguire. I tre caccia italiani vengono abbattuti, tra essi il maggiore Pier Luigi Scarpetta e il suo gregario tenente Desin; per l'azione Scarpetta riceverà la Medaglia d'Oro alla Memoria. Per le azioni belliche su Malta e contro i convogli nemici, Pizzati è insignito della Medaglia d'Argento al Valor

AEROFAN | GINO PIZZATI DALLA REGIA ALL’ANR

Militare con Regio Decreto del 18 marzo 1943 e con la seguente motivazione: “Giovanissimo pilota da caccia, in varie scorte al bombardamento sprezzante di ogni rischio si distingueva nel difficile compito di assicurare l'intangibilità delle forze scortate. Sosteneva nove durissimi e cruenti combattimenti nei quali collaborava all'abbattimento di 14 velivoli nemici e al mitragliamento di molti altri. Partecipava ancora validamente alla

battaglia aeronavale dell'11-14 agosto collaborando all'abbattimento di due apparecchi avversari e al mitragliamento di altri otto. Cielo di Malta e del Mediterraneo Centrale, maggio-settembre 1942-XX” Alla fine dell'estate del 1942, la 150a Squadriglia rientra a Treviso, dove il reparto inizia da subito un intenso ciclo di addestramento alla caccia notturna. Inizialmente i piloti si allenano al volo senza visibilità su aerei da addestramento Saiman 202; a bordo, chiusi in cabina con delle tende nere, devono effettuare voli strumentali comprensivi di atterraggi e decolli. Non è un addestramento facile, ma Pizzati ottiene l'abilitazione alla caccia notturna senza difficoltà. Terminato l'addestramento, nel maggio del 1943 la 150a Squadriglia passa alle dipendenze del 22° Gruppo CT da poco inserito nel 42° Stormo Intercettori, prendendo base a Capua, per la difesa notturna della città di Napoli. Poco dopo giunge una circolare al reparto, dove si chiede che ogni apparecchio efficiente sia pronto al volo anche di giorno, quindi in allarme h24. Gli attacchi alleati si susseguono senza sosta e Pizzati arriva a compiere anche quattro missioni in 24 ore. In due di queste missioni a Gino Pizzati viene riconosciuto l'abbattimento di due quadrimotori. Il primo, il 17 luglio 1943, quando l'USAAF organizza uno dei più grandi raid aerei su Napoli. Partecipano all'azione ben 97 Boeing B-17 Flying Fortress, 72 North American B-25 Mitchell e 107 Martin B-26 Marauder del XII Bomber Command, oltre a 72 Consolidated B-24 Liberator del IX Bomber Command, questi ultimi del 93° e 44° Bomber Group giunti dall'Inghilterra. Il 44° Bomber Group partecipa con 29 Liberator (Mission n.41) decollati da Bengasi e giunti su Napoli alle ore 13:37. Il B-24H Liberator “Lady Fifinilla” (s/n 42-63763) è uno tra quelli attaccati pesantemente dai caccia italo-tedeschi e dalla contraerea. Colpito al motore n.4 perde potenza e si sfila dalla formazione. In prossimità di Avellino il velivolo è attaccato da tre cacciatori italiani della 150a Squadriglia, il capitano Bonet, il tenente Bartolozzi e il sergente Pizzati. Ad essi si aggiunge poco dopo il tenente Jacobucci, istruttore alla scuola di Capua. Il bombardiere viene colpito e abbattuto nei pressi di Sant'Angelo dei Lombardi. Nonostante la maggior parte dell'equipaggio riesca a salvarsi lanciandosi con il paracadute, una volta atterrati la popolazione locale si scaglia contro gli aviatori e il copilota 2nd Lt. Joseph H. Potter viene ucciso probabilmente da un contadino o da un soldato italiano, forse a seguito di un tentativo di fuga o di reazione. Nello scontro sono colpiti due Re.2001 con il ferimento del capitano Giovanni Bonet e del tenente Italo Jacobucci, probabilmente dalla reazione del B-24D “Suzy Q” (s/n 4123817) del Capt. Kollinger che dichiarò la distruzione di un Re.2001. La seconda missione che vede protagonista Pizzati si svolge il 4 agosto, quando una grossa formazione di bombardieri del XII Bomber Command già destinata al bombardamento di Roma, all'ultimo momento viene dirottata sul nuovo target che è ancora una volta Napoli. Il bombardamento viene portato a termine dai Boeing B-17 Flying Fortress del 2° e del 301° BG, da poco schierati sulla

base di Massicault in Tunisia. Il 2° BG impiega 39 B-17 del 96° e 429° Bomber Squadron, che decollano della loro base alle 10:45 per la “Mission n.52”. Giunti a Napoli i 77 bombardieri trovano una forte reazione da parte della contraerea e della caccia. Il B-17F “Little Butch” (s/n 4229594) del 429° BS è colpito ed esplode in volo (tre sopravvissuti), mentre il B-17F “Little Tannie” (s/n 42-5873) è colpito al motore n.2 con diversi danni a bordo. Il velivolo viene intercettato dai Re.2001 del ten. Bartolozzi e del serg. Pizzati e, ripetutamente colpito ai motori, cade infine in mare a sud dell'isola di Ischia; sette membri d'equipaggio riescono a salvarsi. Il 20 agosto del 1943, viene inoltrata la richiesta di due Medaglie d'Argento per il sergente pilota Gino Pizzati per aver compiuto 10 voli di guerra notturni e 10 voli di guerra diurni oltre le varie scorte e voli di protezione, ma con l'arrivo dell'8 settembre tutto finisce nel dimenticatoio. Nel frattempo gli Alleati rivolgono le loro attenzioni all'aeroporto di Capua che, insieme agli altri campi volo dell'area partenopea, viene pesantemente bombardato, tanto che i piloti della 150a sono costretti a spostarsi all'Accademia di Caserta per prendere alloggio, dato che quelli esistenti a Capua risultano tutti distrutti. Ed è proprio rientrando in Accademia che il giorno 8 settembre Pizzati e gli altri piloti ricevono la notizia dell'Armistizio. Senza alcun soldo in tasca e senza direttive da parte dello Stato Maggiore, la Squadriglia si sbanda mentre il personale di volo prende la via di casa verso nord. Ai primi di dicembre del 1943, Pizzati si trova a Milano con alcuni suoi commilitoni della 150a Squadriglia; durante un massiccio bombardamento della città alcune bombe cadono su una scuola elementare, causando la morte di quasi 400 bambini. Quella è la svolta per i piloti della 150a Squadriglia, che decidono di difendere i propri cieli dai raid dei bombardieri alleati. Pizzati, Bonet, Sguoti e altri, si presentano alla 2a Zona Aerea Territoriale di Padova, dove ritrovano il comandante Giuseppe Baylon. La richiesta dei piloti è secca e inequivocabile: “Se ci sono gli aerei noi ci siamo, se non ci sono gli aerei noi non ci siamo…”. Il Comandante Baylon si congeda per alcuni minuti, rientra in stanza e consegna ai piloti una licenza, con la promessa che, non appena disponibili gli apparecchi, li richiamerà tutti in servizio. E così farà: nel gennaio del 1944 a Venaria Reale viene formata la Squadriglia Complementare d'Allarme Montefusco, composta per la maggior parte da veterani del 22° Gruppo e quindi anche della 150a Squadriglia. Sul campo volo della FIAT ha inizio l'addestramento e il passaggio sui G.55 Centauro ricevendo inizialmente otto G.55 della sottoserie 0 e dieci G.55 della serie I, molti dei quali recanti ancora le insegne tedesche della Luftwaffe; sono presenti anche alcuni Macchi MC.205 Veltro. Alla squadriglia è affidata la difesa aerea del triangolo industriale Genova-Torino-Milano. Il 29 marzo del 1944 durante un'azione di intercettazione contro i bombardieri alleati, viene abbattuto e ucciso il comandante Bonet. A seguito di questa perdita la Squadriglia è rinominata MontefuscoBonet. Nel mese di giugno la Squadriglia veniva assorbita

LUG/AGO SET/OTT 2020 2021 | AEROFAN

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purtroppo si è inabissato in mare con il suo aereo. Quarantotti non sente ragione e decolla comunque alla ricerca del suo pilota. I due non torneranno più alla base, abbattuti dal Flight Lieutenant George Beurling della Royal Canadian Air Force in volo a bordo di uno Spitfire del 249° Squadron RAF di Malta. Il comando del reparto passa al maggiore Pier Luigi Scarpetta, il quale designa Gino Pizzati come suo gregario sinistro. Il 13 agosto diciannove Reggiane del 2° Gruppo, partecipano alla “Battaglia di mezz'agosto”. Per l'occasione i velivoli si trasferiscono a Monserrato per poi prendere il volo e scortare una formazione di ben 39 S.79 Sparviero diretti a silurare le navi inglesi del convoglio

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Bombardamento di Napoli del 4 agosto 1943.

