Affari di Gola - dicembre 2012 gennaio 2013

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Supplemento al n. 45 de “La Rassegna” del 13 dicembre 2012 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60

dicembre 2012

IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO

Gli chef stellati: «Ecco la ristorazione che verrà»


della provincia di Bergamo AZIONE - Azienda speciale RM FO CA AS AM RG BE DA AZIEN

a TREVIGLIO presso il

Polo Tecnico Professionale Industriale “Oreste Mozzali”

Corso triennale di

Con possibilità del quarto anno di specializzazione Corso triennale OPERATORE DELLA RISTORAZIONE PREPARAZIONE PASTI

4° anno TECNICO DI CUCINA

L’operatore dell’area ristorativa è in grado di gestire in collaborazione con gli altri, le fasi più semplici dei processi che portano alla produzione e vendita di alimenti nella piccola, media e grande impresa alimentare, basandosi su capacità tecniche e relazionali e rispettando la normativa vigente sulla sicurezza del lavoro e sull’igiene alimentare.

Il diploma di qualifica del quarto anno, equivalente al diploma di Tecnico Europeo di II Livello, attribuisce la qualifica di cuoco, consente di avviare un’attività imprenditoriale, dà la possibilità di iscriversi al successivo 5° anno e, previo superamento dell’esame di Stato, di accedere a tutte le facoltà universitarie.

Per informazioni chiamare il numero 035 3693710, visitare il sito www.abf.eu o inviare una mail a luigi.roffia@abf.eu


DICEMBRE 2012 / GENNAIO 2013

SOMMARIO www.affaridigola.it

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PENNA ALL’ARRABBIATA La clamorosa retromarcia di Vissani smaschera i furbetti del padellino

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SCENARI Gli chef stellati: «Basta piatti complicati»

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L’INTERVENTO Rota: «Troppo spesso soli, un appello a chi non sostiene il Consorzio Valcalepio»

10 L’INTERVISTA Cotarella: «Sarà il clima la nuova sfida per il mondo del vino»

12 LA CLASSIFICA

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La Baita del Formaggio: «Ecco i formaggi da Oscar»

16 IDEE Regali, con la crisi vincono il fai da te e il ricettario di famiglia

20 IL RISTORANTE K2, tutto il sapore della montagna

24 L’ITINERARIO Chiuduno, non solo vino

22 STORIE Quei teenager con la passione per la terra

Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giorgio Paglia, 26 - 24121 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - affaridigola@larassegna.it - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Paglia, 26 - 24122 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@larassegna.it - Abbonamenti: www.larassegna.it - tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli, Michela Brivio, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto GraÀco, Bg

I NOSTRI INSERZIONISTI

4R, Alimentari Moretti, Antica Trattoria Breve Respiro, Azienda Bergamasca Formazione, Casa Arrigoni, Il Cipresso, Loipoll, Metalfrigor Arredamenti, MobiliÀcio Fattorini, Punto Automatico, Ristorante Stella


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Q U AT T R O E R R E

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“Signori abbiamo scherzato” La clamorosa retromarcia di Vissani smaschera i furbetti del padellino di Pier Carlo Capozzi

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eggendo la notizia, recentissima, della presentazione del suo ultimo libro (in realtà un cofanetto che ne contiene tre, intitolato “L’altro Vissani”, 49,90 euro e passa la paura), da supponenti quali ogni tanto ci tocca essere, ci siamo chiesti: “Ma fosse mai che il grande maestro di Baschi abbia dato una sbirciatina ad Affari di Gola?” E, considerando la sua meritoria campagna a favore del nostro Strachitunt, che lui considera il miglior formaggio italiano, e le sue frequenti capatine nelle nostre valli, l’ipotesi potrebbe non essere del tutto campata in aria. Il cofanetto di Vissani, infatti, rappresenta un forte richiamo alle ricette familiari, un richiamo che ricorda molto da vicino una nostra iniziativa a favore della cucina della nonna, dove chiedevamo a gran voce che Àne avessero fatto le polpette, le cotolette alla milanese, la pasta al forno e via elencando. È Àn troppo evidente che, al di là di un Àlo di speranza, Gianfranco Vissani non si sia ispirato per niente ai nostri scritti né dovesse averne bisogno: il fatto però che un grande innovatore come lui, con un pizzico di ritardo, si ritrovi sulle nostre posizioni, francamente ci inorgoglisce un pochino. Perché, al netto degli invidiosi, Vissani resta un grande della storia della nostra enogastronomia più recente: ricordo quanto diventasse famelica la lettura della sua recensione sulla Guida de L’Espresso. Perché noi, Vissani, abbiamo imparato a conoscerlo lì. Ed è stato un grande colpo per quella Guida, una splendida scoperta di Federico D’Amato, abile come nessun altro ad esaltare il genio di questo cuoco senza maestri e senza radici, capace di accostamenti impensabili: La minestra di broccoletti al gambero ed al moscato, L’agnello delle colline alla torta di Ànocchio, La faraona al sugo di gamberi, La gelatina fresca di pistacchio al cioccolato. Adesso, però, il maestro ha cambiato idea: “Basta con la cucina spettacolo, torniamo ad un buon piatto di Bucatini

all’amatriciana. Abbiamo fatto allontanare la gente dai ristoranti, anch’io ho avuto le mie colpe. Ora è arrivato il momento di tornare agli anni Cinquanta, alla cucina del territorio, ai piatti semplici, magari un po’ alleggeriti. È il frutto di 25 anni di viaggi per l’Italia, meglio di quelli dell’Artusi”. Oddio, forse varrebbe la pena di ricordarsi di Mario Soldati, in quanto a viaggi, enogastronomia ed Italia, ma resta il fatto che, arrivati a questo punto della corsa, signori, si deve scendere perché il macchinista ha cambiato idea. È vero che la storia (quindi anche quella dei fornelli) è piena zeppa di corsi e ricorsi, però questi cambiamenti spericolati di itinerario, queste improvvise quanto inattese retromarce, soprattutto se compiute da un grande che riconosciamo tale, ci lasciano parecchio perplessi. Con la “nouvelle cuisine” andò esattamente allo stesso modo: ni ssa Gianfranco Vi stanchi delle proposte che si ripetevano alla noia, degli stessi ingredienti che uscivano dalla porta e rientravano dalla Ànestra, i nostri cugini d’Oltralpe s’inventarono le ricette più leggere (troppo più leggere, non si pranzava più…), scenograÀcamente attraenti, con verdure e sapori mai provati. La cucina novella fu una rivoluzione, ma, come spesso accade, a fronte di un rinnovamento in dispensa e nelle ricette, ci furono troppi che la utilizzarono così male che Ànì per implodere su sé stessa. E quando Paul Bocuse, un altro grande, ne sancì la Àne ingloriosa, noi salutammo l’evento con una pernacchia al cerfoglio. Con Vissani ci pare che la storia (corsi e ricorsi) si ripeta: i golosi di tutt’Italia sono sconcertati da chimica, spume ed esperimenti estremi, ma anche da forzature e abbinamenti che non tutti hanno la padronanza e la professionalità di proporre al meglio e che cominciano a non pagare più. Gianfranco ha quindi detto stop e vuol tornare alla Parmigiana di melanzane. Abbiamo una notizia anche per lui. Noi non l’avevamo mai abbandonata. piercapozzi@libero.it

PENNA ALL’ARRABBIATA

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SCENARI di Anna Facci

I grandi della cucina non hanno dubbi su come dovrà essere la ristorazione nel nuovo anno: concreta, facilmente leggibile, capace di valorizzare il buono che regala la natura e la nostra cultura gastronomica. Stop alla ricerca delle innovazioni a tutti i costi: secondo loro, infatti, il consumatore oggi cerca sicurezza e chiarezza

Gli chef stellati: «Basta piatti complicati»

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e difÀcoltà che la ristorazione sta vivendo le sintetizza bene Gualtiero Marchesi, che al settore preferisce dire di «tenere duro, non perdere di vista i propri obiettivi e continuare a battersi con coraggio», piuttosto che azzardare ricette, consapevole che le sorti del comparto dipendono in larga misura dall’andamento economico del Paese. Una visione comune sulla strada che la cucina e la ristorazione sono chiamate a intraprendere emerge invece dagli altri grandi chef lombardi presen-

ti a Pianeta GourMarte, la nuova manifestazione dedicata all’enogastronomia organizzata dalla Promoberg nel primo Àne settimana di dicembre. Fine anno, tempo di bilanci e di progetti per l’anno nuovo, tanti eccellenti nomi della cucina italiana riuniti nello stesso padiglione, insomma, l’occasione giusta per un giro d’opinioni e orizzonti. Due le domande per tutti: quale augurio, inteso anche come linea di condotta, per il nuovo anno al settore e quale errore non dovrebbe

mai essere commesso da uno chef o un ristoratore. Gli “stellati” non hanno dubbi: occorre un passo indietro, non farsi ingannare (né ingannare i consumatori) dalla ricerca dell’innovazione a tutti i costi, dalle tendenze che spesso non portano sostanziali novità, dal desiderio di guadagnare consensi solo mediatici. La cucina e l’ospitalità devono poggiarsi invece sulla concretezza che viene dalla natura, sul valore del nostro patrimonio enogastronomico, su sapori reali.

Giovanni Santini

«L’ERRORE SAREBBE PERDERE IL SORRISO» In una precedente intervista ad Affari di Gola si era deÀnito “un uomo di campagna”, non stupisce, quindi, che Giovanni Santini, terza generazione ai fornelli del “tristellato” Ristorante dal Pescatore a Canneto sull’Oglio, accanto a mamma Nadia (prima donna in Italia ad aver ottenuto il più alto riconoscimento della guida Michelin), faccia riferimento alla concretezza come concetto guida per l’anno che verrà. «Il mio augurio – dice – è di riacquistare, qualora si fosse persa, la serenità che ci consente di sorridere e questo avviene se ci si riappropria del rapporto che ognuno di noi ha con la natura e le cose vere. Può bastare una

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passeggiata sul Àume per rendersi conto che le cose importanti non sono lontane da noi». Il suo è un dare peso a valori come il rispetto dell’ambiente, il corretto utilizzo delle risorse, prodotti buoni e sani. Del resto, cosa può esserci di più importante dell’aria che respiriamo, dell’acqua e del cibo che portiamo in tavola? «Per noi chef è ancora più facile appropriarsi e trasmettere questi concetti – prosegue – perché lavoriamo con i prodotti che la natura ci regala. Il benessere è questo, rendersi conto che quanto meglio starà l’ambiente, tanto meglio staremo noi che ci viviamo e lavoriamo».


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«LA FUSION HA CREATO CONFUSIONE. RISPETTIAMO I NOSTRI VALORI GASTRONOMICI» Il primo pensiero di Ezio Santin va ai giovani, «che possano avere la prospettiva di lavorare più in tranquillità», dice evidenziando probabilmente il punto più critico del difÀcile momento economico del Paese, «del quale anche la ristorazione risente». Lo chef che ha dettato l’evoluzione della cucina italiana, dopo 36 anni di attività, ha da poco passato il testimone dell’Antica Osteria del Ponte a Cassinetta di Lugagnano, dove ha raggiunto le tre stelle Michelin (chiamandosi in seguito fuori dalle classiÀche). Ancora alle prese con il mondo della ristorazione, mette in guardia dal rischio di «uscire dal seminato». «Dobbiamo rispettare i nostri valori gastronomici – afferma-, abbiamo un patrimonio di cui tenere conto. È vero che la cucina deve avere uno sviluppo, ma oggi con la fusion si è creata un po’ troppa confusione, si è un po’ troppo condizionati di prodotti e dalle presentazioni orientali. Io ho avuto la fortuna di andare all’estero per promuovere la cucina italiana e posso dire che è molto apprezzata, al punto da soppiantare quella francesce, di cui una volta eravamo considerati i parenti poveri. Le stesse tre stelle conquistate da Bombana a Hong Kong lo testimoniano». E per ribadire l’autonomia della nostra cultura gastronomica rispetto a quelle straniere ricorda: «Parecchi anni fa, insieme con Gualtiero Marchesi, siamo stati inÁuenzati, per la verità non per molto tempo, dalla nouvelle cuisine. In realtà abbiamo capito che non avevamo bisogno di rinnovare la cucina italiana perché era già molto fresca e leggera, aveva solo bisogno di essere abbellita». Ribaltando in positivo il quesito sugli errori da non commettere, individua due capisaldi: «Pensando a chi inizia, direi che occorre darsi una linea, costruirsi un’identità, un’impronta riconoscibile da portare avanti. Per tutti, invece, il valore guida deve essere l’etica professionale, ossia la serietà e il rispetto per il cliente. SigniÀca anche buttare un prodotto non all’altezza di essere servito, a costo di rimetterci, o trovare i modi migliori per far dimenticare una mancanza non voluta se un cliente non è soddisfatto».

Ezio Santin

All’insegna dell’andare al succo delle cose anche la risposta sull’errore che un ristoratore non dovrebbe mai commettere: «Non sorridere», afferma senza esitazione. «Non è una risposta ad effetto o semplicistica – spiega -. È vero che il momento è difÀcile, ma basta mettersi nei panni di chi esce a cena e non è difÀcile immaginare che voglia lasciare fuori almeno per quella sera i problemi. Pensate che preferirebbe essere accolto con da un viso imbronciato o da un sorriso? L’importante per chi fa il nostro mestiere è aprire la porta al mattino felici per quello che si fa, poi arriva tutto il resto». Un ragionamento che non fa una grinza. Nel caso servissero riprove, basta considerare le costanti performance al top del locale nei giudizi della critica da almeno 25 anni.

Fabio Barbaglini

«TROPPI BLUFF. IL PUBBLICO SI PUÒ RIAVVICINARE CON UNA PROPOSTA PIÙ CHIARA» Fabio Barbaglini, nato a Desio nel ‘74, ha riaperto l’Antica Osteria del Ponte a Cassinetta di Lugagnano, portata Àno a grandi vette da Ezio Santin del quale è stato allievo prima di sbocciare in una brillante carriera che gli ha già regalato una stella. Desideroso di avvicinare il pubblico alla cucina d’autore, tiene a precisare che «parlare di una cucina nuova non vuol dire far pagare poco o svendere, ma fare una proposta corretta, ricca di idee e al giusto prezzo». «Mi sono messo alla guida dell’Osteria del Ponte non perché dovesse essere un tempio nel quale venire ad osannare lo chef - spiega – ma per offrire qualcosa di pensato per gli ospiti. La mia scelta è stata quella di mantenere una parte di piatti storici, con relativi prezzi, e di organizzare al contempo la mia proposta con formule accessibili, come quella delle tre portate a 60 euro o del menù degustazione a 80. Credo che occorra riavvicinare un pubblico che si sta allontanando a causa di troppi bluff, di un rincorrere tendenze che hanno ben poco della vera novità». Per questo l’errore da non commettere è «prendere in giro il cliente, né sul conto né sulle materie prime, né sui piatti». «Non ha senso indicare nella carta la provenienza delle materie prime o le tecniche di cottura – rileva Barbaglini -, sono elementi che dovrebbero essere

re Dal Pescato


Da Vittor

SCENARI

io

Enrico Cerea scontati, la base stessa della cucina. La chiarezza che viene richiesta oggi è semmai un’altra, quella di trovare nel piatto qualcosa di riconoscibile e buono. C’è bisogno di sicurezza, la gente oggi vuole mangiare il pollo, non un piatto presentato con una terminologia tanto complessa da non capire cosa sia, serve una proposta più leggibile altrimenti preferirà andare negli agriturismo a sgranocchiare un coniglio di plastica. Credo che l’alta gastronomia debba essere fatta di sapori reali, da condire con una nota di innovazione».

