DeVinis n. 81 Maggio-Giugno 2008

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Anno XV - n. 81 - € 3,50 - Poste Italiane s.p.a. Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 - n. 46) art. 1, DCB Milano

DEVinis LA COMPETENZA, LA PROFESSIONALITÀ, LA CULTURA, IL PIACERE, I PROTAGONISTI DEL BERE BENE

Maggio / Giugno 2008

PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z www.sommelier.it - ais@sommeliersonline.it



Editoriale

Una

bomba ad orologeria di Terenzio Medri ino adulterato, due parole che non vorremmo mai sentire pronunciare. Quante volte, nel corso delle ultime settimane, abbiamo invece letto articoli o seguito servizi televisivi che parlavano delle inchieste avviate dalla magistratura o del susseguirsi di notizie sulle sofisticazioni in alcune aziende italiane. Una premessa: per essere colpevoli occorre venire condannati. L’Italia dovrebbe essere il Paese in cui è in vigore la presunzione d’innocenza. In alcuni casi subentra però una sorta di tam-tam che trasforma la presunzione di innocenza in presunzione di colpevolezza. Nessuna sentenza era ancora stata emessa, ma il verdetto era già pronto, incontrovertibile. A fine aprile il Tribunale del Riesame di Verona ha smontato il castello di accuse con un giudizio che appare tombale: “insufficienti indizi di reato”. Altro che truffa, niente sostanze tossiche nessuna adulterazione. E come la mettiamo con i pericoli per la salute ipotizzati dal pm che aveva messo sotto sequestro la Vmc e la Enoagri di Massafra in Puglia e la Vinicola Santa Croce in Veneto? Un errore. Così ora i legali delle aziende citate dal settimanale vogliono chiedere i danni provocati alla loro attività. Non ci è piaciuta la bomba ad orologeria fatta deflagrare in occasione del Vinitaly. Agire così significa danneggiare il settore. Diciamo questo partendo dalla battaglia che l’Ais, anche dalle pagine di questa rivista (basta rileggersi i numeri arretrati), sta combattendo contro le contraffazioni, le adulterazioni e tutti gli imbrogli che vanno a discapito dei nostri prodotti enologici e agroalimentari. C’è stata una cattiva informazione che ha fatto di tutta l’erba un fascio: si sono mischiate due indagini. La prima su un numero esiguo di produttori di Brunello, che secondo le accuse non seguirebbero alla lettera il disciplinare; la seconda che riguarda alcune aziende che avrebbero prodotto, secondo l’accusa poi ritenuta insufficiente, un vino da tavola quasi senza utilizzare l’uva. Il risultato è quello di avere rovinato l’immagine e il buon nome di tutto il vino italiano e di migliaia di produttori. Il messaggio “urbi et orbi” è stato questo: il vino italiano è farlocco e gli italiani sono i soliti furbacchioni. Attenzione, non intendiamo dire insabbiate tutto perché ci sono di mezzo gli affari. Vogliamo solo che la giustizia faccia il suo corso senza essere “adulterata” mediaticamente.

V

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AIS Associazione Italiana Sommeliers Presidente | Terenzio Medri Vicepresidenti | Antonello Maietta, Rossella Romani Membri della Giunta Esecutiva Nazionale | Terenzio Medri, Antonello Maietta, Roberto Gardini, Lorenzo Giuliani, Vincenzo Ricciardi, Catia Soardi, Rossella Romani, Marco Aldegheri, Roberto Bellini.

La competenza, la professionalità, la cultura, il piacere, i protagonisti del bere bene. Anno XV maggio-giugno 2008 Associazione Italiana Sommeliers Editore Direttore editoriale e responsabile | Terenzio Medri, terenzio.medri@sommeliersonline.it Coordinamento redazionale | Francesca Cantiani, francesca.cantiani@sommeliersonline.it Grafica e impaginazione | Media 95, grafica@sommeliersonline.it Per la pubblicità | Antonio Silvestre, antonio.silvestre@sommeliersonline.it - tel. +39 335/7119033 Traffico pubblicità | Emanuele Lavizzari, emanuele@sommeliersonline.it - tel. +39 02/2846237 Redazione | Associazione Italiana Sommeliers Viale Monza 9 - 20125 Milano Tel. +39 02/2846237 - Fax +39 02/26112328 - devinis@sommeliersonline.it Segreteria di redazione | Emanuele Lavizzari, emanuele@sommeliersonline.it Hanno collaborato | Luisa Barbieri, Roberto Bellini, Carlo Cambi, Francesca Cantiani, Luigi Caricato, Roberto Castaldi, Roberto Di Sanzo, Giuseppe Ferrario, Alessandro Franceschini, Natalia Franchi, Salvatore Giannella, Emanuele Lavizzari, Maurizio Maestrelli, Letizia Magnani, Antonello Maietta, Angelo Matteucci, Davide Oltolini, Morello Pecchioli, Manuela Piancastelli, Cesare Pillon, Paolo Pirovano, Camillo Privitera, Stefano Tura, Daniele Urso, Franco Ziliani. Fotografie | Archivio AIS, Tommaso Bruccoleri, Maurizio Maestrelli, Angelo Matteucci Per l’articolo a firma Morello Pecchioli la foto a Flavio Tosi, sindaco di Verona, è di Davide Ortombina Per l’intervista a Leonardo da Vinci di Salvatore Giannella si ringrazia Alessandro Vezzosi per la gentile concessione delle immagini Per l’articolo a firma Roberto Di Sanzo le foto di Numana sono di Sergio Cremonesi, www.turismonumana.it Per l’articolo “I campioni di Chatillon” Foto Publimax Reg.Tribunale Milano n.678 del 30/11/2001 Associato USPI Abbonamento annuo a 6 numeri | ITALIA 20,00 euro ESTERO 35,00 euro Da effettuarsi mediante versamento o bonifico su c/c postale 000058623208 Banco Posta ABI 07601 CAB 01600 CIN K intestato a: Associazione Italiana Sommeliers Viale Monza 9, 20125 Milano Tramite Bonifico Bancario: Banca Intesa, Via Costa 1/A, Milano c/c 625008307992 ABI 03069 CAB 09442 CIN H IBAN IT26H0306909442625008307992 - specificando il motivo del versamento. Chiuso in redazione il 30-04-2008 Stampa | Grafiche Parole Nuove Srl - Brugherio Milano Copie di questo numero | 40.000

AIS 2008

Rinnovo quota associativa E’ possibile rinnovare l’iscrizione nei seguenti modi: Internet basta collegarsi al sito www.sommelier.it, cliccare su “Rinnovi Online” e seguire le istruzioni per effettuare il pagamento tramite Carta di Credito (escluso Diners Card).

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La quota associativa è di 80 euro e comprende l’abbonamento annuo alla rivista ufficiale AIS e la Guida Duemilavini edizione 2009.


Sommario

Maggio/Giugno 2008

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Concorso mondiale: appuntamento a Roma

LA WSA

12

ELEGGE IL MIGLIOR SOMMELIER DEL PIANETA

La morale di Leonardo

INTERVISTA

20 24

40

A

DONATO LANATI

Degustazioni: Rosso di Montalcino 2006

VINO DA SCOPRIRE

44

La bandiera della Scozia

WHISKY:

36 56 60 64 72 74 76 96 98

RECORD DI PUBBLICO

Contraffazioni: è un problema etico

INTERVISTA

All’interno

CENACOLO

La vendetta del Vinitaly

A VERONA

UN

IMPOSSIBILE ALL’AUTORE DEL

IN PASSATO SI BEVEVA A COLAZIONE

Le radici del Sud Mete del gusto

BILANCIO

CONERO,

Saranno Famosi

L’EXTRA-VERGINE

Birra

UN

LA CANTINA

A CATANIA

DAL

15

IL

SCENDE IN PIAZZA

LUNGO CAMMINO DEL RHUM AGRICOLE

Sullo scaffale In non ci sto!

LE

IL

“DER

AL

VICHINGO IN TERRA D’ABRUZZO

Distillati

2008

DI

CASERTA

LA FINESTRA SULL’ADRIATICO

A RIOMAGGIORE

Congresso Nazionale Olio

POSITIVO PER L’EDIZIONE

NOVITÀ EDITORIALI

VINO È CULTURA, NON GOSSIP!

19

VIN BUN”

OTTOBRE LA

42.MA

ASSISE DELL’AIS


Mondiale Wsa

Emanuele Lavizzari

Mondiale sommelier: appuntamento a IL 24

MAGGIO

LA FINALE PER INCORONARE

IL CAMPIONE IRIDATO.

NELLA

CAPITALE

SI CONFRONTERANNO I SOMMELIERS PIÙ QUOTATI A LIVELLO MONDIALE

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Roma

migliori sommeliers del pianeta si danno appuntamento nella Caput Mundi. Il 24 maggio presso l’hotel Rome Cavalieri Hilton scendono in pista i vertici della sommellerie mondiale per stabilire chi tra loro sia il numero uno. Dopo il titolo europeo assegnato nel gennaio scorso a Londra, ecco un’altra competizione da non perdere. Alla griglia di partenza saranno presenti tutti i big del settore. A partire da Roger Viusà Barbarà, fresco Campione d’Europa. È lui che in Inghilterra si è imposto impressionando tutti per dialettica, scioltezza e preparazione. Il catalano rappresenta sicuramente l’uomo da battere perché i favori del pronostico sono tutti dalla sua parte. Il nostro Paese sarà rappresentato da Luca Gardini. A lui è affidata la responsabilità di portare in alto i colori italiani e siamo certi che il giovane sommelier romagnolo abbia tutte le carte in regola per giocarsi il gradino più alto del podio. Gli altri concorrenti che animeranno la competizione provengono dai Paesi già entrati nella WSA, ma ne vedremo anche di nuovi. Il campionato vuole essere infatti motivo di allargamento verso altre associazioni che al momento non fanno ancora ufficialmente parte della Worldwide Sommeliers Association, ma che hanno già espresso l’intenzione di unirsi e di organizzare corsi e attività all’interno dei propri confini. Al concorso saranno presenti i rappresentanti di Spagna, Italia, Inghilterra e Stati Uniti, tutti membri Wsa, a cui si aggiungeranno Portogallo, Repubblica Ceca, Andorra e Corea del Sud. I candidati provengono da rigorose selezioni nazionali e per questo i contenuti tecnici della gara saranno elevatissimi. Ma andiamo a scoprire in dettaglio il profilo dei partecipanti.

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MIGLIOR SOMMELIER DEL MONDO PROGRAMMA L’evento si svolgerà alla presenza di personaggi della cultura, della stampa e delle televisioni provenienti da ogni parte del Mondo. Ingresso in Teatro per le Finali del Concorso dalle 15,30 alle 16,00. Nella stessa sala al termine delle prove dei Sommelier e fino alle ore 21,00 avremo l’occasione di partecipare ad una grande degustazione con oltre 40 etichette di grandi vini in rappresentanza di tutte le zone vinicole del Mondo.

PER ESSERCI - Ingresso 30 Euro Resta all’ospite il bicchiere da degustazione Prenotazione obbligatoria fino al raggiungimento dei posti disponibili presso le Sedi WSA Italia: Roma 06/8550941 - Milano 02/2846237 Dalle 20.30 cena di Gala per la proclamazione del Miglior Sommelier nel Mondo, titolo che il vincitore porterà con sé fino al 2010, anno in cui si svolgeranno i prossimi Campionati con la scelta della Spagna quale Nazione ospitante. Durante la cena sarà attribuito anche il titolo del Miglior Sommelier Comunicatore del Vino e del Cibo nel Mondo. PER PARTECIPARE ALLA CENA DI GALA - Costo 200 Euro Il contributo per la partecipazione deve essere versato all’atto della prenotazione a mezzo bonifico bancario presso: Banca Popolare dell’Emilia Romagna - Succursale C Roma - AIS ROMA - Codice Iban IT58N0538703203000001501258 Tutti i pagamenti debbono essere effettuati previo accertamento della disponibilità dei posti.

LE PROVE FINALI Alla finalissima di sabato 24 maggio, aperta al pubblico, accederanno tre sommeliers, coloro che avranno ottenuto il miglior punteggio nelle semifinali che si svolgeranno il giorno precedente: un questionario, una degustazione alla cieca e relativa descrizione tecnica e organolettica di due vini selezionati, una richiesta di abbinamento cibo-vino e una prova pratica di servizio saranno le fatiche che selezioneranno i tre finalisti. La prova finale si svolgerà in due parti. 1) Degustazione e correzione di una carta dei vini Analisi organolettica di 2 prodotti e loro relativa presentazione al pubblico secondo i principi stabiliti in materia di degustazione organolettica. Riconoscimento di 5 prodotti. Il Comitato Tecnico sceglierà in segreto i 7 prodotti in esame. Per ogni prova la Giuria elaborerà una scheda tecnica in sintonia con le griglie di valutazione preparate. Correzione della carta dei vini. I candidati dovranno evidenziare gli errori riscontrati nella carta dei vini sottoposta alla loro attenzione (3 minuti). 2) Prova di servizio Servizio dell'aperitivo, in accordo con i commensali. Abbinamento cibo-vino. A ogni candidato sarà assegnato un tavolo con almeno due commensali, il servizio dovrà essere eseguito in francese o in inglese; il candidato dovrà consigliare i vini più adatti al menu di cucina internazionale (che sarà presentato dallo chef cinque minuti prima della prova), motivando le proprie scelte. Il menu per questa prova sarà stabilito dal Comitato Tecnico e redatto in francese e in inglese. Prova tecnica di servizio. Durante questa prova, la Giuria sarà chiamata a valutare la presentazione e lo stile del finalista (tenuta, espressione, descrizione, abilità nel servizio ecc.), in accordo con i criteri internazionali adottati dal Comitato Tecnico. Per la prova di servizio, il menu dei commensali sarà prestabilito dal Comitato Tecnico; i commensali parteciperanno alla competizione sotto la responsabilità dell'Associazione nazionale incaricata dell'organizzazione del Concorso, in accordo con le direttive del Comitato Tecnico. L'Associazione nazionale del Paese organizzatore sarà responsabile dell'insieme delle procedure della prova di servizio, così come dell'organizzazione delle differenti prove, sotto la supervisione del Comitato Tecnico. I risultati delle varie prove saranno consegnati in busta sigillata al Direttore del Comitato Tecnico. Il Direttore Tecnico potrà convocare tutte le riunioni che riterrà necessarie per il regolare svolgimento del Concorso. Sigari: conoscenza teorica e accensione pratica di un sigaro. 7


Mondiale Wsa

Emanuele Lavizzari

Il presidente della WSA, Terenzio Medri, con i due vicepresidenti, Andrew Bell e Juan Muñoz

GABRIELE RAPPO – Inghilterra Di evidenti origini italiane, il candidato britannico lavora attualmente per The Wonder Bar della famosa catena di grandi magazzini inglesi Selfridges. Ormai da diversi anni oltre Manica, è stato eletto lo scorso anno miglior sommelier VIWA (Viva Italia Wine Award). Prima di trasferirsi a Londra è stato insegnante di “Tecniche di servizio del vino” presso l’Università di Camerino e si è imposto come Miglior Sommelier della Regione Marche. Al recente Concorso londinese per il Miglior Sommelier d’Europa si è classificato al terzo posto dopo una finale che l’ha visto tra i protagonisti.

ALDO SOHM – USA È il rappresentante della bandiera a stelle e strisce, ma il suo passaporto è austriaco. La sua formazione e le sue esperienze lavorative fanno riferimento infatti all’Austria, dove ha vissuto fino a qualche anno fa prima di trasferirsi negli Stati Uniti. Attualmente è Wine Director presso Le Bernardin di New York. È stato per ben quattro volte Miglior Sommelier d’Austria, Miglior Sommelier di New York due anni fa e Miglior Sommelier d’America nella passata stagione. Oltre al tedesco, la sua lingua madre, e all’inglese, parla correntemente in francese, italiano e arabo.

MANUEL JOAQUIM DUARTE MOREIRA – Portogallo Il Portogallo si presenta con il suo miglior sommelier, vincitore di ben quattro titoli nazionali negli ultimi sei anni. Una consolidata formazione attraverso corsi di specializzazione oltre che alla pratica sul campo lo hanno reso uno dei migliori relatori in lingua portoghese, attività che continua a svolgere con passione. Esperto professionista, ha lavorato presso i più importanti ristoranti lusitani e ha fatto parte della giuria di parecchi concorsi nazionali e internazionali. È stato premiato come Miglior Sommelier dell’Anno 2003 dalla Revista de Vinhos (pubblicazione di settore portoghese) e come Miglior Sommelier del 2005 dalla International Gastronomic Academy.

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ROGER VIUSÀ BARBARÀ – Spagna È il Miglior Sommelier d’Europa e con questo abbiamo già detto abbastanza. Catalano, si è formato presso l’Escola d’Hosteleria y Restauración di Girona Sant Narcís e presso la locale scuola di lingue. Ha affrontato i corsi di sommelier nel Centro di Studi Turistici di Barcellona e successivamente ha frequentato il Master in Viticoltura, Enologia e Marketing del Vino a Espiells. A 17 anni nella sua città natale, Roses, ha iniziato a lavorare in hotel come assistente alla reception e proprio nell’ambito alberghiero ha maturato con il tempo la sua passione per il vino. Attualmente ricopre il ruolo di capo dei sommeliers presso il Ristorante Moo dell’Hotel Omm a Barcellona. Nel suo curriculum sono riportate esperienze internazionali di assoluto valore: ha lavorato al Don Pepe’s Restaurant di Londra, presso The Hanged Man in Irlanda, all’Hotel Mercure di Andorra e all’Hotel Royal Crown Grande Mercure in Belgio. Quanto a titoli vinti in concorsi vanta un palmarès a dir poco invidiabile: campione di Catalogna e secondo classificato ai nazionali nel 2004; secondo in Catalogna nel 2005; titolo catalano nel 2006 e campione di Spagna nel 2007.

LUCA GARDINI – Italia Originario di Ravenna, si forma presso l’Istituto Tecnico Agrario Luigi Perdisia. Diventa Sommelier Professionista poco più che ventenne dopo anni di gavetta tra hotel e ristoranti della Romagna. Tra le sue esperienze professionali non si può non ricordare quella come chef sommelier presso l’Enoteca Pinchiorri, il famoso Tre Stelle Michelin in pieno centro storico a Firenze. Attualmente ricopre lo stesso ruolo al Cracco Peck di Milano. È difficile tenere il conto dei concorsi in cui si è imposto: Nebbiolo 2003, titolo regionale e Master San Giovese nello stesso anno, Miglior Sommelier d’Italia 2004 e Premio alla Carriera Ais 2005.

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Mondiale Wsa

Emanuele Lavizzari

MILAN KREJCI – Repubblica Ceca Uno tra i migliori sommelier dell’Europa orientale, si è formato nei principali hotel e ristoranti di Praga. Vanta numerose affermazioni in concorsi nazionali con tre vittorie nelle principali competizioni ceche nel corso dell’ultimo anno. Attualmente è il numero uno dei sommelier dell’azienda Merlot d´Or, importatrice di vini francesi in Repubblica Ceca. Ha lavorato per un anno anche negli Stati Uniti, dove ha imparato l’inglese, idioma che conosce fluentemente oltre al ceco, naturalmente, e al russo.

THIERRY MICHEL ROMANO – Andorra Il rappresentante del Principato che si estende sui Pirenei è di origine francese, di Saint-Raphaël per l’esattezza, cittadina della Costa Azzurra. Prima di stabilirsi ad Andorra ha lavorato in giro per l’Europa partendo dalla Germania, per poi passare alla Riviera Ligure di Ponente fino a Ibiza. Queste sue esperienze internazionali, tutte nell’ambito della ristorazione e della sommellerie, l’hanno reso uno straordinario poliglotta: francese, inglese, tedesco, italiano, catalano e spagnolo sono le lingue che parla fluentemente. E per un sommelier è di certo un invidiabile biglietto da visita. Dei Paesi in cui ha lavorato conosce le varietà di vitigni, le regioni, i produttori e tutti i segreti del mestiere.

BYUNG-KYUN YOO – Corea del Sud L’Oriente si fa avanti con sommeliers di grande formazione e di consolidata esperienza come dimostra la presenza di uno tra i migliori professionisti asiatici. Formato presso il Kyung-Hee Hotel Administration College e l’Università di Cho-Dang è relatore di corsi presso università e istituti professionali coreani. È stato protagonista di svariati concorsi nazionali e membro della giuria di importanti competizioni. Ha partecipato a una serie infinita di corsi di specializzazione relativi al turismo e all’enogastronomia.

ANDREW CONNOR – Nuova Zelanda È capo sommelier al Lanesborough Hotel di Londra, dove da due anni, oltre al servizio in sala, è responsabile dello staff training e dell’acquisto di vini per la prestigiosa struttura alberghiera. Sbarca sulle coste britanniche per la prima volta nel 1998 e da allora inizia la sua lunga formazione nella capitale inglese. Inizia dietro al bancone del bar del Corney & Barrow e successivamente diventa Bar Supervisor. La sua carriera di sommelier parte nel 2000 a Le Pont de la Tour per proseguire al Cecconi’s, alla Butlers Wharf Chophouse e quindi al Bentley Kempinski Hotel. Ha conquistato recentemente il titolo di Miglior Sommelier di Londra 2008.

Oltre a questi candidati si sono aggiunti, mentre andiamo in stampa, altri concorrenti: Ushio Yuniko per il Giappone, Isabelle Le Balpe per la Francia, Gerardo Téllez Zamorano per il Messico e Leandro Emanuel Orona per l’Argentina. 10



Le interviste impossibili

Leonardo da Vinci LEONARDO

DA

VINCI,

INTERVISTATO NELLA NOSTRA RUBRICA, RACCONTA UNA

FAVOLA SCRITTA DA LUI E CONTENUTA NEL

NELLA

CODICE ATLANTICO:

LA MORALE?

VIGNA E IN CANTINA CHI PENSA DI FARE AFFARI PRENDENDO

SCORCIATOIE VA A FINIR MALE!

di Salvatore Giannella evo avvertire che Leonardo da Vinci non concede interviste. Se si è fatto vivo telefonicamente, nell’aprile del 2008, con De Vinis e l’autore di queste Interviste impossibili, favorito dalla mediazione del dinamico direttore del Museo Ideale di Vinci Alessandro Vezzosi, è per un motivo preciso: anche lui è rimasto dolorosamente colpito dalle recenti notizie di stampa riguardanti la scoperta di centinaia di bottiglie di falso Brunello, uno dei vini toscani tra i più celebri d’Italia, e dagli avvisi di garanzia spediti dai magistrati di Siena ad alcune aziende produttrici. La voce di Leonardo giunge limpida, con forte accento toscano mitigato da una leggera venatura francese.

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Leonardo: Sono indignato, furioso. Non si può mettere a rischio il buon nome di generazioni e generazioni di onesti viticoltori miei paesani e anche di un settore strategico dell’economia italiana... per che cosa poi? Leggo che un gruppo di mercanti avrebbe creato un vino diverso, una variante morbida e più dolce, per avvicinarsi ai gusti degli americani. Pensa te...Non si faceva prima a cambiargli il nome? Giannella: Si calmi, messer Leonardo. Intanto aspettiamo che la magistratura faccia il suo lavoro, e speriamo che lo concluda presto per evitare danni ingiusti ai tanti produttori onesti. Intanto le dispiace se le faccio qualche domanda... Leonardo: Purché riguardi gli argo-

menti trattati da De Vinis. Sa, ho rifiutato per secoli interviste generaliste, in un mondo in cui molti sproloquiano, è meglio ricorrere a un dignitoso silenzio. Tanto parlano per me, sui temi più consueti delle scienze e delle arti, le tante carte che ho lasciato. E non provi ad avanzare curiosità sulle questioni private e familiari: quelle lasciamole ai giornali rosa. Giannella: Va bene, messer Leonardo, va bene, si calmi e non riattacchi. Non le parlerò di sua madre e non le chiederò se era o non era una schiava turca. Mi limiterò a interrogarla soltanto su vino e alimentazione. Anche se, le confesso, dei suoi studi su queste specifiche materie so poco.


BIOGRAFIA DI UN GENIO 15 aprile 1452: Leonardo nasce a Vinci, in Toscana, figlio illegittimo del notaio Ser Piero d'Antonio e probabilmente di una schiava orientale: Caterina. Il padre ebbe poi con mogli diverse almeno 16 figli, la madre 5. (Per chi volesse approfondire questi temi, suggeriamo: "La madre di Leonardo era una schiava?" di Francesco Cianchi, e "Per la genealogia di Leonardo", di Elisabetta Ulivi, a cura di Agnese Sabato e Alessandro Vezzosi, Museo Ideale Leonardo Da Vinci, con un’introduzione di Carlo Pedretti). 1457: Leonardo vive con la famiglia paterna tra Vinci e Firenze, dove entrerà nella straordinaria bottega di Andrea Verrocchio, maestro affermato come pittore, scultore e orafo. 1472: risulta iscritto nella Compagnia dei Pittori. 1473: la sua prima opera è un disegno con la veduta della Val di Nievole e del Padule di Fucecchio dal Montalbano sopra Vinci. 1481: gli viene commissionata l'Adorazione dei Magi per la chiesa di S. Donato a Scopeto, fuori Firenze. Il capoluogo toscano gli si rivela troppo ristretto e lui decide di partire.

1482: si presenta a Ludovico Sforza, signore di Milano, descrivendosi come ingegnere civile e militare e scultore per il Monumento Sforza. 1483: inizia uno dei suoi capolavori, la "Vergine delle rocce". 1495: dipinge la pittura murale del Cenacolo in Santa Maria delle Grazie. Vi lavorerà per tre anni. 1499: le truppe del re di Francia Luigi XII invadono Milano. Leonardo fugge a Mantova, a Venezia, e torna a Firenze. 1503: realizza il cartone per la "Battaglia di Anghiari", ma non completa la pittura. Leonardo è ossessionato dalla perfezione e dalla ricerca di nuove tecniche pittoriche. Anche un ritratto di Monna Lisa rimane incompiuto. 1506: è di nuovo a Milano, con i francesi. 1513: si trasferisce a Roma, ospite del fratello di papa Leone X. 1516: Francesco I re di Francia lo invita alla corte di Amboise e lo ospita a Clos Lucé. 1519: il 2 maggio muore. Il suo corpo viene sepolto nella chiesa di Saint Florentin d'Amboise che andrà in rovina.

e il ragno di vino Leonardo: Come? Ma se il "vino eccellente" è stato sempre in cima ai pensieri miei e dei miei paesani vinciaresi! Lungo tutta la mia vita terrena, nei territori ove ho soggiornato, mi ha sempre attratto la cultura ancestrale del vino: Vinci fra Montalbano e Valdarno, Fiesole, Vigevano, Milano...fino ad Amboise, nella Valle della Loira, l’ultima tappa del mio viaggio terreno. Per fortuna ho conservato le carte in archivio. (Si sente un fruscio di pagine, c’è una pausa di qualche secondo, poi la voce riprende). Ecco, guardi qua. Ho trovato una lettera e una fiaba che provano che quanto le sto dicendo è reale. La lettera la spedii da Milano a Zanobi Boni, mio Castaldo, amministratore di terreni. Porta la data del 9 ottobre 1515. Le leggo un brano: "Non furono secondo le mie aspettative le quattro ultime caraffe di vino e ne ho avuto rammarico. Le viti di Fiesole, allevate in modo più attento, dovranno fornire all’Italia nostra dell’ottimo vino, come a Ser Ottaviano". Giannella: Si è limitato solo a tirare le orecchie al suo interlocutore? O, data la sua genialità nei vari campi,

gli ha dato anche dei consigli utili per migliorare? Leonardo: Beh, è sempre stata una mia preoccupazione quella di trasmettere ad altri il sapere delle soluzioni. In natura questo è un meccanismo automatico, i maestri della divulgazione scientifica ci fanno capire quanto può essere importante lo spirito di emulazione negli animali. Un essere vivente scopre una nuova soluzione, gli altri lo copiano. Così va nel mondo degli animali, così avanza la più primitiva evoluzione culturale. Invece vedo che molti italiani, negli ultimi anni, stanno rinunciando, preferendo usare quei meravigliosi mezzi di conoscenza come le televisioni, le radio e i giornali dirottandoli perlopiù su business, vanità e sciagure. Quindi a Zanobi mandai a dire, ecco le cito testualmente, nella lingua toscana originaria del Cinquecento, anche se lei moderno farà un po’ di fatica, ma ne vale la pena mi creda: "Sapete, Zanobi, che dissi etiamdio che sarebbe a cuncimare la corda quando posa in el macigno, con la maceria di calcina di fabriche o muralie demoliti, et questa assiuga la radicha, e lo stelo; e

le folie dall’aria attranno le substantie conveniente alla perfectione del grapolo. Poi pessimamente alli dì nostri facemmo il vino in vasi discuoperti et così per l’aria fuggi l’exentia in el bullimento, et altro non rimane che un umido insipiente culorato dalle buccie et dalla pulpa: indi, non si muta come fare si debbe, di vaso in vaso, et per lo che viene il vino inturbidato et pesante nei visceri. Conciosiacosaché si voi et altri faciesti senno di tale raggioni berremmo vino excellente". Giannella: Sono curioso di sentire la fiaba cui accennava. Sa, sta per arrivarmi un nipotino che porterà il suo nome e mi piacerebbe arricchire il mio parco di favole con una firmata da un genio come lei. Leonardo: Eccola, ha un titolo dall’enigma lieve, Ragno di-vino, la può leggere nel mio Codice Atlantico: "Trovato il ragno un grappolo d’uva, il quale per la sua dolcezza era molto visitato da api e mosche, gli parve di aver trovato un luogo molto comodo per le sue trappole. E calatosi giù per il suo sottile filo ed entrato nella nuova abitazione, assaltava come ladrone i miseri animali, che da lui

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Le interviste impossibili

Codice Arundel 263, foglio 42 v, Profezie e Favole; con quelle del ragno fra l’uva – “fu pesto” – e della vite cresciuta sull’albero vecchio – “ruina… insieme” –

non si guardavano. E passati alquanti giorni, il vendemmiatore colta essa uva e messa con le altre, insieme con quelle il ragno fu pigiato. E così l’uva fu laccio e inganno dell’ingannatore ragno, come delle ingannate mosche". La morale è semplice: attenzione, che chi gabba finisce con l’essere gabbato. Glielo dica a quei pochi che si ostinano a fare i "creativi" del vino. Giannella: Da dove le viene, messer Leonardo, questo amore particolare per il nettare di Bacco? Leonardo: Da mio nonno, Antonio da Vinci. Lui produceva una buona quantità di vino all’anno. Per esempio nel 1451 ne denunciò al catasto 16 barili. Otteneva il tutto dai vigneti nei suoi terreni della Costareccia, a Orbignano, una frazione del comune di Lamporecchio, vicino alla villa dove oggi abita il mio maggiore studioso di questi ultimi tempi, Carlo Pedretti che ha appena festeggiato i 50 anni di matrimonio con Rossana. Ma anche dalle terre di Linari (lungo il torrente Streda, dove oggi si produce un Chianti doc) e in quello adiacente al "fossato" di Vinci che nonno Antonio lavorava di sua mano. Terreni poi ereditati e incrementati da mio padre, Ser Piero, che migliorò di gran lunga la produzione: nel 1498, per citarle un solo eloquente dato, nella portata al catasto dichiara un reddito di 84 barili 14

di vino: un bel balzo avanti rispetto ai 16 di nonno Antonio. Giannella: E lei, messer Leonardo? Ha mai avuto una vigna da coltivare? Leonardo: Certo, sono stato padrone di vigna. Me la regalò Ludovico il Moro. Sedici pertiche presso Porta Vercellina, in Milano. Quando i francesi spodestarono Ludovico e io lasciai la Lombardia, la affittai a Pietro di Giovanni da Oppreno. Ma due anni dopo il re di Francia, Luigi XII, concesse arbitrariamente la mia vigna a Leonino Bilia. Dovettero passare cinque anni prima che io fossi

reintegrato, da Charles d’Amboise, nel possesso del mio podere. Che, per testamento, lasciai diviso in parti uguali tra il mio discepolo Salai e il mio servitore Battista de Vilanis. Giannella: Nelle dieci liste della spesa che gli studiosi le attribuiscono, compare sempre il vino (e quasi sempre la carne, nonostante che le si attribuisca una reputazione di vegetariano). Sono tutte accompagnate da alcune osservazioni "morali", del tipo "Il vino è bono ma l’acqua avanza in tavola". Lei ha vissuto a lungo per la sua epoca, 67 anni portati bene. Può delinearmi le sue norme di vita che le hanno assicurato un lungo benessere? Leonardo: Uffa che noia. Tendete sempre, voi giornalisti moderni, a ridurre tutto in pillole. Comunque mi ci provo. Dunque, se vuoi star sano: 1) non mangiare senza voglia, e cena lieve; 2) mastica bene e quel che in te riceve sia ben cotto e di semplice forma; 3) guardati dall’ira e fuggi l’aria greve; 4) quando da mense ti levi, di mezzogiorno, fa che tu non dorma; 5) il vin sia temprato, poco e spesso. Non fuor di pasto, né a stomaco vuoto; 6) non aspettar, né indugiare il cesso; 7) se fai esercizio, sia di picciol moto; 8) col ventre resupino e col capo depresso non star, e sta’ coperto bene di notte; 9) il capo ti posa, e tien la mente lieta; 10) fuggi lussuria, e


Codice Arundel, 1504 Lista della spesa di un martedì (pane, carne, vino, frutta, minestra, insalata) fra studi sul corso dell’Arno e del Mugnone e appunti di matematica e geometria

attieniti alla dieta. Va bene così? Giannella: Benissimo, anche se il suo decalogo vedrebbe bocciato il mio personale stile di vita. Comunque la ringrazio per lo sforzo di sintesi anche a nome di chi la leggerà. Credo che molti lettori apprezzeranno queste dieci norme molto semplici e attuali. Senta, messer Leonardo, ma è vero quanto scrivono alcuni studiosi: cioè che lei ha avuto sempre un debole per ricette e fornelli? Leonardo: Guardi, ho nutrito sempre un interesse scientifico per le cucine. La mia curiosità studiosa era stata originata da un vero e proprio incubo: quelle montagne informi di carne e polenta che ogni giorno venivano ingurgitate dai commensali rinascimentali. Per un po’ sono stato anche impiegato in una taverna, sa? Si chiamava Tre lumache, al centro di Firenze. E le posso dire che mi resta l’amarezza per il fatto che quei frequentatori di allora non capirono la bontà di una mia invenzione... Giannella: Un’invenzione nella taverna? Oh, questa è bella. Di che cosa si trattava? Leonardo: Contro le grandi abbuffate, avevo privilegiato piccole porzioni prelibate, artisticamente disposte sui piatti. Sì, ha capito bene: avevo inventato quella che oggi voi chiamate la nouvelle cuisine.

Giannella: Incredibile! Un’innovazione splendida, anche se in anticipo di cinquecento anni sul gusto del grande pubblico. Come fu accolta? Leonardo: A pesci in faccia. I clienti, a loro dire affamati, insorsero in rivolta, e io fui costretto a rifugiarmi da Mastro Verrocchio per evitare guai grossi. Tornai alle arti più nobili, anche se la mia mente irrequieta non trovava pace e si mise a progettare gadget per risparmiare tempo e fatica in cucina: lei avrà presente i miei disegni che a quell’epoca delineavano i primitivi cavatappi e girarrosti, pepaioli e schiaccianoci, persino lavatrici. Giannella: La cocente delusione avuta alle Tre lumache la allontanò del tutto da taverne e cucine? Leonardo: Per amor del vero, un altro tentativo da parte mia ci fu. Sa, io ero tenace e quando mi mettevo un’idea in testa... Dunque, nel 1478 un incendio distrusse le Tre lumache. La ritenni un’occasione da non perdere: rifiutai l’incarico di dipingere la pala d’altare per la cappella di San Bernardo, a Palazzo Vecchio, e comprai il locale insieme a Sandro Botticelli. Incaponito, tentai di riproporre la mia ricetta di avanguardia alimentare. Ma gli appetiti di quei bifolchi di contemporanei purtroppo rimasero inalterati... Giannella: Mi permetta, messer Leonardo: ci voleva ben altro a quei

tempi che quattro carote e un’acciuga, benché presentate ad arte da un grande pittore e scienziato, per sfamare la gaudente società fiorentina. Leonardo: Da parte loro c’era un vero e proprio pregiudizio contro di me. Pensi che insorgevano per continui malintesi sui menu, quelle liste dei piatti che io, anche per non svelare i miei segreti alla concorrenza, scrivevo da destra a sinistra. Giannella: Forse c’era un problema di comunicazione. Le due ali per volare alti nel cielo del successo, mi è stato spiegato, è fare le cose bene e farle conoscere bene. Comunque quello che è fatto è fatto. Prendiamo atto che fu un fallimento su tutta la linea. Leonardo: Lo ammetto, sia pur a malincuore. Rimasi tanto male per quel fiasco che, dopo aver ripreso in mano i pennelli, mi decisi a lasciare per sempre Firenze e quegli ingrati dei miei paesani. Presi la via di Milano, alla corte di Ludovico il Moro. Dove avrei voluto resuscitare le mie passioni culinarie, ma il signore lombardo tendeva a incoraggiarmi in tutto, tranne che nella mia passione segreta per la cucina. Mi ingegnai a trovare stratagemmi pur di convincerlo della mia abilità di cuoco e chiedergli una chance. Tutti i progetti di fortificazione della città glieli presentavo in grossi modellini di zucchero e marzapane. Batti 15


Le interviste impossibili Calcoli e schizzi per una fontana da vino e acqua, 1499. Cod. Atlantico in rapporto con il “Memorandum Ligny” (della “Coperta a Vinci”)

e ribatti, alla fine sono riuscito a strappargli l’incarico di riorganizzare le cucine del Castello Sforzesco. Il progetto era grandioso: inventai giganteschi mantici da soffitto contro puzze improvvise e stagnanti fetori; un ingegnoso sistema di innaffiatoi meccanici in caso di incendi; un tapis roulant azionato da otto cavalli per portare i tronchi dalla legnaia ai camini; spazzoloni rotanti, trainati come aratri da buoi, per garantire pavimenti lucidi. E via di questo passo...Anzi, adesso che ci penso, lei conosce il sindaco, la Letizia Moratti? Oppure l’assessore Sgarbi? O la professoressa Magda Antonioli, quella che allena i cervelli turistici della Bocconi, o qualche altra figura importante del comitato per l’Expo 2015 a Milano? Giannella: Non li frequento ma qualcuno di loro l’ho sfiorato. Perché me lo chiede? Leonardo: Visto che l’Esposizione universale sarà incentrata sull’alimentazione, suggerisca loro di riprendere in mano quei miei progetti messi a punto proprio a Milano e li rilanciassero in occasione dell’Expo, magari facendosi dare un a mano da chi conosce bene me e le mie macchine: i Pedretti, i Vezzosi, 16

i Galluzzi, i Taddei, gli Zanon... Sarebbe un bella tessera del mosaico delle meraviglie che Milano dovrà approntare per accogliere i milioni di turisti previsti. "A tavola con Leonardo, tra i modelli e le ricostruzioni tridimensionali delle sue invenzioni": non le pare un’idea vincente? Giannella: Mi pare una proposta molto azzeccata, messer Leonardo. La farò circolare, ma non le prometto nulla. Le sarò franco: con i potenti di Milano io non ho agganci. Leonardo: A risentirci. E faccia leggere questa favola a tutti quelli che pensano di fare affari con il vino prendendo scorciatoie. Potrebbero fare la fine del ragno. (3. Continua. Negli scorsi numeri Salvatore Giannella ha curato le Interviste impossibili a Giuseppe Garibaldi e a Wolfgang Amedeus Mozart).

