DeVinis n. 84 Novembre-Dicembre 2008

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Anno XV - n. 84 - € 3,50 - Poste Italiane s.p.a. Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 - n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano

DEVinis LA COMPETENZA, LA PROFESSIONALITÀ, LA CULTURA, IL PIACERE, I PROTAGONISTI DEL BERE BENE

Novembre / Dicembre 2008

PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z www.sommelier.it - ais@sommeliersonline.it


Editoriale

2009, auguri e buoni propositi di Terenzio Medri

così siamo già in dirittura d’arrivo: quello che sta per concludersi è stato un anno da incorniciare per la nostra associazione. Le iscrizioni continuano a registrare costanti trend di crescita. E’ un fatto positivo che ci inorgoglisce. Tuttavia mi preme sottolineare che il primo obiettivo dell’Ais non è di incrementare il numero di sommelier associati, bensì di provvedere all’innalzamento della loro professionalità. Dunque, qualità più che quantità. Una qualità confermata dalla vasta eco e dai riconoscimenti che ormai hanno tutte le nostre manifestazioni.

E

Parole come “serietà” e “merito”, tornate di moda in altri settori dopo lunghi anni di oblio, fanno parte da sempre del lessico dell’Ais. La nostra didattica è esigente. Chi sceglie i nostri corsi sa che richiedono impegno e sacrificio, applicazione costante e ferma volontà di riuscire. Non sono previsti sconti o scorciatoie. Perciò l’esito, una volta raggiunto, è motivo di grande soddisfazione e crea un forte senso di appartenenza e di unità. Una unità che è emersa anche nel corso del 42.mo Congresso nazionale che si è svolto a Catania, una unità conseguita non nel chiuso degli uffici ma sul territorio, a contatto diretto con dirigenti e associati. Dobbiamo proseguire su questa strada, andando a coinvolgere il pubblico, facendogli conoscere la nostra cultura. Non una cultura elitaria, riservata a pochi eletti, ma una cultura popolare, che affonda le sue radici nello straordinario patri-

monio dei mille campanili italiani. Cerchiamo pertanto di coinvolgere la gente continuando a essere divulgatori colti, preparati, attenti e curiosi. E’ questo il senso dell’accordo che col numero di novembre-dicembre ci ha portato in edicola col mensile “A Tavola”: allargare le cerchia degli enoappassionati, di coloro i quali nel bicchiere riescono a scoprire le caleidoscopiche sfaccettature di un territorio. Con questi programmi per il futuro, ai nostri associati e ai nuovi amici che ci leggono con “A Tavola” vanno gli auguri di Buon Natale e Felice 2009.

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AIS Associazione Italiana Sommeliers Presidente | Terenzio Medri Vicepresidenti | Antonello Maietta, Rossella Romani Membri della Giunta Esecutiva Nazionale | Terenzio Medri, Antonello Maietta, Roberto Gardini, Lorenzo Giuliani, Vincenzo Ricciardi, Catia Soardi, Rossella Romani, Marco Aldegheri, Roberto Bellini.

La competenza, la professionalità, la cultura, il piacere, i protagonisti del bere bene. Anno XV novembre-dicembre 2008 Associazione Italiana Sommeliers Editore Direttore editoriale e responsabile | Terenzio Medri, terenzio.medri@sommeliersonline.it Coordinamento redazionale | Francesca Cantiani, francesca.cantiani@sommeliersonline.it Grafica e impaginazione | Media 95, grafica@sommeliersonline.it Per la pubblicità | Roberto Pizzi, pubblicita@sommeliersonline.it tel. 02/72095574 – ICE Srl – Corso Garibaldi, 16 – 20121 Milano Traffico pubblicità | Emanuele Lavizzari, emanuele@sommeliersonline.it - tel. +39 02/2846237 Redazione | Associazione Italiana Sommeliers Viale Monza 9 - 20125 Milano Tel. +39 02/2846237 - Fax +39 02/26112328 - devinis@sommeliersonline.it Segreteria di redazione | Emanuele Lavizzari, emanuele@sommeliersonline.it Hanno collaborato | Francesca Cantiani, Luigi Caricato, Riccardo Castaldi, Elisa della Barba, Roberto Di Sanzo, Alessandro Franceschini, Fabrizio Franchi, Natalia Franchi, Salvatore Giannella, Ivana Guantiero, Emanuele Lavizzari, Maurizio Maestrelli, Angelo Matteucci, Davide Oltolini, Gianni Ottogalli, Laura Pacchioni, Renato Paglia, Roberto Piccinelli, Cesare Pillon, Paolo Pirovano, Rossella Romani, Alessandra Rotondi, Stefano Tura, Franco Ziliani, Renzo Zorzi. Fotografie | AIS Friuli Venezia Giulia, Archivio AIS, Riccardo Castaldi, Alessandro Franceschini, Maurizio Maestrelli, Angelo Matteucci, Laura Pacchioni, Alessandra Rotondi, Urbano Sintoni Per l’articolo a firma Alessandra Rotondi foto di Stefano Spadoni Per l’articolo a firma Elisa della Barba foto di Sean Rocha Per l’articolo “La Ribolla Gialla, un vino attuale che viene dal passato” foto dell’Ais Friuli Venezia Giulia Per l’articolo a firma Francesca Cantiani, “Il vino del farmacista”, foto di Mauro Icicli Si ringrazia - Gabriele Fasanaro per le foto del 42° Congresso Nazionale Ais - Giandomenico Pozzi per le foto “Parigi, Galeries La Fayette” (pag.17), particolare dell’angelo da “Madonna Sistina”, Raffaello – Gemäldegalerie, Dresda (pag. 20), “Gold Frame” iStockphoto (pag. 31) - Francesca Fabbrica e la Cooperativa Atlantide per le foto della Rocca di Riolo (intervista impossibile a Caterina Sforza) La foto “Zodiac” (pag. 27) è di iStockphoto Reg.Tribunale Milano n.678 del 30/11/2001 Associato USPI Abbonamento annuo a 6 numeri | ITALIA € 20,00 ESTERO € 35,00 Intestare ad “Associazione Italiana Sommeliers – viale Monza, 9 – 20125 Milano” specificando il motivo del versamento da effettuarsi secondo una delle tre seguenti modalità: - pagamento tramite c/c postale 000058623208 - bonifico su Banco Posta, codice IBAN IT83K0760101600000058623208 (aggiungere per versamenti dall’estero codice SWIFT BPPIITRRXXX) - bonifico bancario presso “Banca Intesa Sanpaolo, via Costa 1/A, Milano, IBAN IT26H0306909442625008307992 (aggiungere per versamenti dall’estero codice SWIFT BCITIT22001) Chiuso in redazione il 24-10-2008 Stampa | Grafiche Parole Nuove Srl - Brugherio Milano Copie di questo numero | 40.000

AIS 2009

Rinnovo quota associativa 2009 E’ possibile rinnovare l’iscrizione nei seguenti modi: Internet basta collegarsi al sito www.sommelier.it, cliccare su “Rinnovi Online” e seguire le istruzioni per effettuare il pagamento tramite Carta di Credito (escluso Diners Card).

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c/c postale n. 58623208 intestato ad “Associazione Italiana Sommeliers Viale Monza 9, 20125 Milano”, indicare nella causale “Quota associativa 2009”. Bonifico presso Banco Posta intestato ad “Associazione Italiana Sommeliers” IBAN IT83K0760101600000058623208 (aggiungere per versamenti dall’estero codice SWIFT BPPIITRRXXX).

Bonifico bancario presso “Banca Intesa Sanpaolo, via Costa 1/A, Milano” intestato ad “Associazione Italiana Sommeliers” codice IBAN IT26H0306909442625008307992 (aggiungere per versamenti dall’estero codice SWIFT BCITIT22001) La quota associativa è di 80 euro e comprende l’abbonamento annuo alla rivista ufficiale AIS e alla Guida Duemilavini edizione 2010.


Sommario

Novembre/Dicembre 2008

A Capodanno c’è solo l’imbarazzo della scelta

6 I

LOCALI, I GUSTI, LE TENDENZE PER FESTEGGIARE DALLE

IL NATALE,

E CARDO, I SEGRETI DELLA BELLEZZA DELLA

SIGNORA

DI IMOLA E

FORLÌ

L’identità del vino è il suo terroir

NASCE

LA

FEDERAZIONE ITALIANA VIGNAIOLI INDIPENDENTI

Una grande unità alle pendici dell’Etna

44 CATANIA

HA OSPITATO IL

42.MO CONGRESSO NAZIONALE AIS

2004, l’annus mirabilis del Barolo

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UN’ANNATA

FANTASTICA HA REGALATO VINI DA NON PERDERE

Fumenogastronomia Mete del gusto Olio

2009

Le interviste impossibili: Caterina Sforza

36

24 51 72 74 76 78 80 96 98

LE TRADIZIONI E I BRINDISI NELLE GRANDI CAPITALI MONDIALI

ZODIACO ENOGASTRONOMICO PER IL

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All’interno

SICILIA

A tavola con le stelle

26 VINO

ALLA

Feste oltre frontiera

10 LO

ALPI

ALESSANDRIA

QUANDO L’ASSAGGIO

Birra

MARTINO ZANETTI,

Distillati Acqua

NELLA

IMPARIAMO

Enopassione

A

CAPODANNO

TRA STILE E GUSTO

E IL SUO TERRITORIO

RENDE L’OLIO MIGLIORE

TORREFATTORE E BIRRARIO

PATRIA DEL WHISKY

A DEGUSTARLA

IL

Sullo scaffale Io non ci sto!

DA NATALE

VINO DEL FARMACISTA

LE

NON

NOVITÀ EDITORIALI SI CAMBIANO LE REGOLE A PARTITA IN CORSO!


Tendenze

Capodanno, il divertimento

è dietro l’angolo DA BOLZANO A CATANIA: ECCO LA MAPPA PER TRASCORRERE IN MODO ORIGINALE E INEDITO LE FESTE NATALIZIE

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di Roberto Piccinelli a quando l'azienda agricola Il Collaccio ha lanciato l’iniziativa "Vieni a fare il maiale a Capodanno?" i veglioni di San Silvestro non sono più gli stessi... Doppi sensi a parte, l’intenzione dello staff era quella di insegnare a preparare un salame o un’intera fila di salsicce, dando poi ai partecipanti il piacere di portare a casa il frutto del loro stesso lavoro, in modo da potersene vantare con amici e parenti. Fatto sta che l'idea di Raffaele Baldoni, votata ad organizzare corsi veloci di norcineria con tanto di diploma finale, ha avuto il merito di far capire in modo inequivocabile che non solo di discoteche, alberghi e ristoranti era appannaggio il dì di festa per antonomasia, il 31 dicembre. Ormai si può scegliere, fortunatamente. Agriturismi, rifugi alpini, beauty farm, musei, centri commerciali, pizzerie e perfino stabilimenti balneari sono scesi in campo per la gioia degli incontentabili, che di una sola cosa non possono fare a meno, le bollicine. Spumante, Prosecco, Champagne o Cava che sia. Perché al rito dello stappo matto (vox popoli, no professional), incondizionato ed indiscriminato non può e non vuole rinunciare nessuno. Al pari di lenticchie, mutande rosse e della scaramanzia più bieca. Fermo restando, che non ne vogliamo sapere di mobili che volano dal quarto piano e razzi a misura d’uomo, vale la pena di passare in rassegna le nuove possibilità festaiole, perché il divertimento ad hoc è dietro l’angolo.

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MAGIC SNOW Sulla scia degli stabilimenti balneari d’oggigiorno, quelli dove si fa di tutto (palestra, spesa, aperitivo, ballo, reading letterario, massaggio e perfino ceretta), salvo prendere il sole e fare il bagno, anche i rifugi alpini hanno svecchiato stile ed orizzonti, per andare incontro alle esigenze di una clientela ormai abituata a frequentare locali poliedrici. Via, quindi, a baite innevate, dotate di terrazze-solarium, enoteche iper-fornite, consolle per dj, palco per musica live, aragoste a colazione, postazioni internet e piste da ballo a scomparsa. Del resto, sono proprio le danze d’alta quota a caratterizzare il fenomeno. Qua si balla da mezzogiorno in poi, fino alla chiusura degli impianti di risalita, per poi riprendere nottetempo nelle strutture più attrezzate, quelle che hanno a disposizione flotte di gatti delle nevi, pronti a trasportare la gente su e giù, a seconda della bisogna. Basti citare, a tal proposito, l’esempio di una hit d’alta quota, il Club Moritzino, vera e propria polveriera dance, fortemente voluta da Moritz, simpatico ex campione di rally riconvertitosi in guru del loisir alpino. Dovreste vedere quante ragazze salgono sui tavoli del rifugio per ballare a perdifiato in magliette corte e attillate, inizialmente nascoste sotto pullover di lana e giacche a vento, dopo aver piantato gli sci in mezzo alla neve, davanti all’ingresso ed aver sostituito gli scarponi con calzature adeguate, custodite negli armadietti, in loco... Tanto per gradire e non far sentire solo Moritz, tiriamo in ballo anche Boch, Lo Riondet ed Emilio Comici: frequentato da vitelloni con bandana in testa e cubiste sul ghiaccio il primo, votato a cene-spettacolo con viaggio in slitta da affrontare coperti da pelli di lupo fino alla punta del naso, il secondo e chalet specializzato in cene a base di branzini alla griglia e orate al cartoccio, il terzo. E pensare che c’era una volta il rifugio spoglio, ligneo e silenzioso, votato soltanto alla vendita dei grappini necessari agli sciatori desiderosi di regalarsi un po’ di calore fra una discesa e un’altra… ARS LUDICA Impara l’arte e mettila da parte, dice il proverbio. Meglio se in una location di nuova generazione e votata ai piaceri della vita, aggiungiamo noi. Perché, nel contesto della spettacolarizzazione globale in atto nella società moderna, anche i musei d’antan si trovano costretti a lasciare spazio a strutture espositive con una marcia in più. Strutture dove ammirare, erudirsi ed emozionarsi, ma anche socializzare, dire, fare, baciare, lettera e testamento… Come la Cappella Bonajuto, piccola basilica bizantina risalente al VI/VII secolo d.C., che il giovane barone Salvatore Bonajuto ha moder-

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Tendenze

nizzato al punto da farne un luogo trendy: museo di giorno e smart bar di sera. A partire dalle 19.00, i radical-chic cittadini vi si danno appuntamento per un caffé, un bicchiere di vino e quattro chiacchiere colte. Stessa filosofia vitale per l’ExMà, vecchio mattatoio trasformato in area museale e centro didattico, ideale per garantire ad artisti e creativi tout court la possibilità di ascoltare musica e bere un aperitivo fra Gli Ori dei Traci, Omaggio a Picasso ed I Pochoirs di Matisse. E che dire dell’Atelier Canova Tadolini, studio del grande Antonio Canova, poi dell’allievo prediletto, Adamo Tadolini, cui seguirono quattro generazioni di scultori? Da poco aperto al pubblico, è la memoria di due secoli di arte: modelli preparatori, sculture in marmo e in bronzo, esercitazioni anatomiche e strumenti del mestiere sono custoditi secondo la casualità dell'originario disordine. Ebbene, proprio qui, fra eleganti tavoli ottocenteschi, frammenti d’intonaco, calchi, gessi, marmi, bronzi e attrezzi trasformati in elementi d’arredo, è possibile sorseggiare un tè o un drink e lasciarsi andare ad un light lunch. Sempre che non siano in programma cene di gala, come quella che la padrona di casa, Ida Benucci, ha voluto ospitare in onore della moda italiana… E dove non arriva la moda, ecco il cinema: sito al piano terra della Mole Antonelliana, l’edificio in muratura tradizionale più alto del mondo, grazie ai suoi 167 metri in verticale, il Ciak Bar funge da caffetteria/ristorante del Museo del Cinema, strategicamente piazzato al piano superiore. Ristrutturato ad hoc, questo spazio vince e convince con soffitti a volta e colonne a base di mattoni a vista, attualizzati dalla presenza di un lungo banco-bar e un tavolo sociale da 40 coperti, dotati di intriganti visori incorporati. Se a ciò aggiungiamo una marea di luci fluo, lampade a filo, salottini circondati da baldacchini garzati e uno straordinario ascensore di cristallo che in 59 secondi sale per 85 metri, raggiungendo cupola e terrazza panoramica, beh allora anche l’aspetto futuribile è bello che messo a fuoco, non vi pare? ALTRO CHE VECCHIA FATTORIA… Tramontata l’era in cui si optava per l’agriturismo solo e soltanto per assaporare la pace dei campi, mostrare ai bambini galline e oche, comprare prodotti naturali o sperimentare il trekking, oggigiorno campagne e cascine sono diventate teatri delle attività più disparate. Dai seminari di cucina ai giri in mongolfiera, dallo joga alle cene afrodisiache, dal vipwatching al dolce navigare in internet, il compito primario delle aziende immerse nella natura sembra essere diventato quello di stupire ad ogni costo. Ma anche di animare a dovere le proprie idilliache ambientazioni. Più e meglio dei villaggi turistici, per la gioia dei bucolici d'assalto. Che, invece di limitarsi ad una bevuta qualunque, scelgono le degustazioni di spumanti e Champagne di qualità nella cantina con sommelier a disposizione della Fattoria sotto il Cielo, location immersa in 110 ettari di bosco con pre8


dominanza di alberi di cedro e castagno, proiettati su un delizioso laghetto. E che, tanto meno, si accontentano di un gelato puro e semplice, visto che possono sperimentare di persona le nuove frontiere del loisir, frequentando San Pe’ e Corte Fenilazzo. Trattasi di “agrigelaterie”, ossia aziende agricole a conduzione familiare, ove assaggiare gusti di gelato ottenuti dall’incrocio fra il latte appena munto e la frutta di stagione. Con il contorno di mostre e spettacoli vari. Ma andiamo oltre e parliamo di agri-new age grazie ad una struttura come il Karma, che punta a far raggiungere l'armonia interiore offrendo cibi ayurvedici e massaggi shiatsu, ma anche un pacchetto di corsi che parte dalla cucina spirituale per toccare la dietetica, i contatti medianici con maestri spirituali di altre dimensioni, la meditazione e le terapie antifumo: d'altronde, natura e filosofia orientale sono sempre andati d'amore e d'accordo! BELLI E IMPOSSIBILI Ladies and gentlemen, ecco a voi i “Social Beauty”! Trattasi di centri di bellezza in grado di innestare la quarta, consentendo di bere un drink fra un massaggio ed un altro o, ancor meglio, dopo un buon trattamento rigenerante, fermo restando che devono saper proporre un adeguato sottofondo sonoro. Quanto ad indirizzi, il primo a farsi strada è stato il Panta Rei, spa con tecnologie all’avanguardia, sauna finlandese e piscina ad idromassaggio illuminata da fibre ottiche, ma anche lounge bar con musica mixata ed energia cromatica, concerti live, video musicali, proiezioni digitali e mostre d’arte. Il tutto nell’ambito di un vecchio cinema/teatro ristrutturato ad arte e dotato di una terrazza di oltre 200 metri quadrati, affacciata sul mare… Sulla stessa lunghezza d’onda si pone il DESUITE, lounge restaurant di matrice disco, capace di fornire servizi legati al benessere quali solarium, bagno turco, idromassaggio, sauna, massaggi e ancora, manicure, pedicure, pulizia viso, bendaggi freddi, percorsi tonificanti e fanghi con le alghe marine. Ma non finisce qua, perché sulla scia si sono innestati due locali laziali di recente apertura, il Caffé Universale e il Beauty Bar, a sua volta ricavato all’interno dell’Hotel Raphael. Nel primo caso si può contare su un poker di proposte quali hammam, cucina verace, vini biodinamici e bagno turco, in ossequio ad un’antichità che proponeva calidarium, tepidarium e frigidarium, prima di una cena saporita. Scendendo a sud della Capitale, prendono piede, invece, atmosfere arabesque e chill out, ideali per dar vita a due proposte tanto insolite quanto futuribili ed innovative, Sudarium+Aperitivo, 20 euro; Massaggio+Aperitivo, 30 euro. Altro che niente di nuovo sul fronte occidentale…

Indirizzi Atelier Canova Tadolini. Via del Babuino 150/a, Roma. Tel. 06/32110702 Beauty Bar. Via Sebastiani 6, Lavinio (Roma). Tel. 06/98673235; 328/61775000 Boch. Stazione intermedia della telecabina Grostè, Madonna di Campiglio (Tn). Tel. 0465/440464 Caffé Universale. Via delle Coppelle 16a, Roma. Tel. 06/68392065 Cappella Bonajuto. Via Bonajuto 7/13, Catania. Tel. 095/321338 Ciak Bar. Via Montebello 20, Torino. Tel. 011/8125658; 011/8395711 Club Moritzino. Loc. Piz la Ila, La Villa (Bz). Tel. 0471/847403; 0471/847407 Corte Fenilazzo. Loc. Fenilazzo, Rivoltella del Garda (Bs). Tel. 030/9110639; 030/9901934 Desuite. via Roma 74, Cagliari. Tel. 070/680935; 340/9386683 Emilio Comici. Staz. sommitale funivia Piz Sella, Selva di Val Gardena (Bz). Tel. 0471/794121 ExMà. via San Lucifero 71, Cagliari. Tel. 070/658236; 070/666399 Il Collaccio. Loc. Castelvecchio, Preci (Pg). Tel. 0743/939084 Karma. via Palatina 7, Montignoso (Ms). Tel. 0585/821237 La Fattoria Sotto il Cielo. Contrada Petrucco 9/a Lago di Pignola (Pz). Tel. 0971/486000 Lo Riondet. Loc. Riondet 4, La Thuile (Ao). Tel. 0165/884006 Panta Rei. Via Lo Palazzo 7, Capri (Na). Tel. 081/8378898 San Pe’. Cascina San Pietro 29a, Poirino (To). Tel. 011/9452651 9


Natale nel mondo

Tutti a tavola, in attesa della Regina di Stefano Tura

LA

CRISI ECONOMICA

SI FA SENTIRE,

MA QUESTO NON SIGNIFICA CHE

LONDRA

PERDERÀ

LÌ IL

NATALE

È SEMPRE

TUTTO IL SUO FASCINO:

UN EVENTO UNICO

M Il ''Christmas pudding''

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Corrispondente Rai da Londra

hi glielo dice agli inglesi che tra poco è Natale? L’aria fredda e umida che avvolge Londra da ormai parecchie settimane prelude come ogni anno all’avvento di quello spirito festoso che da sempre rende la capitale britannica una delle mete preferite durante le feste di Natale. Tutto è pronto. Dalle coloratissime luci che disegnano un percorso stellare per le vie dal centro, agli addobbi nelle vetrine dei lussuosi centri commerciali, fino ai menù speciali e fantasiosi preparati dagli chef delle migliaia di ristoranti che Londra può contare. Ma quest’anno sarà diverso. Intendiamoci, Natale a Londra è sempre un evento unico. Ma quell’aria di inquietudine e preoccupazione che si respira all’ombra del Big Ben, è figlia di un presente che questa città non può ignorare. Anche e soprattutto durante le feste natalizie. La crisi economica, il crollo del prezzo delle case, il crack dei mutui e il fallimento di banche ed agenzie di credito si sta ripercuotendo non solo sulla City ma anche sulle famiglie inglesi. Gli operatori finanziari vedono svanire i bonus miliardari di fine anno, e rischiano di rimanere senza lavoro. La middle-class, per la prima volta dopo anni di boom economico, fatica ad arrivare alla fine del mese. In questo clima Londra si prepara al Natale, consapevole che per gli inglesi i festeggiamenti saranno contenuti ed oculati. Questo non significa però che la capitale del Regno Unito perderà il suo fascino. Assieme alla Scandinavia, patria di

C

Babbo Natale, Londra continua ad essere la meta preferita dei turisti. Aerei, alberghi e ristoranti hanno già ricevuto migliaia di prenotazioni. I tour-operator hanno dato spazio alla fantasia nell’organizzare soggiorni all’insegna del “tutto incluso” e i negozi si sono rifatti il look. A Londra il calendario degli eventi natalizi va in onda con precisione svizzera. Le luci sulla centralissima Bond Street, elegante strada di boutique e gioiellerie, si accendono il 7 novembre. Seguono a ruota Covent Garden ed Oxford Street, cuori pulsanti dello shopping. Ma è l’accensione delle luminarie di Regent Street, la seconda settimana di novembre, a decretare l’inizio ufficiale del natale londinese. Regent street fu costruita ed ideata dall’architetto inglese John Nash nel 1811 proprio per incrementare lo shopping e mettere in pratica i desideri del principe reggente che voleva un luogo dove passeggiare e fare acquisti che gli ricordasse i boulevard parigini. Da allora questa arteria, che attraversa il centro della città, offre uno scorcio della Londra ricca ed opulenta. Su Regent Street si può trovare di tutto. Dal fu caffè letterario “Cafè Royal”, meta, tra gli altri, di Oscar Wilde, al grande magazzino in stile Tudor “Liberty”, aperto nel 1875 fino ad “Hamleys”, il più celebre negozio di giocattoli europeo e all’ “Apple Store”, centro commerciale di due piani, interamente dedicato agli articoli elettronici della famosa multinazionale americana. Il 5 dicembre i


L I celebri grandi magazzini Harrods

L La pista di pattinaggio di fronte a Somerset House

riflettori si spostano su Trafalgar Square. In un’atmosfera tipica dei paesi del nord-Europa viene illuminato, con luci rigorosamente bianche, il maestoso albero di Natale voluto dalla regina Vittoria e dal suo consorte, principe Alberto, nel 1840. Il “Christmas Tree”, venne donato dalla Norvegia dopo l’ultima guerra mondiale e da allora ogni anno, per tutto il mese di dicembre, fa compagnia all’ammiraglio Nelson, dominatore della piazza, dall’alto della sua colonna. Canti celebrativi e storici, eseguiti da cori e gruppi musicali accompagnano la cerimonia. Eventi del genere vengono poi riproposti ciclicamente fino alla notte del 25 dicembre. E a proposito di musica, la tradizione impone ogni anno i famosi concerti con di “Christmas Carols” (le canzoni di Natale). Si svolgono in tantissime chiese ma quelli più acclamati sono alla Royal Festival Hall e alla Royal Albert Hall. Un discorso a parte quello della cucina. La cucina inglese, dopo essere stata considerata per decenni una delle meno interessanti al mondo, conosce ora un momento di grande prestigio e notorietà. E proprio durante le feste natalizie i migliori chef inglesi e internazionali propongono nuovi piatti per stimolare il palato dei loro ospiti. Tutti i grandi cuochi, da Gordon Ramsay a Marco Pierre-White a Jamie Oliver organizzano, nei loro ristoranti, cene a tema con le loro creazioni speciali. In questi locali ci si può imbattere in “celebrities” holliwoodiane, divi televisivi, personaggi dello sport e della politica e membri della nobiltà inglese. Per esprimere al meglio la gioia, la raffinatezza e la briosità del periodo delle feste si ricorre in modo sistematico ed abbondante allo champagne, bevanda che si presta meravi-

gliosamente all’atmosfera natalizia ed esalta al meglio i piatti speciali preparati con grande cura per le grandi occasioni. Tra quelli più serviti nei grandi ristoranti londinesi a Natale vi sono il Krug, Clos du Mensil 1995, il Bollinger Blanc de Noirs Vieilles Vignes Françaises 1998, il Dom Pérignon Rosé 1993 e il Salon Le Mesnil 1996. Il 25 dicembre in tutte la case che rispettano la tradizione si mangia il tacchino ripieno accompagnato da mirtilli. Alla fine viene servito il “Christmas Cake”, la famosa torta natalizia. Il gusto varia a seconda delle esigenze. L’importante è che venga servita alla fiamma. Le numerose varietà di dolci si possono ammirare da Harrods o da Jane Asher Party Cakes, il negozio dove si trovano anche tutti gli strumenti necessari per la loro decorazione. Abitualmente la preparazione della torta di Natale comincia in ottobre, di modo che tutti gli ingredienti abbiano il tempo di macerare. Stresso procedimento vale per il “Christmas Pudding”, (budino di Natale) preparato almeno quattro settimane prima del 25 in modo che il suo sapore possa maturare. Alcuni addirittura lo preparano da un anno all'altro. In Inghilterra si usa nascondere delle monete sul fondo, prima di portarlo in tavola: è di buon augurio per chi le trova. Alla fine del pranzo verso le 3 del pomeriggio in televisione si assiste tutti insieme al tradizionale discorso della Regina. Poi si può andare a pattinare nei giardini di Hampton Court o Somerset House od infilarsi negli innumerevoli mercatini natalizi sparsi in tutta la città, spesso organizzati da istituzioni di beneficienza, ideali per fare un regalo. E dimenticare, per un giorno, i mali del mondo. 11


Natale nel mondo

Le mille luci

New York

di accendono il Natale di Alessandra Rotondi

IL GIORNO DEL RINGRAZIAMENTO DÀ IL VIA ALLE FESTE NELLA CITTÀ CHE NON DORME MAI.

DURANTE

IL PERIODO

NATALIZIO SCORRONO

FIUMI DI VINO ITALIANO.

E

NON MANCANO GLI

ABBINAMENTI A DIR POCO STRAVAGANTI

ew York è sempre bella. Ma a Natale dà veramente il massimo trasformandosi in un magico paese dei balocchi pieno di luci, animazioni, regali e leccornie. Ad ogni angolo delle strade si trovano altissimi alberi decorati a festa, uno più bello e addobbato dell’altro; immagini laser di angeli, stelle, pupazzi schiaccianoci, proiettati sugli esterni dei palazzi o nei soffitti altissimi della stazione Grand Central, così affascinanti da far stare con il naso all’insù anche il più occupato dei business men; musiche e canti trasmessi per le avenue che riescono ad allietare anche lo shopping più stressante e compulsivo; scampanellate e calde risate dei mille Babbo Natale che sembra si siano dati tutti appuntamento qui; e poi ancora mercatini su Columbus Circle, Bryant Park, Union Square, dove si vende di

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tutto: artigianato, invenzioni tecnologiche e si degustano (previa esibizione di carta d’identità) vini prevalentemente organici delle aziende poco distanti da New York. Insomma, una delizia per occhi, mente e palati. A New York infatti una cosa che si fa bene già durante tutto l’anno, senza alcuna interruzione ed a tutte le ore, è mangiare e bere. Figuriamoci cosa può succedere a Natale e Capodanno! In questo periodo, la giornata di assunzione di extra calorie, inizia prestissimo: alle 11 con il brunch. I Cipriani - quelli dell’Harry’s Bar di Venezia - ne sono specialisti e lo propongono nei loro diversi locali di Manhattan, anche se il più festoso di tutti rimane quello della Rainbow Room, al 65° piano di Rockfeller Plaza: è pantagruelico con il valore aggiunto di una vista incredibile su New York e, soprattutto, sulla piazza dove il 3 dicembre si accende l’albero di Natale più famoso del mondo, con un conto alla rovescia trasmesso in diretta tv che segna il vero inizio del “Christmas Time”. Cipriani significa per antonomasia “Bellini”, e quindi Prosecco, vino amato dai newyorkesi oltre che per i profumi e sapori, anche per i costi contenuti rispetto al blasonatissimo champagne. Praticamente tutti i brindisi si fanno con Champagne o con Prosecco: a piacere infatti sono le bollicine, di qualunque provenienza, ma si cercano anche i nomi famosi. La tecnica di vinificazione o le uve usate per averli, non sono argomenti da affron-

tare sotto Natale. Soprattutto non sono ciò che causa l’impennata dei consumi di questi vini durante le feste, come confermato dai responsabili delle enoteche di maggior successo, quali la “Union Square Wines”, (nell’omonima piazza), un must anche per gli appuntamenti, vista la facilità di raggiungimento con la metro e la ricchezza di negozi nei dintorni; l’Astor Center, il negozio di vini più grande di New York, da perdercisi piacevolmente dentro (tra Lafayette e la 4ª); o la storica “Sherry Lehmann”,


L L'albero di Natale al Rockfeller Center

aperta nel 1934 dopo il proibizionismo ed ora punto di ritrovo per i cultori di vino che risiedono nella parte alta, anche socialmente, della città (tra la 59ª e Park Avenue). Come vendite natalizie, oltre ai già citati, predominanti quelle dei vini rossi, da tutte le parti del mondo con prevalenza di Borgogna e Bordeaux, nella

M Sherry Lehmann Wine Store. Molti newyorkesi scelgono di ragalare vino a Natale

L Radio City Music Hall, il teatro nel cuore di Manhattan dove si svolge il tradizionale ''Christmas Spectacular''

fascia alta di prezzi; California, Argentina e Cile, nella fascia media. Dei rossi di corpo spagnoli piace il buon rapporto qualità/prezzo. L’Italia ha venduto ancora molto, soprattutto come Supertuscan e, tra questi, i nomi più conosciuti. Analogo discorso per i Barolo, il cui incremento di vendite è cominciato anche quest’anno a novembre grazie alle molte cene a base di tartufo d’Alba organizzate nei ristoranti. Non sono stati registrati cali di vendite di Brunello di Montalcino, nonostante le note vicende. Chiaramente, in ristorante avviene qualcosa di diverso e la clientela ha altri orientamenti grazie anche alla presenza in sala del sommelier e grazie alla cucina proposta. Tra i vini bianchi, fiumi di Pinot Grigio italiano accompagnano sempre tutto. Non è mancata comunque durante queste feste una grande celebrazione del Beaujolais Nouveau perché è considerato da molti il vino “ufficiale” della cena di Thanksgiving - una sorta di anteprima del Natale celebrato quest’anno il 27 Novembre che, a detta dei più, rende al massimo in abbinamento al tacchino farcito di castagne e mirtilli. Coloro che hanno amici o origini italiane hanno preferito l’abbinamento con il Brachetto d’Acqui, dolce su dolce, con effetto leggermente “sgrassante”. Nei quartieri fuori Manhattan, popolati maggiormente da immigranti dell’est europeo, il brindisi natalizio e quello di Capodanno si fa con l’Asti Spumante, scelto anche a tutto pasto.