Osteria del Ponte

Fabio Barbaglini

«IL PASSO FALSO? ESSERE SUPPONENTI» Una risposta alla crisi che non risparmia la ristorazione Chicco Cerea la trova nella manifestazione stessa in cui lo interpelliamo, la prima edizione di Pianeta GourMarte che ha fatto incontrare i big della cucina lombarda, e i loro piatti, con il grande pubblico. Lo chef che, con la famiglia al ristorante Da Vittorio a Brusaporto, ha portato Bergamo ai vertici dell’enogastronomia conquistando le tre stelle Michelin, fa gli onori di casa nel parterre di illustri colleghi. «È un evento che a suo modo ha voluto lanciare un messaggio di speranza, scacciare alcune paure spesso ampliate dai media – dichiara -. Ha sollecitato la voglia di andare al ristorante, di godere dei bei momenti e delle emozioni che la tavola può regalare. Per noi chef è stata l’occasione per farci conoscere anche da chi non era abituato alla nostra cucina». «È vero – prosegue -, il momento è difÀcile, ma è proprio in questi casi che occorre impegnarsi di più, darsi da fare per promuovere qualcosa di nuovo. Ed è fondamentale fare gruppo. Non è la singola eccellenza, la cattedrale nel deserto, che può essere utile ad una città o a un territorio, ma la presenza di più locali che possono creare un circuito e richiamare l’attenzione su vasta scala». «L’errore da non fare? Sopravvalutarsi, essere supponenti come mi capita oggi di vedere in alcuni locali», risponde. «Tutti noi, chef e ristoratori, svolgiamo una bella professione e lo facciamo con caratteristiche e capacità professionali diverse. Tutto qui, non servono molti svolazzi. Serve più arrosto che fumo, tornare con i piedi per terra, essere più semplici, meno presuntuosi e la clientela non potrà che premiare questa impostazione». Una stoccata torna a darla alla stampa. «Spesso sono proprio i giornalisti – dice - ad esasperare la ricerca del nuovo a tutti i costi e a far credere che il valore si misuri con l’impatto mediatico».

Umberto Bombana «GUAI AD APRIRE UN LOCALE SOLO PER BUSINESS»

Il “tristellato” approderà anche a Pechino In cucina un altro bergamasco

Il suo rientro a Hong Kong è praticamente coinciso con la notizia della conferma delle tre stelle sulla guida Michelin Hong Kong e Macao al suo ristorante “Otto e mezzo”, che ha letteralmente bruciato le tappe arrivando al prestigioso riconoscimento nel giro di due anni. Umberto Bombana, originario di Clusone, è anche l’unico chef italiano ad averle ottenute all’estero, ma nel suo augurio alla ristorazione italiana per l’anno nuovo c’è poco glamour e molto cuore. «Il mio augurio è che si spenda più tempo attorno a una tavola – dichiara – che si apprezzi il piacere di condividere questi momenti, accompagnati da piatti ben fatti». L’errore da non commettere punta dritto alle motivazioni. «Il ristoratore e lo chef non dovrebbero mai avviare un’attività per semplice business – sottolinea -, ma per passione. Da questo deriva poi tutto resto, il rispetto delle materie prime, che devono essere di qualità, utilizzate nei piatti e del cliente per cui si preparano».

Pare proprio che la cucina italiana in Oriente continuerà a parlare bergamasco. Umberto Bombana, che ha già portato il ristorante “Otto e mezzo”a Shanghai nel febbraio di quest’anno, dalla prossima primavera sarà anche a Pechino con un progetto nuovo. Il ristorante si chiamerà Opera Bombana ed aprirà nel Business District della capitale cinese. A guidare la cucina ci sarà un altro chef bergamasco, Marino D’Antonio, di Cisano, dal 2006 in Cina e dal 2008 nella cucina del ristorante Sureño a Pechino, presto affermatosi tra le mete ambite della città. D’Antonio ha già cambiato casacca e sta lavorando nel team di Bombana (era anche a Pianeta GourMarte) in vista della nuova apertura.

Otto e mezzo

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Umberto Bombana, a destra, con Marino D’Antonio


dicembre 2012 di Enrico Rota*

Valcalepio “Troppo spesso soli. Ecco perché lancio un appello a chi non sostiene il Consorzio di Tutela”

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entilissimo direttore approÀtto della sua ospitalità per fare alcune considerazioni sui primi diciotto mesi alla guida del Consorzio Tutela Valcalepio. Nel tracciare un bilancio di quanto siamo riusciti a fare, senza peccare di presunzione, possiamo ritenerci più che soddisfatti. Noi siamo i protagonisti della Àliera produttiva enologica di Bergamo: esiste un congruo numero di imprenditori vitivinicoli di primo livello, abili, coraggiosi e tenaci. Imprenditori che hanno costruito aziende di grande efÀcienza, moderne, che non temono confronti con nessuno. Eppure, se non ci uniamo sotto un unico credo, rischiamo di essere come una voce nel deserto, chiara ma isolata. Ecco

perché, anche se è auspicabile sostenere il pluralismo per mille ragioni, il proliferare di ulteriori associazioni o compagnie di amici, non può che rendere dispersiva la rappresentatività di tutto il comparto. Per i consumatori, il Consorzio deve occuparsi di tutela e promozione; due cardini fondamentali non solo per il comparto vitivinicolo, ma per tutti gli operatori che hanno a cuore il tessuto economico locale. Troppe volte però siamo soli nel sostenere, nei fatti, questo vitale concetto. Capita di dimenticarci che se non difendiamo assieme questo nostro splendido territorio, tutto risulta vano. Per noi, una rivoluzione silenziosa è iniziata. Un percorso unico che ha dato vita a situazioni che altre associazioni, molto più grandi e con risorse ben diverse della nostra, non sono riuscite neppure ad immaginare. Abbiamo dato una struttura operativa al Consiglio di Amministrazione e creato il “Circuito ospitalità Valcalepio”. Abbiamo costituito una Commissione Tutela che si occupa del controllo della qualità del Valcalepio sul mercato e organizza apposite degustazioni, fatte solo da produttori, per avere la possibilità di dipingere un quadro preciso e dettagliato del Valcalepio stesso sul mercato. Abbiamo siglato un accordo con le Università di Milano e Piacenza per la ricerca in viticoltura ed enologia e concretizzato una maggiore rap-

presentatività di tutte le aziende agli eventi del Consorzio. Molti hanno pure capito che senza il Consorzio non ci sarebbe né tutela né promozione del vino bergamasco. Mi piacerebbe ora condividere questi pensieri, chiedendo ai produttori che non aderiscono al Consorzio il vero motivo della loro astensione e a chi invece vi appartiene se non è possibile dare qualcosa in più. Sarebbe interessante sapere da alcune istituzioni se non meritiamo più attenzione e più sostegno per tutto ciò che abbiamo fatto e che siamo in grado di fare. Sarei curioso pure di scoprire perché parte della stampa tende a elogiare molti vini basta che non siano bergamaschi, senza parlare di certe guide, che surrogandosi il diritto di valutare il lavoro altrui, ricercano solo sterili e faziose diatribe, ignorano poi gli insindacabili progressi dell’enologia bergamasca. Capisco perfettamente che gli interessi personali hanno da sempre una loro logica, ma dobbiamo avere il coraggio, anzi il “carattere”, di cambiare, riconoscendo una volta per tutte il valore di quelle persone straordinarie, capaci di imprese allo stesso tempo tanto semplici quanto sorprendenti, isolando ed emarginando in modo deÀnitivo coloro che solo per interessi economici personali o per puro protagonismo, tutto vogliono meno che il bene comune. Non mi rimane che ringraziarla per l’ospitalità e per quanto lei ha fatto in questi diciotto mesi, dimostrando che, se si vuole, tutto quanto ho raccontato è possibile. Grazie. *presidente del Consorzio Tutela Valcalepio

Enrico Rota

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L’INTERVISTA di Giordana Talamona

“Sarà il clima la nuova sfida per il mondo del vino” Parla Riccardo Cotarella, il grande wine-maker italiano: “I cambiamenti meteo stanno influenzando le produzioni. Il merlot, per esempio, sta soffrendo molto. Meglio andranno i vitigni tardivi, come il Montepulciano, l’Aglianico, il Negramaro, il Gaglioppo o il Nebbiolo”. “L’Italia è cresciuta, ma continua a pagare l’incapacità di fare sistema”

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abbiamo incontrato a Milano, durante la presentazione del suo libro biograÀco “Quasi un ritratto”, edito da Città del Vino. Riccardo Cotarella, enologo e docente universitario, formatori alla scuola di Conegliano, è una vera autorità nel settore. Chiamato da decine di aziende, in Italia e nel mondo, come stimato wine maker, Cotarella ha una visione ben precisa sull’importanza della ricerca e sulla straordinaria potenzialità del vino italiano che - afferma - “ha dei grossi vantaggi rispetto a quello francese”, ma è manchevole di quel sistema d’intenti condivisi, che al contrario “permette ai cugini d’Oltralpe di alzare barricate a protezione dei loro prodotti”. E in questo quadro si inseriscono, non ultimi, i cambiamenti climatici, vera incognita del futuro della viticoltura italiana. Al congresso nazionale di Assoenologi, nel giugno scorso, ha espresso preoccupazioni sul rischio di estinzione del merlot. Vuole dirci di più? “Non è tanto un rischio di estinzione della varietà, quanto la preoccupazione che il vitigno, a causa dei cambiamenti climatici, non riesca più a esprimersi qualitativamente al massimo. Il merlot è un vitigno che matura precocemente, ma se una volta dava risultati “regolarmente eccezionali”, sia a livello qualitativo che quantitativo, oggi sta soffrendo

molto di questi sbalzi climatici. Le estati torride degli ultimi anni, per esempio, hanno inÁuito non poco sulla sua corretta maturazione”. Quali vitigni si gioveranno dei cambiamenti climatici tuttora in corso? “Tutti quelli tardivi, che faticavano a maturare. Per fortuna, in Italia, si tratta della maggior parte dei nostri vitigni autoctoni, come il Montepulciano, l’Aglianico, il Negramaro, il Gaglioppo, il Nebbiolo e molti altri. È chiaro che ci troviamo a vivere in un altro ambiente, rispetto al passato, quindi molte cose vanno riviste grazie alla sperimentazione”. Cosa, nello speciÀco? “Una volta i terreni migliori erano quelli a sud-ovest, perché prendevano il sole dalla mattina al tramonto. Oggi, si cercano zone più fresche. Nel caso del Vermentino, ad esempio, non solo ha dato risultati eccezionali su una costa fredda come quella tirrenica toscana, ma anche nell’entroterra, in Umbria”. Se il clima cambia, cosa rimane costante? “Il terreno. L’identità di un vino emerge più dal terreno che dalle caratteristiche del vitigno, per questo il concetto di autoctoni o alloctoni non ha nessuna importanza. In Italia permane l’idea che uno stesso vitigno, impiantato a nord e a sud, darà gli stessi risultati, ma non è

così. Non solo. Ci sono vitigni impiantati da secoli nei nostri territori che danno dei vini mediocri e altri recentemente impiantati, grazie alla sperimentazione, che danno il massimo”. E l’uomo? “Ha avuto il cambiamento maggiore. Le nuove generazioni vogliono essere pronte ad occuparsi di vino, altrimenti non si spiegherebbe come mai così tanti giovani si iscrivano all’università, a viticoltura ed enologia”. Se dunque Àno a quarant’anni anni fa il vino era, banalmente, un prodotto agricolo fatto dal contadino, oggi cos’è diventato? “Il vino è un prodotto della terra, quindi per certi versi mantiene ancora quella matrice, tuttavia grazie alla rivoluzione a cui abbiamo assistito in questi anni, in termini di conoscenze sul terreno, sulla vite, sui sistemi d’impianto e, non ultima, grazie alle nuove tecnologie di cantina, il vino è cambiato molto, qualitativamente parlando”. Eppure c’è chi ritiene che, con tutta questa tecnologia, si sia stravolta la natura. “Direi che è l’esatto contrario, più riusciamo a trasportare integralmente le caratteristiche di un prodotto dal terreno al bicchiere, e più rispettiamo la natura. Nel passato non era così, ma non


dicembre 2012 perché le persone non volessero, ma perché non ne avevano i mezzi”. Cosa risponde, dunque, a chi afferma che produrre vini assolutamente perfetti, anno dopo anno, faccia perdere loro un po’ di anima? “Dovremmo prima intenderci su cosa sia l’anima del vino. Per me è tutto ciò che può dare piacere. La stragrande maggioranza dei consumatori, oggi, vuole sentire il vino nella sua integrità, non come viene, viene. Altre persone, al contrario, amano i vini con quelle che noi deÀniamo “puzzette” anomale? Niente da dire, a ognuno la propria scelta. L’unica cosa che conta, dopo aver bevuto un vino, è se piace o no. Da lì Àniscono tutte le elucubrazioni”. Cosa ne pensa dei vini biodinamici? “Vanno benissimo, ma mi permetto di fare qualche osservazione. Visto che non c’è ancora una legge che deÀnisce appieno la viticoltura biodinamica e biologica, occorre stare molto attenti alla serietà di certi produttori. Sono quelli che hanno la “divisa da biodinamici” nello sgabuzzino, jeans strappati, maglietta a quadri e scarpe senza i lacci, che se la mettono ad hoc quando incontrano i giornalisti. Oltre a quelli, ci sono i viticoltori seri che producono vini, consci che avranno caratteristiche ricollegabili al loro modo di condurre la vigna e alle tecniche usate”.

Riccardo Cotarella

“Ci sono giornalisti italiani che parlano a sproposito di vini, di territori, di proprietari e di enologi, arrivando in maniera comica a dare consigli su come produrre. All’estero non succede” E sul versante biologico ed ecosostenibilità? “È un dovere. Dobbiamo assolutamente rispettare ciò che ci circonda, ma sempre attraverso la scienza e la conoscenza, altrimenti rischiamo di attuare procedure sbagliate. Siamo sicuri, per esempio, che con trenta trattamenti di solfato di rame, rispettiamo l’ambiente? È un discorso lungo, che meriterebbe una certa riÁessione”. Venendo al mercato, come stanno i cugini d’Oltralpe? “Non bene, stanno soffrendo quanto noi, se non di più, fatte salve quelle venti aziende che rappresentano il top della produzione”. E noi? “Abbiamo dei vantaggi, in questo momento, rispetto alla Francia. La conformazione del nostro Paese, lungo e stretto, ci permette di avere un’enorme variabilità di terreni e di climi, con innumerevoli vitigni autoctoni. Senza contare che possiamo coltivare anche i loro vitigni, cabernet, syrah, merlot, producendo vini che mediamente non temono il confronto. I francesi, al contrario, non possono coltivare i nostri vitigni, non hanno né le condizioni, tanto meno la mentalità. Hanno chiamato me, un italiano, come enologo, ma le assicuro che per la loro mentalità nazionalista è la classica eccezione che conferma la regola”. Eppure la loro immagine sembra essere ancora vincente rispetto alla nostra, non trova? “Questa è una valutazione che forse poteva andare bene qualche anno fa, perché nella produzione di livello medio e medio-alto, le cose sono cambiate. Negli Usa il vino italiano è il più venduto, anche di quello francese, grazie a un lavoro di promozione che è stato fatto in questi ultimi anni dalle aziende italiane. Altro discorso è sulle loro punte massime,

che vivono ancora di una considerazione altissima, soprattutto nei paesi emergenti. Oggi in Cina un vino francese ha ancora un’alta considerazione, che un vino italiano non ha”. Quanto è importante arrivare con credibilità sul mercato cinese? “Molto, perché i consumi di vino, in Italia, sono contratti, quindi bisogna cercare altri mercati, se no, presto o tardi, verremo superati dagli altri Paesi. Oggi, infatti, proprio a causa dei cambiamenti climatici, è possibile produrre vini in luoghi prima impensabili”. Dove? “Sono stato chiamato da un’importante azienda in Giappone, per esempio, per la realizzazione di un grande vigneto, mentre un altro verrà impiantato a sud di Londra, a Brighton. Non possiamo chiuderci nel nostro orticello, perché quando arriveranno i vini cinesi, e ne sono certo presto o tardi arriveranno, non potremo alzare bandiera bianca, no?”. Cosa ci manca, dunque? “Non abbiamo, e temo non avremo mai, l’obiettivo di fare sistema. I francesi alzano dei muri a protezione dei loro vini, che noi ci sogniamo. Non ho mai sentito un viticoltore francese parlare male di un altro produttore: tutti vanno protetti perché rappresentano il Paese. Purtroppo anche i giornalisti italiani hanno delle grosse responsabilità”. Trova che i media italiani abbiano in qualche caso nuociuto al comparto? “Purtroppo sì, basti ricordare Velenitaly o certe recensioni di vini. Ci sono certi giornalisti italiani, e temo di offendere la categoria chiamandoli giornalisti, che parlano a sproposito dei vini, dei territori, dei proprietari e degli enologi, arrivando in maniera comica a dare consigli su come fare il vino. Proprio loro che non distinguono una vigna da un pero!”. All’estero non succede? “Certo che no, giornalisti famosi come Parker, di Wine Spectator, non recensirebbero mai un vino difettoso, perché hanno l’intelligenza di capire che un difetto può venire semplicemente da una bottiglia mal conservata. Se un vino ha un difetto o non piace, non si recensisce, tutto qui. Mentre noi, grazie a questo piccolo esercito di giornalisti italiani che sparano sul settore, facciamo ridere i nostri concorrenti stranieri”. Qual è il futuro? “Risiede nella ricerca a 360°. Ricerca della qualità, del mercato, della migliore comunicazione. Ma sono ottimista, perché i giovani hanno capito che il mondo va a mille e non possiamo stare a guardare”.