Immagini tratte da: Alessandro Vezzosi Leonardo da Vinci Arte e cultura della terra IL VINO DI LEONARDO Morgana Alessandro Vezzosi Leonardo da Vinci Arte e scienza dell’universo Universale Electa/Gallimard


Sommelier

Luisa Barbieri

Marco Nannetti al lavoro nella sua enoteca

Vini e delizie da 25 anni A BOLOGNA

DA UN QUARTO DI SECOLO ALL’ENOTECA

ITALIANA

SI POSSONO

DEGUSTARE BUONI VINI ACCOMPAGNATI DA PRODOTTI TIPICI a due sogni nel cassetto ma non ne parla. Volutamente, per scaramanzia. Soprattutto in occasione di un appuntamento così importante, il compleanno del suo locale, l’enoteca di via Marsala, al 2/B, nel centro storico di Bologna, che il 15 maggio ha festeggiato 25 anni. E’ Marco Nannetti, per 9 anni, dal 1990 al 1999, presidente regionale per l’Emilia dell’Associazione Italiana Sommelier, titolare, con un collega, Claudio Cavallari, per anni delegato della stessa Associazione a Bologna e a Termoli, dell’Enoteca Italiana. E’ un locale di 300 metri quadri dove si può degustare buon vino, tra

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All’Enoteca Italiana l’aperitivo prosegue fino a tardi…

assaggi di salumi e formaggi tipici in arrivo da tutta Italia. Non seduti a tavola, come di consueto, ma vicino a isole a cui ci si accosta per assaporare le delizie che il posto propone. L’avventura nasce per passione, a maggio del 1983, quando Nannetti decide di acquisire l’enoteca da Federica Vaccari e Lucio Rossini, due bolognesi doc, proprietari dal 1972. A quella bottega che vendeva bottiglie di vino, Marco Nannetti e Franco Casini, suo primo socio, decidono di dare una rispolverata. Comprano il negozio che le sta a fianco e sottopongono il tutto a una ristrutturazione totale. Non solo all’interno degli ambienti, ma anche 17


Sommelier

Luisa Barbieri

all’esterno. I due infatti colgono l’occasione per aprire un secondo ingresso su via Indipendenza, vetrina di passaggio di particolare pregio a Bologna. Affacciarsi qui diventa importante per attirare l’attenzione di chi ancora ignora l’esistenza di questa magnifica isola del gusto. La vera svolta però arriva nel 1994 quando l’enoteca diventa wine bar, con tanto di banco di mescita. La lampadina si accende prima che la moda porti questo genere di locale sull’onda del successo e ne faccia il luogo di maggior tendenza nelle principali città italiane. A suggerire l’idea, una chiacchierata con un amico, un avvocato di Modena, compagno del percorso di studi per diventare sommelier. Fu proprio al termine di uno degli esami richiesti dalla scuola di formazione, in un parcheggio di Bologna, attorno a mezzanotte e mezza, stravolti per la giornata di test appena sostenuti, che l’avvocato la butta lì. Nannetti avanza una serie di perplessità, soprattutto legate ai permessi da ottenere, ma il suo amico lo convince: “Non ci sono impedimenti particolari, le licenze arrivano, dice, basta chiederle. Provaci subito”. Detto, fatto. Un mese dopo l’enoteca cambia nuovamente faccia che poi è quella con cui ancora oggi si presenta alla sua clientela, spesso incuriosita da un angolo del locale, un ex cappella privata dove un tempo si celebrava messa. Nel 2005, per la verità, ancora un cambiamento con l’acquisizione di altri 100 metri, quelli del negozio attiguo: una sala antica, tutta a volte, che impreziosiscono ulteriormente il posto, donandogli quel tocco di rustico allestito però con grande eleganza. 18

Qui la gente ci viene perché si sente a casa, pur degustando piatti e vini di gran qualità: ogni cliente può semplicemente bere del vino, naturalmente tutte le etichette sono garantite con un occhio di riguardo ai grandi formati, Magnum e Doppio Magnum, e a rossi come Ornellaia, Solaia e Sassicaia, o associarvi piatti di salumi e pane artigianale che viene scelto in base alle cosiddette “ricerche tipiche”. E cioè 3-4 proposte a seconda dell’orario del giorno, ognuna quindi abbinata a un tipo di pane diverso. Si comincia alle 7.30 del mattino, per colazione, con il paninetto detto zoccolino, con mortadella o prosciutto; durante tutto il giorno viene servita la crescente, focaccia bianca oppure farcita con olive o prosciutto; per l’aperitivo, arrivano le streghette, altro pane tipico. E puntualmente si tirano le 22.00-22.30. Ogni sera. “Difficile chiudere prima, commenta Nannetti, e alla fine è comunque sempre un piacere”. I suggerimenti per scegliere cosa degustare spesso arrivano dai soci stessi e da alcuni collaboratori, esperti conoscitori dell’enogastronomia italiana, Francesco Lelli e Micaela Donati, lui per i vini, lei per i dolciumi, mieli e marmellate che spesso accompagnano i piatti, ma ogni cliente può decidere a seconda delle preferenze. Tipico, per restare in zona, il mix di mortadella, salame rosa prodotto da un artigiano di Bologna, il signor Pasquini, la coppa di testa, e i ciccioli. E ancora il Parmigiano da scegliere fra due annate, da 24 o 36 mesi di stagionatura. Capite ora perché questo posto nel 2002 ha vinto l’Oscar assegnato da Bibenda come miglio-

re enoteca italiana? E per far assaggiare certe delizie a chi qui non c’è mai stato, ecco confezioni regalo specialissime, curate nel dettaglio, solo di parmigiano e mortadella. Il tutto pubblicizzato anche su internet, sul sito www.enotecaitaliana.it, ora in allestimento, dove, tra le particolarità del locale, troverete anche il club degli amici. Una sorta di vetrina delle iniziative collaterali che tanto divertono Marco Nannetti. Come quella che associa acqua e vino in un contesto di benessere e relax. L’idea è di far degustare vino in costume da bagno, con addosso l’accappatoio, in un centro benessere convenzionato, dove ci si è appena rilassati in una vasca idromassaggio o per una talasso terapia. Non male no? O ancora come quella dedicata a Charlie Chaplin, l’anno scorso, per il trentennale della morte. In quell’occasione, alla rinomata cineteca di Bologna, impegnata nel restyling di sette suoi grandi film, vennero proposte pellicole nelle quali il grande Charlot degustava vino. A seguire, allora, ecco lo staff dell’enoteca stappare bottiglie. Esperienza che si è ripetuta lo scorso 2 aprile: Bologna infatti ha ospitato il festival enogastronomico, accompagnato dalla proiezione di 6-7 film e dunque da nuove degustazioni sempre in cineteca. Date queste premesse, garanzia di qualità e piacevolezza, vi potete immaginare la festa di compleanno di questo locale? I soci non entrano nel dettaglio, ma assicurano che la serata è stata assolutamente speciale. Un appuntamento indimenticabile. Assolutamente. In attesa di sapere se, con almeno uno dei due sogni che tiene nel cassetto, Nannetti ci azzeccherà di nuovo…



Vinitaly

La vendetta del RECORD

Vinitaly

DI PUBBLICO NELLA QUARANTADUESIMA EDIZIONE

DELLA RASSEGNA VERONESE CON BUONA PACE DELLE MALELINGUE

di Morello Pecchioli anno cercato di trasformarlo in una sorta di fiera dei veleni (“Velenitaly”) per colpa di quattro presunti lazzaroni che hanno cercato di fare quattrini con un presunto vino adulterato a bassissimo costo, unico aspetto della vicenda, questo, non presunto. Un caso, peraltro, denunciato dai gior-

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Luigi Castelletti, presidente di Veronafiere

nali quattro mesi prima. La presunzione di truffa, o peggio, è d’obbligo: che il vino pugliese nell’occhio del ciclone non fosse un cru e neppure un vino di media qualità è poco ma sicuro. Ma, sorpresa: a quanto risulta da qualche indiscrezione uscita dal ministero competente alle verifiche del caso, in quel vino non c’era-

Flavio Tosi, sindaco di Verona

Il presidente Medri alla degustazione organizzata da Civiltà del Bere 20

no i veleni denunciati da un noto settimanale. Riprendendo il filo del discorso: hanno anche tentato di farlo passare per una vetrina di grandi marche taroccate: è vero, sotto accusa c’era il Brunello di alcune grandi firme, ma quando parte una manciata di fango in direzione di uno dei vini simbolo italiani, anche gli altri vengono colpiti da qualche schizzetto di dubbio. Al polverone mediatico, all’assordante tammurriata autolesionistica (della serie: martelliamoci gli zebedei e godiamo quando sbagliamo il tiro), il Vinitaly numero 42 ha risposto con i numeri. Si è vendicato battendo, ancora una volta, tutti i record. «La rassegna ha chiuso – enuncia soddisfatto il presidente di Veronafiere Luigi Castelletti – con oltre 150 mila presenze complessive. Di queste più di 45 mila erano di operatori esteri. E’ il 30 per cento circa del totale degli operatori presenti e, rispetto all’edizione 2007, quasi il 15 per cento in più». Il Vinitaly è, dunque, più vivo che mai. Pur con gli acciacchi della crescita. Il ritornello è sempre lo stesso: i parcheggi si sono dimostrati insufficienti anche quest’anno, la viabilità intasata, l’organizzazione claudicante qui o là. A riguardo dei primi il sindaco Flavio Tosi proclama che la questione sta per essere risolta una volta per tutte. Sull’organizzazione il vicepresidente di Veronafiere Claudio Valente ammette: «Siamo consapevoli che disguidi ce ne sono stati, ma le risposte le abbiamo date. E’ stato un buon Vinitaly, nonostante la crisi


Due pittoreschi visitatori del Vinitaly

dei Paesi dell’area del dollaro e nonostante la bomba mediatica che più ci penso e più mi convinco che sia stata fatta scoppiare a orologeria. Abbiamo dato mandato al presidente Castelletti e al direttore Giovanni Mantovani di valutare attraverso i legali di Veronafiere se è il caso di promuovere una causa civile. Direi che con tutta probabilità la faremo. Ripeto, comunque, che è stato un buon Vinitaly. E il fatto che quasi tutti gli espositori abbiano già rinnovato la partecipazione, è significativo». A sancire il successo del Vinitaly sono stati, dunque, proprio uomini e donne, produttori e sommeliers, ristoratori e giornalisti, del mestiere. Gli “operatori”. Significative le presenze da tutti i continenti e dall’Asia in particolare. Impressionante la crescita in percentuale dei partecipanti venuti dai Paesi emergenti nel consumo vinicolo: Cina, Corea, India. Significativa la partecipazione dalla Russia e dall’Est dell’Europa. E’ segno che i gusti si evolvono anche in Paesi (così è stato in America) abituati a scioccare le papille gustative con dosi massicce di superalcolici. E chi si

aspettava defaillance dagli Usa, per il dollaro sempre più costretto a guardare dal basso in alto il super euro che vola come il Concorde, ha dovuto ricredersi: gli americani c’erano, eccome. Tutto questo garantisce il futuro del Vinitaly? Forse. Quel terzo di operatori esteri fa ben sperare Luigi Castelletti, Giovanni Mantovani e i piani alti di Veronafiere. Ma i 45 mila adesso vanno rassicurati. E con loro i mercati esteri. Vinitaly vuole che diventino uno zoccolo duro. A Verona sono certi che il polverone sollevato dallo scandalo mediatico, una volta che si sarà deposto, rivelerà una realtà molto meno brutta di quella dipinta. Ma gli operatori e i mercati esteri sono rimasti inevitabilmente turbati dalla doppia esplosione scandalistica dei vini (presunti) adulterati e del Brunello Grandi Firme non originale, diverso da come detta il disciplinare. C’è da temere il crollo del Vinitaly l’anno prossimo? Una caduta in verticale delle presenze come capitò nel 1986, dopo lo scandalo del metanolo? Quello sì fu scandalo vero, autentico, enorme, tragico (ci furono 19 morti, decine di persone intossica-

te, con gravi conseguenze, sino alla cecità) e disastroso sotto il profilo economico: l’export calò vertiginosamente fino a un terzo di quello che era stato l’anno prima. Il Vinitaly conseguente allo scandalo del metanolo fu altrettanto disastroso come partecipazione, soprattutto dall’estero. Come ci si poteva fidare di questi italiani imbroglioni e pericolosi?, pensarono tanti operatori. Naturalmente a rinfocolare l’incendio dettero una mano tanti media esteri, soprattutto di quei Paesi che nello scandalo italiano intingevano le penne per imbrattare a più non posso il settore enologico del Belpaese. Lo fecero a ragione, ma senza distinguere il grano dall’erba infestante, gli onesti dai disonesti. L’Italia capì la lezione e uscì dalle fangose trincee alzando la bandiera del riscatto e dandosi una parola d’ordine: qualità. Un esercito di produttori ben intenzionati, fu affiancato da battaglioni di soldati preparati a combattere la buona battaglia del vino. Non solo imprenditori legati al mondo degli affari agricoli e tecnici (enologi, agronomi, chimici e così via), ma gente che credeva nel vino italiano, nella vocazione enolo21


Vinitaly

gica tricolore, nella scienza, nell’arte e nella cultura che stanno dietro a un’etichetta di qualità. Dentro a una bottiglia di onesto succo di vite italica. I sommeliers, per esempio, hanno dimostrato di essere una falange importante di questo esercito. L’Associazione italiana sommeliers con i suoi corsi seri, con le lezioni di veri esperti, con l’educazione enologica che cominciò a diffondere e a pretendere, ha contribuito enormemente alla battaglia della qualità. E con i giovani che sono accorsi a frotte a infoltirne le fila, l’Ais è stata una

delle spine dorsali del riscatto. Se al giorno d’oggi l’Italia produce il 40 per cento per cento di vino in meno rispetto a 22 anni fa, ma il fatturato complessivo è più che triplicato, vorrà pur dire qualcosa. O no? Ma non c’è mai da abbassare la guardia. Il Velenitaly lo dimostra. Ripercussioni ce ne saranno. Ce ne sono state. Dall’estero arrivano richieste di nuove garanzie. Si pretendono etichette sulle quali anche la virgola viene pesata. Il Made in Italy riempie la bocca, ma oltrefrontiera arriva l’eco di troppi scandali dalla Penisola (oltre al vino anche la mozzarella), per

fidarsi ciecamente. Non è ancora arrivato il tempo (e chissà se mai verrà), quindi, di abbassare gli scudi. Veronafiere, dopo il Vinitaly dei record, ha, anzi, alzato la guardia. E se da un lato si sta tutelando contro il titolone uscito nei giorni caldi della fiera, dall’altro ha subito dato il via a Vinitaly World, un giro del mondo che farà tappa in Russia, in giugno, poi andrà nella seconda metà dell’anno negli Stati Uniti, in Giappone e in Cina, per concludersi nel gennaio del prossimo anno in India. Il vero spettacolo del vino italiano, secondo Veronafiere, comincia adesso.

L'AIS AL VINITALY

Barbara Chiappini ospite allo stand dell'Ais

Durante le degustazioni Ais c'è spazio per interventi e domande ai relatori

Gardini e Bellini impegnati a descrivere le grandi etichette

Lorenzo Giuliani, al centro, durante una degustazione

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Terenzio Medri e Camillo Privitera, presidente Ais Sicilia, alla presentazione del Congresso Nazionale 2008

Lo staff dell'Ais al Vinitaly con il presidente Medri, il vicepresidente Maietta e Andrea Rinaldi


Berlin, Restaurant, 08:00 pm

Momenti Ruffino


Disciplinari

Bufera su

Montalcino DOPO L’APERTURA DELL’INCHIESTA DELLA MAGISTRATURA SU ALCUNE CANTINE CHE PRODUCONO BRUNELLO ABBIAMO INTERVISTATO L’ENOLOGO DI FAMA MONDIALE DONATO LANATI

di Cesare Pillon

li scandali del vino fatti esplodere deliberatamente come bombe a scoppio ritardato mentre a Verona si inaugurava il Vinitaly fanno parte di quella passione melodrammatica per l’autolesionismo che è una perversione tutta italiana. Certo, farsi del male nel momento in cui il dolore si avverte di più è masochismo puro, ma a che cosa serve fare del moralismo sui giornalisti che pur di vendere qualche copia in più hanno inferto un danno gravissimo all’immagine del prodotto trainante del made in Italy agroalimentare? Meglio trarre da questa sgradevole vicenda qualche insegnamento utile, come cerca di fare Donato Lanati (nella foto), docente di enologia all’Università di Torino e titolare del centro di ricerche Enosis di Fubine, nel Monferrato, quando dice:

G

La prima cosa da fare è prendere coscienza che in questo Paese, dove si beve vino da più di 2 mila anni, manca una cultura del vino, altrimenti i giornalisti non avrebbero scritto certi testi, e se l’avessero fatto i lettori si sarebbero ribellati. Ora, se non siamo riusciti a diffondere la cultura del vino, tutti noi che operiamo in questo campo dovremmo fare un bell’esame di coscienza. Ma di questa vicenda che cosa le ha dato più fastidio? Che non siano stati tenuti distinti due casi profondamente diversi: se fosse confermata dalle prove, la sofisticazione individuata dalle indagini delle Procure di Verona e di Taranto, che riguarda vino di infima categoria fabbricato senza neanche partire dall’uva, sarebbe una frode gravissima, ma non avrebbe niente a che spartire con il mancato rispetto del disciplinare di

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produzione del Brunello di Montalcino, che pur avendo portato al sequestro di centinaia di migliaia di bottiglie del millesimo 2003, è tutt’altra cosa. Cinque azienda, Col d’Orcia, Frescobaldi, Castello Banfi, Argiano e Antinori, sono sospettate di aver vinificato uve di Cabernet Sauvignon o Merlot insieme a quelle di Sangiovese, anziché utilizzare queste ultime in purezza. Non è un reato anche questo? Certo che lo è, ma di Cabernet Sauvignon e di Merlot non è mai morto nessuno, anzi, con le loro uve si fanno i più famosi vini del mondo. Perfino la Chiesa cattolica, che non può certo essere accusata di scarso rigore, distingue tra i peccati mortali e quelli veniali: perché non dovrebbero farlo anche i giornalisti? Resta comunque un problema etico: se risultasse che le aziende indagate hanno prodotto davvero, consapevolmente, un vino diverso da quello delineato dal disciplinare di produzione, non avrebbero tradito la fiducia dei consumatori? Evidentemente sì, ma c’è un aspetto paradossale in questa vicenda: ove fosse confermato che per fare il Brunello sono state vinificate anche uve di varietà internazionali insieme al Sangiovese, bisogna rendersi conto che la loro aggiunta non è stata praticata per diminuire i costi di produzione e dare al consumatore un prodotto di minor qualità allo stesso prezzo, ma al contrario nella convinzione di fornirgli un vino più vicino alle sue preferenze, e quindi di miglior qualità. Le strade dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni. Può chiarire meglio questa affermazione? E’ molto semplice: il gusto internazionale si è formato sui grandi rossi francesi, e tra questi è stato il Bordeaux a prevalere, a scapito perfino di Borgogna e valli del Rodano. Ciò significa che i consumatori di tutti i paesi privi di tradizione enoica, Stati Uniti in testa, hanno educato il loro palato ad apprezzare soprattutto i vini tratti da Cabernet e Merlot, preferendoli perfino a Pinot Nero e Syrah. E’ per soddisfare questo gusto internazionale che sono stati creati una trentina d’anni fa i SuperTuscans, cioè i vini in cui le uve autoctone di Sangiovese sono abbinate a quelle internazionali, e il successo che hanno ottenuto fa gola un po’ a tutti. Ecco perché i produttori dei grandi rossi italiani a Docg, non solo quelli di Brunello di Montalcino, sono tentati di praticare nascostamente al loro vino un’iniezione di Cabernet Sauvignon o di Merlot. Ma se le cose stanno così, perché non si modificano i disciplinari di produzione, legalizzando queste aggiunte? L’operazione è già stata tentata per il Chianti Classico, ma non ne ha migliorato affatto la situazione. Infatti i SuperTuscans che grazie alle modifiche del disciplinare potrebbero rientrare nella Docg si guardano bene dal farlo perché presentandosi come Chianti Classico spunterebbero un prezzo inferiore. E anche questo è un bello spunto di meditazione: com’è possibile che una denominazione inventata dal mercato anglosassone, SuperTuscan, valga di più, sul piano commerciale, del Chianti Classico, che si fregia della Docg, la più prestigiosa denominazione d’origine garantita dallo stato italiano? Ma forse la stessa operazione, tentata per il Brunello di Montalcino, avrebbe dato risultati opposti. Parecchi produttori vorrebbero imboccare questa strada, ma è pericolosa. Il Brunello è il vino italiano di pregio che ha registrato la crescita più spettacolare degli ultimi 50 anni: i produttori sono quadruplicati, l'area vitata è cresciuta di 33 volte, e la produzione globale si è moltiplicata per 30. Questo vertiginoso successo lo ha ottenuto perché si è presentato al mercato come un cavallo di razza, l’unico vino da monovitigno in una regione come la Toscana dove tutti i rossi sono ottenuti da una miscela di varie uve. Autorizzare l’aggiunta di Cabernet Sauvignon e di Merlot è come segare il ramo su cui si sta seduti, perché si rischia di depauperare il Brunello del suo carisma. E difatti la maggioranza dei produttori finora si è detta contraria all’operazione.

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Disciplinari

Ma al di là delle questioni d’immagine, lei ritiene che autorizzare l’aggiunta di Cabernet Sauvignon e di Merlot avrebbe effetti positivi sulle qualità organolettiche del Brunello? Sono convinto invece che sarebbe un’enorme sciocchezza perché gli farebbe perdere la sua originalità, avviandolo verso l’omologazione. E se lo si facesse oggi si sceglierebbe anche il momento più sbagliato. La domanda globale di vino infatti sta cominciando a cambiare, in particolare nel mercato degli Stati Uniti, il più importante per l’export italiano: i consumatori si stanno stancando dei vini ricavati da Cabernet Sauvignon e Chardonnay, troppo simili l’uno all’altro, e cercano emozioni diverse, cominciando ad apprezzare i vini non soltanto per la varietà d’uva da cui sono ricavati ma anche per il territorio da cui hanno preso vita. Però oltre alla sicurezza alimentare essi pretendono trasparenza e certezza dell’origine di ciò che hanno acquistato. Il vino italiano soddisfa già quest’esigenza, no? Docg non significa proprio denominazione d’origine controllata e garantita? Verissimo, ma io mi domando ugualmente: è proprio così? L’origine è davvero controllata e garantita? La certificazione è fornita da commissioni di degustazione, ma queste evidentemente non sono infallibili, altrimenti la Procura di Siena non avrebbe potuto accusare cinque produttori di non aver rispettato il disciplinare di produzione del Brunello. Ma il peggio è che i controlli a monte sono soltanto cartacei. In Italia, del resto, la tracciabilità ipotizzata finora permette di risalire la filiera fino al produttore. E’ lui, perciò, che garantisce il rispetto delle regole: quali sono le varietà d’uva, qual è il vigneto d’origine, quali pratiche di cantina sono state adottate. Ma che tracciabilità è? Ve lo immaginate un produttore che ammette d’aver taroccato il suo vino? I consumatori hanno tutto il diritto di pretendere invece garanzie obiettive basate sulla scientificità delle analisi. Ma esistono controlli scientifici in grado di accertare quali varietà di uve sono state utilizzate nella produzione di un vino? Certo che esistono! I burocrati fanno di tutto per non applicare la scienza analitica nei controlli, ma l’Ispettorato centrale per il controllo della qualità, quello che una volta si chiamava repressione frodi, si sta attrezzando con strumenti e metodi di controllo varietale molto sofisticati, come la ricerca del Dna nei vini bianchi e la riconoscibilità delle purezze varietali nei rossi. Era da tempo, del resto, che si intuiva la necessità di bloccare il diffondersi di un pericoloso atteggiamento d’insofferenza verso i disciplinari di produzione. E’ da sperare che l’attuale scossone provocato dalle indagini della magistratura abbia fatto capire che non si può prendere in giro il consumatore: meglio uscire dalle Doc e dalle Docg piuttosto che violarne le norme sotto banco. Lei sostiene però che se l’Italia vuol mantenere un’alta immagine dei suoi vini diventa prioritaria la certificazione della loro provenienza geografica. Quali garanzie può offrire al consumatore? La certificazione dell’origine è importante per trasferire un’immagine di continuità dal territorio al prodotto: riguarda una modesta percentuale di vini, è vero, ma sono quei vini di fascia alta la cui presenza sul mercato ha effetto trainante per tutto il comparto. Certo, gli strumenti in grado di effettuare analisi talmente approfondite da scoprire se i rapporti tra profumi e colori sono davvero quelli determinati dal luogo di nascita del vino in esame sono attrezzature che costano, e costosi sono anche i tecnici in grado di servirsene. Ma sono strumenti che esistono già. Per esempio? Per esempio, il metodo che si basa sulla ricerca degli elementi minerali del suolo, come i lantanidi, i metalli pesanti e i loro isotopi, consente di individuare una vera e propria impronta digitale che dal terreno si è trasferita prima alla vite, poi al grappolo e infine al vino. Una cosa è certa: il territorio imprime una matrice precisa all’uva: basta cercarla. E questa, per me, è la tracciabilità vera, quella che, certificando l’identità del vino, difende il consumatore ma difende anche il prodotto e chi lo fa.

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Vino e blog

Alessandro Franceschini

I nuovi protagonisti di

internet?

Noi

a copertina del Time che nel 2006 designò, come di consueto, la persona dell’anno, fu emblematica e fece, più che scalpore, riflettere: campeggiava il monitor di un computer con una testiera ed al centro la parola “you”. Il settimanale scelse, quindi, il World Wide Web, cioè Internet, ma soprattutto tutte le persone, i milioni di persone nel mondo, che avevano, e tutt’ora lo fanno, contribuito alla diffusione di quella che molti chiamano “democrazia digitale”, ovvero la possibilità di diffondere informazioni, testi, ma anche immagini e video attraverso strumenti oramai noti, come Youtube o Myspace. Ma anche attraverso i Blog. Cosa sono? Per la definizione attingiamo da un altro caso emblematico di diffusione della conoscenza attraverso la rete, il sito Wikipedia (http://it.wikipedia.org), che oramai viene citato e “linkato” dalla quasi totalità di chi scrive in rete quando vuole dare una definizione di termini o concetti, allo stesso modo di come un tempo si faceva con il dizionario Devoto-Oli. “Il termine blog è la contrazione di web-log, ovvero "traccia su rete". Il fenomeno ha iniziato a prendere piede nel 1997 in America…il primo blog è stato effettivamente pubblicato il 23 dicembre dello stesso anno. Nel 2001 è divenuto di moda anche in Italia”. Condividere. In che modo? Già il pubblicare una pagina su Internet è se vogliamo un forma di condivisione di un contenuto con qualcun altro, anzi, spesso con migliaia e migliaia di altre persone, ma la vera novità di un blog, è il contatto diretto con chi legge, praticamente in diretta. E’ quindi la possibilità di lasciare un messaggio al di sotto di un articolo (post) quasi fosse una bacheca pubblica dove ognuno di noi può lasciare la sua testimonianza, a favore o contro il contenuto. E’ stata un’esplosione continua e la possibilità, da parte di ognuno di noi, di accedere a questo tipo di servizio in modo gratuito e senza il bisogno di alcuna conoscenza tecnica informatica, ha fatto sì che i blog, nel mondo, siano aumentati e continuino a farlo, ogni giorno, in modo a dir poco incontenibile: pare ve ne siano 200 milioni ed ogni giorno ne nascano non meno di 175.000! Il blog è una sorta di diario personale, redatto da un singolo oppure da un gruppo di persone, che scrivono di qualsiasi argomento ritengano esse-

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L


re esperti o semplicemente appassionati, per condividerlo con altri, che possono lasciare in ogni momento un loro commento. In breve tempo molte tipologie di persone hanno deciso di utilizzare questo strumento per comunicare: giornalisti, aziende, associazioni, attori, politici, comici, calciatori, insomma, chiunque. Esistono piattaforme gratuite che in modo molto intuitivo consentono a chiunque di aprirsi un proprio blog: tiscali, blogger, splinder, libero, solo per citarne alcune. III E il mondo del vino? Ovviamente non è stato a guardare, e anche se con più lentezza rispetto ad altri paesi, gli Stati Uniti in testa ovviamente, ha un nutrito numero di indirizzi anche in Italia che rappresentano per molti appassionati e operatori di settore una sorta di rassegna stampa alternativa attraverso cui informarsi. Marco Mancini, direttore del Corriere Vinicolo, settimanale dell’UIV (Unione Italiana Vini) nella recente conferenza stampa di lancio dell’oramai consueto annuario di approfondimento di nome “Enotria”, dedicato quest’anno alla comunicazione del vino e quindi anche ai nuovi media, proprio in riferimento all’incredibile fenomeno dei blog, sottolineava come, comunque, rimane importante il contenuto, più del contenitore, sicché, implicitamente richiamava un tema, da sempre caldo quando si parla di affidabilità di ciò che passa attraverso la rete: la veridicità dei contenuti. Tema indubbiamente importante, che coinvolge internet nella sua totalità e non solo una sua isola, come lo sono i blog per l’appunto. Fiorenzo Sartore, enotecario a Genova e blogger (http://vinotecaonline.blogspot.com/) dalla penna solitamente pungente, caustica, ma mai banale, a questo proposito ci dice: “Normalmente chi ha la pessima idea di scrivere fesserie affronta i commenti; ovviamente può pure commettere l'errore di cancellarli, censurarli. Tanto peggio. Comunque chi scrive vacuità, prima o poi, finisce nel dimenticatoio”. In effetti, la nascita di un blog può essere altrettanto veloce quanto la sua uscita di scena, se non è aggiornato con una certa frequenza e se i suoi contenuti non sono, non solo, ovviamente interessanti, ma anche sinceri, rispondenti al vero e indipendenti. L’autocorrezione, o se vogliamo, lo smascheramento, quasi contemporaneo, di chi dice il falso o, ancora più subdolamente, maschera notizie che in realtà non lo sono, è abbastanza immediato. Difficile farla franca su un blog: l’ondata di commenti pronti a correggere inesattezze o vere e proprie fandonie non tarderebbe ad arrivare, con toni anche sarcastici, nonché volgari alle volte. “E' vero, la grande novità del blog é l'interazione possibile attraverso chi conduce il blog e chi lo legge, creando una sinergia, uno scambio di idee e opinioni che é molto interessante e utile al dibattito su un tema intrinsecamente soggettivo come il vino” ci dice Franco Ziliani, giornalista di lungo corso sia della carta stampata sia della rete (sua la direzione e ideazione per molti anni di www.winereport.com nonché, collaboratore di questa rivista e del sito www.sommeliersonline.it) e animatore di uno dei blog più seguiti sulla rete nel mondo vinicolo (http://vinoalvino.org) che però aggiunge, circa la possibilità di lasciare commenti su un blog: “I commenti devono essere moderati, perché gli imbecilli in rete pullulano e imperversano codardi che si trincerano dietro l'anonimato, ma è bene pubblicare anche le cose critiche verso di te, per libertà d'espressione (quando non insultano il prossimo) e perché didatticamente é utile dimostrare quali cretini ci siano in circolazione”. Un blogger che delle fonti fa lo spunto per poi scrivere i suoi articoli, o meglio post, è Marco Baccaglio, sommelier e di professione analista finanziario che da qualche tempo ha messo on-line uno dei blog più originali ed utili nel mondo

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Vino e blog

Alessandro Franceschini

del vino dal titolo che non lascia margini all’immaginazione: I numeri del Vino (http://inumeridelvino.it/). “Volevo fare qualcosa di diverso e volevo farlo cercando di farlo star dentro nella mia vita normale, quindi capacità di manipolare ed analizzare i numeri, più amore per il vino, più dimestichezza con il computer” ci dice l’autore che partendo da fonti come l’Istat, ISMEA o ancora OIV e Wine Institute, Abareconomics e altre ancora prende spunto per scrivere articoli dove grafici e analisi di mercato sono i protagonisti assoluti: “La mia passione è l'analisi finanziaria, quindi i risultati degli operatori e la valutazione delle aziende. Però, i lettori apprezzano di più le statistiche sui consumi di vino e quelle sui dati di mercato tipo le esportazioni e, soprattutto, sapere quanto vino si produce in Italia in un certo anno o in una certa regione. Questi argomenti hanno generalmente la precedenza”. Elencare la oramai grande mole di blog del mondo del vino che affollano la rete sarebbe un’impresa ardua, che riempirebbe un volume enciclopedico da aggiornare in continuazione, vista la dinamicità di questo settore dell’informazione: Aristide, questo il nome del blog (www.aristide.biz) di Gianpiero Nadali è sicuramente uno dei nomi da segnarsi tra i bookmark: da tempo on-line, affianca ad articoli anche video, ma soprattutto, come scrive sul sito: “vuole raccontare il viaggio nel mondo del vino con i sensi dell’enofilo non-professionista e la compagnia di quanti vorranno seguirlo.” Esistono blog che affrontano il tema del vino con un occhio di riguardo al marketing, è il caso di Slawka G. Scarso con il suo www.marketingdelvino.it, piattaforme che ospitano blog di appassionati, giornalisti e produttori come www.vinix.it di Filippo Ronco. Molti portali storici del mondo del vino hanno aggiunto all’attività editoriale on line classica, anche quello di un blog: è il caso di Acquabblog (http://blog.acquabuona.it/) di www.acquabuona.it o ancora di Tigulliovino.it Blog (http://www.tigulliovino.it/blog/) di www.tigulliovino.it, ma la lista non si ferma qui. III Le aziende vinicole e i blog Non sembra che questo mezzo sia particolarmente amato dei protagonisti del mondo del vino italiano, cioè le aziende vitivinicole, quanto meno per ora: a parte un caso che spicca rispetto al poco che la rete offre in questo momento in Italia, ci riferiamo a http://poggioargentiera.simplicissimus.it/ di Gianpaolo Paglia, produttore maremmano che anima con molta frequenza il suo blog, il mondo produttivo italiano non sembra in questo momento credere nelle potenzialità di questo strumento. Paura dei commenti? Sempre Fiorenzo Sartore ci dice, come enotecario, la sua: “Le aziende produttrici per lo più vedono i blog come una cosa ostica, una perdita di tempo; frasi come "devo pagare un'impiegata per rispondere a tutte quelle e-mail", testuale, spiegano assai bene l'approccio alla rete di molti produttori”. Scrivere, in genere, non è semplice, con la freschezza e la fluidità immediata che un blog richiede, ancor di più. “Da come la vedo io siamo alquanto arretrati in merito. Le aziende, soprattutto quelle grandi, preferiscono di gran lunga il linguaggio brochuresco”. E in effetti quello che dice il nostro blogger enotecario di Genova ha un suo riscontro scorrendo i dati che le prin-

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cipali aziende italiane investono nella comunicazione: circa il 5,8% rispetto al fatturato, quasi interamente dedicato a voci come la partecipazione a fiere ed eventi, la pubblicità tabellare, le promozioni nei punti vendita e le pubbliche relazioni (Fonte UIV). Poco l’investimento dedicato alla rete e ai blog in particolare. Un caso interessante che ha visto il suo esordio nel 2007, ma che è proseguito anche per l’edizione del Vinitaly di quest’anno, è quello dell’azienda franciacortina Berlucchi, che ha predisposto un blog che ha seguito in diretta l’importante manifestazione veronese, direttamente dal suo stand (http://www.enosfera.it/blog/). Recentemente sono poi sbarcati nel mondo della blogsfera anche due consorzi, entrambi veneti: quello del Soave (http://ilsoave.blogspot.com/) e quello della Valpolicella (www.consorziovalpolicella.it). Difficile prevedere cosa faranno in futuro le aziende vinicole, specie quelle di grandi dimensioni e di conseguenza dotate di maggiori possibilità di investimento: certo è oramai impossibile etichettare i blog solo e soltanto come una moda e forse potrebbero venire incontro proprio a una delle esigenze maggiormente sentite dai produttori, cioè la comunicazione diretta con il consumatore finale. III Un sguardo all’estero Vinography (www.vinography.com) di Alder Yarrow, probabilmente il più importante wineblogger degli Stati Uniti e tra i più influenti del mondo, creò il suo blog da semplice appassionato, Fermentation (http://fermentation.typepad.com/) di Tom Wark, che lavora come professionista delle pubbliche relazioni nell’industria del vino e che è anche promotore dell’American Wine Blog Awards, De Vinis Cibisque (http://devinis.blogspot.com/) di Joan Gòmez Pallarès, professore di filologia latina all’Università di Barcellona, sono i primi tre che citiamo, ma, ovviamente, la lista è enorme. Per avere una bussola e orientarsi nel mare magnum della blogsfera, potrebbe essere interessante visitare il sito www.alawine.com che attraverso un complicato algoritmo pubblica, sempre aggiornata, la classifica dei 100 blog del vino più popolari al mondo (24° posto per Vino al Vino di Franco Ziliani e 31° per Aristide di Gianpiero Nadali). Ma i blog stranieri hanno qualcosa in più rispetto ai nostrani?: “Non trovo grandi differenze tra i wine blog di valore italiani ed esteri, la grande differenza é data quando usi l'inglese per esprimerti, che è la lingua della sintesi per antonomasia e invita a essere più contenuti ed essenziali” ci dice Ziliani (recentemente sbarcato in compagnia di Jeremy Parzen, wineblogger americano, anche nel mondo dei blog in lingua inglese con http://www.vinowire.com/), mentre Sartore sottolinea come: “il loro stile, se possibile, è pure più irrituale; gli anglosassoni mi sembrano rigorosi quanto alle fonti, puntigliosi, parlano a ragion veduta”. Alcune firme molto importanti di lingua inglese, che scrivono su quotidiani hanno deciso di affiancare alla loro attività, diciamo cartacea, anche quella virtuale, utilizzando un blog per far questo: un caso è quello di Eric Asimov (nipote del famoso autore di libri di fantascienza Isaac Asimov) che con il suo Blog “The Pour” (http://thepour.blogs.nytimes.com/) scrive di cibo e vino ospitato dal New York Times. E’ un fenomeno questo che si sta, seppur lentamente, diffondendo anche in Italia e che vede celebri firme del mondo enogastronomico cimentarsi con questo nuovo mezzo di comunicazione, ma soprattutto, accettare il confronto diretto con i propri lettori.

