DeVinis n. 92 Marzo-Aprile 2010

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Anno XVII - n. 92 - € 3,50 - Poste Italiane s.p.a. Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 - n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano

DEVinis LA COMPETENZA, LA PROFESSIONALITÀ, LA CULTURA, IL PIACERE, I PROTAGONISTI DEL BERE BENE

Marzo / Aprile 2010

PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z www.sommelier.it - ais@sommeliersonline.it


Editoriale

Programmiamo il

futuro

di Terenzio Medri

n forum per discutere strategie comuni e per ribadire a gran voce che non è possibile improvvisare la cultura del vino, che i territori vanno tutelati per rispettare la natura, gli uomini che vi lavorano e di conseguenza anche le eccellenze prodotte. Sono alcune delle tematiche da trattare negli stati generali del vino, una iniziativa che la nostra associazione cercherà di mettere in cantiere nel corso del Vinitaly di Verona. Lì si incontreranno tutti i protagonisti del pianeta vino, dai produttori ai consumatori, passando per enologi, sommelier, ristoratori, enotecari, Federdoc, Federvini, associazioni di categoria e istituzioni. A tutti loro chiederemo la disponibilità per mettere in agenda, nelle prossime settimane, un appuntamento importante non solo per approfondire e analizzare il presente, ma anche e soprattutto per mettere a punto le strategie del futuro, per mantenere e conquistare nuovi spazi in un mercato divenuto col trascorrere degli anni – e con l’aumentare dei competitor – sempre più articolato e complesso. Per non perdere ciò che con tempo, fatica e serietà abbiamo conquistato è importante la programmazione, è determinante mettere al centro della convivialità la bottiglia di vino, che racchiude lavoro, cultura, storia e tradizioni. È quindi indispensabile una regia nazionale che con la collaborazione di tutti verifichi la validità delle scelte attuali e ne vagli, se necessario, di nuove che consentano al vino di continuare a essere un fattore trainante dell’economia e del settore agroalimentare. In questo senso è inoltre auspicabile una maggiore collaborazione tra i ministeri competenti, primi tra tutti quelli delle Politiche agricole e del Turismo. Prima abbiamo accennato al rispetto dell’ambiente. Le ultime vicende legate alla fuoriuscita di petrolio nel Lambro e, di conseguenza, nel Po hanno ulteriormente posto l’accento sulle problematiche dell’ambiente, una ricchezza incommensurabile che andrebbe protetta con maggiore responsabilità da parte di tutti. Non farlo sarebbe un vero e proprio delitto. E a rimetterci saremo tutti noi.

U

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AIS Associazione Italiana Sommeliers Presidente | Terenzio Medri Vicepresidenti | Antonello Maietta, Rossella Romani Membri della Giunta Esecutiva Nazionale | Terenzio Medri, Antonello Maietta, Roberto Gardini, Lorenzo Giuliani, Vincenzo Ricciardi, Catia Soardi, Rossella Romani, Marco Aldegheri, Roberto Bellini.

La competenza, la professionalità, la cultura, il piacere, i protagonisti del bere bene. Anno XVII marzo-aprile 2010 Associazione Italiana Sommeliers Editore Direttore editoriale e responsabile | Terenzio Medri, terenzio.medri@sommeliersonline.it Coordinamento redazionale | Francesca Cantiani, francesca.cantiani@sommeliersonline.it Per la pubblicità | Roberto Pizzi, pubblicita@sommeliersonline.it tel. 02/72095574 – ICE Srl – Corso Garibaldi, 16 – 20121 Milano Redazione | Associazione Italiana Sommeliers Viale Monza 9 - 20125 Milano Tel. +39 02/2846237 - Fax +39 02/26112328 - devinis@sommeliersonline.it Segreteria di redazione | Emanuele Lavizzari, emanuele@sommeliersonline.it Hanno collaborato | Marco Aldegheri, Silvia Baratta, Francesca Cantiani, Luigi Caricato, Riccardo Castaldi, Alessia Cipolla, Elisa della Barba, Piermaurizio Di Rienzo, Alessandro Franceschini, Natalia Franchi, Salvatore Giannella, Paolo Giarrusso, Maddalena Giuffrida, Carmen Giuratrabocchetta, Emanuele Lavizzari, Michela Lugli, Maurizio Maestrelli, Letizia Magnani, Angelo Matteucci, Davide Oltolini, Morello Pecchioli, Cesare Pillon, Paolo Pirovano, Marco Primolevo, Alessandra Rotondi, Luigi Salvo, Daniele Scapicchio, Lorenzo Simoncelli, Eugenio Tropeano, Daniele Urso, Franco Ziliani. Fotografie | Archivio Ais Per l’articolo a firma di Marco Aldegheri foto dello stesso autore. Si ringrazia Sergio Castagna per l’ottimizzazione grafica delle etichette Per l’articolo a firma di Salvatore Giannella il ritratto di Silvio Garattini è di Ro Marcenaro Per l’articolo a firma di Alessandro Franceschini foto dello stesso autore Per l’articolo a firma di Riccardo Castaldi foto dello stesso autore Si ringrazia Urbano Sintoni per il ritratto fotografico del presidente Terenzio Medri (editoriale) Reg.Tribunale Milano n.678 del 30/11/2001 Associato USPI Abbonamento annuo a 6 numeri | ITALIA € 20,00 ESTERO € 45,00 Intestare ad “Associazione Italiana Sommeliers – viale Monza, 9 – 20125 Milano” specificando il motivo del versamento da effettuarsi secondo una delle tre seguenti modalità: - pagamento tramite c/c postale 000058623208 - bonifico su Banco Posta, codice IBAN IT83K0760101600000058623208 (aggiungere per versamenti dall’estero codice SWIFT BPPIITRRXXX) - bonifico bancario presso “Banca Intesa Sanpaolo, via Costa 1/A, Milano, IBAN IT26H0306909442625008307992 (aggiungere per versamenti dall’estero codice SWIFT BCITIT22001) Chiuso in redazione il 26-02-2010 Stampa | Grafiche Parole Nuove Srl - Brugherio Milano Copie di questo numero | 40.000

AIS 2010

Rinnovo quota associativa 2010 E’ possibile rinnovare l’iscrizione nei seguenti modi: Internet basta collegarsi al sito www.sommelier.it, cliccare su “Rinnovi Online” e seguire le istruzioni per effettuare il pagamento tramite Carta di Credito (escluso Diners Card).

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c/c postale n. 58623208 intestato ad “Associazione Italiana Sommeliers Viale Monza 9, 20125 Milano”, indicare nella causale “Quota associativa 2010”. Bonifico presso Banco Posta intestato ad “Associazione Italiana Sommeliers” IBAN IT83K0760101600000058623208 (aggiungere per versamenti dall’estero codice SWIFT BPPIITRRXXX).

Bonifico bancario presso “Banca Intesa Sanpaolo, via Costa 1/A, Milano” intestato ad “Associazione Italiana Sommeliers” codice IBAN IT26H0306909442625008307992 (aggiungere per versamenti dall’estero codice SWIFT BCITIT22001) La quota associativa è di 80 euro e comprende l’abbonamento annuo alla rivista ufficiale AIS e alla Guida Duemilavini edizione 2011.


Sommario

Marzo / Aprile 2010

Appuntamento al Vinitaly

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A VERONA

Tra prati e vigneti

14 ALLA

SCOPERTA DELLA CUCINA DELLA

STORIA

MILLENARIA PER UNA GIOVANE DENOMINAZIONE

Sorsi di una terra aspra e affascinante

24

VINI DEL

CARSO TRIESTINO

La diversità è la nostra forza

30 IL

PUNTO DI VISTA

ALLA

40

MAISON PERRIER JOUËT

Sul pendio dei monti

L’AZIENDA FAY

52 56 VIAGGIO

LA

E LA PASSIONE PER LA VITE

Le “Parole Maestre” per vivere sani

L’INTERVISTA

61

DONATO LANATI

Un brindisi con lo champagne di Napoleone

36 VISITA

VALPOLICELLA

Matera Doc da degustare

20

I

RITORNA PUNTUALE LA GRANDE FIERA DEL VINO

A

SILVIO GARATTINI

Mare, deserto e storia TRA LE BELLEZZE DELLA

TUNISIA

New York, il pranzo è servito!

CUCINA ITALIANA NELLA

GRANDE MELA


Sommario

Marzo / Aprile 2010

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Prezioso come l’oro

INVESTIMENTI

76

NEL VINO CON SEGNO POSITIVO

Non solo chef…

IDENTITÀ GOLOSE

78

A servizio dell’ambiente

MACCHINARI

80 LA

All’interno

42 45 48 68 70 72 75 96 98

TECNOLOGICI IN VIGNA

Welcome Mr Wine!