Il vino in genere è stato scelto anche quest’anno come regalo da fare per Natale, una bottiglia sola o diverse all’interno di cesti, non superando generalmente i 350 dollari. All’interno dei cesti non si trova alcun tipo di genere alimentare perché l’enoteca non ha licenza di vendita di cibo, e il negozio gourmet non può avere quella degli alcolici. Infine, la novità di quest’anno è stata data dal cognac, grazie anche alla recente apertura - in un punto strategico di Manhattan, 55ª strada e Broadway - di “Brasserie Cognac”, ristorante francese di proprietà degli italianissimi Vittorio Assaf e Fabio Granato, in cui si è “importata” la nuova moda molto diffusa in Estremo Oriente di abbinare ad ogni portata di cibo, piuttosto che non il vino, la sontuosa eau de vie capace di creare un’atmosfera di “Toujours la Fête”, slogan della Brasserie. La curiosità: le 102 etichette presenti in carta, il clima rigido, una dichiarata predilezione dei newyorkesi verso la cucina d’Oltralpe (considerata ideale per le cene delle grandi occasioni come il Natale e Capodanno) e l’apprezzamento delle elevate gradazioni alcoliche (anche nel vino), hanno decretato il successo della formula. Il cognac ha così accompagnato i piatti tipici di queste feste: zuppe cremose, paté, foie gras, salmone, anatra, tacchino, prosciutto d’oca e crème brûlée. E qualcuno addirittura ha brindato con Louis XIII! A New York, si sa, succede di tutto e molto di più per cui, cin-cin… Comunque vogliate farlo! 13


Natale nel mondo

I brindisi

della Nochebuena e della Nochevieja di Elisa della Barba vero, il consumismo ha portato Babbo Natale quasi ovunque. Ma in Spagna sono i Re Magi – “Los Reyes Magos” – a passare in rassegna desideri pretenziosi e a scomodarsi per la consegna dei regali. È infatti solo il 6 gennaio mattina che, per tradizione, con indosso pigiamini che sanno ancora di coperte calde, i bimbi spagnoli procedono allo scarto dei doni. L’attesa è lunga per chi non vede l’ora di giocare, ma sono molte in Spagna le occasioni per festeggiare in questo periodo. Si distinguono per la maestosità e la varietà degli eventi Madrid, capitale situata nella regione centrale della Castilla y Léon, e Barcellona, capoluogo della Cataluña, sulla costa nord orientale. Pur avendo matrici culturali diverse a partire dalla lingua maggiormente utilizzata, spagnolo (castigliano) per la prima e catalano per la seconda, in realtà le loro usanze sono piuttosto vicine tra loro. Le Feste iniziano ufficialmente il 22 dicembre, con la Lotteria più importante del mondo. Nata nel 1763 sotto il regno di Carlos III negli uffici in Piazza San Ildefonso a Madrid, è un’antichissima tradizione perpetuata ogni anno dal 1771, data del primo sorteggio, dai “niños de la suerte”, gli alunni del collegio San Ildefonso che cantano i numeri sorteggiati, trasmessi in radio e in televisione. Il 24 dicembre arriva la “Nochebuena”, la vigilia di Natale, a cui non si può davvero mancare. Come in Italia, la famiglia si riunisce a cena per festeggiare con un menu che varia da regione a regione, e che per tradizione com-

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prende generalmente pesce al forno e frutti di mare ma, a seconda delle usanze locali, anche tacchino, maialino e agnello arrosto – il famoso “cordero asado” - e ovviamente jamòn, prosciutto a volontà. I dolci tipici sono protagonisti della serata: torrone, tipico delle zone catalane, polvorones e mantecados, dolci dell’Andalusia, frutta candita, o marzapane, composto da pasta di mandorle, eredità araba nella quale ormai si riconosce tutta la Spagna. Durante la cena si cantano i villancicos, canti che raccontano episodi legati alla nascita di Gesù o alla storia spagnola. A mezzanotte, ci si reca insieme alla “Messa del Gallo”, secondo il racconto che lo vuole primo animale ad aver visto Gesù e ad averne annunciato la nascita all’umanità. Il 25 dicembre si festeggia in maniera simile, ma la vigilia rimane il giorno più importante. È doveroso segnalare che ultimamente si è deciso di consegnare i giocattoli ai bambini in questa data, in modo che li possano sfruttare durante le vacanze senza dover aspettare il 6 Gennaio. La Cataluña festeggia in modo diverso questo giorno con il “tió”, un’usanza molto antica che risale ai piccoli paesini di montagna, dove la gente viveva del raccolto. Il tió, lo “zio”, piccolo tronco d’albero dal volto sorridente, viene nutrito e coperto con uno scialle dall’8 dicembre, giorno dell’Immacolata Concezione. Il giorno di Natale viene scosso con dei bastoni da adulti e bambini, così da far cadere dolciumi o piccoli oggetti – nascosti in precedenza. Sempre in

Cataluña, può capitare che si festeggi maggiormente il giorno seguente, il 26, San Esteban. Il 28 in tutta la Spagna è “Il giorno degli Innocenti”, con riferimento all’infanticidio commesso da Erode. La tradizione, goliardica e di buon auspicio, vuole le città coinvolte in un “giorno di ordinaria follia”, ossia scherzi e bravate, da fontane riempite di schiuma a quotidiani dai titoli inverosimili. Il 31 dicembre arriva la tanto sospirata “Nochevieja”: dopo una cena di solito in famiglia, i più giovani escono a festeggiare. Un tempo i locali organizzavano il “Cotillon”, festa chic per grandi gruppi, ma la tendenza ora è


Non c’è Natale senza Cava Le Feste in Spagna devono avere rigorosamente un denominatore comune: essere innaffiate dal vino tipico di queste occasioni, il Cava, lo spumante spagnolo “a denominación de origen” (Do). Il 95 per cento della produzione si deve alla Cataluña (Regione del Penedès), mentre il restante 5% spetta alla regione del Rioja, dell’Extremadura, Valencia, Castilla y Léon e Aragón. Prodotto con uve autoctone a bacca bianca, principalmente Xarello, Il Roscón de Reyes Macabeo, Parellada e Chardonnay, le sue origini risalgono al 1872 in Cataluña con la produzione delle prime tremila bottiglie ottenute con il metodo “Champenoise” francese. Punta di diamante del Cava è la versione Brut, che contiene la minor quantità di zucchero rispetto agli altri tipi, fino ad arrivare al Brut Nature, con 0 grammi per litro. Oltre al Brut, si trova l’Extrasecco, Secco, Semisecco e Dolce, a seconda della quantità di zucchero utilizzata durante la lavorazione. Ne esistono anche versioni rosé, per le quali si impiegano uve come la Monastrell, la Garancha rossa, la Trepat e la Pinot Noir. Il Cava si accompagna ad aperitivi, piatti di pesce, formaggio e carni bianche.

quella di affittare degli spazi fuori città e organizzare una festa in maniera economica e senza troppe formalità con gli amici più cari. Allo scoccare della mezzanotte, per ogni rintocco di campana si ingoia un chicco d’uva, perché portino fortuna per ogni mese dell’anno. Nelle vie delle città vengono inoltre allestiti i mercatini di Natale: dal 13 al 23 dicembre a Barcellona, nei pressi della Cattedrale - nel Quartiere Gotico - si svolge la Fiera di Santa Lucia, e vi sono bancarelle anche nei pressi della Sagrada Familia. A Madrid, in Piazza di Spagna, dal 20 dicembre al 5 gennaio troverete la

“Fiera dell’artigianato di Natale” e, in Plaza Mayor, il famoso “Mercato degli articoli natalizi”. Simboli comuni a tutto il Paese, ovviamente, sono l’albero di Natale e soprattutto il Presepe, o Belén, che dal XXIII secolo è uno degli aspetti più tradizionali della Spagna. Nelle piazze, nelle chiese o nelle case, è davanti a lui che ci si riunisce per i canti di Natale. La Cataluña deve l’uso del Presepio, prima di allora limitato alle Chiese, al dominio borbonico di Napoli sulla Spagna e la Castilla y Léon a Filippo II, che in visita a Trapani ne ricevette uno in dono e adottò la tradizione. La chiusura ufficiale delle Feste Il ''jamón'', il prosciutto iberico, e molti altri salumi abbondano sulle tavole natalizie degli spagnoli M Le ''Ametllats'', specialità catalane alle mandorle

Natalizie è per il 5 gennaio sera con la “Cabalgada de los Reyes Magos” (o Cavalcata dei Re Magi), un vero e proprio carnevale con sfilate di carri e di cortei in costume per onorare il lungo viaggio dei Re Magi. Come per la nostra Befana, i bimbi vanno a dormire presto - lasciando fuori dalla finestra un po’ d’acqua per i cammelli e un po’ di latte per i Re Magi - per poi alzarsi all’alba del 6 mattina a scartare i regali. I più birichini troveranno invece del carbone dolce… In questa giornata, a pranzo, si festeggia con un dolce tipico: il Roscón de Reyes, che risale addirittura alle feste pagane d’inverno dei Romani. Un tempo fatto con fichi, datteri e miele, oggi è una ciambella di pasta dolce decorata con pezzi di frutta candita. Chi trova nella sua fetta il pupazzetto nascosto nel dolce, è nominato re della festa e avrà fortuna per tutto l’anno.

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Natale nel mondo

Parigi

val bene…

un L’ATMOSFERA

Natale

NATALIZIA

RENDE ANCORA PIÙ IMPONENTE LA GRANDEUR CHE SI RESPIRA NELLA CAPITALE FRANCESE OGNI GIORNO DELL’ANNO

Il est doux, à travers les brumes, de voir naître L’étoile dans l’azur, la lampe à la fenêtre, Les fleuves de charbon monter au firmament Et la lune verser son pâle enchantement. Com’è dolce veder nascere, tra le nebbie, la stella nell’azzurro, la lampada alla finestra, i fiumi di carbone salire al firmamento e la luna versare il suo pallido incanto.

Da “I fiori del male – Quadri parigini” Charles Baudelaire, 1857

di Emanuele Lavizzari l tramonto invernale descritto dagli occhi di un parigino di metà Ottocento è la foto che racchiude tutto il fascino della capitale d’Oltralpe. Chi scrive è il poeta maledetto per antonomasia, Charles Baudelaire, e la città è la Parigi che di lì a poco ispirerà quella grande generazione di pittori che darà vita all’Impressionismo. Da qui parte il nostro cammino per le vie della metropoli francese, dal crepuscolo che rimescola i colori del quadro urbano. Difficile descrivere tutte le bellezze

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della capitale senza tralasciarne qualcuna. Pensiamo ai musei, alle chiese, alle gallerie d’arte, alle biblioteche, ai cinema, agli storici locali notturni. E l’atmosfera natalizia e gli addobbi per le strade rendono ancor più imponente quella grandeur che si respira a Parigi ogni giorno dell’anno. Per percepire l’essenza della città non bisogna fare la fila né staccare alcun biglietto di ingresso. Dalla sommità della collina di Montmartre, punto più alto della ville con i suoi 130 metri, si può assistere a uno spettacolo che

non ha eguali. Dopo aver percorso gli oltre duecento gradini o, per i meno volonterosi, aver scelto la funicolare, si giunge in prossimità della basilica del Sacré-Coeur, simbolo di quello che una volta era un comune autonomo e che ora costituisce quasi interamente il 18.mo arrondissement della capitale. Quando il sole si abbassa quasi fino a sparire, iniziano ad animarsi le illuminazioni della città, che in pochi minuti si perdono oltre l’orizzonte in un oceano di luci e colori. Questa è la Parigi nota in tutto il


Charles Baudelaire. Alcune sue poesie ''maledette'' dipingono la Parigi dell'Ottocento

Camille Pissarro Boulevard Montmartre, pomeriggio, giornata piovosa (Olio su tela, 1857)

mondo, quella che viene appunto chiamata la Ville Lumière. A Montmartre si respira ancora quell’atmosfera che tra Ottocento e Novecento la rese centro di studio e di ritrovo di artisti del calibro di Henri de Toulouse-Lautrec, Vincent Van Gogh, Camille Pissarro e Pablo Picasso. È sempre stato un luogo in cui i pittori di talento cercavano di farsi conoscere e di raggranellare qualche spicciolo ritraendo i passanti. Ancora oggi potete interrompere la vostra passeggiata e mettervi in posa di fonte a un ritrattista. E magari un giorno, se il vostro artista diverrà un Renoir o un Manet, potrete vantare di possedere una sua opera originale! Il simbolo indiscusso della città è la celeberrima Tour Eiffel, costruzione nata come «provvisoria» ed eretta dal-

l’ingegnere che le ha dato il nome, Gustave Eiffel, in occasione dell’Esposizione Universale del 1889 (centenario della Rivoluzione Francese). Ma da allora non venne mai smantellata. Cenare all’altezza di 95 metri dal primo piano della torre è un altro suggerimento da non trascurare per contemplare la capitale a 360 gradi in tutto il suo splendore natalizio. Come ogni anno il viale più ampio e famoso, i Champs-Elysées, si illumina con decorazioni così brillanti da inondare le boutique e i passanti indaffarati nello shopping più frenetico. L’imponente Arc de Triomphe si trasforma così nella porta d’accesso di un cammino che consigliamo di percorrere dopo l’imbrunire. Ancor più romantica per gli adulti, un po’ più magica per i bambini. È la Parigi che offre in questo periodo piste di pattinaggio sul ghiaccio qua e là, per non parlare delle giostre del tutto simili a quelle antiche con i tipici cavalli di legno, che riescono sempre a stupire e incantare i più piccoli. Le famose boutique che fanno di Parigi uno dei centri mondiali della moda e del lusso sono letteralmente prese d’assalto in questi giorni che precedono le feste: Chanel, Dior, Vuitton, Cacharel, Saint Laurent, solo per citare alcuni tra i marchi più en vogue. Ma se volete respirare un clima unico e pittoresco e magari non alleggerire

troppo il portafogli, i mercatini di Natale sono ciò che fa per voi. Allestiti in ogni angolo o piazza della città, permettono di trovare veramente di tutto: dagli abiti vintage di seconda mano alle stampe di quadri celebri legati alla capitale, dalle proposte più originali per decorare le tavole imbandite ai pezzi d’antiquariato che ogni mercante giura essere appartenuti a Luigi XIV, Maria Antonietta o Napoleone Bonaparte. E in quelle giornate in cui il freddo è pungente aleggiano profumi di ogni tipo: spezie, caldarroste, caffè, cioccolato e quel sentore inconfondibile di crêpes che riempie ovunque l’aria gelata. Dirigendosi poi verso la maestosa cattedrale di Notre-Dame, il percorso è incredibilmente illuminato e sembra un sentiero fiabesco che culmina con un enorme albero di Natale. Questo perché la stupenda struttura in stile gotico, edificata principalmente tra il XII e XIII secolo, è da sempre considerata il cuore di Parigi. Se vi capita in mano una qualsiasi guida turistica con indicate le distanze tra la capitale e altre città francesi, sappiate che il chilometraggio è calcolato proprio dal sagrato della chiesa. Ma non è innanzi a Notre-Dame le sapin de Noël più imponente. L’abete che di certo si colloca al primo posto per dimensione e maestosità è quello che viene allestito sotto la cupola 17


Natale nel mondo

bizantina delle Galeries Lafayette. I celebri grandi magazzini parigini sono ormai storicamente una delle mete principali dello shopping natalizio dei francesi e soprattutto dei turisti stranieri e ogni anno propongono addobbi e luminarie che lasciano senza fiato. La sera della vigilia non potete assolutamente perdere una cena sul bateau-mouche per una crociera sulla Senna. È una tappa fondamentale nella Parigi che non dimentica mai che è nata dal suo fiume. Tra l’altro, i suoi quais, quelli che noi tradurremmo come lungosenna, dal pont Sully al pont d’Iéna, sono stati dichiarati nel 1991 “patrimonio dell’umanità” dall’Unesco per l’incredibile fascino dei paesaggi fluviali e delle opere d’arte che racchiudono. Anche la distinzione tra i quartieri storici della città consiste proprio nell'essere situati sulla più ampia riva destra (la rive droite a nord) o sulla riva sinistra (la rive gauche a sud). Sulla rive droite si sviluppa la Parigi degli affari, della finanza e delle isti-

tuzioni (ricordiamo la Borsa e il museo del Louvre), mentre sulla rive gauche ecco la città intellettuale, colta, creativa, con l’università della Sorbonne, il quartier latin e Montparnasse, l’altro luogo storico e centro di ritrovo degli artisti. Ma il tour nella capitale non deve di certo tralasciare le proposte della cucina di casa, senza dimenticare che Parigi rappresenta una realtà cosmopolita anche a tavola. Oltre a far proprie le numerose specialità provenienti da ogni angolo della Francia, nel corso dell’ultimo secolo, con l’accoglienza di immigrati da tutto il pianeta, anche le tradizioni gastronomiche parigine hanno subito numerose influenze e contaminazioni: dalle zone aride del Maghreb all’Africa Centrale, dal Sudest asiatico alle spiagge caraibiche delle ex colonie di Guadalupa e Martinica, fino ad arrivare alle recenti migrazioni dall’Est europeo e dalla Cina. Il consiglio è di non cedere alla tentazione di avventurarsi nei locali etnici almeno per Natale, ma di sce-

gliere un menù che faccia onore alla Marsigliese. Come antipasto terrina di foie gras e capesante alla besciamella per proseguire con zuppa di cipolla gratinata e un’impareggiabile Quiche Lorraine. Non rinunciamo di certo ai piatti di carne, come spezzatino di vitello e petto d’anatra al miele. E per concludere in bellezza due dessert della cuisine française: soufflé al Grand Marnier e l’inimitabile Bûche de Noël, il tipico dolce natalizio a forma di ceppo, per ricordare la legna che la tradizione transalpina voleva fosse fatta ardere lentamente nel caminetto la notte di Natale per riscaldare tutto il focolare domestico. Per il vino fate voi. D’altra parte siamo in Francia, perciò, è proprio il caso di dirlo, avete veramente l’imbarazzo della scelta! «Paris vaut bien une messe» («Parigi val bene una messa») pronunciò re Enrico IV nel 1594, accettando di convertirsi al cattolicesimo pur di ottenere l’ambito trono. Oggi potremmo dire che Parigi val bene una vacanza. Di Natale.

Champagne: storia e leggende Dalla Belle Époque alle Années folles con i suoi cabaret, dai locali di swing e jazz del dopoguerra ai grandi cinema, dal progresso tecnologico alle grandi firme della haute couture. Tutto questo costituisce il mito di Parigi, città che richiama nell’immaginario collettivo la festa, il lusso e la mondanità. Quest’atmosfera di allegria e di frivolezza, impossibile negarlo, è indissolubilmente legata al mito dello champagne. Dal nome dell’omonima regione a nord est della Francia arriva uno dei pochi vini ai quali sia stato attribuito un inventore: l'abate benedettino Dom Pérignon. Anche se esistono diverse versioni, alcune molto originali, le leggende legate all’origine del vino più famoso d’Oltralpe hanno conservato nei secoli un fascino straordinario. I vini della regione della Champagne erano conosciuti fin dal Medioevo. Venivano prodotti principalmente dai monaci delle numerose abbazie presenti nella regione, che lo usavano come vino da messa. Ma anche i regnanti francesi li apprezzavano molto, tanto da offrirli in segno di omaggio agli altri reggenti europei. Si trattava però principalmente di vini fermi, quindi senza spuma, e rossi. Le guerre e i saccheggi nel 1600 devastarono la regione, causando la distruzione e l'abbandono delle abbazie e dei conventi e il conseguente decadimento delle annesse vigne. Fu intorno al 1670 che Pierre Pérignon, giovane frate benedettino, giunse all'abbazia di Hautvillers, vicino ad Épernay, con l'incarico di tesoriere. Qui trovò il convento e le vigne in uno stato di totale abbandono e si impegnò a rimetterle in sesto. Il suo lavoro fu indirizzato principalmente alla produzione di vino. Da perfezionista qual era, si applicò alla selezione delle uve migliori (la sua scelta cadde sul pinot noir), privilegiando i terreni più vocati alla produzione, affinando le tecniche del taglio dei vini e preferendo una spremitura dolce per ottenere un mosto chiaro anche se da uve a bacca nera (tutte tecniche caratteristiche, ancora oggi, della produzione dello champagne). La crescita della popolarità dello champagne ha portato alla nascita di aneddoti e leggende difficilmente verificabili: si dice che Dom Pérignon fosse un fine intenditore di vini (si narra però anche che fosse astemio ma, essendo pure vegetariano, era un eccellente assaggiatore di uve); la confessione in punto di morte da parte dello stesso monaco della ricetta segreta dello champagne (non di ricetta si trattava, ma soltanto dell'indicazione di aggiungere al vino in primavera zucchero e fiori di pesco); il fatto che la foggia del bicchiere a coppa in cui veniva servito fosse stata modellata sulla forma, considerata perfetta, del seno di Madame de Pompadour, amante di re Luigi XV. Leggende a parte, resta il fatto che lo champagne è un vino la cui notorietà è diffusa in tutto il mondo e che ha assunto ormai valenza simbolica in svariate occasioni: basti pensare al varo delle navi, alle premiazioni di gare sportive e in generale a tutte le inaugurazioni e celebrazioni di eventi di particolare rilievo. (E.L.) 18


Abbinamenti

Quando il vino fa da

Cupido

PICCOLE

EMOZIONI O DECISIONI CHE SEGNANO

UNA VITA SI INTRECCIANO SPESSO CON

ATMOSFERE CHE SI CREANO SOLO A TAVOLA, SFUMANDO NEL TEMPO TRA RICORDI PROFUMATI

E SAPOROSI, COMPLICI LA SOFISTICATA ELEGANZA DI UN RISTORATE STELLATO O LA SPONTANEA VIVACITÀ DI UNA TERRAZZA SUL MARE.

di Rossella Romani

on si incontravano da anni. Le loro strade si erano separate molto tempo fa: città, scelte professionali ed esperienze personali diverse. Ogni tanto, a entrambi, erano tornati in mente episodi della loro giovinezza, le prime gioie degli anni del liceo e i primi dolori che la vita riserva a ciascuno di noi. Per una di quelle misteriose combinazioni che solo il caso sa creare, si sono ritrovati un tardo pomeriggio di questa estate, in un chiringuito del porto turistico di Palma di Mallorca, seduti a due tavolini di quel locale che serve tapas. Uno Chardonnay fresco e fruttato, un piatto di calamaretti fritti, con un gusto declinato su una cremosa tendenza dolce avvolta in un velo di delicatissima untuosità, e un’amicizia ritrovata, intessuta con l’intrigante filo conduttore della passione per il cibo e per il vino. Poi, la sera, una piscina illuminata e il profumo del gelsomino fanno da sfondo alle parole degli ospiti, quasi sussurrate, nell’inconsapevole timore di rompere quell’atmosfera incantevole. Il cameriere, un ragazzo dalla pelle olivastra e dallo sguardo profondo, consiglia insalata di astice al profumo di agrumi e tarta-

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re di branzino al dragoncello. Di fronte a questa coppia di italiani che leggono con attenzione la carta dei vini, l’orgoglio campanilistico lo porta a proporre un Cava Blanc de Blancs 2006, luminoso grazie a una miriade di bollicine che si liberano nel bicchiere, profumato di frutta fresca e lievito, sapido e stuzzicante. Un abbinamento perfetto con la delicatezza dei piatti, arricchiti in aromaticità e sapidità da qualche goccia di olio extra vergine di oliva e una spruzzatina di sale rosa dell’Himalaya. Rapidi flash back riportano quest’uomo e questa donna a pomeriggi passati a tradurre Cicerone o a risolvere integrali e logaritmi, a serate in discoteca e vacanze assolate, a delusioni d’amore e soddisfazioni nel lavoro. Molti spot della loro memoria, stranamente ma non troppo, coincidono con colazioni, spuntini e cene, che riprendono forma nei loro dialoghi, tra confessioni e confidenziali retroscena di momenti vissuti insieme o nel racconto delle proprie esperienze. L’aromaticità di un caprino e la nuance corallo di un Bandol Rosato, con accenti odorosi di frutti di bosco e fiori rossi, si sovrappongono alle risate suscitate dalle barzellette di un simpatico ristoratore di Aups, in Provenza, mentre la leggera speziatura di uno strudel di mele alla cannella e la seducente setosità di un Moscato Giallo Passito, con sentori di frutta caramellata e candita, miele e vaniglia, sono i complici dolcis-


simi di un impegnativo colloquio in un tedesco un po’ scolastico a Merano, con una coppia di anziani turisti di Monaco di Baviera. A poco a poco, tra di loro si compone un puzzle multisensoriale di colori, profumi, sapori e atmosfere, che ricreano ambienti dettagliati come le scene del film preferito, rivisto così tante volte da ricordarne ogni battuta. SCENA 1 - Antibes Vieille. Antichi lampioni illuminano le strette stradine e il susseguirsi di boutique, atelier

e piccoli ristoranti. Uno di questi, in un cortile che si apre oltre un portico tappezzato di edere, è animato dalle voci dei turisti. A tavola, la scelta cade sul grand plateau de fruits de mer, la cui succulenta nota salmastra è perfettamente domata dall’intensità e dalla morbidezza di un Pouilly Fumé di buona evoluzione, con profumi di pietra focaia, agrumi e frutta esotica. Un percorso senza tempo riporta i due al concetto di una tavola vissuta come un’emozionante fusione di aromi e suggestioni, in un giocoso tentativo di rivivere la cremosa grassezza di un Munster assaggiato verso sera in una piccola piazza di Colmar, la fondente aromaticità delle fettine di Pata Negra gustato durante un ricco aperitivo ad Andorra, la golosa sapidità di un pesce spada con capperi e pomodorini di una cena a Salina. Con la memoria riassaporano tutto e si chiedono se avessero davvero scelto i vini migliori in abbinamento. Nel ricordo, ogni vino sembra perfetto. Ma riemerge anche un momento amaro, quando davanti a un filetto al pepe verde e a un vino rosso con una nota tannica un po’ troppo aggressiva, lui le comunicò che per problemi familiari avrebbe dovuto interrompere gli studi universitari. 21


Abbinamenti SCENA 2 - Milano, un ristorante sobrio ed elegante in Brera. Il perfetto intreccio dei sapori di una crema catalana e di un dolcissimo Passito di Pantelleria, profumato di albicocca secca e scorza di arancia candita, macchia mediterranea e resina, anticipa il ricordo più bello: l’uomo che sarebbe diventato suo marito le fa consegnare su un piattino, nascosta in un tovagliolo, una piccola scatola di velluto grigio che, aperta, svelerà gli splendidi riflessi di un inatteso anello di fidanzamento. SCENA 3 - Un lodge immerso nel verde dell’entroterra di Malibu. Non sembra di essere a pochi chilometri dalla spiaggia che tutti ricordano per le imprese atletiche e scanzonate dei surfisti del film Un mercoledì da leoni. Alle pareti di pietra sono appesi trofei di cervi, in piccole nicchie tra le sale sono sistemate preziose collezioni di introvabili vini californiani, sulle impeccabili tovaglie bianche la luce delle candele fa brillare i bicchieri di cristallo e le posate d’argento. Portata dopo por22

tata, i cibi e i vini creano una splendida armonia, nella quale spiccano le note profumate delle costolette di agnello alle erbe, appena rosate e delicatamente abbrustolite, succosa miscela di aromaticità e speziatura con sfumati ricordi amarognoli. Una struttura variegata, un caleidoscopio di sapori che disegnano un quadro di grande personalità gusto-olfattiva, incorniciato alla perfezione dal carattere incisivo di un Napa Valley Cabernet Sauvignon che ha riposato a lungo in piccole botti di rovere americano, profumato di legno di cedro e prugne, cioccolato e tabacco, con un tannino levigato e ben integrato con la morbidezza e la sapidità. SCENA 4 - Mancano pochi giorni a Natale. Milano è avvolta da un sottile pulviscolo di umidità, non una nebbia densa e impenetrabile come quelle che negli anni ’60 attenuavano i contorni e i rumori della grande città. Al confine tra il suo cuore storico e la sua anima commerciale, un ambiente trendy, minimalista e raffinato. Tavoli con sfumature bronzee, set all’americana di lino color tortora, illuminazione giocata sui bagliori di centinaia di piccole lampadine. Il vino? Un’edizione speciale di un Alsace Riesling 2001, con un coinvolgente, paradigmatico profumo di idrocarburi, frutta esotica e candita, percorso da una vena sapida scattante e ancora fre-


schissima, di incredibile intensità e interminabile persistenza aromatica. Il cibo? Un sashimi di gamberi rossi, scampi, salmone, tonno e ricciola, inaspettatamente arricchito dall’aromaticità e dalla speziatura di una manciata di mandorle tritate e di una delicata salsa alla senape, di una fettina di avocado con cannella e di una spruzzatina di mild curry. La scelta di un vino così esuberante sembrava un po’ azzardata, ma l’originalità degli stuzzicanti tocchi aromatici e speziati sulla disarmante semplicità del sashimi, hanno premiato il desiderio emozionale di assaggiare quel vino e l’ispirazione di un attimo. Ispirazione che ha illuminato anche la combinazione di una crema al tè verde con granella di nocciole e cannella e di uno sformatino al cacao con pistacchi, con un affascinante Gewürztraminer Vendemmia Tardiva, profumato di litchi e mango, pesche sciroppate e rose, cannella e zenzero, dolce e avvolgente, la cui vellutata morbidezza smorza alla perfezione la tendenza amarognola del cacao e crea un mirabile equilibrio. Cibo e vino, una magica alchimia tra effetti sensoriali semplici o un po’ bizzarri, dettati dalla rigorosa applicazione delle tecniche di abbinamento o dall’estroso entusiasmo del momento. Una magica alchimia come quella tra due persone che, anche grazie a un pot-pourri di sapori ed emozioni, profumi e suggestioni, hanno ricominciato da dove si erano lasciate, senza un attimo di esitazione, senza un attimo di imbarazzo.


Fumenogastronomia

Da

Natale

a Capodanno tra stile e gusto di Fabrizio Franchi uguri, regali, tour de force parentali ecc. E mentre i profumi che arrivano dalla cucina si fanno sempre più irresistibili arriva il momento più importante per un fumenogastronomo, quello di sedersi a tavola. Massimo rispetto per lo stile. Ogni posto è apparecchiato in modo perfetto: sottopiatto dorato accanto al lume in vetro ambrato, piatti bianchi e oro, posate di raffinato design, candele accese nei candelieri di cristallo, bicchieri in cristallo - compreso i flute per il brindisi e i bicchieri da distillato – coppette con cucchiaio per il dessert e tazzine per il caffè. E se parliamo del menu delle festività più importanti ci perdiamo nei tempi perché sono la ripetizione, anche inconsapevole, di antichi miti e riti che scandiscono la civiltà cristiana e il ciclo liturgico. Dal magro al grasso, sono tante le tradizioni gastronomiche per il Natale. Soprattutto in Italia, dove prevale un uso di origine ecclesiastico, il magro rientra nella tradizione del pranzo della vigilia. Per il pranzo di Natale è d’obbligo il cappone o, come descrive Pellegrino Artusi riassumendo il costume borghese dell’Italia postunitaria: “Cappelletti all’uso di Romagna, crostini di fegatini di pollo, cappone con uno sformato di riso verde, pasticcio di lepre, gallina di Faraone e uccelli, panforte di Siena, pane certosino di Bologna, gelato di mandorle tostate”. Mentre un capitolo a parte va riservato ai dolci nei quali prevalgono il miele, i fichi, le mandorle, l’uvetta ed altra frutta secca. In sostanza, secondo queste scelte gastronomiche e rispettando l’aspetto rituale si comincia dalla vigilia di Natale, senza soluzione di continuità, con il magro e si continua fino a mezzanotte con i bolliti e gli arrosti. Non sarà forse il caso di allontanarci dagli eccessi dei pranzi e contropranzi e dei brindisi che si susseguono per dedicarci di più ai festeggiamenti e a dividere con chi amiamo il piacere semplice e raro di degustare un cibo, magari sobrio, ma sempre preparato con cura. Anche il grande Maestro della cucina Massimo Bottura che dirige la brigata della sua cucina all’Osteria La Francescana di Modena sembra andare in questa direzione con la proposta di un insolito piatto che parte da una base di tabacco Kentucky monocultivar toscano, o meglio pezzature di tabacco Kentucky di provenienza toscana, già fermentate e essiccate nella Manifattura Tabacchi di Lucca.

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PRANZO DI NATALE POLENTA IN SALSA DI BRASATO MODENESE CON TABACCO KENTUCKY MONOCULTIVAR TOSCANO Si proceda: taglio di spalla di carne bianca modenese di 30 mesi di allevamento a cielo aperto, battuto di sedano, carote, cipolle e alloro, uva fragola, tabacco Kentucky pezzato, il tutto innaffiato da Lambrusco Grasparossa di Castelvetro e inserito nel sottovuoto. Esecuzione: cuocere sottovuoto a bassa temperatura - 63°C per 10 h – Togliere la carne con il resto dal sottovuoto. Frullare il tutto e passare al setaccio. Unire la salsa alla polenta di farina di mais aromatizzata con olio essenziale al rosmarino. Il primo a rimanere sorpreso dalle note di speziato e affumicato che provengono dal tabacco è lo chef che lo definisce “Polenta al cru di fumo”

Ma un buon fumenogastronomo non può dimenticarsi di arricchire anche il Capodanno con quel tocco speciale di stile e gusto che ci viene fornito dai sigari speciali della famiglia TOSCANO®, come il MORO e il MILLENNIUM che fanno la prima apparizione proprio nei mesi di novembre, dicembre e gennaio. Ma dove trovarli, visto che sono edizioni limitate? Vi consigliamo sempre di prenotarli per tempo dal vostro tabaccaio di fiducia, meglio se specializzato nella vendita di sigari, oppure attraverso il Club Amici del Toscano www.amicidellatoscana.it

LA LUNGA NOTTE DI CAPODANNO IL MORO / GIANDUIOTTI ANTICA FORMULA PEYRANO LA RISERVA DEI CENT’ANNI UE NONINO Con il suo formato maxi, il MORO segna momenti di abbondanza, e per questo di gioia. Sarebbe difficile consumare il pranzo di Natale o il cenone di Capodanno senza il nostro magnum. Emozioni che possono essere condivise con l’intensità di un cioccolato a base di gianduia in assenza di latte, nel rispetto dell’antica ricetta torinese di Peyrano, in abbinamento ad un’elegante e persistente Acquavite d’Uva Nonino affinata per 12 anni. L Legno per l'essiccazione del tabacco

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L I sommeliers che hanno frequentato il corso sul sigaro toscano - delegazione Ais Bari 25


Enozodiaco

Astroabbinamenti: a ogni

segno il suo vino

ercare tra le stelle il futuro e sperare che l’anno a venire sia più fortunato di quello che sta per concludersi. Tra Natale e Capodanno veggenti e astrologi impazzano in televisione, la stampa dedica pagine allo zodiaco ed è innegabile che l’oroscopo sia uno degli “sport” più praticati in questi giorni di festa. Anche i più scettici, in fondo, quelli insomma che non vanno tutte le mattine a vedere sui giornali o su Internet che giornata li aspetterà secondo gli astri, un’occhiata alle previsioni per l’anno nuovo la danno di sicuro. Noi vorremmo potervi dire che avrete successo sul lavoro, in amore, oltre a ricchezza, salute e felicità, ma non abbiamo la sfera di cristallo. Cercheremo però di incuriosirvi con uno zodiaco del tutto particolare. Perché ogni segno, avendo caratteristiche diverse, si comporta in modo differente di fronte a una tavola imbandita e ha un particolare rapporto con il cibo e il vino.