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“Ci sono tante eccellenze in Bergamasca, ma fra tutti il più apprezzato e venduto da me è sicuramente il Branzi” Roberto Rusconi

di Leo Bartoli

“Ecco i formaggi da Oscar”

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ella sua speciale classiÀca, il Financial Times lo ha appena incoronato quinto miglior negozio di formaggi del mondo: chi se non Roberto Rusconi, patron della Baita del Formaggio in via Foppa a Milano, può indicarci i “caci top” per uno shopping natalizio con i Àocchi? Per questa speciale (e delicata) operazione abbiamo proposto al clan Rusconi (l’azienda è tipica familiare, con papà Marcello, scomparso da poco, che è stato la vera colonna casearia e mamma Lidia che aprirono il primo negozio in pieno boom, nel 1958) di assegnare dei veri e propri Oscar caseari per l’annata 2012. D’altronde, entrare nel negozio di via Foppa è come essere circondati dagli spartani di Leonida: sono infatti “300” i gioielli caseari in arrivo da tutto il mondo che stregano giornalmente la foltissima clientela di aÀcionados, al punto che, da classica bottega debordante di vaccini, erborinati e paste Àlate, la Baita si è trasformata oggi in nel più moderno cheese bar italiano con annesso gazebo interamente in legno, proponendo da mattino a sera taglieri tra opzioni classiche e di tendenza, con creativi aperitivi d’accompagnamento. In più è partito da qualche giorno anche lo shopping online per chi vuole la sua forma a casa con un colpo di clic. “Essere stati incoronati dalla classiÀca del Financial Times ci ha riempiti di orgoglio - spiega Roberto -, è il coronamento di tanti anni di sacriÀci non solo miei, ma anche dei miei genitori e del mio staff e credo sia una soddisfazione anche per l’Italia, che è una delle grandi patrie dei formaggi”. Crisi o non crisi, i gusti della clientela non sono cambiati alla Baita: “È tutta questione di qualità: magari si compra meno, ma si compra sempre al meglio: almeno chi viene da me la pensa così”. Roberto ci spiega che da lui, la rivelazione per il 2012 è stata “la nostra Bollcrem, crema di gorgonzola allo Champagne, più altri ingredienti segreti, che abbiamo creato e di cui la clientela va matta: lo spalma sul pane, lo aggiunge a riso e pasta, sulla carne, sulle verdure, anche solo su un cracker: in molti hanno cercato di imitarlo, ma resta un unicum”. Il formaggio più amato dalle donne è invece “la cacciottina burrosa” dolce e suadente come una carezza, mentre quel-

Roberto Rusconi, patron della Baita del Formaggio di Milano, quinto miglior negozio al mondo secondo il Financial Times: “Quella più amata dalle donne è la Cacciottina burrosa, mentre i giovani preferiscono sua maestà il Gorgonzola. La rivelazione 2012? La Bollcrem, crema di gorgonzola allo Champagne”


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lo preferito dai giovani “è un evergreen, sua maestà il gorgonzola: poi c’è chi lo vuole con tante muffe e chi quasi privo di erborinatura”. Il vanto dei Rusconi è che sui 300 esemplari in vetrina, sono parecchie decine le produzioni proprie della “maison”, per cui quando chiediamo il cacio perfetto per fare un regalo, qui si pesca ancora nel carnet della casa: “Sono tanti, però vi invitiamo a venire a provare il tartucrem, la nostra crema al tartufo nero e gorgonzola dop: rimarrà nella memoria di chiunque lo riceverà”. Quando invece gli chiediamo una sua “creatura” che ha stupito i critici, non ha dubbi: “Il Lariano speziato, sorta di fontina ricoperta di erbe aromatiche che è piaciuta oltre ogni previsione”. Poi si sconÀna per un attimo: ci attendiamo che Roberto citi un celeberrimo Cru francese o almeno svizzero o spagnolo, invece ci spiazza con “uno Stilton, ma, udite, udite, allo zafferano: una variazione sul tema per palati indomiti, che ha stupito e che ora ci ordinano anche d’estate, quando gli erborinati dovrebbero andare in crisi per l’evidente calura”. Optare sui formaggi della tradizione rivisitati e corretti è un marchio di fabbrica per la Baita del Formaggio, che incoraggia l’assaggio del Cru in purezza, per poi proporre apprezzatissime varizioni sul tema. E a proposito di classici un po’ trascurati, non può mancare un’altra gloria lombarda: “Io apprezzo molto il pannerone: so che quel retrogusto amaro lo rende un formaggio ostico a molti palati, ma lo trovo di grande personalità”. Al contrario di quello che Rusconi deÀnisce uno dei caci più sopravvalutati: “Il Bettelmatt è stata una grande moda che faccio fatica a capire: inoltre è troppo caro per il formaggio che è: oggi si vende anche a 75 euro al chilo”. Rusconi non simpatizza troppo invece per la marea lunga dei caprini che negli ultimi tempi hanno invaso i mercati: “Mi sembra un po’ una moda contro il colesterolo, con le dovute eccezioni fatta di eccellenze, s’intende”. Finalmente si passa ai bergamaschi, ma se un po’ tutti si aspettano che Roberto citi lo Strachitunt, corteggiato dai critici e fresco di Dop (quantomeno a livello di norma transitoria) o il Formai di Mut, spunta invece, nel gradimento della sua clientela, un’altra gemma brembana: “Ci sono tanti grandi formaggi in Bergamasca, ma fra tutti il più apprezzato e venduto da me è sicuramente il Branzi, sia fresco che stagionato: ottimo da solo, ma anche come ingrediente di piatti importanti”. Onore al grande brembano quindi, effettivamente un po’ trascurato dalla critica rispetto alle sue potenzialità, ma soprattutto al gradimento dei tantissimi suoi estimatori. E come ingrediente, ad esempio per un grande risotto? Rusconi non ha dubbi: “Continua ad essere il Castelmagno, meglio se un po’ erborinato: la sua struttura, i suoi aromi sono meravigliosi per una mantecatura di gran livello. Buon Formaggio a tutti”.

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casArrigoni è la storia semplice di due fratelli, Marco e Tina Arrigoni e di Alvaro, suo marito, che sulle tracce della propria storia, fitta di gesti e tradizioni, cominciarono a stagionare, affinare e selezionare formaggi in una piccola cantina di Peghera, alla fine degli anni ‘70. Da sempre situata in Valtaleggio, la valle di origine del Taleggio Dop e Strachitunt Dop, casArrigoni è un luogo in cui la cura premurosa per il prodotto è diventata negli anni l’unica e miglior forma di conoscenza. Qui tre Bergamaschi Dop sono convinti:

Sono le

persone che

i

creano

formaggi

www.casarrigoni.it


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LA COMPETIZIONE

Bocuse d’Or, Bergamo porta in finale lo chef Ghezzi

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i avvicina l’appuntamento con la Ànale del Bocuse d’Or, giunta alla 14esima edizione, che si svolgerà come ormai tradizione nell’ambito del Sirha, il Salone Mondiale dell’Alta Ristorazione all’Expo di Lione il 29 e 30 gennaio. La Àera, in programma dal 26 al 30 gennaio, mette in mostra le eccellenze enogastronomiche e ha scelto quest’anno come Paese d’onore proprio l’Italia, con una particolare vetrina per i prodotti orgoglio del Made in Italy. A tenere alto il tricolore ai “Mondiali” di cucina, ideati dal grande chef Paul Bocuse, AlÀo Ghezzi, vincitore della Selezione Italiana del concorso e chef della “Locanda Margon” di Trento, ristorante delle Cantine Ferrari insignito di una stella Michelin. Saranno due giorni all’insegna della sÀda e della competizione: 24 chef in rappresentanza di altrettante nazioni e di cinque continenti arrivati a Lione dopo aver superato un percorso di selezione durato 18 mesi con 60 concorsi nazionali e 3 continentali (America Latina, Asia ed Europa) si cimenteranno nella preparazione del Àletto, guancia, coda e cappello del prete di manzo irlandese per il tema di carne e di rombo e astice per il tema di pesce. AlÀo Ghezzi potrà contare su una squadra afÀatata, sostenuta da Promozione del Territorio (associazione per la valorizzazione delle eccellenze agroalimentari che riunisce Camera di Commercio, Ascom, ConÀndustria, Ente Fiera Promoberg, Bergamo Fiera Nuova con Comune e Provincia tra i sostenitori). La squadra è presieduta da Giancarlo Perbellini, chef dell’omonimo ristorante ad Isola Rizza (Verona), insignito di due stelle Michelin che, insieme a Daniela Nezosi, coordina ogni attività del Team Italy. Con Ghezzi lavorerà gomito a gomito il commis diciassettenne Sebastiano Cont, che nonostante la giovane età

vanta già in curriculm due stagioni estive a Locanda Margon. Il coach della nostra Nazionale è il francese Frèdèric Garnier, che attualmente lavora niente meno che per Alain Ducasse a Nizza. “La ricetta di carne è già deÀnita: un Àletto in crosta di olive taggiasche con pomodorini del piennolo accompagnati da una polenta in due consistenze e da una guancia al Barolo e caffè - commenta AlÀo Ghezzi –. Ora studieremo la ricetta di pesce, cogliendo la nuova sÀda del concorso che valorizza l’abilità dello chef nella scelta delle materie prime e lo spirito della cucina di Bocuse, una cuisinedumarchè”. Il presidente di Promozione del Territorio Carlo Spinetti sottolinea il valore del concorso: “Partecipare al Bocuse d’Or è un’avventura umana che coniuga l’esperienza personale del candidato al patrimonio culturale culinario, alla gestualità tecnica, alla creatività, all’inventiva e alla passione”. Giancarlo Per-

bellini tiene alta la tensione pre-gara: “Con AlÀo porteremo a Lione la creatività, la passione e il talento italiano. Ci cimenteremo su prodotti di prima qualità mostrando quale è la tecnica e le tendenza della cucina italiana, in un confronto di tecniche, culture e cotture in 5 ore e 35 minuti”. E sul “timing” di gara sono già iniziati da mesi gli allenamenti, che da gennaio diventeranno giornalieri. Nulla sarà lasciato al caso, a partire dal design del piatto, che sarà curato da Ilenia Agate e dalla comunicazione per immagini curata da Paolo Chiodini. In gara, oltre al nostro Paese la cui discesa in campo è Àssata per il secondo giorno del concorso, il 30 gennaio, il migliore chef di Islanda, Svezia, Singapore, Cina, Brasile, Marocco, Paesi Bassi, Finlandia, Canada, Belgio, Messico, Guatemala, Danimarca, Sri Lanka, Estonia, Australia, Svizzera, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Norvegia, Giappone e Ungheria.

Giancarlo Perbellini e Alfio Ghezzi

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IDEE

In vista dei regali natalizi, spazio alla creatività. reatività. Ecco dieci pensieri da donare a parenti, amici e colleghi di Laura Bernardi Locatelli

Con la crisi vincono il fai da te e il ricettario di famiglia

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a crisi aguzza l’ingegno, limita gli sprechi e incentiva il fai da te anche in cucina. La spinta verso regali utili premia l’enogastronomia e si esprime, secondo una recente indagine Coldiretti, con la preparazione fai da te di ricette personali per serate speciali o con omaggi per gli amici. In Italia, secondo lo studio, la maggioranza dei cittadini a Natale preferisce infatti spendere soprattutto nel cibo (29%) che supera i regali (28%), i divertimenti (23%) ed i viaggi (20%). In barba alla recessione, non resta che rintanarsi al calduccio - evitando ore di ingorghi e caos - e divertirsi con pentole e padelle, andare a caccia di spezie, nastri di raso, vasetti e sacchetti e preparare con pazienza liquori e conserve per stupire amici, colleghi e parenti con regali “slow” preparati con le proprie mani.

Il regalo fai da te - assieme al riciclo, che però resta un’arte vera e propria come copiare il compito in classe dal vicino di banco - è, a detta degli esperti, la vera e propria tendenza del 2012, un’abitudine con antiche e solide radici strappate dall’ondata consumista dagli anni Ottanta e messa in naftalina ma che, con i consumi ahimè vicini a quelli del Dopoguerra, si sta rispolverando e sta tornando in auge. Sarà una vera e propria competizione tra ricette di famiglia e piccoli segreti carpiti alle nonne. Da dove cominciare? Ecco alcuni spunti e ricette che chiunque abbia un po’ di familiarità e dimestichezza con i fornelli può realizzare senza troppa fatica e fare bella Àgura, mettendo in campo un po’ di creatività nella confezione, dall’etichet-

Vasetti profumati LIMONI CONFIT Per 4/6 vasetti da 500 ml servono 2 kg di limoni non trattati, 1 kg circa di sale e olio extravergine di oliva. Preparazione: lavare e asciugare i limoni, eliminare la calotta superiore ed inferiore e inciderli in quattro lasciando le estremità attaccate le une alle altre. Aprire i limoni a Àore e riempirli di sale grosso, quindi metterli nei vasetti sterilizzati. Terminata l’operazione, riempire il barattolo con il restante sale grosso. Lasciare una settimana a macerare. Eliminare il sale in eccesso e riempire ogni barattolo Àno all’orlo di buon olio extravergine di oliva. I limoni si possono consumare dopo tre settimane.

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SPEZIE PER VIN BRULÈ Servono coriandolo intero, chiodi di garofano, cortecce di cannella, anice stellato, scorza di arancia, limone e mandarino non trattati; mela essiccata, frutti di rosa canina, ginepro in bacche, semi di cardamomo, pezzi di vaniglia in stecche, noce moscata, zenzero e pepe nero. Selezionare il mix preferito e confezionare in vasetto o in un sacchetto di juta e accompagnare ad una bottiglia di vino rosso.


dicembre 2012 ta scritta a mano in bella graÀa a quella stampata al pc, dal tessuto per rivestire il vasetto al nastro di raÀa o raso, alla scatola di latta o trasparente per biscotti e cioccolata. Da provare l’aceto aromatizzato alla melagrana, che avvolge con delicatezza e una lieve eco orientale il gusto di piatti a base di verdura e pesce, i limoni conÀt, specialità della cucina maghrebina, per dare un gusto particolare a tajine, ad altri piatti a base di carne e al cous cous ed esaltare anche piatti a base di pesce e crostacei e primi piatti. Non può mancare in nessuna cucina il sale alle erbe, perfetto per dare personalità ad arrosti, carni bianche, zuppe e altre ricette. Sotto Natale impossibile rinunciare ad un rituale antico come il “conditum paradoxum” e riscaldare il cuore e l’atmosfera dell’Avvento e le fredde serate d’inverno con un bicchiere di vin brulè da condividere con gli amici. Ognuno ha le sue preferenze in termini di spezie, per cui non serve altro che selezionare le preferite dall’elenco - magari con l’aiuto dello speziale o dell’erborista di Àducia, in città non manca un’istituzione come la Drogheria Mologni - e accompagnare il sacchettino o il vasetto con una bottiglia di buon rosso corposo. Il cioccolato è sempre un regalo gradito: ecco una ricetta per un ottimo preparato per una tazza di cioccolata Maya al peperoncino e tutte le dritte per preparare senza troppa fatica dei tartuÀ - la ricetta si può personalizzare con granella di mandorle, nocciole o pistacchi per realizzare una confezione ancora più rafÀnata - pronti a conquistare anche i meno golosi. Per i più piccoli - e non solo - una ricetta che diverte e porta allegria in casa: una costellazione di biscotti a forma di stella pronti, con un semplice nastro di raso rosso o scozzese, a decorare l’albero di Natale o a tuffarsi in una tazza di latte caldo per chi proprio non resiste alla tentazione della frolla fatta in casa. Spazio alle conserve: ecco due ricette per due confetture saporite, una a base di zucca e arance con una nota esotica e piccante di zenzero che sta bene con i dolci ma anche con i formaggi, caprini e ovini in testa, ed una chutney di cipolle rosse perfetta da sola su toast e cracker e per accompagnare paté di fegato, carni alla griglia e arrosto e formaggi. E per dimenticare gli eccessi delle feste e levarsi il peso di pranzi pantagruelici, arriva in soccorso la più classica delle ricette digestive: un bicchierino di liquore all’alloro per dire addio alle feste.