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Garganelli

Riccardo Castaldi

Storia e tradizione nel piatto

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I

GARGANELLI SONO NATI NEL

1725

A

IMOLA

DALLA CREATIVITÀ DELLA CUOCA DI UN CARDINALE

CHE TROVANDOSI SENZA RIPIENO PER I CAPPELLETTI,

DIVORATO DAL GATTO,

IMPROVVISÒ UN NUOVO TIPO DI PASTA. ra le paste tipiche romagnole oltre ai cappelletti, ai passatelli ed ai manfrigoli, meritano di essere menzionati anche i garganelli, i quali possono essere descritti come una sorta di pennetta rigata in senso circolare, preparata manualmente. Il nome deriva dal fatto che la forma e la fine rigatura richiamano alla mente gli anelli cartilaginei della trachea del pollo, che in dialetto romagnolo si chiamano appunto garganél.

T

Gli strumenti Fondamentali per la preparazione dei garganelli sono un segmento di pettine del telaio tradizionalmente usato nella civiltà contadina per la tessitura del cotone, della canapa e del lino, costituito da una struttura di legno sul quale sono montate finissime lamelle di canna, e un piccolo segmento di canna, dello spessore poco più grande di quello di una matita. Preparata la sfoglia con uova e farina, vengono tagliati col coltello, in modo che abbiano i margini lisci, dei quadretti di circa quattro - cinque centimetri di lato. Ciascun quadretto di sfoglia viene avvolto parzialmente, partendo da un angolo, attorno alla sottile canna, e fatto ruotare sul pettine, in modo tale che la leggera pressione esercitata consenta nel contempo di chiudere il garganello su se stesso e di rigarlo adeguatamente. La fine rigatura, in grado di trattenere efficacemente il sugo, accarezza il palato dando una sensazione molto piacevole. La preparazione casalinga dei garganelli deve essere eseguita rapidamente e con una certa tempestività, ovvero quando la sfoglia si presenta sufficientemente elastica e con un grado di umidità tale da consentire di essere saldata su se stessa, avendo cura di mantenere la canna sempre infarinata; se la sfoglia è troppo umida rischia infatti di attaccarsi alla canna e al pettine, mentre se è troppo secca non si salda su se stessa. Vista la difficoltà di reperire i pettini dei telai, tramandati gelosamente di madre in figlia, sono disponibili in alcune ferramenta dei piccoli taglieri di legno, sui quali sono state ricavate finissime lamelle, che assolvono la medesima funzione. Nel 1984 l’inventiva di un famoso pastaio romagnolo, Edoardo Bacchini, ha portato al brevetto della prima macchina per fare i garganelli, la quale riesce a riprodurre fedelmente la complicata lavorazione manuale. Nobili origini La tradizione vuole che i garganelli siano comparsi per la prima volta nel 1725 a Imola, nella dimora del Cardinale Cornelio Bentivoglio D’Aragona, Legato Pontificio della Romagna, grazie alla creatività della cuoca che, dovendo preparare un pranzo a base di cappelletti ma essendosi trovata senza ripieno a causa dell’intrusione in cucina di un maldestro felino, decise di improvvisare creando, con gli strumenti a sua disposizione, un nuovo tipo di pasta che, servita nel brodo di cappone, riscosse il generale apprezzamento dei commensali e si diffuse rapidamente nelle case delle famiglie più agiate. Secondo altre fonti l’invenzione dei garganelli sarebbe da attribuire alla cuoca di corte di Caterina Sforza (1463-1509), moglie di Girolamo Riario, nipote del Papa Sisto IV e signore di Imola e Forlì. Al di là delle leggende, non è da escludere che i garganelli abbiano origini “più umili”, dato che sono profondamente legati alla tradizione contadina. Considerando il tempo necessario alla loro preparazione, visto che devono essere arrotolati manualmente uno a uno, e le cospicue dimensioni dell'antica famiglia patriarcale contadina, si ritiene che i garganelli fossero, almeno in campagna, una minestra riservata alla domenica o a eventi particolari; ciò troverebbe conferma anche nel fatto che, nonostante oggi vengano serviti quasi esclusivamente asciutti, in passato fossero un tipo di pasta servita in brodo, tradizionalmente preparato con il cappone per il pranzo domenicale.

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Garganelli

Riccardo Castaldi

Abbinamento Molto usati anche nella ristorazione, dove purtroppo solo raramente è possibile trovarli fatti a mano, i garganelli rappresentano un tipo di pasta all’uovo estremamente versatile che viene condita, oltre che con il tradizionale ragù di carne romagnolo, con sughi a base di selvaggina, di funghi, di ortaggi e di pesce. In abbinamento ai garganelli al ragù o a quelli "classici" preparati con piselli, prosciutto e noce moscata, può essere proposto un Sangiovese giovane profumato, un Rosso dei Colli di Faenza o un Barbera dei Colli Bolognesi, mentre per contrastare l’intensità organolettica di un piatto di garganelli al cinghiale o alla lepre è da preferire un vino più strutturato, di corpo, quale ad esempio un Sangiovese riserva se non addirittura un’Uva Longanesi della pianura di Bagnacavallo. Nel caso in cui il condimento sia un fondo bianco ai funghi porcini, si può optare per un Pinot Bianco dei Colli di Faenza, in grado di reggere con i propri profumi floreali e fruttati l’intensità olfattiva del fungo, mentre per i condimenti a base di erbe aromatiche può essere adatto un Sauvignon dei Colli Bolognesi. Per i garganelli ai gamberi e zucchine, scegliendo sempre tra l’ampia gamma di vini prodotti localmente, ci si può indirizzare verso vini non particolarmente profumati e tendenzialmente morbidi, quali possono essere il Trebbiano di Romagna o il Pagadebit di Romagna, in grado di non prevaricare la delicatezza del piatto. Per i garganelli alle verdure può essere proposto un Pignoletto dei Colli Bolognesi il quale, nella versione frizzante, viene abbinato anche alle preparazioni con panna.


Gocce

Un sorso di

cultura

di Salvatore Giannella

Una storia piccante C’è una pietanza popolare collegata dai più all’eros, in Italia e all’estero: è il peperoncino, con cui Tony Renis innaffiava salmone e frollini in vista dei baci a Marilyn Monroe nel film "A qualcuno piace caldo". La storia secolare di questo "viagra naturale" capace di trasformarsi in ottime energie per scatenare performance erotiche, dall’America dove fu scoperto da Cristoforo Colombo alle terre della Calabria e del Mediterraneo, ci viene raccontata da Vito Teti in un libro intrigante: "Storia del peperoncino. Un protagonista delle culture mediterranee", Donzelli editore, Roma. Lo scrittore ci accompagna in questo itinerario gastronomico dai sapori variegati, che fondono le vicende del piccante Piper rubricum indicum (questo è il nome scientifico del pepe rosso), ricordi e racconti privati con la storia più profonda dei calabresi. E ci ricorda che l’uso del "diavolicchio" (altro soprannome popolare del Meridione) fa parte di una tradizione alimentare recente, in cui l’antica dieta mediterranea (basata sulla triade vino, olio e grano) si è saputa conservare e innovare, mescolandosi con creatività e gioia con i prodotti venuti dall’America come mais, pomodoro e, appunto, il peperoncino. Non dimenticando che ricerche recenti hanno dimostrato che la capsaicina contenuta nel peperoncino abbassa decisamente la sensibilità dolorifica nelle emicranie e nelle cefalee (scoperta del Centro Cefalee di Firenze) ed è capace di eliminare il grasso e il colesterolo in eccesso. Più di così... Una collezione trasparente All’interno dell’elegante Villa Storica

di Santa Vittoria d’Alba (Cuneo) è possibile ammirare in tutta la sua bellezza la Diageo Glass Collection, una collezione di 144 pezzi tra bicchieri, coppe e calici provenienti da Europa e Medio Oriente, da 2.500 anni fa a oggi. Il museo si suddivide in quattro sezioni e racconta la storia del bicchiere durante il periodo antico e romano, con pezzi provenienti anche dalle provincie orientali dell’Impero come la Siria e l’Egitto, fino all’epoca della Scuola Veneziana, che ha influenzato il gusto europeo per tutto il Rinascimento. Numerosi anche gli esemplari di famose scuole di arte vetraria di vari paesi tra i quali Germania, Olanda, Boemia e Russia, prodotti a partire dalla metà del Seicento. Indirizzo e informazioni: Strada Statale, 63 12069 Santa Vittoria D´Alba (Cn) Tel. 0172-47.72.96. info@diageomeetingcenter-sv.it. www.diageomeetingcenter-sv.it Uno scenario a tavola Il 2050 sarà l’anno in cui in Italia i vegetariani supereranno il numero dei carnivori. E’ lo scenario firmato da uno scienziato vegetariano per eccellenza, Umberto Veronesi. Oggi sono più di tre milioni gli italiani che hanno scelto la dieta verde. Il 18 per cento di essi vivono in Lombardia, che si qualifica quindi come la regione più "verde" a tavola. Segue il Lazio. "Ci può indebolire una dieta priva di carne?", si chiede l’oncologo milanese su "Oggi". "Direi proprio di no, e lo prova il fatto che un neonato nei primi mesi quadruplica il peso che aveva alla nascita, nutrendosi solo di latte. Se

pensiamo poi che il gorilla, così possente di statura e di muscolatura, è vegetariano come tutte le altre scimmie, possiamo senz’altro scartare l’idea che la carne sia indispensabile alla nostra alimentazione di scimmie modificate (la genomica ci ha permesso di constatare che ben il 99 per cento del nostro Dna è esattamente identico a quello dello scimpanzé). Un terzo esempio può convincerci del tutto: basta ricordare che Leonardo da Vinci e Michelangelo erano vegetariani, e il loro cervello, stando a quello che hanno prodotto, si è sviluppato piuttosto bene". Un aneddoto sonoro Georg Friedrich Handel (1685-1759), autore di una vasta produzione comprendente concerti, opere teatrali e 23 oratori (poemi drammatici di argomento per lo più religioso, eseguito da voci soliste, coro e orchestra, ai quali l’impiego del coro e la monumentalità della costruzione conferiscono carattere di imponente grandiosità) era stato invitato un giorno da un lord inglese il quale, sapendo che il gran compositore tedesco amava il buon vino, gli fece gustare una qualità eccellente delle sue tenute. "Le piace, maestro?", gli domandò. "Non le sembra meraviglioso come uno dei suoi oratori, delle sue composizioni?". "Sì, sì", rispose Handel. "E’ un vino discreto". "Se non le piacesse, potrebbe scegliere qualche altro vino: ho del Tocai, del Porto, del Borgogna, del vino del Reno...". "Ebbene", concluse Handel, "li faccia venire tutti: non c’è oratorio senza un coro!".

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Le radici del Sud

Manuela Piancastelli

orgoglio Sud

L’ di stare a

toria, cultura, società, ricerca nel mondo del vino: obiettivi di una manifestazione molto più incentrata sulla cultura che sulla degustazione tout court, dal momento che di wine tasting ce ne sono tanti, forse ormai troppi in Italia. Parola di Antonio Del Franco, presidente dell'Ais Campania, che ha promossso e organizzato "Le radici del Sud", una manifestazione ideata fin dal 1998 da Vincenzo Ricciardi (consigliere Ais e past president dell'Ais Campania), giunta a fine marzo scorso alla sua terza edizione. Due giornate a Caserta, nello spettacolare scenario della Reggia vanvitelliana, per discutere fra produttori, enologi, sommeliers, appassionati, dei problemi del mondo del vino e in particolar modo di quelli legati ai cambiamenti climatici. Organizzato in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Artistici e Paesaggistici di Napoli e Caserta, a "Le radici del Sud" ha partecipato anche il presidente nazionale dell'Ais, Terenzio Medri. "Sono molto soddisfatto dei contenuti che sono emersi durante i convegni - spiega Del Franco ci sono stati tre-quattro momenti davvero molto interessanti, tanto che i dati e le proposte più innovative saranno utilizzati per una piccola pubblicazione e per un dvd". Centoventi aziende coinvolte, una selezione di cantine estere con banchi di assaggio per aree geografiche: Australia, Asia, Africa, Sud Europa, Americhe. Oltre, naturalmente, ai vini campani e del Sud Italia, selezionati dai presidenti Ais delle varie regioni. Un'idea di grande attualità, quella di puntare sui vini del sud del mondo, dove sono in atto trasformazioni vitivinicole di grande rilievo. Così che sono da considerarsi sfatati alcuni luoghi comuni secondo cui da Paesi del Sud Africa e Sud America verrebbero solo vini marmellatosi e costruiti per "piacere" ai degustatori americani. La vitivinicoltura è molto cresciuta e questi territori sono in grado di proporre anche vini di grande eleganza, come ha dimostrato Giovanni Ascione nel suo seminario su "Che tempo fa sui vini del Sud" mettendo a confronto vini di casa nostra con

S La Reggia di Caserta, o Palazzo Reale di Caserta, è una dimora storica appartenuta alla famiglia reale della dinastia Borbone di Napoli. Fu ultimata nel 1780 e conta 1200 stanze. Situata nel comune di Caserta, è circondata da un vasto parco costituito dal “giardino all'italiana” e dal “giardino all'inglese”. Il complesso del palazzo reale, con i suoi giardini è il più grande d'Europa ed è stato proclamato Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.

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vini tunisini, sudafricani, californiani, australiani. Accesi gli interventi (e le provocazioni) al forum dei produttori, condotto nel Teatrino di Corte da Luciano Pignataro, giornalista del Mattino, degustatore di vini e autore di numerose guide enogastronomiche, che ha stimolato - in una sorta di vero e proprio talk show - una serie di temi scottanti, primo fra tutti il futuro del vino campano dopo la generale "sbornia mediatica" degli anni Novanta. Un momento di grande crescita dell'immagine del vino alla quale però non è sempre seguita una coscienza - da parte dei produttori - della propria identità e una chiara idea del progetto da perseguire. Il vino, prima ancora che in cantina e in vigna, deve infatti esistere nella testa del produttore. Anche perché, negli ultimi quindici anni, è enormemente cresciuta anche grazie all'opera didattica dell'Ais - la coscienza del consumatore che, quando va in enoteca, sa esattamente quello che vuole e perché (vitigno autoctono, rapporto qualità-prezzo, conoscenza di un territorio, ecc.). Non sono mancate - nel corso del forum - provocazioni sui vitigni autoctoni e internazionali, tema che non va mai in pensione se si pensa che il dibattito veniva proposto già a fine Ottocento a Giuseppe Frojo, padre della moderna ampelografia, che suggeriva di espiantare molti vitigni autoctoni campani per impiantare varietà in grado di dare vini più competitivi sul mercato internazionale. Oggi sappiamo che la forza dell'Italia è proprio nella moltitudine di varietà, nella biodiversità e nella capacità di offrire in un mercato dal gusto complessivamente omologato - vini riconoscibili, territoriali e non in concorrenza con Paesi emergenti, dove la viticoltura ha costi molto più competitivi. Ma a fine Ottocento e ancora negli anni Sessanta, in Italia la politica agricola aveva cercato di ridurre drasticamente - in una poco lungimirante visione del mercato - la base ampelografica e varietale, quest'ultima mantenuta viva solo dalla testardaggine dei contadini che hanno tramandato, nella sola Campania, ben 80 varietà autoctone. Clima e vino: in un convegno, moderato dal giornalista della Rai Bruno Gambacorta, su come cambia l'enologia in relazione alle temperature, interventi di Nicola Trapani, docente dell'Istituto Agrario di Marsala, Luigi Moio, ordinario di Enologia dell'Università Federico II di Napoli e Gianni Fabrizio, responsabile settore vino Slow Food. Diverse tecniche enologiche per climi diversi, potrebbe essere la sintesi del dibattito. "Il caldo rende i vini più amari perché alcune sostanze come il resveratrolo si concentrano mentre può bloccarsi la sintesi di sostanze aromatiche", ha spiegato Luigi Moio. "Fare vini buoni, equilibrati, in ambienti caldi, quindi al Sud, è più difficile che al Nord; in ogni caso l'enologia si trova ad affrontare problemi completamente diversi" ha aggiunto. Gianni Fabrizio ha invece sottolineato l'importanza di una lunga fase fenologica nella maturazione dell'uva: "Estati come il 2007, anticipi di vendemmia, rischiano di non consentire ad esempio quelle escursione termiche tipiche di settembre che sono importantissime per una corretta maturazione delle uve. Perciò mi chiedo la ratio con cui, negli anni scorsi, si sono piantati tanto chardonnay e merlot, già precoci, in zone calde come la Sicilia. In realtà tutti sappiamo bene che è stato solo un modo per correre dietro a un mercato del vino omologato e americanizzato". Altri due seminari, "Vini del sud del mondo" (a cura di Nicoletta Gargiulo, primo sommelier d'Italia 2007 e Gianni Aiuolo) e "La vitivinicoltura nel Cile" (guidato dall'enologo cileno Carlo Torres) con il convegno "World sommelier association, Il concorso Miglior sommelier del mondo", hanno completato "Le radici del Sud" che si è concluso con una magnifica cena di gala all'Enoteca La Botte. "La mia idea è di rendere biennale questo appuntamento - commenta Antonio Del Franco - sempre concentrandolo su problematiche culturali e di attualità, senza tralasciare il momento delle degustazioni, anche queste però concepite come conoscenza e occasione di riflessione. E' la risposta che l'Ais Campania sente di dover dare in un momento difficile per la nostra regione, in un contesto a volte autoreferenziale, nel quale occorre mostrare tutta la maturità per diventare interlocutori privilegiati in situazioni cruciali, penso al ministero delle Politiche agricole, dalle quali è rimasta finora esclusa".

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Le radici del Sud

Emanuele Lavizzari

Campania: turismo, arte ed enogastronomia ANTONIO DEL FRANCO, PRESIDENTE DI AIS CAMPANIA STILA IL BILANCIO DELLA MANIFESTAZIONE ORGANIZZATA A FINE MARZO E GUARDA AL FUTURO CON PROGETTI NUOVI E AMBIZIOSI

Le Radici del Sud hanno rappresentato un evento che ha richiamato l’attenzione degli esperti e degli appassionati del “bere bene”, ma non sono mancati molti visitatori che hanno partecipato per curiosità. Un bilancio positivo della due giorni casertana, non è vero? “Assolutamente sì! Abbiamo avuto oltre mille visitatori, di cui il novanta per cento enoacculturati. In più un grosso successo per la presenza di etichette: più di trecento tra italiane e straniere. In ultimo, come era nei miei obbiettivi, un importante risultato nei contenuti dei seminari e dei convegni, che a breve verranno raccolti in una pubblicazione e in un cd”. La Reggia di Caserta non poteva essere miglior teatro per l’evento. Avete già in mente qualcosa per la prossima edizione? Può già svelarci qualche anticipazione? “Non ho mai avuto dei dubbi su una cornice di grande prestigio come quella della Reggia. Utile naturalmente anche all'immagine dell'Ais

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tutta. Voglio ricordare che Radici del Sud è un evento itinerante previsto ogni due anni. Abbiamo idee molto precise per il futuro, ma non voglio anticipare nulla per la prossima edizione. Sarà una piacevole sorpresa…”. È un momento particolare per la Campania: dopo l’emergenza rifiuti è arrivato l’allarme diossina. Tutto questo ha influito sulla vendita dei vini della regione? “In questo momento particolare per la nostra regione mi sembra che con Radici abbiamo messo sul piatto della bilancia un peso in più contrapposto al terrorismo mediatico dilagante. Durante l'apertura dell'area tasting la zona più visitata della Reggia è stata il vestibolo, proprio dove erano in degustazione i vini della Campania. Dimostrazione questa che il vino nel comparto agroalimentare della nostra regione è la punta di eccellenza e che per niente è stato scalfito da questa onda anomala che ci sta investendo”. È stata presentata ufficialmente

la nuova delegazione della Costiera amalfitana. Oltre a essere una nota di merito per l’Ais Campania è la conferma che il turismo, l’arte e l’enogastronomia rappresentano il miglior biglietto da visita della regione. Non è forse così? “Certo! E lo dimostra anche il fatto che sei tu a dirlo da visitatore della nostra regione. L'Ais non si poteva permettere di tralasciare una zona così importante, un tratto di costa che da secoli non ha mai smesso di attirare personaggi di assoluto rilievo alla ricerca di riposo e tranquillità, lontano dal caos delle città moderne”. Il numero dei sommeliers e degli aspiranti tali aumenta nella regione. Cosa si augura il presidente dell’Ais Campania? “Il mio augurio è che attraverso le idee e i progetti dell'Ais Campania i miei soci non siano considerati dei numeri, ma attori della crescita sociale, culturale e professionale della regione in un contesto mondiale”.



Degustazioni

Rosso di

Montalcino 2006: un’annata e un vino da scoprire di Franco Ziliani osa si può fare di meglio, per uscire dall’assurda situazione in cui i recenti scandali sui Brunello “taroccati” emersi con grande clamore alla vigilia del Vinitaly, hanno gettato il mondo del vino di Montalcino, una situazione d’incertezza, (per i danni subiti dall’immagine e dalla credibilità del celeberrimo vino Docg base Sangiovese) che preoccupa tanti produttori onesti e che rischia di sconcertare e allontanare dai vini di Montalcino i consumatori di tutto il mondo? Molto semplice, parlare dei molti vini, e sono la netta maggioranza, ai quali gli appassionati possono avvicinarsi in tutta fiducia, sicuri di non essere traditi, non solo dalla qualità dei vini che giustifica i prezzi spesso elevati, ma dalla piena corrispondenza dei vini, riportino Brunello di Montalcino o semplicemente Rosso di Montalcino in etichetta, al dettato del disciplinare, che parla di Sangiovese in purezza. Senza la stampella o l’aiutino di altre uve, siano autoctone oppure francesi. Ottimi vini sia nel caso del Brunello di Montalcino, che seppure condizionato da un’annata, quella 2003, non proprio classica e ideale per esaltare le doti di eleganza abbinate alla struttura tannica del Sangiovese, ha tirato fuori ottimi vini, sia nel caso dell’altro grande vino, non il “secondo vino” di Montalcino, che è il Rosso di Montalcino. Segnalo per inciso i Brunello 2003 che maggiormente mi hanno convinto. Innanzitutto i vini di Case Basse, Palmucci Poggio di Sotto, Giulio Salvioni e poi a seguire Il Colle, Villa a Tolli, Poggio dell’Aquila, Gorelli Le Potazzine, Pecci Celestino, Uccelliera, Col d’Orcia, Gianni Brunelli, Capanna, Tenuta di Sesta, Il Marroneto, Sesta di Sopra, Pinino, Citille di Sopra, Vasco Sassetti, Le Macioche. Sono però stati i Rosso di Montalcino, di quell’eccellente annata 2006 che ci regalerà grandi cose, tra tre anni (il tempo di lasciare maturare i vini in cantina e di goderci i vini dell’ottima annata 2004 e della più interlocutoria, ma valida, 2006), a costituire in questo momento per il consumatore, italiano ed estero, l’attrattiva più appealing, perché vini,

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nelle loro migliori espressioni, in grado di rendere perfettamente omaggio al génie du terroir di Montalcino, alla personalità del Sangiovese che cresce qui. Il tutto con un rapporto qualità-prezzo che, in molti casi, è straordinario. Il Rosso, ricordiamolo, nasce dalle stesse uve del Brunello, ma con un affinamento minore visto che l’immissione al consumo è possibile dal settembre dell’anno successivo alla vendemmia. In altre parole, come qualcuno ha ben scritto, “il Rosso di Montalcino Doc ha uve e metodi agronomici ed enologici simili al Brunello ma si differenzia da questo soprattutto nell’invecchiamento, limitato ad un solo anno, e nella gradazione minima che è 12 gradi”. E’ un vino che si presenta meno strutturato e meno invecchiato del Brunello, più pronto alla beva. Nel contenitore Rosso di Montalcino ci sono tante cose e tante sensibilità diverse, da vini molto semplici giovani beverini a vini più strutturati e di maggiore impegno, da vini affinati in acciaio e commercializzati dopo 15 mesi o poco più dalla vendemmia, a vini, affinati in legno che vengano imbottigliati 20 mesi dopo e che si propongono come dei Brunello in miniatura. Tra questi il campione assoluto è il vino di Piero Palmucci, dell’azienda Poggio di Sotto, che non era presente a Benvenuto Brunello e di cui ho avuto modo di gustare, al Vinitaly, l’annata 2005, da poco commercializzata mentre gli altri stanno proponendo l’annata 2006. Alla presentazione, a fine febbraio 2008, delle nuove annate dei vini di Montalcino (Brunello 2003 e Rosso 2006, ma qualche azienda ha proposto in degustazione ancora i 2005) molti Rosso di Montalcino 2006 mi hanno letteralmente conquistato e offerto prova di una piacevolezza, di un equilibrio, di una succosità, di una capacità di rispecchiare l’eleganza del Sangiovese e la struttura salda dei terroir di Montalcino da lasciare letteralmente incantati. Ecco, in queste note di degustazione che seguono, il racconto, in sintesi, dei vini che mi hanno maggiormente convinto e di cui vi consiglio caldamente l’acquisto.


DEGUSTAZIONI Rosso di Montalcino 2006 Rosso di Montalcino 2006 Azienda agricola Il Colle Seguita tecnicamente dal più grande palato del Sangiovese, Giulio Gambelli, Il Colle è ormai diventata un’azienda di riferimento a Montalcino, sia con il Brunello sia con il Rosso. Lo conferma questo Rosso 2006, colore rubino squillante e profondo, naso fresco vivo, elegante, sapido e minerale con bella articolazione aromatica, dotato di una struttura salda al palato, con tannino nervoso, carattere fresco vivo scattante, di gran nerbo con lunga persistenza e carattere.

Rosso di Montalcino 2006 Pinino Dal 2004 proprietà delle famiglie spagnole e austriache Hernandez e Gamon e una fra le prime ad essere iscritte all’albo dei vigneti dei produttori di Brunello di Montalcino, Pinino, 16 ettari vitati posti sulla collina di Montosoli, a nord di Montalcino, si propone con un eccellente Rosso affinato in botti di rovere di Slavonia. Colore rubino violaceo squillante presenta un naso vivo, molto fresco giocato su note floreali e selvatiche ben articolate che variano da una leggera speziatura alla macchia mediterranea. In bocca è ricco, succoso con salda struttura terrosa e bella persistenza. www.pinino.com

Rosso di Montalcino Capanna 2006 Azienda storica della parte nord di Montalcino Capanna conta su una quindicina di ettari vitati e produce vini di stampo classico. Lo conferma questo eccellente Rosso, fermentato in tini di rovere di Slavonia e affinato in botti grandi per un anno, dal bellissimo colore rubino violaceo vivo, dal bouquet fragrante e pimpante di fragola e ciliegia, con grande freschezza ed energia. In bocca é sapido, minerale, vivo ben polputo e succoso, ricco nerbo e molto persistente. Ancora molto giovane con ottimo potenziale di evoluzione.

Rosso di Montalcino 2006 Mastroianni Azienda ormai classica del panorama ilcinese, dotata di una ventina di ettari a vigna, collocati nel versante sud est di Montalcino, propone da sempre un Rosso di stampo classico, disponibile in quantità rilevanti (25 mila bottiglie di media) affinato in botti di rovere della Stiria per 7 mesi, seguiti da un’ulteriore fase di riposo in bottiglia. Ottimo questo 2006, colore rubino brillante pimpante, naso vivo compatto cremoso di bella dolcezza e plasticità, carnoso, succoso e dotato di polpa croccante, grande carattere e personalità al gusto, lungo, pieno e persistente. www.mastrojanni.com

Rosso di Montalcino 2006 Quercecchio Proprietà della famiglia Salvioni da cinque generazioni per questa azienda di una dozzina di ettari posta in media collina, sulla parte sud di Montalcino che degrada verso la Maremma Salvioni. Il Rosso 2006, affinato in botti di rovere di Slavonia da 30-50 ettolitri per un anno si propone con colore rubino violaceo brillante, naso fresco, fragrante cremoso, con sfumature di viola e sottobosco. Al gusto è ben sapido, lineare di bell'equilibrio tra frutto e tannini, croccante e pieno di energia. www.quercecchio.it

Rosso di Montalcino 2006 Gianni Brunelli Da vigneti, poco più di cinque ettari, provenienti da zone diverse di Montalcino questa azienda piccola ma agguerrita produce ogni anno un Rosso di riferimento, affinato per 8 mesi in botti di rovere da 30 ettolitri e dotato di un’ottima evoluzione nel tempo. L’edizione 2006 si propone con un colore rubino brillante di bellissima vivacità e luminoso, naso fresco e vivo, molto sapido, con note di mazzetto odoroso, ciliegia, liquirizia e pepe ad inseguirsi. Al gusto é succoso, ben polputo, dotato di una grande materia ricca e persistente. www.giannibrunelli.it

Rosso di Montalcino 2006 Lisini Azienda storica di Montalcino, tra le più rappresentative del panorama del Brunello, Lisini è anche una delle realtà più importanti del Rosso, da uve provenienti dall’area sud tra Sant’Angelo in Colle e Castelnuovo dell’Abate. Affinato per sei mesi in botti di rovere di Slavonia da 11 a 40 ettolitri, il Rosso 2006 si propone con colore rubino intenso profondo, naso fitto, molto compatto, cremoso di grande densità, frutto succoso al gusto, ben polputo e carnoso, strutturato e molto persistente, ma vivo con grande freschezza e sapidità. www.lisini.com 41


Degustazioni

Rosso di Montalcino 2006 Siro Pacenti Ottimo brunellista di stile moderno, forse il migliore, ma anche grande grossista Giancarlo Pacenti, abilissimo a esaltare l’eleganza delle uve provenienti dai curatissimi venti ettari di proprietà e a firmare vini di grande personalità. Questo Rosso 2006, ancora giovanissimo, si presenta con un colore rubino fitto di grande intensità e brillantezza, con un naso denso e cremoso, con note di viola e sottobosco e spezie in evidenza e al gusto con tannini che mordono ancora ma grande eleganza e stoffa e lunga persistenza.

Rosso di Montalcino 2006 Col d’Orcia Azienda storica di dimensioni importanti (142 ettari di cui oltre 100 a Sangiovese) Col d’Orcia ha sempre saputo abbinare la quantità (circa 250 mila le bottiglie di Rosso) a una qualità impeccabile. Da uve provenienti dalla località di Sant’Angelo in Colle, su terreni esposti a sud a 300 metri di altezza, nasce questo Rosso 2006, affinato 12 mesi in botti di rovere di Slavonia tra i 25 ed i 75 hl e in parte in barriques, color rubino violaceo intenso naso vivace, fitto, consistente giocato su note di frutta succosa e venature selvatico pepate, terroso al gusto, con bella polpa carnosa, ricca, consistente e salda struttura. www.coldorcia.it

Rosso di Montalcino Ignaccio 2006 Il Marroneto E’ da sempre l’eleganza il carattere distintivo di questa piccola azienda, cinque ettari scarsi e una produzione intorno alle 30 mila bottiglie, condotta con ogni cura da Alessandro Mori. Lo conferma questo ricco Rosso 2006, affinato per circa un anno in botti di rovere da 25 ettolitri, che si presenta con un colore violaceo di notevole intensità, naso compatto e quasi “misterioso”, con sfumature selvatiche e minerali, una bella consistenza e cremosità di frutto al gusto, con spiccato carattere terroso e tannini ben saldi. www.ilmarroneto.it

Rosso di Montalcino 2005 Capanna Grande personalità e splendida forma anche per la versione 2005 del Rosso di Patrizio Cencioni! Un vino che comincia ora ad esprimersi e darà grandi soddisfazioni a lasciarlo ancora affinare in cantina. Bellissima vivacità di colore, rubino luminoso squillante, propone un naso fresco, vivo, fragrante, sapido, con ampio bouquet aromatico, e si dispone vivo, energico, ampio, con una vena lunghissima verticale, grande energia e una vena minerale precisa e salata al gusto.

Rosso di Montalcino 2006 Lambardi Canalicchio di Sotto Sette ettari vitati e una produzione di poco superiore alle ventimila bottiglie per questa azienda che elabora vini da uve provenienti da vigneti posti a 350 metri di altezza su terreni tufacei. Questo bel Rosso, affinato per sei mesi in botte di rovere di Slavonia da 30 ettolitri, si propone con bella vivacità di colore, brillante e luminoso, naso fresco vivo floreale, un gusto “croccante” sapido e incisivo, con un bel tannino, ben sottolineato nerbo minerale, lungo carattere e grande piacevolezza. www.lambardimontalcino.it

Rosso di Montalcino 2006 Tenuta di Sesta Posta nella zona sud di Montalcino tra Sant'Angelo in Colle e Castelnuovo dell'Abate, e dotata di una trentina di ettari vitati, questa tenuta, proprietà della famiglia Ciacci, propone vini di saldo carattere e grande equilibrio. Lo conferma questo Rosso 2006, affinato dieci mesi in botti di rovere di Slavonia da 20 ettolitri. Grande intensità di colore rubino luminoso brillante, presenta un naso fitto, carnoso di grande ampiezza, un gusto pieno, con stoffa e grande dolcezza di frutto, tannino saldo, con carattere e lunga persistenza. www.tenutadisesta.it

Rosso di Montalcino 2006 Gorelli Le Potazzine Solo una quindicina di anni di storia per questa azienda della famiglia Gorelli, che conta su 7 ettari vitati e una produzione intorno alle 40 mila bottiglie, ma già un ruolo importante nel panorama produttivo di Montalcino. Ottimo il Brunello, tra i migliori anche con l’annata 2003, ed eccellente questo Rosso 2006, prodotto con una fermentazione lunga e affinamento in botti di rovere di media capacità. Colore rubino violaceo brillante, naso fresco vivo succoso di bella consistenza e carattere, con note di ciliegia e di rosmarino e spezie in evidenza, succoso e ben polputo al gusto, con spiccato carattere terroso lunga persistenza e ricchezza di sapore.