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ARIETE

21 marzo – 20 aprile L’Ariete ama moltissimo mangiare. Tutti i nati sotto questo segno sono infatti delle ottime forchette, tendenti a privilegiare più la quantità che la qualità. Prediligono piatti sostanziosi che riempiono prima gli occhi e poi la pancia. Allo stesso tempo, esigono rapidità nel servizio e odiano i tempi morti tra una portata e l’altra. Durante i pasti, tendono a ingoiare in fretta il cibo, quasi senza riuscire a gustarlo nel modo adeguato. La loro dieta è ricca di proteine e per questo prediligono le carni, magari accompagnate con una salsa saporita. Cibi consigliati sono senza dubbio pollame, coniglio, pesce, fagioli, formaggi e latticini in generale, carne magra preferibilmente ai ferri. Tra le verdure indichiamo lattuga, carote, carciofi, zucchine, cavolfiori, cetrioli, ravanelli, pomodori e peperoni. Come frutta invece mele, lamponi, fragole, cocco, melone e agrumi. Ai fornelli l’Ariete dimostra capacità di attenzione, scrupolosità e volontà di primeggiare e per questo risulta sicuramente un ottimo cuoco. Sangiovese di Romagna

TORO

21 aprile – 20 maggio Il Toro è un segno godereccio, dal palato fine, che ama sicuramente la buona tavola, ma che apprezza anche la bellezza e l’estetica del piatto che gli viene presentato. I nati sotto questo segno, prediligono più la qualità che la quantità e anche il modo con cui è apparecchiata la tavola e l’ambiente sono per loro importanti elementi per un pranzo o una cena perfetta. Spesso il loro piatto preferito è il dessert, che deve essere la chiusura ideale per il loro palato fine. Tendano a ingrassare facilmente e perciò non perdono mai d’occhio la linea. Alimenti consigliati sono carne bovina, sogliola, nasello, trota, riso, frutti di mare, uova e legumi. Come frutta si indicano mele, pere e ananas, mentre come verdure cavolfiori, cipolle, asparagi, cetrioli, carciofi, ravanelli, zucca, spinaci, carote e barbabietole. È da moderare invece, il consumo di cioccolata, aperitivi, fritti, carni grasse, cacciagione e insaccati. Brachetto d’Asti 26


GEMELLI

21 maggio – 21 giugno I Gemelli sono molto estrosi dal punto di vista alimentare e gastronomico e proprio per questo motivo amano sperimentare nuovi sapori e variare la loro dieta. Non disdegnano di provare le cucine esotiche e di tentare insoliti accostamenti di sapori. Ma nonostante questo amano mantenersi in forma e per questo tendono a limitare il consumo di grassi nell’alimentazione di tutti i giorni. Preferisco piatti leggeri e creativi ed evitano le abbuffate. Alimenti consigliati sono pasta, riso, carni bianche, pollo, pesce, latte magro e legumi. Ottime anche le verdure crude come carote, rucola, pomodori, radicchio, asparagi e cavolfiori. Frutta a volontà, soprattutto albicocche, ananas, pere, pesche, prugne, mango, kiwi. Sono di solito molto estrosi nel cucinare e interessati a proporre piatti sempre nuovi e ricercati. Aglianico

CANCRO

22 giugno – 22 luglio È un segno amante della cucina che tuttavia predilige generalmente piatti molto semplici, poco elaborati e allo stesso tempo genuini e sani. Sono molto esigenti e qualche volta schizzinosi innanzi a ciò che viene loro presentato a tavola. Apprezzano l’allegra compagnia di amici per i quali curano ogni minimo dettaglio: l’atmosfera, l’eleganza, i colori, l’illuminazione, la tovaglia, le stoviglie, l’abbinamento di piatti e vini, il menù raffinato. Gli alimenti consigliati sono yogurt, latte, pesce, uova, formaggio, vitello, coniglio. Verdure da privilegiare invece risultano cavoli, rape, zucchine, patate, carote, fagiolini, finocchi, zucca e funghi. Per quanto riguarda la frutta le scelte più indicate sono uva, mele, pere, agrumi e frutta secca. Tra i piatti preferiti ci sono sicuramente la pasta, il gelato e tutto ciò che è dolce. I nati sotto questo segno ai fornelli sono molto bravi: la sensibilità, il senso della misura, lo stile nelle preparazioni e la raffinatezza determinano risultati eccellenti. Vin Santo 27


Enozodiaco

LEONE

23 luglio – 22 agosto I nati sotto il segno del Leone sono dei veri e propri gourmet e amano concedersi cibi raffinati senza badare a spese. Vogliono essere coccolati a tavola con piatti molto particolari e personalizzati per soddisfare il loro difficile palato. La posizione del Leone è sicuramente a capotavola, dove può avere tutto sotto controllo e intrattenere i numerosi amici, indispensabili per le sue cene. In genere prediligono i cibi salati a quelli dolci e gradiscono porzioni moderate. I cibi consigliati per i nati sotto il segno del Leone sono cereali, carni bianche, pesce, riso, legumi, uova. Come verdure sono indicati mais, spinaci, carciofi, lattuga, cetrioli, cipolle. Tra la frutta invece mirtilli, lamponi, more, albicocche, prugne, noci, agrumi, ciliegie, fichi. Il Leone ai fornelli è spesso e volentieri un cuoco attento e scrupoloso. Barolo

VERGINE

23 agosto – 22 settembre La Vergine è un segno molto pignolo e preciso che non ama particolarmente le novità, ma preferisce la cara vecchia strada all’incertezza della novità. Questo atteggiamento un po’ chiuso si può ritrovare anche nei gusti con una predilezione per la cucina pratica e tradizionale. Non amano le sperimentazioni e le ricette elaborate e solitamente non apprezzano i piatti troppo speziati, mentre gradiscono le pietanze leggere e di facile digestione. Elemento distintivo è sicuramente l’estrema pulizia della sua cucina e la sua passione per la realizzazione di conserve e marmellate. Cibi consigliati sono frumento, avena, segale, minestroni di legumi, yogurt, carni bianche, formaggi leggeri. Tra le verdure insalata a foglie verdi, carote, patate, melanzane e rape, mentre tra la frutta gli agrumi, le albicocche, le pesche, le fragole e i kiwi. Da evitare invece, gli alimenti che fermentano facilmente nell’intestino, le bevande fredde, i salumi, il cioccolato, i piatti troppo elaborati e il caffè. Chianti

BILANCIA

23 settembre – 23 ottobre I nati sotto il segno della Bilancia, a volte risultano un po’ disinteressati al cibo e proprio per questo motivo riescono ad adattarsi senza grossi problemi alla maggior parte delle tipologie di cucina e ai vari alimenti. Possiedono però uno spiccato senso estetico e ciò che apprezzano sicuramente è una tavola imbandita a regola d’arte. Inoltre, i Bilancia, non amano le attese troppo lunghe tra una portata e l’altra che li costringa a stare troppo a tavola. Amano alternare ricette tradizionali con piatti tipici di cucine etniche ed esotiche. Cibi consigliati sono riso integrale, prosciutto, tacchino, latte e latticini, pesce, frutti di mare, formaggi freschi, yogurt. Tra le verdure asparagi, spinaci, barbabietole, carote, peperoni rossi, verdi e gialli, lattuga, ravanelli, champignon. I frutti più adatti sono mele, uva, ribes, mirtilli, fragole, fichi, noci e mandorle. Inoltre, proprio per il suo scarso interesse verso il cibo, tende a non cavarsela troppo bene ai fornelli. Amarone della Valpolicella

SCORPIONE

24 ottobre – 21 novembre I nati sotto il segno dello Scorpione amano spesso iniziare pranzi e cene con un antipasto, a base di stuzzichini e tartine. Apprezzano moltissimo i piatti a base di pesce, soprattutto se si tratta di crostacei e molluschi pregiati che assecondano la sua voglia di particolarità e raffinatezza. Quello che invece detestano è non avere la possibilità di scegliere ogni singolo piatto: anche una sola portata non gradita riesce a infastidirli e a metterli di cattivo umore. Cibi consigliati sono pesce, carne bianca, formaggi, minestrone, fagioli, latticini, polenta, yogurt, uova. Tra le verdure asparagi, cavoli, cipolle, ravanelli, peperoncini verdi, zucchine, carciofi. Come frutta preferita ricordiamo: prugne, ciliegie, fichi, noci. Lo Scorpione ai fornelli si cimenta con passione e coinvolgimento, creatività ed estro. Morellino di Scansano 28


SAGITTARIO

22 novembre – 21 dicembre Il Sagittario è un segno che dal punto di vista alimentare si accontenta facilmente, non è particolarmente esigente. Predilige i primi saporiti seguiti da un secondo più semplice e da un buon dessert. Tra tutti i segni zodiacali i nati sotto il segno del Sagittario sono quelli che amano ed apprezzano di più la cucina tipica regionale e tradizionale. Ama sedere a tavola per stare in compagnia di amici e parenti che contagia con il suo entusiasmo. Tra gli alimenti indicati segnaliamo cereali, carne equina, pesce, vitello, ceci, soia, uova, latte e yogurt. Tra la verdura porri, asparagi, cavolfiore, melanzane, pomodori, carote, mentre come frutta agrumi, uva, mirtilli, mele, pere, prugne, pesche, fichi e fragole. In cucina il Sagittario è un cuoco originale e sorprendente. Greco bianco

CAPRICORNO

22 dicembre- 20 gennaio Il Capricorno è sotto il punto di vista alimentare un segno molto particolare, capace di grandi contrasti e diversità. Sotto questo segno, infatti, si possono trovare sia dei veri e propri buongustai sia degli individui completamente disinteressati al cibo. I nati sotto il segno del Capricorno sono dei grandi intenditori e per questo amano i cibi ed i vini ricercati e pregiati. Amano la ricercatezza nella presentazione delle pietanze e apprezzano moltissimo le tavole imbandite con raffinatezza ed eleganza. Una passione ricorrente è la cioccolata in tutte le sue forme ma soprattutto fondente. I cibi consigliati sono cereali integrali, legumi, latte, yogurt, formaggi, uova, carne di agnello e prosciutto. Le verdure più adatte sono pomodori, patate, spinaci, barbabietole, zucchine, peperoni. La frutta amata dal Capricorno è molto varia e passa da mele, ciliegie, albicocche e frutti di bosco fino a melone, uva, ananas e banane. Il Capricorno è un cuoco attento, puntiglioso e rispettoso della cucina tradizionale. Brunello di Montalcino

ACQUARIO

21 gennaio – 19 febbraio È senza dubbio uno dei segni più amanti del cibo in assoluto. L’Acquario, infatti, gradisce oltre alla buona cucina anche porzioni molto abbondanti e sostanziose. Purtroppo, a questo amore per il cibo, spesso si contrappongono delle intolleranze alimentari che frenano un po’ la sua golosità. Segno fantasioso, ama applicare questa sua dote anche nella realizzazione e composizione della tavola e con un tocco di originalità propone anche degli accostamenti di sapori non troppo classici. Cibi indicati sono formaggi, latte, yogurt, carne in generale, gamberi, salmone. Tra le verdure ricordiamo spinaci, barbabietole, piselli, patate, fagiolini, carote, asparagi, carciofi, cavoli, cetrioli, lattuga, sedano e ravanelli. Per quanto riguarda la frutta fichi, fragole, mele, pere, cocco, mango, papaia, kiwi. Ama la macedonia. Si applica molto in cucina, ma non sempre i risultati sono all’altezza dell’impegno profuso. Bollicine di Franciacorta

PESCI

20 febbraio – 20 marzo Caratteristica dei nati sotto il segno dei Pesci è sicuramente la loro incorreggibile golosità e il loro bisogno continuo di mettere qualcosa sotto i denti: cibo abbondante a tutte le ore della giornata, soprattutto dolciumi. Predilige i ristoranti con un buon rapporto qualità-prezzo. Ha un grande senso dell’ospitalità e gradisce la compagnia di molti amici. Alimenti consigliati sono latte, yogurt e formaggi non fermentati, pesce, riso, ostriche, carne di manzo e di vitello, uova. Come verdure invece cetrioli, lattuga, zucca, cicoria, carote, rape. La frutta preferita dai Pesci sono albicocche, prugne, banane, ananas, noci, nocciole, mandorle. È un cuoco tradizionalista, ma si lascia anche influenzare dalle novità esotiche. Ribolla Gialla 29


Le interviste impossibili

Caterina Sforza: le mille virtù del vino e del cardo di Salvatore Giannella

INTERVISTATA NELLA NOSTRA RUBRICA LA

DI IMOLA

SIGNORA E FORLÌ,

SUPERIORE PER FAMA A OGNI DONNA

DEL SUO TEMPO, SVELA COME PRESERVARE LA BELLEZZA

E MANTENERSI GIOVANI

L Lorenzo di Credi La dama dei gelsomini particolare

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Siamo nella trecentesca Rocca di Riolo, sull’Appennino forlivese, da poco riaffiorata dalla memoria con tutta la sua imponenza architettonica: gli ultimi visitatori, curiosi dei segreti del Medioevo, stanno lasciando la Sala del Pozzo dove una voce femminile, registrata, ha appena finito di raccontare le tappe principali degli intensi 46 anni di vita di Caterina Sforza, “la signora della Romagna”. “Tra queste mura rivivo gli intrighi, le battaglie, gli affetti, gli amori e mi rivedo sovrana e savia donna di Stato; poi spietata donna d’arme; poi madre premurosa e amante appassionata; poi ancora alchimista e cultrice di estetica e scienze. Sapevo colpire, e amare… con le parole, e con la spatha… e con altri miei sortilegi. Spesso mi domando come io sia stata tutto questo insieme, tra un assedio e l’altro, dieci figli, tre mariti e mille intrighi da sbrogliare”. Nella stanza pochi oggetti: una spada e un elmo, a ricordo del valore di Caterina e dello sprezzo del pericolo con cui scese in battaglia per la difesa delle sue terre; un bauletto contenente carte sparse per ricordare il suo amore per la cultura; un monile e uno specchio, appoggiati sul tavolo, a sottolineare il suo amore per la bellezza e la cura del corpo femminile. Sul muro la copia di un ritratto di lei, fatto da Lorenzo di Credi, oggi nella Pinacoteca di Forlì: appare fiera e solenne, con un gesto leggero ed elegante sembra sfiorare il profumo dei gelsomini. Quel profumo forte e intenso mi raggiunge alle spalle e mi porta a staccarmi dal gruppo e a tornare nella Sala del Pozzo. Una figura femminile dai profili eleganti e fieri mi dà le spalle. E’ soltanto attraverso lo specchio che tiene alto nella mano destra che riconosco il volto di Caterina. Mente larga di paesaggi, due punti di fuga negli occhi: uno al passato e uno al futuro in un equilibrio di presente che la rende silenziosamente in ascolto del suo tempo. Le mani leggere ed eleganti controllano che la collana appoggiata al lungo collo e alle spalle morbide sia ben in sintonia con la sua persona. Giannella Donna Caterina, sono ammirato e sorpreso di essere entrato nella dimensione privata della sua vita, ma quel profumo di gelsomini, il suo volto nello specchio e ora la sua elegante fierezza sono ossigeno per la mia curiosità. Posso chiederle un’intervista? Caterina Sforza Va bene. Accetto di risponderle, ma a una condizione: che lei non mi faccia domande sulla mia vita privata. E’ stata molto complicata, anche se non rinnego nessuna delle scelte che ho fatto. Negli ultimi tempi voi cronisti avete smesso di consumare le suole delle scarpe per privilegiare altre inchieste più facili: per esempio, quelle sugli affari di cuore dei soliti noti. Con le sfide epocali che il pianeta deve affrontare, la crisi alimentare, le migra-


Curiosità A proposito del più famoso quadro di Leonardo da Vinci, "La Gioconda", una recente ipotesi, avanzata dalla studiosa tedesca Magdalena Soest e presa in considerazione anche dagli esperti del Museo di San Pietroburgo, in Russia, si basa sulla scoperta di un fatto nuovo: la sovrapponibilità dei lineamenti del volto di Monna Lisa con quelli della dama in questo ritratto di Caterina Sforza di Lorenzo di Credi. A questo punto, risulterebbe che il personaggio storico che ha ispirato Leonardo altri non sarebbe che Caterina Sforza.

L Il ritratto di Caterina Sforza dal titolo La dama dei gelsomini di Lorenzo di Credi, conservato nella Pinacoteca Civica di Forlì

L La Rocca di Riolo

zioni di massa, l’energia, l’effetto serra, la finanza creativa che sta mettendo in ginocchio l’economia, mi aspetto dalla lettura dei giornali di capire le varie strategie con cui si muovono i potenti di tutta la Terra e invece... Giannella E invece? Caterina Invece legga qua, questa è la mazzetta dei giornali che ho trovato oggi sul tavolo dei miei bravi amici della Cooperativa Atlantide. C’è da perdere la testa, meno male che trovo un riepilogo efficace sulla Stampa di Torino. Dunque: Rachida Dati, ministra della Giustizia del governo di Nicholas Sarkò (quello diventato famoso per aver divorziato dalla prima moglie Cecilià e sposata l’italiana Carlà) è incinta di un uomo misterioso che qualcuno sostiene possa essere addirittura Aznar, l’ex premier spagnolo la cui figlia ha sposato il banchiere Agag, amico di Flavio Briatore, il quale si è unito in matrimonio con Elisabetta Gregoraci, cui qualcuno vede una inesistente pancetta (ben più consistente è quella di lui, che sia lui a essere rimasto incinto?) ma ha litigato con Daniela Santanchè che, causando una brutta crisi nel suo partito, flirta politicamente con Berlusconi, accusato da Sabina Guzzanti di aver flirtato non solo politicamente con una delle sue ministre, peraltro apparse su diverse copertine nell’atto di baciare con passione i loro fidanzati: giovani e tosti, ma mai quanto l’esquismese che ha messo incinta la figlia diciassettenne della vice di McCain, Sarah Palin, di cui si sussurra che abbia, o abbia avuto, un amante che forse è Aznar, o Sarkò, o un Briatore dei ghiacci alla guida di una Renna(ult), o magari lo stesso McCain, che però potrebbe anche vivere una intensa e travagliata love story con Barack Obama e anzi sta già circolando la voce su Internet che i due antagonisti abbiano avuto un figlio in provetta, Michael Jackson, che per questo avrebbe problemi di pelle... Insomma, roba da perdere la testa, non le pare? 31


Le interviste impossibili

Giannella Capisco, e condivido in parte la sua critica anche se mi sembra troppo severa. In fondo, nelle piazze d’Italia si parla di cose serie ma si accenna anche a cose futili. Comunque la sua tirata d’orecchi non mi riguarda. Come cronista non mi ha mai solleticato la voglia di superare la soglia delle camere da letto altrui. Quindi prometto: niente domande sulla vita privata. Anche se.... Caterina (sospettosa) Anche se cosa? Giannella Anche se, donna Caterina, una grande curiosità l’avevo e continuo ad averla su quel versante intimo. Caterina Quale curiosità? Mi incuriosisce a mia volta. Giannella Ho letto in una sua biografia che Cesare Borgia, il terribile Valentino, dopo aver assediato per giorni il suo castello, quando riuscì a catturarla, si rinchiuse con lei in una stanza per 15 giorni. Nessuno fino a oggi sa che cosa successe tra voi due... Caterina Lasciamo il mistero su quella pagina della mia vita. E’ così bello, in un mondo che sa tutto di tutti e con tutti che si mettono in mostra, avere ancora sparso qua e là qualche angolo discreto. Comunque a proposito di quell’episodio del Valentino, mi piace ricordarle che quando uscimmo da quel castello e fui portata a Roma come prigioniera, cavalcai a fianco del vincitore vestita come una regina. A buon intenditor...

L Il Cardo Mariano, fiore dalle innumerevoli virtù curative

Giannella Anche nella disgrazia si confermò come la prima donna d’Italia del suo tempo. O, per dirla con le cronache rinascimentali, come “quella tigre di la madonna di Forlì che avea tanto spaventata la Romagna”. Combattiva e soprattutto molto bella. Pare che lei avesse superato per fama e fascino ogni altra donna del suo tempo. A 36 anni, età in cui le sue contemporanee erano già considerate vecchie, lei conservava intatta la freschezza dell’adolescenza con la folgorante bellezza. Mi può confidare qualcuno dei suoi segreti? Caterina Vada alla Biblioteca di Forlì e si procuri il mio volume. Ha per titolo Experimenti de la Exellentissima Signora Caterina da Furlj e l’ho redatto nel corso di vent'anni tra un assedio e l'altro. In esso sono contenute 454 ricette e diete alimentari di ogni tipo delle quali 358 riguardano la medicina, 30 la chimica e 66 la cosmesi, fino ai rossetti per le guance. Li ho sperimentati personalmente in un laboratorio alchemico. Giannella Per aiutare i nostri lettori, mi sintetizzi un paio di consigli utili per le donne d’oggi. Caterina Beh, vista la natura della sua testata, le direi: il vino e il Silybum marianum. Giannella Il Silybum che? Che cosa nasconde questo nome scientifico? Caterina La pianta del cardo. Le sue prime origini sono state trovate in Etiopia e in Egitto, poi dall’Africa settentrionale si è diffuso in tutto il bacino mediterraneo. Inizialmente fu usato dalle puerpere europee per aumentare il loro latte materno. Le chiazze bianche sulle foglie simboleggiano le gocce del latte della Madonna cadute mentre allattava il Bambin Gesù. Da qui il nome di cardo mariano. Sono sorpresa dal fatto che dai moderni sia stata trascurata la forza terapeutica di questa pianta. Chi mangia il cardo guarisce tutti i mali di testa, cura l’udito, aguzza la memoria, guarisce dalle vertigini, cura il cervello e la vista, libera la milza, elimina il catarro e migliora le membra deboli dei paralitici. L’infuso di cardo, con vino rosso, guarisce ogni dolore del corpo ed espelle ogni impurità. Il distillato di cardo, bevuto la mattina digiuno, elimina i cattivi umori e conserva i buoni. Bere un decotto di cardo con vino bianco e coprirsi con panni caldi, guarisce ogni febbre. Bere la polvere di cardo con brodo o vino bianco caldo purifica la gola e lo stomaco, elimina il cattivo sangue e genera il buono, poi allarga il petto e aguzza l’appetito. La polvere fa dormire, tiene il cuore allegro e poi mitiga il mestruo alle donne. Infine, masticando la radice del cardo, fa bene alle gengive et boni denti.

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UNA VITA AVVENTUROSA 1462: Caterina nasce figlia illegittima di Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, e di Lucrezia Landriani, moglie del gentiluomo di corte Gian Piero Landriani. 1473: a poco più di 10 anni va in sposa a Girolamo Riario, nipote del Papa Sisto IV. Il matrimonio viene consumato solo dopo il compimento del tredicesimo anno della sposa. 1477: Sisto IV procura a Girolamo prima la signoria di Imola e poi, 1480, quella di Forlì. 1484: la morte di Sisto IV segna una svolta nella vita, fin ad allora in discesa, dei coniugi Riario. 1488: Girolamo viene ucciso il 14 aprile dopo l’ennesima congiura capeggiata dalla famiglia forlivese degli Orsi, Caterina e i figli fatti prigionieri. Qui alcuni biografi pongono un episodio da leggenda: Caterina, stando sulle mura della Rocca, avrebbe risposto a chi minacciava di ucciderle i figli se non si fosse arresa: “Fatelo, se volete”, e, sollevandosi le gonne e mostrando con la mano il suo sesso: “Ho con me lo strumento per farne degli altri”. Gli Orsi non osarono toccare i giovani Riario. Il 30 aprile Caterina recupera il governo sia di Forlì sia di Imola anche grazie all’appoggio dello zio Ludovico il Moro, interessato a garantirsi un’influenza in Romagna. Si sposerà altre due volte: con Giacomo Feo (anche lui ucciso, 1495) e Giovanni de’ Medici, giunto alla sua corte come ambasciatore della Repubblica di Firenze (muore poco dopo, nel 1498). 1497: entra in corrispondenza con Girolamo Savonarola, al quale chiede consigli spirituali. 1500: viene fatta prigioniera da Cesare Borgia e portata a Roma, nella fortezza di Castel Sant’Angelo. 1501: viene liberata. Ma Papa Alessandro VI pretende la firma ai documenti per la rinuncia dei suoi Stati. Si trasferisce a Firenze. Perduta ogni possibilità di ripristinare il suo antico potere, trascorre gli ultimi anni della sua vita dedicandosi ai suoi figli, in particolare a Ludovico poi ribattezzato Giovanni dalle Bande Nere (il più piccolo, avuto da Giovanni de’ Medici), ai suoi nipoti, al libro dei suoi “experimenti”. 1509: una polmonite la porta alla morte il 28 maggio.

Giannella Come è arrivata a scoprire le molte virtù del cardo? Caterina Nella mia vita mi sono sempre circondata dei migliori medici e l’attenzione alla ricerca mi ha confermato la bontà delle intuizioni di questi scienziati che mi onoravano della loro amicizia. Sono stati loro a indicarmi le proprietà epatoprotettive di questa pianta, in grado di migliorare la funzionalità delle cellule del fegato, abbassare i trigliceridi e il colesterolo. Funziona anche da tonico e rigenerante del fegato nelle malattie epatiche dovute ad alcool, a consumo di droghe, a veleni ambientali. Giannella Insomma un’arma essenziale per il benessere femminile e anche dell’uomo. Caterina Più per la donna. Vede, il cardo contiene una gran quantità di fitoestrogeni, detti flavonolignani, che regolano la produzione ormonale femminile, il cui equilibrio è fondamentale per il benessere generale della donna.

L La Rocca di Riolo

Giannella Adesso che ci penso, di questi flavonolignani ho sentito parlare il giorno in cui un mio amico era stato ricoverato con urgenza per intossicazione da funghi. Caterina Esatto. Un trattamento endovenoso con un derivato solubile dei flavonolignani è oggi un importante fattore salvavita nella terapia standard di casi di avvelenamento da Amanita phalloides. Mi fermo qui, ribadendole la mia totale fiducia nelle qualità del cardo amico del fegato. Con tutto quello che il fegato deve filtrare tutti i giorni, non è una sorpresa che possa essere a volte sovraccaricato. Il cardo mariano può aiutare a ringiovanirlo e anche a proteggerlo dai danni futuri. Chiunque abbia avuto epatiti, cirrosi o altre condizioni del fegato dovrebbe aggiungere il cardo come integratore. In effetti, non farebbe male se tutti lo prendessero abitualmente come erba tonica. Giannella Mettiamo da parte il cardo, le cui azioni nella Borsa saliranno come non mai dopo queste sue rivelazioni. Passiamo ai vini. Ha saputo che nella città romagnola da cui ha preso origine la vostra dinastia, l’antica Cotoniola e odierna Cotignola, hanno presentato cinque vini inneggianti alla sua dinastia? Caterina No, questa mi è sfuggita. Ah, Cotoniola: quanti ricordi mi fa affiorare! Anno 1411, momento storico determinante per la mia famiglia. Papa Gregorio XII cedette, per i servizi svolti, quella contea ravennate al capitano di ventura Giacomuzzo Attendolo, detto Muzio, mentre il soprannome di 33


Le interviste impossibili

"Sforza" successivamente sostituirà il cognome e come tale sarà tramandato agli eredi. Nel 1450 il primogenito di Muzio, Francesco Sforza, capitano di ventura come il padre, diede inizio al governo della dinastia Sforzesca nel ducato di Milano. Dodici anni dopo nasco io a Milano. Ma torniamo a Cotignola, mi fa piacere che quella città voglia recuperare le proprie origini e tradizioni utilizzando lo "stile Sforza": intraprendenza, determinazione, passione ed equilibrio, è il poker vincente per un nuovo rinascimento non solo della Romagna . Mi diceva dei vini dedicati a noi... L I vini dedicati alla dinastia degli Sforza

L La Sala del Pozzo nella trecentesca Rocca di Riolo

Giannella Confermo. Uno porta il nome di Muzio Attendolo, altri di Francesco e Ludovico Sforza, un quarto è dedicato all’intera dinastia, la Gensforza, e un quinto porta proprio il suo nome, donna Caterina. Caterina Sforza Oh bella, e com’è? L’ha assaggiato? Giannella Io non ancora, ma me lo ha descritto uno specialista di scienza agroalimentare, Pier Luigi Nanni. Il vino, che si ottiene in purezza dal Trebbiano di Romagna, si presenta giallo paglierino con nette sfumature dorate, brillante e vivo; marcati profumi floreali e fruttati, intensi e persistenti, fine; secco e delicata freschezza unita alla piacevole sapidità, sentori di frutta bianca matura e fiori campestri appassiti, nota finale di sottile aromaticità, ottima struttura e gradevole retrogusto di amarognolo appena accennato, raffinato. Si sposa con antipasti di pesce, uova e primi piatti come i cappelletti in brodo e i tortelli con ricotta e spinaci, mentre con carni bianche è unico! Stappare al momento e servire a 8-10 gradi in stretti e luminosi calici. Caterina Chiederò alla mia amica sindachessa di Riolo, Emma Ponzi, quella che mi ha riconsegnata questa casa-rocca, di lasciare nella Sala del Pozzo qualche bicchiere di questo vino. Sa, il vino è una garanzia per l’estetica femminile. Una bella donna, che sia gelida e impacciata, distante e distaccata, non può essere esteticamente attraente. Il vino serve a vivificare l’aspetto, a far decollare lo spirito (e quindi tutto il comportamento), fa crescere la socialità, la fiducia, la maggiore confidenza con gli altri. Anche le donne più scostanti diventano allora più accostanti e quindi, per chi le osservi in totalità, esteticamente più belle. Una delle più belle donne del Seicento francese, Ninon de Lenclos, che a 80 anni non aveva ancora una ruga e veniva richiesta in sposa dal giovane abate Grécy pronto a lasciare per lei la tonaca, richiesta del segreto della sua bellezza perenne, disse semplicemente: “Non mi sono mai addolorata per le avversità della vita, ho dato al sonno le ore dovutegli e, soprattutto, mi sono sempre rallegrata con qualche buon bicchiere di vino”. E uno scrittore di cui le avrà parlato il suo maestro e amico Enzo Biagi, Paolo Monelli, ha scritto che, sul piano estetico, con il vino “si dilegua la nebbia degli anni dal volto delle donne che ci stanno vicine, gli uomini ci sembrano tutti leali e le donne tutte amorose. Il passato torna presente e l’avvenire appare colmo di piacevoli avventure”. Tutto diventa poesia, affrancamento dalla ragione e dalla realtà quotidiana. Giannella Vediamo sempre più Caterina in ogni donna a noi vicina, grazie al vino che diventa un filtro magico... Caterina Esatto. Senta ancora Monelli: “Più beveva, più le si lisciava la pelle e gli occhi le splendevano e le si rassodava il corpo, come uscisse dalla fontana di giovinezza. Ottimismo e amore del prossimo nati dal vino”. E io aggiungerei: nascono anche la fedeltà alle nostre passioni, ai nostri interessi, ai nostri progetti. Ancora oggi continuo a scrivere per aggiornare il libro di ricette di cui le parlavo. Ecco perché lei ha sentito il profumo dei gelsomini. E’ dalle qualità di questo fiore che adesso la mia mente è presa”. Giannella Capisco, e la lascio alle sue ricerche. Tornerò per aggiornarmi. Arrivederci.

Le precedenti Interviste impossibili di Salvatore Giannella sono state dedicate a Garibaldi, Mozart, Leonardo da Vinci, Cavour e Fellini 34


Nuove associazioni

Fare quadrato intorno al

terroir di Cesare Pillon

LA FEDERAZIONE ITALIANA VIGNAIOLI INDIPENDENTI

HA LE IDEE CHIARE: EVITARE CHE IL VINO PERDA LA PROPRIA

IDENTITÀ,

SEMPRE LEGATA

AL LUOGO D’ORIGINE

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el clima distratto dell’estate, sia pure di un’estate bizzarra come quella del 2008, non sono stati in molti a rendersi conto che la fondazione della Fivi, Federazione italiana vignaioli indipendenti, decisa il 29 luglio scorso nella prestigiosa cornice della reggia di Colorno dai rappresentanti di oltre 400 aziende vitivinicole, è stata a suo modo un evento storico. Eppure l’importanza del nuovo sodalizio non è difficile da intuire: è la prima volta che a unirsi non sono gli industriali o i commercianti di vino ma i produttori autentici, quelli che coltivano il proprio vigneto e invece di vendere le uve ai mediatori o di conferirle alla cantina sociale le vinificano in proprio, dirigendo di persona il processo produttivo in tutte le sue fasi, dall’impianto delle viti alla commercializzazione delle bottiglie. Come mai questi vitivinicoltori, che sarebbero dovuti essere i primi, sono arrivati buoni ultimi a raggrupparsi su scala nazionale? Come mai hanno dimostrato solo adesso di rendersi conto che l’unione fa la forza? Il ritardo ha motivazioni di natura sociologica: mentre chi opera nell’industria e nel commercio è partecipe di una civiltà urbana nella quale non s’è trovato finora modo migliore, per difendere gli interessi di categoria, che costituire associazioni sindacali, gruppi di pressione, lobbies, i vignaioli fanno parte inve-

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ce del mondo contadino, e gli agricoltori, che vivono sparpagliati nelle campagne, sono tradizionalmente spinti da quella stessa condizione all’individualismo. Quelli italiani, poi, sono individualisti in misura più accentuata non soltanto perché vivono in un paese diviso da sempre tra Guelfi e Ghibellini, ma anche per eccesso numerico di concorrenza: i 700 mila ettari di vigneto della penisola appartengono a più di 800 mila proprietari, con una proprietà media inferiore a un ettaro pro-capite, una polverizzazione che non esiste in nessun altro Paese del mondo. E’ vero che poi a imbottigliare sono soltanto (si fa per dire) 25 mila aziende, ma anche in questo caso la stragrande maggioranza delle imprese è di minima dimensione. E il tasso di litigiosità è altissimo, quando si è in troppi a dividere la stessa torta. Ma i piccoli vignaioli riunitisi a Colorno sembrano aver superato la fase infantile delle rivalità, tant’è vero che hanno eletto il loro presidente all’unanimità. E’ stato un plebiscito, il loro, anche perché il candidato prescelto è una figura davvero esemplare e carismatica, quella di Costantino Charrère, un vigneron valdostano cui è riuscita un’impresa che ha del miracoloso: ha messo insieme, nella sua regione di montagna dove le proprietà agricole sono al limite minimo di dimensione, 25 ettari di vigneto, e con la produzione che questi gli consentono, 220-230 mila bottiglie all’anno, ha ottenuto una massa critica sufficiente per poter puntare sull’esportazione, cosicché è il solo che sia riuscito finora a far conoscere i vini valdostani non solo agli intenditori italiani ma a quelli di tutto il mondo. Se, con la dinamica presidenza di Charrère, la Fivi riuscirà a rappresentare davvero i vignaioli-imbottigliatori, che costituiscono il cuore della produzione vinicola italiana, essa diventerà un punto di riferimento di straordinaria importanza, perché l’unico in grado di esprimere le esigenza di tutta la filiera produttiva e non di una parte soltanto. E come espressione di questa sintesi sarà il più naturale interlocutore del parlamento e del governo per tutte le decisioni che riguardano l’attività vitivinicola. L’esempio a cui ispirarsi, del resto, esiste già: in Francia l’associazione Vignerons Indépendants, che raccoglie più di 10 mila soci e rappresenta il 55 per cento della superficie vitata, è riconosciuta dallo stato e le sue prese di posizione hanno un peso rilevante nella politica agricola del paese. Proprio dai vignerons francesi, con cui i vignaioli italiani hanno avuto un importante incontro a Montpellier nella primavera del 2007, è venuto l’impulso che ha portato alla creazione dell’associazione italiana, nata perciò senza chiusure provincialistiche, guardando con attenzione anche al di là delle frontiere. “Uno dei nostri primi obiettivi”, spiega infatti Charrère, “è quello di entrare a far parte della Confédération Européenne des Vignerons Indepéndants, in modo da creare un’importante rete di piccoli e medi produttori su scala continentale: una rete che riesca a incidere positivamente sulle politiche di settore. Il recepimento a livello nazionale della nuova Ocm è il primo tema su cui ci stiamo attivando”. Ma qual è l’ideale intorno a cui si sono raccolti i vignaioli indipendenti? Eccolo: bisogna scongiurare il pericolo che il vino, seguendo una deriva che coinvolge molta parte della società italiana, si globalizzi, si omologhi, perda la propria identità e riconoscibilità, che è indissolubilmente legata al luogo d’origine. E’ un’autentica rivoluzione culturale, perciò, quella che Charrère intende attuare partendo dalla valorizzazione del territorio. “Ci batteremo a fondo”, annuncia, “perché parole come terroir e vigne37


Nuove associazioni ron non siano usate a sproposito anche da coloro che si fanno belli con concetti come questi, senza praticarli nella realtà quotidiana”. Non possono ovviamente essere membri della Fivi commercianti e cantine sociali. Lo vieta uno statuto di rigore calvinista anche nel selezionare gli aderenti, ed è questa una manifestazione di serietà che non ha molti precedenti: di solito le associazioni, almeno nella fase iniziale, non vanno tanto per il sottile nel cercare proseliti che ingrossino le loro file. Ma è stata probabilmente proprio questa volontà di costruire un organismo dall’identità ben definita che ha convinto i vignaioli davvero indipendenti, anche quelli di gran nome, ad aderire al sodalizio sia prima sia dopo la fondazione. “Siamo già arrivati a circa 600 adesioni”, dice Charrère. Il boom delle iscrizioni è stato favorito dalla natura federativa assunta dall’organismo: i soci fondatori non sono stati infatti dei produttori in ordine sparso, ma intere associazioni, importanti su scala locale, che sentivano l’esigenza di un raggruppamento a livello nazionale. “Parecchie associazioni infatti sono entrate in massa”, conferma Charrère, “come quelle dei vignaioli dell’Alto Adige, del Trentino e della Valle d’Aosta. Poi abbiamo avuto importanti adesioni nelle regioni strategiche dell’enologia italiana: in Piemonte i moscatisti e Langa In, in Toscana i Grandi Cru della costa, nel Veneto molti esponenti di primo piano. Abbiamo voluto nelle nostre file le aziende biologiche e biodinamiche perché siamo coscienti che non ci sarà futuro se non si praticherà un’agricoltura sostenibile, ma anche in questa settore c’è molta confusione: dovremo muoverci perciò con rigore, facendo molta attenzione”. Il timore è che il bio diventi sempre più un fenomeno di moda, con regole troppo vaghe, verificate da controllori autoreferenziati. Su questo tema chi ha le idee più nette è uno dei due vicepresidenti della Fivi, Saverio Petrilli, enologo della tenuta di Valgiano, sulle colline lucchesi: “L’approccio biologico”, sostiene, “si risolve, salvo poche eccezioni, nell’evitare azioni negative e nell’utilizzare sostanze diverse (spesso più care) in sostituzione di quelle chimiche. Ma il metodo di agricoltura è sostanzialmente lo stesso di quello convenzionale, basato sulle due stesse malefiche regole: 1) credere che ciò che si porta via dal campo vada riportato; 2) nutrire le piante per terra dalle radici invece di lasciare che si nutrano con le foglie nel cielo da energia solare e anidride carbonica”. 38


L’agricoltura biodinamica, nella concezione di Petrilli, consiste invece in un approccio totalmente libero che mette in grado il viticoltore di dare un impulso dinamico ai processi naturali, consentendogli di produrre salute invece di combattere malattie. “E’ un’autentica rivoluzione”, sostiene, “con la quale ci si può affrancare dalle dipendenze economiche e tecniche a cui costringe l’agricoltura tradizionale: la sudditanza alle Università, detentrici del sapere, allo stato, che elargisce le sue elemosine, alle industrie chimiche, che controllano i mezzi di produzione, alle aziende di distribuzione, che decidono i prezzi e impongono i loro concetti di qualità”. Non sarà facile coordinare le varie anime dei Vignaioli Indipendenti, e Charrère lo sa bene. “Ma ho la fortuna”, dice, “di poter contare su un consiglio direttivo molto attivo, che ha al suo interno personalità di grande carisma e capacità”. Il direttivo è di 15 membri, ma forse il fatto più importante è che le tre principali correnti di soci fondatori che si sono fuse nella Federazione si riconoscano nelle figure del presidente e dei due vicepresidenti: Charrère è ovviamente espressione dei vignaioli valdostani, Petrilli oltre a essere protagonista del movimento biodinamico fa parte dell’associazione dei Grandi Cru della Costa Toscana, mentre l’altro vicepresidente, Peter Dipoli, è l’anima dei Vignaioli Altoatesini. Molto dipenderà dal modo in cui la Fivi verrà gestita, ma su questo terreno Charrére ha idee molto precise. Poche e semplici le linee guida a cui intende ispirarsi: bisogna mirare alto, spiega, superando le meschine politiche di campanile, ma tenendo i piedi per terra: il territorio, per esempio, non si valorizza con dichiarazioni di principio, ma con misure concrete, come l’imbottigliamento nella zona d’origine. “Una cosa è certa”, assicura: “i Vignaioli Indipendenti non indirizzeranno mai la loro azione “contro”, ma “per”, opereranno cioè sempre in modo propositivo. C’è un esempio recente che dimostra come questa sia una linea di condotta straordinariamente efficace. Adottandola, il Cervim (Centro di ricerca della viticoltura di montagna), un ente in cui sono impegnato da anni, è arrivato a rappresentare il 5 per cento della produzione europea e ha ottenuto che nelle zone più impervie, quelle sopra i 500 metri o con pendenze superiori al 30 per cento, dove la presenza della vite protegge il territorio dal degrado, non venga imposta né autorizzata quell’estirpazione di una parte dei vigneti che è stata programmata da Bruxelles”. 39