VITICOLTURA IN

83 IL

METTE ORDINE TRA I FORNELLI

GRAN BRETAGNA

Enologia e spiritualità orientale

TANTRISMO DI FRONTE AL VINO

Musei PATATINE, STOCCAFISSO E… CARAMELLE! Vino e scuola

UN

MASTER PER I SOMMELIER DEL FUTURO

Vino e architettura

CONTINUA

IL VIAGGIO NELLE CANTINE INNOVATIVE

Olio UN PASSO FALSO SULL’OLIO D’OLIVA Birra ABBINAMENTI A TAVOLA Distillati VIAGGIO NELLE GRAPPERIE DEL PIEMONTE Fiere

DIVINO LOUNGE

PER RILANCIARE I CONSUMI

Sullo scaffale LE NOVITÀ EDITORIALI Io non ci sto!

ALTA

RISTORAZIONE: PROPORRE VINI È SEMPRE PIÙ DIFFICILE


Eventi

È sempre più

Vin tal di Morello Pecchioli

DOPO

UN ANNO

DIFFICILE RESTANO

MOLTI INTERROGATIVI, MA

VINITALY

HA MESSO

IN ATTO UNA SERIE DI INIZIATIVE DI MARKETING DIRETTE AGLI

USA

E AI

PRINCIPALI MERCATI EUROPEI

ono piccole ma hanno tanta voglia di farsi notare. Molte cantine che per anni si sono presentate a Verona intruppate nelle collettive regionali, quest’anno hanno deciso di uscire dal mazzo e di investire più quattrini per promuovere la propria immagine aziendale con uno stand tutto loro. È il nuovo e interessante fenomeno che caratterizza la 44° edizione di Vinitaly, in programma dall’8 al 12 aprile. Fede, speranza e qualità. Non è una magnifica risposta alla crisi da parte dell’imprenditoria vitivinicola italiana? Con tale beneaugurante atto di coraggio, con questa volontà di raccogliere le nuove sfide e di lottare per affermarsi, si aprono le porte della più importante rassegna del vino made in Italy. A Verona sono attesi oltre 4.200 espositori da tutto il mondo, tanti quanti lo scorso anno. Molti altri avrebbero voluto esserci, ma sono finiti in lista d’attesa. Spiega Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere: “Per il 44° Vinitaly il numero di espositori è in linea con quello dello scorso anno perché, nonostante l’ampliamento della superficie espositiva, che in quattro anni è passata da 84mila a più di 92mila metri quadrati, altri non ce ne stanno”. I numeri che possono variare riguardano i visitatori. L’anno scorso raggiunsero la cifra record di 151mila, dei quali più di 45mila provenienti da 112 Paesi esteri, e di giornalisti nel 2009 ne arrivarono da una cinquantina di Paesi oltre 2600. Previsioni per quest’anno? “Dopo il buon

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L’AIS Associazione Italiana Sommeliers Vi aspetta al PADIGLIONE 7 – STAND D10

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Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere

risultato del 2009 con un più 14 per cento dei visitatori esteri, Vinitaly ha messo in atto una serie di massicce iniziative di marketing diretto negli Usa e nei principali mercati europei per consolidare e ampliare questo risultato” risponde Mantovani. “Sono attese delegazioni qualificate di buyer da Svizzera, Gran Bretagna, Francia, Austria, Germania, Ungheria, Danimarca, Svezia, Canada, Russia, Usa, Australia, Egitto, Libia, Tunisia, Marocco, Sudafrica, India, Cina, Corea del Sud, Giappone, Taiwan, Malaysia, Singapore, Indonesia, Ecuador, Messico, Paesi Baltici, America Centrale e Meridionale”. Sono le “aspettative interessanti” di cui parla Luciano Piona, presidente dell’Unione dei Consorzi vini veneti (Uvive) reduce da un road show pre Vinitaly in tre capitali dell’Est europeo: Varsavia, Praga e Budapest. “Mi attendo da questo Vinitaly una rivoluzione. Le avvisaglie ci sono: catene alberghiere che cambiano la carta dei vini, mercati più dinamici, importatori che procedono a un riassortimento, tendenze di gusto che si evolvono. Certo, usciamo da un anno difficile e molti interrogativi rimangono, ma se i consumi vanno bene ci sono opportunità per tutti”. Se dipendesse da lui la rivoluzione si farebbe già nel calendario: “Un Vinitaly

che comincia di giovedì e finisce, ormai smobilitato, il lunedì, esclude grandissima parte dei ristoratori che, di solito, chiudono nei primissimi giorni della settimana. Sarebbe meglio fare il contrario: aprire la domenica e chiudere il giovedì”. Su un Vinitaly che rimescoli le carte in gioco punta anche Lucio Bussi, giornalista caposervizio all’economia del quotidiano L’Arena di Verona. “Uno degli argomenti più sentiti nel mondo del consumo del vino è il rapporto qualità-prezzo. Il Vinitaly se ne deve far interprete. Il consumatore non ne può più dei costosissimi vini alla moda. La gente è stufa di farsi prendere in giro e non crede più all’equazione qualità uguale costo. La cultura enologica di base, grazie al lavoro di giornali seri e ai corsi per degustatori organizzati da associazioni come l’Ais, è notevolmente progredita, anche tra i giovani. Si sa quanto costa produrre una buona bottiglia. Il futuro è dei vini di qualità a prezzo giusto. E il Vinitaly deve portare avanti questa istanza”. Sull’importanza dell’educazione enologica e sulla valorizzazione delle carte dei vini pone l’accento anche Dino Marchi, presidente dell’Ais Veneto, che proprio al Vinitaly organizza la grande vetrina della premiazione della carta dei vini dei ristoranti, un riconosci-

La storia di Vinitaly 1967

1971

1978

1987 1988

1992

1998

Il 22 e il 23 settembre si svolgono nel palazzo della Gran Guardia, in piazza Bra a Verona, le Giornate del Vino Italiano. È l’atto di nascita ufficiale di Vinitaly. La manifestazione diventa Vinitaly-Salone delle Attività Vitivinicole, una vera e propria rassegna mercantile. Al suo interno, organizzata da Agriturist e guidata da Mario Soldati, si svolge l’asta dei vini pregiati. Al Vinitaly si affianca anche una sezione merceologica dedicata a macchine, attrezzature e prodotti per l’enologia e la prima edizione della Mostra Catalogo di Vini Doc. Vinitaly ottiene la qualifica di “internazionale” e apre le porte alla partecipazione di aziende estere. All’interno di Vinitaly nasce il primo Salone dell’Oliva. Il Salone dell’Oliva diventa SOL. Nasce anche Distilla, il Salone della Grappa, del Brandy e dei Distillati. Nasce il Concorso enologico internazionale che è divenuto il più selettivo e partecipato al mondo con una media di 90 medaglie assegnate su oltre 3.500 vini da più di 30 Paesi. L’internazionalità di Vinitaly è confermata e rilanciata dalla scelta di Veronafiere, nel centenario di attività, di andare in Cina, a Shanghai, con China Wine, un’es-

perienza positiva che si ripeterà gli anni seguenti. Il settore delle attrezzature dedicate al vino e all’olio diviene una rassegna ad hoc, Enolitech, il Salone delle Tecniche per la Viticoltura, l’Enologia le Tecnologie Olivicole ed Olearie. 2002/03 La rassegna conquista anche l’America con Vinitaly US Tour e partecipa a Ifows, l’India Food and Wine Show di Mumbay. 2008 Viene lanciato Passionate Business, che rappresenta la sintesi della filosofia operativa di Veronafiere: passione per il vino e concretezza degli affari. Il salone del vino più grande del mondo consolida la sua leadership internazionale, forte di un’area espositiva di 86mila metri quadrati netti completamente occupati da oltre 4.300 espositori provenienti da oltre 30 Paesi e visitatori in arrivo da più di 100 e festeggia i 10 anni di Vinitaly World Tour. Dopo Vinitaly India a Mumbay e New Delhi a gennaio, a febbraio viene realizzata la prima delle due trasferte di Vinitaly US programmate in questo anno negli Stati Uniti, che tocca Miami e Palm Beach. A ottobre Vinitaly è di nuovo a Chicago e per la prima volta a New York e nella capitale Washington. Il calendario all’estero si completa con la Russia in giugno e il Giappone e la Cina a novembre. 11