“Pedestal”. Solo 4 siluranti riusciranno a compiere l'attacco e andare a segno. In fase di rientro, il Reggiane di Pizzati accusa noie al motore, ma il pilota riesce ugualmente ad atterrare alla base. Il giorno seguente il Gruppo è chiamato nuovamente per fornire la scorta a tre bombardieri tedeschi Heinkel He.111, sempre diretti contro il convoglio inglese del giorno precedente. Alla scorta partecipano diciotto Re.2001 italiani e quattro Bf.109 tedeschi. Il velivolo di Pizzati non è

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in grado di decollare per le noie al motore del giorno precedente e, benché Gino insista per partecipare alla missione con un Re.2001 di qualche altro pilota, Scarpetta gli nega il volo. Decollati da Pantelleria, ad un certo punto del volo la formazione è attaccata da alcuni Spitfire inglesi. Tre Reggiane si staccano dalla formazione impegnando i cacciatori inglesi e permettendo agli altri di proseguire. I tre caccia italiani vengono abbattuti, tra essi il maggiore Pier Luigi Scarpetta e il suo gregario tenente Desin; per l'azione Scarpetta riceverà la Medaglia d'Oro alla Memoria. Per le azioni belliche su Malta e contro i convogli nemici, Pizzati è insignito della Medaglia d'Argento al Valor

AEROFAN | GINO PIZZATI DALLA REGIA ALL’ANR

Militare con Regio Decreto del 18 marzo 1943 e con la seguente motivazione: “Giovanissimo pilota da caccia, in varie scorte al bombardamento sprezzante di ogni rischio si distingueva nel difficile compito di assicurare l'intangibilità delle forze scortate. Sosteneva nove durissimi e cruenti combattimenti nei quali collaborava all'abbattimento di 14 velivoli nemici e al mitragliamento di molti altri. Partecipava ancora validamente alla

battaglia aeronavale dell'11-14 agosto collaborando all'abbattimento di due apparecchi avversari e al mitragliamento di altri otto. Cielo di Malta e del Mediterraneo Centrale, maggio-settembre 1942-XX” Alla fine dell'estate del 1942, la 150a Squadriglia rientra a Treviso, dove il reparto inizia da subito un intenso ciclo di addestramento alla caccia notturna. Inizialmente i piloti si allenano al volo senza visibilità su aerei da addestramento Saiman 202; a bordo, chiusi in cabina con delle tende nere, devono effettuare voli strumentali comprensivi di atterraggi e decolli. Non è un addestramento facile, ma Pizzati ottiene l'abilitazione alla caccia notturna senza difficoltà. Terminato l'addestramento, nel maggio del 1943 la 150a Squadriglia passa alle dipendenze del 22° Gruppo CT da poco inserito nel 42° Stormo Intercettori, prendendo base a Capua, per la difesa notturna della città di Napoli. Poco dopo giunge una circolare al reparto, dove si chiede che ogni apparecchio efficiente sia pronto al volo anche di giorno, quindi in allarme h24. Gli attacchi alleati si susseguono senza sosta e Pizzati arriva a compiere anche quattro missioni in 24 ore. In due di queste missioni a Gino Pizzati viene riconosciuto l'abbattimento di due quadrimotori. Il primo, il 17 luglio 1943, quando l'USAAF organizza uno dei più grandi raid aerei su Napoli. Partecipano all'azione ben 97 Boeing B-17 Flying Fortress, 72 North American B-25 Mitchell e 107 Martin B-26 Marauder del XII Bomber Command, oltre a 72 Consolidated B-24 Liberator del IX Bomber Command, questi ultimi del 93° e 44° Bomber Group giunti dall'Inghilterra. Il 44° Bomber Group partecipa con 29 Liberator (Mission n.41) decollati da Bengasi e giunti su Napoli alle ore 13:37. Il B-24H Liberator “Lady Fifinilla” (s/n 42-63763) è uno tra quelli attaccati pesantemente dai caccia italo-tedeschi e dalla contraerea. Colpito al motore n.4 perde potenza e si sfila dalla formazione. In prossimità di Avellino il velivolo è attaccato da tre cacciatori italiani della 150a Squadriglia, il capitano Bonet, il tenente Bartolozzi e il sergente Pizzati. Ad essi si aggiunge poco dopo il tenente Jacobucci, istruttore alla scuola di Capua. Il bombardiere viene colpito e abbattuto nei pressi di Sant'Angelo dei Lombardi. Nonostante la maggior parte dell'equipaggio riesca a salvarsi lanciandosi con il paracadute, una volta atterrati la popolazione locale si scaglia contro gli aviatori e il copilota 2nd Lt. Joseph H. Potter viene ucciso probabilmente da un contadino o da un soldato italiano, forse a seguito di un tentativo di fuga o di reazione. Nello scontro sono colpiti due Re.2001 con il ferimento del capitano Giovanni Bonet e del tenente Italo Jacobucci, probabilmente dalla reazione del B-24D “Suzy Q” (s/n 4123817) del Capt. Kollinger che dichiarò la distruzione di un Re.2001. La seconda missione che vede protagonista Pizzati si svolge il 4 agosto, quando una grossa formazione di bombardieri del XII Bomber Command già destinata al bombardamento di Roma, all'ultimo momento viene dirottata sul nuovo target che è ancora una volta Napoli. Il bombardamento viene portato a termine dai Boeing B-17 Flying Fortress del 2° e del 301° BG, da poco schierati sulla

base di Massicault in Tunisia. Il 2° BG impiega 39 B-17 del 96° e 429° Bomber Squadron, che decollano della loro base alle 10:45 per la “Mission n.52”. Giunti a Napoli i 77 bombardieri trovano una forte reazione da parte della contraerea e della caccia. Il B-17F “Little Butch” (s/n 4229594) del 429° BS è colpito ed esplode in volo (tre sopravvissuti), mentre il B-17F “Little Tannie” (s/n 42-5873) è colpito al motore n.2 con diversi danni a bordo. Il velivolo viene intercettato dai Re.2001 del ten. Bartolozzi e del serg. Pizzati e, ripetutamente colpito ai motori, cade infine in mare a sud dell'isola di Ischia; sette membri d'equipaggio riescono a salvarsi. Il 20 agosto del 1943, viene inoltrata la richiesta di due Medaglie d'Argento per il sergente pilota Gino Pizzati per aver compiuto 10 voli di guerra notturni e 10 voli di guerra diurni oltre le varie scorte e voli di protezione, ma con l'arrivo dell'8 settembre tutto finisce nel dimenticatoio. Nel frattempo gli Alleati rivolgono le loro attenzioni all'aeroporto di Capua che, insieme agli altri campi volo dell'area partenopea, viene pesantemente bombardato, tanto che i piloti della 150a sono costretti a spostarsi all'Accademia di Caserta per prendere alloggio, dato che quelli esistenti a Capua risultano tutti distrutti. Ed è proprio rientrando in Accademia che il giorno 8 settembre Pizzati e gli altri piloti ricevono la notizia dell'Armistizio. Senza alcun soldo in tasca e senza direttive da parte dello Stato Maggiore, la Squadriglia si sbanda mentre il personale di volo prende la via di casa verso nord. Ai primi di dicembre del 1943, Pizzati si trova a Milano con alcuni suoi commilitoni della 150a Squadriglia; durante un massiccio bombardamento della città alcune bombe cadono su una scuola elementare, causando la morte di quasi 400 bambini. Quella è la svolta per i piloti della 150a Squadriglia, che decidono di difendere i propri cieli dai raid dei bombardieri alleati. Pizzati, Bonet, Sguoti e altri, si presentano alla 2a Zona Aerea Territoriale di Padova, dove ritrovano il comandante Giuseppe Baylon. La richiesta dei piloti è secca e inequivocabile: “Se ci sono gli aerei noi ci siamo, se non ci sono gli aerei noi non ci siamo…”. Il Comandante Baylon si congeda per alcuni minuti, rientra in stanza e consegna ai piloti una licenza, con la promessa che, non appena disponibili gli apparecchi, li richiamerà tutti in servizio. E così farà: nel gennaio del 1944 a Venaria Reale viene formata la Squadriglia Complementare d'Allarme Montefusco, composta per la maggior parte da veterani del 22° Gruppo e quindi anche della 150a Squadriglia. Sul campo volo della FIAT ha inizio l'addestramento e il passaggio sui G.55 Centauro ricevendo inizialmente otto G.55 della sottoserie 0 e dieci G.55 della serie I, molti dei quali recanti ancora le insegne tedesche della Luftwaffe; sono presenti anche alcuni Macchi MC.205 Veltro. Alla squadriglia è affidata la difesa aerea del triangolo industriale Genova-Torino-Milano. Il 29 marzo del 1944 durante un'azione di intercettazione contro i bombardieri alleati, viene abbattuto e ucciso il comandante Bonet. A seguito di questa perdita la Squadriglia è rinominata MontefuscoBonet. Nel mese di giugno la Squadriglia veniva assorbita

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Latécoère

631 L’ultimo grande idrovolante di linea Paolo Gianvanni

I

l “programma delle 70 tonnellate” del M i n i s te ro d e l l 'A ri a

Latécoère 631 F-BANU impiegato dal 5 al 10 luglio 1947 per il volo di prova ufficiale della “Ligne des Antilles”.

f rancese vedeva il governo di Parigi schierato, insieme alla Gran Bretagna, in favore dei grandi idrovolanti quando gli Stati Uniti si erano ormai avviati con decisione sulla strada dei velivoli terrestri a lungo raggio, ma all'epoca questa sembrava a molti una scelta giusta.

