INNER | Gigi Rigamonti
INNER | Gigi Rigamonti a cura di Bianca Laura Petretto
INNER | Gigi Rigamonti a cura di Bianca Laura Petretto Progetto grafico Sofia Arango Comunicazione Roberto Petretto Ufficio Stampa Carlotta Cassani Commercializzazione Lorenzo Cardelli Coordinamento accademico Jaime Arango Correa
B&BArt Museo di arte contemporanea Sardegna Italia La Rosa Manichini Milano Copy 2015 Ainas . Monografia 1 rivista iscritta al n. 31/01 del Registro della Stampa del Tribunale di Cagliari Editore Bianca Laura Petretto Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro, senza l’autorizzazione dei proprietari dei diritti e dell’editore.
Sommario 10 Introduzione di Arturo Schwarz Gigi Rigamonti, quando la semantica diventa arte 14 Gigi Rigamonti e le astrazioni emotive Bianca Laura Petretto 18 3001 | 1003 38 Gigi Rigamonti 40 Opere
INNER | Gigi Rigamonti a cura di Bianca Laura Petretto
AINAS 2015
Introduzione di Arturo Schwarz
Gigi Rigamonti, quando la semantica diventa arte
Si è detto che ogni opera d’arte ha un carattere autobiografico. In qualche modo – più o meno palese – l’opera riflette la personalità del suo creatore. Condivido tale opinione. Penso, anzi, che raramente mi sia trovato davanti a un lavoro, frutto di una autentica e quindi profonda pulsione artistica, che non confermi tale assioma. Può un dipinto essere il riflesso speculare – Duchamp l’avrebbe definito un renvoi miroirique – non solo della persona ma persino del cognome che porta? E quanto ingegno sia necessario, per trasformare un nome in un opera d’arte? Quali segrete virtù alchemiche sono concorse per riconoscere nel cognome Rigamonti un inseparabile coniunctio oppositorum di due realtà lontane e allo stesso momento inseparabilmente vicine? Quale geometria non euclidea per capire che la riga – solidamente assisa su una logica rigidamente terrena – necessita, per essere tale, del monte: suo riflesso celeste pregno d’una metamorfica aspirazione interiore? Due elementi, tanto conflittuali da generare mondi dove Alice avrebbe potuto vivere serena nella sapienza che la riga e il monte sono parte l’una dell’altro, anzi, sono fatti l’una per l’altro. La riga e il monte conquistano la loro pienezza solo insieme, non potendo verificarsi l’una senza l’altro. La riga – nella sua unidirezionalità ctonia – ha bisogno del monte per affermarsi; come il monte ha bisogno della riga per confermare la sua vocazione uranica. Un ulteriore precisazione, proprio a proposito della polarità Principio femminile ctonio: la riga e del Principio maschile uranico: il monte. Nei lavori di Rigamonti si può discernere la conciliazione di questa dualità archetipica – aspirazione questa che caratterizza il processo d’individuazione junghiano: l’integrazione dell’aspetto duale della propria psiche – anche nel solo monte quando questo appare, 10
come spesso è il caso qui, come una formazione nuvolosa. Infatti, la nuvola è un ammasso armonioso di particelle acquose nell’aria. Il liquido rimanda al principio ctonio femminile mentre l’aria nella quale sono sospese, al principio uranico maschile. L’esito della coniunctio oppositorum è il filius philosophorum: l’Androgino o l’Antropos primordiale che, nell’opera di Rigamonti trova la sua espressione metaforica in questo corpo celeste. In altre parole la nuvola diventa qui l’immagine dell’essere – rappresentato pure dalla terra – conscio della natura androgina della propria personalità. Nelle sue sculture vige la stessa duplice valenza. Esse si rifiutano di entrare nella logica cartesiana di una forma ben definita: non sono tributarie del cerchio o dell’angolo retto. Le sue opere tridimensionali sono poliedriche: espressione di una libera conciliazione del rigore geometrico e della libertà creativa. Gigi Rigamonti possiede la necessaria carica di humour per riconoscere, nel proprio cognome, la condizione esistenziale che lo definisce senza scampo – sempre preda del dialogo tra concretezza e aspirazione. Qui, come raramente altrove, egli dimostra che