Eventi

L Ettore Riello, presidente di Veronafiere

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mento che è anche un messaggio ai giovani. “Come Ais Veneto siamo soddisfatti di come i giovani hanno recepito il messaggio. Le presenze ai corsi sono addirittura raddoppiate andando al di là di ogni più rosea aspettativa e prendendoci in contropiede. Abbiamo in atto 24 corsi. E anche le iniziative organizzate con il marchio Ais, come Il Veneto al 300 per 100 (cento cantine e trecento vini) e il convegno Vino e carattere sono state ripagate con grande partecipazione”. Il presidente di Veronafiere, Ettore Riello, è al suo primo Vinitaly. Risoluto e ottimista, pronostica una grande edizione, alla faccia del momento congiunturale. “Convinti come siamo della capacità profes-

sionale di chi viene al Vinitaly attendiamo con fiducia la partecipazione di aziende e operatori fortemente motivati a capire l’attuale situazione economica internazionale e aperti all’elaborazione di nuove strategie per uscire dalla crisi con una rinnovata capacità di stare sui mercati” spiega Riello. “Da parte nostra proponiamo una fiera di servizi evoluti per mettere in contatto offerta e domanda. E ci riusciamo bene visto che la nostra rassegna enologica vanta 33 contatti per operatore contro gli 11-15 delle fiere concorrenti. Naturalmente proponiamo anche una fiera di contenuti che favorisce il confronto fra gli attori della filiera”. Tra i “servizi evoluti”, visto come sono andate le cose fino all’ultima edizione, non sono compresi l’accesso alla fiera e i parcheggi intorno, vero? “L’accesso e il deflusso dei visitatori sono invece sotto controllo. Merito dell’attività di coordinamento tra Veronafiere, Comune di Verona, dal quale dipende la gestione della viabilità, e Azienda trasporti per la gestione dei parcheggi scambiatori e dei bus navetta. Strategici, poi, gli investimenti anche finanziari fatti negli ultimi anni dall’Ente Fiere per acquistare le aree da adibire a parcheggio attorno al quartiere fieristico. Ed è in fase di realizzazione il nuovo piano infrastrutturale 2010-2014 al quale è destinato l’investimento di 70,7 milioni di euro autofinanziati. Prevede la creazione e riqualificazione di tre aree di ingresso e la costruzione di due nuovi padiglioni che porteranno la capacità di Veronafiere a 150mila metri quadrati lordi complessivi coperti. Sarà comunque necessario prevedere un nuovo riassetto del sistema trasporti e viabilità. La questione sarà oggetto di uno specifico accordo di programma con il Comune di Verona volto a trovare una soluzione funzionale e stabile a tutto vantaggio di espositori e visitatori. In tale contesto, è stato avviato un progetto specifico per avere la garanzia della disponibilità di 15-16mila parcheggi in prossimità del quartiere fieristico, quale servizio imprescindibile da offrire con certezza ai clienti di Veronafiere”.


LE DEGUSTAZIONI AIS AL VINITALY L’Ais organizza una serie di degustazioni guidate che si svolgeranno durante la prossima edizione del Vinitaly. Gli eventi si terranno nella Sala D – 1° piano, padiglione 9. La quota di partecipazione è di € 20 da versare presso lo Stand Ais – D10 padiglione 7. Le prenotazioni saranno accettate fino a disponibilità dei posti. Ricordiamo che lunedì 12 aprile i soci Ais in regola con la quota associativa 2010 entreranno gratuitamente in fiera dalla Porta San Zeno fino alle 12.00 (presentare la tessera associativa o copia della ricevuta di versamento della quota dell’anno in corso unitamente a un documento di identità). Per informazioni samuele@sommeliersonline.it.

Venerdì 9 aprile Il vitigno Sauvignon, spessore varietale e sottile aromaticità Ore 11 – relatore Lorenzo Giuliani Calabria: sei vitigni in cerca d’autore Ore 14 – relatore Girolamo Grisasi L’Umbria, il giardino enologico del centro Italia Ore 16 – relatore Gabriele Ricci Alunni

Sabato 10 aprile Champagne: la magia raccolta in un calice di bollicine Ore 11 – relatore Roberto Bellini Presentazione del Premio Internazionale “Innovazione nella Professione” Brindisi con la nuova DOCG Valdobbiadene Conegliano Prosecco Superiore Ore 12 – Padiglione 6 Stand Villa Sandi E4 Le vignaiole di Liguria presentano i loro vini più significativi Ore 14 – relatore Antonello Maietta Borgogna e Pinot Noir: eleganza e stile inconfondibile Ore 16 – relatore Roberto Gardini

Domenica 11 Aprile Il fascino del Metodo Classico italiano Ore 11 – relatore Annalisa Barison La provincia dell’Aquila nel bicchiere Ore 14 – relatore Manuela Cornelii Bordeaux, tra mito e realtà Ore 16 – relatore Roberto Gardini

Lunedì 12 aprile Esordi: nuovi vini all’orizzonte Dalle ore 11 alle 16 in Sala Argento – Seminterrato Palaexpo 13


Degustazioni

cucina sincera

Una

fedele

e a se stessa di Marco Aldegheri a cucina della Valpolicella conserva i tratti di una mensa accogliente, approdo delle scampagnate fuori porta, come era per le ricche famiglie della città nei secoli scorsi e a dispetto della fama del suo vino più celebrato è rimasta lontana dalla ristorazione d’attrazione, quella “guidaiola” per intenderci, per gourmet itineranti. Ce lo conferma Adelino Molinaroli, vecchio lupo della ristorazione locale, con un passato orgogliosamente legato alla montagna (per 13 anni ha gestito il Rifugio Telegrafo sul Monte Baldo) e il dna del “bocia” cresciuto in osteria, tra litri di rosso e piatti fumanti di trippa. Tornato nella sua Sant’Ambrogio gestisce oggi, col figlio Andrea ai fornelli, l’Enoteca il Covolo. “Non è affatto un limite restare lontano dai riflettori”, ci dice Adelino, “l’importante è saper trasmettere con semplicità l’essenza dei piatti e dei prodotti più tradizionali della Valpolicella”. I pascoli delle “highlands” della Lessinia e più a valle le colline con le verdure, gli animali da cortile, l’olio e la frutta, sono un forziere inestimabile per chi sa unire conoscenza delle tradizioni alla perizia in cucina. Questa

L

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cucina è rimasta all’ombra, ma fedele a se stessa e alle sue tradizioni più rurali, lontana dalla ricerca ossessiva dell’equilibrio del piatto che attanaglia le nuove generazioni di chef, capace per questo di esprimere ancora forza e franchezza del gusto. Sono piatti che esaltano la loro natura quando avvicinati a un Valpolicella, sfruttandone l’immediata percezione dei profumi e la vena fresco-sapida. Lo sa bene Adelino, oggi navigato sommelier e, non ultimo, presidente della locale Associazione di ristoratori (Le Tavole della Valpolicella) che ha fatto proprio lo spirito rispettoso di questa cucina. Una cucina che riesce ancora a raccontare storie di uomini passati tra i tavoli di fumose osterie che sanno ancora rendere cordiale, come diceva il buon Hemingway del vino, anche la tavola della Valpolicella. Valpolicella: versatilità a tavola Nonostante i fruttai facciano spesso incetta delle uve migliori, il Valpolicella conserva uno spazio ben definito tra i consumatori perché a differenza del fratello più noto, conta su fragranze più immediate, su una


L Adelino Molinaroli

struttura più snella e soprattutto su una buona dose di freschezza, sostenuta a seconda della zona di provenienza anche da un bel livello di sapidità. Armi vincenti a tavola, specie con piatti a moderata tendenza dolce, come le paste fresche, alcune carni o i salumi tendenzialmente più grassi. I tannini possono farsi sentire in seconda battuta, più che sufficienti per contrapporsi a untuosità molto più contenute che un tempo. Sanno però farsi largo quando cresce la struttura e dar man forte a un alcool in genere moderato. Solo in questo modo si riesce a sostenere piatti anche di discreta succulenza (una zuppa di fave o una pasta e fasoi ad esempio). È anche un vino estremamente versatile con diverse potenzialità, a partire da una semplice versione base, magari in solo acciaio dove la beva è la carta migliore, da contrapporre a una pasta all’uovo (un piatto di bigoli al sugo d’anitra o una tagliatella al ragù di

coniglio). Se passiamo a un Superiore con corpo e tannino più apprezzabili è possibile alzare il tiro, ad esempio con una tradizionalissima e succulenta pastisà de caval oppure una fettina di soppressa su fumante polenta abbrustolita. Non è da meno il Ripasso, ma tendenzialmente più morbido, capace per questo di affrontare anche piatti più amarognoli o speziati, una tagliatella in brodo coi fegatini o, perché no, nella versione Superiore Ripasso anche un piatto di selvaggina o un Monte Veronese d’allevo. Una buona persistenza farà poi il resto. I profumi, che possono essere anche molto intensi e complessi, ci conducono senza veli all’identità delle corvine. Un buon esercizio del naso per entrare a pieno nel vasto terroir della Valpolicella, godendo di spezie e di fiori, di note vegetali o minerali, non solo di frutta rossa. I vini recensiti di seguito ne sono testimonianza. 15