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Latécoère

631 L’ultimo grande idrovolante di linea Paolo Gianvanni

I

l “programma delle 70 tonnellate” del M i n i s te ro d e l l 'A ri a

Latécoère 631 F-BANU impiegato dal 5 al 10 luglio 1947 per il volo di prova ufficiale della “Ligne des Antilles”.

f rancese vedeva il governo di Parigi schierato, insieme alla Gran Bretagna, in favore dei grandi idrovolanti quando gli Stati Uniti si erano ormai avviati con decisione sulla strada dei velivoli terrestri a lungo raggio, ma all'epoca questa sembrava a molti una scelta giusta.

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Guardie tedesche vigilano sul prototipo alla fonda a Marignane in attesa del trasferimento del velivolo in Germania.

a Biscarrosse, sfoggiò inizialmente le coccarde militari 5L’n/c 02, quieripreso le strisce bianche e nere di identificazione degli aerei alleati.

6

la cerimonia del battesimo del secondo Latécoère 631, n/c 02 F-BANT, intitolato a Lionel de Marmier, asso della Prima Guerra Mondiale e caduto mentre volava per la Francia Libera in un incidente aereo nel dicembre 1944.

7

L’F-BANT ”Lionel de Marmier” venne approntato per una serie di voli promozionali della rinata industria aeronautica francese nel continente sudamericano.

Il secondo esemplare del Latécoère 631, F-BANT, mostra le linee eleganti 8 dell’idrovolante rese ancor più gradevoli dai galleggianti subalari retrattili.

L’impianto propulsivo era costituito da sei Wright R-2600-A5B da 1.600 cv al decollo a 2.400 giri e a 304 m e potenza normale continua da 1.350 cv a 1.500 m e 1.275 cv 3.500 m a 2.300 giri (poi sostituiti dai Wright R-2600C14BB da 1.900 cv al decollo e 1.620 continui), che consentivano all’idrovolante le seguenti prestazioni: velocità di crociera di 285 km/h a 450 m (295 km/h con motori R-2600-C14BB); velocità massima di 361 km/h al livello del mare e 400 km/h a 1.850 m; decollo in 66” a 155 km/h; velocità di ammaraggio a medio carico di 130 km/h; tangenza pratica 4.800 m; tangenza operativa 3.000 m; autonomia con 46 passeggeri e 3.175 kg di carico di 6.035 km alla velocità di crociera con vento contrario di 56 km/h.

Per la conduzione del programma, nell'aprile 1939 venne creata da Breguet e Latécoère la SMA (Société Méridionale Aéronautique) per la co-produzione dei velivoli denominati alternativamente Breguet-Latécoère e Latécoère-Breguet. Ma con i venti di guerra, i tempi non erano favorevoli ai programmi commerciali e la priorità assegnata ai velivoli militari portò il 12 settembre 1939 all'ordine governativo di sospendere ogni attività di costruzione sul grosso idrovolante. Nonostante la successiva sconfitta della Francia, un simulacro in legno venne presentato all'Esposizione Aeronautica di Lione con applicato il nome “Maréchal Pétain”. Il regime di Vichy mantenne in vita il programma Latécoère 631 per le future traversate dell'Atlantico settentrionale ottenendo, attraverso la commissione di armistizio franco-tedesca di Wiesbaden, l'autorizzazione delle autorità di Berlino ad effettuare le prove del velivolo e assegnando il 19 marzo 1941 un nuovo ordine per un secondo esemplare. Il tira e molla con le autorità tedesche andò avanti, ma i lavori sul prototipo si arenarono di fronte alla penuria di duralluminio ed alla mancata consegna dei motori Wright R-2600 A5B e A5A (rispettivamente 31 e 4 esemplari)

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AEROFAN | LATÉCOÈRE 631

ordinati negli Stati Uniti ai primi del 1939 ma bloccati a Casablanca, Marocco, sotto il controllo della commissione di controllo. Il prezioso carico fu reso disponibile solo alla fine del 1941. Il prototipo, n/c 01 poi F-BAHG, venne così completato a Tolosa nel giugno 1942 e fu trasportato nell'arco di tre mesi diviso nei vari componenti via strada sul Lac de Berre, un laborioso percorso di 562 km attraverso Carcassonne, Narbonne, Béziers, Montpellier, Tarascon e Lambesc. Il primo volo ebbe luogo con pieno successo il 4 novembre nelle mani di Pierre Crespy con a bordo lo stesso ing. Marcel Moine. Ma il giorno seguente, nel secondo volo di prova, ad una velocità di 230 km/h, si verificarono fortissime vibrazioni per cui Crespy tolse potenza ed ammarò bruscamente con la deformazione dello scafo davanti al primo redan (scalino della carena). Dai controlli risultò la rottura delle trasmissioni dei comandi alle alette flettner degli alettoni che, divenute libere, avevano cominciato a sbattere contro gli alettoni. Le riparazioni bloccarono i test fino alla fine del novembre 1942. L'invasione della Francia meridionale del 12 novembre portò Marignane e i tre idrovolanti del programma transatlantico francese sotto il pieno controllo

tedesco ma fu permessa la ripresa della campagna di prove in volo. Durante il nono collaudo, il 23 dicembre, in un ammaraggio senza flap e con l'aereo fortemente cabrato fu danneggiato lo scafo dietro al secondo redan con infiltrazione di acqua in un compartimento stagno. A fine novembre furono ordinati anche gli esemplari 03 e 04. Il 17 aprile 1943 i tedeschi, subentrati ai francesi nelle prove di volo, presero possesso del prototipo imponendo la verniciatura gialla del ventre delle ali, l'apposizione di marche tedesche, la presenza a bordo di un pilota di Lufthansa in tutti i voli che erano limitati ad un raggio di 10 km da Marignane per evitare possibili fughe. In maggio livrea e marche cambiarono mentre i tedeschi cominciavano a spazientirsi per la scarsa lena dimostrata dai francesi nel condurre i collaudi. Il 20 gennaio, nel corso del suo 46° volo il Latécoère 631 decollò al peso record di 70,5 tonnellate e subito dopo l'exploit fu ripetuto con 71,5 tonnellate. Il 22 gennaio, al rientro dal secondo volo della giornata incentrato su test di consumo, il personale francese venne improvvisamente sbarcato e sostituito da tedeschi senza spegnere i motori, probabilmente per evitare resistenze al trasferimento; solo pochi giorni prima il Latécoère 631 era

stato preceduto in Germania dal SE.200 decollato solo dopo tre giorni di tentativi infruttuosi di mettere in moto i sei motori. L'episodio aveva fatto nascere nei tedeschi il sospetto di un sabotaggio. il prototipo raggiunse Friedrichshafen, sul lago di Costanza, dove il 20 febbraio era stato creato il Lufttransportstaffel 7 per gestire il Latécoère 631 ed il SE.200. In Germania l'aereo continuò le prove dimostrando che i problemi agli alettoni non erano stati ancora risolti finchè la notte tra il 6 ed il 7 aprile de Havilland Mosquito della RAF distrussero l'aereo insieme al SE.200 alla fonda. A quel momento, il prototipo del Latécoère 631 aveva completato 48 ore di volo, 40h30' di flottaggi e un totale di 97 decolli. I lavori sul programma di idro transatlantico ripresero in Francia all'indomani della liberazione col recupero e ricondizionamento delle parti decentrate in varie località della regione di Tolosa. Ma le idee non erano chiare. Per i futuri collegamenti transatlantici, il governo francese aveva scelto il Latécoère, ma le intenzioni di Air France erano ben diverse. La compagnia era giunta alla conclusione che per poter

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Guardie tedesche vigilano sul prototipo alla fonda a Marignane in attesa del trasferimento del velivolo in Germania.

a Biscarrosse, sfoggiò inizialmente le coccarde militari 5L’n/c 02, quieripreso le strisce bianche e nere di identificazione degli aerei alleati.

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la cerimonia del battesimo del secondo Latécoère 631, n/c 02 F-BANT, intitolato a Lionel de Marmier, asso della Prima Guerra Mondiale e caduto mentre volava per la Francia Libera in un incidente aereo nel dicembre 1944.

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L’F-BANT ”Lionel de Marmier” venne approntato per una serie di voli promozionali della rinata industria aeronautica francese nel continente sudamericano.