SALE ALLE ERBE Come ingredienti munirsi di: Àor di sale grosso, basilico, menta, salvia, rosmarino, origano, maggiorana, timo, santoreggia (e altre aromatiche o Àori, come elicriso e Àordaliso, a piacere). Preparazione: lavare delicatamente le erbe, asciugarle per bene e metterle nel mixer insieme al Àor di sale grosso. La consistenza non deve risultare Àne ma piuttosto grezza. Accendere il forno a 50°. Adagiare il sale e le erbe su una placca rivestita con carta da forno e far “asciugare” per 5- 10 minuti. Versare il sale così ottenuto in vasi precedentemente sterilizzati. In questo modo gli oli essenziali delle erbe rimarranno imprigionati nei granelli di sale. Ottimo su carne, pesce, verdure e vellutate.

Regali golosi TARTUFINI AL CIOCCOLATO Per 40/50 tartuÀ servono: 250 g di cioccolato fondente di ottima qualità 175 g di burro 1 cucchiaio di panna fresca 2 cucchiai di zucchero 1 bicchierino di rhum 2 tuorli d’uovo 50 g cacao in polvere amaro pistacchi o mandorle o nocciole a piacimento. Preparazione: amalgamare il burro con lo zucchero Àno a ottenere impasto omogeneo. Spezzettare Ànemente il cioccolato, mettere in un pentolino con la panna e sciogliere a bagnomaria Àno ad ottenere un composto cremoso e privo di grumi. Lasciare raffreddare 3 minuti il composto e unirlo all’impasto. Aggiungere i tuorli e il rhum e mescolare Àno a ottenere una crema omogenea. Mettere in frigo 4 ore. Versare in una ciotola o su una spianatoia il cacao in polvere. Con le dita ricoperte di cacao - o di pistacchi e mandorle - creare delle palline (volendo nocciole o mandole possono essere inserite al cuore dei tartuÀni). Adagiare su carta forno o carta oleata. Mettere in frigo per almeno un’ora.

PREPARATO PER CIOCCOLATA AL PEPERONCINO Come ingredienti procuratevi: 200 g di cioccolato fondente al 65- 70% di ottima qualità 80 g di cacao amaro 40 g di zucchero di canna 50 g di zucchero a velo 30 g di fecola di patate la punta di 1 cucchiaio di peperoncino in polvere. Preparazione: tritare Ànemente il cioccolato fondente ed aggiungere gli altri ingredienti Àno ad ottenere un composto omogeneo e ben polverizzato. Inserire il preparato in vasetti sterilizzati o piccole scatole in latta. Inserire le istruzioni per preparare la cioccolata calda : per 1 tazza serviranno 3 cucchiai di preparato per cioccolata in tazza e 150 ml di latte fresco.

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IDEE

Le confetture CONFETTURA DI ZUCCA E ARANCE ROSSE ALLO ZENZERO Servono: 1 kg di arance rosse di Sicilia non trattate, 1 kg di polpa di zucca tagliata a tocchetti, 750 g di zucchero di canna chiaro, una radice di zenzero e un limone. Preparazione: tagliare al vivo le arance e ridurle a tocchetti, avendo l’accortezza di raccogliere il succo perso nella preparazione. Ricavare la polpa da una zucca e tagliarla a sua volta a tocchetti. Porre zucca e arance con il loro succo in una pentola - possibilmente di rame - unire lo zucchero, irrorare con il succo di 1 limone e cuocere Ànché la polpa si sarà disfatta e la marmellata raggiungerà il giusto punto di densità. Unire lo zenzero 5 minuti prima di terminare la cottura. Riempire i vasetti sterilizzati e capovolgerli per ottenere l’effetto sotto-vuoto.

CONFETTURA DI CIPOLLE ROSSE DI TROPEA Ingredienti necessari per circa 4 vasetti: 1 chilo di cipolle rosse di Tropea, 500 g di zucchero di canna, 200 ml di vino rosso, 100 ml aceto rosso e qualche foglia di alloro. Preparazione: pulire le cipolle e tagliarle a fettine. Lasciarle macerare in una ciotola con lo zucchero di canna. Versare le cipolle in un tegame con l’aceto, il vino e le foglie d’alloro. Lasciar cuocere a fuoco basso per un paio d’ore Àno ad ottenere un composto denso. Versare la confettura bollente in piccoli vasetti di vetro, precedentemente sterilizzati, chiuderli con apposita capsula e lasciarli raffreddare capovolti.

Biscotti da gustare o appendere all’albero LE STELLE DI NATALE

Per le “Stelle di Natale” procuratevi: 250 g burro, 350 g farina 00, 8 g di lievito chimico in polvere, la scorza di 1 limone non trattato, 4 uova (4 tuorli d’uovo; 1 albume), 1 stecca di vaniglia, 150 g di zucchero, 50 g circa di zucchero di canna per decorare e degli stampini a forma di stella di 2 diverse dimensioni o 1 a forma di stella e 1 di cerchio. Preparazione: versare in una ciotola capiente la farina, il burro freddo tagliato a tocchetti, i 4 tuorli, lo zucchero, i semini di vaniglia, il lievito e la scorza del limone grattugiata. Amalgamare il tutto Àno ad ottenere un panetto da trasferire su una spianatoia infarinata e lavorare Àno ad avere un composto liscio ed omogeneo. Stendere l’impasto con un mattarello e formate una sfoglia dello spessore di 3-4 mm. Con gli stampini a forma di stella ricavate tante sagome, da forare a loro volta al centro con l’altro stampino a stella o rotondo di dimensioni inferiori. Disporre i biscotti su teglie foderate con carta forno, spennellare con del bianco d’uovo e cospargetele con zucchero di canna. Tutte le piccole stelle asportate dalla parte centrale dei biscotti, si possono impastare per formare altri biscotti oppure cuocere in una teglia a parte. Infornare a 180° per circa 13-15 minuti. Fare raffreddare.

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Il digestivo casalingo LIQUORE DI ALLORO Per il Liquore di alloro servono: 1 litro di alcool 90 gradi, 700 ml di acqua, 350 g di zucchero e 40 foglie di alloro fresco. Preparazione: mettete le foglie di alloro spezzettate in infusione nell’alcool per una settimana al riparo dalla luce e da fonti di calore. Trascorso il periodo di infusiosione, iniziare la preparazione one del liquore facendo bollire re in una pentola acqua e zucchecchero. Quando lo sciroppo si sarà raffreddato potrete unire l’alcool Àltrato con un colino Àtto.. Il Àltraggio andrà effettuato per almeno due volte a distanza di 15 giorni l’una dall’altra. Per il digestivo o casalingo occorrerà attendere e un mese di riposo dai Àltraggi. gi.

L’aceto aromatizzato L’ACETO DI MELAGRANA Per l’Aceto di melagrana procuratevi 3 melegrane e 750 g aceto di mele (o bianco). Preparazione: sgranare bene (eliminando la pellicina bianca amara) le melegrane e con l’aiuto di una centrifuga - o in alternativa di uno spremiagrumi - ricavarne il succo, unirlo all’aceto in un recipiente e travasarlo in una bottiglia con l’aiuto di un imbuto. Conservare al buio e al fresco per due settimane capovolgendo quotidianamente. Filtrare bene il tutto ed imbottigliare, conservando poi le bottiglie al buio.


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Eticalimenta

Delizie della Sardegna, show room in via Quarenghi

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ià dal nome, Eticalimenta, si evince la ÀlosoÀa di fondo: portare alla luce il meglio dei prodotti gastronomici del territorio - in questo caso della Sardegna - puntando sulle materie prime biologiche, di alta qualità e dalla completa tracciabilità, e privilegiando nel contempo i sistemi produttivi a bassissimo impatto ambientale. Il tutto con un occhio di riguardo per le migliori ricette della tradizione. È questa la sÀda che Antonella Pinna, sarda di origine, ma bergamasca d’adozione, ha avviato da pochi giorni in via Quarenghi 13, al pian terreno di palazzo Keller dove ha aperto un punto vendita in cui è possibile trovare vere “chicche” gastronomiche. “La mission - spiega Pinna - è quella di portare sulle tavole dei buongustai bergamaschi, e di tutti coloro che prestano la massima attenzione all’alta qualità, il meglio della produzione artigianale sarda, frutto di un’attenta selezione di prodotti d’eccellenza che rispettano l’ambiente e salvaguardano le tradizioni”. Nello show-room, l’operatore dell’area food, ma anche il semplice buongustaio, può trovare decine e decine di delizie: dal tonno rosso di corsa di Carloforte alla bottarga di tonno fatta a mano, dalla fregola allo zafferano alle lorighittas fatte a mano, dal miele di asfodelo, di cardo e di agrumi di Bosa alle confetture del Gennargentu, dai torroni al pane bistoccu con lievito madre Àno al pane guttiau, tanto per citarne alcuni. In evidenza anche i prodotti dell’azienda agricola di famiglia, la Fratelli Pinna di Ittiri (Ss). Sugli scaffali si possono trovare l’olio denocciolato di Bosana, quello degli

Antonella Pinna

ETICALIMENTA via Quarenghi, 13 - Bergamo - tel. 035 0792256 www.eticalimenta.it Antichi Uliveti del prato, il Maccia d’Agliastru, oltre alle olive di Bosana in salamoia naturale. Non mancano le conserve in olio denocciolato, le creme di carcioÀ e asparagi, bietole selvatiche, melanzane e altro ancora. Gli unici prodotti “stranieri” sono i pomodorini sottolio di Pachino e un paio di etichette di Franciacorta Docg. Visto il periodo, è possibile richiedere cesti natalizi.

DA FABRIZIO FERRARI UN VOLUME SULLA CUCINA SOTTOVUOTO Fabrizio Ferrari, chef stellato del Roof Garden di Bergamo - grande creatività e talento - da anni è docente ai corsi di confezionamento e cottura sottovuoto. Ora tutta la sua conoscenza ed esperienza l’ha messa nero su bianco in un volume dal titolo “Passione pura”, edito dalla Valko. Ferrari ha creato un punto di riferimento per i professionisti della cucina. Per farlo è partito dalla sua storia personale, spiegando quello slancio che l’ha portato a collaborare con alcuni dei mostri sacri della cucina internazionale (da Paracucchi a Pralus, da Colonna a Vissani) e illustrando in modo dettagliato, scientiÀco e scrupoloso, le tecniche per la conservazione e la cottura sottovuoto dei cibi con preparazione indiretta e diretta. Nell’elegante volume non manca un nutrito ricettario, con oltre 60 specialità ben descritte e corredate dalle tavole dei

tempi e delle temperature e con indidicazione dei vini da abbinare. Ferrari approda poi al manifesto in dieci punti sul futuro del mestiere di chef, elaborato a sei mani con altri ltri due protagonisti della grande cucicina bergamasca: Antonio Ghilardi ed Ezio Gritti. Le pagine del volume danno piena evidenza al ruolo che la cucina riveste nella nostra società. È un volume rigoroso come un manuale, piacevole come un romanzo, arguto e colmo di citazioni e stimoli. Uno strumento che non può mancare a chi ha scelto di cucinare per esprimere al meglio la cultura del cibo.

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IL RISTORANTE di Lelia Parisi

K2, tutto il sapore della montagna A Foppolo, il locale guidato dalla famiglia Berera è una tappa obbligata per chi ama una cucina che punta in modo sapiente sulle carni, sui formaggi e sulle erbe. Il tutto avvolti nell’atmosfera era che solo il legno sa dare

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ra il 1954 quando Compagnoni e Lacedelli conquistarono la vetta più insidiosa del mondo, ed ecco nell’euforia del momento Àorire ovunque, sotto l’insegna K2, insieme all’orgoglio italico, un Áorilegio di attività commerciali. Anche Foppolo non ne fu immune e, a dorso di mulo, fece il suo K2 conquistando al paese la sua vetta, là dove c’era solo il nulla della montagna. Così nacque nel 1955, per opera della famiglia Berera, il ristorante-rifugio K2. Da allora son passati quasi 60 anni e, con qualche doveroso ritocco, il Ristorante Meublé K2 è ancora lì, a pochi metri dagli impianti di risalita. Non sarà forse come essere ai piedi dell’Himalaya, ma anche qui in certi giorni ti sembra di galleggiare sulle nuvole, tra vette scontrose che inÀlzano il cielo. La montagna, qui al K2, non si affaccia solo dalle Ànestre: è presente ovunque. È innanzitutto nel piatto, nei prodotti