Rosso di Montalcino 2006 Tenute Silvio Nardi Azienda importante e storica, 80 ettari di superficie vitata, posta sui versanti est e ovest di Montalcino, con il centro aziendale situata nell’areale di Casale del Bosco e una collaudata abilità a produrre vini di grande equilibrio e piacevolezza. Lo conferma questo Rosso, ottenuto dalle uve dei vigneti più giovani di Sangiovese, affinato per circa un anno in legni di diversa capacità, dal colore molto bello e vivo, bouquet elegante, floreale pimpante, con note di lampone e ciliegia in evidenza, sapido, nervoso di grande freschezza, con finale lungo vivo e sapido e grande equilibrio. www.tenutenardi.com 42


Rosso di Montalcino Ginestreto 2006 Fuligni Piccola azienda, una diecina di ettari, situati in località “I Cottimelli” a un’altitudine intorno ai 400 metri, posti sul versante orientale di Montalcino, storicamente la zona più classica del Brunello per Fuligni e una tradizionale capacità di produrre Rosso, 10.000 bottiglie circa, affinato in parte, per circa sei mesi in tonneaux di Allier di media tostatura, di tutto rispetto. Lo conferma questo 2006, colore molto intenso, naso profondo e fitto, ancora giovane, con prevalenza di note di prugna, accenni selvatici e terra, molto succoso ben polputo, rotondo al gusto, con spalla e carattere. www.fuligni.it

Rosso di Montalcino 2006 Il Poggione Azienda storica e classica di Montalcino, che abbina sapientemente produzioni importanti (150 mila le bottiglie di questo Rosso) a una qualità affidabile e a un prezzo equilibrato. Da oltre cento ettari di proprietà, in larga parte posti nell’area a sud di Montalcino di Sant’Angelo in Colle, nasce questo Rosso 2006, affinato per un anno in botti di rovere e in barrique, colore rubino violaceo intenso, naso scattante profondo molto variegato di ampia tessitura, dotato di una bocca piena e succosa e polputa, salda struttura, lunga persistenza ed un finale vivo e pieno di sapore. www.tenutailpoggione.it

Rosso di Montalcino 2006 Azienda agricola Uccelliera Poco più di vent’anni di storia per questa piccola azienda (6 ettari vitati) posta nella splendida area di Castelnuovo dell’Abate a sud est di Montalcino e a poca distanza dall’Abbazia di Sant’Antimo, ma già idee chiare e risultati sempre più convincenti. La dimostrazione viene da questo Rosso, affinato per otto mesi in botti di rovere di Slavonia e francese, molto giovane e destinato a una bella evoluzione nel tempo, colore rubino intenso, naso carnoso pimpante di grande tessitura e ricchezza, molto sapido equilibrato consistente al gusto, con bella dolcezza di frutto e uno spiccato carattere terroso sul finale. www.uccelliera-montalcino.it

Rosso di Montalcino 2006 Azienda agricola Collosorbo Posta nella zona di Castelnuovo dell’Abate e dotata di 23 ettari vitati, questa azienda produce vini di stile moderatamente tradizionale e di buona complessità, come dimostra questo Rosso quasi da “invecchiamento” affinato per dieci mesi in botti di rovere di capacità variante tra i 10 ed i 45 ettolitri. Il vino si presenta con bellissima vivacità di colore brillante e intenso, naso fitto e compatto giocato su note selvatico speziate, un gusto ricco di sapore, con salda struttura tannica, finale fresco e vivo e acidità scattante a ravvivare la materia. www.collosorbo.com

Rosso di Montalcino 2006 Caprili Giusto trent’anni di storia per questa azienda di medie dimensioni (una dozzina gli ettari vitati) posta a sud-ovest del territorio di Montalcino, a un chilometro dalla Pieve di Santa Restituta sul pendio della collina che scende verso l’Orcia e l’Ombrone. Azienda e stile tradizionale, come dimostra questo bel Rosso affinato sei mesi in acciaio e sei mesi in botti di rovere di Slavonia. Colore rubino di bellissima vivacità e brillantezza, mostra un naso fresco vivo, pimpante e “ciliegioso”, molto fragrante. In bocca l’attacco é vivo e il vino si sviluppa al gusto succoso, ben polputo, lungo e pieno, con saldo nerbo terroso e carattere. www.caprili.it

Rosso di Montalcino 2006 Brunelli Cinque ettari di vigneto situati nel versante sud ovest per questa piccola azienda dalla produzione contenuta in circa 25 mila bottiglie. Il Rosso nasce da uve provenienti da un vigneto posto a 250 metri di altezza, affinato per tre mesi in botti di rovere di Slavonia e una parte in barrique e si presenta con colore vivo brillante luminoso, naso fresco, sapido croccante ed espansivo, con uno spiccato gusto selvatico terroso di bella freschezza e nerbo, con un finale lungo e vivo minerale e sapido. www.tenutabrunelli.com

Rosso di Montalcino 2006 Sesta di Sopra Piccola realtà di 2 ettari e 300 posta a sud di Montalcino Sesta di Sopra propone vini di sicura personalità. Lo conferma questo Rosso, affinato per circa un anno in barrique, dal colore fitto profondo, dal naso carnoso, effusivo di bella precisione e dolcezza, giocato sul frutto, come appare al gusto, molto succoso equilibrato, piacevole lungo con tannini levigati e grande equilibrio. www.sestadisopra.it

Rosso di Montalcino 2006 Argiano Storica grande azienda di Montalcino, Argiano ha sempre proposto dei Rossi di bella personalità. Lo conferma questo 2006, colore molto intenso, naso fitto e maturo giocato su note vegetali floreali selvatiche che prevalgono sul frutto, carnoso consistente terroso molto saporito, con una leggera nota pepata e un tannino ben sottolineato al gusto. www.argiano.net 43


Whisky

Whisky, il simbolo della Scozia di Stefano Tura*

IN

ALCUNE ZONE SI CONSUMAVA

TRE VOLTE AL GIORNO.

COME

TONIFICANTE DI PRIMA MATTINA, CON IL PASTO E PER INTERROMPERE LA GIORNATA DI LAVORO oro non si considerano britannici e tantomeno cugini degli inglesi. Loro, gli scozzesi, una bevanda nazionale ce l’hanno e se la tengono bene stretta visto che rappresenta una percentuale molto alta dei 130 miliardi di dollari del prodotto interno lordo nazionale. Se chiedete, in ogni parte del mondo, a cosa vi fa pensare la Scozia, taluni risponderanno certamente il tartan (il famoso tessuto a quadri con cui vengono confezionati i kilt), altri, più colti, Maria Stuarda. Ma la risposta che tutti daranno sarà: il whisky. La Scozia è un Paese affascinante, dove il clima imprevedibile (e soprattutto incostante) ha plasmato la gente che ha sempre dovuto lottare per la sopravvivenza. Uomini fieri, di antico retaggio, dai giusti valori di generosa ospitalità e, allo stesso tempo, gente parsimoniosa per necessità ambientali. La storia della Scozia è ricca di lotte contro gli invasori e di battaglie tra clan per la supremazia territoriale. Il fedele compagno degli scozzesi è, da quasi un millennio, il whisky di malto. Il termine deriva dalla modifica inglese del gaelico "uisge beatha", che significa acqua vite. In origine era spesso molto corposo, forte, fumoso e greve. A ogni distillazione il risultato era disuguale. Questa bevanda aveva una sorprendente gamma di applicazioni pratiche.

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Ottima contro il freddo, preparava il viaggiatore al suo impegno ed era pronta a rifocillarlo al termine del viaggio. Era presente durante gli incontri sociali e sigillava gli accordi di lavoro. Il whisky era inoltre utilizzato contro la febbre, usato come anestetico durante le nascite, come "fortificante" prima delle cruenti battaglie e per disinfettare le ferite. Nelle Highlands, le terre alte della Scozia, il whisky si consumava tre volte al giorno. Come tonificante di prima mattina, con il pasto e per interrompere la giornata di lavoro. Il primo documento scritto sulla distillazione del whisky è del 1494 e riguarda una consegna a frate John Corr di Perth di una certa quantità d'orzo da distillare per produrre 12mila bottiglie di uisge beatha. L'ordine veniva da re Giacomo IV di Scozia. La storia procede nei secoli successivi con varie vicende, dall'introduzione, a partire dal Seicento, di varie tasse sulla distillazione fino alla proibizione della produzione privata e al conseguente fenomeno del contrabbando, a metà del Settecento. A quei tempi il malt whisky era prodotto con attrezzature primitive e poco funzionali. Erano, pertanto, necessarie distillazioni aggiuntive per affinare il prodotto che raramente veniva invecchiato. Oggi la duplice distillazione è considerata sufficiente per ottenere un ottimo risultato atto all'invecchiamento. Il single malt è sicuramente il più tradizionale, ed è considerato da molti estimatori il whisky scozzese per eccellenza. Per fregiarsi del titolo di “Scotch” deve essere stato prodotto e fatto invecchiare per almeno 3 anni esclusivamente in Scozia. Per produrlo bisogna innanzitutto immergere l'orzo in vasche d'acqua per 2 – 3 giorni in modo da ottenere la maltazione: viene fatto germinare, quindi tostato in appositi forni spesso alimentati con la torba, un combustibile naturale che con il suo fumo aggiunge un aroma particolare ai cereali. Il malto d'orzo viene tritu-


rato e miscelato con acqua bollente, trasformando l'amido in esso presente in mosto, che viene posto in vasche di fermentazione con l'aggiunta di un particolare lievito che favorisce il processo di conversione in alcool del mosto stesso. A questo punto viene effettuata la distillazione: il liquido viene fatto bollire in appositi recipienti in rame (denominati Pot Stills) dotati di un lungo tubo che permette di convogliare i vapori sprigionati e di farli condensare; l'operazione è quindi ripetuta una seconda volta in un recipiente diverso. Il distillato così ottenuto viene posto ad invecchiare in botti di quercia appositamente selezionate, che spesso sono già state utilizzate per contenere sherry o altri superalcolici, per un periodo variabile dai 5 agli oltre 25 anni. Attraverso i pori del legno, il whisky evapora nella misura del 2 per cento del suo volume ogni anno. Sempre attraverso il legno, inoltre, il whisky respira l'aria del luogo dove sta la distilleria ed è influenzato dal microclima locale. E' in questo modo che assorbe, per esempio, il profumo del pino oppure d'alga e sale, quando la distilleria si trova in riva al mare. Alcuni produttori imbottigliano una miscela di whisky di diverse annate; in questo caso, sull'etichetta viene riportata l'età del whisky più “giovane”. L'aroma di uno Scotch cambia notevolmente a seconda delle zone di produzione e delle variabili introdotte dalle singole distillerie. Gli estimatori più esigenti amano bere particolari varietà di whisky “single cask” ossia ottenuti da una particolare botte marchiata e numerata dal produttore, in modo da assicurare una continuità pressoché perfetta di profumo e sapore. Contrariamente ai prodotti di più ampia diffusione commerciale che vengono solitamente diluiti e filtrati per ridurne la gradazione alcolica e renderne il sapore più gradevole alla maggior parte dei consumatori, il single malt è un whisky “puro”, imbottigliato direttamente

dopo la fine dell'affinamento in botte, dal sapore forte e impetuoso, che va gustato seguendo particolari accorgimenti per consentire la giusta ossigenazione ed evitare che chi lo degusta ne percepisca soltanto il forte tasso alcolico, spesso superiore al 60%. Le distillerie di single malt in Scozia sono oltre cento, suddivise tra highlands, lowlands e isole. Difficile stilare una classifica dei migliori whisky scozzesi visto che è quasi sempre il gusto personale ad imporre le scelte. Il “Glenmorainge”, ad esempio, che in gaelico significa terra dei grandi prati, è distillato a Tain, nella contea di Ross-Shire, dal 1843. E’ famoso in tutto il mondo ed è presente sul mercato internazionale con distillati di 10, 18 e 25 anni. L’acqua del Mare del Nord che circonda l’isola di Skye è il segreto del gusto prezioso del “Talisker”, single malt prodotto dal 1830 e lasciato riposare nelle botti dai 10 ai 25 anni. Chi ama invece l’intenso sapore e profumo della torba non può non apprezzare il “Laphroaig”, considerato uno dei più forti whisky scozzesi, distillato sull’isola di Islay, al largo della costa ovest della Scozia dal 1815. In commercio si possono trovare alcune rare bottiglie invecchiate 40 anni il cui contenuto, assicurano gli esperti, ha lo stesso flavour del whisky di cento anni fa. Ma è viaggiando tra le splendide e desolate valli scozzesi, nelle alte terre del nord, dove il vento e la pioggia ti sferzano il volto, che si capiscono fino in fondo la forza e il potere del whisky. Ed è solo allora che puoi sentire, nell’aria, lo spirito da “braveheart” (cuore impavido) di un popolo ricco di orgoglio. * Corrispondente del Tg1 da Londra


Economia

Daniele Urso

Vino italiano,

export

col vento in poppa QUELLO

EMERSO DALLE

ANALISI PRESENTATE AL

VINITALY

È UN QUADRO SUL VINO ITALIANO CHE PARLA DI UN SETTORE IN FORTISSIMA EVOLUZIONE.

NEL 2007

SONO

DIMINUITI I CONSUMI NEL NOSTRO

PAESE,

MA L’EXPORT È ANDATO

A GONFIE VELE.

E

NEL

RAMO DEL BIOLOGICO, L’ITALIA È LA PRIMA

POTENZA

46

EUROPEA.

“Nemo propheta in patria” scrivevano gli evangelisti e citavano i latini. “Nessuno è profeta in patria”, un detto che si applica bene all’ultimo mercato del vino nostrano. L’amato figlio di Enotria in Italia fa fatica, o più precisamente registra una flessione nei consumi, ma all’estero piace, e tanto. E’ questa la summa dei dati presentati questo aprile dalla Cia, la Confederazione italiana agricoltori, in riferimento a tutto il 2007. Di negativo per i produttori c’è che in Italia in termini assoluti si beve meno vino. La flessione di oltre 5% delle vendite rispetto al 2006 non è un dato confortante, ma dipende anche dalla congiuntura economica non propriamente favorevole. E’ però un dato di fatto che dai 55 litri annui di consumo procapite del 2000, si sia scesi fino ai 46 del 2006. La crisi (sempre che di crisi si possa parlare) però non tocca tutto il comparto. Se si analizzano infatti i dati con più attenzione si nota che a fronte del calo del 5.4% nelle vendite (alcune stime riportano però anche un calo di 6 o 7 punti percentuale), la flessione in termini di valore è solo del 2%. Vediamo così che a essere colpiti sono soprattutto i vini sfusi, che registrano una flessione del -14% in quantità di acquisti e del -11% in valore. Reggono, invece, i vini Docg e Doc che limitano il decremento nelle vendite a un tollerabile -0.4%, a fronte, però, di un aumento degli acquisti in valore pari al 3.2%, dipeso in parte anche dagli aumenti di prezzi. In parole povere, si beve di meno, ma con più attenzione per i prodotti tutelati dai disciplinari e che vengono percepiti dal consumatore come vini “di qualità”. Secondo le rilevazioni di IRI Infoscan, in Italia nel 2007 si sono venduti 7 milioni di ettolitri di vino confezionato, per un controvalore di 1.5 miliardi di euro. Il 60% di questo vino passa dalla grande distribuzione, che il consumatore, almeno in termini quantitativi, continua a preferire ai piccoli esercizi. La Gdo infatti non ha risentito della flessione nelle vendite del comparto vino e ha aumentato le proprie quote di mercato registrando nel 2007 un incremento delle vendite del 6.4% e una aumento in termini di valore del 6.7%. Il formato preferito resta quello classico da 0.75 litri (il 66% del valore delle vendite globali del vino) e di queste bottiglie il 90% è rappresentato da vini a denominazione d’origine, non solo Docg e Doc, ma anche Igt. I vini considerati di fascia alta (oltre i sette euro) hanno visto aumentare le proprie vendite del 15.1%, sebbene il 60% dei vini acquistati nella Gdo continui ad avere un prezzo mediamente inferiore ai 3 euro. La lieta novella viene però dal capitolo export. Se in Italia si beve meno ma, come abbiamo visto, si beve un po’ meglio, o comunque con un po’ più d’attenzione, all’estero la passione per il made in Italy continua ad aumentare. E questo, nonostante il rafforzamento dell’euro sulle altre valute. Nel 2007 sono stati esportati nel mondo oltre 19 milioni di ettolitri di vino italiano, per una cifra che ha superato i 3.5 miliardi di euro. Dati importanti in termini assoluti, ma ancora più impressionanti se si tiene conto del solo incremento delle esportazione nel 2007. Rispetto all’an-


Esportazioni del vino italiano* (dati 2007 forniti dalla Confederazione italiana agricoltori) Unione Europea

+ 7.1%

Est Europa

+47.3% +8%

Medio Oriente

+9.7%

Asia

+14%

Oceania Totale mondo

*Variazioni rispetto al 2006

Stati Uniti

+23.2% +7.8%

no precedente l’aumento del flusso esportativo è stato di circa 2 milioni di ettolitri che sono valsi all’Italia una quota di mercato mondiale del 18%. E in questo caso, la congiuntura economica c’entra ben poco, visto che la Francia in oltre un decennio ha perso il 7% della sua quota di mercato (dal 42% al 35%), non riuscendo a far fronte all’aggressività dei nuovi produttori del vino (Usa, Australia, Sud Africa, Cile e Argentina su tutti). Nonostante il dollaro debole non aiuti gli americani, le vendite del vino italiano negli Stati Uniti, che entro due anni diventeranno il maggior consumatore al mondo, hanno registrato un confortante +8% (2.5 milioni di ettolitri in più) per un valore record di 830 milioni di euro. Molto bene i dati anche sul fronte russo, dove c’è sempre più richiesta di qualità enologica: +19% (283mila ettolitri) in quantità e +43% in valore (57.7 milioni di euro) per i nostri vini. A far lievitare il quadro complessivo dell’export sono stati anche gli ottimi risultati ottenuti in Asia. Detto della Russia, l’export in Cina ha registrato un incremento del +55% in valore, pari a 15 milioni di euro. Bene anche Hong Kong, (+35% in valore, pari a 6.6 milioni di euro), l’India (+13%, pari a 1.6 milioni di euro) e il Giappone, da sempre grande estimatore del made in Italy (+1.2%, pari a 100.6 milioni di euro). Migliora la posizione italiana anche in Sud America, nonostante la concorrenza di Argentina e Cile. A dimostrarlo i dati che riguardano il Brasile, dove il vino italiano nell’ultimo triennio ha aumentato le sue esportazioni del 55% (+29.4% solo nel 2007) per un fatturato che ha raggiunto i 6.6 milioni di euro. Una curiosità: il 73% delle nostre esportazioni nel più grande mercato sudamericano (e decimo al mondo) sono Lambrusco. Un capitolo a parte sembra meritare il comparto italiano del biologico, che si è dimostrato leader in Europa. Secondo i dati di Coldiretti in Italia i vigneti biologici coprono 34mila ettari e producono quasi la metà del vino biologico del vecchio continente (Francia e Spagna hanno 15mila ettari a testa). Le aziende nostrane interessate sono circa diecimila che trasformano l’uva in vino in quattromila cantine. Il biologico tira per lo più nel centro e nel sud Italia, dove la Sicilia (28%) fa la parte del leone davanti ad Abruzzo (12%) e Toscana (11%). E il futuro? Visti i dati dell’ultimo esercizio, pensare a un futuro rosa per il vino italiano non è impossibile (scandali permettendo). Bisogna però fare attenzione, come ha evidenziato l’ultimo rapporto Nomisma sul wine marketing. La sfida lanciata dall’emisfero Sud del mondo è seria. L’Australia ha raggiunto il 9% di quote mercato globale e Cile, Usa, Sud Africa e Nuova Zelanda insieme sono passate dall’11 al 22%. L’Italia, come già detto, è stabile al 18%, ma la globalizzazione ha fatto nascere nel resto del mondo la convinzione di poter competere alla pari in fatto di vino con il vecchio continente. La prossima minaccia? In termine di quantità la Cina, dove la superficie coltivata a vino è cresciuta nell’ultimo decennio del 200%, coprendo un territorio pari alle produzioni di Usa e Australia. 47


Nuove tendenze

Roberto Bellini

Quest’estate andiamo in…

bianco! VINI

SAPIDO-FRESCHI, LUCCICANTI E PAGLIERINI NEI MESI PIÙ CALDI DEL

“Senti l'estate che torna/ Senti con tutti i suoi sogni/Senti l'estate che torna/Tra noi!”. Nel 1968 le Orme esplosero con questo refrain: oggi un cult assoluto. Era il 1957 quando dai racconti di William Faulkner fu tratto il film “La lunga estate calda”, interpretato da Paul Newman e Joanne Woodward. Il Mississipi è lo sfondo di un leit-motive intriso di carne, sesso e denaro; l’arsura di quell’afa era affogata in bevande alcoliche e non. Oggi non è cambiato molto, in certe riviere carne, sesso e denaro tengono ancora banco; l’afa s’affoga in bibite e bevande diverse, in più c’è l’etilometro e un convincimento: don’t drink & drive. Una lunga estate calda ci attende, forse il calor del sol non si farà subito vino, ma sarà sicuramente uno degli attori principali … giunto all’umor delle notti areniliche, tra il solleone e l’equinozio. Il vino bianco sarà il re della cani48

cola, il suo ri-boom non ha ostacoli, il popolo dei twentyager è affascinato dal nuovo luccicante paglierino dei vini sapido/freschi, dai profumi allontanatisi dal verde vegetale, dal tono ammorbidito dai passaggi in legno o da una abbronzatura dell’acino in vigna. La tendenza stravolgerà l’abitudinarietà di slogan tipo: “per quest’anno non cambiare, stessa spiaggia stesso mare”, ogni riviera si sceglierà il motivetto enologico. In Liguria, dopo l’occupazione da parte del Vermentino, esploderà il Pigato: “Pigau”. Il vino è intriso dei profumi dei fiori bianchi primaverili dell’entroterra, con note di pesca e sapidità d’alga marina. La novità è la Cooperativa Viticoltori Inguai, rinomata per la sua ricerca dentro la purezza dell’uva, le aziende consolidate sono Antonio Basso e Riccardo Bruna, il gran patron è ancora Cascina Feipù. La riviera Toscana borbotta, in

2008

Versilia dominerà il frizzante, quello traditional; il nuovo è l’Albariño, dalla Galizia, dà vino dal gusto minerale e iodato, ha conquistato l’abbinamento con le crudità di mare e Adegas Valmiñor e Condes de Albarei lo rappresentano al meglio. Per il resto tantissimo Muller-Thurgau e una rinascita: Montecarlo Bianco dalla Fattoria Michi. A Sud brillerà briosamente il Vermentino di Bolgheri by Antinori e quello di Montecucco, il Melacce di Colle Massari. Nelle spiagge del Lazio l’osservazione sul vino è in due atti. Il primo, quello residenziale, s’affida al consolidato Cerveteri Bianco, un vino traghettatore di un gusto semplice e sfiziosamente verdognolo, ottimo per accompagnare pescetti e carciofi. Il secondo atto è abbinato al tradizionale “fuori porta” marinaro, qui ecco apparire il ghiacciatissimo Frascati spumante della Cantina Silvestri.


I rivieranti della Campania hanno un’aurea cosmopolita, panfili e yacht internazionalizzano l’idea del vino bianco. A terra l’eleganza del Furore Bianco si lascia affiancare dal Ravello. Questa estate ci sarà la caccia al tesoro enologico del Beneventano, tutti alla ricerca degli indizi per degustare il Fontanavecchia di Torrecuso, da uva Falanghina e sette anni di cantina, e il gusto direte voi? Tutti i tesori sono segreti, sarà emozionante carpirne l’essenza attraverso la sua scoperta. La Basilicata ha lidi eleganti. Nella parte tirrenica c’è la novità delle uve bianche che vengono dal “freddo”; Muller-Thurgau e Gewurztraminer si sono sciolte in una miscela elegante, ricca di profumi e di sapidità, acuta intuizione di Terra degli Sevi, poi ci sarà anche il classico Fiano dell’Azienda Paternoster. La parte Jonica accoglierà i vini della nuova doc Matera, il cui Greco offre spunti d’eccellenza al profumo e un equilibrio gentile al gusto, l’Azienda Aragone è un ottimo punto di analisi. La Calabria mi è nel cuore per la strepitosa salsiccia di tonno di Ercole a Crotone. Terra carica di profumi di boschi d’alta quota che scivolano nel salmastro dello Ionio e del Tirreno e si ritrovano nel gusto dei bianchi estivi. Il Mantonico sarà l’uva d’Agosto, Statti e Librandi sono ottimi interpreti. Il Critone (Sauvignon/Chardonnay) furoreggerà ancora nelle scelte dei turisti alloctoni. In Sardegna nelle estati del secondo millennio avanti Cristo nacquero i Nuraghes, nel secondo dopo Cristo, il Nuragus di Cagliari si appresta a dissetare i bagnanti. Il vino ha profumo di acacia e citronella, gusto rinfrescante, di mela freschissima, corpo leggero; alle storiche cantine Argiolas e Santadi s’è affiancata la Cantina di Pala, che offre anche un Vermentino di Sardegna, lo “Stellato”: di nome e di fatto. Il Nord è dominato dalle bollicine e dal Vermentino; le scoperte sono Ruina Deppero e Hisonj, con un vino puro, dai profumi intensamente fragranti, con un’acidità sapida, dal finale dolcemente ammandorlato per un perfetto abbinamento con i crostacei. In Sicilia, dal magmatico Etna, ecco delle vulcaniche bollicine cariche di distinzione, il Murgo Brut, lo fa l’azienda omonima con Nerello Mascalese e Chardonnay. Sempre dall’Etna scende la proposta Benanti, un purissimo Carricante, il Pietramarina, cresciu-

to ancora in eleganza e armonia. Mille anni fa la Sicilia ebbe un’esperienza arabeggiante e come dice Camillo da Acireale, << stanno tornando>>: nei nomi dei vini. Jrnm di Miceli è un bianco da Zibibbo, ha gusto dry e un’aromaticità dalla purezza “desertica”. Anche il Casalj ricorda qualcosa di moresco, le uve sono Catarratto e Chardonnay, l’abbinamento ideale è con la cucina asiatica. Infine una conferma per un vitigno che arriva dal Rodano per sorprendere i degustatori, il Galopin (Viognier) “Accademia del Sole” di Calatrasi: profumo d’erbe secche mediterranee a condire un fruttato pieno di pesca e pera, salinità elegante e finale minerale. “La terra senza piogge”, forse da “Apluvia” e da qui Puglia. Di certo, pioggia o no, l’estate pugliese sarà irrigata dal bianco. Le nuove versioni si sono molto allontanate dalle

uve. La Cococciola di Vallemartello è stupendamente interpretata da Corrado Masci; “chapeau” al fine fruttato e al vegetale appenninico. Poi c’è un vitigno che William Faulkner avrebbe di certo inserito nei suoi racconti sui turbamenti del Missisipi: è la geniale Passerina. Il vino è tutto un fremito, da gustarsi per la salinità succosa e per i dolcissimi e selvaggi aromi di latte di mandorla. Le Marche. “Di essere marchigiani bisogna meritarselo”, scriveva il Cardarelli e la sua poesia “Marzo” ben simboleggia il vino Offida Passerina in versione spumante, così recita: “oggi la primavera/ è un vino effervescente/ spumeggia il primo verde/ sui grandi olmi fioriti a ciuffi” . Vino gioioso, femminile quel tanto da risvegliar con un nuovo gusto le vecchie tentazioni vacanziere. Visto che in spiaggia ci si arriva

neutralità gusto olfattive che caratterizzavano i vini quando la regione si chiamava Puglie. C’è una novità, un Bianco di Alessano in purezza, rappresentazione di un vitigno per troppo tempo nascosto in altre miscele, il suo nome è Cupa, l’azienda I Pastìni. C’è un altro bianco da tenere in considerazione, è rinfrescante e minerale, sapido e floreale, appetitoso il suo fruttato; si tratta del Bombino Bianco della Cantina C.RI.FO e del Mater Vitae della Tenuta di Torrevento. Molise e Abruzzo hanno spiagge bellissime, le pietanze hanno un’integrità dal gusto autoctono ed è per questo che continua la rivoluzione delle

con la carnagione “bianca”, da apprezzare è la semplicità del Bianchello del Metauro; lasciamoci sconfiggere dal suo gusto accattivante, anche Asdrubale si lasciò ammaliare dal Bianchello nell’estate del 207 a.C. e i Romani lo sconfissero. A due aziende va un simpatico ricordo enologico: Fiorini e Guerrieri. “Romagna mia” è del 1954, nacque a Milano da quel genio musicale di Secondo Casadei e, nonostante gli anni, la fa da padrona nelle musicalità danzanti. In Romagna questa estate si brinderà ai nuovi lustrini di una docg antica, l’Albana di Romagna secca. Gusto rinnovato, 49


Nuove tendenze

Roberto Bellini

addolcito e compassato, un restyling che passa attraverso produttori come Stefano Ferrucci e Conti Leone; un gusto secco, deumidificante e rinfrescante insieme. Dalle terre di Fênza (Faenza), dai colli che slittano nel Lamone, vini dai nomi Felliniani, anche se composti da uve non dialettali, quali il Sauvignon e lo Chardonnay. Sorprende il gusto di questa avvenente miscela, stuzzicanti i nomi: Alba di Luna dal Podere Morini e Strabismo di Venere, dalla Fattoria Paradiso. Veneto é l’Ombra de Vin, è la patria di una lingua romanza che travalica il regionalismo. I suoi lidi vanno oltre, sfiorano una diffusione planetaria, lo stesso dicasi del prossimo vino dell’estate: finalmente Prosecco. Quello classico, rivisitato ed epurato da qualche eccesso, immortalmente extra-dry, di un fruttato sopraffino, con l’acidità croccante della pera: sono di Ruggeri e di Bisol le iniziative enologiche. Piacerà anche il Lugana, al degustatore incuriosito e attratto dal gusto minerale e fruttato di un vino masticabile e capace di migliorarsi con un medio invecchiamento (lo diceva pure Veronelli), da provare Selva Capuzza e Il Gruccione. Il Friuli Venezia Giulia è una vera culla per i vitigni autoctoni e gli opinion-leader sommeliers suggeriscono di bagnare la prossima estate con un’aromatica Malvasia, nobilissima uva dai toni mixati tra il moscateggiante e un’autonoma espressione di rigoroso fruttato, ben secca e saporita, come quella di Skerk nel Carso e Fiegl nel Collio. E poi Ribolla! Serenissima uva dall’infinita propensione a legarsi in un gusto oscillante tra il floreale e il citrino, quasi orientaleggiante, a ricordare il lemon grass: La Viarte, Ferruccio Sgubin e Antonio Gigante mostrano un totale rispetto a questa uva. Che altro dire? Buone Vacanze!


Musei gastronomici

Letizia Magnani

Pane… amore e fantasia all’italiana VIAGGIO

NEI VARI MUSEI

ITALIANI DEDICATI AL

PANE:

SI PARTE

DAL

LODIGIANO

E SI ARRIVA IN

SARDEGNA, PASSANDO

DAL

MONTEFELTRO

Q

uesta volta parliamo del pane, anzi, meglio dei pani. Perché l’Italia, si sa, è la Nazione dei cento campanili, ma anche dei molti pani. In ogni regione, infatti, il pane ha assunto, nel tempo, forme e aromi particolari. e pensare che all’inizio di tutto c’è sempre e solo (o quasi) un pugno di farina e un poco di acqua. Alla base di tutto c’è la fame degli uomini e delle donne, ma spesso c’è anche la loro fantasia. III Un pizzico di farina e tanta passione E’ questa la storia che racconta il Museo del Pane Sant’Angelo Lodigiano. Nato nel 1983 per volontà della Fondazione Morando Bolognini, Ente proprietario del Castello e amministrato dall’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura, grazie al contributo della Regione Lombardia, l’apporto tecnico e organizzativo dell’Associazione Nazionale dei Panificatori, del Museo Lombardo di Storia dell’Agricoltura di Sant’Angelo Lodigiano e di numerose privati che hanno donato materiale, attrezzature e memorie sul pane, il museo è temporaneamente chiuso, per lavori di restauro al castello, ma è certo che nei prossimi anni farà parlare di sé. Di cereali e materie prime si impara in una delle sale iniziali (sono cinque in tutto quelle espositive), per poi passare a toccare con mano quel miracolo che avviene tutti i giorni, in ogni bottega di paese: la panificazione, ovvero la trasformazione del grano in farina e della farina in pane. Questo miracolo quotidiano è dovuto al lavoro dell’uomo, alla sua tenacia, alla sua pazienza, alla sua abilità manuale, ma anche al suo amore. A questa passione faccio riferimento guardando una a una le oltre 500 forme di pani (tutti veri) provenienti dalle regioni italiane e da alcuni Paesi europei. Si tratta di forme diverse, ma che sanno raccontare di sapori, odori, umori, sentimenti particolari. Dentro il pane c’è la storia degli uomini e delle donne, ma c’è anche quella delle città e dei Paesi, c’è la storia delle rivolte e quella delle conquiste, c’è soprattutto il sapore dell’autenticità che ognuna di quelle forme sa esprimere. 51


Musei gastronomici Letizia Magnani

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Due o più cose che so su di lui So che le donne in campagna non lasciavano mai le briciole sulla tavola e che le più anziane di loro a fine pasto, quando gli uomini si erano già alzati, andavano a raccogliere le briciole del pane e se le portavano alla bocca, con gesti veloci. A volte era fame, ma il più delle volte era rito. So che in quasi tutte le regioni d’Italia si dice che le briciole non potessero cadere a terra, perché altrimenti sarebbero tornati i morti a raccoglierle. So che il pane è probabilmente l’alimento più importante per l’intera umanità, ovunque in giro per il mondo si trovano pietre affumicate dal fuoco, forni più o meno rudimentali, sui quali è stato cotto questo alimento. So che col vino, per decenni, il pane è stato un alimento energetico insostituibile. So che nessuno conosce il nome del primo inventore del pane, ma guardando oggi la ricchezza delle sue forme e dei suoi colori, sentendo soprattutto il suo aroma e quel rumore di croccante meraviglia che fa quando si spezza, so che più di ogni altro alimento il pane ha sviluppato la fantasia dell’uomo.