Degustazioni

LA DEGUSTAZIONE Santambrogio 2008 – ALDEGHERI Valpolicella Classico Corvina, corvinone e rondinella costituiscono l’ossatura principale di ogni Valpolicella. Danno uve molto versatili, che possono essere appassite per grandi vini da lungo affinamento o possono produrre, come in questo caso, dei vini più pronti e immediati, umili servitori dell’abbinamento più che scomodi protagonisti a tavola, come ogni tanto capita. Il Santambrogio ha un naso diretto e schietto, sensazioni vinose, fruttate di durone e mora, che poi evolvono in sfumature vegetali e in petali secchi. In bocca è un finto magro, tannino modesto sì, ma sapido e abbastanza fresco, di grande godibilità. Soli 12° alcol per un vino da bere. Valpolicella Classico 2008 – ALLEGRINI Se di Franco Allegrini è facile ricordare il ruolo di innovatore, che ha dato sicuramente un tocco di modernità alla Valpolicella rurale degli anni Ottanta, non deve passare in secondo piano la sua rispettosa attenzione per la tradizione, a quello che di buono c’era in quei primi anni. Nel suo Classico troviamo corvina (65%), rondinella (30%) e molinara (5%) e un naso apparentemente semplice per un affinamento tutto acciaio. Amarena e lampone, ma anche viola fiorita, cuoio, spezie dolci e arancia candita. In bocca prevale la freschezza, poi è sapido e abbastanza lungo. Corpo snello e grande beva da “tutto pasto”. Ognissanti 2006 – BERTANI Valpolicella Classico Ognissanti è prodotto nei vigneti attorno a Villa Novare, nel cuore geografico della Valpolicella, e soprattutto in quello storico. Qui nel primo ‘900 prende vita il fenomeno cooperativo e poi si dipana la lunga storia della famiglia Bertani. Tanta storia sembra influire anche sulle caratteristiche organolettiche. Un naso austero, mai troppo espansivo, ma sempre molto elegante. Apre al naso con sensazioni verdi, la liquirizia, poi rosa e viola appassita, cannella e mentuccia, per la ciliegia sotto spirito bisogna aspettare un po’. In bocca è equilibrato con un tannino nobile appena sopra le righe e un finale setoso e vellutato. I 18 mesi in barrique non si notano più di tanto. TB 2005 – TOMMASO BUSSOLA Valpolicella Classico Superiore Quando Tommaso Bussola entra nell’Azienda dello zio Giuseppe inizia a differenziare la “sua” produzione con le iniziali (TB) da quella dello zio (BG). Nasce così TB, la linea di punta che ha dato a Tommaso tante soddisfazioni anche in campo internazionale, soprattutto negli Stati Uniti. Corvina, corvinone e rondinella soprattutto, un pizzico poi di molinara e altri vitigni locali, questa la sua ricetta. Affinamento per tre lunghi anni in tonneaux e barrique di secondo passaggio. Ne esce un naso complesso di caramella d’orzo, caffè e timo al naso poi le erbe. In bocca è opulento, 37 gr di estratti non sono uno scherzo, morbido e lungo. Da provare con formaggi di capra stagionati. Valpolicella Classico 2008 – CANTINA DI NEGRAR Cantina di Negrar rappresenta uno standard di riferimento per la qualità in zona e non ultimo per il rapporto qualità/prezzo. Può permettersi un largo bacino di approvvigionamento per le uve conferite, che vengono da terreni molto vari, argillosi, calcarei, a tratti vulcanici, comunque dalle colline della vallata omonima, e da vigneti prevalentemente a pergola doppia. La fermentazione delle uve (corvina, corvinone, rondinella e molinara) e l’affinamento del vino avviene in acciaio, con fermentazione malo-lattica completa. Profumo gradevolmente retrò di bacche dolci, fiori e spezie, ma vivace in bocca, secco e un po’ caldo, fresco e conviviale, collabora con la giusta modestia al desinare di tutti i giorni. Ca’ Fiui 2008 – CORTE SANT’ALDA Valpolicella Oltre alle uve tradizionali Marinella Camerani aggiunge nel suo Valpolicella piccole quantità di croatina e rossara, uve autoctone a bacca rossa. Per tutti i vigneti lo stesso standard, il guyot semplice e la certificazione biologica ottenuta seguendo i principi dell’agricoltura biodinamica. Le fermentazioni partono spontanee con lieviti indigeni in tini di rovere. Profumo intenso, ciliegia fresca, quasi croccante, poi il balsamico e lo speziato. In bocca tannini evoluti, maschio da mani femminili. L’alcool a 12,5 bisogna leggerlo sull’etichetta. Vino di gran bella beva, magistrale esempio di fresco squilibrio.

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Vigneto di Monte Lodoletta 2003 – ROMANO DAL FORNO Valpolicella Superiore Il Romano nazionale irride le bizze del meteo di un’annata soffocante con un vino sferzante, ancora fresco e dal tannino evoluto, espressione del sua maniacale ricerca di perfezionismo nell’est veronese. Naso ampio in costante evoluzione di frutta macerata e di spezie, di tabacchi e minerali, e corpo potente. Croatina e oseleta sono state la sua scommessa e anche qui accompagnano in piccola quantità una base di corvine (70%) e rondinella (20%). La barrique americana è il vestito di una bella signora come ama ricordare Romano, un abito lungo… 36 mesi in questo caso. Se volete saltate pure la cena… Valpolicella Classico Superiore 2006 – RUBINELLI VAJOL La piccola conca del Vajol si trova nelle prime pendici che salgono a nord di San Pietro in Cariano. Le uve di corvina, corvinone e rondinella fanno appassimento per un mese, quindi fermentazione e macerazione per circa 35 giorni, poi il vino viene lasciato ad affinare in botti di rovere per 12 mesi. Al naso subito spezie, tabacco, cacao amaro quasi prepotenti, e dopo la loro sfuriata ecco la frutta rossa in crescendo, il tabacco e l’erba amara, in bocca un grande corpo che in parte nasconde i 14 gradi alcolici, secco ma abbastanza morbido con tannini ben evoluti e discreta freschezza. Valpolicella 2008 – GROTTA DEL NINFEO – FRACCAROLI DOMENICO Nasce sulle colline di Lavagno nell’est Veronese, a 150 metri di altitudine, in terreni argilloso-calcarei di origine vulcanica (il nome di Lavagno deriva da lava). I vitigni sono i classici a pergola veronese, con lavorazione in acciaio. Subito molto floreale, di rosa, viola ed iris, poi la frutta fragrante e una nota verde che gli dà tono. In bocca è fresco e beverino grazie a un tannino che non disturba, un bel vino rosso diretto e piacevole che può essere bevuto anche in estate perché guadagna da una temperatura di consumo un po’ più bassa. Provatelo con un baccalà, come lo fanno i frati di San Bernardino. Corte Colombara 2006 – TENUTE GALTAROSSA Valpolicella Classico Superiore Dalla storica proprietà di Villa Pule, tra i comuni di San Pietro in Cariano e Negrar, oggi proprietà di Giacomo Galtarossa, ecco uno spavaldo classico superiore. Colpisce per il naso austero di tabacco, cuoio, prugna e carruba. Civetta un po’ di cipria con i 12 mesi di grande botte da 8 quintali, come una nobil donna prima di presentarsi in pubblico, ma resta fondamentalmente un vino nervoso, anche in bocca dove il peso del corpo si fa sentire. Tannino graffiante e stile asciutto con finale sapido per piatti succulenti, anche un salmì se la caccia è fortunata. Valpolicella Superiore 2005 – MARION Muscolare interpretazione dei fratelli Campedelli dalle uve tradizionali dei soli 6 ettari nella vallata di Marcellise, a est di Verona. È un superiore impegnativo che ha grande bisogno di aria per esprimere fino in fondo il frutto e il ricco corollario di liquirizia dolce, camomilla e timo, le nuance di frutta secca e un alloro che è solo l’apripista della forza balsamica di questo vino. Spalle quadrate in bocca (35 gr di estratto), tannino levigato, effetto sapido nell’approccio e fresca la chiusura. Cocciuto sarebbe il confronto con un “musso”, stracotto naturalmente, per l’occasione. Valpolicella Classico 2008 – NICOLIS Dell’ampia produzione dei fratelli Nicolis in quel di San Pietro in Cariano vi segnaliamo la fragranza fruttata di questo Valpolicella, di ciliegie e marasche croccanti, di prugna fresca e susina, sfumato di spezia piccante. Uvaggio tradizionale di corvina 65%, rondinella 25% e molinara 10%, il tutto lavorato solo in acciaio. Molto gradevole l’effetto della beva, complice la freschezza dichiarata, il tocco sapido e un tannino che sgomita per dire la sua. Medio corpo per soluzioni attraenti con insaccati morbidi poco stagionati, quelli che a Pasqua ricordano ancora la concia del pepe e dell’aglio. Valpolicella Superiore 2005 – ROCCOLO GRASSI Piccoli uomini crescono, a est in questo caso, a Mezzane di Sotto, dove Marco Sartori si sta definitivamente smarcando dall’etichetta di giovane promessa confermando la felice mano anche con vini come questo, costruito con garbo ed energia, un po’ermetico al primo olfatto, per degustatori pazienti. Solo allora sarete premiati con ribes e marasche macerate, rami secchi e bosso, orzo, caffè e cacao amaro, menta e china. Venti mesi di legno lo aggraziano, anche in bocca dove il tannino solletica il palato con compostezza. Una “avvolgente” freschezza si prende lo spazio finale.