Da sinistra Sandra Midali, Gabriella e Salvatore Berera

(formaggi, erbe) che nelle malghe hanno il loro terreno d’elezione. È nell’atmosfera, calda di quel tepore che solo il legno sa dare. E poi nelle donne che servono in impeccabili abiti tradizionali, il grembiule rosso annodato in vita. Perché a 1.600 metri l’atmosfera è meno densa e tutto è più diretto e intenso: i raggi del sole, il freddo, i sapori. È questo a fare del K2 quello che è, insieme ai suoi quasi 60 anni di storia, tutti sulle spalle ancora salde di nonna Sandra, matriarca di questa famiglia di osti-ristoratori. E poi ci sono i dettagli a fare la differenza. La pioda rovente sotto i piatti e sotto la pentola di rame che, ancor prima di arrivare in tavola, ti investe con il suo aroma d’erbe e lo sfrigolar delle carni cotte alla brace sul terrazzo esposto all’aria frizzante d’alta quota. Filetto di vitello, costolette di cervo e d’agnello, succose, tenere, profumate. Le carni, svariate, sono cotte alla brace, sulla piastra o al forno, corredate di classico contorno o contrappuntate da composte di mirtilli selvatici e castagne al miele: selvaggina della montagna (camosci, cervo, capriolo, cinghiale) e poi tagli scelti di razza piemontese. Tanti i peccati di gola cui è impossibile sottrarsi: in primis quel “voglio ma non posso” che è la taragna al Branzi Dop e burro di malga con le sue 4000 e rotte Kcal di piacere, così come le lasagnette tonde al paruk, che hanno fatto la storia del K2. Una delicata farcitura di formaggio di monte e spinacino selvatico colto dalla signora Sandra e dal Àglio Fulvio in estate «il primo che spunta, che è il più tenero», e poi messo da parte per l’inverno. Un piccolo bijou con cui Sandra Midali coccola i suoi clienti. Tutti i primi son suoi, il risotto ai porcini, i casoncelli, le crespelle alle ortiche, i tagliolini di selvaggina, il risotto ai mirtilli rossi del Passo Dordona. Sue ab illo tempore anche le polpette più buone della valle - pure bolle di bontà -, la cui ricetta Sandra custodisce con quella stessa gelosia che i montanari hanno innata verso la propria roba, sempre mescolata ad altrettanta generosità. Curioso come un piatto possa essere la radiograÀa di una persona. Sandra è come le sue polpette. Una coltre ruvida e croccante al primo tocco, ma appe-


dicembre 2012 na l’addenti subito remissiva, un sofÀo di sapore che si scioglie sul palato nell’abbraccio caldo tra il Branzi e il paruk. Imperdibili. Al braciere lavora, come tradizione, il Àglio maschio, Salvatore. E poi c’è Fulvio, che ricalca l’antica Àgura di cacciatore-raccoglitore, a ingrossare con il suo “bottino”, erbe, bacche e cacciagione, la dispensa del K2. Il viso abitato da una trama di solchi narra del sole irriverente della montagna, che però non ne ha scalÀto i tratti ancora giovanili e forti. Eh sì, gente tosta e di carattere quella di Foppolo. Nervosa ed elettrica come l’aria d’alta quota. «Ritroviamo spesso le nostre idee e ricette in altri locali» sbuffa Gabriella Berera, sorella di Fulvio e Salvatore, il viso intersecato da un pizzico di disappunto. Buon segno, non si imita ciò che non piace. Gabriella si occupa della sala insieme alla cognata Mariuccia. Sguardo solare e vigile su tutto ciò che accade in sala, ti narra la storia del locale, le pietre portate con i muli, l’ampliamento che ha lasciato intatte le Ànestrelle sbilenche e piacevolmente goffe del vecchio rifugio, il viavai di clienti dalla Svizzera in inverno, i belgi in estate, sì perché al meublé ci sono gli appartamenti, tutti rivestiti di legno, sì, proprio quelli d’alta montagna. Nonna Sandra, invece, non è una molto di parole. Sono i piatti la segnaletica delle sue emozioni. Quando ti mostra quelli appena partoriti dalla sua fantasia è come se ti rivelasse un segreto. Capisci che è il suo modo di concedersi, come una madre che ti afÀda il suo bambino. Quelli che ci fa vedere, al riparo da occhi indiscreti, sembrano zuccherini grezzi alla viola, sono gnocchetti di patate violette, ma l’effetto, in fondo, non è diverso. E capisci allora perché anche i dolci son suoi. Torte di mele e crema, alle castagne, crostate di mirtilli, una sÀlata di tenerezza: rustiche d’aspetto, ma tutte di sostanza, come d’altronde la proposta del K2. Meno “di sostanza” fortunatamente il conto, sui 30 euro medi alla carta, vini esclusi.

IL GIUDIZIO AMBIENTE Nella foto in bianco e nero degli anni Cinquanta il ristorante sepolto dalle nevi lo scambi davvero per un rifugio ai piedi dell’Himalaya. L’ambiente del K2 è quello di montagna, legno alle pareti e travi al sofÀtto, la vista che domina le Orobie, la stufa in ceramica che fa un po’ stube tirolese: «È lo stile di tutto l’arco alpino - precisa Gabriella -, solo che in Tirolo si è conservato ovunque, da noi è quasi scomparso. Semmai condividiamo stile e usi con la vicina Valtellina». I tavoli, circa 150 coperti, sono in parte distribuiti nella parte vecchia del locale, più rustica e con tratti di pietra a vista, in parte in quella recente costruita a ridosso della parete esterna che ha mantenuto intatta la sua Àsionomia. CUCINA Cucina di montagna in tutto e per tutto, dalle carni al forno, stufate, marinate, all’ardesia, in salmì, con e senza funghi (costolette, nodini, Àletti, controÀletti, stinchi), passando per i salumi nostrani e il magatello affumicato in casa con le bacche di ginepro, Àno ai formaggi delle malghe più alte. Interessanti anche alcuni abbinamenti di selvaggina (capriolo, cervo) a contorni a base dolce come la composta di mirtilli rossi del Passo Dordona, le castagne cotte nel miele o la mela, retaggio di un gusto premoderno, che sopravvive ancora nelle conservatrici cucine teutoniche. CANTINA Un’ottantina le etichette in lista, per lo più rossi, concentrati in Lombardia, Piemonte e Toscana. Presenti anche produttori di pregio e, per la Valtellina, la linea completa di Triacca. Ricarichi nella media. ESPERIENZA A 82 anni Sandra Midali tiene ancora salde le redini della cucina e mette in riga tutti. Rimasta, negli anni Settanta, poco più che quarantenne, vedova del marito con il quale aveva avviato l’attività, ha gestito il locale insieme a tre Àgli, Gabriella, Fulvio e Salvatore. Quella del K2 è una cucina corale a impronta matriarcale, dove ciascuno dà il suo contributo. Salvatore addetto alle carni, Fulvio che porta linfa nuova reinterpretando piatti che incontra durante i suoi viaggi e adeguandoli ai prodotti della montagna, nonna Sandra che prepara i primi (ne ha inventati un centinaio) e cura la regia avvalendosi di un aiuto esterno. Le sue capacità tecniche poggiano sui solidi piloni di un’esperienza maturata in oltre mezzo secolo. Da quasi 60 anni parla attraverso la chimica del cibo, mostrando di conoscerne le leggi “a naso”, grazie a quella maestra, tanto più infallibile se unita alla passione, che è l’esperienza. SERVIZIO In sala spicca la Àgura di Gabriella, loquace, estroversa, energica, addetta anche alla mise dei tavoli, dove non fa mancare fantasiose composizioni con Àori e frutti raccolti in montagna. Il servizio, svolto insieme alla cognata Mariuccia, è efÀciente e veloce e non lesina spiegazioni sui dettagli dei vari piatti e menù.

RISTORANTE MEUBLÉ K2 via Foppelle, 42 - Foppolo tel. 0345 74105 - sempre aperto

RAPPORTO QUALITÀ/PREZZO Le varie formule dei menù degustazione (a 25 e 35 euro, vini e bevande inclusi, min. 4 persone) e il menù turistico a 20 euro (solo a pranzo) consentono di modulare il pasto secondo l’appetito e il portafoglio, con ampia libertà di manovra. Rapporto qualità-prezzo complessivamente buono. p.s.

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STORIE di Anna Facci

Quei teenager con la passione per la terra Cesare Cugini

Emanuele Sanzani

EMANUELE SANZANI

«Ho passato l’estate nell’orto, il tempo volava» Ad “accendere la lampadina” è stato il classico sogno di guidare il trattore, complici le visite all’azienda orticola del nonno Giuseppe a Levate. Ma Emanuele Sanzani, 12enne di Treviolo, a differenza di tanti altri bambini affascinati da questa immagine, non si è limitato ad aspettare di avere l’età giusta per farlo ed ha cominciato a cimentarsi nel mondo dell’agricoltura secondo le sue possibilità. Quando alcuni anni fa lo zio ha lasciato l’orto dietro casa per spostarsi su uno degli spazi messi a disposizione dal Comune, se ne è impossessato lui e con l’aiuto dell’amico Biagio, 74enne collaboratore della famiglia (che gestisce un negozio di frutta, verdura e alimentari in piazza), ha dato il via alla sua personale produzione. Coltiva soprattutto insalate (come lattuga, gentile, spumiglia), pomodori, zucchine e melanzane, ma anche Ànocchi, zucche e verze e gli piace sperimentare, «perché – dice – mi incuriosisce veder crescere le diverse varietà e capire come vanno trattate. Quest’anno, ad esempio, ho piantato il grano. Il nonno mi ha dato la semenza e mi ha detto di schiacciare con i piedi i germogli appena spuntati per compattare la terra, credevo che avrei danneggiato giato le piante, invece sono cresciute, è stata una bella sorpresa. Ho provato anche a sgranare le spighe a mano, ma era un lavoro troppo lungo e così il raccolto è Ànito nel compost che utilizzo come e fertilizzante». «Ora che è inverno, nell’orto sono rimaste solo le verze erze – spiega -, con la primavera cominceremo a zappare per far tornare la terra sofÀce, aggiungeremo l’humus che si è formato con n la decomposizione degli scarti vegetali, rifarò i vialetti e ricomincerò erò a piantare». L’impegno maggiore è richiesto d’estate. «Io quest’anno anno ho preferito non iscrivermi al Cre – racconta -. La mattina mi alzavo presto per annafÀare e dopo pranzo tornavo nell’orto: c’è è sempre da fare e mi piace che sia tutto in ordine, così arrivava sera era senza quasi che me ne accorgessi». Se dal nonno materno Emanuele ha ereditato la passione per la terra e la sapienza per coltivarla, dal ramo paterno ha acquisito la visione commerciale. La famiglia Sanzani ha infatti fatti un negozio di ortofrutta a Treviolo Àn dagli anni Sessanta, a, che nel frattempo ha ampliato la gamma comprendendo il banco dei freschi e della gastronomia, pane fresco e alimentari ari confezionati. L’attività è arrivata ormai alla terza generazione, zione, visto

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Emanuele Sanzani con mamma Grazia, papà Gigi e i fratelli Chiara e Angelo

che accanto papà Gigi e a mamma Grazia si alternano nel punto vendita anche i fratelli più grandi, Angelo, Daniele e Chiara, che pur essendo ancora tutti impegnati con la scuola non mancano di dare una mano. Anche Emanuele è cresciuto respirando l’aria del negozio e la stessa attenzione che mette nel far crescere gli ortaggi la riserva alle sue “clienti”, alcune signore che hanno saputo del suo hobby ed apprezzano la possibilità di mangiare prodotti cresciuti vicino casa e senza l’utilizzo di concimi o trattamenti chimici. Con grande professionalità Emanuele le avvisa quando è pronto il raccolto, pulisce le verdure e le consegna a domicilio in bicicletta. È orgoglioso di poter spendere autonomamente il piccolo gruzzolo che ne ricava, senza dimenticare di reinvestirlo con oculatezza nella sua “azienda”. Per averne la conferma, basta chiedere al Àorista del paese, con il quale contratta sul prezzo delle piantine di insalata o Ànocchi se vede che non sono al meglio. Pur essendo certo di questa passione, il ragazzo al momento non esclude comunque la possibilità di prendere altre strade. «Con pa papà e tutti gli altri fratelli suono nella Fanfara Garibaldina di Treviolo – afferma -, mi interessano anche la musica e il mondo militare e se ci sarà l’occasione mi piacerebbe tentare anche in questi campi. Altrimenti farò di certo l’agricoltore». L’obiettivo più immediato, del resto, ce l’ha già chiaro: un pezzo di terra più grande da coltivare da solo nell’azienda del nonno.


dicembre 2012

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l fascino della natura colpisce ad ogni età. Accanto alle storie di chi lascia un’attività “urbana” per ritornare alla campagna e a quelle di giovani che – è proprio l’ultima tendenza rilevata dalle statistiche – aprono un’azienda agricola tutta loro o rileggono in chiave più attuale l’attività di famiglia, ci sono piccole esperienze ancor più singolari. Come quelle di Emanuele, 12 anni di Treviolo, e di Cesare, 14enne di Albino, che nel giardino di casa hanno realizzato e curano, rispettivamente, un orto e un pollaio. Non vivono in un ambiente agricolo, ma una passione nata «sin da piccoli» (sottolineano entrambi come se fosse passato chissà quanto tempo!) li ha portati ben presto sporcarsi le mani, senza che i genitori li abbiano in qualche modo sollecitati. Se i loro coetanei vivono tra telefonini, Internet, videogiochi, tv e divano, spesso incerti sulle strade da prendere per il loro futuro, per i due ragazzi alzarsi presto nelle mattine d’estate per annafÀare o andare a fare esperienza in una fattoria è una scelta che regala grandi soddisfazioni.

Emanuele a Treviolo ha avviato una “produzione” tutta sua nell’orto di casa. Cesare si è costruito da solo il pollaio ad Alzano. «Un interesse sbocciato fin da piccoli», dicono entrambi

CESARE CUGINI

«Alle elementari avevo già deciso di fare l’Agrario» Il suo sogno è un maneggio con cavalli da montare all’americana e un allevamento di vacche texane, «una razza da carne – spiega – che ha fatto la storia del West, presente in pochissime realtà in Italia». Intanto Cesare Cugini, 14enne di Albino iscritto il primo anno dell’Istituto agrario di Bergamo, ha pensato bene di sperimentarsi come allevatore in settori più accessibili. Due anni fa, quando aveva quindi 12 anni, ha cominciato a costruirsi da solo un pollaio, dove ha poi messo Berta, la sua unica gallina dalla quale ricava le uova per il consumo in famiglia. «Mio papà mi ha detto che avrei potuto mettere un pollaio nel giardino ad Alzano se avessi fatto tutto da solo, sostenendo anche i costi – ricorda -. Lo ha fatto pensando che mi scoraggiassi, invece l’ho preso in parola. Ho trovato su Internet diverse soluzioni, ho valutato i materiali e alla Àne, per una ragione di costi, ho optato per il polistirolo, che ho ritagliato e poi ricoperto con il cemento e colorato di verde per abbellirlo. Il pollaio è rialzato perché i volatili si sentono più sicuri ed ho fatto un recinto scavando in profondità per evitare che i quattro cani che abbiamo lo sollevino ed entrino. Ogni volta che ci vado cerco di migliorarlo. Mi piacerebbe metterci almeno un’altra gallina, anche perché Berta comincia a fare meno uova, ma mi rendo conto che non siamo in campagna: pur se spazioso è comunque un giardino». Cesare ha colto al volo anche l’occasione di lavorare in una fattoria che alleva capre in Valle Rossa, nel comune di Cene. «Ho saputo che accoglievano ragazzi che volevano imparare – dice – e ci sono andato per una settimana nelle due ultime estati. Mi alzavo alle 6.30, la mamma mi accompagnava ogni giorno, mungevo, seguivo la produzione dei formaggi, davo da mangiare agli animali, pulivo. Il secondo anno è stato ancora più gratiÀcante perché Gigi e Cinzia, i responsabili dell’azienda, mi hanno dato Àducia e assegnato dei compiti da fare da solo».

Se questo è stato il suo passatempo estivo, come credete che abbia trascorso le vacanze? «Tra i ricordi più belli c’è il soggiorno in un agriturismo in Toscana – svela -. C’era un maneggio e si organizzavano passeggiate, ma era una zona di ripopolamento ed io ero troppo piccolo per uscire a cavallo. Però ho potuto dare una mano a governare i cavalli, a prepararli, a sellarli e i gestori mi hanno ricompensato con delle lezioni in maneggio. È stata davvero una bella soddisfazione». Il giovane allevatore riconosce che la sua è una passione insolita, soprattutto perché non è nato e cresciuto nel mondo agricolo. «Credo che dipenda dal fatto che i miei genitori mi hanno sempre fatto apprezzare la natura – sostiene -. Mi sono sempre piaciuti gli animali, cani, gatti, pesci, criceti, ma poi mi ha interessato di più la zootecnia, la possibilità di entrare in sintonia anche con specie non considerate di compagnia, che invece trasmettono molto. In quinta elementare avevo già deciso che mi sarei iscritto ad una scuola agraria». Questa chiara visione è anche quella che gli fa cogliere con realismo il Àne dell’allevamento: «So che gli animali devono essere mangiati – afferma -, fa parte dell’ecosistema, del ciclo della natura. Quello che per me è importante che vengano allevati nelle migliori condizioni». Scoprire così presto la sua vocazione gli ha permesso anche di collezionare già un buon bagaglio di conoscenze ed esperienze. Partecipa alle Àere, è abbonato a riviste specializzate e si interessa delle storie di giovani che hanno realizzato imprese nuove, trova modelli, poggia i suoi sogni su dati concreti. Ma la sua vita non è a senso unico. Nel tempo libero c’è, ad esempio, anche il calcio, gioca infatti negli Allievi Eccellenza della Falco. «Ora che frequento l’Agrario ho altri coetanei con cui confrontarmi – conclude -, ma naturalmente agricoltura e zootecnia non sono argomenti per tutti. Con gli amici si parla d’altro».