III Cinque sale di gusto E così, anche in questo museo, come negli altri del cibo e del vino, il gusto è il protagonista del percorso, che si snoda in una manciata di sale. La storia del pane e le sue origini sono raccontate senza pedanteria, ricordando sempre che il pane è alimento quotidiano, popolare, di tutti. Sono molte le curiosità da non perdere. Fra queste non si possono non citare i numerosi attrezzi provenienti dalla collezione “Mulino Bianco”, utili soprattutto per una visita didattica del museo, ma anche il “trebbiatoio Bolognini”, realizzato nel 1854 dal conte Gian Giacomo Attendolo Bolognini, esempio di prima modernizzazione per la trebbiatura del grano. Proseguendo il viaggio, si incontra una sala nella quale sono presenti le attrezzature per la produzione del pane: le impastatrici, gli attrezzi dei quali si avvale il fornaio, un banco da lavoro per impastare a mano, la ricostruzione di forni antichi e del primo ‘900. Nell’ultima sala si trova anche traccia delle “grida”, ovvero le tasse, i regolamenti e le disposizioni governative emesse negli ultimi tre secoli sul pane, a testimonianza dell’importanza politica ed economica che da sempre hanno avuto il grano, la farina e il pane. In fin dei conti la rivoluzione Francese si

è fatta, anche, per il pane. In tre secoli, naturalmente, tutto è cambiato, ma è rimasta costante la voglia di realizzare con materie prime semplici pani artistici che sanno pescare nella creatività, ed è per questo che qui si trovano vere opere d’arte realizzate con acqua e farina, come per fissare nel tempo l’arte dei maestri panificatori. (Info: 0371.211140 www.castellobolognini.it) III Tutti i pani dello Stivale Dal nord Italia ci spostiamo lungo la penisola e arriviamo a Maiolo, in provincia di Pesaro-Urbino. Siamo nel bel mezzo del Montefeltro, ma anche di quella “zona BioItaly”, per usare la definizione in auge nell’Unione Europea, dove tutto è appunto “bio”. Sarà per le colture che si vedono a perdita d’occhio, o per il sapore di genuino che ancora si respira nell’aria, sarà un po’ anche per la storia di queste terre, fatto sta che qui ci si può anche perdere. Si tratta di un viaggio a ritroso nel tempo, che ha come filo conduttore l’aroma del pane. Nella campagna, infatti, si ritrovano più di cinquanta forni, utilizzati per la cottura del pane locale e delle altre leccornie da forno. Tutti assieme questi forni oggi rappresentano il Museo diffuso del pane. Testimonianza di civiltà e autentico bene culturale, per il loro fondamentale ruolo di collante dell’intera borgata, i forni sono solo parzialmente attivi. E comunque, almeno una volta all’anno, da ognuno di loro si sente fuoriuscire l’aroma del pane appena sfornato in occasione della “Festa del Pane”, che si svolge di solito in giugno. III Il pane nella tradizione Qui, come in altri territori della nostra bella Italia è bene provare l’esperienza dello smarrimento. E, così, per assaporare meglio il gusto di quei pani, ma anche il tempo che scorre, sarà bene seguire solo i segni lascia53


Musei gastronomici

Letizia Magnani

ti dall’uomo. Tutti i forni risalgono ai primi decenni del 1800, come testimoniano le pietre con le quali sono costruiti, e sono di proprietà della stessa famiglia di agricoltori, pastori e boscaioli da almeno tre o quattro generazioni. Tutti i borghi avevano il proprio forno. Più case assieme da queste parti costituivano dei borghi e nel borgo si faceva il pane. Il forno, generalmente addossato a una dependance della casa rurale o alla casa stessa, serviva contemporaneamente più nuclei famigliari. Vagando per la campagna e fermandosi ad osservare, si nota che prevalgono le somiglianze: tutti i forni sono costituiti dalla camera di cottura, in mattone, mentre il manufatto esterno è fatto di materiale lapideo come il calcare marnoso. Il forno rappresentava il bene dei quei borghi, che basavano l’economia domestica sulla cottura del pane. Arte che, da queste parti, era trasmessa di generazione in generazione. Solo pochi erano introdotti ai segreti della panificazione, che richiedeva tempo, pazienza e tecnica, costoro in genere erano gli unici capaci di utilizzare i forni. La panificazione, da sempre (e non solo in questa campagna) rappresenta un momento di aggregazione insostituibile, un’occasione d’incontro tra i vari nuclei familiari che si servivano nello stesso forno. Erano soprattutto i bambini a godere di questo momento, plasmando in forme particolari i filoni. Venivano addirittura prodotti dei biscottini che servivano da paghetta per convincere i bambini a partire per il pascolo. Non stupisce, quindi, che al pane siano legate mille storie, ma anche tanti luoghi comuni. In questi anni, nel quale il lavoro è soprattutto la fatica dei campi, sono due gli alimenti più diffusi, il vino e, appunto, il pane. E così la mattina presto gli uomini andavano in campagna, portando con sé, nella sacca un fiasco di vino, che serviva come alimento, perché, grazie agli zuccheri, dava energia, un pezzo di formaggio e una forma di pane. Oggi tutto questo non c’è più, ma il museo diffuso del pane sta lì, immobile, ad accogliere turisti e curiosi, a testimoniare di una civiltà, dei suoi tempi e riti, ma soprattutto ad emanare un odore di fragranza e di originalità tutta italiana. (Info: 0541.920012, www.comune.maiolo.pu.it) III Sardegna: quando il pane è rito Il pane, dunque, è una costante popolare che attraversa L’Italia e che assume forme e sapori diversi. Il nostro viaggio prosegue e ci porta fino in Sardegna, dove sorge un terzo importante museo dedicato, quello del Pane Rituale di Borore (in provincia di Nuoro). Nato con l’intento chiaro di valorizzare il patrimonio rituale e tradizionale dei sapori sardi e in particolare del pane di questo continente in miniatura, il museo è visitabile dal 2006 e da allora ogni anno si è arricchito di nuove forme. Sono oltre 300 quelle attualmente in mostra. Anche qui, come altrove, si parte dagli strumenti di lavoro, così è possibile vedere gli attrezzi per il lavoro dei campi, per la lavorazione del grano e della farina con cui un tempo, ma in molti Paesi ancora oggi, si produceva il pane in casa. Poi l’attenzione si sposta dai

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gesti umani, per raccogliere le materie prime e per fare materialmente il pane, al prodotto. Nella Sala “dei pani quotidiani” sono esposte le produzioni di consumo quotidiano diffuse in Sardegna, le quali, pur non avendo il rilievo rituale e simbolico del pane delle feste, assumono importanza primaria per la loro posizione centrale nella dieta di tutti i giorni. Dall’ordinario si passa allo straordinario e così, nella Sala “dei pani del ciclo della vita” si incontrano i veri protagonisti di questo originale museo: ovvero i pani rituali. Da queste parti ogni momento importante della vita, come la nascita, il matrimonio o la morte, è scandito da un proprio pane. E così il gesto umano, l’alimento quotidiano, diventa simbolo e poi rito e segna in maniera materiale il ciclo della vita, ma anche quello del tempo. E’ quanto si impara entrando nella Sala “dei pani del ciclo dell’anno”. Per scandire il tempo la creatività degli uomini e delle donne si è inventata un pane diverso per ogni periodo dell’anno agrario. Certo, per noi abituati a comprare di fretta il primo pezzo di pane che ci capita al supermercato, non ci sono molte differenze, se non gustative, tra una michetta e un baguette, ma da queste parti il tempo e il pane sono due cose importanti e per le cose importanti ci sono riti e gesti che li evidenziano, li esaltano, li fissano nella memoria. Così il Capodanno (che coincide in campagna con il periodo della semina) ha un suo pane rituale, lo stesso avviene per il periodo della trebbiatura, ma anche per le feste patronali. Per chi è sempre di corsa e mangia un boccone al volo come e dove capita questo museo può essere una vera scoperta, ma lo è anche per chi è un profondo conoscitore del cibo e del vino, perché racconta, in maniera agile, di un tempo e di un luogo nel quale il pane era una cosa seria. L’ingresso costa da 1 a 2,5 euro. (Info: 0785.879003, museodelpanerituale@tiscali.it)



Mete del gusto

Roberto Di Sanzo

Conero

Il , la finestra sull’Adriatico

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Panoramica del Duomo di Ancona dal porto

l balcone dell’Adriatico, una finestra naturale che dall’Italia si apre al mare e – idealmente – all’Europa. Ecco il Conero, cerniera tra il nord e il sud del bel Paese, specchio fedele dell’indole e del carattere di una popolazione, quella marchigiana, da sempre ospitale e abituata all’accoglienza. Per chi arriva dal nord, le prime avvisaglie di questo territorio sono splendide e indimenticabili: un carnevale lussureggiante tipico della macchia mediterranea, fatto di ginepri, corbezzoli e allori che inverdiscono pareti e coste rocciose. Boschi quasi impenetrabili che improvvisamente si aprono al mare e regalano al visitatore un panorama mozzafiato, figlio di una costa alta e rocciosa che si distingue dalla classica spiaggia sabbiosa che sino alla Puglia caratterizza l’Adriatico. Dal monte Conero, alto poco più di 572 metri, si domina la città simbolo del territorio, vale a dire Ancona, fondata dai Dori di Siracusa agli inizi del IV secolo, che nella riparata insenatura naturale, a forma di gomito (ancon, in Greco, significa appunto gomito), trovarono delle condizioni climatiche e ambientali ideali per fermarsi. La prima tappa cittadina non può che essere il Duomo, in cima a Colle Guasco, monumento medievale di eccezionale importanza dedicato a San Ciriaco. La facciata è aperta da un prodigioso portale strombato in pietra Bianca e rossa, finemente decorato da rilievi gotici. La costruzione è sormontata da una cupola duecentesca, mentre l’interno è a croce greca. Da qui ci si può dirigere verso il porto, incontrando l’arco Clementino e l’arco di Traiano, costruito nel 115 dopo Cristo da Apollodoro di Damasco, dedicato dagli anconetani all’imperatore Traiano. A due passi dal Duomo ecco il Museo

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Nazionale delle Marche, che ha sede nel cinquecentesco palazzo Ferretti, capace di custodire preziosi reperti del Paleolitico, sculture ellenistiche e – tra gli altri – gli avori provenienti dalle necropolis di Pianello. Ancona è famosa anche per le sue bellissime chiese, da Santa Maria della Piazza, romanica, con una facciata adorna di un rivestimento in marmo del 1200, alla settecentesca San Domenico, precedeuta da una scenografica scalinata e con al suo interno una serie di dipinti di notevole pregio, come la “Crocifissione” di Tiziano e “L’Annunciazione” di Guercino. Ma chi raggiunge Ancona “deve” fare una sosta al porto, l’unico naturale del Mare Adriatico; ampliato da Traiano, venne fortificato durante il Medioevo e in seguito, nel 1700, Vanvitelli ne progettò un ulteriore prolungamento. Da qui, a piedi, si raggiunge facilmente la Mole Vanvitelliana, progettata dall’artista nel 1733 su incarico di Clemente XII e collegata alla terraferma da una serie di ponti. Ma ora è tempo di lasciare la città Dorica per addentrarsi nell’entroterra. I paesaggi del Conero sono stupefacenti, a cominciare dalla posizione panoramica di Osimo, fra le valli dell’Aspio e del Musone, circondata da una cinta muraria di origine duecentesca. Cittadina elegante, presenta una serie di edifici di indubbio valore artistico, come il palazzo Municipale, struttura seicentesca arricchito dalla Torre Civica del 1200 con merlatura guelfa, e il Duomo, in stile romanico-gotico e più volte rimaneggiato nei secoli. Conero terra di mare, arte e cultura; ma anche patria della musica e di strumenti musicali, con la bella Castelfidardo che ha dato i natali a Paolo Soprani, vero e proprio inventore della fisarmonica.

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Mete del gusto

Roberto Di Sanzo

CONERO DA BERE La realtà vitivinicola del Conero presenta due prodotti dalle indubbie qualità e che ben rappresentano la generosità e la genuinità di una terra vera, vale a dire la Docg Conero e il Rosso Conero Doc. “I vitigni utilizzati – spiega Otello Renzi, presidente dell’Ais Marche – sono il Montepulciano all’85 per cento e il Sangiovese per il 15 per cento, anche se oggi si usa quasi esclusivamente Montepulciano, che più esprime le caratteristiche della nostra terra”. Il Rosso Conero Doc, tra l’altro, è un vino di antiche tradizioni, visto che nel 2007 ha compiuto i suoi primi quarant’anni. “Si tratta di uno dei rossi più importanti dell’aria adriatica - spiega Renzi - di un colore rosso rubino intenso, con riflessi violacei che volgono al granato. I profumi sono intensi, complessi, con sentori di frutta come la prugna, la marasca, e poi fiori, come le viole appassite. Si tratta di un vino di corpo, con una buona sapidità e mineralità”. Gli abbinamenti gastronomici sono quelli tipici della cucina marchigiana: “Arrosti, selvaggina, formaggi stagionati. Da giovane, con i tannini morbidi, si abbina al pesce in umido e allo stoccafisso all’anconetana”. Sul promontorio del Conero, con i vigneti che guardano al Mezzogiorno d’Italia, nasce la Docg: il disciplinare, infatti, esclude i vigneti che non sono baciati dal sole, quelli interrati nella vallata. “La vicinanza del mare - continua Renzi permette di avere dei nettari differenti a seconda dell’esposizione: grazie alle caratteristiche marine di sapidità, la struttura aromatica è molto particolare, grazie anche alle profonde escursioni termiche che si hanno dal giorno alla notte. Il colore è rosso rubino intenso, spesso cupo, con la maturazione in barrique o in grandi botti tende al granato. I sentori ricordano la frutta cotta, l’amarena, il ribes, con uno speziato che ricorda il legno, la liquirizia e il tabacco. Al gusto subito si nota una buona morbidezza; dai 4 ai 6 anni di invecchiamento è il periodo ideale per poi gustarlo al meglio”. A tavola l’abbinamento più intrigante è con il brasato “pasticciato”, piatto tipico marchigiano realizzato con parecchio pomodoro, un pizzico di noce moscata e i chiodi di garofano. E poi tagliate di manzo, il piccione ripieno della tradizione locale, l’agnellone al rosmarino, il petto d’anatra con le visciole (le amarene selvatiche). Per i formaggi, si segnala l’accostamento con il pecorino stagionato.

In città si trova anche un interessante Museo della Fisarmonica, che ripercorre soricamente la vita dello strumento, con reperti antichi e di indubbio valore culturale. Conero centro di spiritualità religiosità e poesia, con Loreto e Recanati mete periodiche di pellegrinaggi da tutto il mondo, certo per motivi diversi. A Loreto ecco il grandioso santuario della Santa Casa, la cui costruzione ebbe inizio nel VX secolo in uno stile che anticipava il Rinascimento. Fu Bramante, nel 1500, a disegnare la facciata. Sotto la cupola, in fondo alla navata centrale, si trova la “Santa Casa”, l’abitazione della famiglia della Vergine Maria a Nazaret e – stando ai testi religiosi – portata nelle Marche il 10 dicembre 1294, dopo la caduta del regno dei crociati in Terra Santa. Ancora oggi, la notte del 9 dicembre, in occasione della “Festa della Venuta”, che ricorda il trasporto a Loreto della casa della Madonna, le campagne intorno a Loreto si illuminano di fuochi e le campane della città suonano a festa. La folla accorre dai paesi vicini per assistere alla processione con la Madonna che esce dalla sua “casa” per andare incontro ai suoi figli. Il giorno dopo la festa religiosa culmina con la celebrazione in Basilica del Solenne Pontificale. Pochi chilometri e si raggiunge Recanati, dove ebbe i natali il più grande poeta italiano di tutti i tempi, Giacomo Leopardi. Sono

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Otello Renzi presidente Ais Marche

davvero tantissimi gli amanti del “tormentato” che periodicamente fanno visita a Palazzo Leopardi, in piazza Sabato del Villaggio, e si emozionano nel vedere la biblioteca e la scrivania dove Leopardi trascorse notti insonni davanti alla finestra aperta sulla casa di Silvia. Recanati è un borgo di altri tempi, ricco di giardini e luoghi dell’anima e del cuore, dalla Torre del Passero al Colle dell’Infinito. Ma ora è tempo di tornare sulla costa e di aprire lo sguardo agli stupendi paesaggi marinari che può offrire Numana. Baie solitarie, spiaggette assolate di sabbia finissima, un vero e proprio gioiello alle pendici meridionali del Monte Conero. Ci si sposta di poco e si arriva a Sirolo, piccolo centro affacciato su uno strapiombo in vista del mare. E non è ancora finita: un po’ più isolata, ma meritevole del tragitto, Portonovo è una baia pittoresca con una lingua di spiaggia ghiaiosa e con ciotoli sottili; all’interno, ci si può avventurare tra fresche sorgenti e laghetti che si incontrano all’improvviso in un trionfo naturalistico e botanico davvero unico nel suo genere. A testimonianza della ricchezza faunistica e floreale di questo territorio, ecco che nel 1987 l’area compresa tra Ancona, Camerano, Numana e Sirolo ha visto la nascita del Parco Regionale del Conero, un’area protetta di 6.011 ettari vero e proprio paradiso naturistico, con iti-


INDIRIZZI UTILI Comune di Ancona Servizio Turismo via Podesti, 21 tel: 071.222.5065, 66, 67 fax: 071.222.5061 www.comune.ancona.it/turismo Comune di Castelfidardo Ufficio Cultura e Turismo tel. 071.7829349 - Fax 071.7829357 www.castelfidardo.it Ente Parco Naturale Regionale del Conero Via Peschiera, 30/A - 60020 Sirolo (AN) tel. 071.9331161 fax: 071.9330376 www.parcodelconero.eu IAT Marche Via Thaon de Revel, 4 tel: 071.358991 Ancona IAT Numana tel. + fax 071.9330612 info@turismonumana.it www.turismonumana.it Sul Conero vi sono vari siti Internet che danno informazioni utili sul territorio. Tra questi segnaliamo: www.larivieradelconero.com www.conero.it www.rivieradelconero.it http://rivieradelconero.wow.it

nerari suggestivi che riservano tesori floreali rari come pini, lecci, il finocchio selvatico, la violaciocca e il già citato corbezzolo, che in Greco si dice Komaròs e che dà il nome al Conero. E sono gli uccelli a trovare il loro habitat ideale in queste terre: oltre 200 le specie censite negli ultimi anni tra stanziali, svernanti e migratrici. Con un po’ di attenzione e pazienza, non si fatica a vedere il falco pellegrino, il rondone pallido e il rondone maggiore. Il promontorio, infine, è un favorevole punto di riferimento per la rotta dei migratori come i falchi pescaioli, le aquile e le cicogne. III Paolo Soprani e le fisarmoniche di Castelfidardo Una storia tra leggenda e realtà, un misto tra fascino e magia. Si narra che nel lontano 1863, un pellegrino austriaco, di ritorno dal santuario di Loreto, chiese ospitalità per la notte presso un casolare nella campagna di Castelfidardo. Aveva con sé una rudimentale “scatola” che emetteva dei suoni. Nel casolare abitavano Antonio e Lucia Soprani con i loro figli. Tra questi, Paolo, che rimase particolarmente colpito da questa scatola. Quella stessa notte Paolo iniziò a smontare lo strumento per studiarlo nei minimi dettagli. Insomma, dalla geniale intuizione di Paolo, da lì a poco sarebbe nata a Castelfidardo l’industria italiana della

fisarmonica. Nel 1864 Paolo, con l’aiuto dei suoi fratelli, aprì una piccola bottega sotto casa. Dopo qualche anno si trasferì in una casa più grande, assumendo altri operai. Le prime “armoniche” prodotte vennero vendute nelle fiere e nei mercati dei paesi vicini. Nel 1872 Paolo Soprani si trasferì al centro di Castelfidardo dove aprì una fabbrica in piazza Garibaldi. Lo strumento fu accolto con grande successo, in campagna i contadini in festa ballavano danze popolari al ritmo dell’armonica. La popolarità dello strumento cresceva velocemente anche nei vicini paesi europei, come la Francia. Alla fine del XIX secolo, “l’armonica” iniziò a essere esportata negli altri continenti, in particolare in America, dove gli emigranti italiani ricordavano la loro dolce terra con il familiare suono dello strumento. Gli affari andavano bene, quindi Paolo, insieme ai suoi figli Luigi e Achille, aprì una nuova fabbrica a Castelfidardo, dove lavoravano circa 400 persone. Nel 1900 la ditta ottenne un grande successo alla fiera di Parigi; Paolo divenne membro dell’Accademia degli Inventori di Bruxelles e Parigi. Continuò a lavorare in ditta fino all’età di 70 anni, quando i suoi figli presero la direzione. L’azienda oggi è ancora attiva, per un comparto che solo a Castelfidardo può contare su una quarantina di imprese e centinaia di addetti.

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Saranno famosi

Antonello Maietta

I vigneti di Luciano Capellini si sviluppano sui pendii di Volastra, minuscola frazione del comune di Riomaggiore

La cantina

“der vin bun” A RIOMAGGIORE LUCIANO CAPELLINI HA EREDITATO LA PASSIONE DI NONNO

BERNARDO,

CHE IN PAESE E NEI DINTORNI ERA MOLTO CONOSCIUTO PER LA SUA PRODUZIONE DI QUALITÀ

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Q

uando si parla di Cinque Terre il nostro pensiero si rivolge subito, con grande rispetto e ammirazione, a una comunità di persone che nel corso dei secoli ha saputo plasmare la natura ostile di un territorio per trarne il proprio sostentamento. Questi insediamenti hanno avuto origine nel primo secolo del Medioevo, quando gli abitanti della media valle del fiume Vara superarono lo spartiacque della catena costiera per stabilirsi permanentemente nei pressi del litorale marino. Una migrazione determinata essenzialmente dall’esistenza lungo la costa di un clima migliore e quindi più adatto alla coltivazione di alcune varietà a loro già note come la vite e l’olivo. I primi abitanti erano prevalentemente contadini, poco inclini quindi ad affrontare i pericoli del mare per dedicarsi al mestiere di pescatore o di navigante, ma consapevoli che l’ agricoltura sarebbe stata l’unica possibilità di sopravvivenza per intere generazioni ed allo stesso modo incon-

sapevoli che tanto ingegno e tanta operosità sarebbero stati un giorno riconosciuti come “patrimonio mondiale dell’umanità”. Luciano Capellini è uno dei personaggi più recenti che, sulla scia di quel precursore che è stato Walter De Battè alla fine degli anni Ottanta, hanno saputo raccogliere l’eredità di quei vignaioli che, con caparbietà e tenacia, hanno modellato nel corso dei secoli la fitta tessitura dei terrazzamenti coltivati a vigneto. E non è cosa da poco perché negli ultimi cinquant’anni, a causa della fuga dei giovani verso le città, l’attività vitivinicola nelle Cinque Terre era rimasta completamente a carico della popolazione anziana. Il progressivo abbandono del territorio aveva determinato una drastica riduzione della superficie vitata, nonché della produzione, creando nel tempo l’attuale situazione di grave dissesto idrogeologico e di declino paesaggistico. Non bisogna in ogni caso dimenticare che nelle Cinque Terre la dedizione alla vigna


fa parte ancora oggi del Dna degli abitanti proprio perché la produzione di vino ha rappresentato per secoli l’unica opportunità nell'economia della famiglia. Nel caso di Luciano, il bisnonno produceva vino già nella seconda metà del 1800, ed era una quantità ragguardevole visto che nei racconti dell’epoca è documentata una produzione superiore alle cento some di vino (una soma era pari a 80 litri). Tale quantità si dimezzò al passaggio dell’azienda al nonno Bernardo e, con il successivo passaggio al figlio Oreste, papà di Luciano, la cantina era diventata di fatto un secondo lavoro poiché nel frattempo le fabbriche della Spezia e di Genova, l'arsenale militare e la navigazione avevano assorbito la parte preponderante della forza lavoro maschile, consentendo un reddito e una vita migliori. Ad accudire la casa, l’orto e la vigna restavano pertanto le donne, non deve destare pertanto stupore che, in un concetto di vita patriarcale, la moglie condividesse

con il marito la gestione economica della famiglia e detenesse anche la chiave della cantina. "Vien, vien a vede come si fa er vin bun", diceva nonno Bernardo mentre si infilava sotto l'autedo e piegava il peduncolo ai grappoli dorati, la cantina di nonno Bernardo era infatti conosciuta in zona come la cantina "der vin bun", del vino buono. Probabilmente quelle parole e quei gesti lenti e cadenzati sono rimasti a lungo nella mente di Luciano in tutti gli anni in cui la sua attività professionale l’ha portato lontano dal territorio. E sono riemersi con prepotenza nel momento in cui ha deciso, per libera scelta, di “ereditare” la chiave della cantina di famiglia. La superficie della sua piccola azienda agricola copre oggi un’area di circa seimila metri quadrati, ma presto si arriverà a un ettaro per poter ottimizzare le risorse disponibili, i vigneti sono disposti prevalentemente tra la “costa da posa” e la “valle dei pozzi” nei pressi di Volastra, minuscola frazione del comune di

Riomaggiore, a una altezza oscillante tra i 250 ed i 370 metri sul livello del mare. Gli impianti sono ad “autedo”, il pergolato tipico del territorio, tuttavia sono in avanzata fase di sperimentazione nuove forme di coltivazione che, senza stravolgere la caratteristica della zona, tendono ad alzare il sistema di allevamento portandolo ad una altezza di circa 150 centimetri nella parte più bassa e di circa 190 nella parte più alta. Tutto questo dovrebbe rendere decisamente più agevole la lavorazione senza costringere il vignaiolo a posture che nel tempo potrebbero comprometterne le condizioni fisiche. Le prime prove con i pergolati alzati di recente non hanno prodotto alcun danno anzi, è stata migliorata l'esposizione al sole pur mantenendo il grappolo più vicino alla terra per la maturazione. Del resto è molto probabile che in passato la scelta di mantenere bassi i vigneti sia stata dettata, oltre che dalle problematiche create dal vento, dalla oggettiva difficoltà nel reperire legname a suf-

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Saranno famosi

Antonello Maietta

ficienza per poter effettuare le trasformazioni. Si è notato infatti che i pergolati di proprietà delle casate storicamente più agiate sono mediamente più alti di circa 20/30 centimetri e i pali hanno un diametro superiore. Luciano crede fermamente che una cantina come la sua abbia il dovere di conservare i metodi di vinificazione tramandati dalle passate generazioni. Il suo obiettivo è quello di produrre con strumenti moderni ma senza recidere completamente il cordone che lo lega al passato; ritiene infatti opportuna una ricerca sui metodi di vinificazione antichi per recuperare le vecchie tradizioni e per migliorare il prodotto. La prima vendemmia di questo nuovo corso è avvenuta nel 2004 mentre nei prossimi mesi verrà messa in commercio una triade di vini di tutto rispetto composta da circa 4.000 bottiglie di Cinque Terre nella sua versione tradizionale, 800 mezze bottiglie di Sciacchetrà e altrettante mezze bottiglie dell’originalissimo “vino di buccia”. Tutti i vini nascono da un uvaggio pressochè identico composto dal vitigno Bosco per almeno l’80%, quindi Vermentino per il 15% e una limitata presenza di Albarola per non più del 5%. Il Bosco è un’uva di buona vigoria, in Italia è coltivata

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quasi esclusivamente nelle Cinque Terre con una sporadica presenza nella costa tirrenica settentrionale della Toscana, ha sapore neutro ma presenta una notevole resistenza all’appassimento, per questo motivo è l’uva maggiormente gradita per la produzione dello Sciacchetrà a cui dona complessità e struttura. Il Vermentino è un’uva di buona concentrazione zuccherina ma un po’ carente in acidità, conferisce al vino sensazioni olfattive eleganti e pronunciate, mentre l’Albarola, diffusa in tutto il levante ligure, apporta sapidità e freschezza, ha una buccia molto sottile, il grappolo serrato e va tenuta sotto controllo nella fase di appassimento perchè facilmente attaccabile dalle muffe. Per produrre il Cinque Terre 2007, di imminente uscita, le uve sono state pigiate dolcemente, separate dal raspo e lasciate riposare in botte per un giorno alla temperatura 15 gradi. Tutta la fase di vinificazione è avvenuta in acciaio, il mosto ha fermentato senza aggiunta di lieviti e al termine della fermentazione è stato lasciato sulle fecce fini per almeno 7 mesi con frequenti batonage. Si presenta alla vista con un bel colore paglierino dai rapidi riflessi oro, un naso dai nitidi sentori di mela cotogna, prugna gialla matu-

ra e lievi note di macchia mediterranea, con l’impianto gustativo orientato sui toni morbidi, ravvivati tuttavia da una garbata sapidità. Servito a una temperatura di circa 12 gradi si esprime al meglio dopo una blanda ossigenazione nel bicchiere a calice di media ampiezza e trova il suo abbinamento ottimale con piatti di decisa aromaticità come le trofie al pesto o le acciughe al verde. Le uve da destinare alla produzione dello Sciacchetrà 2006 hanno subito invece un lento appassimento sui graticci in ambiente asciutto e ventilato per almeno 60 giorni. Il mosto è stato poi pigiato, lasciato fermentare per 21 giorni, quindi travasato e fatto maturare per almeno un anno, anche in questo caso la vinificazione è stata condotta esclusivamente in acciaio. Il colore è uno splendido ambrato, screziato da nitidi riflessi oro con un olfatto disposto in prevalenza su note di frutti tropicali maturi, cedro candito e fichi secchi. Al palato è dolce e caldo, ben equilibrato da piacevoli sensazioni sapide, da provare con i canestrelli ma senza dimenticare la sua prerogativa di vino da conversazione. Infine il vino di buccia, “vin de gusa” nel dialetto loacale, anch’esso è un figlio della tradizione, nonno Bernardo lo avrebbe definito senza esitazione “un matrimonio ben riuscito tra il bianco secco e lo Sciacchetrà”. Tuttavia questo vino, proprio per la sua particolare tecnica di vinificazione non è contemplato dai disciplinari di produzione della Doc e viene commercializzato con la semplice denominazione di vino bianco da tavola, pur essendo un vino dolce. Per realizzarlo occorre aspettare che sia terminata la fermentazione dello Sciacchetrà, quindi le uve che hanno fermentato per ventuno giorni sono separate dal vino e pigiate a mano. Solo il cuore è destinato a divenire Sciacchetrà. A quel punto le bucce residue, ancora fortemente impregnate del mosto dello Sciacchetrà, sono poste sul fondo di una botticella e sopra viene versata una quantità di vino ricavato dalle uve del


Cinque Terre secco, viene lasciato riposare per 18/20 ore e poi ulteriormente pigiato e travasato. Resta in botticella o damigiana per un affinamento di almeno 7/8 mesi prima di poter essere consumato. Verso la fine d'agosto si effettua un controllo per decidere se procedere all'imbottigliamento o continuare la maturazione. Presenta un colore dorato vivo e lucente con un’impronta olfattiva di miele e confettura di albicocca, in bocca è chiaramente dolce, ben mitigato tuttavia da una pregiata sapiditĂ e dalla lieve astringenza conferita dalle bucce. Servito a una temperatura di circa 14/16 gradi, in piccoli bicchieri a calice dal bordo leggermente svasato, accompagna molto bene i formaggi erborinati.

AZIENDA AGRICOLA LUCIANO CAPELLINI Via Montello, 240/b - Fraz. Volastra 19010 Riomaggiore (SP) tel. 339.7232578 e-mail: capellini@vinbun.it


Congresso nazionale

Sicilia... emozioni da vivere Camillo Privitera,

Presidente Ais Sicilia

rrivare in Sicilia, ammirare la varietà dei suoi colori, conoscere il carattere mutevole della sua gente, addentrarsi nei profondi millenni della sua storia, e rendersi conto che dietro a tanta apparentemente quiete cova un carattere e una passione che fanno di questo universo siciliano un insieme di territori dove tutto ha inizio e dove tutto è in continuo divenire, dove tragedia e comicità a volte sembrano fondersi insieme. In questo luogo magico vi aspettiamo per offrirvi la molteplicità dei sapori e dei profumi dei nostri prodotti. L’occasione sarà il 42° Congresso Nazionale dell’AIS che si svolgerà a Catania, dal 15 al 19 Ottobre 2008, presso il prestigioso e monumentale complesso dell’ex Monastero dei Benedettini. “...il convento immenso, sontuoso, era eguagliato ai palazzi reali; a segno che c’erano le catene dinanzi al portone.... descriveva a Lodovico il monastero dei Benedettini come un luogo di eterna delizia, dove la vita passava, senza la cura dell’oggi e senza paure del domani, tra lauti conviti, sontuose cerimonie, gaie conversazioni...!” ( da “I Vicerè” - F. De Roberto ) Siamo nel cuore storico della città,

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Sommeliers nelle antiche cucine 64

Degustazioni al Monastero

dove anche la lava del vulcano non è riuscita a cancellare i segni del tempo, una città vitale pronta ad accogliere quanti vorranno scoprirla. Per arricchire ulteriormente questo importante appuntamento istituzionale, l’AIS Sicilia, proporrà in contemporanea ENOPOLIS, la manifestazione giunta alla settima edizione, che ogni anno ha richiamato migliaia di visitatori proponendo al grande pubblico la conoscenza del vino e dei prodotti ad esso collegati. Oltre ai lavori congressuali riservati ai soci AIS, durante i quali sono

Area adibita agli amanti del sigaro

previsti importanti momenti istituzionali e convegni sul vino su temi di grande attualità, nelle giornate di sabato e domenica, nel suggestivo Chiostro di Levante del Monastero, si svolgerà la manifestazione dove un centinaio di aziende vinicole regionali e nazionali esporranno e metteranno in degustazione vini e prodotti, e saranno pronte a incontrare il pubblico per rispondere alle curiosità e fare conoscere la particolare filosofia di produzione che li rende diversi l’uno dall’altro. Saranno presentati incontri a tema


CONGRESSO NAZIONALE

IL PROGRAMMA COMITATO ORGANIZZATORE: AIS Sicilia SEGRETERIA ORGANIZZATIVA: Ospitalità mediterranea di Grasso Viaggi srl

e degustazioni guidate dai sommeliers dove il vino sarà protagonista o abbinato in modi diversi. Si potranno alternare le degustazioni con le visite guidate al complesso monumentale del Monastero, da non perdere, in particolare, il “Percorso dei sensi” nei suggestivi sotterranei delle Antiche cucine dove esperti sommeliers accoglieranno il pubblico per un suggestivo percorso attraverso le fasi della degustazione. Come sempre durante i congressi Ais saranno proposti alcuni importanti appuntamenti come il Premio Bonaventura Maschio e la Finale del Concorso Miglior Sommelier d’Italia -Trofeo Guido Berlucchi. Tutto il pubblico potrà partecipare alle fasi finali del concorso dove i 3 finalisti, selezionati tra i migliori sommeliers delle varie regioni, si sfideranno in prove impegnative per ottenere l’ambito riconoscimento. La cerimonia di consegna del Premio “Sicilia Terra diVino”, assegnato a colui che ha saputo porre l’attenzione sul vino e sulla figura dei sommerliers, e la premiazione dei vincitori del Concorso enologico “La Terra e il Vino” saranno proposte nell’ambito di Enopolis. La segreteria organizzativa ha predisposto diverse offerte di soggiorno per potere partecipare a tutte le iniziative in programma o per scegliere i momenti più importanti in base alle singole disponibilità. Un invito a prolungare il soggiorno in Sicilia nelle più belle località sarà rappresentato dai pacchetti speciali realizzati in collaborazione con hotel e ristoranti rinomati alla ricerca della storia, della gastronomia e dei vini. Per noi siciliani è un grande onore poter ospitare i soci e i sommeliers AIS che, unitamente ai molti appassionati e operatori del settore, verranno richiamati da questo importante evento. Metteremo a disposizione, per accogliervi al meglio, la nostra millenaria cultura dell’ospitalità. Arrivederci in Sicilia.

MERCOLEDÌ 15 OTTOBRE 2008

SABATO 18 OTTOBRE 2008

Arrivo della Giunta Esecutiva Nazionale presso il Romano Palace Hotel – Catania Playa

Ore 10.00 Apertura della manifestazione Enopolis 2008 – settima edizione

Cena in ristorante Giunta Nazionale AIS e Consiglio regionale AIS Sicilia

Sala Mazzarino del Monastero Ore 11.30 Convegno a tema con interventi di importanti esperti del settore

GIOVEDÌ 16 OTTOBRE 2008 Ore 9.30 Riunione della GEN presso Romano Palace Hotel Arrivo dei Consiglieri Nazionali Ais Ore 15.00 Riunione del Consiglio Nazionale Ais al Romano Palace Hotel Ore 20.30 Cena di gala con le autorità

VENERDÌ 17 OTTOBRE 2008 Ore 11.30 Cerimonia di apertura del Congresso presso l’Auditorium dell’ex Monastero dei Benedettini Ore 13.30 Pranzo nel Chiostro di Levante del Monastero con degustazione di vini siciliani (riservato congressisti) Ore 15.30 Assemblea nazionale dei Soci AIS nell’Auditorium del Monastero Ore 17.30 Incontro con i Delegati di tutta Italia presso la sala Coro di Notte del Monastero dalle 17.30 alle 19.00 visite guidate del Monastero (Riservate a Consiglieri e congressisti) Ore 21.00 Cena sociale al Romano Palace Hotel e cerimonia di consegna del Premio Bonaventura Maschio (riservato congressisti).

Chiostro di Levante Ore 15.00 Apertura spazi espositivi con degustazione libera dei vini e dei prodotti Visite al complesso monumentale, Percorso dei sensi e degustazioni di vini Auditorium del Monastero Ore 14.30 Finale Miglior Sommelier d’Italia 2008 – Aperta al pubblico Ore 17.30 Cerimonia di consegna del Premio “ Sicilia Terra di Vino” e Premiazione del Concorso enologico “ La Terra e il Vino” Ore 18.30 Proclamazione vincitore Concorso Miglior Sommelier d’Italia 2008 – Premio Guido Berlucchi Visite guidate del centro storico di Catania Tour per Etna Wine: Visite guidate alle cantine dell’Etna Ore 21.00 Cena con spettacolo.