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Degustazioni

Valpolicella Classico 2007 – SARTORI Dietro una dimensione fortemente internazionale si cela la storia centenaria di una delle famiglie storiche della Valpolicella. Il classico 2007 è buona espressione al naso di un frutto ancora fresco, di marasca, lampone e ribes in particolare. Sottile la sfumatura di pepe e salvia. Per l’uvaggio la scelta è quella canonica a base di corvina veronese (50%), rondinella (40 %) e molinara (10%) mentre l’affinamento è un assemblaggio di cemento, acciaio e grandi botti di rovere per 6-8 mesi. Fresco l’incedere del palato e sapido il finale. L’agnello allo spiedo del mio amico Melis ci starebbe proprio bene. Vigneto Sant’Urbano 2006 – SPERI Valpolicella Classico Superiore La base portante è corvina (70%) poi rondinella, molinara e corvinone. Vengono dal monte omonimo che guarda Fumane da est. Un breve appassimento e l’affinamento in tonneaux di rovere di Allier da 5 hl per 18 mesi scolpiscono un fruttato casto di mora e confettura e un ampio bouquet floreale, con toni verdi ed earthy, in cui spiccano petali di rosa appassiti e spezie nascoste. Sapido e fresco, non nasconde il calore dei suoi 13,5°, ma il giusto numero di anni gli dà il raro dono dell’equilibrio. Un attraente brizzolato. Elegante e promettente con carni rosse alla brace e formaggi stagionati. La Fabriseria – TEDESCHI Valpolicella Classico Superiore 2006 Ha portato a spasso le uve della Valpolicella con la complicità del cabernet regalando, bisogna dirlo, anche delle belle soddisfazioni ai fratelli Tedeschi, ma ora col 2006 il figliol prodigo è tornato alle origini, con corvina, corvinone, rondinella e un 5% di oseleta, e diventa Doc in ossequio alla miglior tradizione. Nel naso ciliegie, amarene e ribes, avviluppate dai 18 mesi di grande botte, al gusto tannini ben presenti e buona freschezza. Nell’insieme un vino lungo, elegante, quasi vecchio stampo. Uccidete pure il vitello più grasso perché 14,5° e oltre 35 gr di estratto vi faranno ben figurare. Nanfrè 2008 – TENUTA SANT’ANTONIO Valpolicella Dal Vigneto Monti Garbi a Mezzane di Sotto, i Fratelli Castagnedi traggono questo Valpolicella affinato in acciaio che colpisce per l’impatto gusto olfattivo e la fragrante complessità. Note verdi, di radici e chiodo di garofano ritornano in bocca, arricchiti da un bel tannino, freschezza e sapidità. Splendida chiusura quasi mentolata. Agile e scattante, da sposare a una cucina quotidiana: tagliatelle in brodo, risotti, pollo e vitello alla brace. Un vino con il quale osare anche con il pesce: caciucco alla livornese e baccalà con olive e patate. Valpolicella Classico Superiore 2006 – TERRE DI LEONE Con le uve di Marano e Fumane Federico Pellizzari utilizza appassimenti lunghissimi per sviluppare complessità dei profumi, ma riesce a conservare inspiegabilmente una discreta agilità del palato. Solo la conoscenza della tecnica e una conduzione maniacale possono rendere inavvertibili ben 100 giorni di appassimento. Le uve sono quelle tradizionali, con un po’ di molinara e di oseleta e il vino affina in rovere francese in formato 5 e 25 hl per 18 mesi. Naso splendido di ciliegie e bacche selvatiche con l’appassimento in lontana penombra. Ufficiale e gentil uomo nel corpo perché dosa con equilibrio forza ed eleganza, lungo e armonico. Prova di carattere per un azienda all’esordio. Vigneto Rafaèl 2007 – TOMMASI Valpolicella Classico Superiore Un ritratto della tradizione, da terreni calcareo-basaltici dell’omonimo vigneto di Pedemonte, prodotto con 60% di corvina, 25% di rondinella e ben 15% di molinara, ormai desueta ai più. L’affinamento di 15 mesi in botti di rovere da 65 hl dona profumi d’antan di fiori appassiti e di china, frutta rossa, spezie dolci e cuoio. Al naso un po’ austero fa il verso un palato più immediato e diretto, con piacevole equilibrio di bocca, grazie a tannini morbidi, un buon corpo e un finale abbastanza sapido. Un sincero compagno per piatti di sostanza come pasta fresca alle carni, minestre di legumi, nonché formaggi a media stagionatura. Campo Morar 2005 – VIVIANI Valpolicella Classico Superiore Un fulvo color rubino, brillante, dove corvina e rondinella in un legno sapiente diventano lezione d’eleganza. Il resto è un corredo odoroso di rosa canina, caffè d’orzo, sfumature di rabarbaro, frutta sotto spirito, e mineralità delle terre più alte della vallata di Negrar. Perfetta la corrispondenza in bocca, dove questo Superiore, sfodera tutta la grinta dei 14% ed è sostenuto da una splendida freschezza in un finale lungo e sapido. Grande vino con carni brasate e speziate che non sfigurerebbe pure con la Cassoeula lombarda. Se dopo l’Amarone Claudio Viviani avesse mai bisogno di dimostrare qualcos’altro, la strada è questa.

Hanno collaborato alle degustazioni: Maria Grazia Melegari, Fabio Poli, Matteo Guidorizzi. 18


Degustazioni

giovane

Una denominazione con anni di

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2500 storia


n vino che si identifica con il suo territorio, un territorio che si identifica anche per il suo vino. È questa la filosofia che ha guidato tutte le iniziative che hanno portato, nel 2005, al riconoscimento ufficiale della Doc Matera, terza cronologicamente tra quelle presenti in Basilicata dopo Aglianico del Vulture, Terre dell’Alta Val d’Agri e, recentemente, Grottino di Roccanova. “Filosofia” non è un termine usato a caso; questo territorio agli albori della storia era infatti conosciuto come Enotria, terra del vino, al centro della Magna Grecia dove le colonie del Metapontino riflettevano le profonde origini elleniche dei loro fondatori e dunque della cultura illuminata e moderna di cui erano portatori. Un territorio che si identifica nel vino anche con la scelta del nome, Matera, che delimita tutta la provincia come area di produzione, ma affida il “topos” a una delle città più rinomate del Sud Italia dal punto di vista delle bellezze storico-culturali con i suoi “Sassi”, patrimonio dell’umanità riconosciuto dall’Unesco, che la collocano tra gli insediamenti più antichi della civiltà umana dopo Petra in Giordania. Può accadere, a volte, che una storia millenaria non sia sufficiente a preservare un patrimonio di conoscenze e tradizioni, per cui la vitivinicoltura nella provincia di Matera ha rischiato di estinguersi a cavallo degli anni Settanta, sovrastata da una ortofrutticoltura in grande espansione e da una consuetudine alla coltivazione di grano duro che assicurava maggiori introiti rispetto alla coltivazione della vite e alla produzione del vino.

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Fortunatamente, grazie alla tenacia di alcuni imprenditori agricoli, che hanno continuato a investire nell’innovazione e nella qualità in vigna e al continuo supporto della Regione Basilicata è stato avviato un percorso virtuoso coronato con il riconoscimento della Denominazione di origine controllata per i vini di un territorio agricolo tra i più interessanti del Mezzogiorno d’Italia. L’entusiasmo e la competenza di alcuni produttori comincia a dare i suoi frutti alla luce dei riconoscimenti che la Doc Matera inizia a ottenere e che potranno sempre di più aumentare, specie se si punterà a una maggiore caratterizzazione del vino scommettendo su un vitigno simbolo del territorio materano quale è il primitivo. Il disciplinare della Doc comprende sei diversi tipi di vino: Rosso, Primitivo, Moro, Greco, Bianco e Spumante. Ogni vino viene ottenuto da vitigni specifici, attraverso tecniche produttive diverse. Il Matera Rosso è ottenuto dalla vinificazione di Sangiovese, Aglianico e Primitivo, cui si possono aggiungere altri vitigni autoctoni non aromatici a bacca nera. Dalla vinificazione di uve Primitivo per almeno il 90% si ottiene il Matera Primitivo. Un uvaggio più internazionale caratterizza il Matera Moro, che prevede un minimo di 60% di Cabernet Sauvignon e del 10% di Merlot, oltre a un 20% di Primitivo e altri vitigni locali. Per il Matera Greco si utilizza principalmente il Greco Bianco (85%) con altri vitigni bianchi autoctoni. Malvasia Bianca di Basilicata, Greco Bianco e piccole percentuali di altri vitigni danno vita al Matera Bianco. Infine, dagli stessi vigneti che danno le uve per il Bianco, ma con un diverso pro21


Degustazioni

cesso di vinificazione, si ottiene il Matera Spumante, ottenuto solo per rifermentazione naturale. L’intero processo di vinificazione deve avvenire solo nel territorio regionale. Per i vari vigneti è prevista una produzione massima di 10 tonnellate per ettaro. La gradazione alcolica è compresa tra i 10,5 gradi del Bianco e del Greco ed i 12,5 del Primitivo. L’immissione al consumo delle tipologie Rosso, Primitivo e Moro, infine, può avvenire solo dopo un periodo di maturazione obbligatorio di dodici mesi, a partire dal 1° novembre dell’anno di produzione delle uve. Per accompagnare a tavola il Matera Doc c’è solo l’imbarazzo della scelta, vista l’ampia gamma dei vini di

questa Doc: possiamo andare da un bianco giovane fino ad un rosso strutturato e importante, come il Primitivo o il Moro. Matera Bianco e Greco si sposano con primi piatti leggeri, minestre come l’acquasale, verdure come le patate raganate e, ovviamente, pesce dello Jonio. Se il Matera Rosso può accompagnare tutto il pasto, al Moro e ancor più al Primitivo vanno riservati saporiti piatti di carne e sughi ricchi o formaggi stagionati tipici della tradizione lucana come pecorino di Filiano Dop o di Moliterno e caciocavallo podolico. Come aperitivo o su preparazioni più leggere a base di crostacei o carni bianche nulla di meglio che un flu ˆ te di Matera Spumante metodo classico.