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L’ITINERARIO

Chiuduno, non solo vino di Lara Abrati

Pur avendo una decisa vocazione vitivinicola, nel territorio sono stati introdotti negli anni anche la produzione di olio d’oliva e di insalate in serre

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l territorio di Chiuduno fa parte della zona in cui è possibile produrre Valcalepio Doc. Considerata dai più come località esclusivamente di passaggio, pochi si soffermano sulle bellezze di questo piccolo comune bergamasco in cui nei decenni scorsi è Àorita l’industria del bottone. Nella parte più ad ovest del territorio comunale, alle pendici della collina, si può passeggiare nel borgo storico del paese, da cui fa da vedetta la vecchia parrocchia, il santuario di San Michele, che prende il nome dall’omonimo colle. Qui si può vedere anche la parte rimasta del castello del IX secolo e i vecchi lavatoi, ancora in funzione. In direzione est, invece, si incontra la via Montebello che porta nella zona pedecollinare. La strada Ànisce e si trasforma in uno sterrato che termina nella frazione Cicola del vicino paese Carobbio degli Angeli. La collina, ora ricoperta in gran parte dai boschi, era

la zona prediletta per la coltivazione della vite. “Essendo molto scoscesa - spiega Diego Locatelli dell’azienda vitivinicola Locatelli CafÀ - pian piano ci si è spostati con la coltivazione della vite nelle parti più basse, anche

per l’esigenza di meccanizzare le operazioni colturali”. Un tempo infatti si coltivava attraverso l’uso di tecniche esclusivamente manuali, il terreno era organizzato in terrazzamenti ora parzialmente in disuso. In queste zo-


dicembre 2012 ne sono stati recentemente introdotti gli olivi, da cui l’azienda Bilòffer estrae un ottimo olio. Nella zona più a est del paese si incontra la valle del Fico. Dalla strada provinciale 91, seguendo le indicazioni, si arriva in questa piccola valle che si origina dal torrente Tirna che, lungo il suo corso, crea delle splendide pozze di acqua limpida. Appena imboccata la strada della valle, sulla destra si incontra l’azienda Locatelli CafÀ, attorniata dai vigneti. Proseguendo, la strada è a fondo

chiuso e da qui parte un sentiero su cui si trovano moltissime piante di Àco di diversa varietà e tipologia. Questa è la zona adibita tutt’oggi alla coltivazione della vigna dove si mantengono ancora vive molteplici piccole aziende a conduzione familiare, talvolta neppure segnalate, ma quasi tutte con un denominatore comune: si ricollegano in qualche modo alla famiglia Locatelli. Chi produce solo uve e le conferisce ad altri per la lavorazione, chi viniÀca e vende vino sfuso o in bottiglia in pic-

Le aziende

“CASCINA CASTELLO”, LA SCOMMESSA DI SIMONE L’azienda di Simone Locatelli, ha una storia da raccontare. Visto che il padre aveva scelto a suo tempo una carriera lavorativa esterna al mondo del vino, Simone, non ancora Ànita la scuola agraria, decide di seguire le orme del nonno e inizia così la sua esperienza nella produzione di vino. A 18 anni già imprenditore agricolo, chiama l’azienda come la cascina dove ha avuto la sua prima piccola cantina, la “Cascina Castello”, in collina, in una posizione panoramica sulla valle del Fico. Attorno alla struttura, i suoi vigneti curati in modo meccanizzato. Il primo vino prodotto e venduto inizialmente sfuso è stato “Il Vignaiolo”, a base di Merlot e Cabernet. Successiva la scelta di costruire la nuova cantina, più comoda perché posizionata vicina al paese, in zona pianeggiante, più grande e funzionale, per preparare un ambiente confortevole in vista dei progetti di espansione. La nuova struttura ha visto la luce nel 2010. Simone ha scelto di fare diversi investimenti al Àne di innovare e rendere più produttiva la cantina e aumentare la qualità del vino. Attualmente coltiva 7 ettari di vigneto con vitigni di diverse tipologie. Con Merlot e Cabernet produce il suo vino pioniere, il “Vignaiolo”. Ma Simone produce anche un Cabernet in purezza e Cabernet sovra maturo, ottimo da abbinare ai formaggi. Coltiva anche Moscato giallo per la produzione del passito, il vitigno Franconia per il Rosè e lo Chardonnay e il Pinot Grigio per il suo bianco fermo e lo spumante brut metodo classico. Il costo delle bottiglie varia da un

Simone Locatelli

minimo di 3 euro ad un massimo di 15 euro per una bottiglia da 0,5 litri di Cabernet sovra maturo. Simone ha optato inoltre per la vendita del vino sfuso, a 1,40 euro al litro, nel suo spaccio aziendale ha le dame da 5 litri già confezionate. I suoi clienti preferenziali sono ristoranti, enoteche, agriturismo, ma soprattutto i privati, tanto che la sua cantina è sempre aperta per l’acquisto e per eventuali visite. Partecipa inoltre a numerosissimi mercati agricoli sparsi su tutto il territorio della provincia di Bergamo, dalla pianura alle valli.

via Portici Manarini, 30 tel. 035 839540 - cell. 348 8841939 www.cascinacastello.it

cole quantità e chi, avendo investito totalmente nella produzione vitivinicola, ha l’ambizione di guadagnarsi quote di mercato sempre maggiori puntando sulla produzione di un vino di qualità. Nella parte sud, quella pianeggiante, sono Àorite negli ultimi anni aziende adibite alla produzione di insalata in tunnel, tra le serre. Qui sorge la cantina di Simone Locatelli, dell’azienda vitivinicola “Cascina Castello”. Non da sottovalutare l’azienda vitivinicola di Fabio Finazzi, localizzata al centro della Valle del Fico.

LOCATELLI-CAFFI PRIMEGGIA CON LA DOC “TERRE DEL COLLEONI” Gestita ora dai due fratelli, Fabio di 36 anni e Diego di 29, è la prosecuzione dell’attività del padre Pietro. Fabio è perito agrario e gestisce la parte agronomica e colturale, mentre Diego è enologo e, con il padre, si occupa della parte commerciale. Pietro racconta dei suoi viaggi in Germania, per vendere il vino. Infatti l’azienda punta molto sull’esportazione e ha stretto rapporti commerciali, oltre che in Germania, in California, in Belgio, in Inghilterra, poco in Olanda e presto in Senegal. L’impostazione e l’orientamento si notano dalla grande cantina, costruita nel 2004, che è andata a sostituire quella storica di famiglia. Una struttura nuova, con attrezzature all’avanguardia al Àne di ottimizzare il lavoro e la manodopera non sottovalutando la qualità del prodotto. Una struttura gestita con grande professionalità. Al pianterreno invece lo spazio per la vendita allestito con l’esposizione delle bottiglie. L’azienda lavora circa 13 ettari di vigneto, tra terreni di proprietà e in afÀtto. Ha impiantato i vitigni per produrre Valcalepio Doc, quindi Merlot, Cabernet Sauvignon, Pinot bianco e grigio, Chardonnay, che viene anche spumantizzato, e Moscato. Inoltre, l’azienda ha un terreno e una cantina in afÀtto a Scanzorosciate dove è prevista la produzione di Moscato di Scanzo Docg. Locatelli CafÀ ha avviato la produzione di vini anche con la nuova Doc “Terre del Colleoni”. E le soddisfazioni non sono manca-

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L’ITINERARIO

Le aziende te: il Merlot “Gaudio” ha infatti vinto la medaglia d’oro al recente concorso enologico “Emozioni dal Mondo Merlot e Cabernet insieme”. Una curiosità: i vigneti posti vicino all’azienda, nella valle del Fico, hanno le reti antigrandine, difÀcilmente utilizzate nella zona di produzione del Valcalepio Doc. Questo perché nella valle vi è un particolare microclima. Anche i terreni sono diversi rispetto alle zone limitrofe. L’azienda produce anche alcuni vi-

ni Igt bergamasca, tra cui il novello, prodotto con macerazione carbonica. Due invece gli spumanti con metodo classico: un brut (da uve Chardonnay) e un dolce (da uve Moscato). In vendita nello spaccio aziendale anche la grappa di Moscato e la grappa di Cabernet.

via A. Moro, 6 tel. 035 838308 www.locatellicafÀ.it

BILÒFFER, SEICENTO OLIVI PER UN OLIO DOP Bilòffer deve il curioso nome al soprannome del nonno di Andrea Gavazzeni, giovane imprenditore agricolo di 28 anni. Nata 5 anni fa, l’azienda ha sede in posizione collinare e panoramica, nella zona più alta del monte di Chiuduno. L’impianto degli ulivi è però antecedente all’apertura dell’attività e risale al 2002. La sede aziendale è ora un cantiere, infatti Andrea sta investendo afÀnché vengano restaurate le vecchie strutture di proprietà della sua famiglia con l’obiettivo di creare un ambiente confortevole e utile alla sua attività: è in costruzione lo spaccio aziendale e una struttura che probabilmente diventerà uno spazio destinato all’accoglienza e all’ospitalità. Tanti progetti e la necessità di effettuare costantemente piccole scelte in funzione delle necessità e delle possibilità. Nei periodi in cui il lavoro nei campi lo permette, Andrea collabora nell’impresa edile del papà. L’impianto dell’oliveto conta circa 600 piante, di varietà Leccino, Pendolino e Frantoio. L’azienda produceva anche una tipologia di vino rosso che ha abbandonato al Àne di dedicarsi con costanza alla produzione di

olio, che è commercializzato in bottiglie da 0,5 litri, da 0,75 litri e in latte da 5 litri. Il prezzo medio di vendita è di 15 euro al litro. L’azienda ha ottenuto la certiÀcazione “Laghi Lombardi Dop”, non a caso una parte della produzione (rispettosa del disciplinare) riporta tale menzione in etichetta. Chiuduno è uno dei 24 comuni della provincia di Bergamo inseriti nel disciplinare di produzione, dove viene indicata la menzione geograÀca aggiuntiva “Sebino” (legata in termini di ovvietà ai comuni delle province di Bergamo e Brescia, mentre sempre per la certiÀcazione Laghi Lombardi Dop di oli prodotti da olive coltivate in provincia di Lecco e Como, si utilizza la menzione geograÀca aggiuntiva “Lario”). Le olive di Andrea vengono frante subito dopo la raccolta nel frantoio “Vela” di Marone (Brescia), dando un olio extravergine di oliva caratterizzato da una bassissima acidità. via Montebello tel. 035 838539 - Cell. 347 8524682 www.biloffer.com Andrea Gavazzeni

DOVE MANGIARE

L’HOSTERIA DEL VAPORE, DA CINQUE GENERAZIONI AI FORNELLI Il ristorante, di proprietà della famiglia Berzi dal 1860, ha sede nella vicina Cicola, frazione di Carobbio degli Angeli. Si può raggiungere anche a piedi, infatti il sentiero che scende dal monte di Chiuduno (da via Montepelato) giunge proprio a circa un centinaio di metri dal ristorante, sulla vecchia strada che congiungeva Bergamo a Brescia. L’Hosteria del Vapore viene chiamata “al vapore” quando nel 1905 viene attivata la nuova linea ferroviaria Bergamo-Sarnico, proprio accanto all’osteria il treno si fermava a caricare il carbone e l’acqua per la caldaia. Al suo riavvio, si creava una nube intensa di vapore che andava a riempire i locali. Ora il ristorante è ancora di

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proprietà della famiglia Berzi. In cucina Stefano prepara piatti semplici legati al territorio bergamasco. Con lui la famiglia è arrivata alla quinta generazione di osti. In sala presenziano Gianpaolo Berzi, sommelier, e la moglie Monica. La cantina vanta una vasta selezione di vini scelta, negli anni, da Gianpaolo. La struttura del ristorante è molto suggestiva, tanto da avere una vecchia ghiacciaia. Il complesso è stato ristrutturato nel 2000 ed è stato dotato anche di un’accogliente cigar room. È aperto a pranzo e a cena, Àno a tardi. via Manzoni, 2 - Carobbio degli Angeli tel. 035 953401 www.hosteriadelvapore.com Stefano Berzi



RATATOUILLE RATATOUILLE di Laura Ceresoli

GLI ITALIANI AL RISTORANTE? TUTTI “ESPERTI” E P

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uando si siede a tavola, un francese è sempre un po’ difÀdente e a tratti spocchioso. Se però il suo palato viene solleticato da inaspettap te leccornie, va in brodo di giuggiole e dopo aver prodigato innumerevoli complimenti lascia una lauta mancia. L’italiano è diverso. Assume subito un atteggiamento amichevole, ti dà del tu perché “tra connazionali all’estero ci si capisce”. Parte dal presupposto che “la nostra cucina mediterranea sia la migliore, non come quei bistrot turistici della via pedonale”. E così si sbafa un pasto luculliano, dall’antipasto al caffè. Si fa offrire pure il digestivo. Al

momento di pagare, però, fa di tutto per avere lo sconto. Le strategie per arrivare all’obiettivo, di solito, sono due: c’è chi si appiglia a pretestuose critiche riguardo al cibo appena gustato e c’è chi, invece, dice di non volere lo scontrino in cambio di una ricevuta non Àscale con sconto annesso. Non a caso la parola “mancia” deriva dal francese “manche” (manica) anche se i più attenti a questo tipo di compenso sono gli inglesi e gli americani: gli euro che lasciano sul tavolo, infatti, non vengono mai messi in modo casuale ma vengono calcolati in base alla cifra Ànale presente sullo scontrino. Questo

perché chi vive negli Stati Uniti sa bene che le mance possono essere, a Àne mese, anche il 70% dello stipendio di un cameriere, di solito al minimo sindacale. Tornando agli italiani, per lavoro o turismo, a Nizza ce ne sono moltissimi. E paradossalmente a fare le pulci sullo scontrino sono proprio quelli che in Costa azzurra possiedono seconde case o attici da centinaia di migliaia di euro. C’è chi, tra una portata e l’altra, si arrovella per scegliere la miglior decorazione per il nuovo appartamento appena acquistato a pochi passi dalla rue piétonne. Lo senti parlare con la moglie di stucco veneziano, spatolato

FUORI PORTA di Michela Brivio

“Osteria dello Strecciolo”, la passione si sente

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na passione più che radicata - “questo è il mestiere più bello del mondo e non avrei voluto fare altro nella vita” - e un’esperienza, indimenticabile, le, all’Antica Osteria del Ponte con il “grande maestro Ezio Santin”. Un biennio formativo rmativo che ha forgiato Stefano Riva facendogli scoprire la ricchezza del territorio, rio, il valore delle materie prime. Tanto che questo legame con la tradizione lo ha portato a ricorrere alla voce “Osteria” nell’insegna che ha scelto per il suo locale a cui ha afÀancato “Strecciolo”, nome dell’antico rione di Robbbiate a marcare appunto l’attaccamento al territorio. “Sono un cuoco - spiega Stefano - lavoro nel mio regno, che è la cucina, è la mia più grande soddisfazione è quando le sensazioni che voglio comunicare vengono recepite nei piatti che parlano per me”. Fondamentale è quindi l’incastro perfetto con i fornitori e con la mooglie Stefania Mastrota: è lei ad accogliere gli ospiti e a occuparsi del-la sala con Barbara, ormai parte della famiglia dall’inizio di questa avventura, quattro anni fa. Osteria dello Strecciolo - via Indipendenza, 2 Robbiate (Lc) - tel. 039 9281052 giorno di chiusura: martedì

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Stefania Mastrota e Stefano Riva


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E PRONTI A CHIEDERE LO SCONTO o di altre tecniche soÀsticate per ridipingere le pareti. Ma si tratta solo della seconda casa perché la prima si trova a Roma, a pochi passi dal Vaticano. Beato lui! Peccato che alla Àne del pasto, anziché ricompensare lo sforzo di due giovani che da soli riescono a portare avanti un locale all’estero, assume il classico atteggiamento da amicone e chiede uno sconticino, come se quei 2 euro fossero questione di vitale importanza per il suo budget mensile. Ma i più bufÀ rimangono quelli che parlano in italiano con uno spiccato accento da ispettore Clouseau, per dimostrare che loro in Francia sono integrati e che la

lingua d’origine l’hanno ormai scordata. Peccato che magari abbiano vissuto suto Àno a 5 anni prima a Barletta, complice plice il codazzo di parenti meridionali che puntualmente si portano appresso esso ogniqualvolta escono a pranzo. Poi arrivano gli emiliani che esaminano ano le etichette del nostro Lambrusco o da cima a fondo; i napoletani che la sanno anno lunga sulla mozzarella di bufala campana; certi milanesi, che sostengono gono che la vera cotoletta non sia quella con l’osso bensì la cosiddetta orecchia a di elefante; i bergamaschi che vogliono iono mettere alla prova la nostra capacità tà di fare una buona polenta. Insomma, una

cosa in questi mesi l’abbiamo capita: ognuno ha le sue ricette, legate alla cu cucina regionale di origine e alle proprie tradizioni, e pretendere di assecondare i gusti di tutti sarebbe un’impresa a dir poco titanica.