Degustazioni

La

Ribolla gialla,

un vino attuale che viene dal passato

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A cura dell’Ais Friuli Venezia Giulia

e chiedete ai vignaioli del Collio e dei Colli Orientali del Friuli qual è il vino che amano di più e in cui si identificano meglio, a parte naturalmente il “perseguitato” Tocai Friulano, vi sentirete rispondere in coro: “la Ribolla”. Un’uva prima e un vino poi che è parte integrante della storia enologica di questo lembo di terra collinare a nord-est. E’ presente sulle tavole del Friuli Venezia Giulia da almeno settecento anni. Particolarmente apprezzata era la Ribolla dei colli di Rosazzo. Un documento, citato anche dal professor Perusini nelle sue “Note di viticoltura collinare”, riporta che il comune di Udine usava offrire ai luogotenenti al loro ingresso in città proprio la Ribolla di Rosazzo. Sempre il Perusini rintracciò un documento di compravendita di Ribolla gialla registrata in un atto notarile del 1299 e di cui fa ampia menzione il Filiputti nel suo splendido “Il Friuli Venezia Giulia e i sui grandi Vini”. Da dove provenga questo vitigno non è dato sapere con certezza. Tuttavia si presume sia la Rebula delle isole Ionie e della Dalmazia che i veneziani diffusero nell’entroterra nel Medioevo. Una fantasiosa, ma non impossibile, ipotesi indica che si tratta dell’antica Avola portata fin qui dai romani. Molte le varianti di questa vite (accertate o possibili) ma sicuramente oltre alla già citata Ribolla di Rosazzo, vanno segnalate alcune come: il Ribuelàt (Ribolla bianca imperiale prodotta un tempo nella zona di Premariacco), la Ràbola e la Ribolla di Castel Dobra. Quest’ultima è prodotta nel Brda (Collio sloveno) e con ottimi risultati soprattutto a Medana, Cerò, Visnavicco e altri paesi sloveni. In questi territori viene molto coltivata anche la Ribolla Verde che è un altro biotipo. Come tutte le cose naturalmente anche la Ribolla ebbe, dopo i fasti medioevali, un lungo periodo di torpore. In verità, il diffondersi di molte varianti, non sempre ben selezionate, aveva reso nei secoli questo vitigno poco adatto alla realizzazione di vini di qualità. Nonostante tutto però la Ribolla era così diffusa da essere, fino allo scoppio della grande guerra, la base della viticoltura del Collio. La Ribolla gialla è un vitigno a bacca bianca dalla buona vigoria e dalla produzione piuttosto costante. Ama le zone collinari soleggiate e ben ventilate poiché nelle annate piovose è soggetto a marciume. E’, però, piuttosto resistente alle patologie. La germogliazione è tardiva. Foglia di media grandezza, leggermente trilobata e tondeggiante, glabra. Il grappolo è medio, compatto, cilindrico-conico. L’acino è medio, a maturazione completa è giallo dorato, puntinato e pruinoso. La buccia è sottile, poco resistente. Il sapore è dolce ma leggermente astringente e acidulo. La vinificazione in purezza dà origine ad un vino dal colore giallo paglierino dalle nuances verdoline, secco e fresco al palato, dai profumi intensi ed eleganti. Il tenore alcolico è medio così come il corpo. Tradizionalmente è anche vinificata assieme agli altri due mostri sacri dell’enologia regionale: il Friulano e la Malvasia istriana e

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questo origina vini corposi, sapidi ed equilibrati, dall’olfatto complesso ed elegante, piuttosto longevi. Negli ultimi anni, questo vitigno, si è dimostrato particolarmente versatile e adatto alle più diverse espressioni vitivinicole. Le sue caratteristiche naturali che esaltano la freschezza e i profumi floreali hanno indotto la Collavini in Corno di Rosazzo a produrre, con grande successo, una versione spumante. E’ un sistema ad autoclave che prevede la maturazione sulle fecce per ben 24 mesi. Interessanti espressioni di spumanti a base Ribolla anche nel Brda. Prodotti particolarmente adatti alle aperture dei pranzi, ai molluschi, ai crostacei. Sistemi tradizionali di vinificazione sono invece adottati dai produttori quali, tra gli altri, Volpe Pasini in Torreano, Tenuta Villanova in Farra d’Isonzo, Ronco dei

L I vigneti del Collio

Tassi in Cormons, Fiegl di Oslavia. Qui osserviamo tra le massime espressioni di vini corposi ma freschi, quasi beverini, dal buon equilibrio e dai profumi di grande eleganza. Dalla cucina un occhio particolare ai piatti di pesce, alla minestre, alle carni bianche. Infine le espressioni più estreme della Ribolla gialla. Gravner e Radikon in Oslavia, Podversic in Gorizia, Terpin di San Floriano. Rese per ceppo bassissime, lunghe macerazioni sulle bucce nei tini aperti, l’oblio degli anni nelle grandi botti, nelle barrique se non, è il caso di Josko Gravner, nelle anfore interrate. Toni ambrati nel colore, profumi penetranti e complessi, aromi pieni e interminabili in bocca. Vini adatti a preparazioni gustose e non banali come involtini di pesce spada e peperoni, sarde in saor, scaloppa di foie grais. Il vitigno più amato dagli uomini delle vigne, dicevamo

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Degustazioni

all’inizio, tanto da essere oggetto di vini personalizzati, molto diversi tra loro, creativi, sicuramente straordinari. Viene spontaneo pensare che questo vino è proprio il figlio prediletto di questi territori e di questa gente. Territori dai microclimi variegati, quanto di meglio la natura può offrire. Gente dalle culture e dalle parlate diverse: slavo e friulano, che hanno superato guerre, divisioni politiche ed ideologiche, avversità di ogni genere, ma che hanno nel lavoro in vigna e in questi luoghi

il loro filo d’unione. Parlare di vino dunque ci porta dritto, come sempre, dentro la storia e la cultura di un popolo. Queste brevi note su un vino come la Ribolla Gialla forse servono proprio a questo. Ma vorremmo servissero a spingere, chi le legge, a venire su queste colline, a parlare con i vignaioli, a sentire i profumi che, nel loro susseguirsi, le stagioni offrono. Chi lo vorrà fare si accorgerà di essere in un luogo dove la gente e i suoi vini sono davvero unici. Renato Paglia, Presidente Ais FVG

I numeri dell’Ais in Friuli Venezia Giulia Il Friuli Venezia Giulia è una piccola regione posta nell’estremo lembo a Nord Est della penisola italiana. Sviluppa un territorio variegato e quasi egualmente distribuito tra amene colline, verdeggianti pianure e innevate montagne. Un “piccolo compendio dell’universo”, come lo definì Ippolito Nievo, che occupa poco più di 7.800 chilometri quadrati. In poche decine di minuti si va dai nevai eterni del Monte Canin alle lagune di Grado e Marano e allo splendido golfo triestino. Un percorso automobilistico che attraversa città d’arte e di cultura come Trieste, Gorizia, Udine, e città ordinate e laboriose come Pordenone. Intorno a queste città una serie infinita di piccoli o grandi borghi, spesso intrisi di scorci storici e paesaggistici di rara bellezza. Poco più di un milione e duecentomila abitanti vivono in queste territori e la loro caratteristica è la diversità. Culture celtiche, italiche, venete, slave e germaniche, si mescolano e si integrano unitamente alle differenti parlate.

L Renato Paglia e i delegati Ais FVG

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Questa “operosa babele” è ancora oggi simbolo di civiltà ed integrazione tra culture diverse. Non a caso, quando il mondo era diviso in due freddi blocchi, questa regione era considerata il confine più aperto ad oriente. Una regione che per volontà e capacità lavorative dei suoi abitanti ha, da sempre, visto i suoi territori ricoperti di prosperose coltivazioni. Tra le prime è sicuramente la vite. La sua introduzione in regione si deve agli Aneti, un popolo che molti secoli prima di Cristo occuparono questa terra. Era un popolo dedito all’agricoltura e che importò la vite dalla Grecia. Da allora, sino ai giorni nostri, la vite ed il vino hanno rappresentato in Friuli Venezia Giulia continuità e un legame indissolubile. E’ in questo contesto che nel novembre del 1970 nacque in regione la Sezione dell’Associazione italiana sommeliers grazie ad un piccolo gruppo di appassionati, di cui non voglio citare i nomi, solo per paura di

scordarne qualcuno. Da subito, questa novità, riscosse un enorme successo tanto da essere considerata per moltissimo tempo l’unica paladina del buon bere e del buon mangiare. Allora sorgevano proprio in regione le prime proposte gastronomiche di alta qualità e il sommelier era lì, pronto al loro fianco. Oggi l’Associazione conta circa millequattrocento soci, suddivisi in quattro delegazioni provinciali: Gorizia, Pordenone, Trieste e Udine più due che interessano il territori montani e litoranei, l’Alto Friuli e il Basso Friuli. Sei delegazioni attive, che occupano un posto rilevante nel mondo variegato del vino e della ristorazione. Il lavoro capillare e ben organizzato sul territorio regionale, permette una ricca proposta di attività tra cui degustazioni, incontri culturali, seminari, ecc. (www.aisfvg.it) rivolte, non solo ai soci, ma anche e soprattutto a chi vuole avvicinarsi al nostro mondo, anche dalle vicine realtà slovene, croate e carinziane. Molte le energie che i delegati Ais e tutto il Consiglio regionale dedicano alla promozione dei corsi. I risultati, gratificanti, si concretizzano in una capillare diffusione degli stessi corsi. Tra ottobre 2008 e gennaio 2009 in Friuli Venezia Giulia sono programmati ben sette primi livelli del corso professionale. Un lavoro dunque che richiede impegno, costanza e serietà, ma che procura grandi soddisfazioni. Un grande lavoro di gruppo quindi, che rende orgogliosi e rafforza lo spirito di appartenenza a questa grande famiglia dell’Ais.


Ascevi Luwa Ribolla Gialla Ronco de Vigna Vecia Ascevi 2007 Le uve provenienti da una vecchia vigna, che vanta oltre 40 anni di età, danno origine ad una Ribolla decisamente particolare ed intrigante. Il colore esprime una tonalità di giallo dorato calda e luminosa. Il profumo riconduce allo sfalcio dei prati di montagna, ricco di fiori ed erbe spontanee. In bocca si rivela di grande struttura e nel finale regala fresche note sapide e citrine.

Fiegl Collio Ribolla Gialla 2007 Riflessi dorati illuminano il già bel colore paglierino compatto. All’olfatto è pungente e penetrante con ricordi di fienagioni estive, pesca bianca ed arbusti di macchia mediterranea. Ha gusto pieno, asciutto e vivace. Gode di ottima mineralità e chiude l’assaggio con una scia piacevolmente acidula.

Gravner Ribolla Anfora 2004 La Ribolla di Josko è decisamente particolare. Le uve diraspate rimangono in anfore per circa 7 mesi, vengono poi torchiate ed il vino rimane poi in botti di rovere per ben 4 anni. Ne esce un nettare dal colore dell’ambra con intriganti profumi di erbe secche, prugne sotto spirito e frutta secca. Il sapore è deciso, ricco e coinvolgente... da emozione.

Il Carpino Collio Ribolla Gialla Selezione 2005 Splendido colore giallo oro con riflessi ambrati. Profumo prorompente ed accattivante con note di pesca sciroppata, visciole sotto spirito, arachidi tostate e fienagioni estive. Il sorso è caldo e secco, ricco di aromi e di mineralità. Decisamente complesso ma di facile e piacevole beva.

Podversic Ribolla Gialla 2005 È vino naturale, senza aggiunta di lieviti, senza chiarifica, senza filtrazione, fermentato sulle bucce per 60 giorni ed affinato in botti di rovere di Slavonia per 23 mesi. Ha un aspetto inusuale con colore giallo ocra e sfumature ambrate ed all’olfatto si propone con sentori di scorza di agrumi, semi di girasole, fichi neri, frutta secca, uva sultanina e vaniglia. Ha gusto secco, concentrato, caldo e saporoso.

Radikon Ribolla Gialla 2003 Splendido colore oro antico luminoso con contorni ambrati. Profumo intenso e complesso che riconduce al fieno secco, alle mandorle tostate, al tarassaco ed alla ginestra in fiore. L’assaggio è imponente ed equilibrato, ha grande struttura ed un importante e lunghissimo finale armonico e suadente.

Ronco dei Tassi Collio Ribolla Gialla 2007 Vinificato esclusivamente in acciaio ha un aspetto vivace con colore giallo paglierino lucente e profumi fragranti di rosa gialla, pesca bianca, anice e lime. All’assaggio è scorrevole, agile e morbido, sprigiona poi viva freschezza e chiude con marcata e duratura nota di mineralità.

Ronco delle Betulle COF Ribolla Gialla 2007 Vino dall’ottimo aspetto, giallo paglierino lucentissimo, con accattivanti profumi dolci ed eleganti, piuttosto inusuali per il vitigno, di fiori in bocciolo, crosta di pane e frutta fragrante, il tutto avvolto in un sottile velo di vaniglia. In bocca si propone con raffinata grazia e morbidezza ma poi chiude con una piacevole nota di freschezza.

Tenuta Villanova Collio Ribolla Gialla 2007 Vino che rispecchia appieno le caratteristiche varietali del vitigno. Si presenta con colore giallo paglierino vivace e luminoso che introduce a profumi freschi di lime, litchi, mela verde e succo di limone. Rinfresca il palato con punzecchianti suggestioni citrine ed eleganti note minerali.

Tercic Collio Ribolla Gialla 2007 Giallo paglierino lucentissimo ravvivato da bagliori verdolini. Al naso regala profumi prevalentemente floreali di caprifoglio e biancospino con nota fresca di agrumi. La malolattica svolta al 100% rende l’assaggio morbido e cremoso e chiude lasciando un piacevole ricordo di frutta matura.

Volpe Pasini COF Ribolla Gialla Zuc di Volpe 2007 Splendente giallo paglierino con luminose sfumature dorate. Ricco di profumi freschi e fragranti, prevalentemente agrumati, che ricordano la scorza di cedro, il frutto della passione ed il lime. Al gusto è rinfrescante ma è ben bilanciato da una nota morbida e vellutata. Chiude con ricca ed avvolgente mineralità. 43


Congresso Ais

Il governatore della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, inaugura Enopolis con Camillo Privitera, presidente Ais Sicilia, Giovanni La Via, assessore regionale all’Agricoltura e Foreste, e il presidente nazionale Ais Terenzio Medri

Una grande unità per nuovi traguardi A CATANIA SI È SVOLTA L’ASSISE NAZIONALE DELLA NOSTRA

ASSOCIAZIONE: UNO DEI TEMI CENTRALI DEL DIBATTITO È STATO IL RUOLO DEI SOMMELIER NELLA COMUNICAZIONE DELLE ECCELLENZE ENOLOGICHE ED AGROALIMENTARI 44

e c’è una regione che ha scritto pagine importanti nella storia della vite e del vino, questa è la Sicilia. Ed è qui, nell’isola del sole, dei sapori, della cultura e delle tradizioni che a metà ottobre si è svolto il 42.mo Congresso nazionale dell’Associazione italiana sommeliers. Oltre trecento iscritti si sono dati appuntamento a Catania per approfondire e dibattere i temi della sommellerie e per conoscere le eccellenze enogastronomiche di questi territori, che ogni anno producono nove milioni di quintali di uva da vino, con una resa in vino e mosto di quasi sette milioni di ettolitri. Il vino confezionato è di 1,2 milioni di ettolitri: il 93 per cento finisce in bottiglia. La tipologia delle produzioni è costituita da Vini da Tavola (70 per cento), Indicazioni geografiche tipiche (27 per cento), Denominazioni di origine controllata (3 per cento). In Sicilia sono riconosciute una Docg, il Cerasuolo di Vittoria, e 22 Doc, apprezzate e ricercate in Italia e nel mondo. Sono insomma lontani i tempi in cui il vino di questa isola veniva “ucciso” per tagliare altri vini. Come ha spiegato l’assessore regionale all’Agricoltura e alle Foreste, Giovanni La Via, la qualità viene cercata da un esercito di produttori appassionati i quali possono contare su progetti messi a punto dalla Regione

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I preziosi volumi conservati nella biblioteca e uno splendido affresco all'interno dell'ex monastero dei Benedettini, oggi sede universitaria.

L Banchi d'assaggio nel Chiostro di Levante

L Ivano Antonini, Miglior Sommelier d'Italia 2008

L Cristiano Cini e Luca Martini, gli altri due finalisti

che riguardano, per esempio, la valorizzazione dei vitigni autoctoni, il contenimento del rischio erosivo e la viticoltura sostenibile di montagna, che riguarda proprio l’Etna, dove è stato impiantato un vigneto policlonale e di confronto varietale per studiare la maturazione, la componente polifenolica e aromatica delle uve dei vitigni coltivati nella zona del vulcano. Lo studio permetterà di valutare l’influenza dell’ambiente nei processi viticoli e definirà modelli viticoli ed enologici compatibili con la sostenibilità ambientale e la vocazionalità territoriale. Ed è proprio grazie a questa simbiosi tra pubblico e privato che la Sicilia enologica, come ha sottolineato il presidente di Ais Sicilia Camillo Privitera, è riuscita a ritagliarsi uno spazio importante. “Noi sommeliers – ha detto il presidente nazionale dell’Ais Terenzio Medri nella relazione – dobbiamo essere ambasciatori di tutte queste eccellenze, siciliane ed italiane. E’ un tema che mi sta a cuore – ha aggiunto Medri – e lo dimostra la nascita della figlia dell’Ais, la Worldwide sommelier association che, grazie ai suoi centomila iscritti, ogni giorno promuove l’agroalimentare e il vino italiani in ogni angolo del mondo”. Il ruolo dei sommeliers è stato più volte toccato dalla relazione del numero uno dell’Ais: “Noi dobbiamo divulgare la cultura popolare del vino, popolare perché ha le sue radici nel cuore della gente. Per questo – prosegue Medri – dobbiamo continuare nel nostro lavoro di aggiornamento e di avvicinamento ai giovani, dobbiamo capire e comprendere le esigenze dei consumatori, dobbiamo essere attenti e intelligenti, dobbiamo instaurare un dialogo maggiore con i titolari dei locali della movida. Questo non perché vogliamo appropriarci di nuovi spazi, ma perché sarebbe opportuno uscire dall’ottica della barbarie e dello sballo notturno che nuoce alla salute e porta alle stragi del sabato sera per entrare, grazie al vino, nella storia e nella cultura, nell’equilibrio e nella riflessione”. Nel corso della relazione Medri ha poi illustrato i programmi e le ambizioni dell’Ais: le manifestazioni internazionali, la collaborazione con l’Università Bocconi (che prosegue ed è molto apprezzata), l’Osservatorio sul Vino, un organismo che dovrà studiare il fenomeno vino non solo dal punto di vista comunicativo, economico, turistico, occupazionale, storico-culturale, ma anche fotografare le tendenze del gusto e le abitudini dei consumatori. Grazie a un comitato scientifico l’Osservatorio dovrà promuovere il cosiddetto “bere 45


Congresso Ais L Il governatore della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, ai banchi d'assaggio di Enopolis

L Il presidente Ais Sicilia, Camillo Privitera e Ivano Antonini, Miglior Sommelier d'Italia 2008

consapevole” e divulgare le proprietà del vino assunto in quantità moderate. “Tutto questo sarà possibile se l’Ais continua ad essere unita – conclude il presidente – perché la nostra forza è l’unità. Una unità da raggiungere con il confronto, anche con le discussioni e le conflittualità perché è giusto che ognuno esprima la sua opinione”. L’Ais è un’associazione dinamica e giovane. Per questo continuerà ad utilizzare gli strumenti tecnologici per raggiungere un numero sempre maggiore di eno-appassionati. Il nostro sito (che nel corso del 2008 ha ulteriormente incrementato i visitatori) verrà rinnovato per rispondere alle esigenze di un pubblico sempre più vasto, giovane e preparato: per questo l’Ais nei prossimi mesi diventerà multimediale. Importante e positiva in questo senso è stata l’esperienza del blog in cui Franco Ziliani ha raccontato “in diretta” l’assise di Catania che ha assegnato il “Trofeo Guido Berlucchi-Miglior Sommelier d’Italia 2008” a Ivano Antonini di Varese. Il 43.mo Congresso nazionale è in programma nel 2009 in Basilicata. (P.P.)

IL TROFEO BERLUCCHI RAGGIUNGE LE RIVE DEL LAGO MAGGIORE È Ivano Antonini il Miglior Sommelier d’Italia 2008. Trentacinque anni, nato a Varese, ha vinto il Trofeo Guido Berlucchi, aggiudicandosi la finale svoltasi a Catania nell’ex monastero dei Benedettini. Nel corso della competizione ha preceduto Cristiano Cini e Luca Martini, entrambi provenienti dalla Toscana. Antonini è stato Miglior Sommelier della Lombardia nel 2001 e due volte vice campione d’Italia nel 2001 e nel 2004. Dal 1995 lavora al Relais & Chateaux Il Sole di Ranco, dove gestisce la cantina e si occupa degli acquisti e della carta dei vini, che è stata premiata con il Best of Award da Wine Spectator. Ha superato l’esame finale, il cosiddetto “terzo livello”, nel 1997. «Sono felice di avere condiviso quest’esperienza – ha sottolineato Antonini – con gli altri colleghi. In questi giorni non ci siamo mai considerati rivali, ma amici con la stessa passione, quella dello studio, della cultura, della storia dei nostri territori vocati alla produzione vinicola». «Il livello medio di preparazione dei candidati è stato molto elevato, come dimostrano i punteggi ottenuti nel corso delle semifinali. Come in tutti i concorsi il vincitore è uno solo – ha dichiarato il presidente Terenzio Medri – ma mai come in L Ivano Antonini con Cristina Ziliani questo caso voglio sottolineare la professionalità di tutti i e Terenzio Medri concorrenti. È la strada che abbiamo intrapreso negli ultimi anni, che ha portato i sommelier a interpretare il ruolo di comunicatori delle eccellenze del grande vigneto Italia. I sommeliers sono infatti l’anello di congiunzione tra produttori ed enoappassionati». Il prestigioso trofeo è stato consegnato da Cristina Ziliani della Guido Berlucchi & C. al termine della finale che ha tenuto tutti gli spettatori con il fiato sospeso per più di tre ore. 46


LA RICERCA DELL’ECCELLENZA

VINI IN MOSTRA

Per il quinto anno consecutivo la Distilleria Bonaventura Maschio di Gaiarine in collaborazione con l'Ais si è fatta promotrice di un’iniziativa particolarmente lodevole allo scopo di incentivare i giovani sommeliers ad approfondire le tematiche legate al mondo della distillazione. Come nel campo dei vini, L Andrea Maschio con i vincitori anche in questo particolare settore l'Italia vanta nel mondo una riconosciuta competenza e un indiscusso primato di tipicità, che anche le nuove generazioni sono chiamate a conoscere e apprezzare. E ciò soprattutto in un momento nel quale da più parti si invoca la moderazione nel consumo delle bevande alcoliche che in buona sostanza è un invito, da parte delle aziende più qualificate, a bere poco e a bere bene, privilegiando i prodotti migliori. La Bonaventura Maschio ha messo a disposizione tre borse di studio assegnate ai tre sommeliers (uno del Nord Italia, uno del Centro e uno del Sud) risultati primi nei rispettivi master di specializzazione sulle acquaviti dal titolo particolarmente affascinante: "La ricerca dell'eccellenza". Lezioni pratiche e teoriche tenute da esperti del settore riguardo la conoscenza dei distillati italiani e stranieri, le tecniche di distillazione in uso, le sperimentazioni che vengono svolte all'interno delle aziende, per finire con l'arricchimento delle competenze professionali nel campo delle degustazioni, alle quali i sommelier sono chiamati. Matteo Barolo di Gravellona Toce (VB), Daniele Arcangeli di Viareggio (LU), Ciro Potenza di Napoli sono i vincitori dell’edizione di quest’anno. I tre giovani sommeliers sono stati premiati da Andrea Maschio in occasione del 42° Congresso Nazionale nella splendida cornice del Romano Palace Luxury Hotel a Catania.

Il 42° Congresso Nazionale si è chiuso con la settima edizione di Enopolis, un evento che ha consentito a tutti i protagonisti del mondo del vino di incontrarsi e discutere. Nella suggestiva cornice del Chiostro di Levante dell’ex monastero dei Benedettini di Catania, ora sede universitaria, il governatore della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, ha aperto ufficialmente la manifestazione: banchi d’assaggio, visite guidate alle cantine del monastero con il Percorso dei Sensi e tantissime degustazioni a tema. «Questa edizione, particolarmente impegnativa, che ha visto mobilitata tutta l’Ais Sicilia, non solo per la realizzazione di Enopolis, ma per la migliore riuscita del 42° congresso Ais, ha messo in moto una grande macchina organizzativa presentando un programma anche innovativo proprio per coinvolgere le nuove generazioni di soci che si sono avvicinati alla nostra associazione negli ultimi anni». Queste le prime impressioni di Camillo Privitera, presidente Ais Sicilia. «Ci riteniamo soddisfatti e i numeri ci hanno dato ragione: proporre il vino con i suoi infiniti abbinamenti, non solo gastronomici, ma legati all’arte e alla cultura in genere, è la carta vincente e il pubblico risponde alla grande». In effetti, fino all’ultimo minuto prima di chiudere le porte del Chiostro, normalmente non aperto al pubblico, la folla che ancora riempiva gli spazi espositivi si è trattenuta per respirare il fascino di secoli di storia racchiusi tra le mura del monastero. 47


A tavola

Tutti pazzi per i

passatelli PREPARARLI È UN’ARTE, MANGIARLI UN PIACERE. COSÌ QUESTO PIATTO TIPICO DELLE FAMIGLIE CONTADINE HA TROVATO CITTADINANZA IN RISTORANTI E TRATTORIE DELLA

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RIVIERA

CON SCONFINAMENTI NELLE

MARCHE.

DELLA

ROMAGNA


di Riccardo Castaldi passatelli sono una delle paste più tipiche della Romagna. La loro popolarità è aumentata nel corso degli ultimi anni, grazie agli chef che sono riusciti a trasferirli dalle case dei romagnoli in ristoranti e trattorie, suscitando l’interesse di un vasto numero di buongustai, ben presto convertitisi in veri e propri cultori di questo piatto. Un tempo i passatelli - “pasadén” in dialetto romagnolo - venivano preparati esclusivamente in brodo, di gallina o di cappone, per il pranzo di Pasqua e, secondo alcuni autori, anche per l’alimentazione delle puerpere. Oggi sono, se ci consentite, “sempreverdi” e vengono proposti in altri periodi, anche nelle festività natalizie. La svolta che ha permesso la diffusione dei passatelli nella ristorazione, andando contro alla tradizione, è stata la loro fuoriuscita dal brodo natio, che li ha resi meno impegnativi e sicuramente più fruibili, anche in virtù del fatto che si sono rivelati una pasta eclettica, adatta ad essere servita con svariati condimenti, sia di terra sia di mare, consentendo di dare sfogo alla creatività degli chef.

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III IL FERRO PER I PASSATELLI Per la preparazione dei passatelli, che si presentano come dei vermicelli di lunghezza indicativamente variabile tra 5 e 8 centimetri e con un diametro di circa mezzo centimetro, venivano originariamente impastati uova, pane raffermo grattugiato, formaggi a pasta dura, sia vaccini sia pecorini, aromatizzati con noce moscata e scorza di limone. Pellegrino Artusi, ne’ “La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene” include tra gli ingredienti della “minestra di passatelli” (ricetta numero 20) anche il midollo di bue, oggi non sempre impiegato; il midollo di bue, che è importante per rendere i passatelli più teneri, anziché essere sciolto sul fuoco può essere unito all’impasto dopo essere stato schiacciato con la lama del coltello. Ovviamente in passato la disponibilità economica ha giocato un ruolo fondamentale nello stabilire le proporzioni tra pan grattato e formaggio, anche se un eccesso di quest’ultimo può far sì che i passatelli si squaglino durante la cottura. Per renderli più sodi si può ricorrere allo stratagemma di aggiungere un cucchiaio di farina all’impasto, anche se probabilmente l’Artusi sarebbe perplesso. Nel corso dei decenni, con la fine del sistema semi-autarchico della famiglia patriarcale contadina, che consumava per lo più ciò che produceva, 49


A tavola

gli unici formaggi impiegati per la preparazione sono divenuti il Parmigiano reggiano e il Grana padano, che hanno nobilitato i passatelli conferendo loro un’impronta inconfondibile. Ottenuto l’impasto, che deve essere consistente al punto da poter mantenere la forma sferoidale conferita con le mani, entra in scena lo strumento necessario alla loro realizzazione, denominato semplicemente “e’ fër” ovvero “il ferro”. E’ costituito da un disco metallico concavo, forato e dotato di due manici ricoperti di legno che consentono di sfregarlo energicamente sull’impasto, determinando la formazione dei passatelli; il nome deriva proprio dal fatto che l’impasto “passa” attraverso i fori per dar origine ai passatelli. In assenza di questo, non sempre reperibile anche nei negozi di ferramenta più forniti, i passatelli possono essere realizzati anche con l’ausilio dello schiacciapatate, utilizzando fori di adeguata dimensione… con lo stesso risultato qualitativo ma sacrificando comunque un po’ di poesia. Una variante meno diffusa prevede che per la preparazione dell’impasto sia utilizzata anche la carne, in particolare il filetto di manzo oppure il petto di pollo o di tacchino, che deve essere finemente tritata se non passata addirittura nel mortaio; in questo caso all’impasto viene aggiunta anche una noce di burro mentre si omette la scorza di limone. III CONDIMENTI E ABBINAMENTI Con i classici passatelli in brodo viene generalmente proposto un bianco dotato di buona freschezza e abbastanza alcolico, in grado di contrastare la grassosità espressa dal piatto; qualora tra gli ingredienti dei passatelli rientri anche la carne, si può optare per un bianco fermentato in barrique, garbatamente strutturato. Lungo tutta la costa romagnola, da Casalborsetti (Ravenna) fino a Cattolica (Rimini), con sconfinamenti anche nel litorale marchigiano, non è difficile trovare i passatelli in brodo di pesce, generalmente preparato a partire da sogliole oppure dai più modesti ma alquanto saporiti paganelli; il piatto risulta essere delicato e caratterizzato da una notevole succulenza e può essere abbinato ad un bianco frizzante o ancor meglio ad un rosato, in grado di controbilanciare le sensazioni gustative senza sovrastarle. Se il brodo di pesce è particolarmente grasso si può azzardare l’abbinamento con un rosso leggero e fresco, non particolarmente strutturato, quale ad esempio una Fortana del Bosco Eliceo, oltre che con uno spumante. Nel caso dei passatelli asciutti preparati con fonduta di formaggio e guanciale, proposti da alcuni ristoranti, si può optare per un rosso strutturato, di buon grado alcolico, quale ad esempio un Sangiovese di Romagna Superiore, in grado contrastare l’intensità gustativa del piatto; nel caso in cui la fonduta sia sostituita da una crema di carciofi, è bene orientarsi verso i rossi con tannini morbidi e rotondi, ovvero vini che non presentino retrogusto amaro e sentori erbacei, che mal si sposano con questo tipo di vegetale. Per i passatelli serviti con fonduta di taleggio e tartufo ci si deve orientare verso rossi caratterizzati da un’adeguata intensità olfattiva, in grado di contrastare e di fondersi armonicamente con quella espressa dalla preparazione, nonché da tannini evoluti, che ben si sposino con i sapori del fungo ipogeo.

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Le mete del gusto

Nella terra dei

nobili

di Roberto Di Sanzo

ALLA SCOPERTA DI ALESSANDRIA E DEL SUO TERRITORIO

L Napoleone Bonaparte a cavallo in un'illustrazione d'epoca. Nel 1800 tra Spinetta e Alessandria si svolse la celebre battaglia di Marengo

l Piemonte è da sempre terra nobile, fatta di una storia millenaria dai tratti regali, patria Sabauda con Torino antica capitale, segnata dalle gesta del Conte di Cavour. Tratti distintivi di una gloria sopita nel tempo ma che ancora, nelle vie delle città, nei palazzi storici, nei volti della gente, si può riconoscere, nascosta da un velo di splendore nostalgico. Ogni zona del Piemonte ha qualcosa da raccontare, posti e luoghi da visitare. Come l’Alessandrino, territorio incastonato ai confini con la Lombardia, un piccolo lembo di Emilia e la Liguria. Da ogni influenza ha tratto il meglio, regalando al visitatore piccoli scrigni di rara bellezza e località dall’indubbio valore artistico. Le alleanze con la Lega Lombarda, poi con Genova con cui entrò in conflitto; e ancora, il dominio dei Visconti, degli Sforza e dei Savoia, per arrivare al condottiero Napoleone e alla battaglia di Marengo, combattuta il 14 giugno 1800 e vinta dai francesi sugli austriaci. Tutti hanno allungato le mani su queste terre, ricche anche di testimonianze religiose come il Sacro Monte di Crea, costruito a partire dal 1589, posizionato su uno dei luoghi più alti del Monferrato (455 m s.l.m.), tanto da dominare le colline circostanti. Il Santuario, di origine romanica, fu rimaneggiato più volte nel corso dei secoli ed è stato dichiarato patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Terre di sicuro fascino, a cominciare da Alessandria, strategicamente situata in posizione felice per scambi commerciali e guerre combattute. Numerose le bellezze artistiche da non perdere, come la chiesa di Santa Maria di castello, quattrocentesca, con una struttura gotica ed aperta da un portale rinascimentale, e il palazzo Ghilini, progettato all’inizio del Settecento dall’architetto Benedetto Alfieri, uno dei più begli esempi di Barocco di tutta la città. Una sosta ad Alessandria è dovuta: anche la proposta gastronomica si lega ad episodi del tempo che fu. Ecco perché nei ristoranti locali, coloro che se ne intendono davvero assaggeranno il classico pollo alla Marengo, soffritto in olio e burro e poi portato lentamente a cottura con l’aggiunta del brodo. Uscendo da Alessandria si punta a est: sull’antica strada che porta verso la Lombardia ecco svelarsi Tortona, che affonda le sue radici nel 148 avanti Cristo, quando i liguri diedero vita al borgo preromano Derthona. Verso la metà del XII seco-

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Le mete del gusto

IL MONFERRATO CASALESE, TRA VIGNE E CASTELLI Il Monferrato Casalese ti avvolge e non ti abbandona più, lasciandoti negli occhi e nella mente immagini di colline ondulate e simmetricamente perfette, borghi dal profumo medioevale, sapori piacevoli e antichi. E poi castelli disseminati ovunque, tra tutti quelli di San Giorgio e Gabiano. Insomma, un territorio ricco di arte e cultura costituitosi intorno all’anno 1000 e rimasto per otto secoli a difendere la propria indipendenza come marchesato, prima degli Aleramici e poi dei Paleologi e dei Gonzaga. Infine, nel 1708 venne annesso al Regno di Savoia. Casale, da sempre capitale del Monferrato, ha una consolidata tradizione nella ricerca enologica. Personaggi illustri come Ottavio Ottavi, Arturo Marescalchi e Federico Martinotti hanno contribuito in modo importante allo sviluppo dell’enologia. Era casalese anche Paolo Desana, padre della legge approvata nel 1963, che ancora oggi regolamenta

le Denominazioni di origine controllata. A testimoniare la cultura del vino radicata nel tempo troviamo gli infernot, spazi dedicati a custodire le bottiglie preziose. Scavati sotto le abitazioni, sono ricavati dalla pietra da cantoni (arenaria da costruzione simile al tufo depositata circa 25 milioni di anni fa dalle trasformazioni terrestri). I terreni collinari sono ricchi di argilla, limo ed in alcune zone di calcare che dona ai vini una spiccata acidità. Tra i vini, spiccano senza dubbio la Barbera del Monferrato e il Grignolino. Ad accompagnarci in questo viaggio enogastronomico ecco Daniele Guaschino, sommelier delegato dell’Ais sezione Casale. “La Barbera – dice Guaschino ebbe origine nel periodo del Marchesato di Aleramo, il primo documento ritrovato che cita il vitigno Barbera come ‘vitis vinifera montisferratensis’ è datato 1798. La grande diffusione di questo vitigno, che negli ultimi decenni ha attraversato

l’Oceano per essere oggetto di produzione e sperimentazione da parte dei viticoltori californiani, è dovuta alle sue caratteristiche: buona vigoria vegetativa ed una produttività costante”. La foglia è di media dimensione a forma pentalobata ed il grappolo assume a raggiunta maturazione, un colore blu intenso con una configurazione piramidale, gli acini sono di media

lo venne demolita dal Barbarossa e dopo alterne vicende appartenne ai Visconti e ai Savoia. Girare per le vie cittadine è una scoperta: in piazza Duomo ecco la Cattedrale, grandioso edificio e tre navate, con la facciata risalente alla fine del XIX secolo; da qui si arriva con facilità alla Torre del Castello e a Palazzo Guidobono, costruzione quattocentesca in cotto, che ospita la Bibiloteca e il Museo Civico. Abbandonarsi alle prelibatezze del palato è davvero facile. Stradine e viuzze celano ristorantini e osterie che offrono piatti tradizionali come gli agnolotti alla Tortonese, o Gobein, perchè fanno caratteristiche piccole gobbe, con la pasta ben schiacciata a mano sul ripieno di carne di manzo o vitello. Il brodo le conferisce un sapore unico. Un po’ come i tagliolini al tartufo nero e bianco, un classico, con la pasta fatta rigorosamente in casa, con 30 tuorli d’uovo per chilo di farina, condita con burro, parmigiano reggiano e sottili scaglie di tartufo. Il paesaggio diventa dolce e rilassante, con colline adagiate lungo il torrente Scrivia. Una trentina di borghi danno vita alle cosiddette “Colline Tortonesi”, solcate da vigneti con vitigni barbera e cortese. Annaffiare i piatti della tradizione con un Cortese di Gavi, vino bianco ormai diffuso a livello mondiale, è un’esperienza da provare almeno una volta nella vita. E perchè no la Barbera, fresca e vivace, più vicina – come caratteristiche – ai vini prodotti nell’Oltrepò Pavese? Chiusura in bellezza con il Dolcetto. Tra un brindisi e l’altro, girovagare tra i colli è un piacere, visitando così l’Abbazia di Rivalta Scrivia del XII 52