lo humour è di natura tragica, segna un momento d’indipendenza assoluta della poesia, è anzitutto una rivolta dello spirito e dell’inconscio contro i condizionamenti della società e della vita. Lo humour – e questi suoi lavori ne sono la magistrale verifica – possiede una valenza inesauribile di sfida e provocazione. Lo humour è un fattore di opposizione magistralmente sovversivo in quanto consacra il trionfo del principio del piacere sul principio di realtà. Piacere che implica una libertà creativa e un rifiuto di ogni facile scorciatoia mimetica, di ogni condizionamento, per preferire la gioia di un esigente estetica libertaria. Arturo Schwarz 11
Gigi Rigamonti e le astrazioni emotive I grandi esploratori trasmettono l’idea del viaggio come uno strumento per allargare e nutrire il mondo interiore che esprime la visione del mondo esterno. Il viaggiatore italiano Fosco Maraini aveva immaginato la presenza sulla terra del Citluvit, il Cittadino. Luna. Visita. Istruzione. Terra. Un essere di un lontano mondo civile al quale viene assegnata la missione Terra con poche istruzioni: farsi un’idea della vita quotidiana e della condizione umana, osservare silenziosamente e registrare con i mezzi che ha a disposizione. Gigi Rigamonti potrebbe essere Citluvit, si aggira per il suo studio silenziosamente, usa le mani e tutto il corpo per registrare nelle grandi tele ciò che durante la giornata lo ha colpito, coinvolto, appassionato, ma evita il rischio più grande, quello di identificarsi. I suoi movimenti sono decisi, i capelli bianchi di seta, gli occhi di cristallo, penetranti, nascosti da oscure lenti circolari, con naturalezza si muove tra i colori, le grandi tele dipinte che custodiscono un linguaggio in codice. Guarda gli eventi del pianeta a volte divertito come un esploratore innamorato, a volte con feroce lucidità. Durante il giorno vengo colpito da molte cose - spiega Gigi Rigamonti - e alla sera, quando torno a casa, cerco di esprimere la mia giornata. La pittura permette di chiarire i miei concetti. Parlo di me. Stupid word è il titolo di una serie di pitture astratte, da lì guardo il mondo, cioè noi e quanto siamo stupidi. Gigi Rigamonti è un geniale artista che coniuga le sue innate doti di capitano d’industria con quelle di creativo che spazia nei molteplici campi dell’arte: fotografia, scultura, socialità, pittura, mixed media, viaggiando tra i continenti e vivendo tra la casa di San Pantaleo, in Sardegna, Milano, la Svizzera e New York. In questi luoghi recupera i suoi appunti di viaggio, riflette e crea. Preso da stupore, capace di sorprendersi, non a caso chiama le sue tele stupid…per la sua ingenuità nell’avvicinarsi alla stupidità del mondo. Stupid word, una registrazione attenta, sanguinante, insopportabile per il torpore, l’ottundimento dei sensi e dell’intelletto, per la condizione di incapacità e insensibilità del mondo. 14
Questa opera- racconta l’artista- parla di trentasei persone giovani che si sono uccise per prendere soldi falsi lanciati da un palazzo. Questo fatto è accaduto in Ucraina. Sono notizie che passano inosservate, come la guerra in Ucraina, dove seimila civili sono morti, un milione e mezzo di persone sono sfollate, i cristiani uccidono i cristiani e per cosa? La gente non lo sa. La frammentazione è sempre più evidente, la pace è una parola vuota, come l’amore. Non esiste il senso della collettività, ci si dovrebbe aiutare reciprocamente, mentre oggi si vive da soli. Gigi Rigamonti dipinge per provarci, per metterci le sue cose, per lui un pezzettino di azzurro è una traccia di speranza, un messaggio dentro la bottiglia di vetro affidata al mare. Conferisce un significato simbolico ai colori. Il rosso, perché ogni giorno c’è tanto sangue. Spazi di colore per dire le cose di un mondo di pecore che portano fiori dove la gente muore. In Gigi Rigamonti che negli anni ‘80 ha partecipato al movimento Patafisico, affiora l’idea di verità che è, come affermava Enrico Bai, la più immaginaria tra tutte le soluzioni. La