Gradevole lo stuzzichino di benvenuto che viene offerto nell’attesa, come pure il pane e la piccola pasticceria, servita al termine, che completano un servizio svolto con professionalità. Il menù spazia dalla terra al mare e sono la qualità e la stagionalità delle materie prime gli ingredienti fondamentali di ogni portata. Non si può che iniziare con il baccalà mantecato all’olio nuovo con sfoglie di polenta e, tra le novità, le frittelle di “borroeula”, grano saraceno, taleggio, pomodoro e zucca. Menzione speciale al risotto, attualmente proposto mantecato al cavolo, vino rosso e taleggio, ma non da meno sono gli altri primi come i ravioli di zucca con fonduta di blu del Monviso e aceto balsamico. Emergono tecnica e preparazione anche nei secondi: coscia d’anatra conÀt, composta di rabarbaro, curry e tortino di patate, un tutto coniglio da scoprire e, sul versante ittico, trancio di branzino con quinoa, cruditè di verdure e olio aromatico. Ogni piatto è un invito alla degustazione, grazie a una cucina di tradizione rivisitata in chiave moderna e imperniata sulla ricerca, sull’equilibrio dei sapori e sulla cura nella presentazione. Da assaggiare i dolci: a partire dal cremoso al caffè, gelato allo zafferano e liquirizia per arrivare alla torta alle noci e mou con crema pralinata Àno al sorbetto alle pere e grappa e sedano candito. Quanto ai vini in carta Àgurano vini di pregio, ma viene proposta anche una selezione di etichette in abbinamento ai piatti in carta. Il conto è intorno alle 45 euro mentre a pranzo si va sui 13, per un menù di lavoro con una scelta più ridotta ma che mantiene gli stessi standard qualitativi. Il giovedì sera è invece dedicato al tema del mese - come l’ultimo con protagonista la Cassoeula - o a eventi con ospiti interessanti e coinvolgenti.

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APPUNTAMENTI DAL 10 AL 12 FEBBRAIO IL 21 DICEMBRE

RISOTTO IN PIAZZA PER LA CHIUSURA DEL CONCORSO “GIALLO MILANO” Si concluderà venerdì 21 dicembre con la premiazione dei primi tre classiÀcati e con la preparazione in piazza Città di Lombardia del risotto giallo per tutti il concorso enogastronomico “Giallo Milano”, dedicato al risotto alla milanese. La keremesse coinvolge dal 14 al 16 dicembre 43 ristoranti di Milano e provincia, che si contendono a suon di mantecatura e zafferano il titolo per il “miglior risotto alla milanese”. L’evento, giunto alla quinta edizione, è realizzato con il patrocinio di Regione Lombardia, Provincia di Milano, Comune di Milano e Camera di Commercio, con la collaborazione anche dell’Unione del Commercio e della Fipe. Al premio della giuria, composta da giornalisti del settore, si afÀanca il gradimento del pubblico, che nei tre giorni della manifestazione è invitato a recarsi nei ristoranti che partecipano al concorso per assaggiare il piatto tipico della tradizione milanese e ad inviare giudizi e commenti (l’indirizzo è info@vitaminemilano). La manifestazione è organizzata in collaborazione con Ersaf, che fornisce tutte le materie prime per il concorso: zafferano di Varedo (Mb), riso milanese, burro e cipolla “made in Lombardy” e vino di accompagnamento dell’Oltrepò pavese.

IL 26 E 27 GENNAIO

A VERONA SI DEGUSTA IN ANTEPRIMA L’AMARONE 2009 “Anteprima Amarone: la storia di un vino di successo” è il titolo scelto per il decennale della manifestazione organizzata dal Consorzio per la tutela dei vini della Valpolicella. L’appuntamento è il 26 e 27 gennaio a Verona con un nuovo allestimento ma nella stessa prestigiosa location dello storico Palazzo della Gran Guardia, su una delle più belle piazze europee, di fronte all’Arena. La vendemmia protagonista è quella del 2009, ma l’evento vuole anche celebrare i 10 anni che hanno cambiato la storia dell’Amarone della Valpolicella, facendolo diventare uno dei grandi vini più apprezzati al mondo, Ànito anche sulla tavola del presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Ottenuto dall’appassimento delle uve conservate in fruttai per 100/120 giorni, dove porta a termine la fermentazione degli zuccheri, l’Amarone è uno dei più longevi fra i grandi vini italiani. La manifestazione è aperta al pubblico il sabato dalle 16 alle 19 e la domenica dalle 10 alle 18. L’ingresso è a pagamento su invito, da richiedere a info@consorziovalpolicella.it

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IDENTITÀ MILANO, I GRANDI DELLA CUCINA A CONFRONTO SUL “RISPETTO” Ruoterà attorno al “Valore Rivoluzionario del Rispetto” l’edizione 2013 di Identità Golose, il congresso di cucina d’autore lanciato nove anni fa a Milano dal giornalista enogastronomico Paolo Marchi, nel tempo sviluppato anche in nuovi appuntamenti nel mondo. Il tema della manifestazione – di scena a Mi.Co. Milano Congressi in via Gattamelata dal 10 al 12 febbraio – prosegue il percorso iniziato nel 2010 con “Il Lusso della semplicità” e proseguito lo scorso anno con “Oltre il mercato”, entrambi inviti ad andare all’essenzialità della cucina anche sulla spinta della crisi economica che si andava proÀlando e che si è fatta sempre man mano più presente e pressante. Troppi per essere elencati i grandi nomi - della cucina e della ristorazione italiana, europea e mondiale – che si alterneranno nelle tre giornate e nelle tre sale dell’evento. «I relatori di domenica 10 e lunedì 11 in Auditorium parleranno di Rispetto – spiega Marchi -, rispetto per la natura, per le materie prime, per i clienti e i loro soldi e il rispetto dei clienti verso cuochi e ristoratori che sono liberi professionisti e rischiano il loro. E ancora il rispetto per la verità che non è solo la nostra, ma anche quella degli altri. Seguiremo così anche i “nuovi leoni della cucina mondiale” provenienti da Italia, Spagna, Francia, Svezia, Brasile e Singapore». Martedì invece la mattina sarà dedicata al focus su una realtà particolare, la cucina Àamminga in questa circostanza, e il pomeriggio all’ormai classico appuntamento con la pasticcieria d’autore e il mondo del cioccolato. E poi le due sale tematiche: domenica Identità di Pasta e, per la prima volta, Identità di Sala, lunedì Identità Naturali e Identità di Pizza. Senza dimenticare le soste tra le aziende presenti nell’area espositiva. www.identitagolose.it

DAL 19 AL 23 GENNAIO

GELATI, PASTICCERIA, PANIFICAZIONE: AL SIGEP DI RIMINI LE NOVITÀ E I CAMPIONI Consolidato appuntamento internazionale per gli operatori della gelateria, pasticceria e paniÀcazione, il Sigep di Rimini quest’anno si presenta insieme ad A.B. Tech Expo, salone internazionale delle tecnologie e dei prodotti per la paniÀcazione, la pasticceria e il settore dolciario. Il giro d’orizzonte sulle novità in tema di materie prime e ingredienti, impianti e attrezzature, arredamento e servizi potrà perciò essere ancora più ampio e completo. La 34esima edizione, in programma a Rimini Fiera dal 19 al 23 gennaio, ospiterà nei suoi 100mila metri quadrati un migliaio di espositori e sarà come sempre il contenitore di sezioni tematiche, concorsi e campionati, dimostrazioni, corsi e seminari di aggiornamento. Ci saranno,


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RISTORAZIONE E OSPITALITÀ, È TEMPO DI FIERE Per gli operatori dell’ospitalità e della ristorazione che vogliono aggiornarsi sulle nuove tendenze e opportunità e per i cultori della tavola sempre alla ricerca di prodotti golosi i mesi di gennaio e febbraio offrono una serie di Àere specializzate. Al quartiere Àeristico di Riva del Garda dal 27 al 30 gennaio è in programma la 37esima edizione di Expo Riva Hotel, uno dei principali momenti di incontro per le aziende dell’hotellerie e della ristorazione. La manifestazione è suddivisa in quattro grandi aree: Benessere Hotel, per chi è alla ricerca di proposte per creare o rinnovare il proprio centro wellness in hotel; Eco Hotel con le soluzioni per il risparmio energetico in albergo; Contract & Design dedicata ad arredo, soluzioni bagno e tecnologie; Food & Beverage dedicato del bere e al mangiare fuori casa, con prodotti alimentari, grandi attrezzature e beverage, oltre alla mostra degli oli extravergine d’oliva Dop e monovarietali. (www.exporivahotel.it) Dall’8 all’11 febbraio toccherà alla Fiera di Brescia con Golositalia, giunta alla seconda edizione. La manifestazione, aperta al pubblico e agli operatori, farà spazio a 350 aziende suddivise in sei aree tematiche: food, wine, beer, ristorazione, attrezzature professionali e turismo enogastronomico. Rispetto al debutto sono raddoppiati gli eventi collaterali, circa 50 tra corsi di degustazione, corsi di cucina, seminari, corsi di galateo, dimostrazioni in diretta, concorsi per le aziende. (www.golositalia.it) Dal 17 al 20 febbraio sarà la volta di Ristorexpo, il salone dedicato ai professionisti della ristorazione promosso da Confcommercio Como e Lecco a LarioÀere. La rassegna si affaccia alla 17esima edizione forte di circa 200 aziende espositrici e 20mila visitatori della scorsa edizione. Punti di forza dell’evento sono gli incontri con i grandi chef, gli stage di cucina, workshop e seminari di approfondimento che permettono di confrontarsi e far nascere nuove idee. Sempre atteso il concorso di cucina calda nazionale “Cuoco dell’anno”, promosso dalla Fic – Unione Cuochi Regione Lombardia. Il concorso ha come tema per l’edizione 2013 il pesce d’acqua dolce ed è aperto ai cuochi professionisti - età minima 18 anni - operanti in Italia e all’estero iscritti alle rispettive associazioni di categoria. (www.ristorexpo.net)

ad esempio, il Sigep Gelato d’Oro, ossia il Gran Premio italiano valido per la selezione alla Coppa del mondo di Gelateria, e il concorso che eleggerà il miglior gusto nocciola. Nella sezione della pasticceria si svolgeranno il Campionato mondiale Juniores a squadre, i Campionati italiani Seniores e Juniores e l’inedito concorso internazionale dell’arte dello zucchero. SÀde di alto livello, in vista delle competizioni mondiali, saranno anche quelle nella cioccolateria e per i baristi, mentre nel Sigep Bread Cup Award cinque paesi di cinque continenti presenteranno le proprie creazioni dolci e salate offrendo degustazioni e ricette al pubblico. Non poteva mancare nemmeno il cake design, con un apposito forum della decorazione con concorsi, dimostrazioni e formazione, e neppure le iniziative nel settore pizza e pasta. Si fanno largo anche il biologico e l’ecosostenibilità con Biodays, percorsi di integrazione bio in laboratorio. L’ingresso è riservato ai professionisti. www.sigep.it

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IL PREZZO FISSO

di Fulvio Facci

Bistrò, il bar che cucina

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In via Masone la velocità del servizio si sposa con piatti fatti in casa e griglia sempre in funzione. «È una zona di uffici, dovevamo per forza puntare sull’offerta di mezzogiorno» opo l’ottima mensa interaziendale del numero precedente ancora una variante nella nostra pausa pranzo. Non un ristorante o una trattoria classici ma un bar nel centro della città. Non si tratta di un’inchiesta ad ampio raggio, e con obiettivi di ricerca e documentazione, semplicemente abbiamo voluto mangiare in un posto diverso rispetto alla consuetudine. Un bar, quindi, ma non con un “menù da bar”, con panini, insalatone, piatti freddi o di gastronomia, bensì con una cucina vera. Al Bistrò di via Masone al numero 8, nella zona delle poste centrali, abbiamo trovato questa interpretazione delle proposte da offrire a pranzo. Non è scritto da nessuna parte, intendiamoci, noi abbiamo mangiato con calma assoluta, ma l’impressione che abbiamo ricavato è che si tratti soprattutto di pranzi veloci. «Siamo al centro della città, una zona di ufÀci ed i nostri clienti sono quindi prevalentemente impiegati o imprenditori e non hanno molto tempo. Sì, in verità i nostri pranzi in media sono abbastanza veloci». Descrive così la tipologia della sua clientela Donald Cattaneo Gasparini, 43 anni, da 13 titolare del locale. «Abbiamo una buona tradizione nella gestione degli esercizi pubblici – prosegue - dal momento che già la nonna e poi la mamma gestivano un albergo a Sedrina. E proprio da mamma Antonietta ho appreso, chiamiamoli così, i segreti della sua cucina». La proposta è casalinga nel senso che i clienti trovano al Bistrò quello che troverebbero a casa. Si tratta prevalentemente di clienti abituali e quindi ci sono i piatti del giorno che variano, appunto, tutti i giorni e poi una serie di piatti che sono sempre nella lista.

LA PROVA

LA VARIETÀ È ASSICURATA CON IL MENÙ DEL GIORNO Molto chiare le proposte del Bistrò disposte su quattro fogli a stampa inseriti nei portamenù. Non c’è la combinazione a prezzo Àsso ma i costi delle singole portate sono accessibili. Tra 4,20 euro e 4,80 i primi, 6 euro per i secondi. Un euro e quaranta per l’acqua minerale, due euro per un quarto di vino. Il menù del giorno prevede due primi, due secondi e due dolci. Spaghetti alle vongole e gomiti al pomodoro, wurstel alla griglia, frittatina di verdure e noce di grana, formaggella alla piastra con patate, macedonia di frutta e semifreddo al torroncino le proposte che abbiamo trovato. Ma al Bistrò c’è anche un menù permanente che prevede otto insalatone a 5,50, tutta la carne che si può cucinare alla griglia per 6 euro con l’eccezione del Àletto di manzo che ne costa dieci. Ma molto interessanti e gettonati sono i piatti unici sulla carta a 6,50 euro. Prevalentemente si tratta di piatti freddi ma c’è anche il petto di pollo con torta salata e verdure lesse e quindi abbondanza di scelta tra salumi e formaggi anche con una certa ricercatezza. Siamo andati sul classico e quindi spaghetti alla vongole e wurstel alla griglia con frittatina di verdure, molto buona, e noce di grana. Con acqua e un quarto di vino e caffè abbiamo speso 13,50 euro. Buona la qualità, accettabile il rapporto qualità-prezzo.

La cucina è una struttura “vera” con personale specializzato, la griglia è sempre in funzione e non c’è spazio per l’improvvisazione. E a giudicare dall’afÁuenza tutto deve Àlare molto bene. «Iniziamo a mezzogiorno e Àniamo verso le tre – rileva Donald Cattaneo Gasparini –, i clienti sanno bene come funziona, dobbiamo ruotare i tavoli, in queste tre ore il ritmo del lavoro è veramente frenetico. Sono veramente soddisfatto di quello che stiamo facendo e dei traguardi che abbiamo raggiunto. Volevamo arrivare a questo punto, avere un locale con una buona clientela affezionata. Ci siamo e non posso chiedere di più. Del resto, se vogliamo, in questa zona non c’erano molte alternative per ottenere dei buoni risul-

tati dal punto di vista della gestione. Di bar ce ne sono molti, dopo le sei e mezza della sera, chiusi gli ufÀci, in zona non gira più nessuno. Abbiamo puntato sin dall’inizio sulla pausa pranzo e sta andando bene nonostante la crisi, che pure si avverte». Il locale non è molto ampio e, distribuito in due salette, c’è spazio per circa cinquanta coperti. Il servizio è rapido, efÀciente e curato e trattandosi prevalentemente di clienti abituali tutto scorre in maniera Áuida, sembra persino che ci siano dei ritmi sincronizzati.