Daniele Guaschino, delegato Ais di Casale Monferrato

grandezza e ricchi di pruina. “Accanto ad una versione vivace, che ha avuto successo come vino semplice di pronta beva - continua Guaschino -, in particolare nelle regioni del nord Italia, un gruppo di vignaioli illuminati sta portando all’attenzione del consumatore più esigente una versione secca. Il vino di colore rosso rubino, limpido e di buona consistenza presenta pro-

fumi intensi e persistenti di frutta rossa come la ciliegia e la mora. In bocca il vino è secco, caldo e morbido; caratteristiche che ben contrastano la spiccata freschezza tipica del vitigno ed un moderato livello di tannino. La struttura è quella di un vino di corpo, equilibrato e mediamente intenso. Nei prodotti che prevedono un affinamento in legno aumenta gradevolmente la complessità e la delicata speziatura”. Interessanti anche gli abbinamenti a tavola: “La Barbera, in virtù della sua naturale vena acida, è perfetta con primi piatti strutturati, come gli agnolotti alla monferrina, realizzati con pasta priva di uova con ripieno di carne e verdura, e con i secondi piatti che presentano una buona grassezza, ad esempio il fritto misto. Da provare anche in abbinamento con il classico ‘pane e salame’, antico quanto grande spuntino a base di pane monferrino (la grissia a pasta dura) e salame crudo (la muletta), tipico prodotto a base di

carne scelta di maiale aromatizzata con aglio”. Poco conosciuto fuori dal Piemonte, autoctono che risale al Settecento, il Grignolino del Monferrato si presenta in vigna con buona vigoria, foglie trilobate di media grandezza e grappoli serrati dal colore rosso violaceo poco intenso. “Il vino di colore rosso rubino chiaro – continua Guaschino talvolta con riflessi aranciati, presenta profumi di geranio e lievi speziature. Di media struttura ed intensità, evidenzia una nota tannica con finale piacevolmente amarognolo. Da provare, alla temperatura di sevizio di 14 °C, in abbinamento alla zuppa di pesce e minestre”. (R.d.S.)

secolo, le Pievi romaniche di Volpedo e Viguzzolo, i castelli di Brignano Frascata e San Sebastiano Curone. Senza dimenticare Castellania, paese natale di Fausto Coppi, dove è visitabile la casa-museo del campionissimo a cui sono dedicati numerosi percorsi ciclabili nel territorio. Riprendiamo il nostro percorso, questa volta verso sud, a due passi dalla Liguria. Novi Ligure, cittadina briosa e fiorente di attività commerciali, presenta anche alcune perle di architettura, come la chiesa della Maddalena, risalente al Seicento, che presenta sul portale una stuatuetta barocca – appunto – della Maddalena. Il Novese ha tante frecce al suo arco, con borghi e realtà ricche di storia e dalle forti connotazioni religiose, come il Santuario di Nostra Signora di Montespineto, la Quadreria nel Convento dei Cappuccini di Voltaggio e la Chiesa dell’Assunta del XIII secolo a Grondona. Ancora, da vedere Palazzo Spinola di Rocchetta Ligure, del Seicento, e il Castello Spinola Doria di Grondona: meta obbligata il forte di Gavi, sorto nel 1.100 e fortificato nel XVI secolo dai genovesi. Per gli appassionati di archeologia, tappa agli scavi archeologici dell’antica Libarna. Di notevole spessore anche la proposta enogastronomica del territorio: Novi è una delle capitali italiane del cioccolato: in città, passeggiando ci si imbatte in vetrine ricolme di praline e dolci con spruzzate raffinate di cacao. Rimanendo sempre in campo dolciario, da provare gli amaretti di Gavi (famosa anche per il già citato Cortese, una Docg dalle alte potenzialità). Una cucina che sazia tutti i palati, anche quelli più robusti, dai salumi della Val Borbera (coppa, pancetta, testa in cassetta) alle castagne, dalla fagiolana sempre della Valle Borbera sino alla focaccia. Tra i vini, un con53


Le mete del gusto L I vigneti di Acqui da cui proviene il celebre Brachetto

L Acqui Terme, fonte termale

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siglio: provate il Timorasso, dal caratteristico giallo paglierino, da abbinare con primi piatti anche di marcata sapidità e preparazioni a base di carni bianche sole o accompagnate da legumi e verdure. Se invecchiato è ottimo con i formaggi stagionati, ma diventa anche un vino da meditazione. Una certezza: ve ne innamorerete. Sempre più a sud, dove i morbidi rilievi del Basso Moferrato si confondono con il carattere più deciso dell’Appennino Ligure sino a dar vita ad un paesaggio di rara bellezza, tra prati, fattorie e cascine. E proprio nel bel mezzo della vallata dove confluiscono i fiumi Orba e Stura, ecco adagiata la bella Ovada, così diversa dal resto del Piemonte, così particolare nel suo genere. E’ chiara e persistente l’influenza genovese: ci si accorge, girando per la città, della tipica disposizione urbanistica molto simile ai carrugi genovesi. Qui tutto parla della Liguria: il dominio della Repubblica di Genova è testimoniato dalle tante magnifiche chiese, come quella di San Sebastiano del 1200, passando per la nuova chiesa parrocchiale dell’Assunta della fine del 1700, arrivando alla Chiesa delle Grazie, detta degli Scolopi, iniziata nel 1481. Sguardo all’insù per ammirare anche i numerosi edifici storici, come il Palazzo Spinola, con dipinti attribuiti al Cambiaso e a Van Dyck (XVII secolo). L’Ovadese è terra di castelli, imponenti ed eleganti nello stagliarsi alti ed alteri. Di sicuro interesse sono quelli di Molare, Cremolino, Trisobbio al centro di un caratteristico borgo a pianta circolare, Carpeneto, con all’interno la chiesa di S. Antonio, risalente al X secolo. Un tour appassionante e ricco di leggenda, che tocca anche Roccagrimalda, Castelletto d’Orba, con un’apprezzabile torre con merlatura guelfa, Montaldeo, Mornese, Casaleggio Boiro, con il castello più antico del X secolo, Lerma, con il castello Spinola, Tagliolo Monferrato e Belforte. Il viaggio tra queste colline è addolcito da una sosta ad una delle tante trattorie disseminate qua e là: cucina tipica casalinga per dei piatti che risentono – è inevitabile anche qui – della vicinanza ligure. Si può iniziare quindi ordinando dei salumi o del vitello tonnato; tra i primi, immancabili gli agnolotti. Per chi ha ancora fame, si prosegue con il bollito misto, la selvaggina, ma anche il fritto misto e la polenta. I veri intenditori non potranno però mancare di assaggiare i funghi, veri dominatori delle ricette ovadesi. Con i dolci ci si sbizzarrisce: torte a base di nocciole e castagne, i canestrelli, il bonet, budino al cioccolato con latte, uova, zucchero e vaniglia. A tavola l’oste annaffierà il tutto con il tipico e robusto Dolcetto di Ovada. Antichi splendori romani contraddisinguono Acqui Terme, adagiata lungo la sponda sinistra del fiume Bormida, nell’Alto Monferrato. Furono proprio i romani, in età imperiale, a darle il nome Aquae Statiellae, ad indicare quelle acque che, ancora oggi, sgorgano nel centro della città in un’edicola nota come la Bollente ad una temperatura di 75 gradi, acque utilizzate nelle terme dove è possibile recarsi per curare numerose malattie e anche per trattamenti estetici. E’ la natura il tratto distintivo dell’Acquese: rigogliosa tutta intorno, si apre a scenari fiabeschi con una serie di castelli ancora ben conservati come quelli di Prasco, Cremolino e Melazzo. La cucina vive dei sapori e dei profumi della terra, che regala con grande generosità funghi e castagne. E’ diventato famoso il filetto baciato di Ponzone, salame costituito contemporaneamente da una parte anatomica intera, vale a dire il filetto del maiale, e da un impasto tradizionale di carne suina e grasso che la contorna. Per quanto riguarda i vini, poi, c’è solo l’imbarazzo della scelta, dal fine Dolcetto d’Acqui sino agli aromatici Brachetto e Moscato.


INDIRIZZI UTILI Comune di Acqui Terme Ufficio Turismo Tel. 0144 770274 –303 www.comuneacqui.com Comune di Alessandria Piazza della Libertà, 1 Alessandria Tel. 0131 515111 www.comune.alessandria.it Comune di Casale Monferrato Servizio di Informazione Turistica Tel. e fax 0142 444330 www.comune.casale-monferrato.al.it Per il Monferrato visitare anche il sito: www.monferrato.net Comune di Ovada Via Torino 69 Ovada (Al) Tel. 0143 8361 www.comune.ovada.al.it Comune di Tortona Informazione accoglienza turistica Tel. 0131 864290/297 www.comune.tortona.al.it Provincia di Alessandria Segreteria generale Tel. 0131 304346 www.provincia.alessandria.it Parco Naturale e Area Attrezzata del Sacro Monte di Crea Ponzano Monferrato (Al) Tel. 0141 927120 parco.smcrea@reteunitaria.piemonte.it www.sacrimonti.net ATL ALEXALA Agenzia di Accoglienza E Promozione Turistica Locale Della Provincia di Alessandria Piazza S. Maria di Castello, 14 Alessandria Tel. 0131 288095/220056 www.alexala.it info@alexala.it REGIONE PIEMONTE Settore Cultura, Turismo e Sport Via Meucci, 1 – Torino Tel. 011.4321564 www.regione.piemonte.it


Degustazioni

Un’ottima di Franco Ziliani

IL 2004 È STATO MAGNIFICO PER IL

BAROLO:

L’ANDAMENTO

REGOLARE HA FAVORITO LA PERFETTA MATURAZIONE DEI TANNINI,

SVILUPPANDO UN POLIEDRICO CORREDO AROMATICO

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C’

è solo l’imbarazzo della scelta (e con più spazio a disposizione avrei potuto segnalarvi molti più vini di questi magnifici 40) volendo selezionare un po’ di Barolo 2004 da acquistare e mettere in

cantina. L’annata è stata magnifica, di quelle da ricordare, con un andamento regolare che ha consentito una perfetta maturazione dei tannini e lo sviluppo di un corredo aromatico ricco e variegato. Molti dunque i Barolo da ricordare, dotati di una struttura tannica imponente che richiede spesso di essere “addomesticata” da un ulteriore affinamento dei vini in bottiglia. I Barolo di Castiglione Falletto su tutti, e poi Barolo, Verduno, Monforte d’Alba, Novello (si tenga conto dell’estensione dell’area di produzione del Barolo: 1.803 ettari: 450 circa a La Morra, 351 a Monforte, 311 a Serralunga d’Alba, 238 a Barolo, 137 a Novello, 136 a Castiglione Falletto, 90 a Verduno, 49 a Grinzane Cavour, 21 a Roddi, 14 a Diano d’Alba, 2 scarsi a Cherasco) hanno offerto splendide prove, mentre a La Morra i risultati sono molto più eterogenei e si passa da prove convincenti a vini poco soddisfacenti e un po’ estremizzati, che spesso “vorrebbero ma non possono”. Tutti i grandi vigneti comunque, se ad onorarli sono stati vignaioli rispettosi e alieni da inutili protagonismi, si sono espressi al meglio, a conferma dell’evidenza che laddove ci sono i veri terroir, quelli che fanno la differenza, ci sono e non possono non esserci anche i grandi vini, i vini veri, i vini di qualità e soprattutto di forte personalità e carattere. Un’evidenza che ho avuto modo di verificare nel corso di più degustazioni di un larghissimo campione di vini compiute nel corso dell’anno, che hanno visto, mese dopo mese, i vini prendere quota, acquistare complessità e capacità di affascinare e “dare del tu” a chi li “ascoltasse” con attenzione. I trionfatori indiscussi di quest’annata, a mio parere, sono stati i Barolo di Serralunga d’Alba, perché il 2004 è proprio l’annata perfetta per que-


annata L I Vigneti a Grinzane e sullo sfondo il castello che fu di proprietà di Camillo Benso conte di Cavour

sto villaggio, e perché questi vini, di aziende note e meno note (e nella mia selezione mancano i vini, Cascina Francia e Monfortino, di Giacomo Conterno, che devono ancora lungamente affinarsi in cantina e non sono ovviamente ancora in commercio), hanno dato grande prova di sé. E ci hanno condotto, per mano, nel regno della complessità, della classe, della solidità vera senza improvvisazioni e finzioni, grazie a vini solidi, integri, profondi, espressivi di carattere ampio, grande sostanza, imponente struttura tannica, ma un tannino profondo spesso vellutato, carnoso, terroso, mai aggressivo, mai fuori posto o fastidioso, ben fuso con il frutto, spesso con note minerali, una trionfante liquirizia, venature di sottobosco, una leggera speziatura. Dal punto di vista dei prezzi buone notizie per gli appassionati. Un grande Barolo 2004 continua a costare, e non poco, ma accanto ai vini (Bruno Giacosa su tutti) che hanno prezzi importanti, questa mia selezione comprende anche vini che potrete acquistare direttamente in cantina a non più di 30 euro. E con questa intelligente moderazione il prezzo finale, sugli scaffali delle enoteche e dei ristoranti più ragionevoli, sarà decisamente più abbordabile e tale da invitare all’acquisto.

BAROLO 2004: LA DEGUSTAZIONE Barolo Le Rocche del Falletto riserva 2004 Bruno Giacosa Un classico di sempre e un punto di riferimento nell’universo del Barolo. Rubino violaceo brillante, bouquet elegante e complesso di grande freschezza, con note di ribes, ciliegia matura, cioccolato, liquirizia e accenni minerali. Al palato conquista con la grande intensità e purezza d’espressione, il perfetto equilibrio tra frutto e tannini solidi, la sua ricchezza e complessità di sapore, con una finale veramente lungo e persistente. Ancora più grande tra qualche anno.

Barolo Brunate Le Coste 2004 Giuseppe Rinaldi La grande classicità del Barolo in questo vino di Beppe Rinaldi. Colore di bella intensità e profondità, naso fitto, consistente maturo, con sfumature floreali e selvatiche e ricordi di cuoio e sottobosco, mostra una materia ricca e importante al palato, un tannino ben sostenuto, ma non aggressivo, una lunga persistenza con un finale gustoso, pieno di sapore e consistente. Ancora giovane, con un grande potenziale d’evoluzione.

Barolo 2004 Bartolo Mascarello Possiamo dirlo, senza apparire “blasfemi”, che Maria Teresa, la figlia di Bartolo, ha portato nei Barolo di questa piccola azienda simbolo una pulizia esecutiva inedita? Lo conferma anche questo 2004, dal colore rubino profondo, molto preciso ed intenso nei profumi di terra, humus, sottobosco, con leggere sfumature speziate e accenni di rosa passita e prugna, molto complesso al palato, con una fantastica, solidissima struttura tannica, uno spiccato carattere terroso e una lunghissima persistenza. Un Barolo veramente classico.

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Degustazioni

Barolo Gramolere 2004 Fratelli Alessandria Forse uno dei migliori Barolo di Monforte del 2004, dalla magnifica vivacità di colore, elegante e accattivante al naso, con un bouquet ricco e intenso con venatura di cioccolato e rosmarino ed un frutto (ciliegia, ribes e lampone) succoso. Al gusto è elegante, perfettamente bilanciato, con tannini soffici e ben rilevati, notevole concentrazione, grande piacevolezza, ed un finale lungo, saporito e goloso.

Barolo Ciabot Tanasio 2004 Francesco Sobrero Affermazione definitiva per questa piccola azienda e per questa cuvée di Nebbiolo proveniente da diversi vigneti in Castiglione Falletto. Il risultato è un vino complesso e già piacevole ora, con grande possibilità di evoluzione nel tempo. Rubino intenso brillante, propone un naso molto fresco, espressivo, variegato, con note di rosa, rosmarino, liquerizia e un accenno di cacao ad impreziosire un frutto giocato sul lampone. Perfettamente equilibrato al palato, salda ma soffice struttura tannica, uno spiccato carattere terroso e minerale, e una finale lungo e pieno di sapore di stoffa e razza.

Barolo Ca’ Mia 2004 Brovia Da Serralunga un altro Barolo classico. Colore rubino squillante, propone un bouquet ricco e complesso con sfumature minerali e selvatiche in evidenza, accenni di tabacco, cuoio, liquirizia ad impreziosire il lampone ed il ribes dominanti. Al palato ha bella dolcezza d’espressione, tannini soffici, notevole sapidità ed un finale molto persistente, pieno di sapore su note terrose. Ottimo potenziale d’evoluzione.

Barolo Parafada 2004 Massolino Un timbro inconfondibilmente da Serralunga caratterizza questo Barolo destinato ad una grande evoluzione nel tempo. Colore rubino violaceo intenso e brillante, si propone con il carattere terroso-selvatico tipico di questo villaggio, con un mix di note di fiori secchi, spezie, tabacco, liquerizia, prugna di grande intensità e piacevolezza. In bocca è ricco, complesso, molto persistente, largo e profondo e dotato di una struttura tannica di grandissima solidità.

Barolo Vigna del Mandorlo 2004 Fratelli Giacosa Grande prova, anche con il 2004, per questo vino espressione di un vigneto molto vocato proprietà dei Giacosa da metà anni Novanta. Colore rubino di bella intensità e brillantezza, si propone con un bouquet intenso, ricco e affascinante, molto espressivo, dove si colgono in sequenza sfumature di rosa passita, tabacco, cacao, lampone e ribes, sottobosco e una leggera speziatura. Al palato è perfettamente equilibrato, con strati di frutta matura, una salda struttura tannica, un’acidità ben calibrata, una lunga persistenza e un carattere minerale, una grande verticalità piena di nerbo. Splendido!

Barolo Vigna Lazzairasco 2004 Guido Porro Ancora Serralunga, e un’azienda piccola ma da conoscere, i protagonisti di questo Barolo classico, colore rubino violaceo di bell’intensità e brillantezza, bouquet complesso e intrigante, con un perfetto mix tra aspetti floreali e fruttati, sfumature di liquirizia, tabacco, spezie e menta di grande freschezza. Al gusto mostra una grande struttura ed intensità d’espressione, uno spiccato carattere terroso, con tannini solidi, ricchezza di sapore e una lunghissima persistenza. Un vero vin de terroir dal futuro luminoso.

Barolo Vigna Margheria 2004 Luigi Pira Rubino brillante di media intensità per un Barolo di grande eleganza aromatica e ricchezza di sfumature (ribes, lampone, liquirizia, rosmarino, rose, liquirizia, un pizzico di cacao in sequenza) e di assoluta freschezza al palato, con tannini solidi e vellutati, una grande struttura ed intensità, perfetto equilibrio e armonia ed un finale lunghissimo, scandito da una vivace acidità, di grande sapore e razza.

Barolo Arione 2004 Gigi Rosso Bellissimo colore rubino brillante, naso su toni dolci e fruttati con lampone e ribes in evidenza, accenni di rosa passita e amaretto. La bocca è dolce ed effusiva, con frutto succoso tannini ben sottolineati, notevole persistenza e intensità gustativa.

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Barolo Leon 2004 Rivetto 2004 Una vera sorpresa questo Barolo, prodotto da una piccola azienda albese da un inusuale mix di uve Nebbiolo di La Morra (80%) e Serralunga d’Alba (20%) affinato per 14 mesi in piccolo fusti di rovere francese e poi per due anni in botti da 30 ettolitri di rovere di Slavonia. Colore rubino brillante ma intenso, mostra una notevole complessità a naso, un frutto carnoso che ricorda il Pinot nero con venature di menta, liquerizia, rosa passita, catrame. Ricco e consistente al palato e pieno di sapore, con una solida struttura tannica, un frutto succoso e una lunga persistenza con un finale su note terrose. Già buono ma con un notevole potenziale d’invecchiamento.

Barolo Sorano 2004 Giacomo Ascheri Colore rubino squillante, mostra un naso di grande presenza e complessità giocato su note di lampone, liquirizia, terra, mazzetto odoroso e rosa. In bocca grande tessitura, con tannini vellutati, lunghissimo avvolgente e maestoso, di grandissima eleganza.

Barolo La Serra 2004 Giovanni Rosso Colore rubino vivo, naso nitido naso dolce compatto avvolgente, con sfumature fragranti ed eleganti di liquirizia cacao cipria rosmarino. Al gusto struttura tannica scalpitante nervoso larghissimo e persistente ancora molto giovane con materia ricca e terrosa da domare.

Barolo Rocche dei Brovia 2004 Brovia Rubino di bella intensità e profondità, naso fitto, presente, denso con frutta rossa e terra in evidenza, e solo leggermente alcolico. Al palato molto suadente, ricco, persistente, con tannini soffici, lungo e pieno di sapore.

Barolo Serralunga 2004 Manzone Paolo Colore rubino brillante luminoso, naso dolce, aperto, fragrante succoso, con note di ciliegia, prugna, liquirizia e rosa in evidenza. Al gusto mostra un perfetto equilibrio tra frutta, e tannini setosi, con uno spiccata nota di liquirizia, terra e cacao, per un finale soffice, avvolgente e lunghissimo.

Barolo Vigna S. Caterina 2004 Guido Porro Rubino granato brillante, bouquet ampio e complesso, con note di rosa, melograno, spezie, mazzetto odoroso, liquirizia di bella vivacità e articolazione. In bocca conferma la propria complessità, grazie ad una materia ricca e tannini setosi: é lungo, pieno, avvolgente e non ti molla più.

Barolo Cerretta 2004 Germano Ettore Rubino violaceo vivo, naso molto selvatico e misterioso, con note di tabacco, prugna, rosa passita e amaretto. In bocca si propone succoso, di grande stoffa, pieno di sapore ma sapido e vivo. Ancora giovane con grande potenziale di evoluzione.

Barolo Bricco Sarmassa 2004 Brezza Rubino vivo brillante, mostra un naso floreale, essenziale scabro e nervoso di grande eleganza. In bocca buona struttura tannica ma soprattutto grande verticalità, con sapidità e acidità scattante, grande ricchezza di sapore e piacevolezza.

Barolo Baudana Luigi Baudana Rubino brillante vivo, naso elegante, dolce, avvolgente e succoso, con note di lampone ribes e prugna in evidenza. Al gusto grande tessitura terrosa piena consistente, con tannini non aggressivi ma ben sottolineati, con notevole stoffa e pienezza.

Barolo Rocche dell’Annunziata 2004 Mario Gagliasso Ormai una sicurezza l’interpretazione dei Gagliasso di questo cru di La Morra, quest’anno più convincente dell’altro cru aziendale, Torriglione. Colore rubino di media intensità, naso variegato, compatto, con sfumature terrose di cacao e liquirizia, bocca ricca e piena, saldo corredo tannico, avvolgente, lungo, terroso ma di notevole eleganza nel finale.

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Degustazioni

Barolo 2004 Livia Fontana La classica eleganza di Castiglione per un Barolo dalla bella intensità di colore, naso fitto e suadente, con sfumature che richiamano il mazzetto odoroso, la rosa, il cacao. Terroso in bocca, ricco e persistente con saldo sostegno tannico e buona lunghezza.

Barolo Bussia 2004 Giacomo Fenocchio Rubino squillante vivo, naso complesso, sapido, giocato tra il minerale ed il selvatico con sfumature di humus e tabaccoso e note di rosa, lampone e prugna. In bocca é vivo, di salda struttura, con tannino ben fuso, lungo, pieno e persistente e terroso nel finale.

Barolo Prapò 2004 Schiavenza Colore rubino violaceo vivo, naso caldo terroso, con note di cuoio, ribes, macchia mediterranea, rosmarino e liquirizia. Molto compatto al palato, con bellissima struttura tannica imponente, materia ricca e consistente, terrosità spiccata, largo, incisivo, grande persistenza succosa e terrosa.

Barolo Bricco Boschis 2004 Cavallotto Vino ancora molto giovane, con ottimo potenziale d’evoluzione. Rubino profondo, mostra un naso fitto giocato su toni selvatici e variegato. Al palato buona ricchezza e persistenza, con tannini soffici e ben sottolineati. Lungo e pieno di razza il finale.

Barolo Cannubi 2004 Comm. G.B. Burlotto Una delle migliori interpretazioni dell’anno di questo storico vigneto a Barolo. Naso dolce, avvolgente e carezzevole, in bocca mostra una struttura salda e profonda, consistente e terrosa, bella lunghezza e pienezza di sapore con notevole possibilità di evoluzione nel tempo.

Barolo Cannubi 2004 Michele Chiarlo Colore rubino violaceo vivo e brillante, naso preciso, sapido, incisivo e nervoso, con note di rosa, spezie, rosmarino e accenni minerali. Al gusto bella materia ricca, tannino sostenuto lungo, pieno, persistente di gran razza.

Barolo Massara 2004 Castello di Verduno Da uno dei migliori vigneti di Verduno un vino molto interessante, colore rubino brillante molto luminoso, dolce, elegante, effusivo nei profumi fragranti e aerei che richiamano il lampone ed il ribes, molto equilibrato, succoso, con tannino morbido leggermente polveroso, notevole lunghezza e sapidità e razza al palato.

Barolo Monvigliero 2004 Fratelli Alessandria Ancora molto giovane e bisognoso di affinamento in cantina questo classico Barolo di Verduno. Colore rubino brillante, si propone con un naso fragrante, elegante e intenso, con buona complessità e nerbo sapido al palato, saldo corredo tannico e lunga persistenza piena di polpa.

Barolo Vigna Arborina 2004 Bovio Gianfranco Convincenti come sempre le interpretazioni dei migliori cru di La Morra proposte da Gian Bovio e grande imbarazzo della scelta tra Vigna Gattera e Vigna Arborina. La mia preferenza, di un’incollatura, va al secondo, colore rubino violaceo fitto, profumi intensi selvatici e tabaccosi che richiamano l’humus e la prugna, grande estrazione e ricchezza al palato, saldo corredo tannico e una persistenza lunga e terrosa.

Barolo Badarina Vigna Regnola 2004 Grimaldi Bruna Una rivelazione il Badarina di questa piccola azienda che vinifica Nebbiolo di Serralunga. Colore rubino intenso, propone un naso selvatico, con accenni speziati, di rosa e rosmarino, e conquista dal primo sorso grazie ad una grande materia, a tannini ben rilevati e mordenti, struttura solida e lunga persistenza.

Barolo Serralunga 2004 Giovanni Rosso Barolo base, ma che Barolo! Rubino violaceo intenso il colore, per un naso molto espressivo e Barolo style con strati di frutta matura, note floreali, accenni di cuoio, tabacco, sfumature selvatiche, di liquirizia e grafite, al palato mostra notevole sostanza e peso, salda e mordente struttura tannica, grande equilibrio e lunga persistenza terrosa.

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Barolo Campo dei Buoi 2004 Costa di Bussia Color rubino di buona consistenza, con una leggera unghia aranciata mostra un naso elegante, dolce ed etereo, di grande fascino, con una perfetta sintesi tra il floreale ed il fruttato, con sfumature speziate e selvatiche. Al palato è ampio, consistente, con una frutta succosa abbinata ad un tannino che si fa sentire e “scalpita” e ad una vivace acidità. Vino pieno, terroso, consistente.

Barolo Rocche 2004 Aurelio Settimo Il volto inatteso di La Morra in questo Barolo di assoluta classicità. Colore rubino profondo, mostra un naso selvatico e quasi “misterioso”, con tabacco, cuoio, rosmarino, accenni di pelliccia e di carne, uniti ad un frutto succoso. In bocca è molto sapido, vivace, nervoso, con un tannino ben sostenuto, un’acidità che spinge e dà verticalità e carattere. Un Barolo veramente food friendly.

Barolo Villero 2004 Giacomo Fenocchio Azienda di cui si parla sempre poco, ma i cui vini parlano (abbondantemente) da soli. Da uno dei cru di Castiglione Falletto ecco un Barolo di sicura personalità, rubino di media intensità il colore, naso fresco, vivace, dove un frutto succoso si abbina a note di erbe aromatiche molto caratteristiche. Al palato è fresco, salato, scandito da una vivace acidità che innerva la struttura snella, retta da tannini ben sottolineati e maturi, e rende il vino molto equilibrato, persistente e verticale nel finale.

Barolo Ginestra Vigna Casa Maté Elio Grasso Grande prova, come sempre, per il più classico dei Barolo di questa azienda esemplare. Rubino intenso profondo, sciorina un bouquet variegato, fitto e di salda tessitura, con frutta matura, sottobosco, spezie, tabacco e accenni minerali in evidenza, a comporre un insieme compatto. Una grande struttura tannica, quasi da Serralunga, caratterizza il palato, con grande equilibrio e ricchezza di sapore, un gusto largo, pieno, consistente, di assoluto carattere.

Barolo Margheria 2004 Massolino Rubino intenso, naso intrigante e dolce, con note di lampone, ribes amaretto e melograno, liqurizia nera, accenno cacao grafite. Al gusto bocca piena succosa, ha dolcezza di frutto polputo, tannini vellutati, già molto piacevole con finale pieno di sapore, imponente, che abbina dolcezza eleganza e complessità.

Barolo Ravera 2004 Elvio Cogno Dal miglior cru e dal miglior produttore di Novello un Barolo ben fatto, rubino intenso il colore, profumi intensi e complessi, con frutta matura e note terrose, che esprime il suo meglio al gusto, largo, pieno, ben strutturato, ma di grande freschezza, piacevolezza ed equilibrio, con una buona armonia tra tutte le componenti e un tannino soffice che spicca e rende il vino molto appealing.

Barolo Rocche di Castiglione 2004 Poderi Oddero Un Barolo classico che segna il ritorno di un’azienda storica agli standard qualitativi che le competono. Vivacissimo colore rubino granato si propone con grande freschezza a naso, ma complesso con le sue note selvatiche, di cuoio, tabacco, terra e cacao. In bocca un frutto ben succoso, tannini solidi ma soffici, grande equilibrio e dolcezza, una lunga persistenza ed una notevole armonia.

Barolo Acclivi 2004 Comm. G.B. Burlotto Come sempre giocato sull’eleganza e la piacevolezza questo Barolo ottenuto dai più giovani vigneti di proprietà a Verduno. Rubino di bella vivacità e brillantezza, profumi fragranti e dolci di ribes, lampone e rosmarino, in bocca è sapido, vivo, con una buona consistenza terrosa, un tannino soffice e media persistenza.

Barolo Le Vigne 2004 Luciano Sandrone Sempre elegante e d’ispirazione moderna il Barolo di Sandrone, ma con un’impostazione leggermente più classica. Rubino brillante, naso vivo e compatto, al palato s’impone con una salda struttura terrosa, ricco e caldo, con un tannino un po' ruvido, leggermente alcolico ma di buona complessità e lunghezza.

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Degustazioni

oro della

L’

Valpolicella di Ivana Guantiero

UN

IL

RECIOTO

TEMPO BIANCO

ERA PIÙ PREGIATO DI QUELLO ROSSO PERCHÉ PIÙ ELEGANTE

E PIÙ DOLCE.

SI

CONSUMAVA

SOPRATTUTTO NELLE

GRANDI OCCASIONI.

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Parlare di vino bianco in Valpolicella Classica, terra eletta per i grandi vini rossi, potrebbe ai più apparire un azzardo. Ma se vi dicessero che anche questo vino è un figlio dell’appassimento, croce e delizia del territorio e che anticamente si produceva più Recioto bianco che non rosso? La curiosità è nata girando nelle varie cantine della Valpolicella e vedendo che ogni tanto tra i vini rossi compariva un vino dolce bianco. Alle richieste di maggiori informazioni la risposta era più o meno la stessa: “lo faceva mio padre, lo faceva il nonno, c’è sempre stato il Recioto bianco in Valpolicella”. E infatti ancora oggi girando nei vecchi vigneti in agosto si vedono spuntare pochi grappoli di uva bianca in mezzo alla marea rossa, quasi figli di un dio minore. Da qui due vini differenti ma allo stesso tempo simili, divisi dal colore, ma uniti dallo stesso modo di

intendere il vino, dalle medesime tecniche tradizionali, due figli legittimi della Valpolicella. Quella che segue è una piccola indagine sulle origini del figliolo bianco, ora quasi abbandonato. LA STORIA Pur non esistendo libri che trattino esclusivamente di vini bianchi della Valpolicella, facendo alcune ricerche si scopre che la produzione del bianco in questa valle non era una bizzarria di qualche raro produttore e che appartiene invece alla storia del territorio. Già nel 1800 le cronache narrano di vino bianco, consumato nella stagione calda come vino da pasto oppure come vino dolce. Sempre nel 1800 questi vini vivono un momento di grande splendore; Ottavio Cagnoli, segretario e studioso dell’Accademia Veronese dell’Agricoltura nella seconda metà del secolo, riporta che “or fu un


mese, fu ordinata la spedizione a Parigi di 8 casse di veronesi detti “Costa Calda” e “Costa Calda dolce” giallo a somiglianza del tokaji, di una limpidezza rara nei vini dolci e di una fragranza di nettare”. Si trattava quindi di vini apprezzati e conosciuti anche all’estero, tanto da essere giudicati dagli assaggiatori parigini “supremo vino d’Italia degno di essere preferito a molte qualità di vero Bordeaux e di Hermitage”. (Ottavio Cagnoli, Sulla fabbricazione dei vini in Verona, Giornale agrario lombardo-veneto, agosto 1847). Anche all’inizio del Ventesimo secolo nonostante la grave crisi in cui versava la produzione del vino il Recioto bianco conservava la sua posizione di elezione. Era ancora prodotto secondo tradizione mettendo a riposo assieme uve rosse e bianche, sino a febbraiomarzo. Da queste “rece” bianche, vinificate separatamente a contatto con le loro vinacce, si ottenevano

i vini che andavano a riposare in comuni botti di castagno. Ne usciva un vino dal colore dorato carico, di buona struttura, che andava consumato entro 2-3 anni. Le testimonianze degli anziani ci confermano come questo Recioto bianco fosse considerato più pregiato di quello rosso perché più elegante e più dolce, tanto da essere conservato per le grandi occasioni o più comunemente per il rituale eucaristico. Negli anni Sessanta e Settanta la tecnologia porta ad una netta evoluzione nel metodo di vinificazione. Spariscono i vecchi fusti di castagno, arriva il cemento (più tardi l’acciaio), si inizia soprattutto a vinificare senza le bucce, ottenendo un prodotto meno corposo e meno carico di colore, più fine, elegante e longevo. Viene anche raggiunta una maggior esaltazione dei profumi che diventa preziosa nel caso vengano utilizzate piccole percentuali di bac-

che pseudo aromatiche. Negli anni Ottanta il vino bianco è di moda, la gente vuole “bere bianco” e ciò di riflesso sostiene questa produzione, anche senza potersi fregiare del titolo di “Recioto” bianco, assegnato in esclusiva già nel 1968 alla Doc Soave. Nasce così il nome Passito bianco della Valpolicella (quasi sempre Igt o Vino da tavola del Veneto) anche se gli abitanti del luogo, specialmente gli anziani, faticano ancora oggi ad usare questo nome: per loro è infatti sempre stato il “Recioto bianco della Valpolicella”! Il resto è storia recente, con l’ascesa del fenomeno Amarone a rubare la scena e il lento ripiego delle tipologie dolci. Lo stesso Recioto della Valpolicella, rosso, resta un prodotto a consumo locale. Pochi quindi sono i produttori ancora legati a quello che è stato, per le generazioni precedenti, il vino più pregiato: il fu Recioto bianco. 63


Degustazioni VIGNETI E VITIGNI Da sempre in Valpolicella le uve bianche sono state piantate tra le uve rosse; ancora oggi nei vigneti vecchi di 3040 anni se ne trova qualche filare. Tuttavia il ritmo serrato nel rinnovo degli impianti dell’ultimo ventennio ha ridotto drasticamente questa presenza e oggi quasi nessuno pianta vitigni a bacca bianca, anche per le restrizioni imposte dal Consorzio di tutela della doc Valpolicella. I passiti oggi sono quasi tutti a base di Garganega che qui tuttavia rispetto alle zone del Soave si presenta più rustica, meno produttiva e con grappoli e acini più piccoli. Deriva infatti quasi sempre da vecchi cloni, assai diversi dalle nuove selezioni che sono state reintrodotte ad est. Anche il Trebbiano è molto presente; si tratta del vecchio Trebbiano che i produttori ci descrivono con acini quasi arancioni in maturazione e difficili da diraspare. A questi due vitigni si affiancano alcune varietà autoctone, in particolar modo la Bigolona e il Saorin. La Bigolona, detta anche come Smarzirola per la facilità con cui veniva attaccata dalla Botrytis, era probabilmente l’uva più tradizionale per la produzione del Recioto bian-

co, a cui era interamente dedicata, un po’ come la Molinara lo era per il Recioto rosso. Il suo nome deriva dalla forma allungata del suo grappolo; ottima in appassimento con buccia spessa e acino tondo, conferisce al vino un bel colore giallo con riflessi ramati ed un profumo fruttato, con sentori di spezie, agrumi e frutta tropicale. Il Saorin si presenta invece con un grappolo compatto che anche a maturazione raggiunta risulta verdastro; l’uva è dolce e conferisce al vino una bella acidità che purtroppo decade in fretta apportando al vino molta dolcezza. Altre uve conosciute da tempo sul territorio sono la Bianca di Capriana e la Verdona: oggi nessuno le pianta più e sono a rischio estinzione. Troviamo infine alcune varietà aromatiche o pseudo aromatiche, messe a dimora soprattutto dopo la fillossera e utilizzati nei vini di alcuni produttori: sono Moscato, Malvasia dei Castelli Romani e Fernanda (Cortese).