DOMENICA 19 OTTOBRE 2008 Chiostro di Levante ex Monastero dei Benedettini Dalle 10.00 alle 21.00 Giornata dedicata alle attività previste dal ricco programma di Enopolis 2008 Escursioni a Taormina e Siracusa (riservate ai congressisti) Tour per Etna Wine : Visite guidate alle cantine dell’Etna Ore 21.00 Chiusura della manifestazione 65


Congresso nazionale

PACCHETTI CONGRESSO 1. PACCHETTO Congresso

195,00

Comprende: • Accesso ai lavori congressuali • Kit congressuale (incluso bicchiere per degustazioni) • Pranzo del 17/10 • Cena del 17/10 • 1/2 giornata visita (Catania e/o Monastero)• Cena con spettacolo del 18 • Trasferimenti in bus da/per Parcheggio c/o Romano Palace il 17

2. PACCHETTO Benedettini / 17 – 19 Ottobre

(con soggiorno 2 NOTTI / 3 GIORNI)

Comprende: • Pacchetto Congresso n. 1, 2 notti in pernottamento e prima colazione nella struttura prenotata • Trasferimenti in bus da/per Hotel HOTEL Romano Palace (Catania Playa) Supplemento singola (DUS) HOTEL Parco degli Aragonesi SUP. (Catania Playa) Supplemento singola (DUS) HOTEL SUP. (Catania città) Supplemento singola (DUS) HOTEL SUP. (Catania città) Supplemento singola HOTEL (Catania città) Supplemento singola (DUS) Bed & Breakfast (Catania – Acireale) Supplemento singola (DUS)

400,00 100,00 380,00 90,00 370,00 90,00 350,00 60,00 310,00 50,00 270,00* 35,00

*esclusi trasferimenti

3. PACCHETTO Monastero / 17 – 18 Ottobre

4. PACCHETTO Catania / 17 Ottobre

Comprende: • Accesso ai lavori congressuali • Kit congressuale ( incluso bicchiere per degustazioni) • Pranzo del 17/10 • Cena del 17/10 • 1/2 giornata visita (Catania e/o Monastero) • 1 notte in pernottamento e prima colazione nella struttura prenotata • Trasferimenti in bus da/per Hotel

Comprende: • Accesso ai lavori congressuali • Kit congressuale (incluso bicchiere per degustazioni) • Pranzo del 17/10 • Cena del 17/10 • 1/2 giornata visita guidata (Catania e/o Monastero) • Trasferimenti in bus da/per Parcheggio c/o Romano Palace il 17

150,00

(con soggiorno 1 NOTTE / 2 GIORNI)

HOTEL Romano Palace (Catania Playa) 250,00 Supplemento singola (DUS) 50,00 HOTEL Parco degli Aragonesi SUP. (Catania Playa) 235,00 Supplemento singola (DUS) 45,00 HOTEL SUP. (Catania città) 230,00 Supplemento singola (DUS) 45,00 HOTEL SUP. (Catania città) 220,00 Supplemento singola 30,00 HOTEL (Catania città) 200,00 Supplemento singola 25,00 Bed & Breakfast (Catania – Acireale) 185,00* Supplemento singola (DUS) 15,00 *esclusi trasferimenti

4. PACCHETTO Etna / 18 – 19 Ottobre

(con soggiorno 1 NOTTE / 2 GIORNI)

Comprende: • Kit congressuale ( incluso bicchiere per degustazioni) • 1/2 giornata visita (Catania e/o Monastero) • Cena con spettacolo del 18/10 • 1 Escursione alle cantine dell’ Etna il 19/10 • 1 notte in pernottamento e prima colazione • Trasferimenti in bus da/per Hotel HOTEL Romano Palace (Catania Playa) Supplemento singola (DUS) HOTEL Parco degli Aragonesi SUP. (Catania Playa) Supplemento singola (DUS) HOTEL SUP. (Catania città) Supplemento singola (DUS) HOTEL SUP. (Catania città) Supplemento singola (DUS) HOTEL (Catania città) Supplemento singola (DUS) Bed & Breakfast (Catania – Acireale) Supplemento singola (DUS)

190,00 50,00 175,00 45,00 170,00 45,00 155,00 30,00 140,00 25,00 120,00* 15,00

*esclusi trasferimenti

5. PACCHETTO Enopolis / 18 Ottobre

80,00

Comprende: • Accesso al lavori • Kit congressuale • 1/2 giornata visita guidata (Catania e/o Monastero) • Cena con spettacolo del 18

SINGOLI SERVIZI Pranzo del 17/10 Cena del 17/10 Cena con spettacolo del 18/10 Escursione Taormina Escursione Siracusa Escursione Cantine Etna

(NB: Il costo dei singoli servizi comprende le spese di prenotazione)

TRASFERIMENTI AEROPORTO – HOTEL e V.V. SU RICHIESTA

QUOTAZIONE VOLI CON LE PRINCIPALI COMPAGNIE AEREE SU RICHIESTA CONTATTANDO LA SEGRETERIA ORGANIZZATIVA SARA’ POSSIBILE PRENOTARE SOLUZIONI PERSONALIZZATE PER INDIVIDUALI E GRUPPI STIAMO ELABORANDO DIVERSE PROPOSTE PER PROLUNGARE IL VOSTRO SOGGIORNO IN SICILIA NELLE PIU’ BELLE LOCALITA’ TURISTICHE

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA: Ospitalità mediterranea di Grasso Viaggi srl Via Romeo, 17 - 95024 Acireale (CT) - Tel. +39 095 601364 - Fax +39 095 606210 - www.ospitalitamediterranea.it INFO E PRENOTAZIONI: 339 6648951 - 335 5768353 - eventi@ospitalitamediterranea.it

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45,00 95,00 65,00 30,00 35,00 20,00


Premio Bonaventura Maschio

Giovani alla ricerca

eccellenza

dell’

er il quinto anno consecutivo la Distilleria Bonaventura Maschio di Gaiarine in collaborazione con l'Ais si fa promotrice di un’iniziativa ormai consolidata, allo scopo di incentivare i giovani sommeliers ad approfondire le tematiche legate al mondo della distillazione. Come nel campo dei vini, anche in questo particolare settore l'Italia vanta nel mondo una riconosciuta competenza e un indiscusso primato di tipicità, che anche le nuove generazioni sono chiamate a conoscere e apprezzare. La Bonaventura Maschio mette a disposizione tre borse di studio da assegnare a tre sommeliers (uno del Nord Italia, uno del Centro e uno del Sud) che risulteranno primi nei rispettivi master di specializzazione sulle acquaviti dal titolo: "La ricerca dell'Eccellenza". Lezioni pratiche e teoriche tenute da esperti del settore riguardo la conoscenza dei distillati italiani e stranieri, le tecniche di distillazione in uso, le sperimentazioni che vengono svolte all'interno delle aziende, per finire con l'arricchimento delle competenze professionali nel campo delle degustazioni, alle quali i sommeliers sono chiamati.

P

Da sinistra: Barbara Gorini, Andrea Maschio, Laura Pacchioni, Terenzio Medri, Maria Capaldi, Renato Paglia

I vincitori delle scorse edizioni raccontano di aver vissuto un’esperienza indimenticabile e di aver investito la borsa di studio soprattutto per finalità formative. Laura Pacchioni di Scaldasole (Pv), Barbara Gorini di Livorno e Maria Capaldi di Isernia si sono imposte nel 2007 e anche quest’anno una giuria qualificata effettuerà le selezioni il prossimo autunno nelle gior-

nate del 1 e 2 ottobre. I tre giovani sommeliers primi classificati saranno premiati in occasione del quarantaduesimo Congresso nazionale Ais che si terrà a Catania dal 15 al 19 ottobre con la consegna delle borse di studio da parte della famiglia Maschio, artefice del successo di un prodotto riconosciuto di assoluta eccellenza qual è Prime Uve, acquavite d'uva.

LA PREMIAZIONE AL VINITALY Una giornata da ricordare il 7 aprile per Fabio Cencetti di Cavallino (VE) e Christian Doro di Villafranca Padovana (PD) che hanno ricevuto dalla Bonaventura Maschio il premio come primi classificati al Master di aggiornamento sui distillati promosso dall’azienda in collaborazione con Ais Veneto. Un bel risultato, conseguito dopo un corso svoltosi presso l’Azienda di Gaiarine, produttrice della celebre Prime Uve, acquavite d’uva, nei mesi di Ottobre e di Marzo scorsi. L’appuntamento si ripete da alcuni anni, con grande Al centro i due vincitori del Master sui distillati successo. Una cinquantina i partecipanti, provenienti da tutta la regione, impegnati sul tema “Distillati italiani e internazionali: classificazione – produzione – analisi sensoriale” sotto la guida di alcuni fra i più riconosciuti esperti italiani del settore. Un’iniziativa fortemente voluta dall’Ais, in particolare da Dino Marchi, presidente Ais Veneto, allo scopo di offrire ai giovani sommeliers un’occasione davvero unica per approfondire una importante tematica legata a specifici argomenti che caratterizzano la loro professionalità. 67


Mappamondo

Riccardo Castaldi

Uruguay, una terra di vino tutta da scoprire Q

TAPPA

FONDAMENTALE

PER L’EVOLUZIONE

VITIVINICOLA DEL

PAESE

SUDAMERICANO FU L’ARRIVO,

NEI PRIMI ANNI DEL

NOVECENTO,

DI AGRICOLTORI ITALIANI

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uando si pensa al vino sudamericano la mente corre immediatamente al Cile o all’Argentina, anche se negli ultimi anni hanno iniziato a farsi conoscere altre realtà Uruguay produttive, tra le quali una delle più interessanti è sicuramente quella dell’Uruguay. Anche se non esiste una documentazione certa, si ritiene che la vite fosse presente sul suolo dell’attuale Uruguay già nella prima metà del XVII secolo, considerata la vicinanza a Buenos Aires, dove la prima vendemmia viene fatta risalire ufficialmente al 1605. Per oltre un secolo e mezzo la vite rimase relegata a un ruolo marginale, coltivata esclusivamente per vinificazioni destinate al consumo famigliare. La nascita di un settore vitivinicolo vero e proprio era infatti ostacolata da un contesto produttivo dominato dal latifondo e da una generale e prolungata situazione di instabilità, causata dalle guerre che afflissero la nazione, sia prima sia dopo l’indipendenza, conquistata nel 1828. La stabilità economicopolitica della seconda metà del XIX secolo richiamò capitali europei, che a partire dal 1870 consentirono di estendere la coltivazione della vite su larga scala e di farla divenire un’attività economica a tutti gli effetti. Il primo imprenditore vitivinicolo fu Pascual Harriague, al quale va il merito di avere introdotto nel dipartimento settentrionale del Salto, nei pressi di Saladero de La Caballada, il vitigno francese Tannat, realizzando a partire dal 1874 una vigna che raggiunse un’estensione di 200 ettari, sicuramente considerevole per quei tempi. Il Tannat, per ovvi motivi conosciuto anche come Harriague, in Uruguay ha trovato condizioni pedoclimatiche ideali, tanto da divenirne da subito l’emblema della viticoltura, così come lo è il Malbec per l’Argentina, lo Zinfandel per la California o il Pinotage per il Sudafrica. Nella parte meridionale del Paese il pioniere fu invece Francisco Vidiella che realizzò la prima azienda viticola a partire dal 1876, impiantando una varietà importata dall’Europa, rivelatasi in seguito Folle Noire, diffusasi col nome di Vidiella. Oltre a questi due vitigni, a cui è profondamente legata la viticoltura del Paese, si ritiene che in quegli anni siano stati introdotti anche Cabernet franc, Merlot e Malbec, mentre l’importazione degli ibridi produttori diretti ebbe inizio nel 1890, ad opera di Francisco Piria. Nonostante la comparsa della fillossera verso la fine del secolo XIX, la


I Pisano all'interno della propria cantina

superficie a vigneto crebbe enormemente nel giro di pochi anni, passando da 740 ettari del 1893 ai 3600 ettari del 1904 e ai 6100 ettari del 1910. III La radici italiane Una tappa fondamentale per l’evoluzione del settore vitivinicolo uruguaiano fu l’arrivo, nei primi anni del Novecento, di agricoltori provenienti dall’Italia, i quali apportarono oltre ad avanzate conoscenze viticole ed enologiche, anche una spiccata capacità imprenditoriale. Gli emigranti italiani, oltre a determinare un innalzamento del livello tecnico del settore, contribuirono enormemente all’espansione della superficie vitata, dato che ciascun nucleo famigliare impiantò un piccolo vigneto destinato, almeno inizialmente, alla produzione di vino per autoconsumo. Per comprendere l’influenza di questi nostri connazionali sul settore e sullo stile dei vini uruguaiani, è sufficiente considerare che tra le cantine attualmente più importanti, figurano nomi quali Pisano, Ariano, Stagnari, Falcone, Pizzorno, Beretta, Toscanini, Chiappella e Bernardi. Dopo aver raggiunto un picco di circa 19.000 ettari nel 1956, la superficie vitata rimase pressoché costante per oltre un decennio, per iniziare poi a contrarsi a partire dagli anni Settanta, a causa soprattutto delle profonde crisi che hanno interessato il settore, in quegli anni non ancora in grado di fornire uno standard qualitativo adatto ad essere esportato verso i mercati europeo e statunitense. Nel’ultima decade del secolo scor-

so, il settore vitivinicolo uruguaiano ha conosciuto una profonda trasformazione, importantissima per la sua sopravvivenza. Quella che viene definita la “revolución del vino uruguayo” ha interessato tutta la filiera, dal vigneto fino alla struttura commerciale, ed è stata sostanzialmente finalizzata al raggiungimento di un vino di qualità che potesse essere apprezzato a livello internazionale. Il difficile cambiamento, realizzato a tempo di record, è stato promosso e guidato dall’Istituto Nazionale di Vitivinicoltura, fondato nel 1987, e sul suo esisto positivo ha sicuramente influito la nascita del Mercado Comùn del Sur (Mercosur), il quale ha offerto le prime opportunità concrete di esportazione per il vino uruguaiano. III Nel regno del Tannat La superficie vitata dal 1997 al 2003 ha continuato a diminuire, passando da 9362 ettari a 8583 ettari, in seguito all’abbandono delle aree meno vocate. Nel corso degli ultimi quattro anni si è stabilizzata, evidenziando addirittura una leggera controtendenza che l’ha portata agli 8652 ettari del 2007. La superficie totale comprende anche 1005 ettari di ibridi produttori diretti e 306 ettari di varietà destinate alla produzione di uva da tavola. Nell’ultimo decennio il miglioramento e la razionalizzazione dei vigneti ha portato a un incremento della resa media per ceppo, sempre sopra 4 chilogrammi dal 2004 al 2007, per cui alla contrazione della superficie vita-

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Mappamondo

Riccardo Castaldi

La Bodega Pisano

ta non ha fatto seguito una diminuzione della produzione di uva, che ha raggiunto 133.000 tonnellate nel 2007. L’Uruguay, situato tra 30° e 35° di latitudine sud, presenta un clima subtropicale umido, reso fresco dalle brezze oceaniche, che giungono nelle zone di coltivazione senza incontrare ostacoli, dove la temperatura media è di 18 gradi. I terreni sono di origine alluvionale, prevalentemente franco – argillosi e argillo – sabbiosi, dotati in genere di buona fertilità. La coltivazione della vite, pur essendo distribuita lungo tutto il corso del Rio de la Plata, è concentrata principalmente nei dipartimenti più meridionali. La maggiore superficie vitata si trova infatti nel dipartimento di Canelones, che presenta 5469 ettari di vigneti, pari al 63,21 per cento del totale, e nel dipartimento di Montevideo, dove i vigneti interessano 1.158 ettari, pari al 13,39 per cento del totale. Tra i più importanti dipartimenti a vocazione viticola si trovano inoltre quello di Colonia con 678 ettari, quello di San José con 602 ettari e quello di Paysandù con 199 ettari. Le forme di allevamento prevalenti, soprattutto in riferimento ai nuovi impianti, sono rappresentate dalle controspalliere basse, potate sia a cordone speronato sia a guyot, in funzione dei vitigni, nonché dalla lira aperta e dall’alberello, riservato ai terreni meno fertili; anche se maggiormente diffusi in passato, esistono ancora vigneti allevati a pergola e a tendone. Le varietà a bacca nera prevalgono nettamente su quelle a bacca bianca, dato che interessano 6581 ettari, pari al 76,8 per cento dell’intera superficie vitata. La preponderanza delle varietà a bacca nera è da ricondurre principalmente alle condizioni climatiche, favorevoli alla produzione di vini rossi, ma anche al fatto che la trasformazione del settore viticolo si è verificato in un periodo in cui vi era un’elevata richiesta di questa tipologia di vino a livello internazionale.

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La varietà principale è in assoluto il Tannat, coltivato su 1.714 ettari, che fanno dell’Uruguay il primo produttore al mondo di questo vitigno. Il Tannat viene tendenzialmente coltivato con un sesto di impianto che prevede una distanza compresa tra 1,0 e 1,2 metri sulla fila e 2,5 e 2,7 metri tra le file, cui corrisponde un investimento medio di circa 3500 piante per ettaro, e fornisce una produzione che generalmente supera di poco i due chili e mezzo per pianta. Il Tannat, che gli uruguaiani si vantano di aver proposto per primi in purezza, è un vino di corpo, strutturato, caratterizzato da colore intenso e da una particolare finezza aromatica; a seconda degli ambienti di coltivazione e delle tecniche di vinificazione, il Tannat può essere più o meno elegante, in ogni caso sempre intenso nei profumi e negli aromi, che gli conferiscono una tipicità inconfondibile. Per l’ottenimento di Tannat di elevato livello qualitativo, un’importanza fondamentale viene attribuita al raggiungimento di un adeguato livello di maturazione e a una particolare attenzione nell’estrazione e stabilizzazione dei polifenoli; adatto ad essere invecchiato, viene impiegato anche in taglio con Cabernet franc, Cabernet Sauvignon e Merlot. Tra i vitigni a bacca nera più diffusi troviamo inoltre il Moscato d’Amburgo, di cui esistono 1.533 ettari destinati alla vinificazione e 105 ettari destinati alla produzione di uva da tavola, il Merlot con 820 ettari, il Cabernet Sauvignon con 720 ettari, il Cabernet franc con 299 ettari, lo Syrah con 84 ettari e il Folle Noire con 67 ettari. I vitigni italiani a bacca nera in Uruguay non hanno trovato condizioni pedoclimatiche consone allo loro caratteristiche, per cui sono rappresentati solamente da 28 ettari di Nebbiolo e da esigue superfici di Bonarda, Barbera e Fortana. Il Trebbiano toscano, con 716 ettari, domina nettamen-


I vigneti degli Ariano

Preparazione dei vini nella Bodega Pisano

te lo scenario dei vitigni a bacca bianca, seguito a distanza da 129 ettari di Chardonnay, da 103 ettari di Sauvignon, da 41 ettari di Semillon e da 30 ettari di Pinot bianco. Negli ultimi anni l’Uruguay si è fatto apprezzare anche per il livello qualitativo raggiunto dai suoi vini bianchi, in particolare Sauvignon e Chardonnay, prodotti secondo lo stile internazionale. III Cantine in diminuzione L’evoluzione del settore ha comportato anche un’inevitabile diminuzione del numero delle cantine, passate dalle 787 del 1977 alle 272 del 2007; ovviamente le cantine rimaste sono quelle che hanno avuto la possibilità di espandere i propri vigneti e di modernizzarsi adeguatamente. La dimensione media delle cantine è però tendenzialmente contenuta, soprattutto se paragonata a quella delle altre realtà produttive del Nuovo Mondo, e ciò rappresenta un fattore che pone dei limiti alla capacità di esportazione. Sul totale delle cantine ve ne sono infatti 104 che producono meno di 1.000 ettolitri di vino, delle quali 72 al di sotto dei 500 ettolitri, 119 che producono da 1.000 a 5.000 ettolitri, 26 che producono da 5.000 e 10.000 ettolitri e solo 23 che superano tale quota. Complessivamente ci sono circa 3.000 viticoltori e dell’uva complessivamente prodotta nel 2007, il 76,17 per cento è stato venduto a cantine private, il 19,76% vinificato in cantina propria, il 2,48 per cento destinato al consumo fresco, lo 0,91 per cento vinificato per consumo famigliare e il restante 0,68 per cento vinificato da cantine cooperative. III Produzione e mercato Un altro elemento che differenzia l’Uruguay dagli altri paesi produttori del Nuovo Mondo, è il forte mercato interno, in grado di dare stabilità al settore. La pro-

duzione di vino, che si attesta annualmente attorno al milione di ettolitri, viene consumata per circa il 90 per cento all’interno del Paese. Il consumo procapite annuo è infatti di circa 32 litri, che si colloca all’ottavo posto nella graduatoria mondiale, a testimonianza dell’importanza del vino nella tradizione alimentare del paese. Una categoria di vino particolarmente apprezzata dai consumatori uruguaiani è rappresentata dai rosati; nel 2006 ad esempio, dei 938.511 ettolitri complessivamente prodotti, il 35,4 per cento era il vino rosato, il 7,5 per cento vino bianco e la restante quota vino rosso. Le esportazioni, che riguardano principalmente il vino rosso, sono in significativa espansione, dato che sono passate dai 17.600 ettolitri del 2003 ai 62.648 ettolitri del 2007; il vino viene esportato per la maggior parte in Europa, oltre che in Sud America, Nord America e Oriente. I principali mercati sono la Russia, acquisita recentemente, e il Brasile, importatore storico, che congiuntamente assorbono circa l’87% delle esportazioni uruguaiane. Altri mercati minori, ma di non trascurabile importanza, nei quali i produttori uruguaiani cercano di farsi spazio, sono rappresentati da Canada e Stati Uniti, che nel corso del 2007 hanno importato rispettivamente 168.500 e 146.500 bottiglie; seguono poi Germania, Cina, Messico, Regno Unito, Polonia, Belgio, Svezia, Francia e Svizzera. Le vendite in Italia sono attualmente molto limitate, per cui non è facile incontrare prodotti uruguaiani nelle carte dei vini, anche se negli ultimi anni è aumentato l’interesse e la curiosità nei loro confronti che potrebbe determinarne una maggiore diffusione. Le importazioni, che conformemente al gusto dei consumatori uruguaiani riguardano in primo luogo i vini rosati, avvengono prevalentemente dalla vicina Argentina e, per piccole partite, anche da Germania, Francia, Cile, Spagna e Italia.

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Oli d’Italia

Luigi Caricato

L’extra-vergine scende in piazza tempo di farmers market. Ovvero, per mantenere ancora un briciolo di italianità, fin quando è possibile, possiamo dire che è giunto il tempo dei mercatini riservati in via esclusiva agli agricoltori. Sono luoghi fisici, tali mercati, pensati espressamente per essere collocati all’interno delle città, allo scopo di favorire l’incontro tra i consumatori e le aziende agricole. E questo con l’intento di abbattere il prezzo della merce, evitando fastidiosi ricarichi; e, in secondo luogo, per offrire un’opportunità commerciale dignitosa ai tanti olivicoltori nostrani. A conti fatti, si tratta di una lodevole iniziativa, quanto mai encomiabile, anche se l’idea in sé non è per nulla originale, visto che è largamente praticata da tempo in altri Paesi europei e non. Però, quanto meno, seppure in ritardo, ora sono di fatto una realtà anche in Italia. E così, dopo anni di atteggiamenti ostativi da parte dello Stato, sempre pronto a frenare ogni impulso con l’arma imbattibile della burocrazia, le migliaia di aziende olivicole, e non solo, potranno oggi beneficiare della visibilità delle pubbliche piazze. Il fenomeno è stato rilanciato in pompa magna da alcune associazioni di categoria, forti del successo di consensi registrati all’estero. Si pensa che il modello possa funzionare, avvicinando così la gente al prodotto genuino, in un passaggio diretto dal campo alle mani del consumatore, senza intermediari. La vendita diretta, anche al di fuori dell’azienda di produzione, dovrebbe come tale garantire una buona remunerazione, ed è, a tutti gli effetti, uno strumento utile. Da promuovere a ogni costo, sperando che non si frapponga però il rischio di una stupida burocrazia, anche perché le aziende agricole sono in fondo strutturalmente fragili e non riescono a tenere testa alle continue

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pressioni. Bene, fin qui nessun’altra osservazione da fare, tranne il fatto che il consumatore con ogni probabilità non riuscirà purtroppo a capire la disparità di prezzo tra l’olio del supermercato e l’olio del contadino. Penserà che l’olivicoltore esageri, senza tuttavia capire che gli alti costi di produzione con cui un’azienda italiana è costretta ogni giorno a confrontarsi non consentono, pur volendo, di rendere davvero competitivi i propri, pur genuini, extra vergini. E’ un problema di cultura e di errata percezione da parte della gente che chiede il basso prezzo. E così si chiederà infine all’olivicoltore di adeguarsi ai prezzi del supermercato, e non ci sarà di fatto il successo sperato per la vendita diretta degli oli. Sì, perché i mercatini del contadino possono funzionare soltanto con ortaggi e altri beni similari, sui quali insomma il ricarico dei commercianti è spaventosamente alterato a fini speculativi. Con gli oli extra vergini di oliva è diverso, perché la grande distribuzione organizzata tratta il prodotto come una commodity, più che come un prodotto premium. E questo di certo non agevola gli

acquisiti dell’olio degli olivicoltori, né nei tradizionali punti di vendita, né, tanto meno, nei mercatini agricoli. Occorre in verità un intervento legislativo che forzi il mercato, imponendo alla Gdo di non umiliare l’extra vergine, inquadrandolo al solito come un “prodotto civetta”, buono solo per attrarre gente in negozio. Le Istituzioni questo coraggio però non ce l’hanno. La Gdo è potente e condiziona le politiche del Paese. La legge del dicembre 2006, che ha dato ufficialmente il via libera ai mercatini agricoli anche in Italia, è diventata esecutiva a distanza di un anno, nel dicembre 2007, ma non porterà sostanziali vantaggi per l’extra vergine. Il decreto ministeriale di attuazione detta infatti le linee di indirizzo per i mercatini agricoli: saranno circa 100 mercatini entro il 2008, e si arriverà, nel corso del 2010, a quota 400, se non addirittura 500. Saranno in particolare coinvolte tra le sei e le otto mila aziende agricole, ma l’olio extra vergine di oliva – prendetemi in parola – pur scendendo in piazza non trarrà grandi benefici. Attendo comunque una secca smentita dai fatti. Per lo meno: me lo auguro di tutto cuore.


GLI ASSAGGI “IL POLLAIOLO” è un blend da olive Frantoio, Moraiolo e Leccino. Nel bicchiere. Verde dai riflessi dorati, è limpido all’aspetto. Al naso i profumi freschi e puliti, intensi, dalle chiare connotazioni erbacee. Al palato la buona fluidità, le note amare e piccanti nette e persistenti, gradevoli, con gusto vegetale di carciofo. In chiusura l’erba di campo e una punta di piccante. L’abbinamento. Con gnocchi di pane raffermo, zuppe di fave, tagliata alla rucola. Azienda Agricola Gabriella Stansfield, loc. Pollaiolo, Vitiano (Arezzo); cell. 348.5162400, g.stansfield@fastwebnet.it

“TERRE ROSSE” è un monocultivar da olive Moraiolo. Nel bicchiere. Giallo oro dai riflessi verdolini, ha profumi fruttati di media intensità, con toni di carciofo e sentori di erbe di campo. Al gusto è sapido ed elegante, di buona fluidità e dall’alto potere condente, con sensazioni vegetali fresche e punte amare e piccanti nette ma equilibrate, persistenti. In chiusura la mandorla. L’abbinamento. Con antipasti di verdure crude, farinata al pepe, aragosta alla griglia. Azienda agraria Hispellum, via Vitale Rosi 42, 06038 Spello (Perugia); tel. 0742.302274, info@hispellum.com, www.hispellum.com

“COLONNA” da un blend di olive Leccino, Gentile di Larino e Rosciola. Nel bicchiere. Giallo oro dai riflessi verdolini, è limpido all’aspetto. Al naso si apre con profumi di media intensità, vegetali e mandorlati. Al gusto è armonico, seppure con note amare e piccanti nette, con rimandi alle erbe di campo e alla salvia. In chiusura una piacevole punta di piccante e richiami di frutta bianca. L’abbinamento. Con budini di asparagi e insalata, vellutata di porri e patate, carne bianca ai ferri. Marina Colonna, Masseria Bosco Pontoni, 86046 San Martino in Pensilis (Campobasso), tel. 0875.603006, fax 0875.603002, info@marinacolonna.it, www.marinacolonna.it

“TENUTA LJVERJ” fruttato intenso, da un blend di olive Nocellara, Cerasuola e Biancolilla. Nel bicchiere. Giallo oro dai riflessi verdolini, è limpido all’aspetto. Al naso ha intensi profumi fruttati con rimandi netti al pomodoro e intonazioni vegetali. Al palato è morbido ed elegante, di buona fluidità, con note mandorlate che si ritrovano anche in chiusura, nella sensazione retro-olfattiva, unitamente a una punta di piccante. L’abbinamento. Con sformatini di ricotta con pomodori arrosto, bucatini alla carbonara di zucchine e bottarga, carni bianche ai ferri. Maria Carmela Di Giovanna, piazzetta Vespri 5, Alcamo (Trapani), cell. 338.8927458, fax 0924.21738, mariacarmela.digiovanna@tin.it, www.tenutaljverj.com

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Birra di qualità

Maurizio Maestrelli

vichingo

Un in terra d’Abruzzo olti della nostra generazione, parlo di noi quarantenni, hanno avuto a che fare, da ragazzini, con un gioco didattico chiamato “Il piccolo chimico”. La maggior parte ha poi abbandonato le alchimie per dedicarsi ad altro, qualcuno invece è proprio diventato un chimico di professione, ma qualcun altro ha invece “girato” la sua passione per i “magici” intrugli e le loro reazioni, nell’alchimia che più aggrada il popolo dei gourmet: ovvero quella naturale del cibo, del vino e della birra. Juriy Ferri appartiene all’eletta schiera. È un birraio della seconda generazione, come ama definirsi, ossia arrivato dopo la prima schiera dei pionieri, da Teo Musso ad Agostino Arioli, e qualche anno in anticipo rispetto alla moda esplosa circa due anni fa. Quella che ha effettivamente portato alla ribalta il mondo della birra artigianale italiana. Questo dunque lo protegge dal sospetto di essere salito sul carro del vincitore e di essersi dedicato alla birra solo per l’intuizione del business. «L’Abruzzo è una regione un po’ isolata», racconta Juriy, «e quando ho iniziato a fare le prime birre in casa, non avevo mai assaggiato per dire una birra belga e nemmeno sapevo che cosa fosse il Baladin di Piozzo». Juriy ha alle spalle studi di chimica e una passione vera per la chimica delle fermentazioni, ma soprattutto aveva suo nonno. Padre abruzzese e mamma svedese, il nonno materno di Juriy ha tutte le caratteristiche di un per-

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sonaggio da romanzo di Conrad. Imbarcatosi su una nave come mozzo ne diventa dopo anni di gavetta il vicecomandante, poi in Francia studia da chef e conclude la sua carriera nelle vesti di capo maitre del celeberrimo Moulin Rouge di Parigi. «Credo sia stato mio nonno, attraverso mia madre, a trasferirmi una sorta di “malattia genetica”», prosegue Juriy. «Mi sono appassionato presto alle alchimie, alle composizioni e ai profumi del cibo e del vino. Poi è scoppiata questa mania per la birra, alla quale mi sono dedicato prima in versione casalinga, poi con il mio birrificio». Se in casa il giovane “abruzzo-svedese” faceva weizen a ripetizione, «ogni volta cercavamo di perfezionarla, anche se alla fine la cosa ci ha un po’ stufato», nel 2003 apriva i battenti l’Almond ’22 (a Pescara, in via Colle di Mezzo, 25; website: www.birraalmond.com). Niente weizen allora, ma birre da subito originali e dal profilo molto caratterizzato e personale. «Credo di aver portato molto dell’arte di cucinare e di fare il vino, nella mia produzione birraria. È stato divertente scoprire che in tanti, tra quelli che assaggiavano le mie prime birre, mi dicevano che ero di “scuola belga”, quando io ancora non avevo mai provato delle birre belghe». Ma il percorso personale di Juriy Ferri andava verso la complessità finale della birra, il range di profumi e di sensazioni, il tentativo, riuscito, di non dare vita a birre banali e semplicemente da mandare giù, ma di andare oltre. Non a caso uno dei suoi punti di riferimento non è un cele-


Juriy Ferri al lavoro

bre birraio, ma un celebre vignaiolo della sua regione, ovvero quel mago del Trebbiano d’Abruzzo che risponde al nome di Valentini. «Ho sempre amato molto i suoi vini», conferma Juriy, «per la complessità e le sensazioni che sanno regalare. Nel mio piccolo, ho provato a fare altrettanto». Ecco allora le sue birre. Una delle prime a vedere la luce, e ancora oggi tra quelle maggiormente richieste, è la Irie: una birra chiara e da 5% vol, arricchita da una speziatura leggera e complessa grazie al coriandolo, alla scorza d’arancio dolce e amaro, ai boccioli di rosa e ai fiori d’arancio. «È forse la mia birra più difficile da fare», spiega Juriy. «Difficile perché è fine ed elegante, un minimo errore si avverte subito, non ci sono spezie o dosaggi così forti che possano coprire il suo delicato profilo organolettico». Insomma, una bella partenza lanciata. Dopo la Irie è il turno della Farrotta, dal bel colore dorato, riflessi aranciati e 5,7% vol. Dal nome si capisce che il cereale che la contraddistingue è il farro, biologico, al quale si aggiunge il miele d’acacia, sempre biologico, scelto di anno in anno tra selezionati apicoltori abruzzesi. A nostro avviso è una delle birre d’eccellenza dell’Almond: setosa al palato, ricca nei profumi, senza essere eccessiva e senza correre il rischio di stancare. Discorso analogo per la Grand Cru, più impegnativa con i suoi 7,5% vol, ma avvolgente e maestosa: colore ambra scuro, struttura percepibile già all’olfatto, con una nota vinosa che la rende birra da abbinamenti importanti: dai formaggi di media stagionatura alle carni rosse. Un doveroso omaggio alla moglie Valeria, che ha sempre condiviso l’avventura di Juriy ed è parte attivissima nella conduzione del birrificio, è invece la Blanche de Valerie nella quale Juriy ha scatenato la sua fantasia. Chiara e leggermente opalescente, questa blanche utilizza cereali come la segale e la saragolla, una varietà antenata dei moderni grani duri introdotta in Abruzzo nel 400 dopo Cristo, e un tocco esotico dato da una varietà rara di pepe nero di Sarawak. «L’uomo che lo raccoglie vive quasi isolato nella foresta del Borneo», racconta Juriy, «e ogni volta la piccola partita che ci arriva può variare leggermente, ma io questa storia la trovo fantastica e in fondo il bello della birra artigianale è proprio questo: non ci sono mai gesti completamente ripetitivi. Ogni birra deve avere la sua riconducibilità, ci mancherebbe, ma, come per il vino, ogni annata può essere diversa dall’altra». È questo, alla fine della storia, il “quid” di Juriy Ferri. Le altre sue birre, la Nigra, la Torbata, la Fredric e la prossima nata che dovrebbe debuttare in settembre, sono comunque la conferma non solo del talento di birraio, ma della sua filosofia produttiva. Imperniata sulla ricerca dei profumi, sul disegnare nella mente e poi nel bicchiere il profilo che regala sensazioni piacevoli, in qualche caso più delicato in altri più imperioso. Ma le sue birre sono sempre fatte per essere bevute, e le si possono acquistare anche on-line, non per stupire i cercatori di “sensazioni estreme”, ma per meravigliare i golosi di tutte le età che magari rimpiangono ancora di non essersi dedicati abbastanza al gioco del “piccolo chimico”. 75


Distillati

Angelo Matteucci

Il lungo cammino del DA

BEVANDA

DEI BUCANIERI

A PRODOTTO D’ÉLITE: RISPETTO ALLE ALTRE TIPOLOGIE QUESTA, NON INVECCHIATA MA AFFINATA PER POCHI MESI, HA UN AROMA SENSIBILMENTE PIÙ MARCATO

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l lungo viaggio della canna da zucchero, originaria dell’Asia, attraverso i millenni ha raggiunto buona parte del territorio tropicale e sub-tropicale. Nel suo secondo viaggio del 1493 Colombo la portò nel Caribe avendo compreso che in quelle verdeggianti isole la canna da zucchero avrebbe trovato il suo habitat ideale. Qui la pianta sviluppò e divenne un’importantissima fonte di reddito sia per la produzione dello zucchero sia per la distillazione del suo succo o del sottoprodotto melassa. Nei territori di influenza francese, al contrario di quanto avviene presso gli antichi domini spagnoli e inglesi, è utilizzato direttamente il succo di canna fresco, appena colto che è fermentato prima che si possa alterare nella fase di ossidazione. Qui si preferisce la freschezza e la fragranza di aromi e gusto del Rhum come viene scritto in francese. L’utilizzo esclusivo del succo fresco riduce sensibilmente il periodo di distillazione legato ai due raccolti annuali della canna da zucchero. Il succo inizia a fermentare poche ore dopo il raccolto con pericoli di alterazioni batteriche ed è praticamente impossibile riuscire a distillare, nel brevissimo periodo, tutto il fabbisogno. Si ricorre così a trasformare prima il

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succo in sciroppo di zucchero per poi fermentarlo e distillarlo. In questo modo si guadagna un po’ di tempo anche se lo sciroppo ha comunque breve durata. Occorre quindi dedicare tutte le energie per la distillazione effettuando una vera e propria corsa contro il tempo se si vogliono ottenere risultati eccellenti. La fermentazione avviene in tempi brevi, massimo 72 ore, producendo un liquido alcolico definito “vesou”, molto aromatico che è pronto per la distillazione in alambicchi che ricordano quelli di Cognac o distillatori a colonna. Rispetto alle altre tipologie (spagnola, inglese e Demerara) i rhum agricole bianchi, non invecchiati ma affinati per pochi mesi, hanno aroma sensibilmente più marcato con sentori floreali di fiori d’arancio, fruttati, limone, arancia, frutto della passione, speziato, canella e noce moscata e soprattutto con notevoli note erbacee. Con la maturazione, specialmente se prolungata, il rhum raggiunge punte di gradimento molto alte. I rhum di scuola francese hanno tuttavia una minore duttilità ad essere miscelati. Le isole caraibiche di influenza francese sono seminate ad arco sul mare turchese come una collana di perle. A nord nelle Grandi Antille vi è Haiti, tra le più povere nazioni dei Caraibi che produce il Rhum Barbancourt, uno dei più ricchi distillati di canna. Più a sud incontriamo Guadalupe con una serie di rhum agricole tra i quali, Damoiseau, Longueteau, Mom


rhum agricole Répos e Montebello. Nella piccola Saint Kitts la distilleria Cane Spirit Rothschild produce il Csr. In Martinica, le più importanti produttrici di rhum che si fregiano dell’Appelation d’Origine Controlée, troviamo Clement, Depaz, J. Bally, J.M., La Mauny, Neisson, Dilons, Trois Rivières e Saint James. Sull’isola Marie Galante vi sono Père Labat, Bielle e Magalda. Infine sulla terra ferma nella Guyana francese possiamo bere La Belle Cabrasse. Nell’adiacente Repubblica della Guyana vi è un’altra tipologia di rhum. Il Demerara che da trecento anni mantiene alto il suo prestigio soprattutto presso il consumatore anglosassone. In questi ultimi lustri, grazie a una politica intelligente di importatori italiani che distribuiscono alcuni rhum Demerara di lunghissimo invecchiamento, questo mercato di nicchia ha trovato un ottimo riscontro tra i consumatori più esigenti. Velier offre una vasta gamma di questi rhm prestigiosi cosi come Moon Import distribuisce un’interessante serie di propri rum. Arnolfini importa i validi Demerara imbottigliati in Scozia da Cadenheads. Il Gruppo Demerara Distillers è il più grande produttore e fornitore di rhum in barili con oltre 7 milioni di litri l’anno. La melassa di canna da zucchero locale è fermentata e distillata sia in alambicchi di rame sia in distillatori a colonna. E’ ancora in funzione l’unico distillatore a colonna rettangolare in legno che è utilizzato per produrre rum speciali. La gamma del Gdd è presentata con l’etichetta El Dorado. Il rhum in generale è adatto alla miscelazione e fa parte integrante di famosi cocktail e long drink come Daquiri, Mojito, Mai Tai, Planter’s Punch, Cuba Libre e altri. Pampero Aniversario è proposto con l’esclusiva ricetta Caracassario con trancia di lime impregnata di zucchero di canna da un lato e caffé macinato dall’altro. Inoltre ogni barman degno di tale nome ha alcune ricette personali. Sono sorte “Ronerie” o Rumerie” in molti centri e ovunque vi è l’hap-

py hour si trova un largo assortimento di rhum. Il capo barman Aibes Fabio Bacchi è la persona che più di ogni altra, di mia conoscenza, svolge in modo eccellente la sua professione sia di Barman ad altissimo livello (è vice campione mondiale in carica) sia di formatore in varie parti del mondo. Fabio ha raggiunto una notevolissima conoscenza e è senza dubbio la persona che, viaggiando moltissimo per il suo lavoro, meglio di altri carpisce le nuove tendenze in fatto di bere bene. Parlando delle sue recenti esperienze a Londra e a Singapore egli conferma che vi sono sempre più spazi aperti per i rum invecchiati che hanno soppiantato il cognac e contrastano i consumi del whisky. Vi è inoltre nei locali top la nuova tendenza dei “luxury drinks” ovvero cocktail tradizionali e non con una base di altissimo prestigio (e costo) come single malt invecchiati 25 anni, blended whisky straordinari come Johnnie Walker Blue Label e rum come i Dermerara di 20 o 30 anni. Anche la scelta dell’attrezzatura del barman è sofisticata, dal bicchiere di miscelazione d’epoca alle autentiche coppette Liberty o piccoli bicchieri shot e così via. Si evita di violentare il distillato così pazientemente invecchiato e quindi si preparano drink con attenzione e morbidezza, non usando lo shaker ritenuto troppo violento, mentre le eventuali spremiture di agrumi sono compiute rigorosamente a mano. Si svolgono anche delle verticali di tre rum con invecchiamenti diversi (30-35-40 anni e oltre) serviti in piccoli bicchieri antichi con contenuto non superiore ai 2 centilitri. Il tutto abbinato ad un raffinato finger food buffet, da portare alla bocca direttamente con le dita. Infine per un brunch (parola composta da breakfast mattutino e lunch di mezza giornata) fuori del comune si può consumare una classica T-bone steak del migliore Angus beef accompagnata da un cocktail al rum di 40 anni terminando con del cioccolato cru fondente composto esclusivamente dalle più pregiate fave di cacao criollo. 77


Etichette

Francesca Cantiani

Miti e re in etichetta NOMI

CURIOSI O FAMOSI, CHE SI RIFANNO

A PERSONAGGI STORICI E A LOCALITÀ RICCHE DI FASCINO. E LA

E’ COSÌ CHE BERENGARIO CALLAS, L’ISOLA DI KOS E LA BOEMIA

COMPAIONO SU ETICHETTE CHE CERCANO

DI INCURIOSIRE GLI AMANTI DEL BUON BERE.