Il secondo esemplare del Latécoère 631, F-BANT, mostra le linee eleganti 8 dell’idrovolante rese ancor più gradevoli dai galleggianti subalari retrattili.

L’impianto propulsivo era costituito da sei Wright R-2600-A5B da 1.600 cv al decollo a 2.400 giri e a 304 m e potenza normale continua da 1.350 cv a 1.500 m e 1.275 cv 3.500 m a 2.300 giri (poi sostituiti dai Wright R-2600C14BB da 1.900 cv al decollo e 1.620 continui), che consentivano all’idrovolante le seguenti prestazioni: velocità di crociera di 285 km/h a 450 m (295 km/h con motori R-2600-C14BB); velocità massima di 361 km/h al livello del mare e 400 km/h a 1.850 m; decollo in 66” a 155 km/h; velocità di ammaraggio a medio carico di 130 km/h; tangenza pratica 4.800 m; tangenza operativa 3.000 m; autonomia con 46 passeggeri e 3.175 kg di carico di 6.035 km alla velocità di crociera con vento contrario di 56 km/h.

Per la conduzione del programma, nell'aprile 1939 venne creata da Breguet e Latécoère la SMA (Société Méridionale Aéronautique) per la co-produzione dei velivoli denominati alternativamente Breguet-Latécoère e Latécoère-Breguet. Ma con i venti di guerra, i tempi non erano favorevoli ai programmi commerciali e la priorità assegnata ai velivoli militari portò il 12 settembre 1939 all'ordine governativo di sospendere ogni attività di costruzione sul grosso idrovolante. Nonostante la successiva sconfitta della Francia, un simulacro in legno venne presentato all'Esposizione Aeronautica di Lione con applicato il nome “Maréchal Pétain”. Il regime di Vichy mantenne in vita il programma Latécoère 631 per le future traversate dell'Atlantico settentrionale ottenendo, attraverso la commissione di armistizio franco-tedesca di Wiesbaden, l'autorizzazione delle autorità di Berlino ad effettuare le prove del velivolo e assegnando il 19 marzo 1941 un nuovo ordine per un secondo esemplare. Il tira e molla con le autorità tedesche andò avanti, ma i lavori sul prototipo si arenarono di fronte alla penuria di duralluminio ed alla mancata consegna dei motori Wright R-2600 A5B e A5A (rispettivamente 31 e 4 esemplari)

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ordinati negli Stati Uniti ai primi del 1939 ma bloccati a Casablanca, Marocco, sotto il controllo della commissione di controllo. Il prezioso carico fu reso disponibile solo alla fine del 1941. Il prototipo, n/c 01 poi F-BAHG, venne così completato a Tolosa nel giugno 1942 e fu trasportato nell'arco di tre mesi diviso nei vari componenti via strada sul Lac de Berre, un laborioso percorso di 562 km attraverso Carcassonne, Narbonne, Béziers, Montpellier, Tarascon e Lambesc. Il primo volo ebbe luogo con pieno successo il 4 novembre nelle mani di Pierre Crespy con a bordo lo stesso ing. Marcel Moine. Ma il giorno seguente, nel secondo volo di prova, ad una velocità di 230 km/h, si verificarono fortissime vibrazioni per cui Crespy tolse potenza ed ammarò bruscamente con la deformazione dello scafo davanti al primo redan (scalino della carena). Dai controlli risultò la rottura delle trasmissioni dei comandi alle alette flettner degli alettoni che, divenute libere, avevano cominciato a sbattere contro gli alettoni. Le riparazioni bloccarono i test fino alla fine del novembre 1942. L'invasione della Francia meridionale del 12 novembre portò Marignane e i tre idrovolanti del programma transatlantico francese sotto il pieno controllo

tedesco ma fu permessa la ripresa della campagna di prove in volo. Durante il nono collaudo, il 23 dicembre, in un ammaraggio senza flap e con l'aereo fortemente cabrato fu danneggiato lo scafo dietro al secondo redan con infiltrazione di acqua in un compartimento stagno. A fine novembre furono ordinati anche gli esemplari 03 e 04. Il 17 aprile 1943 i tedeschi, subentrati ai francesi nelle prove di volo, presero possesso del prototipo imponendo la verniciatura gialla del ventre delle ali, l'apposizione di marche tedesche, la presenza a bordo di un pilota di Lufthansa in tutti i voli che erano limitati ad un raggio di 10 km da Marignane per evitare possibili fughe. In maggio livrea e marche cambiarono mentre i tedeschi cominciavano a spazientirsi per la scarsa lena dimostrata dai francesi nel condurre i collaudi. Il 20 gennaio, nel corso del suo 46° volo il Latécoère 631 decollò al peso record di 70,5 tonnellate e subito dopo l'exploit fu ripetuto con 71,5 tonnellate. Il 22 gennaio, al rientro dal secondo volo della giornata incentrato su test di consumo, il personale francese venne improvvisamente sbarcato e sostituito da tedeschi senza spegnere i motori, probabilmente per evitare resistenze al trasferimento; solo pochi giorni prima il Latécoère 631 era

stato preceduto in Germania dal SE.200 decollato solo dopo tre giorni di tentativi infruttuosi di mettere in moto i sei motori. L'episodio aveva fatto nascere nei tedeschi il sospetto di un sabotaggio. il prototipo raggiunse Friedrichshafen, sul lago di Costanza, dove il 20 febbraio era stato creato il Lufttransportstaffel 7 per gestire il Latécoère 631 ed il SE.200. In Germania l'aereo continuò le prove dimostrando che i problemi agli alettoni non erano stati ancora risolti finchè la notte tra il 6 ed il 7 aprile de Havilland Mosquito della RAF distrussero l'aereo insieme al SE.200 alla fonda. A quel momento, il prototipo del Latécoère 631 aveva completato 48 ore di volo, 40h30' di flottaggi e un totale di 97 decolli. I lavori sul programma di idro transatlantico ripresero in Francia all'indomani della liberazione col recupero e ricondizionamento delle parti decentrate in varie località della regione di Tolosa. Ma le idee non erano chiare. Per i futuri collegamenti transatlantici, il governo francese aveva scelto il Latécoère, ma le intenzioni di Air France erano ben diverse. La compagnia era giunta alla conclusione che per poter

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L’impressionante cabina di pilotaggio del Latécoère 631. In primo piano sono visibili a sinistra la postazione del navigatore e a destra quella degli operatori radio. Le manette dei motori, nella tradizione idro erano fissate al sotto del posto di pilotaggio e in un unico set Ā raggiungibile solo dal comandante. La grande torretta centrale, degna del ponte di comando di una fregata, era in realtà la centralina di controllo del pilota automatico. L'equipaggio si componeva normalmente di due piloti, un navigatore, tre operatori radio, tre-quattro meccanici-elettricisti, un commissario di bordo e due-tre steward.

un’epoca di radioassistenze rudimentali 10 specialmente sulla “Ligne des InAntilles”, il navigatore controllava la rotta facendo il punto con rilevamenti col Sole e con le stelle.

controbattere la concorrenza estera sulla redditizia rotta Francia-Stati Uniti l'unico mezzo fosse l'impiego dei nuovi quadrimotori terrestri americani. Questi avevano infatti preso ormai il sopravvento rispetto agli idrovolanti non solo sull'Atlantico settentrionale ma anche su quello meridionale; così l'unico settore che restava ad Air France per operare idrovolanti era quello dei collegamenti con le Antille francesi, ancora prive delle necessarie infrastrutture aeroportuali, che anche in termini di autonomia dalla madrepatria si adattava bene ai grandi esamotori usando

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AEROFAN | LATÉCOÈRE 631

uno scalo intermedio in Mauritania/Africa Occidentale Francese che permetteva di evitare difficili trattative con i portoghesi per l'uso delle Azzorre. Il Latécoère 631 n/c 02 era stato impostato sotto il controllo tedesco, ma il montaggio era stato sospeso per lasciare il posto a produzioni militari ed in particolare ad una linea del Junkers Ju-88 ed allo sviluppo del bombardiere transatlantico Ju-488. Per evitare la distruzione ad opera degli alleati, anche d'accordo con le autorità tedesche, i vari componenti erano stati nascosti nell'area di Tolosa: le ali e la carlinga in una strada incavata coperta da una tettoria protettiva e camuffata a Lavalette, i sei gruppi motore e gli equipaggiamenti in un granaio a Verfeuil e 30 tonnellate di lega leggera in un ovile a SaintBertrand-de-Comminges. Nel dicembre 1944 questi componenti furono portati a Biscarrosse per l'assemblaggio ed il 6 marzo 1945 avvenne il primo collaudo nelle mani di Pierre Crespy che aprì le porte al programma di 82 ore in 25 voli di messa a punto che si concluse il 25 luglio 1945. Tra le prestazioni registrate vi erano una velocità massima orizzontale di 360 km/h, una velocità massima in leggera picchiata di 420 km/h e l'unica modifica apportata al disegno originale era stata, oltre all'eliminazione del timone marino rivelatosi inutile, l'arretramento del secondo redan di 0,50 m. Gli ordini per l'esamotore, nel frattempo, erano saliti ad 11