LA DEGUSTAZIONE MALANDRINA 2006 - MASSERIA CARDILLO MATERA MORO DOC - 14,5%

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Nel bicchiere si presenta di colore rosso rubino profondo e impenetrabile, orlato da riflessi granati, con vivaci tonalità, di notevole consistenza. Al naso è intenso complesso ed elegante, con piacevoli note di frutta rossa matura, con prugna e ciliegia su tutti, seguiti da sentori speziati di pepe nero e cacao. In bocca è deciso, caldo e avvolgente, ben equilibrato dalla vivida freschezza e da tannini levigati. Di ottima struttura. Lunga la persistenza con finale balsamico. Maturazione in piccole botti di rovere francese almeno dodici mesi. Da gustare con cosciotto di agnello arrosto al forno con patate.

TITTÀ 2007 - MASSERIA CARDILLO MATERA ROSSO DOC - 14% Rubino impreziosito da luminosi riflessi, di buona consistenza. Compattezza olfattiva intrigante che esprime note succose di frutta rossa (lampone, ciliegia, ribes) incorniciate in piacevoli sentori di pepe nero e spezie orientali. Struttura immediatamente percepibile in bocca, ma allo stesso tempo pulita ed equilibrata tra una importante alcolicità e un nerbo acido in buona evidenza. Lungo il finale, un po’ sapido e con ritorni gusto-olfattivi speziati. Affinamento in acciaio inox, almeno sei mesi in barrique di rovere francese e dodici mesi in bottiglia. Ottimo da provare con lo spezzatino di cinghiale, funghi porcini e bacche di ginepro.

LE PAGLIE 2008 - CANTINE CERROLONGO MATERA GRECO DOC - 13% Si presenta con una veste giallo paglierino lucente, con una buona consistenza. Nel bicchiere ha una sorprendente intensità con note fruttate di nespola, ginestra, sentori di pera, banana e un tenue finale minerale e speziato. Gusto ricco, morbido, fresco e saporito, delineato da una avvolgente struttura e gradevolmente equilibrato. Buona la persistenza aromatica intensa e la corrispondenza gusto olfattiva. Ben integrato l’apporto del legno: affinamento tre mesi in acciaio (80%) e tre mesi in legno (20%). Da accompagnare con purea di fave e cicoria campestre.

TORRE BOLLITA 2007 - CANTINE CERROLONGO MATERA MORO DOC - 14% Così denominato da un'antica torre costiera di difesa, proprietà della famiglia Battifarano, costruita dagli Aragonesi nel Cinquecento e ancor oggi saldamente eretta dinnanzi al mar Jonio. Composto da un blend di uve Cabernet Sauvignon, Merlot e Primitivo si presenta di colore rosso granato, profondo e luminoso di buona consistenza. Nel bicchiere presenta profumi evoluti di confettura di prugna, di marasca e viola seguiti da note speziate di tabacco e pepe. Al gusto si presenta subito di grande corpo, caldo, morbido ben equilibrato da un elegante tannino evoluto e una robusta spalla acida. Ottimo nel finale con una lunga persistenza e una piacevole corrispondenza gusto olfattiva. Affinamento in acciaio per otto mesi e in legno per sei mesi. Da abbinare con arrosto di cinghiale con verdure. 22

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PIETRAPENTA 2006 - DRAGONE MATERA PRIMITIVO DOC - 13,5% È un vino ottenuto dalla vinificazione in purezza di uve Primitivo; di colore rosso rubino virante al granato, di buona consistenza. Gradevole olfatto, emana piacevoli note di prugna in confettura che accompagnano eleganti sensazioni di vaniglia, more in confettura, spezie dolci e tabacco. Al gusto è caldo, morbido, di buona freschezza con un tannino deciso, ben equilibrato. Di buona persistenza gusto olfattiva. Matura per due anni. Da degustare con piatto di orecchiette alla materana.

EGO SUM 2006 - DRAGONE SPUMANTE METODO CLASSICO BRUT ROSÈ - 12,5%

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Ottenuto da uvaggio 100% primitivo, si presenta di colore rosa cerasuolo con leggeri riflessi ramati, con perlage fine e abbastanza persistente. All’olfatto è intenso piacevolmente fruttato, in chiusura rilascia sensazioni di ciliegia, con ricordi di fragoline e lamponi e una lieve fragranza di lieviti e crosta di pane. In bocca è morbido, fresco, accattivante e con una gradevole mineralità. Buona la persistenza gusto olfattiva. Affinamento sui lieviti per 12/16 mesi. Ottimo con un risotto agli scampi, ma può essere una piacevole scoperta con i salumi.

SERENELLA 2008 - AZIENDA AGRICOLA DITARANTO MATERA GRECO DOC - 12,5% Nel bicchiere si presenta giallo paglierino intenso con venature verdoline. Al naso si presenta con evidenti note fruttate, di pesca bianca mela renetta, supportate da bouquet floreali di ginestra, sambuco con richiami agrumati. In bocca ha stoffa, una bella vivacità acida che ben si fonde con un frutto dolce e maturo di pesca. La sapidità non manca e il finale, delicatamente amarognolo, ne stimola il riassaggio. Ottimo in accompagnamento a una tartare di tonno alla mentuccia.

IL CELLARIO 2008 - AZIENDA AGRICOLA DITARANTO MATERA MORO DOC - 13,5% Rosso rubino, con tonalità abbastanza vivaci. Si apre su note intensamente complesse di frutta rossa in confettura che proseguono verso toni vegetali che accompagnano a richiami speziati nel finale. Al gusto si presenta secco, caldo e morbido, con un tannino deciso, ma mai aggressivo. Buona struttura e discreto equilibrio. Dal lungo finale che vira su sapori leggermente amaricanti di liquirizia. Da assaporare in abbinamento con maialino o spiedini al forno.

PRIMEBACCHE 2005 - MASSERIA LANZOLLA MATERA PRIMITIVO DOC - 13,5% Nuance granato, intenso e luminoso, di piena consistenza. La buona complessità olfattiva ricorda profumi di frutta a bacca rossa matura, subito seguiti da delicate note speziate, accenti vegetali, cuoio, tabacco e pepe. In bocca è deciso, caldo, leggermente morbido, con un tannino deciso, di buona freschezza. Il palato è strutturato, buona persistenza, abbastanza equilibrato e con un finale che racchiude una nota amaricante. Affinamento in acciaio per un anno e successivamente per quattro mesi in barrique. Da abbinare con arrosto di agnello al vino rosso.

MONS ALBIUS 2006 - MASSERIA LANZOLLA MATERA MORO DOC - 13,5%

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Rubino con sfumature che virano al granato. Si respirano i profumi del sottobosco, delle viole, dei mirtilli e delle visciole sotto spirito, accompagnati da lievi note erbacee e speziate. Potente al palato, la dotazione calorica è ben mitigata dalla vivacità dei tannini, dolcemente sapido e ben equilibrato all’assaggio. Buona la coerente persistenza gusto olfattiva, con nota di liquirizia in chiusura. Da gustare con bocconcini di manzo alle prugne o coniglio alla cacciatora. Hanno collaborato Carmen Giuratrabocchetta, Marco Primolevo, Daniele Scapicchio ed Eugenio Tropeano. 23