Il celebre Bacco del Caravaggio

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etichetta per un vino è quello che per noi è il passaporto, uno strumento ufficiale per far sapere chi siamo a chi non ci conosce: deve servire per far spiccare la bottiglia in mezzo a molte altre. Per questo, oggi, si assiste a una corsa alle etichette strane, fantasiose, coloratissime e a un caleidoscopio di nomi particolari che rimandano a miti, a personaggi storici, a località da favola. Molti grafici credono che l’etichetta sia simile ad un manifesto e quindi la “arricchiscono” di dati e orpelli spesso inutili. Che il fenomeno sia imputabile alla sovrabbondanza d'uva, oppure si debba dar credito alla creatività crescente di produttori ed esperti di marketing, fatto sta che le etichette di vino non sono mai state così divertenti, strane e in grado di attrarre l'attenzione del pubblico come in questo momento. Inoltre un gran numero di vini dai nomi inusuali sono diventati enormi successi commerciali, un dato di fatto che quasi certamente non farà terminare il torrente continuo di etichette particolari ed umoristiche. L'Australia ha rappresentato la testa di ponte di questa nuova tendenza, seguita da numerosi produttori del "Nuovo Mondo”. In un mercato, decisamente avanzato ma caotico come quello degli Stati Uniti, i colori sono di moda, sommandosi a bottiglie dalle forme più strane. In Francia, terra dove la Cultura del vino è con la “ C ” maiuscola, il mondo della grafica per etichette, per contro, si è semplificato radicalmente. Gli scaffali delle enoteche o dei supermercati sono pieni di etichette molto simi-

L’


In alto, il platano di Ippocrate sull’isola di Kos, luogo in cui nacque il concetto di medicina moderna. A sinistra una scena del “Nabucco” di Giuseppe Verdi e un’immagine di Maria Callas.

li l’una all’altra. Quasi sempre l’etichetta è bianca e su questa viene riportato semplicemente il nome del produttore e i dati del vino. L’Italia, invece, si è lasciata contagiare dalla nuova tendenza. Da qualche tempo ormai alcuni produttori hanno scelto di battezzare i propri vini con nomi particolari. Non mancano di certo miti e leggende cui fare riferimento. Ne sa qualcosa, ad esempio, l’etichetta Il Baccanale dell’azienda “Fattoria La Lecciaia”, di Montalcino. Il Super Tuscan Igt è ottenuto con uve Cabernet-Sauvignon e Sangiovese, utilizzate in quantità equivalente. Viene affinato almeno sei mesi in barrique dalle quali acquisisce profumi molto intensi. Come intense dovevano essere la feste alle quali fa riferimento. I Baccanali, infatti, sono un'antica festa di origine romana. Deriva da rituali dedicati al dio Bacco, anche se la sua origine risale ai Greci e alle celebrazioni in onore di Dioniso. Protagoniste erano le baccanti, ovvero le sacerdotesse che, invasate, trasformavano l’atmosfera in una vera e propria orgia sfrenata, in cui ci si abbandonava al vino e alle licenziosità. È chiaro che a Roma i Baccanali non godessero di buona fama soprattutto tra i ben pensanti. Probabilmente il grado di popolarità è espresso in modo chiaro dal commediografo Plauto. Nelle sue commedie deride i Baccanali per la loro carica di volgarità, per il chiasso, l’invasamento e per l’ostilità verso gli estranei. Anche il grande tragediografo greco, Euripide, dedica a questo

tema una delle sue più grandi opere, Le Baccanti, una tragedia in cui tra i vari temi spicca quello della follia, del delirio pazzo e sanguinario. Dunque un nome un po’ impegnativo per un’etichetta. Come “non facile da portare” è il riferimento a re e a regine del passato. L’etichetta in questione è un omaggio della “Casa vinicola Zonin” al longobardo Berengario, duca del Friuli e primo re dell’Italia feudale nell’888, poi imperatore del Sacro Romano Impero, ucciso nel 924 dopo essere stato sconfitto a Fiorenzuola d’Arda, presso Fidenza. A questo re illuminato e alle terre del Friuli è dedicata l’etichetta di un grande e pregiato rosso, Berengario Igt, prodotto con uve Cabernet Sauvignon e Merlot coltivate nelle Magredis di Aquileia, i celebri terreni di argilla e sassi che hanno la prerogativa di "cullare le viti". Affinato per oltre dodici mesi nelle barriques francesi delle foreste d'Allier, Berengario è un vino di colore rosso granato, caldo ed etereo. A una regina più moderna, a una “sovrana” del canto, divina e umana allo stesso tempo è dedicato il Callas, vino Igt bianco. Le sue note floreali di violetta bianca e biancospino, la sua struttura morbida ed equilibrata dagli intensi aromi ricordano il soprano greco dalla vita tormentata e piena di passione. Gli amanti della musica di sicuro apprezzeranno anche Nabucco, un armonioso rosso Igt, un vino fermo di

alta qualità. Entrambi questi nettari sono diventati il simbolo dell’azienda vitivinicola che li produce, Monte delle Vigne, nel cuore della zona Doc Colli di Parma. Mentre il Callas è ottenuto da sola Malvasia di Candia, uva bianca tradizionale della zona, Nabucco si ottiene da Barbera (70 per cento) e Merlot (30 per cento), affinato per un anno in barriques di rovere francese. Naturalmente località paesaggistiche ricche di fascino non potevano mancare nel novero dei nomi curiosi. Ci riporta al Dodecaneso e alla bellezza delle isole greche il Leucòs dell’azienda ”Ronco dei Pini” di Prepotto, in provincia di Udine. Per apprezzare questa etichetta dobbiamo far ricorso a reminiscenze classiche e in particolare al Plinio il Vecchio e alla sua Naturalis Historia. Da Plinio apprendiamo che “leukòs” significa “vino bianco di Kos”, ossia della splendida isola a nord di Rodi, famosa anche per aver dato i natali a Ippocrate. A una regione dell’Europa centrale si legano invece due nettari: Bianco e Rosso di Boemia della “Cantina Liedholm” di Cuccaro Monferrato, in provincia di Alessandria. Per il primo l’uvaggio è alquanto ricco: Barbera, Pinot Nero, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Bonaria; il Bianco è per metà Cortese e per un altro 50 per cento Pinot Bianco. In realtà il nome Boemia che compare in etichetta è meno strano di quanto a prima vista potrebbe sembrare. Infatti Villa Boemia è la sede dell’azienda e deriva dal primo proprietario della dimora, un commerciante piemontese di cristalli. 79


Compleanni

Sassicaia, 40 anni di Supertuscan di Carlo Cambi apita in queste settimane leggendo cronache sul vino di riandare con la memoria a un libretto dimenticato in fretta, è Diario Notturno di Ennio Flaiano che contiene, tra i tanti aforismi, un’icastica noticina del grande pescarese: la situazione in Italia è grave, ma non è seria. Aleggia il fantasma di Ciravegna, si cercano scoop nelle cantine indagando se su cento chilometri di barbatelle per caso non ci sia scappata una vite di cabernet tra un mare di sangiovese grosso di Toscana. E tutto fa notizia. Ma fa anche danno. Per dirla in italiano corrente hanno messo un po’ di sterco nel ventilatore e hanno azionato l’interruttore. Se continua così ci scappa un nuovo aforisma da applicare al vino italiano: veniamo da lontano, ma non andremo lontano. Invece il calendario ci consegna qualcosa di cui andare orgogliosi che – chissà perché – è sfuggito al circo mediatico. Troppo impegnato evidentemente a cercare il pelo nel mosto. Si compie quest’anno il quarantennale di una rivoluzione che ha consentito al vino italiano, e segnatamente a quello toscano, di cominciare la sua ascesa mondiale. E’ stato un ’68 in cantina che ha potato la fantasia, la qualità, l’internazionalità al potere e che ha segnato la nostra recente storia enologica. E’ stato il nostro Rinascimento in vigna e in bottiglia. Serve ricordarlo a coloro i quali oggi si dichiarano puristi senza se e con troppi ma, o a quelli che avendo contribuito a gonfiare oltre ogni limite notorietà effimere ora stanno allineati e coperti. Sì c’è una data nel mondo del vino che non può, e maggior ragione oggi, passare inosservata: è l’ottobre 1968 quando si compì la prima vendemmia di Sassicaia destinata alla commercializzazione. Niente nel vino toscano dopo quella data sarebbe stato più eguale. Sul vino della tenuta San Guido si sono

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scritte migliaia di parole, non tutte sensate e spesso si è cercato di alimentare il mito partendo o dall’improvvisazione o dall’enfatizzazione. La verità del Sassicaia per fortuna è altra e più alta di quella che hanno voluto accreditare critici, cronisti e storici. Le ragioni della grandezza di questo vino risiedono soprattutto nella mutazione di pensiero che esso ha prodotto e che vanno al di là della pure eccellente carriera degustativa del Sassicaia. Vediamo di capirci e di comprendere perché De Vinis s’interessa di nuovo alla bottiglia di Niccolò Incisa della Rocchetta, tanto famosa da non fare più notizia. E invece è proprio l’attualità presente del vino italiano a rendere il Sassicaia imprescindibile. Converrà ripercorrere la storia di questa bottiglia unica al mondo perché non si è mai dato che in quattro decenni un territorio senza storia enologica diventasse un giacimento assoluto di qualità. Si capisce perché il Sassicaia non sia un vino eccellente, ma sia uno dei pochissimi grandi vini d’Italia: perché ha un’anima e un pensiero dominante. Se valutiamo con discernimento potremo infatti concludere che mai nel mondo un vino con una biografia così breve è diventato un emblema. Se pensiamo ai grandissimi francesi, Margaux, Latourre, Romaneè Conti, Obrion, Petrus, scopriamo che hanno impiegato secoli per diventare bottiglie-mito. Nascono questi grandi bordolesi e borgognoni da terre che sono state deputate a produrre qualità da almeno duecento anni, furono pensati per essere commercializzati. Di quei territori si sa tutto: ci sono quaderni di campagna che vendemmia dopo vendemmia hanno stratificato testimonianze che si sono fatte esperienza e competenza. Infine hanno avuto alle spalle un sistema


Bolgheri, porta d’ingresso al borgo medioevale

Paese che li ha sostenuti e hanno avuto per produttori Chateaux che si sono industriati a creare l’immagine di questi vini. Il Sassicaia di tutto questo nulla ha avuto. Il progetto iniziale di Mario Incisa non era neppure quello di fare un vino da vendere, ma era semmai produrre poche bottiglie per sé e per gli amici. In tutto questo sta l’eccezionalità della bottiglia con la stella a otto punte. Perché non c’è stata degustazione nel mondo in cui il Sassicaia non abbia rivaleggiato ad armi pari, e spesso sovrastato, i grandi francesi; non c’è degustazione in cui non abbia stupito. E’ un unicum, è il vino del secolo come hanno decretato i maggiori e più intellettualmente onesti critici internazionali, e come tale è giusto celebrarlo. A molti parve un eccesso di piaggeria, quasi un esercizio sciovinista, l’idea di Michil Costa di dedicare nel suo La Perla di Corvara un tempio al Sassicaia e di creare i cavalieri di questo vino. Oggi ci appare solo come un modesto omaggio alla grandezza assoluta dell’intuizione di Mario Incisa della Rocchetta e della creazione di Giacomo Tachis. Ma anche in questo il Sassicaia è diventato emblematico. In molti si sono provati a distruggerlo: hanno cominciato a dire che era ipervalutato, che non era più quel-

Bolgheri, torre campanaria

lo di una volta, che era diventato troppo popolare. E’ la debolezza del sistema Italia che si specchia in questi esercizi, talvolta anche beceri, di retorica. Mai i francesi hanno messo in dubbio i loro grandissimi . A noi capita e si capisce perché, nonostante tutto, siamo sempre un passo indietro. Ma per comprendere che cosa il Sassicaia ha significato si deve andare oltre il suo pur inebriante profilo. Il Sassicaia ha determinato tre fenomeni che hanno cambiato il vino italiano. Ha introdotto i vitigni internazionali (soprattutto ha imposto il cabernet sauvignon) nelle nostre vigne e ha inventato i supertuscan, ha restituito immagine di eccellenza al vino italiano, ha cambiato le tecniche enologiche sdoganando la barrique, imponendo affinamenti non estenuanti, costringendo le cantine a misurarsi con i loro terreni. E ha fatto sì che i vini venissero finalmente progettati e non fossero più soltanto ciò che per abitudine si ricavava dalla terra. Infine ha letteralmente inventato il terroir di Castagneto da cui poi sono nati altri vini eccellenti: Guado al Tasso, Ornellaia, Masseto, Messorio, Grattamacco. Senza il Sassicaia tutto questo non ci sarebbe. In questo senso è stato un sessantotto in cantina: ha cambiato la mentalità dei vignaioli. Gridavano gli studenti 81


Compleanni della Sorbona: siate realisti, chiedete l’impossibile. Ecco, se si guarda a cosa erano le vigne di Bolgheri prima del Sassicaia si può dire che quel vino ha fatto diventare realtà l’impossibile. L’anima proletaria di Giacomo Tachis ha fatto ciò che neppure Mario Incisa voleva: ha portato, attraverso la tecnica, la fantasia al potere nel vino. Non poteva essere altrimenti, visto che il Sassicaia è stato concepito come un moto dell’anima. Mario Incisa che si era imparentato con gli Antinori decise di scommettere sul suo vino e di affidare a loro la commercializzazione del Sassicaia. Da quel momento a curarlo entrò in scena Giacomo Tachis, allora enologo degli Antinori. Tachis assaggiò le botti: fece un blend di annate: la 66, la 67, qualcosa del 65. Le prime 3 mila bottiglie di Sassicaia furono prodotte con etichetta 68, vennero vendute nello spaccio aziendale lungo l’Aurelia. La storia ufficiale comincia anche se la prima vera commercializzazione del Sassicaia si avrà a partire dal ‘71. E fu una storia di continui contrasti. Tachis impose la fermentazione in acciaio, abbassò il contributo del cabernet franc a solo il 15 per cento, fece piantare altre vigne abbandonando l’alberello per il guyot e orientando i filari da nord a sud, ridusse l’affinamento a meno di due anni nelle barrique. Mario Incisa mal sopportava, ma molti anni dopo il suo terzogenito Niccolò Incisa della Rocchetta che ha un feeling speciale con Giacomo Tachis e che ha portato il Sassicaia a diventare un prodotto mondiale ha confidato: “Tutti vorrebbero fare Petrus: un vino unico, esclusivo. Mio padre non ha fatto in tempo a comprendere fino in fondo la grandezza del suo progetto, del Sassicaia. Io oggi faccio questo vino con

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l’idea di fargli percorrere le strade del mondo: non ce n’è ne troppo ne troppo poco. Grazie alla collaborazione con Tachis oggi il Sassicaia non è solo un grande vino, è diventato un nuovo progetto di azienda vitivinicola”. Che produce due altri vini, Guidalberto e Le Difese, e che in joint-venture con Santadi in Sardigna ha tirato fuori un’altra bottiglia destinata al successo: il Barrua. Ma ciò che oggi interessa soprattutto rileggere della vicenda Sassaia è che da questa bottiglia l’enologia toscana ha tratto esempio per produrre i Supertuscan per affermare un concetto che appare comunque vincente: è il terroir a produrre grandi vini. Così sono nati i sangiovese in purezza come i grandi bordolesi: dal Flaccianello al Pergole Torte esaltazione del connubio sangiovese terra di Toscana, al Vigna d’Alceo dove il cabernet si esalta, dall’Apparita un merlot di autentica caratura mondiale, al Solaia e al Tignanelo, dal Solengo al Trinoro, dal Lupicaia all’Oreno, tutte bottiglie che solcano il mondo mietendo successi, ma che devono la loro ispirazione – come i grandi di Bolgheri – a quella prima intuizione di Mario Incisa trasformata in eccellenza dalla tecnica, dalla poesia di Giacomo Tachis. Ecco che questo quarantennale in bottiglia oggi diventa centrale perché a tante discussioni attorno alla corrispondenza ai disciplinari di alcuni vini forse varrebbe la pena di affiancare un ben più decisivo dibattito: l’autenticità e la qualità dei vini. Cioè se sono o meno espressione di un territorio. Perché per dirla con Giacomo Tachis un Cabernet del Medoc non sarà mai come un Cabernet di Toscana. Provare il Sassicaia e i suoi fratelli per credere.


La verticale

Davide Oltolini

Un

Barolo

che sfiora la perfezione DEGUSTAZIONE

VERTICALE DEL

“CEREQUIO”

GRIFFATO

MICHELE CHIARLO

ichele Chiarlo, straordinario vignaiolo dalla carismatica personalità, ha fondato la sua cantina nel 1956 a Calamandrana, tra Canelli e Nizza, proprio nel cuore della zona della Barbera d'Asti. Nel giro di pochi anni, da abile imprenditore quale è, ha contribuito a far conoscere il vino piemontese a oltre trenta differenti mercati, sino a diventare uno dei maggiori esportatori di vini della propria regione in Germania e negli Stati Uniti, ma anche tra i primi a proporre, con successo, i propri prodotti in Cina, in Russia e nelle Filippine, nonché nel difficilissimo settore della grande ristorazione francese. Attualmente a occuparsi della distribuzione delle varie linee di prodotto in tutto il mondo è il figlio Alberto, responsabile commerciale e marketing aziendale, mentre il figlio Stefano, enologo, cura gli aspetti legati alla viticoltura e vinificazione con la collaborazione di Gianni Meleni. La comunicazione e l’organizzazione di eventi è, invece, affidata a Laura Botto, moglie di Stefano, che se ne occupa con grande entusiasmo e ottimi risultati. La cantina possiede 60 ettari di proprietà e 50 in affitto, per una produzione annua di oltre 950.000 bottiglie. A spiccare tra i vari prodotti aziendali, oltre all’ottimo ed austero Barolo Riserva Triunviratum è, certamente, il Barolo Cerequio ottenuto dalle uve dell’omonimo vigneto. Quest’ultimo si trova adagiato su una collina a forma di anfiteatro a cavallo tra i comuni di La Morra e Barolo, beneficiato da una splendida esposizione a sud–ovest, riparata dai venti del nord. La presenza di un microclima di particolare mitez-

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La verticale

Davide Oltolini

ideale per poter za è evidenziata dallo sciogliestrarre solamente mento della neve, che qui tannini “fini” ed eleavviene prima che sulle colliganti. Prima dell’imne circostanti. L'eccezionale bottigliamento, esecomposizione del suolo, comguito nella settecenposto da marne calcaree di tesca cantina dell’anorigine tortoniana dalla testico podere Averame situra limosa con ph basico, il vino viene affinato povero dal punto di vista in botti di rovere organico, ma ricco in microeAllier di capacità lementi quali magnesio e media. La longevità manganese, unitamente al del Barolo Cerequio microclima particolarmente raggiunge l'apice dolce, fanno di Cerequio uno dopo 5/6 anni, ma dei "cru" più pregevoli dell'inpuò superare trantera area di produzione della quillamente i 20 Docg. Già nel 1880 l'agronoanni. In riferimento mo, ricercatore Lorenzo Michele Chiarlo con i figli, Alberto e Stefano alla temperatura di Fantini nella sua celebre servizio quella ideale "Monografia della viticoltura ed enologia della provincia di Cuneo", diradamento dei grappoli all’atto del- si aggira attorno ai 17-18 gradi menin cui veniva redatta la prima classi- l’invaiatura. Le concimazioni vengo- tre, per quanto riguarda gli abbinafica dei vigneti del Barolo, indicava no effettuate ogni 4 o 5 anni e sono menti, è consigliabile orientarsi verso unicamente due vigneti, tra cui particolarmente leggere, oltre che grandi piatti di carni rosse e di selCerequio, come in "posizione sceltis- esclusivamente organiche. Per quan- vaggina, anche se si rivela eccellensima". La famiglia Chiarlo è proprie- to riguarda i trattamenti antiperono- te l’accostamento con formaggi matutaria dell'Antico Podere Averame, di sporici viene utilizzato solfato di rame ri non erborinati. La nostra degustacirca 6 ettari, che rappresenta oltre con lo scopo di favorire l’inspessimen- zione si è tenuta all’interno di quelun terzo del cru stesso, ovvero una to delle bucce, aumentando, conse- lo che nel Settecento era la residendimensione assolutamente ragguar- guentemente, i contenuti polifenoli- za nobile “il Palas” della borgata devole per un appezzamento in una ci del vino. Non viene fatto uso di pro- Cerequio, oggi in parte recuperato e zona così prestigiosa. L’altitudine dotti antimuffa e di diserbanti. La convertito in un esclusivo ambiente media del vigneto, impiantato nel vendemmia viene eseguita mediante dedicato all’assaggio dei vari cru di 1972, è di 320 metri sul livello del una doppia raccolta, attraverso un’at- Barolo aziendali. Qui, dove sono conmare, mentre le piante per ettaro, tenta selezione dei grappoli. La fer- servate oltre 6mila bottiglie tra cui esclusivamente di nebbiolo, sono mentazione viene effettua in piccole diversi formati speciali quali magnum vasche a una temperatura variabile e jeroboam, abbiamo avuto modo di 4.800, allevate a guyot. Qui vengono praticate potature atten- tra i 28 ed i 30 gradi con un contat- esaminare ed apprezzare cinque te e “castigate” e, per ridurre la resa to delle bucce con il mosto di una diverse annate, dal 2001 al 1997, per ceppo, si procede a un accorto dozzina di giorni circa, una durata tutte di particolare interesse.

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Verticale Barolo “Cerequio” Michele Chiarlo III 2001 - Annata caratterizzata da un inverno con notevoli precipitazioni e due discrete nevicate (280 mm), oltre a temperature particolarmente basse per il periodo. In aprile il clima secco ha favorito un inizio vegetativo regolare, mentre un mese di maggio discretamente piovoso (90 mm) ha aiutato la formazione di riserve idriche che si sono, poi, dimostrate preziose durante la stagione estiva. Da giugno a ottobre le temperature sono state elevate con notevoli escursioni termiche notte/giorno e soltanto due brevi temporali. Le uve sono state raccolte dal 10 al 20 ottobre, perfettamente sane, con bucce particolarmente spesse. Un’annata il 2001 di livello grandioso, probabilmente superiore a quella, seppur prestigiosa, del 2000. Alla vista il vino propone un colore granato di bella profondità. Al naso si presenta esuberante, raffinato ed etereo, con note fruttate, fra le quali spicca la ciliegia matura, e sentori speziati di particolare “dolcezza” che ben si uniscono a piacevoli note balsamiche e a una lieve mineralità. All’assaggio si percepisce una trama di notevole fittezza tannica e un corpo pieno, supportato da un’ottimale acidità, seguiti da un lunghissimo finale. Un vino ancor giovane, ma che già rivela una particolare eleganza, promettendo, inoltre, una notevole longevità. III 2000 - Un inverno rigido ed avaro di precipitazioni, associato ad un aprile ed un maggio molto piovosi (260 mm) con temperature appena nella media, ha favorito un inizio vegetativo leggermente ritardato. Da giugno a settembre il tempo è stato secco e caldo, raggiungendo, spesso, i 36-37° C. Le piogge temporalesche di fine agosto hanno, comunque, favorito una perfetta maturazione delle uve, che sono state raccolte con una settimana di anticipo, perfettamente integre e dotate di un’equilibrata acidità. All’esame visivo il vino si presenta di colore granato scuro, mentre all’olfatto risulta affascinante e piacevolmente “atipico” con sentori di fiori appassiti, rigogliose note fruttate, dal deciso richiamo alle fragole mature e ai frutti di bosco, ricordi di menta, di vaniglia e di frutti tropicali, con un riconoscimento di cocco e un deciso sottofondo di note tostate e fumée. Al palato esprime una struttura ottimale e un tannino di buona evoluzione, oltre a un’accattivante e lieve sapidità. Buona la persistenza aromatica intensa, seppur leggermente inferiore a quella che caratterizza l’annata 2001. III 1999 - Annata dall’inverno freddo e secco al quale sono seguite precipitazioni abbondanti a marzo e aprile (270 mm), unite a temperature superiori alla media, ovvero condizioni climatiche che hanno determinato un anticipo vegetativo. A maggio e giugno le temperature sono state tra i 2 ed i 3 gradi superiori alla media stagionale con giornate soleggiate inframezzate da brevi periodi di pioggia (130 mm). Nei mesi di luglio, agosto e settembre il clima è stato secco e molto caldo con un numero esiguo di precipitazioni temporalesche. Proprio la notevole escursione termica di questi ultimi due mesi ha facilitato una perfetta maturazione dei frutti della vite con la conseguente formazione di profumi spiccati. La vendemmia si è svolta dal 13 al 18 ottobre. La vinificazione è stata eseguita in acciaio, mentre per l’affinamento sono stati impiegati fusti di primo e secondo passaggio. Il colore del vino è di un granato quasi cupo, particolarmente “carico”, mentre al naso risulta, a bottiglia appena aperta, una, seppur lieve, “riduzione” che non impedisce la percezione della notevole complessità olfattiva di questo prodotto. Al naso a un evidente fruttato unisce una speziatura “impor-

tante”, con riconoscimenti di liquirizia, cacao e un ben definito sentore di tartufo bianco. In bocca il tannino esprime una fittezza “levigata” di ottima finezza. Notevole la struttura che si accompagna a un lungo finale in un vino in cui tutto lascia supporre una grande longevità. III 1998 - L'andamento climatico è stato caratterizzato da un’estate calda e un autunno asciutto che hanno garantito un’ottima maturazione e “sanità” dell'uva, dotata di ricchezza di colore e di frutto. Nei valori medi il tenore zuccherino di quest’ultima, seppur notevole, è risultato meno elevato di quello del 1997. La vendemmia si è svolta a partire dal 7 ottobre. Al bel colore granato inten-

so il vino associa un impatto olfattivo veemente e complesso, giocato tra delicatezza e irruenza. Ci troviamo in una fase di maturazione intermedia che rammenta all’assaggiatore quanto il tempo sia amico del nebbiolo. A sentori di giovinezza, ancora in parte presenti, si alternano evidenti note terziarie, eteree, di particolare complessità, con numerosi riconoscimenti speziati di grande eleganza oltre a ricordi di pino marittimo e mentuccia. Dotato di corpo medio/buono, in riferimento alla sua tipologia, si contraddistingue per un tannino irruento che ne fanno un ottimale prodotto da abbinamento per piatti strutturati. Considerevole la Pai. III 1997 - E’ un'annata fortemente “mediatica”, definita dai più come una delle migliori del secolo. Un inverno mite e secco ha anticipato il germogliamento di circa 15 giorni. Il clima si è mantenuto favorevole e la vendemmia è stata anticipata rispetto a tempi consueti, con inizio il 24 di settembre. Il risultato è stata una produzione eccezionale con grappoli sani e perfettamente maturi. All’esame visivo il Barolo appare di colore granato con lievi riflessi aranciati, mentre all’esame olfattivo ricorda in modo particolare il millesimo 2000, di cui pare essere la naturale evoluzione. Alle tenui note di fragoline di bosco mature e di lampone si accompagnano toni più eterei e complessi di leggera vaniglia, oltre ad una molteplicità di altre spezie “dolci”. In bocca il corpo è “pieno” e si avverte un tannino “presente”, maturo e ancora “appetitoso”, cui segue una chiusura lunga e “pulita”.

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Squisito

Giuseppe Ferrario

festa

La del palato A SAN PATRIGNANO DAL 30 MAGGIO AL 2 GIUGNO UN APPUNTAMENTO

“SQUISITO!”

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quisito è nato dalla necessità di contaminazione positiva tra la comunità e il resto del mondo, dei tanti mondi che conosciamo all'esterno di San Patrignano: da noi il cibo e la sua produzione fanno parte del percorso di recupero e con questo progetto penso di aver vinto una scommessa personale. A chi si chiede cosa c'entri una manifestazione eno-gastronomica con la comunità di recupero, la mia risposta è alquanto semplice: quando immaginammo una simile rassegna pensai che realizzare, creare, produrre qualcosa di qualitativamente elevato e buono sarebbe servito a contaminare ogni altra

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nostra manifestazione e a creare di conseguenza qualcosa di positivo. Bene, penso che ci siamo riusciti». Parole e concetti di Andrea Muccioli, parole e concetti che riassumono il senso, il significato profondo di “Squisito! Cuochi, prodotti, ricette vini. Itinerario nel Buonpaese”, la grande rassegna sul mondo del cibo che si svolgerà a San Patrignano dal 30 maggio al 2 giugno, giunta quest’anno alla quinta edizione e come sempre organizzata dai 1600 ragazzi del centro antidroga fondato trent’anni fa, nel 1978, da Vincenzo Muccioli. Non più settembre come nelle precedenti edizioni, non più un gustoso annuncio d’autunno, ma uno sfizioso anticipo d’estate, caloroso e reso ancora più frizzante dalla serata di premiazione degli "Oscar del vino” organizzata da Ais e Bibenda. Una manifestazione diventata ormai un punto di riferimento nel panorama dell’enogastronomia, lanciata in grande stile dalla mostra del Gastronauta di Davide Paolini sulla storia, la cultura e la tradizione degli alimenti del nostro Paese che si è tenuta a Milano dal 13 al 25 marzo. Ma cosa è dunque “Squisito!”? Beh, semplice, è una manifestazione dedicata ai cultori del buon gusto, del mangiar-bene, o anche a chi non si stanca mai di scoprire nuovi accostamenti di sapori o ritrovare vecchie tradizioni dimenticate. Chef di grande esperienza e successo, giornalisti e gourmet, più un centinaio


L'intervento di Andrea Muccioli alla presentazione di Squisito 2008

di artigiani del cibo provenienti da tutte le regioni italiane, con aperture a profumi e sapori del resto d’Europa e del mondo, si ritrovano a San Patrignano per definire la cucina contemporanea e tracciare una mappa del gusto che va oltre i confini nazionali. Una ricetta completata dalla presenza di vini e cantine premiate dalle guide più prestigiose. Ma oltre ai protagonisti della grande cucina, “Squisito!” ospita anche incontri e tavole rotonde con l’obiettivo di stimolare una riflessione sulle possibilità di formazione offerte dal settore eno-gastronomico con particolare attenzione a quella fascia giovanile che racchiude anche i ragazzi al termine del percorso di recupero in comunità. “Squisito!” è quindi un contenitore in cui confluiscono workshop mirati, esperienze sensoriali, gustosi assaggi e degustazioni di prodotti eccellenti senza però mai dimenticare quella stessa valenza sociale ed educativa che sta alla base della sua nascita. E così infatti, dopo il successo dello scorso anno, anche l’edizione 2008 presenta la rassegna dedicata ai progetti che utilizzano la coltivazione, la produzione e la lavorazione dei prodotti eno-gastronomici come percorsi terapeutici per riscattarsi dalla tossicodipendenza e dall’emarginazione o per dare ai popoli oppressi una nuova opportunità di vita. Un’iniziativa che per il suo valore civile e culturale ha ottenuto il patrocinio dell’Unodc, l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine, e

alla quale hanno già confermato la loro presenza, tra gli altri, i progetti Unodc in Colombia e in Perù per la coltivazione dei cuori di palma, del caffé e del cacao al posto della coca e dell’oppio, i coltivatori di tè verde naturale del Myanmar, il gruppo Doi Tung della Thailandia che produce il caffé Arabica e la noce Macadamia. “GoodFOOD”, questo il nome del progetto, dà ai visitatori di “Squisito!” anche l’occasione per ammirare il pregiato zafferano di Herat prodotto dalla cooperativa afgana Dacaar, i prodotti dei vigneti e dei frutteti coltivati da Roots of Peace nei campi di Afghanistan e Cambogia prima disseminati di mine e per assaggiare l’alta pasticceria e i panettoni prodotti in carcere dalla cooperativa sociale “Giotto”. Sarà presente per la prima volta anche La Selva, l’azienda messicana che ha rivoluzionato la catena di vendita del caffé, facendo in modo che i proventi del commercio arrivino direttamente ai produttori locali senza essere assorbiti dalle multinazionali. Un impegno che ha permesso alla società messicana di diventare un vero e proprio colosso della solidarietà, capace di scalzare dal Messico le maxicatene internazionali di coffee-shop. Dalle coltivazioni alla formazione professionale, sarà presente a “GoodFOOD” anche il ristorante-scuola Fifteen dello chef londinese Jamie Oliver che grazie all’arte della cucina trasforma i ragazzi di strada in professionisti dei fornelli, offrendo loro un’opportunità di riscat-

to e di ritorno alla vita sociale. Contro l’emarginazione dei giovani e l’abbandono scolastico lotta anche La Piazza dei Mestieri di Torino, una Fondazione che attraverso l’educazione e il recupero consente agli adolescenti in difficoltà di uscire dal degrado. Il programma è quindi decisamente ricco e variegato, a partire dai convegni che coinvolgono personalità del mondo della cucina internazionale. La “Giostra dei cuochi” propone una panoramica sui più straordinari chef italiani, la rassegna “Esperimenta” i più spericolati percorsi culinari, “Alla ricerca del cibo perduto” è un ciclo di laboratori dedicati alla filiera produttiva di San Patrignano, mentre il “Villaggio degli artigiani” è la mostramercato dei prodotti tipici del Made in Italy; per chi preferisce la competizione ci sono poi i “Jeunes Restaurateurs d’Europe” in gara, chi ama il relax può invece scegliere i picnic di “Déjeuner sur l’herbe” e chi non può rinunciare al rito dell’aperitivo ha il suo asso nella manica in “Squisito Lounge”. I golosi saranno accontentati con “Dolceamaro”, il paradiso degli amanti del cioccolato, senza scordare lo spazio Slow Food: Educazione del gusto, lo spazio di laboratori per bambini, “Terra Madre”, l’area dei produttori da tutto il mondo, “Osterie d’Italia”, punto di ristorazione. Una vera e propria festa del palato, dunque; una kermesse condotta dai più grandi esperti del settore e gestita con cura e passione dai ragazzi della comunità.