esemplari: ai quattro del periodo bellico se ne erano aggiunti cinque (n/c 5, 6, 7, 8 e 9) l'11 settembre 1944 e due (n/c 10 e 11) il 24 agosto 1945. L'n/c 02, poi F-BANT, inizialmente contraddistinto dalle bande bianche e nere di identificazione degli aerei alleati, rimase danneggiato l'11 aprile 1945 ad uno dei galleggianti subalari durante un flottaggio veloce e in luglio Crespy, accusato di aver avuto rapporti troppo amichevoli con i piloti della Lufthansa distaccati al programma durante l'occupazione, fu sostituito da Jean Prévost proveniente dalla Marina. La prima uscita del 31 luglio fu un volo prova di consumo di 6.000 km a Dakar, Senegal, e l'F-BANT, battezzato “Lionel de Marmier”, decollò con a bordo due equipaggi completi, uno di Latécoère ed uno di Air France, e con alcuni invitati tra cui il Ministro dell'Aria Charles Tillon; complessivamente si trovavano a bordo una sessantina di persone compresi dei giornalisti. Il volo di andata richiese 13 ore di volo e l'aereo rientrò a Biscarrosse il 4 per correggere alcuni piccoli problemi tecnici. Il 28 settembre durante prove col pilota automatico l'aereo effettuò autonomamente una virata a destra con successiva picchiata. Ripreso il controllo, Prévost, riuscì ad ammarare in emergenza a Biscarrosse ma con danni consistenti ad ala, impennaggi e fusoliera che richiesero tra l'altro la sostituzione di quasi ottomila rivetti.

Il comandante alla cloche dell’idrovolante. 11 A sinistra si intravedono le manette dei sei motori per il cui monitoraggio

egli disponeva solo di una strumentazione essenziale con tutti gli indicatori di dettaglio concentrati nella postazione del motorista.

giunse il 27 ottobre 1945 12L’F-BANT alla fonda a Rio de Janeirodopodove38l’aereo ore dal decollo da Biscarrosse.


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L’impressionante cabina di pilotaggio del Latécoère 631. In primo piano sono visibili a sinistra la postazione del navigatore e a destra quella degli operatori radio. Le manette dei motori, nella tradizione idro erano fissate al sotto del posto di pilotaggio e in un unico set Ā raggiungibile solo dal comandante. La grande torretta centrale, degna del ponte di comando di una fregata, era in realtà la centralina di controllo del pilota automatico. L'equipaggio si componeva normalmente di due piloti, un navigatore, tre operatori radio, tre-quattro meccanici-elettricisti, un commissario di bordo e due-tre steward.

un’epoca di radioassistenze rudimentali 10 specialmente sulla “Ligne des InAntilles”, il navigatore controllava la rotta facendo il punto con rilevamenti col Sole e con le stelle.

controbattere la concorrenza estera sulla redditizia rotta Francia-Stati Uniti l'unico mezzo fosse l'impiego dei nuovi quadrimotori terrestri americani. Questi avevano infatti preso ormai il sopravvento rispetto agli idrovolanti non solo sull'Atlantico settentrionale ma anche su quello meridionale; così l'unico settore che restava ad Air France per operare idrovolanti era quello dei collegamenti con le Antille francesi, ancora prive delle necessarie infrastrutture aeroportuali, che anche in termini di autonomia dalla madrepatria si adattava bene ai grandi esamotori usando

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AEROFAN | LATÉCOÈRE 631

uno scalo intermedio in Mauritania/Africa Occidentale Francese che permetteva di evitare difficili trattative con i portoghesi per l'uso delle Azzorre. Il Latécoère 631 n/c 02 era stato impostato sotto il controllo tedesco, ma il montaggio era stato sospeso per lasciare il posto a produzioni militari ed in particolare ad una linea del Junkers Ju-88 ed allo sviluppo del bombardiere transatlantico Ju-488. Per evitare la distruzione ad opera degli alleati, anche d'accordo con le autorità tedesche, i vari componenti erano stati nascosti nell'area di Tolosa: le ali e la carlinga in una strada incavata coperta da una tettoria protettiva e camuffata a Lavalette, i sei gruppi motore e gli equipaggiamenti in un granaio a Verfeuil e 30 tonnellate di lega leggera in un ovile a SaintBertrand-de-Comminges. Nel dicembre 1944 questi componenti furono portati a Biscarrosse per l'assemblaggio ed il 6 marzo 1945 avvenne il primo collaudo nelle mani di Pierre Crespy che aprì le porte al programma di 82 ore in 25 voli di messa a punto che si concluse il 25 luglio 1945. Tra le prestazioni registrate vi erano una velocità massima orizzontale di 360 km/h, una velocità massima in leggera picchiata di 420 km/h e l'unica modifica apportata al disegno originale era stata, oltre all'eliminazione del timone marino rivelatosi inutile, l'arretramento del secondo redan di 0,50 m. Gli ordini per l'esamotore, nel frattempo, erano saliti ad 11

esemplari: ai quattro del periodo bellico se ne erano aggiunti cinque (n/c 5, 6, 7, 8 e 9) l'11 settembre 1944 e due (n/c 10 e 11) il 24 agosto 1945. L'n/c 02, poi F-BANT, inizialmente contraddistinto dalle bande bianche e nere di identificazione degli aerei alleati, rimase danneggiato l'11 aprile 1945 ad uno dei galleggianti subalari durante un flottaggio veloce e in luglio Crespy, accusato di aver avuto rapporti troppo amichevoli con i piloti della Lufthansa distaccati al programma durante l'occupazione, fu sostituito da Jean Prévost proveniente dalla Marina. La prima uscita del 31 luglio fu un volo prova di consumo di 6.000 km a Dakar, Senegal, e l'F-BANT, battezzato “Lionel de Marmier”, decollò con a bordo due equipaggi completi, uno di Latécoère ed uno di Air France, e con alcuni invitati tra cui il Ministro dell'Aria Charles Tillon; complessivamente si trovavano a bordo una sessantina di persone compresi dei giornalisti. Il volo di andata richiese 13 ore di volo e l'aereo rientrò a Biscarrosse il 4 per correggere alcuni piccoli problemi tecnici. Il 28 settembre durante prove col pilota automatico l'aereo effettuò autonomamente una virata a destra con successiva picchiata. Ripreso il controllo, Prévost, riuscì ad ammarare in emergenza a Biscarrosse ma con danni consistenti ad ala, impennaggi e fusoliera che richiesero tra l'altro la sostituzione di quasi ottomila rivetti.

Il comandante alla cloche dell’idrovolante. 11 A sinistra si intravedono le manette dei sei motori per il cui monitoraggio

egli disponeva solo di una strumentazione essenziale con tutti gli indicatori di dettaglio concentrati nella postazione del motorista.

giunse il 27 ottobre 1945 12L’F-BANT alla fonda a Rio de Janeirodopodove38l’aereo ore dal decollo da Biscarrosse.


aspetto dell’F-BANT dopo il drammatico ammaraggio 17nella lagunaL’incredibile di Rocha in Uruguay. L’aereo ha perso in volo il motore interno

sinistro mentre quello a fianco pende scardinato di 45°. Sulla fiancata della fusoliera è evidente lo squarcio verticale attraverso cui è entrata la pala responsabile della morte di due giornalisti.

meridionale. Configurato per 46 passeggeri, l'aereo entrò in servizio con l'Air France il 26 luglio per essere usato in un volo transatlantico con decollo da Biscarrosse il 22 agosto. Arrivato a Fort-de-France il 23, l'F-BDRA fu protagonista il 25 di un volo speciale su Valencia, Venezuela, e Cartagena, Colombia, con a bordo il direttore generale di Air France. Il 5 luglio l'F-BANU, battezzato provvisoriamente “Henri Guillaumet” fu usato per un volo prova ufficiale da Biscarrosse a Fort-de-France, Martinica, con scalo tecnico a Port-Etienne. Il 6 luglio 1947 alle 6 del mattino l'esamotore ammarò a Fort-de-France con a bordo Max Hymans, Segretario Generale per l'Aviazione Civile e Commerciale, e altre autorità. Comandante era Henri Leclaire che dieci anni prima aveva pilotato il Latécoère 521 su quella stessa rotta e l'equipaggio era composto da 12 persone: due piloti, un navigatore, due operatori radio, quattro meccanici, un commissario di bordo e due steward. L'aereo era decollato il 5 luglio da Biscarrosse alle 3h15' del mattino ad un peso di 67 tonnellate (58 passeggeri e 22.000 litri di carburante in vista di un consumo orario di circa 900 litri) con una corsa di involo di 45”. L'arrivo a PortEtienne era avvenuto alle 14h05' dopo aver percorso 3.195 km in 10h32'.

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Roll-out a Le Havre dell’n/c 07 F-BDRD, il primo dei tre velivoli assemblati dalla SNCAN.