Degustazioni

Carso,

vini con il sapore di pietra di Franco Ziliani ata nel 1985, la Doc Carso è di gran lunga la più piccola Doc del Friuli Venezia Giulia con circa 100 ettari di territorio una percentuale intorno all’uno per cento della produzione totale regionale. Cionostante, dei vini del Carso si parla sempre più spesso tra gli appassionati più esigenti e curiosi ma più che per le spesso anche convincenti interpretazioni date di varietà internazionali presenti un po’ in tutto il Friuli Venezia Giulia come Chardonnay e Sauvignon in bianco e Cabernet (Sauvignon e franc) e Pinot nero in rosso, per i vini espressione di due varietà autoctone, la Vitovska in bianco ed il Terrano, appartenente alla famiglia dei Refoschi, ma differente dal Refosco friulano, in rosso. Questo senza dimenticare gli ottimi vini che, in bianco, si ottengono da un’uva delicata come la Malvasia Istriana. Le origini della Vitovska, come dice chiaramente il nome, sono slovene e in Slovenia difatti viene coltivata con il nome di Vitovska Garganja e si tratta di una varietà che molto bene si é adattata alle particolari condizioni di siccità e ventosità di questo ambiente tutto particolare, vera zona di confine tra culture e civiltà (anche del vino) molto diverse, che è la terra del Carso. Una terra aspra e affascinante, che gode dell’influenza del mare e conta su microclimi del tutto particolari, dove la produzione vinicola spesso percorre la strada del vino da tavola, mentre per i vini a denominazione i produttori tendono a usare indifferentemente la Doc Carso sia l’Igt Venezia Giulia, seguita dall’indicazione del vitigno. Grazie alla disponibilità di Edi Kante

Il Carso triestino

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e Beniamino Zidarich, due dei principali produttori di questa piccola denominazione, i cui protagonisti sono aumentati negli ultimi anni, abbiamo avuto modo di fare un’ampia degustazione di una settantina di vini della Doc Carso, concentrando l’attenzione proprio su Vitovska, Malvasia Istriana e Terrano. Vini, i bianchi, giocati sulla finezza aromatica, sulla mineralità, su un corredo acido importante, su una definizione e un nerbo preciso, su un “sale” che li rende estremamente vivi e piacevoli, mentre nel Terrano è il tannino, a volte dotato di una certa ruvidezza scabrosa, a dominare, insieme a profumi selvatici, boschivi, che rendono i vini molto particolari e assolutamente, come dicono gli anglosassoni, food friendly, ovvero particolarmente adatti all’abbinamento ai cibi, molto saporiti e gustosi, della zona. Ma lasciamo ora la parola ai vini.


DEGUSTAZIONE DOC CARSO Vitovska Friuli Venezia Giulia Vitovska 2003 Kante Stupefacente brillantezza e vivacità del colore, paglierino oro splendente, naso di intensità complessità ricchezza e freschezza fuori dal comune, con aromi caldi di agrumi canditi e macchia mediterranea, liquirizia, anice, miele d'acacia, albicocca candita, fiori bianchi, il tutto in una cornice di straordinaria freschezza e sapidità con accenni salini e di mare. La bocca è ricca, calda, piena, avvolgente di assoluta dolcezza, con nerbo preciso sapido e nervoso, una petrosità estrema e sapidità che rende il vino preciso, lunghissimo, verticale, praticamente infinito, con un'acidità e un carattere davvero straordinari.

Friuli Venezia Giulia Vitovska 2007 Fabian Giusto Colore paglierino oro verdognolo di bella intensità e brillantezza, naso molto ampio, caldo, suadente, di grande eleganza, con note di albicocca, pesca, fiori bianchi, agrumi e frutta secca. Bocca piena, ricca, salata di grande nerbo e pulizia, il vino si allarga ampio in bocca con bella dolcezza di frutto, acidità ben calibrata e persistenza verticale molto salata, con equilibrio e piacevolezza.

Fabian Giusto Vitovska 2007

Carso Doc Vitovska 2007 Skerk Colore paglierino oro splendente, naso di bella intensità e fittezza, molto suadente ed elegante, con note di albicocca, pesca nettarina, accenno di miele, agrumi canditi, liquirizia e fiori bianchi di bellissima ricchezza. Al gusto asciutto, ricco, pieno, di grande e salda struttura, ben secco, di grande avvolgenza, con pienezza e carattere incisivo da rosso, grande equilibrio, finezza, lunga persistenza, con acidità bilanciata e mineralità.

Carso Doc Vitovska 2007 Zidarich Colore molto denso, fitto estrattivo, “stile Gravner e dintorni”, naso secco, con ossidazione controllata, che si distende poi ampio e solare, con frutta candita, leggera speziatura, albicocca secca, agrumi canditi e liquirizia in evidenza. Bocca larga, piena, avvolgente, con la stoffa e la ricchezza di un rosso, di grande personalità, lunghissimo, largo, impegnativo, ancora estremamente giovane con nerbo acido che spinge.

Friuli Venezia Giulia Vitovska 2007 “Vitigno antico” Kante Colore paglierino di bella intensità con note verdognole brillanti traslucide, naso di grande fragranza e purezza, con perfetta interazione tra note di fiori e fieno secco e fruttate, con agrumi, mandorla, nocciola, una leggera speziatura, liquirizia, accenni di anice e sambuco a completare il bouquet. Bocca di grande impegno e ampiezza ricca, estrattiva, con notevole stoffa ma con freschezza e sapidità estreme, lungo, verticale, nervoso, con acidità profonda grande freschezza e sale. Ancora molto giovane e con grande potenziale.

Friuli Venezia Giulia Vitovska 2006 Grgic Igor Colore paglierino oro squillante multi riflesso, naso caldo, fitto maturo, mediterraneo con frutta secca, fieno e fiori secchi in evidenza e accenni di miele con mineralità spiccata. Bocca molto larga, piena, di grande stoffa, ricca e calda con bellissima acidità e freschezza, gusto sapido, ben secco, incisivo di grande carattere e sale. Ancora molto giovane e pieno di energia.

Igor Grgic Vitovska 2006

Friuli Venezia Giulia Vitovska 2008 Jozko Colja Colore paglierino acceso di grande intensità e brillantezza, naso molto fitto, maturo, largo, con bella ampiezza e presenza di frutto (pesca e albicocca), accenni di biancospino e salvia, a comporre un insieme elegante, ampio suadente, con dolcezza d'espressione mediterranea e note agrumate. Bocca di bella intensità e ampiezza, con grande nerbo sapido, bell'allungo nervoso e verticale, sottile e incisivo, con acidità viva e grande carattere. Friuli Venezia Giulia Vitovska 2006 Ostrouska Bella intensità di colore, naso molto vivo, complesso, solare mediterraneo, con erba e fieno secco, miele, agrumi e frutta in evidenza, con fragranza e freschezza. Bocca molto secca asciutta, di grande slancio e nerbo salato, con persistenza lunga e mineralità spiccata.

Kmetija

Azienda

OSTROUŠKA

Vitoska +))/ B'@'M'

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Degustazioni Carso Doc Vitovska 2007 Lupinc Colore paglierino smagliante di vivacità e brillantezza, molto elegante e sottile nei profumi floreali, propone una bocca di grande ampiezza e impegno, asciutta, nervosa, con mineralità che spinge e grande materia, ma con freschezza, acidità e nerbo preciso e una grande lunghezza e verticalità, con carattere petroso spiccato. Friuli Venezia Giulia Vitovska 2007 Mario Milic Naso molto caldo, pieno, maturo con spiccato carattere vinoso e frutta ben matura (pesca e albicocca) accenni di liquirizia anice e salvia. In bocca é molto largo, asciutto, nervoso, con bell'allungo, ha pienezza, ricchezza estrattiva, lunga persistenza salata ben secca senza concessioni, acidità ben calibrata che spinge e finale molto persistente, verticale, salato, di nerbo preciso.

Mario Milic Vitovska 2007

Friuli Venezia Giulia Vitovska 2007 Castello di Rubbia Colore paglierino oro solare multi riflesso, naso molto ampio, mediterraneo con agrumi canditi, fiori bianchi, leggera speziatura e vena petrosa, bocca di notevole impegno molto asciutto, largo, pieno con sviluppo preciso e coerente, grande intensità e pienezza, ben secco, con un ritorno che richiama il bastoncino di liquirizia, acidità ben sottolineata, una buona verticalità e lunghezza.

Friuli Venezia Giulia Vitovska 2008 Stanko Milic Paglierino verdognolo brillante, naso molto elegante, incisivo, floreale, con una bella presenza di pesca bianca e accenno di miele, con freschezza, nerbo, un bell'accenno minerale. Attacco asciutto, preciso, nervoso di apprezzabile nitidezza e precisione, sapido e nervoso, ha persistenza e buona acidità che spinge.

Friuli Venezia Giulia Vitovska 2007 Roberto Savron Colore macerativo estrattivo, naso molto ricco, asciutto maturo, con anice e liquirizia in evidenza e poi fiori secchi e agrumi, bocca di grande ricchezza con tannini che mordono ancora, pieno molto asciutto, di carattere spiccato ancora con una certa durezza di espressione dovuta a un legno ancora sbilanciato, ma largo caldo di grande impegno.

Malvasia Istriana

Friuli Venezia Giulia Malvasia Istriana 2008 Jozko Colja Paglierino oro traslucido di grande luminosità, naso ricco ampio, suadente di grande fragranza, dolcezza ed eleganza, con note di mandorla, miele e biancospino. Bocca ampia, ricca, salata, di grande nerbo, si allarga pieno avvolgente caldo, con grande stoffa, ma con un sale, una freschezza, un nerbo, un bilanciamento acido da grande vino, con pulizia, estrema piacevolezza e finale secco asciutto che invoglia a bere.