LA DEGUSTAZIONE Dopo una lunga ricerca abbiamo individuato una ventina di campioni tutti in zona classica. Alcuni sono ancora in commercio mentre per altri abbiamo degustato le ultime annate prodotte prima dell’uscita definitiva dalla produzione. In qualche altro raro caso si tratta invece di nuovi produttori entrati nel mondo del passito bianco con una nuova etichetta. La singolare degustazione ha messo in evidenza interpretazioni molto diverse, e la mancanza di un vero modello di riferimento tra gli stessi produttori. Gli uvaggi sono spesso molto personali con tonalità di colore assai diverse e dolcezze da decise ad appena accennate. Garganega e Trebbiano sono sempre presenti, pur con una personalità molto diversa dalle uve dell’est veronese, per cui spesso a fare la differenza sono anche le piccole percentuali di uve ben più profumate. La diffusa eliminazione della buccia dalla fermentazione offre oggi vini più fini, ma li impoverisce della loro rustica originalità, in parte omologandoli quando interviene anche la barrique per la fermentazione e/o l’affinamento.

Le Preare 2004 - Gamba Gnirega Garganega 50 per cento, Castelli romani e altre uve provenienti da vigneti con più di 30 anni. Le “Preare” sono i vigneti poggiati sulle rocce che trattengono l’umidità e il fresco anche con uno zoccolo di poca terra. Macerazione con le bucce per 15 giorni e solo acciaio per questo vino elegante al naso con delicati sentori di frutta tropicale, fiori di acacia, erbette, salvia dove l’aromaticità delle uve è in primo piano, mentre in bocca la sua diretta freschezza lo rende molto gradevole e bevibile

Piero 2003 - F.lli Farina E’ uno dei pochi prodotto con Garganega in purezza. Sfodera delicati e freschi sentori di agrumi, arance amare, scorzetta di mandarino e cedro, marmellata di fichi, smalti e cere per un profumo piacevole. Elegante, leggero, asciutto in bocca con ottima beva e in primo piano una piacevole sapidità che ne completa il sapore.

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Monte de Luca 2004 - Vaona Odino Per i componenti la famiglia Vaona, viticoltori da sempre, il passito bianco è un cru aziendale; infatti Monte de Luca è un vigneto che si trova in Valgatara ed è caratterizzato da una forte pendenza. La Garganega è presente per il 90 per cento accompagnata dal 10 per cento di Malvasia e Fernanda. Macerazione con le bucce e solo acciaio per un vino decisamente particolare e ricco di personalità i cui profumi vanno dalla pesca alla banana, passando per gli agrumi, i limoni e la menta e una nota di vegetale di bosco che lo rende unico nella sua zona. Al palato si rivela molto fresco e non troppo dolce distinguendosi per l’ottima bevibilità.

Girolamo 2001 - La Giaretta E’ purtroppo un prodotto che verrà eliminato dalla linea aziendale. Man mano che i vigneti caleranno la produzione, le viti verranno sostituite con quelle a bacca rossa. L’uvaggio è molto originale perché oltre ad un 50% di garganega, qui è presente un 25 per cento di Moscato e un insolito 25 per cento di Sauvignon. Intenso e concentrato il colore, complesso al naso con profumi dolci e ampi, sentori di miele, frutta secca, note tostate. Anche in bocca è potente, la freschezza e la dolcezza creano un ottimo equilibrio gustativo. Essendo un 2001, ci conferma la longevità di questi prodotti. Da servire fresco come vino da meditazione.

Le Vigne Bianche 2004 - F.lli Recchia Le Vigne Bianche, invece, è una selezione di Garganega,Trebbiano, Cortese, Malvasia e un po’ di Moscato che provengono da filari di uve bianche che circondano un vigneto di uve rosse, fermentazione con le bucce e affinamento in barrique 18-24 mesi. Un bel colore ramato che richiama la tradizione, profumo aromatico, elegante con note di rosa, violetta, albicocca, nocciola, cera d’api e foglia di tabacco. In bocca pieno, lungo con una bella freschezza e un piacevole finale agrumato. Questa azienda produce anche un altro dolce bianco, il Passito Bianco, più tradizionale, da uve Garganega, Trebbiano, Cortese e Malvasia, con affinamento in botte grande, che rivela un profumo fresco e fruttato ma non dolcissimo, in bocca delicatamente fresco.

Aresco 2003 - Corte Rugolin Garganega, Trebbiano, Malvasia, castelli romani vinificate in bianco e poi due anni di affinamento in barrique è la ricetta di Corte Rugolin. Un giallo oro molto accattivante per un vino potente al naso con sentori di albicocca, miele, caramella d’orzo, vaniglia, lacche, vernici. Anche al palato si esprime con potenza e molta dolcezza anche se non è lunghissimo. E’ un vino piacevole che strizza un occhio al passato e uno al futuro. Corte Rugolin produce anche un altro passito, non disponibile al momento della raccolta campioni e affinato solo in acciaio.

La Tendina 2005 - San Rustico Tutti i vitigni a bacca bianca classici della Valpolicella caratterizzano l’uvaggio di questo passito. Il leggero contatto con le bucce in vinificazione e poi un anno di affinamento in barrique ci danno un vino dal riflesso dorato. Eleganti i profumi di frutta matura e tropicale, dolce sentore di miele, finale con note di tabacco, di arancio candito e ginepro. Perfetta armonia in bocca tra dolcezza e freschezza che ci fa pensare a un vecchio stile interpretato con mano leggera nei legni. Purtroppo per noi ha la tristezza di una epigrafe: il vigneto è già stato estirpato e in cantina sono rimaste le ultime bottiglie.

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Degustazioni

Passito Bianco del Veneto 2005 - Boscaini Carlo Garganega,Trebbiano, Malvasia, Fernanda provenienti da un vigneto di circa 60 anni. Fermentazione con le bucce come un tempo. Per metà affina poi in acciaio e per metà in botte di acacia nuova, prima di essere assemblato. Al naso emerge la nota aromatica data dalla malvasia completata da delicati profumi di agrumi e scorzette di arancia che poi lasciano spazio alla nota dolce della vaniglia e del miele con un po’ di caramella e liquirizia dolce. In bocca è delicato e fresco e con delicato finale di mandorla amara.

Strinà 2004 - Azienda Manara I fratelli Manara hanno deciso di investire nell’antico Recioto per il loro futuro e andando contro corrente hanno piantato uve a bacca bianca; così dal 2000 producono il loro Strinà (l’uva strinà è l’uva appassita in dialetto) con 95 per cento di Garganega e 5 per cento di Moscato giallo. Fermentazione e affinamento in barrique. Il vino ha il colore dell’oro con riflessi ambrati. Profumi coinvolgenti di albicocca matura, fichi , datteri, miele d’acacia e spezie. E’ ben presente la nota aromatica del moscato sia al naso sia in bocca dove si fonde in una dolcezza complessa ed elegante che a lungo rimane nel palato.

Vigna del sette 2005 - Giuseppe Mizzon Garganeg, Verdona, Malvasia e altri vitigni che il Cavalier Mizzon non ci ha svelato, come un mago non svela i suoi trucchi, lasciando a noi il compito di scoprirli. Come ci ha spiegato “ci vogliono molte uve diverse per avere profumi e gusti nel vino” e sicuramente il suo passito rispecchia la sua filosofia, regalandoci un vino intrigante con profumi dolci che spaziano dalla frutta gialla matura, agli agrumi, al miele, alla noce moscata, una delicata sfumatura erbacea e note di salvia e menta. In bocca è un vino pieno e ricco di personalità, morbido e rotondo con una lunga persistenza.

Costa Calda 2003 Domini Veneti - Cantina di Negrar Da sempre paladina delle tradizioni della Valpolicella la Cantina di Negrar difende i vecchi amori dei suoi soci, lotta per il suo passito ed è l'ultimo produttore rimasto di Recioto spumante della Valpolicella. Uvaggio tradizionalissimo con Garganega e Trebbiano toscano e un tocco moderno dato dall’affinamento di 28 mesi in barrique. Si presenta con un brillante giallo dorato. Bouquet elegante con albicocca, banana, fichi e datteri in primo piano per poi lasciar spazio alle note dolci della vaniglia e del miele. In bocca è vino pieno e morbido con una lunga persistenza.

Peagnà 2006 - Tommaso Bussola Dopo due rare produzioni nel 1992 e nel 1997 Tommaso Bussola, “reciotista” riconosciuto, torna a produrre il passito bianco da Garganega, Trebbiano e Chardonnay e da vecchie vigne di Bigolona e Saorin che non ha mai spiantato. Il colore oro antico viene da una parziale macerazione sulla buccia, a cui segue un lungo affinamento in barrique nuove per ben 19 mesi. Al naso nessun cedimento al rovere, oltre alle confetture bianche ci regala una finezza intensa di orzo e rabarbaro, un tocco minerale, le note eteree. Ha solo 13.5° di alcool ed è morbidissimo in bocca. La possanza della struttura accompagna lungamente il piacevole finale.

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Piccole Doc

L’ultima battaglia DA

SEMPRE NEL

BRESCIANO

SI PRODUCE UNA

DOC

“VECCHIO” TOCAI: ITALIA, ALCUNI

CON IL

ORA CHE UN DECRETO VIETA L’UTILIZZO DEL TERMINE IN

PRODUTTORI SUL RETRO ETICHETTA HANNO STAMPATO UN PUNTO DI DOMANDA

di Laura Pacchioni a Desenzano del Garda a Peschiera, da Sirmione a Valeggio sul Mincio, nelle notti serene si nota dall’entroterra un fascio di luce a tre colori, prima rosso, poi bianco, poi verde e così via: è la torre di San Martino della Battaglia che dall’alto dei suoi 74 metri tutti i giorni e tutte le notti ci chiede di non dimenticare. Il 24 giugno 1859, duecentomila soldati, i piemontesi di Vittorio Emanuele II, i francesi di Napoleone III e l’esercito austriaco si scontrano proprio qui, nelle campagne intorno a San Martino, su un fronte che si estende per 15 chilometri fino a Solferino. Si fermeranno solo dopo 14 ore di lotta di una ferocia inimmaginabile ai giorni nostri, un corpo a corpo fino alla morte. E’ la Seconda guerra di indipendenza. La carneficina di tali proporzioni convince Napoleone III a firmare l’armistizio: l’Austria gli cede così la Lombardia, lui come da accordi la gira al regno di Sardegna, ovvero le basi per l’imminente unità d’Italia. Henry Dunant, umanista, imprenditore e filantropo svizzero, si trova anche lui in quelle zone per conferire con Napoleone III e davanti a uno spettacolo così orribile di sangue e morte, si rimbocca le maniche, adibisce qual-

D

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di

San Martino

L La storica torre di San Martino della Battaglia

siasi luogo, chiesa o fienile che sia a infermeria, recluta la popolazione per aiutare tutti i feriti indipendentemente dalla loro nazionalità: “Il sole del 25 illuminò uno degli spettacoli più orrendi che si possano immaginare”, dirà Dunant. Nasce in lui l’idea di creare una società di soccorso volontario in ogni Stato con il compito di organizzare e addestrare squadre per l’assistenza dei feriti in guerra, con feriti e personale sanitario da considerarsi neutrali e protetti da un distintivo comune. Proprio a lui viene assegnato il premio Nobel per la pace nel 1901, il primo in assoluto. Vengono così messe le basi anche per la Croce Rossa. Ecco cosa ci chiede di non dimenticare la torre di San Martino, frazione del comune di Desenzano del Garda, in provincia di Brescia. Ora per fortuna il paesaggio intorno alla torre è decisamente cambiato: le viti si offrono generose alla vista e al sole che scalda timidamente le vigne. La torre veglia su di loro e conferisce un senso di pace. Qui c’è una delle più piccole Doc d’Italia, il San Martino della Battaglia per l’appunto, 30 ettari in tutto coltivati a Tocai (anche se non si potrebbe più chiamarlo così) per ottenerne vini bianchi secchi e liquorosi. L’azienda che spicca è la “Selva Capuzza” di Vincenzo Formentini, enologo della scuola di Alba, che lavora con i suoi i figli: Luca si occupa della cantina e Fabio del ristorante. E’ una famiglia che si è dedicata da sempre alla viticoltura, alla valorizzazione del territorio, sono stati i primi in Lombardia ad aprire l’agriturismo in campagna, andando contro i pronostici negativi di tutti quelli che non credevano nello sviluppo dell’entroterra gardesano. La Cascina Capuzza offre una cucina semplice ma curata, con particolare attenzione ai prodotti stagionali,alla pasta fatta in casa, il tutto accompagnato dai vini dell’azienda e servito in una antica cascina del XV secolo circondata dai loro vigneti. Selva Capuzza è il nome della località geografica dove sorge l’attività: il nome descrive la caratteristica posizione di “cappuccio” che la vede sulla sommità della collina poco distante dal “roccolo” dove venne eretta la torre di San Martino della Battaglia. Le colline sono basse ma importanti per il loro influsso microclimatico. Sono state formate dallo scioglimento del ghiacciaio che originò la sede del lago di Garda e sono costituite da un terreno di roccia con un basso strato di ghiaia. La famiglia Formentini ha preso particolarmente a cuore la salvaguardia del vitigno Tocai: tipicamente friulano, pare che sia arrivato fin qui con i friulani quando sostavano da queste parti portando le vacche in transumanza. Gli ettari coltivati a Tocai sono in diminuzione: è infatti un vitigno più difficile da coltivare rispetto alle altre varietà presenti nella zona, ha una resa per ettaro più bassa, l’acino è piccolo e la buccia è sottile, la maturazione è precoce, il mosto ha un buon tenore zuccherino e un’acidità piuttosto bassa; la produzione è limitata, circa tremila bottiglie.

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Piccole Doc

“Sul suo futuro - dice Luca Formentini - pesa l’incognita di un vitigno senza nome. Eppure proprio da qui viene prodotto il Campo del Soglio 2006, un vino che recentemente ha portato per la prima volta la bandiera della Doc San Martino della Battaglia nella lista dei migliori vini d’Italia a meno di otto euro”. Questa di San Martino è un’area carica di vicissitudini storiche dove nel 1970 contemporaneamente alla Doc Lugana è stata istituita la Doc che ha ufficializzato la produzione di un vino da sempre e storicamente ottenuto dalla coltivazione di uve Tocai, difficile ma apprezzatissimo vitigno che qui è riuscito a mettere radici grazie alle particolarissime condizioni pedo-climatiche dell’area. “Oggi il paradosso: il decreto ministeriale dello scorso aprile – dice Formentini - ha vietato l’utilizzo del termine Tocai per produzioni vinicole italiane e dalla vendemmia 2007 anche noi dovremo adeguarci a questa norma, sostituendo magari il nome Tocai con Friulano che rischia di creare ulteriore confusione geografica”. Il Campo del Soglio 2006, imbottigliato tre giorni prima dell’entrata in vigore del decreto, riporta ancora nel retro l’etichetta con la dicitura Tocai. “Viene prodotto solo nelle annate giudicate ottimali da uve raccolte a mano in vigneti che in termini produttivi non superano gli 80 quintali a ettaro. Fermentazione a basse temperature ed affinamento avvengono in vasche d’acciaio, l’imbottigliamento è previsto in anticipo sui mesi caldi primaverili. Il risultato? Un vino che in tempi di eccessi ed arroganze, preferisce parlare a bassa voce”, ci dice Formentini. Dalle stesse uve viene prodotto anche un vino passito, il Lume che però viene commercializzato come vino da tavola in quanto non rientra nel disciplinare a causa della bassa gradazione alcolica. Per il Lume la vendemmia è anticipata, l’appassimento naturale avviene in cassette in solaio, col solo aiuto della ventilazione; gli acini attaccati dalla muffa vengono scartati. Lume è un vino intrigante: archetti vicini e lenti, color dell’oro, dolce ma con una nota particolare che ti invita al riassaggio per capirlo meglio. Alcuni dicono guscio d’arachide, altri mallo di noce, oppure corteccia, o ancora asparago! Bisogna provarlo per immergersi in questo nettare fresco, ben equilibrato, mai stucchevole; la bocca rimane piacevolmente pulita e impaziente per l’assaggio successivo.

“A Lonato - 5 leghe a est di Brescia – si prepara un vino liquoroso celebre in Italia: ha il colore dell'oro, dolce senza essere acre né vuoto, grande finezza ed un profumo molto soave... il vino che si paragona al Tocai e che si dice essere superiore al vino di Cipro, è la ricchezza dei vigneti della bassa Riviera (del Garda)” (“Topographie de tous les vignolese connus” di A. Julien – Parigi 1822)

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L I vigneti e la storica torre

Ed è proprio qui, nel comune di Lonato sempre nel Bresciano, che troviamo l’altra azienda di spicco di questa piccola Doc, la Cascina Spia d’Italia. La Spia d’Italia, nata nel 1700 come casino di caccia del Palazzo Gerardi di Lonato, è posta sulla sommità di una collina che ospitò, durante le battaglie di San Martino e Solferino, il quartier generale dell’esercito piemontese. Il suo nome deriva dal fatto che, dall’alto, la pianura ed i movimenti dei nemici si vedevano, o meglio, si “spiavano” benissimo. I vigneti situati sulle assolate e ventilate colline moreniche che dominano il Lago di Garda, il suolo calcareo arido e sassoso , la giusta esposizione, le rese per ettaro volutamente basse garantiscono uve armoniosamente mature; un’attenta lavorazione, ancora artigianale, consente di trasformarle in pregevoli e caratteristici vini prodotti con attenzione da Andrea Guetta. L’azienda vinicola è immersa nei vigneti e circondata da un ristorante enoteca, circolo ippico, scuola pony. Viene prodotto un San Martino della Battaglia secco, il Campo dell’Erta e uno liquoroso, il Gefide. L’affinato esce ora con l’annata 2004 dopo una sosta di ben tre anni in acciaio: alla degustazione si presenta paglierino carico con lacrime lente che tradiscono la sua morbidezza. I profumi primari sono praticamente assenti, anche se si nota una bella nota di glicine accompagnata da una forte mineralità con piacevole sapidità finale. La persistenza è lunga, con ricordi di mandorla amara. Il Gefide prodotto da vendemmia tardiva, metà-fine ottobre, con un’attenzione particolare alla selezione degli acini migliori e con l’intenzione di utilizzare la minor solforosa possibile. Questo vino è stato premiato con l’oscar della Douja d’or di Asti nel 2006 per l’annata 1999. L'uva è raccolta in cassette e ancora selezionata. Il mosto – dopo una parziale macerazione a freddo - viene estratto con una pressatura molto soffice e, debitamente pulito, è raffreddato fin quasi a zero gradi: a questa temperatura si avvia una lentissima fermentazione. La raffinata tecnica di produzione prevede anche un lungo affinamento e l'aggiunta di una percentuale dal 10 al 15% di vino di annate precedenti tenuto in barrique consente di mantenere alcuni profumi ed aromi primari dell'uva di Tocai. Degustando proprio l’annata del 1999, ci troviamo davanti ad un vino di colore dorato intenso: spicca subito l’alcolicità per poi lasciare spazio alla frutta candita, all’albicocca disidratata, ancora frutta secca. Quasi si mastica nella lunga persistenza lasciando in bocca un piacevole sentore di zucchero di canna. Il totale delle aziende che producono il San Martino della Battaglia si contano veramente sulle dita di una mano: quelle mancanti sono Citari, l’Azienda Agricola Pellizzari, la Cantina della Valtenesi e della Lugana. I fratelli Avanzi producono solo la tipologia liquoroso. Per cadere nel luogo comune, pochi ma buoni, con la speranza che il loro vero nome non venga spazzato via da un altro decreto ministeriale. Non servono i grandi nomi per produrre vini di qualità. Occorrono produttori seri e appassionati. Una ultima annotazione: il vitigno del San Martino della battaglia è orfano di nome. Per sdrammatizzare, il Campo del Soglio uscirà con l’ologramma di un punto interrogativo in retro etichetta al posto del nome del vitigno. E’ l’ultima battaglia di San Martino.

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Oli d’Italia

Quando l’assaggio rende l’olio migliore di Luigi Caricato meriti vanno ampiamente riconosciuti. La grande fortuna dell’olio extra vergine di oliva la si deve anche a coloro che si sono occupati del prodotto in virtù di un approccio tutto rivolto alla sensorialità. Scrutare e individuare il profilo organolettico di un olio appare oggi una pratica po’ scontata, perché ormai ci si è abituati all’idea che gli oli vadano degustati, per valutarne bontà e freschezza. Ma provate invece a immaginare la situazione di un tempo, non molti anni fa, quando l’olio veniva giudicato solo dal punto di vista analitico. Sono trascorsi anni, non molti, quelli necessari per imprimere una svolta al settore. Per esempio, venticinque anni fa alcuni pionieri liguri di Imperia decisero di costituire un’associazione di assaggiatori. Questa è l’Onaoo, il cui acronimo si traduce in Organizzazione nazionale assaggiatori oli di oliva. Da allora, questo gruppo di degustatori professionisti si è ormai consolidato e festeggia l’evento con grande soddisfazione e orgoglio. Io mi unisco a loro, anche perché si tratta di un momento significativo da ricordare. Perché è proprio grazie a loro che si è mosso qualcosa nel campo degli oli di oliva. Ricordate quando nacquero i sommeliers dell’Ais nel 1965? Anche in quel caso il contributo reso al vino è stato spettacolare e determinante per il successo dell’intero comparto vitivinicolo. Un sentito grazie va dunque a quanti hanno creduto fino in fondo all’idea che i frutti della terra – l’olio, il vino e quant’altro – non siano solo e semplicemente pura merce e che conosciuti dal di dentro, al di là dunque dei riscontri di laboratorio, presentano un profilo peculiare e unico. Oltre ad essere apprezzati, i panel d’assaggio sono anche avvertiti come necessari, se non addirittura fondamentali. Nel caso degli oli di oliva a Denominazione di origi-

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Fabrizio Vignolini e Marcello Scoccia, rispettivamente Direttore e Vicepresidente dell'Onaoo

ne protetta, la legge richiede l’approvazione di un panel riconosciuto. L’extra vergine non è più tale soltanto dal punto di vista chimico-fisico. L’acidità libera può essere in regola, e così pure altri parametri, ma l’olio dovrà superare il giudizio di un panel. Attraverso l’analisi organolettica si riscontreranno i pregi, come pure le sensazioni olfatto-gustativo-tattili sgradevoli. Ed è in quest’ordine di idee, tra l’altro, che dal primo ottobre 2008 va applicato il nuovo testo con cui l’Unione europea ha modificato il regolamento storico del 1991, attualizzando il metodo di valutazione sensoriale. E pensare – tanto per farsi un’idea – che nel 1983, quando ancora in pochi capivano la necessità dell’assaggio, l’Onaoo anticipò di molto le stesse istituzioni, delineando in anticipo sul resto nel mondo la via ufficiale della degustazione professionale. Onore e meriti dunque all’Onaoo, e in particolare al gruppo dei fondatori, come a quanti ne fanno attualmente parte. Perché, in fondo, il miglioramento della qualità degli extra vergini è derivato anche dalla capacità di leggere un olio attraverso il ricorso alle tecniche di degustazione, evidenziandone con ciò il profilo sensoriale di riferimento. La qualità non è mai frutto d’improvvisazione.


GLI ASSAGGI Fondo Bre’, Dop Garda orientale da olive in prevalenza Casaliva e altre autoctone. Nel bicchiere Giallo dai riflessi verdolini tenui, alla vista è limpido. Al naso si presenta con toni fruttati leggeri, sentori mandorlati e connotazioni vegetali. Al palato ha buona fluidità e armonia, amaro e piccante lievi, gusto vegetale. In chiusura il ritorno della mandorla, con note di mela e una morbida punta piccante. L’abbinamento Crema di avena, porri e semi di finocchio; pasta alle zucchine e menta; tagliata di manzo con salsa di capperi. Azienda agricola Marchese Guidalberto di Canossa, distribuzione Fratelli Turri, strada Villa 9, 37100 Cavaion Veronese (Verona), tel. 045.7235598, turri@turri.com, www.turri.com

Privilegio è un blend di olive in prevalenza Frantoio e per la restante parte di Leccino, Moraiolo e altre varietà minori. Nel bicchiere Giallo oro dalle tonalità verdi, è limpido alla vista. Ha profumi fruttati di media intensità, con sentori vegetali di carciofo e lattuga. In bocca è armonico, con toni mandorlati e vegetali, l’amaro e il piccante in equilibrio e una sensazione generale di morbidezza. In chiusura le erbe di campo e la mandorla. L’abbinamento Spaghetti con pesto al sedano; gratin di patate, branzino con salsina di carote. Consorzio Produttori Olio delle Colline di Pisa, piazza Brunner 2, 56030 Forcoli (Pisa), tel. 0588.33233, info@olioprivilegio.com, www.olioprivilegio.com

San Giuliano da agricoltura biologica, è un blend di olive Bosana, Semidana e Frantoio. Nel bicchiere Giallo dorato con riflessi verde chiaro, è limpido alla vista. Al naso note fruttate di media intensità e netti sentori di erbe di campo. Al gusto è morbido e vellutato, sapido, con buona fluidità e potere condente, amaro e piccante in ottimo equilibrio. Percezione di carciofo, mela matura e punta piccante in chiusura. L’abbinamento Risotto con crema di zucchero e zenzero; insalate di sedano e arance; costolette di vitello con funghi. Domenico Manca, via Carrabuffas, loc. San Giuliano, c.p. 56, 07041 Alghero (Sassari), tel. 079.977215, info@sangiuliano.it, www.sangiuliano.it

L’olio di Mena Aloia è un monovarietale di Oliva nera di Colletorto. Nel bicchiere Giallo dorato dai toni verdolini intensi, alla vista è limpido. Al naso si apre con profumi vegetali, puliti e freschi, con chiari sentori di carciofo. Al palato è morbido, con note equilibrate e sapide di amaro e piccante nella media. In bocca ha una buona fluidità e una sensazione vellutata. In chiusura la mandorla dolce. L’abbinamento Insalata di grano saraceno al basilico; zuppa di cipolle e cavolo; petti di faraona al radicchio. Azienda olearia Aloia, via Marconi 259, 86044 Colletorto (Campobasso), tel. 0874.730307, info@olioaloia.it, www.olioaloia.it

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Birra di qualità

Martino Zanetti, torrefattore e birraio di Maurizio Maestrelli

imprenditore che ha portato al successo internazionale il marchio Hausbrandt ha anche un debole per la birra che porta il nome di uno storico quartiere della città di Trieste. Oggi Theresianer è una realtà che coniuga il rispetto per la tradizione e la qualità con le più moderne tecnologie Per molti anni l’Italia ha avuto un pugno di grandi aziende birrarie, quasi tutte oggi però di proprietà di grandi gruppi internazionali. Peroni, Wuhrer, von Wunster, Dreher sono gli esempi più noti. Da qualche tempo a questa parte invece sono state avviate delle avventure che, se da un lato si distinguono dai microbirrifici artigianali, dall’altro stanno rispolverando l’albo d’oro delle imprese nazionali che uniscono la dimensione famigliare alle risorse tecnologiche dell’azienda moderna. Theresianer (www.theresianer.com) è una di queste avventure. È stata voluta da Martino Zanetti, imprenditore noto ai più per il marchio di caffè Hausbrandt, che si è fatto affascinare dal magico mondo delle fermentazioni e, in modo particolare, da una ricetta antica ma che sembrava destinata a una triste estinzione. La ricetta in questione è quella della Vienna, uno stile messo a punto nella città omonima e che ha la sua peculiarità principale nell’essere frutto di una selezione di monomalto, il Vienna appunto. Infatti, la maggior parte delle birre che consideriamo “rosse”, ma che si devono definire correttamente “ambrate”, sono realizzate con una varietà di malti differenti. La Vienna invece è una rara eccezione. A Theresianer il merito di averla resuscitata dopo un’attenta ricerca bibliografica a caccia della ricetta originale. Questa birra, di 5,3% vol, ha un colore ramato e una elevata intensità olfattiva, ma colpisce soprattutto per il suo grande equilibrio tra la dolcezza, datale dal malto, e l’amaro del luppolo. Si presta bene a degli abbinamenti con carni rosse, ma si può sperimentare anche su alcuni dolci, anche a base di cioccolato. Se la Vienna rappresenta il fiore all’occhiello della produzione Theresianer, guidata oggi dal giovane e appassionato Christian Romano e supervisionata da una celebrità del settore come Tullio Zangrando, altre birre della gamma non sfigurano certamente. In primis la notevole Premium Pils, fine e profumata, dal corpo leggero e dall’amaro pronunciato ma non invasivo. Il che la rende più gradevole alla maggioranza dei palati italiani spesso in difficoltà con le dosi extra di luppolo fresco. Interessante la Premium Lager e degne di una menzione particolare le due ale di scuola britannica e di alta fermentazione: se la Pale è la classica birra da bere quando si ha sete, ma si accompagna ottimamente a carni bianche, primi piatti e alcuni salumi “dolci”, la Strong ha una gradazione alcolica importante, 8,5% vol, e note aromatiche che spaziano dalla frutta secca al caffè tostato. È una birra certamente impegnativa ma che regala soddisfazioni, sia in abbinamento, con formaggi stagionati ad esempio,

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L Martino Zanetti

L Tullio Zangrando

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L Lo stabilimento Theresianer

sia come “nightcap”, per dirla all’inglese, ovvero in beata solitudine prima di ritirarsi sotto le coperte. Una produzione dunque di tutto rispetto, alla quale va poi aggiunta l’ultima nata ossia la Weizen la cui ricetta è, in queste settimane, oggetto di ridefinizione. Ma la qualità del lavoro nelle varie cotte e la scrupolosa selezione delle materie prime, malti e luppoli, fa capire che il team di Theresianer vuole lavorare sulla sostanza, costruendo basi solide per assicurarsi un futuro certo. La produzione si aggira oggi sui 25 mila ettolitri l’anno e sebbene l’aumento progressivo si aggiri sul 10 per cento annuo, le intenzioni sono quelle di raggiungere il traguardo oltre il quale non andare con la quota 50 mila. “Il nostro desiderio”, ha spiegato recentemente lo stesso Tullio Zangrando, “è quello di collocarci a metà strada tra la dimensione artigianale e la realtà industriale. Senza perdere di vista quello che rimane il parametro fondamentale: la migliore qualità possibile”. Intanto, come tutte le storiche birrerie sparse in Europa, Theresianer può contare su una fonte d’acqua propria, su un laboratorio interno nel quale sono fatte tutte le quotidiane verifiche e su un canale di vendita che rimane esclusivamente quello dell’Horeca. Enoteche, bar, ristoranti, insomma. E ristoranti di altissimo profilo ad esempio come quello di Carlo Cracco a Milano che, da qualche tempo a questa parte, ha scommesso proprio sulla Theresianer per stupire i suoi clienti con abbinamenti e ricette creative. Il suo dessert “Cannolo di zucchero con crema di gianduia e Strong Ale Theresianer” oltre a rappresentare una gran bella gratificazione per il lavoro dei birrai dello stabilimento di Nervesa della Battaglia, provincia di Treviso, è anche un esempio di come la birra possa sposarsi alla cucina in senso lato senza i soliti “paletti” dell’abbinamento etnico o da Oktoberfest. Il successo della Theresianer, inoltre, è la conferma di una nuova consapevolezza del consumatore medio, sempre più aperto alle sperimentazioni e sempre più refrattario a mille luoghi comuni che esistono, e resistono, in campo birrario. Per Martino Zanetti insomma, si tratta di una scommessa vinta tanto che alle birre Theresianer ha affiancato anche il Bierbrand, un distillato di birra che costituisce con i suoi 41% vol un piacevole diversivo ai calici da sorseggiare dopocena. All’elenco adesso potrebbe mancare quello che sarebbe un vero e proprio matrimonio dei sensi in casa Zanetti, ovvero una birra al caffè sulla scia di alcune interpretazioni già realizzate con successo dagli intraprendenti microbirrifici artigianali americani. Anche in Italia qualcuno ci ha già provato, il Le Baladin di Teo Musso. Una birra al caffè firmata Theresianer costituirebbe la quadratura del cerchio: quando li abbiamo interpellati, sul tema alla Theresianer hanno fatto un po’ i misteriosi. Ma dal sorriso appena accennato di Zangrando e Romano abbiamo intuito che almeno loro ci hanno già pensato…

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Distillati

Nella patria del

whisky

di Angelo Matteucci a Scozia è meta turistica di chi è alla ricerca di un mondo che, pur a noi vicino, vediamo sempre meno. Qui si possono trascorrere magnifiche giornate in aperte brughiere o in caratteristici villaggi visitando antiche chiese, pub tradizionali ed incontrare gente pronta a discorrere. Gli argomenti più ricorrenti sono il clima, non troppo favorevole in Scozia e la tranquilla vita delle Highlands rispetto al caos delle città. Se si parla di whisky, la vera bevanda nazionale, è facile veder fiorire una spontanea reciproca simpatia corredata da molteplici consigli su quale scotch whisky bere, blended o single malt. In molti casi si avranno particolari, a volte inediti, della vicina distilleria probabilmente visitabile. Di fatto, in Scozia ve ne sono quasi un centinaio distribuite nelle varie regioni. In passato le distillerie non erano attrezzate per ricevere visitatori ed i funzionari erano restii ad aprire i battenti se non in casi speciali. La maggior parte del crescente turismo in Scozia era ed è nei mesi di luglio ed agosto, periodo che spesso era riservato alla manutenzione degli impianti. Solo un pugno di distillerie erano pronte a ricevere il pubblico soprattutto nella regione Speyside presso Inverness e tra queste citiamo Glenfiddich con la maggiore capacità produttiva, che svolge al suo interno l’intera filiera escluso il maltaggio. The Glenlivet ha anch’essa buona affluenza di pubblico con una visita accurata dividendo i grandi gruppi a non più di 12 persone per hostess. Negli ultimi anni le cose sono cambiate al punto che oggi possiamo visitare ben 47 distillerie sulle 93 attualmente operanti spesso anche in piena estate. Si ha quindi l’opportunità di visitarne alcune in molte parti della Scozia. I centri visitatori sono diventati efficienti luoghi di ristoro e le visite agli impianti permettono di apprendere le elementari nozioni della distillazione, con l’opportuna bevuta di un single malt ed acquistare souvenir e bottiglie speciali non presenti sui mercati esteri. Glen Grant è il giusto esempio dove si seguono le varie fasi di produzione come nelle altre distillerie con la peculiarità di una speciale apparecchiatura che agevola il riflusso di parte del vapore alcolico, funzione essenziale per rendere più fine il distillato. Inaugurato recentemente, il nuovo centro visitatori rende ancora più

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Vista panoramica di Inverness

L'Isola di Skye

accogliente il ricevimento. Il giardino che dalla distilleria sale sulle pendici della collina sovrastante è una particolare oasi tranquilla, bellissima, creata nel 1885 dal Maggiore James Grant, figlio di uno dei fondatori. E’ tra i migliori giardini di Scozia ed attrae, al pari della distilleria, un grande numero di visitatori. Se si vuole conoscere meglio ogni fase di distillazione, all’apparenza uguale per tutte le distillerie ma in realtà con fasi ed operazioni specifiche per ciascuna che rendono il prodotto finale unico nel suo genere, consigliamo di soddisfare la propria curiosità visitandone più di una per approfondire il più possibile la personale conoscenza. La distilleria Glenfarclas, tra le prime ad aprire ai visitatori, è un magnifico esempio di conduzione familiare giunta alla sesta generazione. Di fatto appartiene alla stessa famiglia dal 1885 ed è l’unica ad avere una serie ininterrotta di single malt whisky disponibili dal 1952 al 1994. Macallan ha anch’essa molto da dire in merito alla differenza avendo una produzione particolare che unisce la speciale qualità di orzo alla prescelta miscela di lieviti selezionati ed all’invecchiamento in barili di rovere di tre tipologie differenti. Chi raggiunge le isole Orcadi potrà visitare Highland Park un magnifico esempio di lavorazione artigiana che comprende parte del maltaggio effettuato in distilleria. Chi invece ritorna a sud sulla strada settentrionale potrà trovare l’antica distilleria Oban, costruita presso l’omonimo villaggio di pescatori che da tempo è diventato città. E’ tra le poche distillerie con due soli alambicchi, una per ciascuna distillazione. Scendendo più ad est nel cuore delle Highlands si incontrano Aberledy con i grandi alambicchi, circondata da prati erbosi e Edradour, fino a pochi anni fa la più piccola distilleria di Scozia che attrae 100.000 visitatori l’anno. La visita alle isole Ebridi permette di conoscere Talisker sull’isola vulcanica di Skye che, come altre distillerie isolane, è costruita sulle rive del mare che dona un’impronta indelebile ai single malt distillati ed invecchiati nei magazzini adiacenti. Sull’isola di Islay si trovano 8 distillerie. Bowmore, che cura direttamente il maltaggio di parte del fabbisogno ed invecchia i suoi malti sulle rive dell’oceano atlantico, addirittura in un magazzino sotto il livello del mare. Lagavulin, la distilleria che come poche altre lavora a pieno ritmo per soddisfare le richieste, si trova nella valle omonima. Nella vicina baia vi è Laphroaig che tra le molteplici caratteristiche può vantare di avere avuto, in un mondo maschile, per 18 anni alla sua direzione Mrs. Williamson Campbell manager di altissimo valore. Proseguendo si incontra Ardbeg, che dopo un periodo silente ha ripreso la produzione. Presso l’accogliente centro visitatori sono serviti piatti locali durante la pausa pranzo. Caol Ila, la maggiore produttrice dell’isola, ristrutturata negli anni Settanta ha una grande vetrata sul mare che permette la visione degli alambicchi anche dall’esterno. I single malt prodotti dalle elencate distillerie di Islay sono definiti “torbati”. Sull’isola vi sono altre distillerie che producono malti senza sentore di torba. Ci riferiamo a Bunnhabhain, sulla punta estrema dell’isola e raggiungibile con una strada tortuosa e Bruichladdich ritornato di proprietà scozzese dopo decenni di inattività ed ora una delle distillerie più attive con varie tipologie di malto. Vi è anche la nuova (aperta nel 2005) micro distilleria Kilchoman che opera in una fattoria. Un viaggio sull’adiacente isola di Jura permette la visita alla distilleria omonima in una baia riparata dal clima particolarmente mite. Sulla terra ferma citiamo Springbank a Campbeltown produttrice di malti di qualità differente. Infine alle porte di Glasgow si può visitare la distilleria Auchentoshan, l’unica che utilizza l’antica triplice distillazione e a pochi chilometri a sud di Edimburgo si trova Glenkinchie con un grande alambicco ed altri più ridotti e con il magnifico museo. Il Single Malt Club of Scotland (www.singlemaltclub.it) creato in Italia nel Duemila è un fondamentale punto di riferimento per approfondire la conoscenza generale e particolare di questo stupendo mondo.