AEROFAN | LATÉCOÈRE 631

Il decollo da Port-Etienne ebbe luogo nel pomeriggio alle 18h37' con una corsa di 41” al peso di 71,5 tonnellate di cui 26.000 di carburante imbarcato manualmente e con una lentezza esasperante con pompe Japy. Al suo arrivo a Fortde-France, il 6 luglio alle 10h25' erano stati percorsi 4.730 km in circa 16 ore di cui 9h31'di notte e l'aereo giunse a destinazione con a bordo ancora 6.000 litri di carburante. Il ritorno iniziò il 9 luglio con un decollo di 65” da Fort-deFrance alle 13h54' a 71,7 tonnellate di cui 31.900 litri di carburante. Arrivo a Port-Etienne alle 7h28' dopo 4.730 km con vento contrario in 17h15' di cui 7h53' di notte con ancora a bordo 4.700 litri che sarebbero stati sufficienti a far fronte ad un dirottamento verso Dakar, Senegal. Infine il 10 luglio, l'F-BANU decollò da Port-Etienne alle 10h53' ammarando a Biscarrosse alle 22h25' dopo un pranzo con le aragoste imbarcate a Port-Etienne. Il 25 luglio l'F-BANU venne consegnato ufficialmente

creare una banda protetta lunga circa 3 km e larga 100 m tenendo conto della presenza o meno di vento e della temperatura. Il decollo notturno generalmente era fatto senza vento e, quando questo c'era, occorreva orientarsi correttamente. La base di Biscarrosse offriva due assi di operazioni principali: uno di 7.000 m orientato nord-sud ed uno di 6.000 m est-ovest. Dal punto di vista dei passeggeri le critiche erano rivolte soprattutto alla scarsa insonorizzazione specialmente nell'area del bar in corrispondenza dei dischi delle eliche. Un'altra critica riguardava i tempi reali del viaggio complessivo. I passeggeri venivano presi in carico alla stazione di Austerlitz di Parigi alle 17h20' del giovedì e arrivavano a Bordeaux-Saint-Jean alle 23h25' per proseguire per Biscarrosse a bordo di autobus. Il decollo da Biscarrosse avveniva il venerdì alle 3h30' del mattino con relativa levataccia e durante lo scalo a Port-Etienne di 13 ore veniva servito a terra il pranzo. Il decollo da Port-Etienne era previsto alle 18h30' con arrivo a Fort-de-France il sabato alle 6h30'. Il viaggio di ritorno iniziava il martedì alle 10 e si concludeva alla stazione Austerlitz alle 9 del giovedì. A Fort-de-France i passeggeri trovavano la rete interna delle Antille di Air France operata con anfibi Catalina che

Alcuni dei rottami dell’F-BDRD restituiti dal mare 20-21 dopo l’incidente del 21 febbraio 1948; si tratta di uno dei galleggianti stabilizzatori e di una sezione dello scafo.

Solo a Biscarrosse era disponibile un pontone per l’attracco 18 diretto del Latécoère 631; negli altri scali l’imbarco e lo sbarco di merci e

passeggeri doveva essere fatto a mezzo di battelli di supporto con tutte le complicazioni conseguenti. Stessi problemi si presentavano per gli interventi tecnici molto frequenti per motori ed eliche.

all'Air France ed il 26 decollò per il primo volo commerciale verso le Antille. All'inizio la “Ligne des Antilles” di Air France, (linea 053/054) con una cadenza di due voli andata-ritorno al mese, funzionò abbastanza regolarmente nonostante alcuni inconvenienti legati soprattutto al fatto che l'aereo fosse stato concepito nel 1938 e costruito in anni di restrizioni; i problemi principali furono legati ai motori ed alle eliche Ratier. Il momento più critico era il decollo da Fort-de-France spesso in assenza di vento e con moto ondoso, per cui non era raro che fossero necessari talvolta una decina di tentativi prima di riuscire a staccare il grosso idrovolante dall'acqua. Con i tempi di decollo dell'esamotore in condizioni normali corrispondenti a distanze fino a 1.700 m, bisognava

Il montaggio dei più potenti motori Wright R-2600-14BB 22 al posto degli R-2600-A5B con eliche di maggiore diametro migliorò le prestazioni ma al costo di un aumento ulteriore delle vibrazioni e risonanze già presenti sul velivolo.

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aspetto dell’F-BANT dopo il drammatico ammaraggio 17nella lagunaL’incredibile di Rocha in Uruguay. L’aereo ha perso in volo il motore interno

sinistro mentre quello a fianco pende scardinato di 45°. Sulla fiancata della fusoliera è evidente lo squarcio verticale attraverso cui è entrata la pala responsabile della morte di due giornalisti.

meridionale. Configurato per 46 passeggeri, l'aereo entrò in servizio con l'Air France il 26 luglio per essere usato in un volo transatlantico con decollo da Biscarrosse il 22 agosto. Arrivato a Fort-de-France il 23, l'F-BDRA fu protagonista il 25 di un volo speciale su Valencia, Venezuela, e Cartagena, Colombia, con a bordo il direttore generale di Air France. Il 5 luglio l'F-BANU, battezzato provvisoriamente “Henri Guillaumet” fu usato per un volo prova ufficiale da Biscarrosse a Fort-de-France, Martinica, con scalo tecnico a Port-Etienne. Il 6 luglio 1947 alle 6 del mattino l'esamotore ammarò a Fort-de-France con a bordo Max Hymans, Segretario Generale per l'Aviazione Civile e Commerciale, e altre autorità. Comandante era Henri Leclaire che dieci anni prima aveva pilotato il Latécoère 521 su quella stessa rotta e l'equipaggio era composto da 12 persone: due piloti, un navigatore, due operatori radio, quattro meccanici, un commissario di bordo e due steward. L'aereo era decollato il 5 luglio da Biscarrosse alle 3h15' del mattino ad un peso di 67 tonnellate (58 passeggeri e 22.000 litri di carburante in vista di un consumo orario di circa 900 litri) con una corsa di involo di 45”. L'arrivo a PortEtienne era avvenuto alle 14h05' dopo aver percorso 3.195 km in 10h32'.

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Roll-out a Le Havre dell’n/c 07 F-BDRD, il primo dei tre velivoli assemblati dalla SNCAN.

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Il decollo da Port-Etienne ebbe luogo nel pomeriggio alle 18h37' con una corsa di 41” al peso di 71,5 tonnellate di cui 26.000 di carburante imbarcato manualmente e con una lentezza esasperante con pompe Japy. Al suo arrivo a Fortde-France, il 6 luglio alle 10h25' erano stati percorsi 4.730 km in circa 16 ore di cui 9h31'di notte e l'aereo giunse a destinazione con a bordo ancora 6.000 litri di carburante. Il ritorno iniziò il 9 luglio con un decollo di 65” da Fort-deFrance alle 13h54' a 71,7 tonnellate di cui 31.900 litri di carburante. Arrivo a Port-Etienne alle 7h28' dopo 4.730 km con vento contrario in 17h15' di cui 7h53' di notte con ancora a bordo 4.700 litri che sarebbero stati sufficienti a far fronte ad un dirottamento verso Dakar, Senegal. Infine il 10 luglio, l'F-BANU decollò da Port-Etienne alle 10h53' ammarando a Biscarrosse alle 22h25' dopo un pranzo con le aragoste imbarcate a Port-Etienne. Il 25 luglio l'F-BANU venne consegnato ufficialmente

creare una banda protetta lunga circa 3 km e larga 100 m tenendo conto della presenza o meno di vento e della temperatura. Il decollo notturno generalmente era fatto senza vento e, quando questo c'era, occorreva orientarsi correttamente. La base di Biscarrosse offriva due assi di operazioni principali: uno di 7.000 m orientato nord-sud ed uno di 6.000 m est-ovest. Dal punto di vista dei passeggeri le critiche erano rivolte soprattutto alla scarsa insonorizzazione specialmente nell'area del bar in corrispondenza dei dischi delle eliche. Un'altra critica riguardava i tempi reali del viaggio complessivo. I passeggeri venivano presi in carico alla stazione di Austerlitz di Parigi alle 17h20' del giovedì e arrivavano a Bordeaux-Saint-Jean alle 23h25' per proseguire per Biscarrosse a bordo di autobus. Il decollo da Biscarrosse avveniva il venerdì alle 3h30' del mattino con relativa levataccia e durante lo scalo a Port-Etienne di 13 ore veniva servito a terra il pranzo. Il decollo da Port-Etienne era previsto alle 18h30' con arrivo a Fort-de-France il sabato alle 6h30'. Il viaggio di ritorno iniziava il martedì alle 10 e si concludeva alla stazione Austerlitz alle 9 del giovedì. A Fort-de-France i passeggeri trovavano la rete interna delle Antille di Air France operata con anfibi Catalina che

Alcuni dei rottami dell’F-BDRD restituiti dal mare 20-21 dopo l’incidente del 21 febbraio 1948; si tratta di uno dei galleggianti stabilizzatori e di una sezione dello scafo.