BAR BISTRÒ - via Masone, 8 Bergamo - tel. 035 218162 chiuso sabato e domenica

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Aperitivo di benvenuto

Aperitivo di benvenuto con crostini e stuzzichini

Sformatino di spinaci e ricotta con crema al pecorino Salame nostrano tagliato a coltello

Crudo toscano con donzelline al rosmarino Tris di verdure padellate con crema al Camembert Bocconcini di pecorino con il miele

Risotto al Chianti mantecato con formaggella di valle Ravioli al cavolo nero con burro agli aromi

Fagottino vegetariano con salsa di zafferano e rucola Caramelle di pasta fresca con salsiccia e stracchino

Stracotto di manzo al vino rosso con polenta macinata a pietra

Semifreddo natalizio

Faraona alle castagne e ristretto di vino rosso con flan di patate e cardi in umido

Caffè con panettone

Muffin al melograno con salsa di torrone

Vino, acqua, coperto

A mezzanotte brindisi con panettone e come buon augurio cotechino con lenticchie Musica, balli ed intrattenimento Ospite della serata Luigi Delpanno

Pecorino e grana con noci e frutta

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Vino, acqua, coperto Č”

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A tavola con lo sportivo di Filippo Grossi

Emiliano Mondonico

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Mondonico: “La cena di Natale è il mio momento magico”

l “baffo” di Rivolta da ragazzino si divertiva a cucinare nella trattoria sul Àume gestita dai suoi genitori. Oggi, invece, all’arte culinaria preferisce le cene, quelle con gli amici, i collaboratori e i dirigenti delle sue squadre. Ma quella che ama è sicuramente la cena di Natale, un momento in cui la famiglia si ritrova per stare insieme e che è per lui un po’ magica. Anche se ora la sua condizione di salute lo vincola un po’, Emiliano Mondonico ha cominciato ad apprezzare il fatto che l’alimentazione migliore è quella equilibrata, senza strafare e stramangiare. Per vivere meglio e stare meglio con se stessi. Il suo piatto preferito “Purtroppo, ora sono obbligato a mangiare pasta in bianco. Devo dire che comincio ad apprezzarla”. Le piace cucinare? “Non proprio… Anche se da ragazzino, siccome i miei genitori avevano una trattoria in riva al Àume a Rivolta d’Adda, mi divertivo a cucinare qualcosina”. Il piatto che le veniva meglio? “Il latte con due uova sbattute: ero diventato un vero artista di questa pietanza”. La specialità bergamasca che preferisce? “Beh, la polenta taragna senza alcun dubbio”. Cosa non le piace? “Non ho mai sopportato il fegato e tutto ciò in cui si può trovare del fegato”. La cucina regionale che più apprezza? “Quella del Trentino e della Valle d’Aosta, quando andavo in ritiro con le mie squadre: ci facevamo certe mangiate di carne…” Il suo menù ideale “Un buon piatto è quello che sa unire alimenti equilibrati. La cosa ideale è mangiare carboidrati a pranzo e proteine a cena. Dobbiamo imparare a mangiare di meno, ma cose genuine, sane e di qualità, altrimenti diventeremo tutti obesi e non staremo mai bene con noi stessi”. Carne o pesce? “Al pesce, purtroppo, sono intollerante: quindi, carne”. Vino o birra? “La birra. Durante una cena però non si può pasteggiare

con la bionda, e allora vado sul vino rosso”. La cucina straniera che più le piace? “Amo la cucina italiana, quelle straniere sono troppo condite e piene di salse: un’alimentazione troppo ricercata e grassa, a me piace la semplicità in fatto di cibo”. La sua pizza preferita “La più semplice e secondo me la più buona di tutte: la margherita”. Che alimentazione segue prima e dopo una partita? “Prima della partita non mangio mai, faccio solo una buona colazione al mattino. Al termine della partita, invece, negli spogliatoi è abitudine vedere grandi porzioni di pasta portate per i ragazzi che devono reintegrare e anch’io, non avendo pranzato, mi ci butto a capoÀtto… (ride!)”. Perché non mangia mai prima di una partita? “Toglie lucidità, e le partite bisogna saperle leggere con estrema chiarezza”. Un piatto che le mette allegria “Il buon vecchio pane e salame”. Se è quello della sua cascina di Rivolta meglio, giusto? “Esatto”. Qual è stata la cena più emozionante della sua carriera? “Amo molto quando a Natale ci si ritrova tutti insieme a festeggiare con una bella cena: è un momento che trascorro con le persone che amo, con i nipoti che giocano in mezzo ai tavoli. Il Natale è una festa bellissima”. Come s’immagina una cenetta romantica? “Se le cene sono tutte emozionanti perché si condividono momenti di gioia con amici e conoscenti e vorresti che non terminassero mai, al contrario la cena romantica vorresti che Ànisse al più presto, per stare poi in intimità con la donna che ami... (ride!)”. Un cibo che rappresenta il suo carattere? “L’antipasto. È quello che mi mette più allegria e arriva subito. Se si vuole però arrivare bene ai secondi e alla Àne della cena, non bisogna abusarne: bisogna saperlo prendere, un po’ come bisogna fare con me”. E uno che rafÀgura il suo stato d’animo attuale? “La pasta in bianco”.

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NEWS Al Carlton Hotel apre il ristorante “Da Vittorio”

I fratelli Cerea sbarcano anche a St Moritz

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fratelli Chicco e Roberto Cerea, i celebri chef che vantano tre stelle Michelin con il loro ristorante “Da Vittorio” a Brusaporto, dal 14 dicembre delizieranno con la loro arte culinaria gli ospiti del Carlton Hotel St. Moritz. Durante tutta la stagione invernale, al ristorante “Da Vittorio - St. Moritz” (ex ristorante Tschinè) si potranno gustare proposte gastronomiche di prima classe e di pura tradizione lombarda. “Un ristorante gestito personalmente da chef tristellati è una novità assoluta non solo per il Carlton ma per tutta l’Engadina - afferma Dominic Bachofen, general manager dell’ Hotel -. Noi vogliamo sempre offrire ai nostri ospiti l’eccellenza. Durante il Gourmet Festival St. Moritz, che si è tenuto lo scorso gennaio, i fratelli Cerea sono stati i nostri chef ospiti e i nostri clienti sono rimasti entusiasti. È nata così l’idea della collaborazione”. “Siamo onorati di poter esprimere al meglio per tutta la durata della stagione invernale l’arte della nostra cucina in questo hotel da mille e una notte - afferma Chicco Cerea -. Questa location da sogno si adatta pienamente alla nostra ÀlosoÀa e alla nostra tradizione familiare. Tutto il nostro team guarda con entusiasmo a questa esperienza che ci vedrà impegnati nei prossimi mesi. Noi vogliamo trasferire il meglio della nostra tradizione professionale in questa destinazione ammirata in tutto il mondo”. La cucina dei Cerea si basa su prodotti di altissima qualità, lavorati in maniera tradizionale, con il ricorso anche a tecniche ricercate che non compromettono comunque il gusto e la qualità degli ingredienti. “Tradizione lombarda e genio creativo” è il leitmotiv dei fratelli Cerea, che a St. Moritz proporranno agli ospiti i piatti che hanno reso grande il loro ristorante: scamponi

al vapore, moscardini con la polenta della tradizione, paccheri alla Vittorio o gran fritto misto con frutta e verdura. Decantati dalla critica sono anche i celeberrimi dolci che si rifanno alla tradizione italiana. Il menu à la carte del nuovo ristorante del Carlton Hotel St. Moritz prevede sia una proposta completa sia una più snella, anche di un solo piatto. L’esperienza gastronomica è completata da un’ampia selezione di vini internazionali. Info: www.carlton-stmoritz.ch.

Enrico e Roberto Cerea

TORNA “CACCIA IN CUCINA”, ULTIMI GIORNI PER ADERIRE ALLA MANIFESTAZIONE Anche quest’anno, l’Ascom coordina per la provincia di Bergamo “Caccia in cucina”, la rassegna dedicata alla valorizzazione della tradizione culinaria a base di selvaggina organizzata in Lombardia da Anuu Migratoristi con la collaborazione delle associazioni provinciali dei ristoratori e i patrocini delle Province e della Regione. La nuova edizione – l’undicesima - è in programma da lunedì 25 febbraio a domenica 3 marzo 2013 (con la possibilità di prorogarla per un’ulteriore settimana) e porta nei ristoranti piatti o interi menù a base di cacciagione abbinati ai vini. Per i clienti è l’occasione di gustare ricette “classiche” o nuove interpretazioni di una tradizione presente nella cucina bergamasca e magari di scoprire insieme le altre tipicità del territorio, mentre per i

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locali è un’iniziativa coordinata che permette di far conoscere ad un ampio pubblico la propria offerta. I ristoratori che aderiscono alla campagna potranno approvvigionarsi dei prodotti attraverso i canali abituali e riceveranno locandine, segnaposto ed altro materiale promozionale predisposto dal Comitato organizzatore. Ogni anno la manifestazione raggiunge un signiÀcativo numero di adesioni, permettendo di comporre un interessante itinerario tematico tra valli, laghi, città e Bassa. La partecipazione degli esercizi è gratuita. L’Ascom ha già inviato agli interessati il modulo di adesione che dovrà essere compilato e restituito via fax (al numero 035 224572) entro il 20 dicembre. Per informazioni è possibile contattare la segreteria del Gruppo allo 035 213030.


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Viniplus 2013, massimo riconoscimento per il Cipresso Dalle guide, presentate nelle scorse settimane, arrivano buone soddisfazioni per “Il Cipresso” di Scanzorosciate. L’ultima, in ordine di tempo, è stata la Guida Viniplus 2013, che ha premiato il Moscato di Scanzo “SeraÀno” 2009 dell’azienda agricola guidata da Angelica Cuni con il massimo riconoscimento delle 4 Rose Camune e la Rosa verde. La Guida Gambero Rosso 2013 ha invece segnalato il “SeraÀno” 2008 (2 bicchieri), il Valcalepio rosso riserva “Bartolomeo” 2008 (2 bicchieri) e il Valcalepio rosso “Dionisio” 2010 (1 bicchiere), mentre Vini d’Italia 2013 dell’Espresso ha segnalato, oltre al “SeraÀno” 2007, anche il Valcalepio rosso riserva “Bartolomeo” Doc del 2007, al quale ha assegnato 3 bottiglie.

L’AGRITURISMO DI CENATE SOPRA

“SASSI DELLA LUNA” ORA È ANCHE RISTORANTE Dallo scorso 3 novembre, l’azienda agrituristica Sassi della Luna di Cenate Sopra (via Sant’Ambrogio, 2/d) propone anche cucina di qualità nella sala ricavata all’interno della cantina di viniÀcazione, a 500 metri di altitudine sulle colline con vista che spazia sui vigneti circostanti. Cucina rigorosamente basata su ingredienti stagionali selezionati, prodotti dalla stessa azienda o da altre aziende locali che condividono la ÀlosoÀa di attenzione alla qualità e al rispetto della natura. Proprio per favorire la qualità del servizio e della proposta gastronomica, il numero dei coperti è stato Àssato a massimo di 40. Il menù viene rinnovato mensilmente. Due le proposte a 28 euro, il menù degustazione e quello della tradizione bergamasca. Chi vuole può comunque optare per la carta, con prezzi che vanno dai 9 euro per gli antipasti ai 12 per i secondi. Quanto al vino, è disponibile una lista che propone, accanto alla produzione aziendale, vini realizzati con metodi naturali, con un ragionevole rapporto tra qualità e prezzo. Sassi della Luna è un’azienda agricola biologica multifunzionale, gestita secondo rigidi criteri di sostenibilità ambientale e alimentata dalla passione per la natura e le cose buone. È nata 10 anni fa su un appezzamento di circa 9 ettari di terreno totalmente incolto. Nel corso degli anni, i proprietari hanno recuperato il podere, impiantandovi il vigneto, oltre a 120 alberi da frutto, ulivi, Àlari di frutti di bosco e di erbe aromatiche e recinzioni per l’allevamento di animali all’aperto. Il ristorante è aperto il venerdì e il sabato a cena e la domenica a pranzo. Nella bella stagione sarà possibile pranzare sotto l’ampio porticato della cantina. Info: www.sassidellaluna.it

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L’ANGOLO

DEL SINGLE di Marco Bergamaschi

Ricette facili e veloci per chi vive da solo, ma non rinuncia alla buona cucina

Capita a tutti di vivere per un certo periodo di tempo da soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri della buona tavola ed è sinonimo di cibo congelato, essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche manngiare da soli può essere piacevole.

Pennette alla bufala INGREDIENTI PER 1 PERSONA Mezzo barattolo di passata di pomodoro 1 mozzarella di bufala qualche foglia di basilico

100 g di pennette al kamut olio d’oliva extravergine sale e pepe q.b.

PREPARAZIONE Versate in un pentolino la passata di pomodoro, un pizzico di sale, dell’olio di oliva e lasciate cuocere per 5 minuti a fuoco lento. In un’altra pentola portate ad ebollizione le pennette, stando attenti a non farle scuocere. Una volta pronta, scolate la pasta, lasciatela nella pentola e versateci sopra la passata; quindi aggiungete la mozzarella di bufala precedentemente tagliata a cubetti, una spolverata di parmigiano e mescolate Àno a che il tutto sia fuso e amalgamato con la pasta. Impiattate, aggiungete qualche foglia di basilico fresco e consumate, non dimenticando qualche fetta di pane integrale, indispensabile per fare l’irrinunciabile scarpetta.

CURIOSITÀ Il piatto di oggi rientra in quelle ricette che negli anni abbiamo denominato “dell’ultimo minuto” per la facilità e i tempi irrisori necessari alla sua preparazione; in realtà, quando non si sa cosa cucinare o si organizza una serata senza troppe pretese con qualche amico, la pasta rappresenta sempre la soluzione più gettonata. Tra quelle presenti in commercio ho una particolare predilezione per la pasta di kamut, per il suo colore giallo, il sapore dolce e leggero e il suo gusto che è più delicato rispetto ai normali elementi integrali. Questo tipo di grano contiene inoltre dal 20% al 40% di proteine in più, rispetto al solito frumento ed è ricco di lipidi e sali minerali come magnesio, zinco e selenio, quest’ultimo conosciuto soprattutto per le preziose proprietà antiossidanti. Pertanto, se ne abbiamo la possibilità, la scelgiamo sempre anche perché è sempre perfetta per abbinamenti con sughi saporiti e decisi o con quelli più delicati. La mozzarella di bufala rappresenta un’altra golosità alla quale difÀcilmente rinuncio, anche se, a onor del vero, ho appurato che il mio è un parere diffuso, considerato che una volta messa in tavola, non ne avanza mai. Formaggio sano e bilanciato dal sapore inconfondibile, la mozzarella di bufala è un alimen-

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to ricco di proteine, calcio e sali minerali che va mantenuta rigorosamente in frigo, immersa nel suo liquido Àno al momento di mangiarla; se la si consuma cruda, per gustarla meglio, la si può immergere in acqua calda (35-40°) per circa cinque minuti. Se invece la utilizziamo per preparare dei piatti, come nel nostro caso, è bene ricordare che sarebbe opportuno toglierla dalla sua acqua di conservazione e rimessa in frigorifero per qualche ora, afÀnché possa separarsi dall’acqua in eccesso, guadagnando così la giusta consistenza. Sono piccoli accorgimenti non certo indispensabili, ma che fanno la differenza; provate e poi mi darete ragione. Non mi resta che auguravi buon appetito.


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