Da sinistra: La direzione e gli uffici Macallan Distillery, il centro visitatori Glenfarclas Distillery e la sala accoglienza Glenfarclas Distillery 77


Acqua

Acqua,

impariamo a degustarla di Davide Oltolini

LE

DIVERSE

SENSAZIONI GUSTATIVE SONO CONDIZIONATE DALLA TEMPERATURA DI SERVIZIO CHE È DI DIECI GRADI PER LE EFFERVESCENTI E DI DUE GRADI SUPERIORE PER QUELLE PIATTE

78

ecenti indagini collocano il nostro Paese al primo posto assoluto della classifica mondiale per consumo pro-capite di acqua minerale. L’Italia, tra l’altro, rientra tra quelle Nazioni con il più elevato numero di sorgenti sul territorio, le quali rappresentano, indubbiamente, un invidiabile patrimonio anche dal punto di vista storico e culturale. Attualmente un numero di locali e ristoranti sempre crescente inizia a proporre, almeno ad una parte della propria clientela, la cosiddetta “Carta delle acque”. La scelta di queste ultime risulta, però, quasi esclusivamente legata a tematiche di marketing, anziché alle caratteristiche fisico – chimiche delle stesse, trascurando,

R

L Davide Oltolini durante una degustazione


così, gli importanti aspetti “dietetico – terapeutici”, ma anche quelli della piacevolezza organolettica. Come accadeva sino a non molti anni orsono per il vino, per il quale l’alternativa proposta nei vari locali era solamente quella tra bianco o rosso (in alcune zone denominato nero), oggi la scelta dell’acqua si riduce all’opzione tra “gassata” e “naturale”, termini, tra l’altro impiegati in modo decisamente improprio, che non permette di valorizzare le caratteristiche degli oltre 300 differenti prodotti presenti sul mercato. A questo proposito, può essere utile ed interessante, per operare una scelta il più possibile consapevole, richiamare le tecniche che, come accade ad esempio per il vino, l’olio ed il formaggio, presiedono all’analisi sensoriale delle acque, anche se la loro identificazione comporta, forse, una maggiore difficoltà rispetto ad altri prodotti. Tale difficoltà consiglierebbe, almeno per l’assaggio professionale, la sua esecuzione in ambienti il più possibile neutri, privi di particolari odori e ben illuminati. Sarebbe, inoltre, auspicabile, per l’assaggiatore, evitare l’impiego di profumi, dopobarba, nonchè il lavaggio delle mani con saponette dai sentori decisi, i cui aromi tendono, inevitabilmente a confondere i sensi. Lo stesso motivo per il quale andrebbe evitato il fumo, l’assunzione di cibi, immediatamente prima dell’assaggio, e quella di bevande, tra le quali, in particolare, il caffè. La prima fase della degustazione è, ovviamente, quella dell’esame visivo. Tale operazione consente la valutazione della limpidezza e della trasparenza delle acque, la quale, nel caso delle acque minerali, è una peculiarità espressamente prevista dalla legge. Nessuno, presumibilmente, si cimenterebbe nell’assaggio di acque torbide o che, comunque, evidenzino eventuali particolarità cromatiche. Queste, infatti, potrebbero stare ad indicare la presenza di sostanze in sospensione. La trasparenza può essere definita al meglio anche attraverso una scala di valori al cui apice vengono poste le definizioni di “cristallino” e di “brillante”. Per quanto riguarda la tipologia delle acque effervescenti si procede anche alla valutazione della finezza e della persistenza delle bollicine, il cosiddetto “perlage”. Esistono numerosi tipi di “perlage”, anche a seconda della quantità di gas presente, che

rivestono, tra l’altro, un ruolo rilevante nella definizione delle caratteristiche gustative della bevanda. La seconda fase della degustazione riguarda l’esame olfattivo. Tramite questa fase si procede all’identificazione dei tenui sentori che possono costituire il bagaglio olfattivo di un’acqua, spesso donatole dalle rocce presenti, come le calcaree o le tufacee, nel luogo di provenienza. Durante questa fase si procede, però, anche all’individuazione di eventuali note particolari come, ad esempio, quelle di cloro e di zolfo, nonchè a sentori negativi come la “terra umida” ed altre note poco piacevoli imputabili, spesso, alla cattiva conservazione. A queste si affiancano le problematiche originate dal contenitore, come il lieve sentore dai richiami “dolciastri” che può esser dovuto all’impiego del PET. Grande importanza è, poi, riservata all’esame gustativo. Le sue risultanze dipendono, essenzialmente, dalle sostanze che nelle acque risultano disciolte, nonché dalla presenza o meno di CO2, una caratteristica già precedentemente valutata durante l’esame visivo. La presenza, o meno, di gas consente di identificare e classificare due diverse categorie principali, ovvero, le acque “piatte” o “lisce” e le acque addizionate di anidride carbonica. Queste ultime detengono, tra l’altro, un maggiore potere dissetante, oltre ad essere in grado di favorire la digestione. Durante questa fase viene, inoltre, valutato il livello di intensità dei quattro sapori fondamentali: dolce, acido, salato ed amaro (tralasciando al momento l’umami), che è determinato dalla tipologia di sostanze presenti, come ad esempio il calcio che può donare una sorta di tendenza dolce, e dalla loro quantità (acque minimamente mineralizzate, ovvero con un residuo fisso non superiore a 50 mg/l, oligominerali o leg-

germente mineralizzate con un residuo fisso compreso tra 50 e 500 mg/l, mediominerali dal residuo fisso compreso tra 500 e 1.500 mg/l e ricche di sali minerali dal residuo fisso compreso tra 1.500 e 3.000 mg/l). Le acque con un residuo limitato, di soli pochi milligrammi, appaiono meno identificabili, se non, addirittura, prive di identità. Le diverse sensazioni gustative sono, inoltre, condizionate in maniera non irrilevante dalla temperatura di servizio, che si ritiene debba essere all’incirca di 10 gradi per le acque effervescenti e di due gradi superiore per quelle piatte, anche se c’è chi indica, per queste ultime, una temperatura ideale di 14/15 gradi. Per la valutazione della gradevolezza di un’acqua è necessario considerare anche il livello di bilanciamento delle sue diverse sensazioni gustative e di altre caratteristiche, quali ad esempio il ph. Il giudizio sulla gradevolezza varierà nel caso della ricerca di acque per un ottimale abbinamento con i piatti. Ad influenzare l’analisi sensoriale dell’acqua è anche, seppur in misura modesta, la tipologia e la forma di bicchiere impiegato per la sua degustazione, forma sulla quale esistono, tra l’altro, pareri abbastanza discordanti. In ogni caso quest’ultimo, prima dell’assaggio, per essere impiegato in maniera ottimale, andrebbe risciacquato con la medesima acqua che si sta per valutare: un’operazione del tutto equivalente a quella che, nel mondo del vino, viene definita avvinamento. Infine, per valutare compiutamente le caratteristiche organolettiche dell’acqua, va riservata una particolare attenzione alle note percepibili in retrolfazione (ovvero dopo la deglutizione e l’espirazione) che non devono, come è ovvio, presentare difetti né sfumature negative. 79


Vino che passione

Il vino del farmacista di Francesca Cantiani ei secoli scorsi l’uso del vino come veicolo di sostanze aromatiche e medicamentose era molto in auge. Il suo sapore gradevole consentiva ai farmacisti di far trangugiare ogni tipo di erba o di spezia ritenuta risanatrice. E le sue qualità a scopo terapeutico ci sono state tramandate da medici-scienziati del calibro di Ippocrate e, qualche secolo dopo, di Galeno. Persino la famosa Scuola Medica salernitana considerava il vino come distintivo della specie umana: vinum bibant homines, animalia cetera fontes. Ma oggi il vino e la farmacia cosa hanno in comune? Poco se le nozioni di chimica vengono abbandonate a favore delle vecchie tecniche di cantina, molto se si pensa ai benefici effetti del vino sulla nostra salute. A pensarla così è Marino Fogli, un farmacista che da anni si dedica alla viticoltura nella sua azienda agricola di San Giuseppe di Comacchio, in provincia di Ferrara. «In farmacia si vendono prodotti derivati dalla vite rossa usati per la circolazione. Inoltre, dagli studi fatti, soprattutto a partire dagli anni Novanta, risulta che gli effetti del resveratrolo sono notevoli per il nostro benessere, poiché interagisce

N

L Marino Fogli nella sua vigna

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nei numerosi meccanismi all’origine di malattie cardiovascolari. La stessa Università di Ferrara ha condotto ricerche sul nostro vino, il Fortara, arrivando alla conclusione che aiuta a stare bene». Marino Fogli ha gestito una farmacia per anni ma nel suo sangue “scorre il vino da quando era bambino” e non poteva abbandonare una tradizione di famiglia. La Ca’ Nova è nata infatti con il nonno, è stata ampliata dal padre ed infine è passata alle sue cure. «Sono nato in mezzo alle vigne. Ho deciso di studiare farmacia ma abbandonare del tutto il vigneto mi sembrava un dispetto verso mio padre. Così in questi anni ho fatto il farmacista ma la cantina e il vigneto sono sempre stati la mia valvola di sfogo». Fondata dal nonno nel 1925, l’azienda è situata nel Bosco Eliceo, a trecento metri sul livello del mare. In origine contava undici ettari, di cui solo sei vitati. Il papà in seguito la ampliò con altri cinque ettari, razionalizzando il vigneto. Negli anni Sessanta, il boom edilizio dei Lidi Ferraresi portò alla vendita di alcuni ettari. Ne rimasero solo tre e mezzo conservati dal padre come passatempo e poi passa-


ti a Marino, che li coltiva da trentacinque anni. Le dimensioni ridotte fanno assomigliare la Ca’ Nova ad un giardino, curato ‘come un bambino’. I lavori vengono eseguiti a mano, con estrema attenzione ai particolari e una cura attenta della gestione. «Adesso sono in pensione e ho più tempo per il vigneto, però mi mancava il banco da farmacista». Così il dottor Fogli ha aperto la Parafarmacia Salus al Lido delle Nazioni, dove ha realizzato anche un angolo, “I sapori del Delta”, per proporre i vini e i prodotti della zona. «È una vetrina che ho voluto creare perché mi sono accorto che, nonostante questa sia una meta turistica, le nostre eccellenze non erano adeguatamente valorizzate. Come vice presidente del Consorzio di Tutela del Bosco Eliceo e socio della ‘Strada dei Vini e dei Sapori di Ferrara’ non potevo non fare qualcosa. È nata quindi l’idea di creare uno spazio, anche se limitato, ove proporre le tipicità. E nuovamente il vino si è trovato legato alla farmacia, come nel passato. Nella Ca’ Nova vengono prodotti i quattro vini Doc del Bosco Eliceo: due rossi, Fortara e Merlot e due bianchi, Sauvignon e Bianco del Bosco. Il prodotto di punta è il Fortara. Ottenuto dalle uve omonime, ha un colore rosso brillante, un sapore asciutto leggermente acidulo e moderatamente tannico. È di pronta beva, non va invecchiato. In primavera viene messo in bottiglia e rifermenta, diventando frizzante. Da qualche anno viene fatto anche fermo. Il Merlot è coltivato in coltura specializzata. Ha un colore rosso rubino, un profumo accentuato e caratteristico. Il sapore è asciutto, tannico da giovane, mentre se invecchiato aumenta di profumo perdendo un po’ di colore. Matura

con il tempo diventando un vino per salama da sugo, selvaggina e arrosti. Ottimo della Ca’ Nova è anche il Bianco del Bosco Eliceo Doc prodotto dal vitigno Trebbiano per l’80 per cento e Malvasia per il 20 per cento. Viene coltivato in coltura specializzata e con diversi sistemi. Presenta un colore giallo più o meno dorato, il profumo è tenue, il sapore asciutto, leggermente acidulo. L’azienda di Marino Fogli produce anche il Sauvignon del Bosco Eliceo Doc da uve del vitigno omonimo. La gradazione alcolica è di 11°, il colore giallo paglierino scarico, il profumo delicato e ha il caratteristico sapore asciutto, leggermente acidulo. Se invecchiato di almeno un anno è eccellente con gli antipasti e il pesce. Marino ha una vera passione per questi vini, decisamente particolari. «L’area in cui si estendono i vigneti della Ca’ Nova è unica. I vini prodotti in questa zona vengono detti “delle sabbie”. Nascono infatti su terreni sabbiosi, magri, poverissimi, dove solo la vite, che si accontenta di poco, dà

i suoi frutti migliori, che si trasformano, grazie all’antica sapienza e alla nostra passione, in vini speciali dai profumi e dai gusti che ricordano il mare» spiega il dottor Fogli. « I vigneti nascono al limite della valle che va dalle bocche del Po in provincia di Ferrara, lungo la direttrice della strada statale Romea e a ridosso della costa fino a Tagliata di Cervia, in provincia di Ravenna. L’aria, il terreno salmastro, le radici che assumono parte di acqua di mare contribuiscono a caratterizzare fortemente i vini, tanto che una volta assaggiati fanno pensare di aver assaporato il gusto del mare. Il nostro vino risente insomma del microclima - precisa Marino che lo rende quasi salato. La sapidità, ad esempio, è uno dei pregi del Fortara, il nostro vino più importante. È un vitigno autoctono, che ha resistito per secoli arrivando fino ai nostri giorni. Cresce solo in quest’area e in parte nella zona di Parma anche con caratteristiche diverse: qui è secco e di gradazione piuttosto elevata. Viene abbinato ai piatti locali, soprattutto all’anguilla, che essendo grassa ha bisogno di un vino ‘che pulisca’, quindi con un buon tannino. Abbiamo insomma una grande qualità che però non si accompagna alla quantità: difficilmente si riesce a superare i cento quintali per ettaro». La produzione della Ca’ Nova ammonta a diciottomila bottiglie, indirizzate prevalentemente al mercato nostrano. «I miei clienti sono privati e alcuni ristoranti della zona, che ho scelto perché propongono piatti tipici, che ben si accompagnano con i nostri vini del Bosco Eliceo». E in futuro più farmacia o vigneto? Marino non ha dubbi. «Già adesso mi dedico di più alle viti e alla cantina. Sono la mia vita… da sempre!» 81


Gocce

Un sorso di

cultura

di Salvatore Giannella III Una cantina ad arte Una cantina di design ma non solo: anche un tempio dell’arte contemporanea e un polo artistico culturale. Questo è Cantina Icario, struttura da poco inaugurata a Montepulciano (Siena), grazie alla collaborazione tra una giovane azienda vinicola italiana e la creatività di un gruppo di artisti. Artefice della scatola magica Icario, almeno per l’architettura esterna, è lo studio degli architetti Valle di Roma che, tra le altre cose, ha realizzato la Fiera di Roma e la nuova sede del Consiglio dell’Unione Europea a Bruxelles. Per l’interno e la parte verde, invece, il progettista è l’architetto fiorentino Guido Ciompi. La cultura di abbinare il vino al design, nelle cosiddette cantine d’autore, è in realtà una tendenza già in voga da qualche anno. Ma la cantina Icario nasce con intenti decisamente innovativi. I proprietari, Alessandra e Andrea Cecchetti, hanno pensato di destinare una parte dell’edificio a spazio culturale ed espositivo aperto al pubblico. E di trasformare questa parte della Toscana in un polo culturale. “La nostra idea”, hanno chiarito a Repubblica, “è di realizzare due importanti mostre annuali, una personale e una collettiva, in maggio e in ottobre che sono i momenti di massima vivacità per il mondo dell’arte”. III Una gerarchia enologica Il vino più venduto presso gli antichi Romani? Per secoli, al primo posto, il Cecubo, prodotto in territorio ai confini tra il Lazio e la Campania. Al secondo posto il Falerno, prodotto presso le pendici del monte Massico, tra i fiumi Volturno e Garigliano nella Campania settentrionale. Seguiva l’Albano, coltivato sui monti di Alba, vicino a Roma. Tutte specialità inavvicinabili per le donne: il re Numa aveva introdotto una norma che proibiva alle donne di bere vino. Della antica gerarchia enologica e di altre curiosità ci informa Clementina Panella, in un saggio nel bel volume dal titolo “Vino tra mito e cultura”, edito da Skira a ridosso del trentennale della nascita del Museo del Vino della Fondazione Lungarotti di Torgiano presso Perugia. III Un rilancio Tra le antiche vigne lucane è nata l’ultima opera (Ditirambo Lucano) di un umanista moderno: Francesco Sisinni, per vent’anni direttore generale del ministero dei Beni

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Culturali, da lui stesso creato con Giovanni Spadolini. Il libro è un racconto che conduce per mano il lettore alla scoperta della cultura della vite. “Voglio partecipare agli uomini la gioia liberatoria che il vino al saggio gratifica”, ha spiegato Sisinni al Corriere della Sera. Ambientato in un giorno d’ottobre in cui si fa vendemmia, Ditirambo Lucano è un volume di storia e arte, ma anche un atto d’amore verso la Basilicata finanziato da Feudi di San Gregorio che in quelle terre ha avviato un suo progetto speciale per rilanciare il vitigno autoctono più importante di quell’area: quell’Aglianico che nel Vulture assume una delle sue principali e più note varianti. III Una scoperta tra le vigne Il borgo toscano di Montalcino è noto soprattutto per il suo vino ma, grazie al lavoro di archeologi coordinati da Luigi Donati (Università di Firenze), presto lo sarà anche per un’importante area archeologica. Le ricerche, avviate a partire dal 1993, hanno portato alla luce infatti, sull’altura di Poggio Civitella, un abitato etrusco di età arcaica e una fortezza costruita sul finire del IV secolo avanti Cristo a difesa della zona che era posta all’epoca sotto il controllo della potente città-stato di Chiusi. III Una nuova moda Nei ristoranti e nei negozi di Milano dilagano le insegne made in England. E giorno dopo giorno l’italiano sembra sparire dalle nostre strade. Così l’happy hour raccoglie l’eredità della Milano da bere. Lo spuntino diventa brunch che è un po’ breakfast e un po’ lunch. Quanto alle vecchie care osterie di una volta, quanto ai trani spuntati sull’onda dell’immigrazione dal Sud e della creatività di imprenditori indimenticabili come Peppino Strippoli, ecco che il loro posto viene preso sempre più frequentemente da wine bar che avranno di sicuro bottiglie più prestigiose, ma forse non avranno mai quell’atmosfera che regalava il vino della casa. Va bene la globalizzazione, ma forse si sta esagerando. III Una definizione di tempo “Prima trattavo il tempo come l’acqua del rubinetto. Adesso lo tratto come se fosse vino. Penso che più in là imparerò a centellinarlo come olio” (Raffaele Nigro, una delle voci più significative del Sud, in “Maschere serene e disperate”, editore Manni).


Eventi

Ais alla MIA di Rimini L’

Associazione Italiana Sommelier parteciperà alla 39a edizione della Mostra Internazionale dell’Alimentazione in programma presso la fiera di Rimini dal 14 al 17 febbraio 2009. MIA rappresenta l’appuntamento leader di “alimenti e tendenze per il fuori casa e la grande distribuzione”. Così si definisce quest’evento, proponendo tutto ciò che può essere offerto al settore della ristorazione: catering, Frigus (rassegna dei prodotti surgelati e tecnologie per il ciclo del freddo), specialità regionali, sandwiches & snacks, bio catering, Gluten Free (specialità senza glutine) e la logistica per il food & beverage. A partire da questa

L’

edizione verrà introdotta una nuova sezione dedicata a vini, spumanti e champagne a cui l’Ais prenderà parte: “Divino Lounge – wine, food and more”. Sarà allestita un’area wine, con degustazioni guidate; un’area food, in cui sarà possibile consultare carte dei vini e delle acque in abbinamento a cibi gourmet per diverse occasioni, dall’aperitivo al business lunch formale, dalla cena raffinata all’after dinner; un’area forum con tavole rotonde e approfondimenti culturali; infine, un’area business destinata all’interazione tra buyer ed espositori.

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Degustazioni

Un Sagrantino da collezione di Alessandro Franceschini

NELL’ANTEPRIMA DELL’ANNATA 2005 SVOLTASI

MONTEFALCO DEGUSTAZIONI,

A

CONVEGNI

E IL

GRAN PREMIO,

CONCORSO RISERVATO AI SOMMELIERS

84

III I numeri del successo Salire a Montefalco, in provincia di Perugia e nel cuore dell’Umbria agricola, genuina, che mantiene ancora paesaggi solcati non solo da vigne, ma anche da boschi, ulivi e da un’agricoltura viva ed in simbiosi con il territorio, riconcilia lo sguardo attraverso un’atmosfera quasi ovattata ed immobile. Eppure, di cambiamenti, da queste parti, negli ultimi anni, in particolar modo a partire dal 2000 ne sono avvenuti, e non pochi. La storia del Sagrantino, l’uva principe della Docg locale, difficile da vinificare in secco rispetto alla storica versione passita, disegna un’evoluzione commerciale ed insieme economica che si è già vista in altre zone italiane. Qui, come a Montalcino o in Valpolicella, fa un certo effetto scorrere i numeri: in sette anni la produzione di Sagrantino (secco) si è quadruplicata in termini quantitativi (dalle 666 mila bottiglie del 2000 sino ai 2,5 milioni del 2007), la superficie vitata a Docg addirittura quintuplicata (da 122 a 660 ettari). Numeri che generano un volume di affari stimato intorno ai 60 milioni di euro, ottenuto anche attraverso le nuove trenta cantine sorte nel nuovo millennio, alle quali se ne aggiungeranno altre due entro la fine dell’anno. A questo incredibile successo della versione secca, come in Valpolicella, fa da contraltare l’involuzione (anche se i numeri, comunque, aumentano ogni anno) dello storico vino di Montefalco, il Sagrantino passito, oggi vino di nicchia, ma che forse continua ad essere il vero scrigno delle tradizioni locali e dell’essenza stessa di quest’uva, specie quando viene commercializzato in versione non troppo dolce, giocando tra il giusto equi-

librio tra zuccheri residui e tannini, di cui l’uva è l’incontrastata regina. III Tanti, tantissimi tannini La ricchezza dei polifenoli totali: lo si è spesso scritto e letto, fin quasi alla noia, nonché nuovamente ribadito durante la ventinovesima edizione della Settimana enologica di Montefalco. Il Sagrantino è uva con una concentrazione in tannini superiore a tutte le altre principali varietà e questo aspetto risulta evidente non solo degustandolo, ma anche assaggiando gli acini direttamente dal grappolo, come ci ha proposto la cantina Novelli durante una delle tante visite in azienda organizzate durante questa manifestazione. Come ha affermato il professor Fulvio Mattivi in uno degli incontri organizzati per la stampa e gli operatori di settore, “se un vino prodotto con altre varietà dovesse raggiungere concentrazioni così elevate di tannini, solitamente risulterebbe poi eccessivamente astringente, aggressivo e disarmonico al gusto”. Questo, nonostante la poderosa carica tannica sia il timbro più particolare dei vini a base Sagrantino a Montefalco, non succede con quest’uva e connota la sua unicità. Certamente non è semplice decidere quando mettere in commercio un vino con queste caratteristiche peculiari: il disciplinare (nel 1979 la Doc e poi nel 1992 la Docg) prevede, per la versione secca, trenta mesi di affinamento, dei quali almeno dodici in legno. Pochi? Parlando con i produttori spesso sono sorti interrogativi sul giusto numero di mesi di sosta nel legno, considerando le normali variabili dell’annata e dell’esposizione del vigneto, che complicano ulteriormente il tentativo di una generalizzazione vale-


L Tutti i partecipanti al Gran Premio del Sagrantino M Luca Martini, vincitore del Gran Premio del Sagrantino 2008, con Terenzio Medri e Gabriele Ricci Alunni

L I concorrenti e la giuria

vole per tutti. Al di là della capacità del contenitore (barrique, tonneaux o botte grande) con le cui misure i produttori sperimentano, facendo spesso un blend dei vini che sostano in contenitori diversi, è evidente che l’affinamento giova a smussare un po’ gli angoli di questo vino. Difficile, d’altronde, coniugare esigenze commerciali e caratteristiche del Sagrantino: uscire prima sul mercato è probabilmente strategico, ma il rischio è quello di proporre vini ancora “in fieri” ed in via di definizione. Tema noto e stranoto, che vale in fondo per tutti i grandi vini che hanno la velleità di essere longevi e pensiamo in questo caso, in primis, a Barolo, Barbaresco e Brunello di Montalcino. Ma ancor di più, probabilmente, per il Sagrantino. III 2005, annata da incorniciare per il Consorzio Questo recita il comunicato stampa, che paragona, per grandezza e capacità di durare a lungo, questo millesimo, con altri tre che hanno meritato in passato le cinque stelle: 1985, 1990 e 1998. Difficile per chi ha partecipato all’anteprima di questa annata confermare quanto stabilito dai 16 enologi della commissione degli esperti di qualità, che hanno desunto questa indicazione dopo averne testati ben 36. Alla stampa, nella sala consiliare del Municipio di Montefalco, attraverso il servizio professionale dei sommeliers Ais e la solita, impeccabile, organizzazione della Well Com di Alba, ne

sono stati messi a disposizione, alla cieca, 13 del 2005, 6 del 2004 e 6 del 1998. È stata quindi una prima edizione, forse, come giustamente sottolineato dagli organizzatori, un’edizione “numero zero”, che probabilmente il prossimo anno verrà proposta separatamente dalla settimana enologica, già fitta di appuntamenti e che cade in un periodo, metà settembre, vicino alla vendemmia. L’impressione generale, considerando le diversità dei millesimi messi a disposizione, è che l’equilibrio gustativo, tra questa incredibile massa tannica e la componente acida e glicerica giochi nel Sagrantino un ruolo ancor più decisivo che altrove. Il tempo, ovviamente, mitiga le sensazioni di astringenza, come confermato dai campioni del 1998, ma è fondamentale, sin dall’uscita in commercio, che la freschezza sia una parametro ben presente per rendere vivi e gustosi vini di non facile approccio. L’uso di legni piccoli, spesso nuovi, è oramai molto diffuso anche qui: se usato con criterio ed in locali che abbiano la giusta temperatura ed umidità (aspetto spesso trascurato) pur connotando con un’aurea di modernità i vini locali (che sembrerebbe oggi non più così di moda come negli anni ‘90), può donare risultati interessanti. Complessivamente, lo stile olfattivo è sembrato incentrato verso la ricerca di note balsamiche ed una definizione del frutto di grande maturità. Un certa diluizione, che ha connotato anche in altre zone l’annata 2005, è 85


Degustazioni comunque presente anche da queste parti, anche se potrà sembrare strano e questo fa si che per ritrovare una completa armonia bisognerà aspettare non poco, probabilmente più che altrove, lasciando che il riposo in bottiglia faccia il suo dovere. III Il Sagrantino incorona tre sommeliers All’interno del fitto calendario di appuntamenti (convegni, dibattiti, degustazioni guidate e rassegne cinematografiche) si è svolta anche la seconda edizione del Gran Premio del Sagrantino, concorso al quale potevano partecipare solo i sommelier iscritti anche alla competizione che assegna il titolo di miglior sommelier

d’Italia 2008. Una sfida con borse di studio ai primi tre classificati (2.000 euro al primo, 1.000 al secondo e 500 al terzo), istituite dal Consorzio per sviluppare la conoscenza dei vini di Montefalco. La giuria era formata dal vicepresidente nazionale Ais Antonello Maietta, dal presidente di Ais Umbria e consigliere nazionale, Gabriele Ricci Alunni, dai consiglieri nazionali Katia Soardi (membro della Giunta esecutiva nazionale Ais), Romeo Mancini e da Lodovico Mattoni, presidente del Consorzio di Tutela Vini Montefalco. Alla premiazione ha partecipato anche il Presidente Ais Terenzio Medri: si è svolta nella bella cornice di Villa Pambuffetti a Montefalco. Durante la cena di gala, sommeliers,

Adanti – Sagrantino di Montefalco Docg 2005 Arquata Sagrantino 100% - Bevagna Bottiglie prodotte: 24.500 Rubino vivo con lievi sfumature granate, gioca su un bel mix di frutta rossa matura, ciliegie e prugne e delle note di agrumi, anche canditi e di tamarindo. In bocca ha un finale lievemente amarognolo ed un tannino pimpante e mordente, ma di buona fattura, bilanciato da una più che discreta vena fresca e sapida insieme.

Fattoria Colsanto – Sagrantino di Montefalco 2005 Docg Sagrantino 100% - Bevagna Bottiglie prodotte: 14.000 Rubino di bella limpidezza. Al naso le note fruttate lasciano poi spazio a sensazioni minerali, di grafite e di fieno. Tannini vivi in bocca, predominanti ma ben bilanciati da una più che buona freschezza ed un corpo di grande struttura. Elegante.

Signae Cesarini Sartori – Sagrantino di Montefalco Docg 2005 Sagrantino 100% - Gualdo Cattaneo Bottiglie prodotte: 8.278 L’attacco olfattivo è inizialmente segnato dal legno, forse ancora in eccesso in questa fase. Piacevole e fresca la componente floreale, delicata e che dona al campione una certa eleganza ed apertura. In bocca il finale è lievemente amarognolo, ma vivo in freschezza con tannini ancora in fase di assestamento.

Scacciadiavoli – Montefalco Sagrantino Docg 2005 Sagrantino 100% - Montefalco Bottiglie prodotte: 40.665 Fiori secchi, frutti rossi maturi e dolci ma mai stucchevoli e delle note vegetali vanno a comporre un profilo aromatico di fine fattura. Già molto equilibrato in bocca, con tannini levigati e smussati dall’uso del legno piccolo, senza però mettere in secondo piano la vivacità e la piacevolezza di beva, di buona freschezza.

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giornalisti e produttori hanno apprezzato i piatti dello chef Marco Bistarelli e dei Jeunes Restaurateurs d’Europe. Il vincitore è Luca Martini di Arezzo. Al secondo posto Marco Ciceroni di Perugia ed al terzo Roberto Anesi di Canazei in provincia di Trento. Menzioni speciali a Celeste di Lizio – unica donna in concorso, per la miglior prova scritta e a Davide Staffa per aver identificato, alla cieca, gli 8 vini in degustazione. III La degustazione Abbiamo scelto dieci campioni tra quelli messi a disposizione (2005, 2004 e 1998) durante la sessione di degustazioni alla cieca avvenute all’interno della Sala Consiliare del Municipio.


Tenuta Rocca dei Fabbri – Sagrantino di Montefalco 2005 Docg Sagrantino 100% - Montefalco Bottiglie prodotte: 20.000 Moderno, tecnicamente ineccepibile con note balsamiche dolci, frutta matura ma non cotta. In bocca si avverte la rotondità e l’avvolgenza della trama tannica, una sufficiente vena fresca ed un buona persistenza finale. Appare in questa fase potente ed esuberante. Da verificare, in futuro, il suo assestamento.

Antonelli – Sagrantino di Montefalco Docg 2005 Sagrantino 100% - Montefalco Bottiglie prodotte: 55.100 Meno prorompente al naso di altri, ma anche meno pronto, fatica non poco ad aprirsi. Quando lo fa, sfodera la finezza che contraddistingue da sempre i vini di Antinelli: piacevoli note floreali e di piccoli frutti di bosco. Potente in bocca, con una carica tannica davvero aggressiva che rende l’approccio gustativo, in questo momento, un po’ faticoso. Da aspettare.

Colpetrone – Sagrantino di Montefalco Docg 2005 Sagrantino 100% - Gualdo Cattaneo Bottiglie prodotte: 50.000 Quadro decisamente moderno per il campione del gruppo Saiagricola. Intenso con sfumature incentrate sull’apporto del legno, dolci, una trama fruttata in forma di confettura e delle note che richiamano il cioccolato. Tannini asciuganti ed una sufficiente vena fresca.

Terre de’ Trinci – Montefalco Sagrantino Docg 2004 Ugolino Sagrantino 100% - Montefalco e Bevagna Bottiglie prodotte: 12.000 Le sensazioni dolci, che ricordano a tratti non solo la frutta rossa, ma anche le mele cotogne in forma di marmellata, connotano un quadro olfattivo moderno e di facile fruizione. La beva è sostenuta da una discreta freschezza con un tannino smussato negli spigoli, con buona morbidezza complessiva.

Colpetrone – Montefalco Sagrantino Docg 1998 Sagrantino 100% - Gualdo Cattaneo Bottiglie prodotte: 15.000 I colori granati con qualche riflesso mattonato, un profilo olfattivo con note terziarie, di tabacco, cacao amaro e sottobosco, ci introducono ad un sagrantino con 10 anni sulle spalle che non ha ancora finito la sua corsa. Bocca fresca ed una buona persistenza.

Scacciadiavoli – Montefalco Sagrantino Docg 1998 Sagrantino 100% - Montefalco Bottiglie prodotte: 20.000 Note animali, cuoio, sottobosco, un’ottima definizione del frutto, aperto e di buona dolcezza. Spezie che richiamano lo zenzero ed i chiodi di garofano. Ottima la freschezza e tannino vivo, fragrante e ben integrato. Dei dieci, il campione più elegante ed austero insieme, figlio di una grande annata a Montefalco e di una filosofia aziendale che sposava ancora le tradizionali e vecchie botti grandi.