Solo a Biscarrosse era disponibile un pontone per l’attracco 18 diretto del Latécoère 631; negli altri scali l’imbarco e lo sbarco di merci e

passeggeri doveva essere fatto a mezzo di battelli di supporto con tutte le complicazioni conseguenti. Stessi problemi si presentavano per gli interventi tecnici molto frequenti per motori ed eliche.

all'Air France ed il 26 decollò per il primo volo commerciale verso le Antille. All'inizio la “Ligne des Antilles” di Air France, (linea 053/054) con una cadenza di due voli andata-ritorno al mese, funzionò abbastanza regolarmente nonostante alcuni inconvenienti legati soprattutto al fatto che l'aereo fosse stato concepito nel 1938 e costruito in anni di restrizioni; i problemi principali furono legati ai motori ed alle eliche Ratier. Il momento più critico era il decollo da Fort-de-France spesso in assenza di vento e con moto ondoso, per cui non era raro che fossero necessari talvolta una decina di tentativi prima di riuscire a staccare il grosso idrovolante dall'acqua. Con i tempi di decollo dell'esamotore in condizioni normali corrispondenti a distanze fino a 1.700 m, bisognava

Il montaggio dei più potenti motori Wright R-2600-14BB 22 al posto degli R-2600-A5B con eliche di maggiore diametro migliorò le prestazioni ma al costo di un aumento ulteriore delle vibrazioni e risonanze già presenti sul velivolo.

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rotture. Su queste basi furono apportati degli irrobustimenti che permisero di riprendere l'impiego del velivolo sempre in ambito merci. L'n/c 05 F-BDRB costruito a Saint-Nazaire, dopo il primo volo del 5 settembre 1947, fu trasferito a a Biscarrosse per ricevere i motori più potenti e l'arredamento interno. In ottobre effettuò le prove presso il CEV (Centre d'Essais en Vol) e, benché iscritto nella flotta Air France con ingresso in servizio previsto per il 1° settembre 1948, non fu mai immesso sulla linea delle Antille e usato esclusivamente per voli prova e addestramento equipaggi. L'incidente dell'F-WANU chiuse la parentesi SEMAF anche perché la compagnia lamentava problemi legati al carico-scarico con battelli che favoriva danni allo scafo e l'insoddisfacente media di carico per volo che aveva fatto segnare solo circa 12 tonnellate. Intanto la produzione era continuata e restavano da completare e collaudare le cellule 8, 9, 10 ed 11. In questa fase emerse anche una mancanza di piloti esperti per il trasferimento dei velivoli dopo che Prévost aveva avuto problemi di salute. Il suo posto fu preso dal pilota di SNCASE Henri Stakenburg che curò il primo volo il 20 novembre 1948 del n/c 9 F-WDRF col successivo trasferimento il 25 novembre da le Havre a Biscarrosse. Fu quindi la volta del n/c 8 F-WDRE col primo volo il 28 novembre 1948 ed il trasferimento il 30. Il n/c 10 F-WDRG volò il 7 ottobre 149 nelle mani di Arnaud e Lequien che poi il 13 ottobre portarono l'aereo, al suo terzo volo, a Biscarrosse. A fine dicembre 1949 a Biscarrosse si trovarono così riuniti otto aerei. Presso la base Latécoère l'n/c 2 F-BANT, l'n/c 3 F-BANU in corso di trasformazione in cargo, l'n/c 9 F-

WDRF e la fusoliera del n/c 11 in attesa delle ali in costruzione a Tolosa. Presso l'idroscalo di Hortiquets l'n/c 4 F-BDRA e l'n/c 10 F-WDRG erano ormeggiati alla boa, l'n/c 5 F-BDRB era in prova con il sistema antighiaccio e l'n/c 8 FBDRE attendeva trasformato in cargo la consegna alla SEMAF che non avvenne mai. Il gruppo di giganti appariva sull'orlo dell'abbandono; solo la Marina Francese sembrò interessata e nel novembre 1949 redasse uno studio sulla possibile utilizzazione militare che includeva un confronto del Latécoère 631 col Breguet 731 Bellatrix ed il Bloch 161/SNCASE SE.161 Languedoc. Il primo era un idrovolante quadrimotore anch'esso prebellico che venne brevemente usato dalla Marina del dopoguerra in tre esemplari ed il secondo era un quadrimotore terrestre che finì con l'essere usato sia dalla Marina che dall'Air France, preferito ai due idrovolanti. Così il 30 dicembre 1949 il governo, adducendo motivazioni economiche, ordinò l'interruzione di qualsiasi lavoro sui Latécoère 631 con l'eccezione di quelli assolutamente indispensabili. Con l'accertamento in agosto delle cause dell'incidente dell'F-WANU, il ministero decise di rimettere in servizio dall'agosto 1951 i Latécoère 631 e a questo scopo alla fine del 1951 fu costituita la France Hydro alla quale lo Stato cedette due esemplari, tra cui l'F-BDRE che era l'unico in versione cargo. France Hydro intendeva usare gli aerei in Africa Nera ma l'avvio delle attività slittò al marzo 1953 per la necessità di approntare le strutture in loco e per la formazione degli equipaggi in quanto Air France, questa volta, non ebbe alcun ruolo nel progetto. Così il primo volo della società ebbe come destinazione Saigon per valutare un possibile impiego nei collegamenti con l'Indocina in supporto al

25

L’n/c 08 F-BDRE nei colori di France Hydro attraccato al pontone di servizio di Biscarrosse. Il velivolo cadde in Camerun per la turbolenza il 10 settembre 1955.

corpo di spedizione francese. Il 27 marzo 1952 l'F-BDRE decollò da Biscarrosse per atterrare il 4 aprile sulla baia aeronavale francese di Cat-Laï dopo un volo di 12.550 km con tappe a Biserta, Bahrein, Trincomalee (Ceylon oggi Sri Lanka). Il volo fu ripetuto in luglio e in ottobre, ma la scelta finale cadde su un altro gigante sfortunato, il SE2010 Armagnac terrestre di cui erano disponibili sette esemplari anch'essi disoccupati che furono operati dalla SAGETA dal 1953 al 1954 in 163 voli per Saigon. Sconfitto anche per il ponte aereo col Vietnam, l'F-BDRE si trasferì il 17 marzo 1953 in Camerun per trasportare il cotone coltivato dalla Cotonfran sul lago Léré in Ciad a Douala, Camerun, distante 820 km dove veniva poi imbarcato su nave per raggiungere le filature in Francia. In questi voli da Léré a Douala, il Latécoère 631 imbarcava 212 balle di cotone compresso per un peso di 22 tonnellate e al ritorno portava da Douala materiali diversi. L'unico aereo usato fu l'F-BDRE. Il collegamento si stava rivelando redditizio ma il 10 settembre 1955 l'esamotore fu protagonista di una nuova tragedia. Impegnato nel volo da Douala a Lac Léré ai comandi di Louis Demouveaux con otto membri dell'equipaggio ed otto passeggeri e con un carico di sole 8 tonnellate, il velivolo cadde presso il villaggio di Sambolabo, in Camerun, a circa metà strada del tragitto quasi certamente a causa della forte turbolenza provocata da una tempesta. I rottami furono trovati solo il 13 settembre

La versione iniziale dell’idrovolante poteva ospitare 46 passeggeri 26 con le poltroncine trasformabili in altrettante cuccette e 9.270 kg di merce. Il modello con motori -C14BB aveva una capacità di 54 passeggeri di cui 30 con poltroncine trasformabili in cuccette.

con le varie parti dell'esamotore sparse su una grande superficie segno evidente di un cedimento in volo della struttura. Al termine del collegamento, l'F-BDRE avrebbe dovuto rientrare in Francia per essere riformato e sostituito in Africa dal vecchio n/c 02 F-BANT. L'incidente fu un duro colpo per France Hydro che nel settembre 1956 fu posta in liquidazione. Questa volta era veramente finita per il Latécoère 631 i cui esemplari superstiti furono accantonati a Biscarrosse. Qui il destino dette un altro grave colpo all'esamotore quando il 20-21 febbraio 1956 il tetto dell'hangar Latécoère cedette per la neve distruggendo i tre velivoli che vi si trovavano ricoverati. L'ultimo a sopravvivere fu il veccho n/c 02 F-BANT “Leonel de Marmier” demolito solo alla fine del 1963. Solo negli anni '50 i Lockheed Constellation di Air France poterono tornare a collegare le Antille con la Francia: a Guadalupa venne aperto nel 1950 l'aeroporto di Le Raizet (poi Guadeloupe Pôle Caraïbes) e successivamente a Pointe-à-Pitre quello Le Lamentin (poi Aimé Césaire). I Constellation collegavano Parigi a Pointe-à-Pitre, prima via New York e poi via Lisbona e Santa Maria nelle Azzorre, in 17 ore contro le circa 30 del Latécoère 631.