visione dell’arte contemporanea per l’artista è “domani”, così come gli artisti sono “gente che fa cose”; per esempio, i cristiani che hanno realizzato le catacombe. L’arte non è istituzione, non è ufficiale. L’arte della gente comune che scrive sui muri non trova alcuna relazione con l’arte legata alla finanza che controlla il prodotto. Per l’artista non esiste una definizione di arte, ma l’arte nasce dalle mani, dalla testa. Parafrasando Cartier Bresson, spiega che si crea un congiungimento tra testa, cuore e stomaco. Una visione viscerale dove Gigi Rigamonti sostituisce gli occhi di Bresson con lo stomaco e per questo l’arte la fa per se stesso, è il suo momento di equilibrio. L’opera d’arte quando è rivolta a tutti deve essere collettiva e si realizzare in un grande concerto rock, si tratta di una immaginaria verità. Un’arte alchemica quella di Gigi Rigamonti, dove si accostano elementi insoliti che portano a una realtà originale. Dipinge senza mischiare i colori, ma acquista acrilici già composti per poi tessere cromatismi. Come la fabbricazione di una pietra filosofale, scopo dell’alchimia, invano cercata, dalle possibili 15
proprietà di trasformare i metalli vili in oro. Ma l’opus magnum non è opera materiale, percorre il simbolismo alchemico e come cita Arturo Schwarz, l’alchimia, pone al centro due elementi identici presenti nel surrealismo: la conoscenza del sé e il riconoscimento del valore trascendentale del femminile. Vi è in Rigamonti la tenace sperimentazione del superamento dell’incompletezza, nel segnare forme maschili e femminili, nell’evocare la Torah, il racconto della creazione dell’uomo che nasce dal mare e percorre un’evoluzione darwiniana per esplorare la verità umana. L’artista definisce la sua pittura astrazione emotiva, è convinto che l’astratto possa dare emozioni, che crei un filo diretto con l’altro. La gente, di fronte a una sua opera, si sente bene e comprende, gioca. Da buon giocatore di tennis parla del gioco psicologico, come il gatto con il topo e che bisogna essere molto intelligenti per giocare con le persone. Dialogare vuol dire giocare e - afferma - è più difficile che mettersi in gioco. Le persone sono permalose, restie, incapaci di giocare e quindi di dialogare. I bambini sono molto materici e giocano senza esclusione di colpi, sono feroci e amabili, vivi e comunicano. Per questo mi piacciono. Gigi Rigamonti prende una tela quadrata e un pennello largo. Traccia una strisci di colore e la tela fa rumore. Ha usato il rosso e il blu e dice: I colori li so fare…ma non mi piace mischiare. Poi parla di Sana’a, la capitale dello Yemen, uno dei più affascinanti e sconosciuti paesi al mondo, con le sue case a torre ocra decorate con il gesso, i minareti, il souk, l’arabia felix della regina di Saba, con cinquecento grattacieli di terra cruda, un popolo gentile, fiero, che vorrebbe conoscere, ma che non vedrà, distrutto dalla guerra civile.
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Ho ordinato i marroni perché Sana’a è fatta di terra. Nella mia testa ho pensato al marrone, al rosso e al bianco e mentre dice questo dipinge una striscia marrone, poi spande il bianco con larghe taches, quindi il rosso vermiglio in alto e il nero in un angolo. Guarda l’opera e dice: sono pronto per il marrone. La terra dell’artista è come il detto di Basilio Valentino “Visita interiora terra”, indica l’individuo corporeo che attraverso il processo alchemico, come se fosse una parte della natura, una zolla o una pianta, cerca e vive questa realtà per un cambiamento spirituale. Per questo, le linee, le fasce di colore tracciate da Gigi Rigamonti rispondono alla religo che nella sua accezione significa legare, cingere, ma anche sciogliere, slegare. Il suo processo è pataatap, tutto il contrario di tutto. L’artista non risponde al potere, all’autorità, all’ufficialità, ma è se stesso. La pietra filosofale il Citluvit l’ha incontrata e si chiama conoscenza, la stessa che l’artista persegue con rigore, con passione, con