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Squisito

Giuseppe Ferrario

IL GUSTOSO MENU’ DI SQUISITO! III Oscar del Vino E’ una delle principali novità di Squisito 2008. L’Oscar del vino, la tradizionale manifestazione organizzata ogni anno da AIS e Bibenda, sbarca finalmente a San Patrignano: la serata della premiazione dei migliori vini si svolgerà nel giorno di apertura della manifestazione. III Vigneti in Bottiglia Ma come sempre Ais e Bibenda saranno anche protagonisti di quattro intere giornate dedicate ai vini, con in più una grande novità: saranno offerte al pubblico le migliori 100 etichette del mondo, vini rari difficili da trovare tutti racchiusi in un unico spazio. III La Giostra dei Cuochi Dieci grandi chef presentano i segreti della loro cucina, con puntate anche in Paesi come Spagna o Giappone. III Jre in Cucina Un pranzo di gala con un menu di alto livello studiato da cinque chef JRE in collaborazione con i ragazzi di San Patrignano. III I presidi Una selezione dei piccoli produttori che mantengono vive tradizione e tipicità degli alimenti. III Villaggio degli artigiani Prodotti del Made in Italy protagonisti di una mostra mercato in cui il pubblico potrà assaggiare e acquistare, viaggiando nelle regioni del gusto tra oltre 120 stand. III La strada del cibo di strada I cibi caratteristici della nostra identità alimentare presentati dagli artigiani che ne mantengono viva la tradizione: Lampredotto, Fritolin, Erbazzone, panzerotto romagnolo, piadina, friciula, 88

olive all’ascolana, pizza fritta e tanti altri prodotti tipici.

III Identità Squisite I segreti dei grandi dolci raccontati dai loro autori (a cura di Paolo Marchi e Identità Golose) III Déjeuner sur l’herbe Un pic-nic nel grande campo d’equitazione in erba della comunità, con menù preparati da 5 grandi chef stellati. III Blog Cafè I blog e i bloggers: come e cosa comunica in rete la comunità del cibo. III Squisito Lounge Rilassarsi, incontrare gli amici tra aperitivi, cocktail e tutto quanto fa tendenza nel mondo del cibo. III Esperimenta Gli esperti incontrano il pubblico per spiegare i segreti dei grandi cibi e le tecniche per scoprirli. III Alla ricerca del cibo perduto Quattro itinerari del gusto all’interno della filiera agroalimentare di San Patrignano. III Barbecue Pesci dell’Adriatico e carni della Romagna per assaggiare e scoprire i prodotti di un grande barbecue con ingredienti tipici e selezionati. III Osteria della Pasta Le migliori “sfogline” e i migliori artigiani provenienti da tutta Italia gestiranno un’osteria dove la pasta sarà tirata a mano secondo tradizione. III La pizzeria Una pizzeria “made in San Patrignano” per gustare la più tradizionale e buona delle pizze napoletane.



Pillole

Camilla Guiggi è miglior sommelier non professionista della Lombardia L’Associazione Italiana Sommeliers, in Lombardia (www.aislombardia.it), ha circa 5000 soci e di questi quasi l’80% non è professionista, cioè, non opera prevalentemente nel mondo del vino. Da questo dato di fatto nasce l’idea di istituire un concorso che potesse mettere in risalto le capacità e le conoscenze di una fetta così numerosa della vita associativa lombarda. Nel 2006 la prima edizione vide l’affermazione di Davide Bonassi, responsabile del folto gruppo di degustatori ufficiali che è poi chiamato a giudicare i vini che entreranno a far parte della guida Viniplus. La seconda edizione, che si è svolta a Cremona, a Palazzo Trecchi durante il gran galà finale dedicato alla guida Viniplus e che ha visto l’affermazione del Pinot Nero O.P. Noir 2004 dell’azienda Agricola Mazzolino, ha incoronato una giovane sommelier, Camilla Guiggi della delegazione di Milano. Anche Camilla è una degustatrice ufficiale e ha quindi intrapreso, come molti altri, lo stesso cammino formativo che quest’anno ha visto molti sommeliers impegnati in un approfondito corso di analisi sensoriale attraverso la collaborazione dell’Istituto Agrario di San Michele dell’Adige, nonché relatrice ai corsi di abilitazione organizzati dall’AIS. Le prove che hanno portato Camilla Guiggi ad affermarsi tra 14 partecipanti, sono state coordinate dal sommelier professionista Nicola Bonera e sono state suddivise in due momenti: al mattino le prove scritte, ovvero la degustazione scritta di 2 vini anonimi e la compilazione di un questionario di 35 domande. Al pomeriggio le finali, riservate ai migliori 3 sommeliers che al mattino avevano ottenuto il miglior punteggio e che quest’anno sono stati 4 a causa di un ex equo, indice dell’agguerrita preparazione di molti dei candidati. Tutti i finalisti, davanti ad una folta platea, hanno poi degustato 2 vini anonimi ed un distillato, abbinato 4 vini lombardi a un menù di cucina italiana e in seguito 4 vini, ma delle regioni di provenienza dei piatti. Infine la correzione di una carta di 12 vini lombardi e una simulazione di accoglienza di un gruppo di visitatori in cantina al fine di verificare le doti comunicative dei candidati. Alle spalle di Camilla Guiggi, Flaviano Scaratti e al terzo posto, a pari merito, Marco Marchetti e Giorgio Fragiacomo. (A.F.) 90


Miglior sommelier junior: dominio assoluto del gentil sesso Giorgio Polegato, Lorenzo Giuliani, Se negli scorsi anni si scorgeva una tendenza, questo aprile Sara Lazzeri, vincitrice degli Under abbiamo avuto una conferma. Le giovani donne non hanno più 18, Dino Marchi, Stefania De voglia di stare a guardare e hanno le capacità per emergere e Angelis e Martina Bonella, rispettivincere. Tenutasi quest’anno in Veneto, la ventesima edizione vamente seconda e terza. del concorso per il miglior Sommelier Junior d’Italia, aperto a tutti gli studenti degli istituti alberghieri, ha visto un dominio assoluto del gentil sesso che ha schiantato i colleghi maschi con una tripletta nel concorso under e un primo e secondo posto in quello over. L’11 aprile, giorno della prova finale, Abano Terme (Padova), famosa in tutto il mondo per i suoi alberghi e le acque salutari che ne hanno fatto la fortuna, si è risvegliata sotto una pioggerella fine che ha accompagnato i silenziosi e concentrati concorrenti al “Gran Caffè delle Terme”, sede del concorso. Superate le selezioni, ventun ragazzi si sono dati appuntamento in quello che è il primo passo nel mondo dei concorsi di sommellerie. In palio c’era molto, forse un futuro roseo verso il quale incamminarsi con passo deciso. Dopo un’intera giornata Giorgio Polegato, Lorenzo Giuliani, di esami, cominciata molto presto con i test teorici e le Beatrice Di Giulio, prima per gli degustazioni, nel primo pomeriggio si sono presentati solo in Over 18, Dino Marchi, Gloria dodici (sei Under e sei Over) alla prova finale davanti a una Mainetti e Luca Caianiello nutrita platea di giovani colleghi, sommeliers e docenti. Nella giuria, il presidente Lorenzo Giuliani della Commissione concorsi, Giorgio Polegato, sponsor dell’edizione e patron di Astoria vini, Dino Marchi, presidente dell’Ais Veneto, Dante Brancaleoni delegato di Rovigo e il sottoscritto in rappresentanza di “DeVinis”. Gli Under 18, ovvero i giovani iscritti ai corsi di “Pratica operativa di sala-bar” e “Sommelier Junior”, si sono cimentati nella stappatura e servizio di una “bollicina”, seguita dalla valutazione critica di un menù al quale hanno dovuto abbinare il vino più indicato per ogni portata. I finalisti della categoria Over, giovani compresi tra i 18 e 21 anni di età iscritti al corso di Giorgio Polegato, Lorenzo Giuliani specializzazione in “Sommellerie” o ai bienni di post-qualifica, e Dino Marchi con i primi classifihanno affrontato la decantazione con servizio di un vino rosso cati dei due concorsi. Le vincitrici invecchiato e la correzione di una carta dei vini. Proprio come sono Beatrice Di Giulio per gli Over capita ai “grandi”. 18 e Sara Lazzeri per gli Under 18 La decisione è stata molto difficile, tanto è vero che la commissione è rimasta riunita per quasi due ore prima di stabilire il podio delle due categorie. Tra gli Under (tutte donne le sei finaliste…) ha trionfato Sara Lazzeri dell’Ipssar di Bormio (Sondrio), davanti a Stefania De Angelis dell’Ipssar di Forlimpopoli (Forlì-Cesena). Terza Martina Bonella del Ipssar di Arona (Novara). Nella categoria over, fino all’ultima prova, sui nostri personalissimi cartellini (non me ne voglia la box), sembrava essere in netto vantaggio Mattia Garon dell’Ipssar di Abano Terme. Sul finale, però, come un novello Dorando Pietri, il giovane è crollato commettendo un grave errore nella prova di servizio e finendo fuori dal podio. Ad approfittarne con spietata freddezza è stata, neanche a dirlo, una donna. La vittoria è andata all’ottima Beatrice Di Giulio dell’Ipssar di Sant’Elpidio al Mare (Ascoli Piceno), che ha superato di stretta misura la collega Gloria Mainetti dell’Ipssar di Chiavenna (Sondrio) e Luca Caianiello dell’Ipssar di Fiuggi (Frosinone), unico difensore dell’orgoglio maschile. Per i tre decantazione e servizio perfetti. L’edizione 2008, una delle più combattute degli ultimi anni, ha dimostrato, sempre che ce ne fosse bisogno, l’elevata professionalità dei giovani partecipanti. La strada verso la gloria è tracciata. (Daniele Urso) 91


Pillole

Rari gioielli nello scrigno ligure Arcola ancora grazie al vino si pone all’attenzione del mondo enologico italiano con un antico vitigno autoctono a bacca bianca tipico dell’area, ma ormai da tempo dimenticato e la cui riscoperta si deve alla tenacia del conte Picedi Benettini, noto viticoltore dell’entroterra spezzino. Questo vitigno originariamente chiamato Razzese nella forma dialettale, tradotto poi in lingua in Rossese, presenta un caratteristico colore rosso sfumato assunto dalla buccia degli acini durante la maturazione. Giorgio Gallesio, autore nei primi anni del 1800 di una fondamentale opera di botanica e agricoltura, la “Pomona Italiana”, dedicata alle specie da frutto e alle uve da vino coltivate in Italia, descrive questo vitigno come una varietà all’epoca molto diffusa in tutta la Liguria e in particolare nella zona del Levante, dove era utilizzata in combinazione con il Vermentino e l’Albarola, nel tipico uvaggio delle Cinque Terre, prima dell’impiego dell’uva Bosco. Probabilmente, tra le cause che hanno portato all’abbandono della coltivazione del Razzese, si può annoverare la scarsa resistenza del vitigno all’umidità e al freddo, derivanti da una certa tendenza all’aborto floreale e al precoce germogliamento, con conseguente necessità di impianti posizionati in modo da evitare sia il vento umido di mare sia le gelate delle zone più interne. Ma oggi è possibile con conoscenze più mirate sul terroir recuperare tale coltivazione. Attualmente l’unico viticoltore che possiede ancora filari in purezza del vitigno Razzese è il conte Nino Picedi Benettini. Prove di vinificazione hanno evidenziato un intenso profumo fruttato e floreale, marcato da note dolci di vaniglia; in bocca appare pieno e corposo, con un’acidità viva ma ben assemblata alle altre componenti. Si tratta di un vitigno autoctono che può legittimamente aspirare a un suo preciso ruolo di protagonista nella viticoltura ligure e nazionale, con positivi risvolti anche sul futuro prossimo di Arcola. Infatti, l’accelerazione imposta alla vocazione enologica del territorio dall’attività dell’assessore all’agricoltura Enzo Giorgi sta dando molteplici frutti, tanto che la Regione Liguria ha avviato l’iter per ottenere l’iscrizione al catalogo nazionale del vitigno Razzese e per il successivo inserimento tra le varietà idonee alla produzione di uva da vino in Liguria. L’interesse per i vini del territorio ha portato l’amministrazione comunale a organizzare, con la Regione Liguria, un convegno specifico in modo di porre l’argomento in termini più ampi. L’evento si è svolto il 16 maggio 2008. Giorgi conclude ringraziando il conte Nino Picedi Benettini: «A lui va il riconoscimento per il lavoro di ricerca che ha svolto nella fattoria Il Chioso». Un’opera importante, volta al salvataggio e alla valorizzazione del vitigno Razzese o Ruzzese. «Il mio ringraziamento è rivolto soprattutto per il grande amore per il territorio e le sue tradizioni rurali e culturali. Questo nella speranza di coinvolgere i giovani del territorio. Voglio altresì formulare il mio attestato di stima e il mio particolare ringraziamento alle persone che hanno dedicato le loro forze e la loro intelligenza, rispettosa del passato e capace di rinnovarsi, a quel vino che è la nostra ricchezza maggiore. Ma che vogliamo sia motivo di piacere, di festosità e un modo eccellente di stare in compagnia». 92


Nuova delegazione Ais sulla Costiera Amalfitana Pendii scoscesi, spiagge nascoste, anfratti rocciosi battuti dalle onde e poi il mare. Difficile descrivere a parole la Costiera Amalfitana, difficile farlo come quei tanti poeti e scrittori che qui hanno trovato ispirazione. Nella splendida cornice di Villa Cimbrone a Ravello è stata presentata ufficialmente la nuova delegazione Ais della Costiera Amalfitana. Un punto di riferimento per i sommeliers che vivono e lavorano in uno dei luoghi più suggestivi del nostro Paese. Nella cripta della villa, un loggiato in stile gotico dal fascino d’altri tempi, la nuova delegazione ha presentato banchi d’assaggio di prodotti tipicamente campani: pasta (e come poteva mancare!), formaggi, Terenzio Medri e Antonio Amato salumi, dolcezze di ogni tipo e, naturalmente, i migliori vini della zona. Antonio Amato ha lavorato caparbiamente per dar vita alla nuova delegazione con l’intenzione di offrire ai giovani che lavorano nelle numerose strutture ricettive della costa la possibilità di frequentare i corsi Ais anche in quest’area. Proprio durante la serata sono stati consegnati i diplomi ai primi neosommeliers della delegazione. «Nel nostro Paese ci sono parecchi settori dell’economia in difficoltà che stanno spostando la loro produzione altrove, dove la manodopera costa di meno. Ma le vostre bellezze artistiche, i vostri paesaggi, la vostra storia, le vostre ricchezze enogastronomiche, queste no, nessuno le potrà smuovere da qui. Ed è per questo che chi lavora come voi nel turismo deve essere consapevole che questa è una fonte inesauribile, ma che va La “Terrazza dell'Infinito” di Villa Cimbrone conservata e valorizzata nel migliore dei modi». Questo è stato l’incoraggiamento del Presidente Terenzio Medri rivolto ai giovani sommeliers, un messaggio che ha voluto anche essere un monito a non trascurare quell’immenso patrimonio che fa della Costiera Amalfitana una perla bagnata dal mare. Un ringraziamento particolare va a tutto lo staff di Villa Cimbrone per l’accoglienza riservata alla nuova delegazione. Quella che per secoli è stata una ricca dimora, oggi è diventata un affascinante hotel che riporta i suoi ospiti a rivivere la magia di un mondo appartenente al passato. Saloni sontuosi impreziositi da volte affrescate, eleganti sale di lettura, arredi raffinati e quadri d’autore, libri antichi, sculture e maioliche. Per non parlare dei giardini del parco e del panorama sorprendente che offre la Terrazza dell’Infinito: una splendida balconata naturale in cui lo sguardo si perde nel mare e prosegue verso il cielo senza interrompersi all’orizzonte. Tutto è curato nei minimi dettagli per far rivivere un’atmosfera da sogno. E’ d’obbligo citare il ristorante della villa, Il Flauto di Pan. Affacciato sull’azzurro del mare, in un ambiente riservato e romantico, offre un servizio impeccabile e propone con originalità i cibi tipici della grande tradizione campana. (E.L.) 93


Pillole

VitignoItalia 2008: appuntamento a Napoli VitignoItalia nasce nel 2005 con l’esigenza di creare per il centro sud un salone di riferimento fortemente caratterizzato e di alto profilo. La scelta degli autoctoni, come esigenza di caratterizzazione, si è rivelata vincente: l’attenzione della critica, dei media e dei consumatori sul vino italiano è sempre più evidente. E su questo piano ormai si gioca la sfida ai mercati globali. Vitigno Italia vuole rilanciare sul mercato nazionale e internazionale il grande patrimonio vitivinicolo italiano: una ricchezza che non ha eguali al mondo per numeri, storia e qualità. Obiettivo del salone è presentare al grande pubblico di operatori e appassionati i vini da vitigni blasonati e noti come il Nebbiolo e il Sangiovese, ma anche varietà dimenticate e rare del Belpaese come il Nerello, il Gaglioppo e la Rondinella. L’edizione numero quattro di VitignoItalia, forte dei numeri e del successo riscontrato, si annuncia più strutturata e ricca per contenuti, spazi espositivi ed eventi collaterali. “Una nuova prospettiva di vino”: questo il claim della nuova campagna di Vitigno Italia 2008. Messaggio preciso che invita a scommettere sul salone napoletano sempre più orientato al business. Il claim sposa una bottiglia di colore giallo oro su fondo nero.

All’interno della bottiglia si riconosce un segno grafico, elegante e leggero, che disegna il golfo di Napoli, sede dell’evento. Pulita, essenziale, al tempo stesso preziosa, e soprattutto di immediata comprensione, la nuova immagine del salone 2008 è stata realizzata dall’agenzia Turnè. Le date della Quarta edizione sono 26, 27 e 28 maggio 2008. Il salone si aprirà lunedì 26 maggio alle ore 11 e proseguirà nei due giorni successivi. La scelta della date è stata dettata dalle esigenze dei produttori e degli operatori a cui è dedicata in particolare la giornata di lunedì. Lunedì 26 maggio dalle h 11.00 alle h 21.00 Martedì 27 maggio dalle h 10.00 alle h 20.00 Mercoledì 28 maggio dalle h 10.00 alle h 17.00 Il costo del biglietto è di 10,00 ed è acquistabile presso la biglietteria della Mostra d'Oltremare di Napoli.

INFORMAZIONI: VITIGNOITALIA Mostra d'Oltremare, Napoli Hamlet srl - Via Crispi, 121 - 80122 Napoli Tel. 081 4104533 - Fax. 081 7944608 www.vitignoitalia.it - info@vitignoitalia.eu

INCONTRI E CONVEGNI

DEGUSTAZIONI

Lunedi 26 Maggio 13.00-14.00: “Vino e solidarietà”. Presentazione dell'iniziativa Wineforlife. Intervengono il responsabile Dott. Rinaldo Piazzoni, la responsabile delle relazioni esterne di Vitignoitalia Dott.ssa Donatella Bernabò Silorata e alcuni produttori che hanno aderito all'iniziativa. ore 17.00-18.30: “Come inserirsi, avere successo e vendere i vini nel mercato Nord-Americano”. Incontro tecnico pratico sul marketing, le vendite e la gestione delle opportunità nel settore wine&spirits del mercato nord americano e canadese. Intervengono Avv. Ciro Poppiti della NKS Distributors, Inc. (Usa), Prof. Patrick A. O'Boyle della Park Avenue Imports, LLC (Usa); Dott. Antonino Borzotta della BassoAlto, Inc. (Canada). Alla conferenza seguirà un vero e proprio momento ONEtoONE.

Lunedì 26 Maggio ore 12.00-13.00: “Campania, il sapere del vino” a cura di Luciano Pignataro. La lunga estate calda e i vini del freddo 2003, Aglianico del Taburno e Taurasi a confronto: Terra di Rivolta, Fattoria La Rivolta; Grave Mora, Fontanavecchia; Le Surte, Macchialupa; Santa Vara Taurasi docg, La Molara; Taurasi docg, Villa Raiano. Con Vittorio Guerrazzi, Associazione Terra di Vino. ore 15.00-16.30: Associazione Terre Fertili. Degustazione del Barbera del Monferrato. “Barbera superiore del Monferrato verso la Docg”.

Martedì 27 Maggio 11.00-12.45: “Impiego dei bioattivatori nei vigneti per ridurre le problematiche di stanchezza dei terreni, gli squilibri nutrizionali e gli stress climatici, in un'ottica di miglioramento produttivo” a cura del Servizio Tecnico Eurovix. ore 13.00-14.30: “Enoteca Provinciale di Salerno: sinergia per un club di qualità”. Presentazione Enoteca Provinciale in Associazione e progetti correlati: formazione, diffusione della cultura del vino e delle tipicità locali. Interverranno Corrado Martinangelo, Assessore all'Agricoltura della Provincia di Salerno, Domenico Ranesi, dirigente del Settore Attività Produttive della Provincia di Salerno, ed i giornalisti e critici enogastronomici Luciano Pignataro e Antonio Fiore. ore 18.00-19.00: Presentazione della guida “Golagustando 2008” a cura di Marco Marucelli.

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Martedì 27 Maggio ore 12.00-13.00: “Campania, il sapere del vino” a cura di Luciano Pignataro. Il fascino discreto dello zolfo: il Greco di Tufo docg con le aziende delle Piccole Vigne Con Ugo Baldassarre, giornalista e collaboratore di Tigullio Vino. ore 13.30-15.00: “Il bicchiere da non perdere III” a cura del magazine sperimentale “Porto di Bacco”. Degustazioni e spunti di riflessione, a cavallo tra informazione e piacere. ore 15.30-16.30: Degustazione a cura di Vigne Sannite. Mercoledì 28 Maggio ore 11.00: Premiazione concorsi “In Vino Veritas” e “Vino Perfetto”. ore 12.00-13.00: “Campania, il sapere del vino” a cura di Luciano Pignataro. La leggenda del Casavecchia. Centomoggia 20062005-2004-2003 Terre del Volturno Igt Terre del Principe Con Peppe Mancini e Manuela Piancastelli.


I campioni di Chatillon A Montichiari si è svolto il trofeo delle scuole alberghiere che assegna la prestigiosa medaglia messa in palio dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Il Centro Fiera di Montichiari, nel Bresciano, ha ospitato la finale dell’ambìto Gran Trofeo della Ristorazione Italiana: vi hanno partecipato venti scuole alberghiere di tutta l’Italia. La competizione che ha previsto il confronto dei giovanissimi allievi rappresentanti di diversi istituti professionali alberghieri d’Italia, rispetto ad abilità tecnicopratiche di accoglienza e realizzazione di una Ascoli La scuola di San Benedetto del Tronto proposta gastronomica tipica del territorio vincitrice del premio Miglior servizio del vino bresciano, ha avuto un gran successo di pubblico e un grande apprezzamento da parte delle più alte cariche delle amministrazioni locali della Regione, Provincia e Camera di Commercio di Brescia. La scuola di Chatillon, vincitrice del primo premio, presso il Centro Fiere del Comune di Montichiari, promossa dall’Assessorato all’Agricoltura della Provincia di Brescia, dalla Camera di Commercio di Brescia in collaborazione con Alma, la Scuola Internazionale di Cucina Italiana, Cast Alimenti e le delegazioni bresciane delle Associazioni Cuochi, del Consorzio Pasticcieri, dell’Associazione Italiana Sommeliers, di Amira e Arte in Tavola, ha ricevuto oltre a un cospicuo premio in denaro, la prestigiosa medaglia messa in palio dal presidente della Vittoria Colonna La scuola Vittoria Colonna che ha vinto Repubblica, Giorgio Napolitano. il premio per il miglior servizio dei formaggi bresciani Gli studenti dell'Istituto Professionale Regionale Alberghiero di Chatillon in provincia di Aosta, hanno brillantemente soddisfatto le aspettative della prestigiosa giuria e sono stati ritenuti particolarmente capaci di saper integrare la cucina tipica territoriale con i prodotti tipici ed i formaggi Dop delle valli e delle pianure bresciane. Alla scuola Molinari di Sciacca, invece, il premio per la “Miglior valorizzazione del prodotto bresciano” mentre il “Miglior servizio del formaggio bresciano” è andato alla scuola Vittoria Colonna di Roma e il “Miglior servizio del trancio del manzo all’olio di Rovato” è stato aggiudicato all’Istituto “Ruffini” di Arma di Taggia. A giudicare gli allievi dell'Istituto Professionale Regionale Alberghiero di Chatillon in provincia di Aosta, una giuria di altissimo livello, composta da due gran maestri della cucina, Gualtiero Marchesi e Iginio Massari e dalle più prestigiose firme del giornalismo specializzato e generalista italiano, tra i quali Lamberto Sposini (noto anchorman della televisione Italiana, ideatore della Rubrica Gusto), Luigi Cremona (Miglior giornalista enogastronomico d’Italia) Carlo Raspollini (Giornalista Rai, ideatore del famoso programma Uno Mattina), Marco Sabellico (giornalista enogastronomico di Rai Sat – Gambero Rosso Channel). Il tema in cucina su cui hanno dovuto cimentarsi gli allievi dell'Istituto Professionale Regionale Alberghiero Chatillon di Chatillon in provincia di Aosta, capitanati dai professori Alessandro Zito e Manuela Parolo, è stato la realizzazione delle ricette in cucina e la coreografia del piatto. Tra le prove centrali, del Gran Trofeo della ristorazione italiana, il taglio dei formaggi: provolone, grana padano, formaggella di Tremosine, robiola, semistagionato di capra, formaggio della Valle Camonica, nostrano Valtrompia, Sabbio, latte crudo di Tremosine; la realizzazione e il taglio o sporzionamento a tavola del famoso Manzo all’olio, tipica ricetta del comune di Rovato in Franciacorta; nonche gli altrettanto noti Casoncelli al burro versato. 95


Sullo scaffale

Natalia Franchi

TUTTI I CIBI DALLA “A” ALLA “Z” GUIDA AL PIACERE E AL DIVERTIMENTO 2008 Tutti gli indirizzi più nuovi e alla moda d’Italia Autore: Editore: Prezzo:

Roberto Piccinelli Edizioni Outline 15,00 euro

Probabilmente termini quali smartpoor dish, show window o magic snow vi risulteranno ignoti o quantomeno curiosi. Tranquilli, non avete mai preso in mano una delle guide di Roberto Piccinelli, indiscusso guru del divertimento o del loisir (come l’autore stesso ama definire il tema di cui è esperto). Rimediare è facile, oltre che utile: la guida, giunta al suo XI° anno di vita, è reperibile in ogni libreria e ha il pregio di introdurci in quel mood da “Milano da bere” (ma non solo Milano, come vedremo) che sembrava ormai retaggio di anni meno critici dei presenti. Attento studioso della vita sociale, sociologo del piacere laureato in giurisprudenza, Piccinelli svolge con ogni probabilità il lavoro più piacevole del mondo e, con questa guida, dispensa ai più una mappatura perfetta e aggiornata dei luoghi di piacere (ristoranti, locali, pub, ecc.) che l’intera Penisola ci riserva. La fatica di passare per 35 locali a sera, alla ricerca di quello giusto per l’avventore che non vuole sbagliare l’ha già fatta lui. Non resta che l’imbarazzo della scelta: ora la trattoria si chiama smartpoor dish; ha perso i tradizionali connotati trasandati e, per venire incontro ai gusti della clientela che conta ma non ama darlo a vedere, si è convertita al design più curato. Mentre la baita alla buona, rifugio di sciatori sfiancati, ora ha assunto le sembianze di magic snow, dotata di internet point, solarium ed enoteche, aperta ben oltre la chiusura degli impianti di risalita. Lo scenario dell’entertainment muta a ritmi vorticosi e la cadenza annuale della guida appare più che opportuna. Andate oltre l’apparenza effimera dell’opera e apprezzatene lo spirito: la segnalazione dei 2.400 locali è infatti frutto di una selezione certosina e implacabile che permette a tutti di usufruire - informati - di quel sacrosanto diritto al tempo libero che, scarseggiando sempre più, non ammette errori. Gli anni Ottanta sono tornati. 96

Guida a una alimentazione sana e corretta Autore: Editore: Prezzo:

Renzo Pellati Oscar Guide Mondadori 12,80 euro

Ottocento alimenti, schedati e svelati nella loro composizione chimica, apporto calorico e contenuto in proteine, grassi, carboidrati e colesterolo. Qual è il fabbisogno nutritivo dell’organismo umano? Come mi devo alimentare se sono uno sportivo? E se sono obeso? Ciò e molto altro troverete in questa utile guida giunta alla sua quarta edizione. Chi crede di conoscere le caratteristiche organolettiche del cibo ed è ancora convinto che per dimagrire occorra il digiuno, si immerga nella consultazione di questo volume: nulla è scontato nello scoprire che la banana ha colesterolo 0, ma è poco indicata nelle diete o che la cipolla cui storicamente si attribuivano virtù terapeutiche - ha in realtà solo una modesta azione diuretica. Bando quindi alle diete da fame e spazio a una alimentazione consapevole e adulta. Per citare un motto ora un po’ meno in voga: si può fare! Mangiare a ragion veduta.


IL TURISMO ENOGASTRONOMICO

Progettare, gestire, vivere l’integrazione tra cibo, viaggio, territorio Autori: Editore: Prezzo:

Erica Croce, Giovanni Perri Franco Angeli 18,00 euro

La motivazione al viaggio può dipendere da un “sistema territoriale”, quell’insieme composito di cantine vinicole, birrerie, caseifici, frantoi, luoghi di ospitalità e ristorazione che caratterizzano una località e la rendono meta turistica. Ne sono convinti gli autori del volume – docenti universitari a Cà Foscari – che propongono un pratico strumento di marketing a operatori turistici, curiosi e turisti “non per caso”. Anche in l’Italia, la cui tradizionale attrattività turistica ha raggiunto una fase di maturità, si è costretti a operare scelte strategiche in grado di soddisfare i nuovi canoni di qualità espressi dalla domanda. Affermare l’unicità e insostituibilità del prodotto richiede un serio studio di marketing, logica cui il turismo enogastronomico non si sottrae, anzi. E poi, questo, è uno dei rari casi di virtuosa complementarietà economica tra un settore e molti altri come l’agricoltura, la zootecnia, l’industria alimentare, i beni culturali. L’improvvisazione, insomma, non paga. Ecco quindi – tra i numerosi suggerimenti di cui è ricco il volume – l’identikit del turista enogastronomico “puro”, target da colpire, i cui comportamenti d’acquisto e di consumo non avranno più segreti. Ecco, ancora, l’identificazione sociologica dei miti che il turista culturale ricerca nella propria destinazione di viaggio: il mito dell’età dell’oro (la storia, il grande passato); il mito di Minerva (la cultura, anche quella materiale); il mito del deserto (l’emozione di sentirsi abbagliato dalla forza comunicativa di un paesaggio); il mito di Edipo (la ricerca di un senso di appartenenza). Non perdetevi dunque questo vademecum se volete avvicinarvi al mondo del turismo dei sapori. Il flavour del turismo.

IL VINO. ISTRUZIONI PER L’USO A cura di: Editore: Prezzo:

Roberto Racca Partesa 29,00 euro

L’apertura al volume del curatore Roberto Racca riassume in poche righe la valenza dell’opera: “Forse chi non ha curiosità e interesse per il vino perde davvero qualcosa di unico e straordinario: una delle poche cose della vita che può ravvivare il senso del ricordo e, al tempo stesso, condurci verso un dolce oblio”. Un obiettivo di stimolo alla curiosità per i neofiti e i meno esperti che il curatore raggiunge con il contributo di altri sette esperti del settore; capaci di avvicinare il lettore a un mondo, quello del vino, fatto di scienza e di coscienza, di cuore e calcolo, di passione. Agile e analitico il percorso narrativo dell’opera, che inizia con un attento excursus della storia millenaria del vino – sapevate che l’uso della bottiglia e del tappo risale al XVII secolo consentendo conservazione e invecchiamento? – per poi introdurci alle caratteristiche della vite e della vigna e al processo di vinificazione. A una esauriente panoramica dei vini del mondo, dalla Francia all’Oceania, seguono una analisi dei vitigni italiani, delle Doc e Docg, dell’arte della degustazione e dell’abbinamento con i cibi. Numerosi box di approfondimento e interviste a qualificati esponenti del mondo del vino completano lo scopo formativo del testo che garantisce al lettore le nozioni necessarie a una comprensione basilare della materia. In chiusura, l’autentica chicca, un glossario imperdibile con le parole del vino che consentirà al neofita di non arrossire più di fronte a termini quali “archetto” o “goudron”. L’invaiatura non è più un segreto. 97


Io non ci sto

Il vino è cultura,

non gossip! di Franco Ziliani troppo tempo che esercito l’attività di giornalista per non ricordare l’antico modo di dire secondo il quale "Un cane che morde un uomo non è una notizia. Un uomo che morde un cane è una notizia" e quindi sono consapevole che, specie sulla grande stampa d’informazione, determinati argomenti possono essere trattati solo se convenientemente “conditi” in modo da fare, per l’appunto, “notizia”. Anche se “svezzato” alle regole del giornalismo, resto comunque stupito nel vedere come anche un quotidiano importante e autorevole come il Corriere della Sera, per occuparsi di vino e dintorni invece di ospitare una rubrica regolare d’informazione come fanno gli altri quotidiani pari livello di tutto il mondo (nell’edizione on line del New York Times è addirittura previsto un wine blog affidato ad un autore serio come Eric Asimov) preferisca invece attendere di trovarsi di fronte a fatti che appartengono al mondo del costume e dello stravagante più che costituire delle vere e proprie “notizie”. E’ così accaduto, nel recente passato, che il quotidiano di via Solferino (ma anche gli altri quotidiani maggiori) avessero a occuparsi di vino per raccontare che Berlusconi o il miliardario russo Abramovic avessero intenzione di acquistare una tenuta a Montalcino, oppure per raccontarci l’approdo al vino di cantanti, attori, personaggi del jet set, della finanza diventati “produttori della domenica” tanto per investire un po’ di soldi guadagnati con la loro attività o perché proporre un proprio vino agli amici, o invitarli a visitare la propria azienda, fa status symbol e dà lustro all’immagine. Recentemente, in marzo, l’edizione on line www.corriere.it del quotidiano, ma anche l’edizione carta-

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cea vera e propria, hanno ospitato ampi articoli che ci hanno raccontato di sommeliers-robot che “in un futuro non lontano potranno sostituire quelli veri e raccomandare il vino nei ristoranti”, dotati come sono di “sofisticati elaboratori dotati di nasi e lingue elettroniche che presto saranno più utili all’industria enogastronomica degli attuali degustatori umani”. In un secondo tempo, come se non bastassero le frecciatine ben poco spiritose riportate nell’articolo del Washington Post che aveva originato la ripresa del Corriere, battute secondo le quali, a parere del direttore della rivista The Tasting Panel, i sommeliers umani non verranno mai soppiantati da quelli automatizzati, perché “Nessuna macchina al mondo è in grado di inventarsi il linguaggio astruso e pomposo tipico dei sommeliers”, il Corriere ha riferito ai suoi lettori, nel numero del 20 marzo, un’altra “imperdibile” notizia. Con il titolo de “Il re del Bordeaux assicura il naso per cinque milioni”, ci è stato raccontato che tale Ilja Gort, olandese, aveva chiesto e ottenuto di assicurare il suo più importante organo sensoriale per cinque milioni di euro dai Lloyd's di Londra. Questo perché grazie al suo sensibilissimo naso il viticoltore (in Francia) e degustatore era capace di individuare milioni di profumi diversi e di garantire la qualità dei suoi vini. Peccato che il Corriere della Sera, prima di parlare di “re del Bordeaux”, come se si trattasse del proprietario di Château Margaux, di Mouton-Rotschild, o di Petrus, non si fosse preso la briga di fare, Internet serve anche a questo, una rapida indagine e scoprire che l’azienda dell’olandese dal naso

super assicurato, lo Château de la Garde, fosse solo un semplicissimo Bordeaux Superieur commercializzato con il marchio commerciale Tulipe. E che il tipo, assicurandosi con i Lloyd’s, avesse soprattutto messo a segno una brillante e spregiudicata operazione commerciale e di marketing (un sito Internet inglese titolava a proposito “Ilja Gort ed il profumo dei soldi”). Per il quotidiano poco contava parlare, seriamente, di vino, ma presentare, come ha scritto, un “fenomeno. Dalla voce alle gambe: quando il corpo è un affare”, e raccontare che “non è la prima volta che i Lloyd's assicurano parti del corpo di personaggi famosi: in passato è accaduto per i denti della cantante e attrice inglese Ken Dodd, per il seno della cantante country Dolly Parton, per le mani del chitarrista dei Rolling Stones Keith Richards, per le dita del pianista Richard Clayderman e la voce del «Boss» Bruce Springsteen (assicurata per 3,5 milioni di sterline). Così, in Italia, viene generalmente trattato il vino, come un soggetto di costume, un qualcosa che riguarda petrolieri, happy few, finanzieri, cantanti, e quelli che una volta si sarebbero chiamati “nani e ballerine”, dalla grande stampa. Non un qualcosa di serio, che riguarda l’intelligenza, la creatività, la fantasia, il lavoro di migliaia e migliaia di viticoltori, vinificatori, imprenditori, ma un “fenomeno”. Questa, riprendendo una celebre frase di un film di Humphrey Bogart, “è la stampa, bellezza”, lo so bene, ma come impedirmi a questo punto di dire che se questo è il modo di fare informazione sul vino dei grandi quotidiani italiani “io, non ci sto”?




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