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rotture. Su queste basi furono apportati degli irrobustimenti che permisero di riprendere l'impiego del velivolo sempre in ambito merci. L'n/c 05 F-BDRB costruito a Saint-Nazaire, dopo il primo volo del 5 settembre 1947, fu trasferito a a Biscarrosse per ricevere i motori più potenti e l'arredamento interno. In ottobre effettuò le prove presso il CEV (Centre d'Essais en Vol) e, benché iscritto nella flotta Air France con ingresso in servizio previsto per il 1° settembre 1948, non fu mai immesso sulla linea delle Antille e usato esclusivamente per voli prova e addestramento equipaggi. L'incidente dell'F-WANU chiuse la parentesi SEMAF anche perché la compagnia lamentava problemi legati al carico-scarico con battelli che favoriva danni allo scafo e l'insoddisfacente media di carico per volo che aveva fatto segnare solo circa 12 tonnellate. Intanto la produzione era continuata e restavano da completare e collaudare le cellule 8, 9, 10 ed 11. In questa fase emerse anche una mancanza di piloti esperti per il trasferimento dei velivoli dopo che Prévost aveva avuto problemi di salute. Il suo posto fu preso dal pilota di SNCASE Henri Stakenburg che curò il primo volo il 20 novembre 1948 del n/c 9 F-WDRF col successivo trasferimento il 25 novembre da le Havre a Biscarrosse. Fu quindi la volta del n/c 8 F-WDRE col primo volo il 28 novembre 1948 ed il trasferimento il 30. Il n/c 10 F-WDRG volò il 7 ottobre 149 nelle mani di Arnaud e Lequien che poi il 13 ottobre portarono l'aereo, al suo terzo volo, a Biscarrosse. A fine dicembre 1949 a Biscarrosse si trovarono così riuniti otto aerei. Presso la base Latécoère l'n/c 2 F-BANT, l'n/c 3 F-BANU in corso di trasformazione in cargo, l'n/c 9 F-

WDRF e la fusoliera del n/c 11 in attesa delle ali in costruzione a Tolosa. Presso l'idroscalo di Hortiquets l'n/c 4 F-BDRA e l'n/c 10 F-WDRG erano ormeggiati alla boa, l'n/c 5 F-BDRB era in prova con il sistema antighiaccio e l'n/c 8 FBDRE attendeva trasformato in cargo la consegna alla SEMAF che non avvenne mai. Il gruppo di giganti appariva sull'orlo dell'abbandono; solo la Marina Francese sembrò interessata e nel novembre 1949 redasse uno studio sulla possibile utilizzazione militare che includeva un confronto del Latécoère 631 col Breguet 731 Bellatrix ed il Bloch 161/SNCASE SE.161 Languedoc. Il primo era un idrovolante quadrimotore anch'esso prebellico che venne brevemente usato dalla Marina del dopoguerra in tre esemplari ed il secondo era un quadrimotore terrestre che finì con l'essere usato sia dalla Marina che dall'Air France, preferito ai due idrovolanti. Così il 30 dicembre 1949 il governo, adducendo motivazioni economiche, ordinò l'interruzione di qualsiasi lavoro sui Latécoère 631 con l'eccezione di quelli assolutamente indispensabili. Con l'accertamento in agosto delle cause dell'incidente dell'F-WANU, il ministero decise di rimettere in servizio dall'agosto 1951 i Latécoère 631 e a questo scopo alla fine del 1951 fu costituita la France Hydro alla quale lo Stato cedette due esemplari, tra cui l'F-BDRE che era l'unico in versione cargo. France Hydro intendeva usare gli aerei in Africa Nera ma l'avvio delle attività slittò al marzo 1953 per la necessità di approntare le strutture in loco e per la formazione degli equipaggi in quanto Air France, questa volta, non ebbe alcun ruolo nel progetto. Così il primo volo della società ebbe come destinazione Saigon per valutare un possibile impiego nei collegamenti con l'Indocina in supporto al

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L’n/c 08 F-BDRE nei colori di France Hydro attraccato al pontone di servizio di Biscarrosse. Il velivolo cadde in Camerun per la turbolenza il 10 settembre 1955.

corpo di spedizione francese. Il 27 marzo 1952 l'F-BDRE decollò da Biscarrosse per atterrare il 4 aprile sulla baia aeronavale francese di Cat-Laï dopo un volo di 12.550 km con tappe a Biserta, Bahrein, Trincomalee (Ceylon oggi Sri Lanka). Il volo fu ripetuto in luglio e in ottobre, ma la scelta finale cadde su un altro gigante sfortunato, il SE2010 Armagnac terrestre di cui erano disponibili sette esemplari anch'essi disoccupati che furono operati dalla SAGETA dal 1953 al 1954 in 163 voli per Saigon. Sconfitto anche per il ponte aereo col Vietnam, l'F-BDRE si trasferì il 17 marzo 1953 in Camerun per trasportare il cotone coltivato dalla Cotonfran sul lago Léré in Ciad a Douala, Camerun, distante 820 km dove veniva poi imbarcato su nave per raggiungere le filature in Francia. In questi voli da Léré a Douala, il Latécoère 631 imbarcava 212 balle di cotone compresso per un peso di 22 tonnellate e al ritorno portava da Douala materiali diversi. L'unico aereo usato fu l'F-BDRE. Il collegamento si stava rivelando redditizio ma il 10 settembre 1955 l'esamotore fu protagonista di una nuova tragedia. Impegnato nel volo da Douala a Lac Léré ai comandi di Louis Demouveaux con otto membri dell'equipaggio ed otto passeggeri e con un carico di sole 8 tonnellate, il velivolo cadde presso il villaggio di Sambolabo, in Camerun, a circa metà strada del tragitto quasi certamente a causa della forte turbolenza provocata da una tempesta. I rottami furono trovati solo il 13 settembre

La versione iniziale dell’idrovolante poteva ospitare 46 passeggeri 26 con le poltroncine trasformabili in altrettante cuccette e 9.270 kg di merce. Il modello con motori -C14BB aveva una capacità di 54 passeggeri di cui 30 con poltroncine trasformabili in cuccette.

con le varie parti dell'esamotore sparse su una grande superficie segno evidente di un cedimento in volo della struttura. Al termine del collegamento, l'F-BDRE avrebbe dovuto rientrare in Francia per essere riformato e sostituito in Africa dal vecchio n/c 02 F-BANT. L'incidente fu un duro colpo per France Hydro che nel settembre 1956 fu posta in liquidazione. Questa volta era veramente finita per il Latécoère 631 i cui esemplari superstiti furono accantonati a Biscarrosse. Qui il destino dette un altro grave colpo all'esamotore quando il 20-21 febbraio 1956 il tetto dell'hangar Latécoère cedette per la neve distruggendo i tre velivoli che vi si trovavano ricoverati. L'ultimo a sopravvivere fu il veccho n/c 02 F-BANT “Leonel de Marmier” demolito solo alla fine del 1963. Solo negli anni '50 i Lockheed Constellation di Air France poterono tornare a collegare le Antille con la Francia: a Guadalupa venne aperto nel 1950 l'aeroporto di Le Raizet (poi Guadeloupe Pôle Caraïbes) e successivamente a Pointe-à-Pitre quello Le Lamentin (poi Aimé Césaire). I Constellation collegavano Parigi a Pointe-à-Pitre, prima via New York e poi via Lisbona e Santa Maria nelle Azzorre, in 17 ore contro le circa 30 del Latécoère 631.

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TRA I DUE FIGHTER Gli F-16 con la coccarda tricolore

speciale desert storm La coalizione anti-Saddam

showbirds! Il 94th Squadron Hat in the Ring

mini monografie Caccia bi-fusoliera della Regia Aeronautica

A SETTEMBRE IN EDICOLA E SUL NOSTRO SITO

www.luckyplane.it

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Anno 3 | Numero 16 | Lug/Ago 2021 | € 12,00

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in questo numero

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un giorno a amendola

LA RIVISTA ITALIANA DI STORIA E TECNICA AERONAUTICA

La più grande base aerea italiana tra storia e futuro

speciale desert storm L’Armée de l’Air e l’operazione Daguet

F-104 zell Lo Starfighter a decollo... “quasi” verticale

a proposito di... Un veterano di Desert Storm al museo

fairey gannet Un cacciatore di sommergibili per le portaerei di Sua Maestà

gli occhi della nasa Gli apparecchi foto/cine/video del programma spaziale americano

gino pizzati dalla regia all’anr Storie di guerra di un aviatore veneto

latécoère 631 L’ultimo grande idrovolante di linea

mini monografie

north american xb-70 valkyrie Il bombardiere da Mach 3

un giorno a amendola

La più grande base aerea italiana tra storia e futuro

speciale desert storm L’Armée de l’Air e l’Operazione Daguet

gli occhi della nasa

Gli apparecchi foto/cine/video del programma spaziale americano

PERIODICO BIMESTRALE - P.I. 10/08/2021


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