amore. Sana’a è il luogo che vorrebbe raggiungere, ma non accadrà mai. Come diceva Pierpaolo Pasolini: il più bel paese del mondo, lo stile yemenita, un enigma parzialmente risolto o di cui solo pochi sanno, se c’è la soluzione. Lo stile Rigamonti è originale, sempre in viaggio e il segreto sta negli occhi di un bambino che gioca. L’arte è la sua pietra filosofale, il colore è la sua sensibilità, l’azione è la sua intelligenza. Quel che rimane è la traccia dell’artista e il fluire dell’uomo. Gigi Rigamonti è pronto per il marrone perché si ottiene mischiando tutti i colori. Come artista è capace di essere ingenuo e come uomo osserva, stupito, quanto cerca di non essere ingenuo. Di lui rimane l’orma sulla terra e il privilegio di averlo incontrato. Bianca Laura Petretto 17
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Gigi Rigamonti Nasce a Desio (Milano) nel 1949. Studia al Royal College of Arts di Londra, frequenta la facoltà di economia a Pavia e la facoltà di filosofia alla Statale di Milano. L’approfondimento delle diverse discipline gli consente di spaziare tra i molteplici campi dell’arte: fotografia, scultura, socialità, pittura e mixed media. Dal 1972 al 1982 è fotografo reporter professionista, contemporaneamente sviluppa la vocazione alla scultura e nel 1987 espone al Dalmy’s, a Montreal. Nel 1983 partecipa alla mostra sulla patafisica, curata da Enrico Baj a Palazzo Reale di Milano; nel 1989 realizza opere per la mostra di Gianni Versace Un abito per pensare, al Castello Sforzesco di Milano. Nel 1992 espone alla Golden Gallery di Tokyo e nel 2002 partecipa, con una personale, alla prima edizione di Miami Basel. Lo stesso anno fonda Artandgallery, un ex teatro d’opera nel quartiere Isola di Milano trasformato in uno spazio multidisciplinare. Da quel momento concepisce la sua opera come un organismo in continua espansione, che origina dalla pittura e si estende alla socialità. Nei primi anni Duemila aprirà Spazio Anfossi a Milano, e 1902 un anomalo ristorante/trattoria, con atmosfere alla Simenon, a Palazzolo Milanese. Il luogo è contenitore di eventi poetici, musicali, teatrali. Nel 2003 inaugura Danza, un’istallazione per la nave da crociera Costa Mediterranea, nel 2005 espone Le Cirque all’Art Center Xingfucun e nel 2006 partecipa a Pagine d’artista allo Spazio Anfossi. A Shanghai, nel 2007, realizza il progetto Plastica del desiderio, un’installazione di grandi dimensioni a Times Square, in collaborazione con la Camera di Commercio italiana in Cina. La collaborazione con Times Square si ripropone nuovamente nei due anni successivi con due diverse installazioni Il Circo e Il Tango. Nel 2009 inaugura la personale Cross Stories a Milano presso Artandgallery. Nel 2010 presenta 400 opere inedite presso Times Square a Shanghai. Nel giugno 2013 inaugura la personale Quando la semantica diventa arte a cura di Arturo Schwarz nell’Antico Oratorio della Passione Basilica di Sant’Ambrogio, Galleria Jean Blanchaert. Nel maggio 2014 presenta The Way Out, l’invisibile nella societa dell’immagine a cura di Manuela Gandini, Galleria Civica a Campione, Italia. Nel maggio 2014 partecipa all’Asta di Arte Contemporanea promossa da Sotheby’s con un opera del 2011. 38
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Opere blood,maybe 67 x 100 cm p. 19
triangoli 45 x 45 cm p. 24
flowers 45 x 45 cm p. 29
blue clouds 80 x 120 cm p. 34
burned 80 x 120 cm p. 20
poetry no.33 18 x 24 cm p. 25
yellow line 18 x 24 cm p. 30
before the storm 100 x 150 cm p. 35
away 80 x 120 cm p. 21
The sitting figure 45 x 45 cm p. 26
red line 18 x 24 cm p. 31
red mask 18 x 24 cm p. 36
triptisch 45 x 135 cm p. 22
millepiedi 45 x 45 cm p. 27
white line 45 x 45 cm p. 32
3 white legs 18 x 24 cm p. 37
divisioni 45 x 45 cm p. 23
yellow triangle 18 x 24 cm p. 28
Blue mask 18 x 24 cm p. 33
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Finito di stampare il 5 luglio 2015 - New Center Copy . Cagliari www.bbartcontemporanea.com 41
B&BArt Museo di Arte Contemporanea