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Giuseppe Nicolucci, presidente dell’Associazione per la promozione del Sangiovese di Predappio e territori limitrofi

La “tre giorni” del Sangiovese Predappio rende omaggio al Sangiovese. Il comune in provincia di Forlì, che ha dato i natali a Benito Mussolini, ha celebrato il prodotto di eccellenza del suo terroir. Il Sangiovese è infatti un elemento fondamentale della cultura e della tradizione locale, tanto che il dialetto identifica, in una sola parola, “e bè”, il bere e il vino. Ma il Sangiovese, componente fondamentale del comparto agroalimentare, è anche un formidabile ambasciatore della propria terra d’origine e si dimostra forza trainante dell’economia, che vede nel turismo e nelle potenzialità del territorio due delle voci più significative. L’iniziativa che ha visto l’attiva collaborazione della Strada dei Vini e dei Sapori dei Colli di Forlì e Cesena, di cui il comune di Predappio è socio fondatore, si inserisce in un percorso culturale che l’ente ha intrapreso da alcuni anni per la conoscenza e la valorizzazione del territorio e delle sue espressioni più tipiche ed autentiche, fra le quali la vitivinicoltura, che riveste un ruolo di grande importanza. Nel loggiato dedicato a Luigi Veronelli, l’illustre enogastronomo scomparso nel novembre del 2004, in piazza Garibaldi, i produttori dell’Associazione per la promozione del Sangiovese di Predappio e territori limitrofi hanno proposto a migliaia di visitatori i propri vini. Un’opportunità per apprezzare appieno il Sangiovese, la cui degustazione è stata resa possibile con assaggi a piacimento degli ottimi vini delle dieci aziende vitivinicole aderenti 88

all’Associazione (la Fattoria Casetto dei Mandorli di Nicolucci, l’Azienda Stefano Berti, la Tenuta Pandolfa, la Cantina Sociale di Forlì Predappio, l’Azienda Condè, l’Azienda Roberto Celli, Le Caminate, La Fornace, l’Azienda Zanetti Protonotari Campi e la Tenuta Godenza). I visitatori hanno potuto seguire percorsi guidati di avvicinamento al piacere e alla conoscenza del Sangiovese con i consigli dei sommeliers dell’Ais. Nel corso della manifestazione è stata inaugurata anche l’Enoteca del Sangiovese nella rocca medievale di Predappio Alta, fresca di ristrutturazione e nuova attrattiva per i turisti. Vino e turismo, dunque, ancora insieme. Un binomio che sottolinea come Predappio non sia solo patrimonio storico e architettonico, ma una città dove la cultura dell’ospitalità è resa ancor più viva grazie al carattere forte e volitivo dei romagnoli. “La tre giorni del Sangiovese” si propone infatti di esaltare e di confermare le grandi opportunità offerte dal territorio e dal suo prodotto più famoso, capostipite di una generazione di rossi, che hanno conquistato un posto di riguardo nell’aristocrazia dei vini. Inoltre sono, questi, mesi importanti per il Sangiovese di Romagna. Stanno infatti per arrivare le cosiddette “sottozone”, un passo cruciale per lo sviluppo dell’enologia romagnola e per il cambiamento delle etichette sulle bottiglie. «Dopo due anni di discussioni – afferma Giuseppe Nicolucci, presidente dell’Associazione per la promozione del Sangiovese di Predappio e territori limitrofi – il Consorzio vini di Romagna è


riuscito a sanare le discordie tra le zone prescelte. Tra poco assisteremo alla nascita delle sottozone che dovrà essere formalizzata da Camera di Commercio, Province e Consorzio di tutela». Le zone vocate alla produzione di Sangiovese saranno cinque: Predappio, Bertinoro, Faenza, Imola e Alto Riminese. Il vino non si chiamerà più, quindi, solo Sangiovese di Romagna ma le etichette riporteranno anche la dicitura “Sangiovese di Predappio” o “Sangiovese di Bertinoro”, così da sottolineare già nel nome la tipicità e l’originalità del prodotto di ogni sottozona. Per ognuna di queste verrà stabilita l’area, gli indici di produzione e i regolamenti. «L’identificazione delle sottozone è un grande riconoscimento della tipologia produttiva qualificata e storica delle zone collinari della Romagna – precisa Nicolucci, titolare della cantina “Casetto dei Mandorli” – aree che esprimeranno sempre di più attraverso i loro vini un messaggio di antiche tradizioni e di storia del territorio». Tradizioni e storia che, a giudicare dalla massiccia affluenza che ha caratterizzato la “tre giorni” del Sangiovese, sono molto apprezzate dagli enonauti italiani e stranieri. A sottolineare il piacere del vino e a caratterizzare la manifestazione l’abbinamento con eventi culturali dedicati all’arte e alla musica in un ricco calendario, che ha visto il contributo di musica classica del quartetto Rota, il concerto del Federico Baccaglino Quartet e le melodie popolari del gruppo Tziganotchka. (F.C.)


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A Perugia la kermesse dei distillati Dal 23 al 25 gennaio è in programma la seconda edizione di Acquavite Italia

Dopo il successo riscosso nel 2008, Acquavite Italia 2009 si presenta con un programma di tutto rispetto e con una veste rinnovata a cominciare dal sito web (www.acquaviteitalia.it), snello, giovane, in continuo aggiornamento durante tutto l’anno con curiosità e notizie, sul quale è possibile vedere le foto, le aziende ed altri importanti appuntamenti che hanno animato la scorsa edizione della mostra mercato. Per organizzare questa manifestazione si sta lavorando incessantemente per dare alla seconda kermesse dei distillati il giusto risalto. La rassegna è stata organizzata in collaborazione tra la Società Bonazzi Gestioni e Rappresentanze di Perugia e l’Associazione umbra dell’Anag (Associazione Nazionale Assaggiatori Grappa e Acquaviti – www.anag.it). L’evento ha ottenuto il patrocinio della Regione Umbria, del Comune di Perugia, della Federazione Nazionale Anag e, per la prima volta, annovera tra i partner l’Ais delegazione dell’Umbria. La manifestazione è nata con lo scopo di creare un evento che permetta di sostenere la cultura del bere consapevole e di qualità, di promuovere il prodotto principale dei distillati italiani, la grappa, oltre alle acquaviti di frutta, d’uva, brandy e tutti quei distillati, nazionali ed internazionali, che appartengono al vivere quotidiano. Il programma di Acquavite Italia 2009, che potrebbe essere arricchito da altri eventi ed appuntamenti, prevede:

Inaugurazione Acquavite Italia 2008

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giovedì 15 gennaio ore 11.00: conferenza stampa di presentazione della manifestazione presso la “Sala della Vaccara” all’interno di palazzo dei Priori sede del Municipio; sabato 17 gennaio ore 16.30: presso la prestigiosa Sala dei Notari di Palazzo dei Priori a Perugia, concerto eseguito dall’Associazione Filarmonica “Francesco Giabbanelli” di Selci Umbro del comune di San Giustino (PG), offerto alla cittadinanza da parte dell’Organizzazione dell’evento, a cui saranno invitate Autorità e giornalisti; venerdì 23 gennaio ore 16.00: inaugurazione della 2a edizione di “Acquavite Italia” alla presenza di Autorità Istituzionali e giornalisti e a seguire apertura della mostra mercato; ore 17.00: inizio delle degustazioni guidate; ore 24.00: chiusura degli stand; sabato 24 gennaio ore 16.00: apertura degli stand; ore 17.00: inizio delle degustazioni guidate; ore 24.00: chiusura degli stand; domenica 25 gennaio ore 14.00: apertura degli stand; ore 15.00: inizio delle degustazioni guidate; ore 20.00: chiusura degli stand e della manifestazione.


L’ingresso alla mostra mercato sarà gratuito e verrà data la possibilità di acquistare i distillati messi a disposizione dai numerosi produttori presenti all’interno della Rocca Paolina e di degustarli mediante l’apposito calice con tasca, disponibile presso lo stand allestito all’ingresso della manifestazione. Ricco il calendario delle degustazioni guidate. Si ripresenta l’appuntamento dal titolo “Impariamo l’arte della degustazione”, che sarà rinnovato da mini corsi illustrativi totalmente gratuiti, sulla grappa e le acquaviti, che avvicineranno il pubblico alla degustazione consapevole di questi prodotti, oltre ad approfondire la loro cultura sui distillati. Avremo ancora, appuntamenti “pregiati” con grappe e distillati internazionali, con il Sigaro Toscano e quelli di “Spiriti d’Autore”, quest’ultimi dedicati ai soli distillatori italiani ed esteri che parteciperanno ad “Acquavite Italia” e che deside-

reranno far conoscere la loro migliore produzione ad un pubblico di addetti ai lavori ed appassionati invitati all’appuntamento. Inoltre, in alcuni ristoranti della città, le gustose “cene di fuoco”, con menù studiati appositamente per celebrare la mostra mercato perugina, articolato in quattro portate, dall’antipasto al dessert, ad ognuna delle quali sarà unito un distillato ed un vino, un abbinamento appositamente studiato dai tecnici assaggiatori Anag dell’Umbria, per mettere meglio in risalto le caratteristiche organolettiche di ogni prodotto. La scheda di adesione alla mostra mercato ed i relativi allegati sono già disponibili sul sito www.acquaviteitalia.it e chi volesse maggiori informazioni può scrivere a info@acquaviteitalia.it o telefonare al numero 075.394162.

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I giovani ambasciatori del vino italiano Creatività, professionalità e spirito di iniziativa sono le peculiarità che la giuria del Premio Internazionale “Innovazione nella professione” ha tenuto in considerazione nella scelta dei vincitori dell’edizione 2008. Il prestigioso riconoscimento, promosso da Villa Sandi, in collaborazione con l’Ais, è stato consegnato nel corso di una serata di gala nella sede dell’azienda di Crocetta di Montello, in provincia di Treviso. Giunto all’ottava edizione il concorso da quest’anno è stato esteso a tutti i giovani sommeliers che lavorano all’estero. Due dei tre vincitori lavorano all’estero. Thomas Rossini è direttore e sommeliers al Kresala Restaurant di Barcellona, Thomas Sorcinelli è capo sommelier al Ritz London Hotel, un albergo a cinque stelle, lusso della capitale del Regno Unito. La terza vincitrice, che ha ricevuto dal titolare di Villa Sandi, Giancarlo Moretti Polegato la borsa di studio, è Lucia Gatti, laureata in Viticoltura ed Enologia all’Università degli Studi di Perugia e maître sommelier “Alla Posta dei Donini”, una residenza d’epoca a San Martino in Campo, in provincia di Perugia. I tre sommelier sono stati premiati dal presidente nazionale dell’Ais, Terenzio Medri, dal vicepresidente, Antonello Maietta, dal giornalista Bruno Pizzul, da Alberto Schieppati, dal presidente di Ais Veneto, Dino Marchi e dal padrone di casa, Moretti Polegato, da sempre sensibile riguardo al tema di favorire le giovani leve all’inizio della carriera per trasformarle in ambasciatori delle eccellenze italiane in tutto il mondo. «Coinvolgere i sommelier che lavorano oltre frontiera - ha detto il presidente Medri – è stata un’idea brillante in quanto è stata accolta con entusiasmo dai nostri giovani associati che vivono e lavorano all’estero. Abbiamo ricevuto decine di curriculum e mai come quest’anno la scelta è stata difficile, perché la maggior parte dei concorrenti presentava requisiti ed esperienze ad altissimo livello». Il concorso è rivolto ai sommeliers professionisti di età inferiore ai ventinove anni che si sono particolarmente distinti per spirito d’iniziativa e originalità nell’esercizio della loro professione. Nel corso della serata è stato conferito il titolo di “Sommelier onorario” al giornalista Morello Pecchioli, caposervizio del quotidiano “L’Arena” di Verona e collaboratore di “DeVinis”. (F.C.)

Terenzio Medri, Giancarlo Moretti Polegato e Bruno Pizzul premiano i tre vincitori, Lucia Gatti, Thomas Sorcinelli e Thomas Rossini

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I vincitori del concorso, Emanuela Guoli, Elisa Dilavanzo e Jgor Marini, insieme a Gianluca Bisol

Charme Sommelier, questione di stile Sono veneti gli Charme Sommeliers che hanno conquistato l’ambito titolo 2008, il concorso nazionale voluto da Ais, Bisol e Grandi Vini: Elisa Dilavanzo e Jgor Marini, appartenenti rispettivamente alla delegazione di Rovigo e di Verona, sono stati scelti fra i venti sommeliers finalisti che si sono sfidati al Relais Duca di Dolle di Bisol, nel cuore delle colline del Prosecco. Una cena evento, durante la quale i venti finalisti, sfilando su una coreografica passerella in cristallo collocata sulla piscina del Duca di Dolle, si sono occupati del servizio vini, rispondendo alle domande dei giurati e dei commensali. Una giuria di esperti, presieduta da Gianluca Bisol, direttore generale di Bisol e ideatore del concorso, e da Terenzio Medri, Presidente di Ais nazionale, ha osservato e studiato il comportamento dei candidati e il loro talento a ribattere alle provocazioni della platea. I commensali hanno valutato poi il servizio durante la cena secondo i criteri del concorso. L’eleganza, la competenza, il carisma e lo stile dei due giovani sommeliers veneti ha colpito la giuria della serata, composta da rappresentanti dell’Ais e delle otto famiglie del vino di Grandi Vini Group: Bisol, Carpineto, Umberto Cesari, Chiarlo, Garofoli, Mantellassi, Pighin e Tommasi. «È un onore, mi impegnerò per essere all’altezza del riconoscimento ricevuto” ha dichiarato emozionata Elisa Dilavanzo, mentre le veniva appuntata sulla giacca la preziosa spilla in oro e diamante Charme Sommelier. Grandissima anche la soddisfazione di Jgor Marini: “Mi piace l’idea di diventare comunicatore del vino; vorrei continuare a parlare in stampatello del mondo e della cultura del vino». La milanese Emanuela Guoli si è aggiudicata, invece, il prestigioso Premio Stampa, distinguendosi per le sue particolari doti comunicative e conquistando la giuria stampa presente alla serata, composta

da importanti giornalisti italiani e stranieri. «Sono molto soddisfatta e vorrei sottolineare quanto il mondo della sommellerie avesse bisogno di un concorso come Charme Sommelier, in grado di stimolarci a migliorare davvero. Trovo, infine, veramente interessante il progetto della Scuola di Formazione per Charme Sommelier che si terrà a novembre al Duca di Dolle» ha commentato Emanuela Guoli, dopo avere ricevuto la speciale targa Premio Stampa. Un particolare riconoscimento è stato dedicato ad Ais Sicilia e ad Ais Veneto: i presidenti e i delegati Ais di queste due regioni italiane si sono impegnati moltissimo per sostenere Charme Sommelier. La cena è stata preparata dalla nota chef Paola Budel, che ha interpretato per l’occasione i prodotti della linea gastronomica veneziana Jada, omaggiando la regione che ha ospitato la finalissima. «Durante un pranzo o una cena il momento della scelta del vino è sicuramente quello in cui si concentra l’attenzione dei commensali: lo charme del sommelier può rendere unico questo evento» ha commentato Gianluca Bisol. «L’appuntamento ora è per l’edizione 2009 di Charme Sommelier, che sarà internazionale e coinvolgerà la principali capitali del vino straniere. Stiamo già ricevendo adesioni e segnali di grande interesse». Elisa Dilavanzo e Jgor Marini sono stati premiati con la preziosa spilla in oro con diamante Charme Sommelier, pregiate selezioni di vini, la possibilità di frequentare la Scuola di Formazione per Charme Sommelier, che partirà il prossimo novembre al Duca di Dolle, e di partecipare alle più prestigiose fiere del vino e ad eventi internazionali in qualità di Charme Sommelier di Grandi Vini. Infine, i due vincitori di Charme Sommelier si sono aggiudicati un viaggio di approfondimento a Londra: nella capitale del consumo del vino, gli Charme Sommelier incontreranno i rappresentanti più significativi della ristorazione londinese. 93


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Pinò Club: l’accento su un grande rosso dell’Oltrepò Presentata a Milano la prima associazione di produttori di Pinot nero e rosso Doc di questo terroir lombardo

Il cuore nobile della viticoltura dell’Oltrepò Pavese ha un nome: pinot nero. Qui, in questa provincia “a forma di grappolo d’uva”, il pinot noir è coltivato da sempre. Centocinquanta anni di storia ed una sfrenata passione per quegli acini hanno spinto sei lungimiranti ed entusiasti produttori dell’Oltrepò a puntare energie, risorse e impegno su questo antichissimo e nobile vitigno la cui coltivazione su queste colline risalirebbe nientemeno che all’epoca romana. Non esiste in altre parti d’Italia una zona che possa vantare storicamente un legame con questo vitigno così consolidato nel tempo ed una tale estensione di vigneti coltivati a pinot nero, quanto l’Oltrepò Pavese. Secondo solo alla Borgogna a livello europeo, in Oltrepò ben 2.500 ettari sono attualmente vitati a pinot nero. Su questi morbidi pendii che separano Lombardia e Piemonte, caratterizzati da terreni marnosi e calcarei - ideali per accogliere questo difficile quanto affascinante vitigno - e da un microclima particolarmente fresco la notte che ne consente la lenta maturazione e lo sviluppo elegante ed ottimale dei profumi, molte aziende hanno investito nella coltivazione del pinot nero, individuando i cloni migliori per la sua vinificazione in rosso e costruendo sul pinot nero il proprio blasone enologico. Vinificato in rosso, infatti, questo aristocratico vitigno esprime vini raffinati, dal forte appeal e dall’in-

confondibile eleganza. Dalla consapevolezza e dalla convinzione che in questa terra di elezione il pinot nero ha trovato dimora, i sei fondatori del Pinò Club hanno deciso di unire le proprie forze, i propri know how e, perché no, anche le proprie diversità, per concretizzare un progetto di valorizzazione e crescita di questo importante rosso che rappresenta una delle espressioni più interessanti ed autentiche del territorio d’Oltrepò. Conte Vistarino, Frecciarossa, La Versa, Marchese Adorno, Tenuta Il Bosco e Tenuta Mazzolino sono le sei aziende che hanno ideato e dato vita all’Associazione Pinò Club, la prima nel territorio, animati dalla volontà di identificare così in un unico vino il punto di riferimento e il prodotto di eccellenza dell’Oltrepò Pavese. Un gruppo compatto di produttori dunque, una èlite enologica, con un unico comune denominatore: la produzione di Pinot nero di altissima qualità. Tre gli obiettivi fondamentali che il Pinò Club intende realizzare: promuovere, difendere e valorizzare l’immagine e la visibilità del Pinot nero vinificato in rosso come prodotto di eccellenza dell’Oltrepo’ Pavese; costituire un fronte comune che si adoperi per la diffusione e la conoscenza delle tecniche di coltivazione e lavorazione del vitigno pinot nero ai fini di un miglioramento qualitativo generale nella produzione del Pinot nero doc dell’Oltrepò; promuovere l’adozione di standard qualitativi che garantiscano l’elevata qualità del Pinot nero e sensibilizzare i produttori in tal senso. Tra i progetti futuri dell’Associazione, infatti, c’è l’allargamento a nuovi soci e ad aziende che lavorano con convinzione per la qualità sul territorio e credono profondamente nel vino Pinot nero Doc Oltrepò Pavese. Ma anche la collaborazione ed il dialogo con gli enti e le istituzioni presenti sul territorio, in primis con il Consorzio di Tutela dell’Oltrepò Pavese, l’organizzazione di workshop ed aggiornamenti sulle innovazioni tecnologiche e produttive, viaggi di studio ed occasioni di incontro con i colleghi viticoltori (in Italia e all’estero) al fine di acquisire e scambiare esperienze culturali e professionali, la partecipazione come gruppo compatto ed unito ad eventi e manifestazioni.

I fondatori del ''Pinò Club''

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Master Sangiovese Trofeo Consorzio Vini di Romagna 2008 Ritorna anche quest’anno il prestigioso trofeo promosso dal Consorzio Vini di Romagna in collaborazione con l’Ais e l'Enoteca Regionale dell'Emilia Romagna. Per fregiarsi del titolo di "Master Sangiovese" i candidati dovranno affrontare diverse prove e dimostrare le proprie conoscenze di quello che è considerato uno tra i vini principi della viticoltura italiana e mondiale. Ecco il regolamento del concorso. ART. 1 - ORGANIZZAZIONE E COORDINAMENTO Il "Trofeo Consorzio Vini di Romagna - Master del Sangiovese", riservato ai Sommeliers Ais, è organizzato dal Consorzio Vini di Romagna e dall'Ais Associazione italiana sommelier in collaborazione con l'Enoteca Regionale Emilia Romagna. ART. 2 - CANDIDATI Il concorso è riservato a “Sommeliers Professionisti” e a “Sommeliers degustatori abilitati Ais”, in regola con la quota associativa 2008. Non possono partecipare i sommeliers che rivestono cariche direttive nel Consiglio Nazionale dell'Ais. ART. 3 - GIURIA La giuria è il solo organo competente per valutare le candidature, le prove scritte, orali e pratiche; il suo giudizio è inappellabile. Essa è composta da: - Presidente Nazionale Ais - Responsabile Concorsi Ais - Presidente Consorzio Vini di Romagna - Presidente Enoteca Regionale Emilia Romagna - Presidente Ais Romagna - Presidente Sezione Romagna Assoenologi - Giornalista enogastronomico - Vincitore dell’ultima edizione del Master ART. 4 - PARTECIPAZIONE I sommeliers di cui al precedente art. 2 potranno aderire al concorso, confermando l'adesione inviando la scheda di partecipazione al Consorzio Vini di Romagna - Via Garibaldi n.2 - 48018 Faenza (RA), tel 0546 28455 fax 0546 665063, e mail entevini@fastmail.it, entro e non oltre il 7 novembre 2008, o comunque fino ad esaurimento dei posti disponibili. ART. 5 - CONOSCENZE RICHIESTE - Storia, coltura della vite e vinificazione del vitigno Sangiovese - Il vino Sangiovese nella carta dei vini - Vitigni, terreno e clima del vitigno Sangiovese in Italia e nel Mondo - Vini assemblati con maggioranza a base Sangiovese - Legislazione del vitigno Sangiovese; le zone del Sangiovese di Romagna D.O.C. - Analisi organolettica e abbinamento cibo-vino di Sangiovese ART. 6 I sommeliers partecipanti al “Master del Sangiovese” dovranno presentarsi in divisa di servizio o di rappresentanza ART. 7 La giuria provvederà alla valutazione delle prove previste come da regolamento.

ART. 8 - SVOLGIMENTO DELLE PROVE SEMIFINALI Il concorso si terrà martedì 25 novembre 2008, presso l’Enoteca Regionale Emilia Romagna, Rocca Sforzesca, Dozza (BO). Ogni candidato dovrà presentarsi all'ora e nel luogo fissati sul programma. I candidati dovranno affrontare le seguenti prove: - Prove scritte - Questionario - Degustazione scritta di due vini a base Sangiovese - Abbinamento cibo-vino pratico scritto - Ripartizione punteggio I primi quattro classificati disputeranno le prove finali. ART. 9 - PROVE FINALI I quattro finalisti verranno annunciati prima delle prove finali. Le prove finali sono così articolate: - Degustazione di tre vini Sangiovese con riconoscimento - Abbinamento di vini Sangiovese ad un menù - Correzione di una carta di vini Sangiovese - Accoglienza e presa della comanda - Servizio e decantazione di un vino L'ordine di uscita dei candidati verrà stabilito mediante sorteggio. ART. 10 - CLASSIFICA FINALE La classifica finale si otterrà addizionando rispettivamente i punti attribuiti ad ogni candidato da ciascun membro della giuria nelle prove dell'art. 9; detto punteggio non verrà reso pubblico. I risultati saranno solennemente proclamati al termine delle rispettive prove, dopo delibera della giuria, nel corso della cerimonia per la consegna dei premi. ART. 11 - PREMI Il Consorzio Vini di Romagna mette a disposizione un montepremi complessivo di Euro 4.500,00 al lordo delle ritenute di legge, così suddiviso: 1° classificato: Euro 2.500,00 e Titolo di “Master del Sangiovese 2008” 2° classificato: Euro 1.000,00 3° classificato: Euro 500,00 4° classificato: Euro 500,00 Diploma di Partecipazione per tutti i partecipanti, oltre ad eventuali premi aggiuntivi. ART. 12 - FREQUENZA DEL CONCORSO Il “Trofeo Consorzio Vini di Romagna Master del Sangiovese” viene organizzato ogni anno con una partecipazione minima di 15 candidati. ART. 13 - OSPITALITÀ Per la giornata di martedì 25 novembre l’ospitalità per i partecipanti al “Master” sarà a carico del Consorzio Vini di Romagna, mentre non è previsto alcun rimborso spese.

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Libri

SULLO SCAFFALE

di Natalia Franchi

A PIEDI IO E BRUNELLO. Come portai Montalcino nel mondo Autore: Ezio Rivella Editore: Baldini Castaldi Dalai Prezzo: 20,00 euro

Io e Brunello racconta del successo raggiunto dall’impegno dell’uomo nel saper trasformare un prodotto in un vero e proprio ambasciatore di cultura e tradizione; un prodotto che nell’immaginario collettivo è divenuto sinonimo di “buon e bel bere”. L’uomo in questione è Ezio Rivella, cavaliere del lavoro, enologo ed imprenditore del vino. Natali semplici, prima vita passata in un lembo di terra considerato marginale rispetto ai grandi centri urbani, poi il grande salto sul palcoscenico, quando, grazie ai capitali di una famiglia italo-americana, i Mariani di New York, fece nascere e lanciò l’azienda vinicola Banfi. In Montalcino, povero centro rurale, si produceva il Brunello (espressione locale per intendere il vitigno Sangiovese), ignoto ai più. Rivella ebbe il merito di rendere il Brunello un fenomeno di risonanza mondiale, la cui ampiezza e reputazione prescindono dalla sfera individuale per assumere una valenza collettiva e territoriale. Il volume è il racconto di un sogno realizzato ma anche di una singolare e visionaria avventura imprenditoriale. Rivella nasce come enologo; un tecnico, dunque, dalla professionalità verticale, chiuso alle conoscenze “limitrofe”. Alberto Mattiacci, Professore di Economia all’Università di Siena, che presenta il volume, riconosce all’autore il merito di aver ampliato orizzontalmente un mestiere. Quella di Rivella è stata l’apertura mentale di un tecnico di produzione alle esigenze del mercato, l’introduzione di un marketing “in punta di piedi”, capace di farsi accettare in un mondo ancora restio a queste pratiche. La storia della Banfi è costellata di intuizioni del tutto innovative per l’epoca (parliamo degli anni Settanta). A cominciare dalla concezione “aperta” della cantina, luogo di produzione, ma anche di promozione, attraverso il sistema delle visite. Per finire con l’impostazione “globale” dell’azienda, apripista in molti mercati esteri. Una storia italiana di successo. 96

Autore:

Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro Editore: Chiarelettere Prezzo: 13,00 euro

Gente che non sa sognare ce n’è parecchia. In questa affermazione troviamo molto del senso profondo dell’avventura vissuta dagli autori e del libro che ne è scaturito. Da Lavarone a Vetralla, 659 km a piedi per 32 giorni, a sfidare vesciche e luoghi inospitali. E luoghi comuni: tra tutti, uno. Quello secondo cui il viaggio sia tale solo se intrapreso con un mezzo di locomozione. E’ lo stupore profondo della gente ad accompagnare l’intero tragitto dei nostri camminatori, la cui scelta ai più appare stramba. Ma se sono i viaggi che fanno le persone, anche i luoghi percorsi e visitati dagli autori sono stati arricchiti dal loro passaggio, dallo spirito genuino e “fresco” che ha mosso i loro piedi, dalla potente ilarità con cui hanno affrontato il duro cammino, metafora della vita. La lettura del libro si rivela spassosa, oltre che curiosa; alla fine di ogni capitolo troviamo un dettagliato resoconto (con cartina) delle distanze coperte, delle località toccate, dei ristoranti testati, dei contrattempi patiti. Quasi surreali e di autentica comicità le situazioni descritte, come la lunga fila per accedere alla profumeria nel centro di Ferrara dove Cristina Chiabotto sta firmando autografi. “Tre pirla in movimento senza motivo da otto giorni si scontrano con molti pirla fermi in coda senza motivo. Due Italie che si incontrano”. Colte e sottili le citazioni che inducono a riflettere serenamente. Dalla constatazione di quanto i piedi siano storicamente stati bistrattati, a vantaggio delle mani, alla citazione di Hermann Hesse, secondo cui “noi liberiamo l’amore dall’oggetto, l’amore da solo ci è sufficiente, così come nel nostro vagare non cerchiamo la meta, ma solo il godimento del vagabondaggio per se stesso, l’essere in cammino”. Perché non esiste un arrivo: la meta è il viaggio.


DUEMILAVINI 2009 Il libro guida ai vini d’Italia Editore: Bibenda Editore A cura di: Paola Simonetti Prezzo: 32,00 euro

Roma, 13 novembre 2008: segnatevi questa data. Al prestigioso Hotel Rome Cavalieri The Waldorf verrà presentata la decima edizione della guida che ha fatto del bere “bene” un must irrinunciabile: Duemilavini. Merito senza dubbio del direttore della pubblicazione, quel Franco Maria Ricci - presidente dell’Ais di Roma e direttore di Bibenda, la patinata rivista di cultura del vino - che qualcuno ricorda come esteta pioniere del buon gusto e del “bello per tutti”, come le sue pubblicazioni, in un rapporto con il passato la cui potenza ed eleganza hanno conquistato un pubblico internazionale. Identica sensibilità e cura del dettaglio troviamo in questa decima, attesa, edizione del volume, curata da Paola Simonetti. 1.592 aziende recensite, a ognuna delle quali è dedicata una pagina, completa di ogni informazione utile: come arrivarci, nome del proprietario, numero di ettari vitati e di bottiglie, vini degustati. Oltre 20.000 i vini descritti. Per ogni vino vengono fornite tipologia, uve, gradazione alcolica, prezzo, numero delle bottiglie prodotte, note sulla vendemmia, sulla vinificazione, sul potenziale di conservazione in cantina e - prezioso dettaglio - l’abbinamento specifico. Last but not least, in tempi di variamente millantato spirito caritatevole, anche l’edizione 2009 del volume partecipa al progetto “Wine for life” della Comunità di Sant’Egidio per la lotta contro l’Aids in Africa. L’amore per il vino ha cose belle da dire. Dall’aristocrazia visiva all’essenza del chicco.

VINI DA RISCOPRIRE A CASTELLENGO E MOTTALCIATA Autore: Alberto Pattono Editore: Lineadaria Prezzo: 15,00 euro

Dopo “Bramaterra, un territorio un vino” ed “Erbaluce, il vino bianco dell’alto Piemonte”, Alberto Pattono, sommelier e degustatore Ais, ci propone la sua terza fatica editoriale con “Vini da riscoprire a Castellengo e Mottalciata. Un percorso che ci conduce dall’antica Roma ai giorni nostri, ma anche un’indicazione pratica sulla valorizzazione del Biellese attraverso una sua peculiare produzione. Siamo infatti nel Biellese, tra Castellengo e Mottalciata, territorio ignoto ai più, ma più che apprezzato dagli antichi Romani che dedicarono questi luoghi all’arte di fare il vino. Pattono ci offre una accurata indagine storico-economica delle fortune dei vini della zona dall’Impero romano al Medio Evo, fino al Settecento periodo aureo della viticoltura in questa zona - fino alla comparsa della famigerata fillossera e delle due guerre mondiali, che decretarono l’inesorabile decadenza della produttività vitivinicola. La rinascita della vitivinicoltura di questo ristretto pezzo del Biellese si deve, in tempi recenti, a due giovani milanesi di nascita, Alessandro e Magda, che alla ricerca di un diverso stile di vita e con la creazione di un’azienda, hanno tracciato un percorso virtuoso e di speranza; la stessa speranza che anima l’autore del volume, nelle cui intenzioni il Biellese - poco incline a promuovere i suoi pregi - dovrebbe impostare il riscatto di un’area dagli indiscutibili fascino e potenzialità. Se del Biellese è nota la vocazione tessile, assai meno lo è quella enologica, che dà i natali a ben cinque Denominazioni d’Origine (Bramaterra, Erbaluce, Lessona, Coste della Sesia e Canavese). In fondo al volume, alcuni imperdibili proverbi espressione della saggezza degli avi, intrisi di empirismo e di autentico occhio clinico. Uno tra tutti: Vin e lait tosi fait (Con vino e latte fanciulli fatti). Bere… il territorio 97


Io non ci sto

Non si cambiano le regole a partita in corso! di Franco Ziliani l momento in cui scrivo, con una situazione fluida e aperta a tutti i possibili sviluppi, non è dato dire come possa chiudersi la vicenda che si è aperta lo scorso aprile, in pieno Vinitaly, che pudicamente chiamiamo “il caso Brunello” ma che dicendo le cose come stanno dovremmo chiamare “Brunellopoli”. Per riassumere, in pillole, l’accaduto, ricorderemo che stiamo parlando della scoperta, a seguito delle indagini compiute dalla Procura di Siena, che qualcuno a Montalcino non stava rispettando le regole del gioco, che prevedono che il Brunello (ed il Rosso) siano prodotti esclusivamente – come recita il disciplinare che si sono dati i produttori e non è piombato dal cielo – con uve Sangiovese provenienti dall’area vitata di Montalcino, dai circa duemila ettari che fanno parte dell’albo del Brunello. E questo qualcuno, come se a voler guardar bene le cose la realtà non apparisse già chiarissima, con quei colori improbabili, quelle concentrazioni, quei profumi strani, quel gusto tanto lontano dal normale gusto di un Sangiovese delle colline senesi, aveva pensato “bene”, se così si può dire, di re-interpretare liberamente, a proprio uso e consumo e secondo personali interessi di bottega, il disciplinare. In pratica affiancando al Sangiovese, che è una grandissima uva, ma che non matura benissimo ovunque (anche se a Montalcino è stata piantata anche in posti sbagliati) e richiede strenue attenzioni in vigna e cura in cantina, quote (in percentuali da precisare) di altre uve. Uve che non sono il Canaiolo, il Colorino, la Malvasia nera della tradizione chiantigiana e toscana, bensì, ma guarda te che fantasia!, le uve bordolesi, ovvero Merlot, Cabernet e Petit Verdot e la Syrah delle Côtes du Rhône. E qui mi fermo, per non riferire altre voci, ricorrenti, di uve (anche italiane) che arriverebbero da chissà dove… Naturalmente questa scoperta…dell’acqua calda, ed il fatto che fosse finalmente diventata oggetto di un’inchiesta puntigliosa, supportata da riscontri di vario tipo e da analisi scientifiche minuziose, ha scatenato le più diverse reazioni. Sorprendentemente, però, invece di provocare una giusta e legittima forma di condanna (per ora solo morale) verso queste scorciatoie e la spudorata mancanza di rispetto dello spirito della Docg Brunello di Montalcino, che è patrimonio collettivo e non proprietà privata di qualcuno, anche se ricco e potente, la scoperta ha non solo innescato giustificazionismi e negazionismi a go-go e portato alla ribalta pompieri che al confronto i vigili del fuoco di New York sono dei dilettanti, ma ha offerto il destro per proposte sorprendenti. Cosa fare dunque se qualcuno non rispetta le regole e causa un oggettivo generale danno d’immagine e di credibilità al Brunello di Montalcino? Punirlo a termini di legge concedendogli un ragionevole margine di tempo per pentirsi, fare ammenda e rientrare in carreggiata?

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Macché, non solo si sono giustificate le sue “marachelle” e si è negato che di vera “non conformità” al disciplinare di produzione si sia trattato, magari dicendo, mozartianamente, che Così fan tutte (o quasi, le aziende di Montalcino), ma si arrivato a proporre, apertis verbis, che per evitare questi “incidenti di percorso”, per non apparire come i “furbetti del vigneto e della cantina”, non si devono rispettare rigorosamente le leggi vigenti e l’attuale disciplinare, monovitigno, del Brunello, ma vanno cambiate le regole del gioco. E questo in una direzione che rende non illegali, ma normali, benedette dal mercato e conformi ad un’idea più moderna del vino, le infrazioni compiute. Perché punire chi ha “taroccato” il Brunello aggiungendoci in modo truffaldino altre uve proibite? Basta - fortunatamente nessuno sinora ha avuto la faccia di tolla di prevedere anche la retroattività del provvedimento – cambiare il disciplinare, aggiornarlo e decretare che d’ora in poi “il vino Brunello di Montalcino si produca utilizzando almeno l’85 per cento di uve del vitigno Sangiovese. Complementari le altre varietà a bacca rossa coltivate a Montalcino. Lo stesso vale per il Rosso di Montalcino”. Una percentuale, quella dell’85 per cento che “è conforme anche alla prassi internazionale ed alle norme Usa, che considerano questa percentuale idonea a considerare il vino di uva Sangiovese”. Hai capito la bella pensata? Cambiare le carte in tavola per de-criminalizzare quello che agli occhi della Procura di Siena e di tanti appassionati continua ad apparire un reato, con il pretesto di rendere un vino mito come l’inimitabile Brunello più appealing per i consumatori di tutto il mondo. Quindi semaforo verde, partendo da Montalcino per poi magari arrivare nelle Langhe del Barolo, a “disciplinari elastici, che consentano ai produttori di personalizzare il più possibile il proprio vino, in modo che il cliente-consumatore lo riconosca e si fidelizzi”. Accada dunque quello che deve accadere a Montalcino se la maggioranza dei produttori è di questo avviso e che si decreti pure la “morte del Brunello”, quello vero, come l’hanno conosciuto e amato milioni di appassionati in tutto il mondo, con una pratica di Super-tuscanizzazione o di Chiantizzazione. Ma di fronte a questo disinvolto modo di fare che penalizza chi ha sempre tenuto dritta la barra del Brunello fatto con solo Sangiovese e lo fa apparire “cornuto e mazziato” e glorifica, facendoli diventare gli apostoli ed i sostenitori del nuovo, chi le regole ha infranto, nel ricordare amaramente che in un Paese normale non si cambiano le regole a partita in corso e che non si possono far diventare i colpevoli santi, eccomi ancora una volta urlare ad alta voce che “io non ci sto!”. E spero tanto che non ci stia e pronunci un sonante no a cambiamenti assurdi e indulti la maggioranza dei produttori di Brunello…


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