Friuli Venezia Giulia Malvasia Istriana 2008 Fabian Giusto Colore di bellissima intensità e brillantezza, naso fitto, caldo, suadente, di grande eleganza, fragranza e complessità, con un tono quasi cremoso, con agrumi, fiori bianchi, accenni di miele in evidenza, il tutto in una cornice di grande fragranza e sapidità. Al gusto è ricco, pieno di notevole estrazione e colore, alcol (13°) ben bilanciato, ha materia ricca che regala ampiezza, larghezza, salda persistenza con una bella vena acida che spinge e vivacizza il finale verticale e petroso.

Carso Doc Malvasia Istriana 2007 Skerk Colore di grande ricchezza oro antico con magnifici riflessi e bella densità nel bicchiere, naso fitto, suadente, mediterraneo, con agrumi, albicocca candita, mandorla, fiori secchi e miele. Bocca larga, piena, avvolgente, di magnifica estrazione, con retrogusto di miele e frutta secca, magnifica acidità e nerbo salato, con grande eleganza e ricchezza, energia e integrità.

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Fabian Giusto Malvasia Istriana 2008


Carso Doc Malvasia Istriana 2007 Zidarich Bella intensità di colore con la leggera nota opaca dei vini macerativi ed estrattivi, naso che esalta la componente fruttata, con agrumi canditi e note mediterranee calde e solari in evidenza, accenni di mandorla e miele, grande ampiezza ma fragranza e pulizia in bocca, larga, piena, suadente, vellutata, di grande impegno e stoffa. Il vino ha finezza e carattere, acidità ben bilanciata, fresco e vivo e pieno di sale, con finale lungo, nervoso, preciso, di grande e incisiva verticalità.

Friuli Venezia Giulia Malvasia Istriana 2007 Kante Paglierino brillante e luminoso, naso complesso, fresco, salato, di grande pulizia, grandissima salinità e nerbo preciso, con mandorla, fiori bianchi, anice, vino ricco, estrattivo, ma con assoluto bilanciamento tra tutte le componenti. Attacco asciutto incisivo con bella verticalità e lunghezza, al gusto dà l'impressione di essere ancora molto giovane con una grande materia che deve ancora completamente aprirsi e lunghissima ampia persistenza.

Friuli Venezia Giulia Malvasia Istriana 2006 Skerlj Colore molto fitto, estrattivo, leggermente opaco, naso caldo e mediterraneo con frutta secca, miele, albicocca, agrumi canditi e poi una nota minerale sapida, precisa, petrosa, asciutta. In bocca è largo, pieno, carnoso, di grande stoffa e impegno, con magnifica sapidità e mineralità, nervoso, vivo, scattante, con preciso equilibrio tra tutte le componenti nonostante la potenza e la ricchezza del vino.

Carso Doc Malvasia Istriana 2006 Grgic Igor Paglierino oro multi riflesso di splendida vivacità, naso molto elegante, compatto, denso, con note di miele, zafferano, frutta secca, albicocca, mandorla, di grande fragranza ampiezza e pulizia. In bocca è molto lineare, incisivo, sapido, nervoso, con grande verticalità e mineralità, molto essenziale quasi scabro, petroso ma con una precisione e un sale e una freschezza davvero molto notevoli.

Igor Grgic Malvasia Istriana 2006

Carso Doc Malvasia Istriana 2008 Rado Kocjancic Paglierino di bella vivacità e intensità, naso caldo, maturo, suadente, quasi cremoso, con note solari mediterranee, accenni di pasta di mandorle e marzapane, pesca bianca, miele, nocciola, bocca ricca, piena, ampia, di buon impegno e larghezza, vino voluminoso ma con notevole freschezza e corredo acido bilanciato che regala un finale incisivo asciutto di buon carattere.

Friuli Venezia Giulia Malvasia Istriana 2008 Fattoria Carsica Skerlj Colore paglierino verdognolo luminoso e traslucido, naso molto incisivo e preciso con spiccato carattere floreale – biancospino e fiori bianchi – quindi anice, accenno di agrumi di grande freschezza e sapidità. La bocca è ampia, larga, di buona estrazione di frutto, con una bella vena acida sapida che dà slancio ed equilibrio e buona piacevolezza al vino ancora molto giovane e fresco.

Carso Doc Malvasia Istriana 2007 Ferfoglia Bella intensità cromatica, naso ben secco, fiori bianchi, fieno, accenno miele, frutta secca leggera speziatura, liquirizia, secco incisivo nervoso con una bella estrazione e una piacevole ruvidezza estrattiva, bocca molto secca, incisiva, nervosa, con bella acidità e lunghezza.

Terrano

Carso Doc Terrano 2003 Kante Rubino di grande integrità e profondità, naso di bella fittezza e persistenza aromatica, ancora con una certa vinosità, con note selvatiche di liquirizia e accenni di rabarbaro, china e note minerali sapide, nervose, a costituire un insieme molto personale. Largo pieno, succoso al gusto, con una pienezza di frutto – prugna e ciliegia selvatica – insospettabile, ancora molto largo, pieno di grande soddisfazione e polpa, mantiene ancora nerbo, freschezza ed energia.

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Degustazioni

Friuli Venezia Giulia Terrano 2006 Igt Fabjan Colore rubino violaceo intenso e brillante, naso selvatico e maturo, con bacche rosse prugna, leggera speziatura, more di rovo e ginepro e accenni animali selvatici di bella intensità fragranza e ampiezza. La bocca è piena, viva, succosa, con bella polpa e ricchezza di sapore, tannino ben sottolineato, grande materia terrosa con piacevole ruvidezza che dà carattere e lunga persistenza al vino, con notevole componente acida-salata-minerale.

Carso Doc Terrano 2006 Ostrouska Rubino violaceo intenso molto brillante, naso caratteristico, selvatico, speziato-pepato, con accenni cuoiosi-animali, di liquirizia e sottobosco e una componente minerale di grafite e polvere da sparo ben espressa. Al gusto grande equilibrio acido-sapido bel corredo tannico, una piacevole asprezza e ruvidezza, fresco, vivo, sapido, pieno di sale ancora giovanissimo, scalpitante nervoso ancora con grande energia e nerbo.

Fabjan Terrano 2006

Kmetija

Azienda

OSTROUŠKA

Terrano

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Carso Doc Terrano 2007 Zidarich Bellissima intensità di colore, fitto, profondo ma brillante, naso di grande carnosità, ampio e strutturato, con frutti rossi di bosco, prugna accenni minerali speziati pepati in evidenza, fragranti e quasi cremosi. In bocca grande nerbo e freschezza con un frutto di grande precisione carnoso, succoso, pieno, di grande dolcezza eppure nervoso e sapido, con verticalità minerale e tannino che morde e dà carattere spiccato al vino.

Friuli Venezia Giulia Terrano 2006 Skerl Colore molto fitto concentrato, quasi grasso nel bicchiere, fruttato, vivo, succoso, molto maturo in evidenza a naso, con tendenza alla sovra maturazione, con sfumature leggermente cuoiose e animali e spiccato carattere selvatico. Al gusto grande materia ricca, larga, succosa di notevole impegno e potenza, quasi masticabile, potente ampio e caldo, con un sostegno tannico preciso e una grande ricchezza di sapore retta da una bella acidità.

Carso Doc Terrano 2006 Milic Colore rubino intenso, naso di assoluta espressività, fresco, vivo, succoso con carattere selvatico spiccato e note di liquirizia, cuoio, pepe nero, ginepro, macchia mediterranea di bellissima fragranza e profondità. In bocca molto pulito, suadente quasi cremoso, grande dolcezza e ricchezza, con materia salda piena e ricca, bel sostegno tannico, spiccato carattere terroso, ampio e carnoso, ancora fresco e vivo.

Milic Terrano 2006

Carso Doc Terrano 2007 Fattoria Carsica Grande intensità e densità di colore, naso molto intrigante su note selvatiche di piccoli frutti di bosco e prugna, con leggera speziatura e note minerali affumicate. Salda struttura al gusto, nitido e nervoso, con tannino ben evidente che caratterizza il vino, bella componente minerale con acidità ben presente, ricco di sapore nervoso petroso, con una sua piacevole tipica ruvidezza.

Friuli Venezia Giulia Terrano 2008 Roberto Savron Rubino violaceo molto vivo e brillante, naso selvatico che richiama la prugna, la mora di gelso, il sottobosco, con una nitida viola e un accenno leggermente terroso. Al gusto notevole struttura e ricchezza, ampio, pieno succoso, con un bel sostegno tannico e un'acidità nervosa, piacevolmente ruvido, ma di gran carattere.

Friuli Venezia Giulia Terrano 2008 Colja Jozko Colore rubino violaceo di buona densità e profondità, aromi densi e carnosi di frutta rossa e piccoli frutti e note selvatiche di sottobosco. Al gusto mostra ricchezza e densità succosa, bella polpa incisiva, fresca di precisa definizione e nerbo, gran carattere con equilibrio, freschezza, piacevolezza, e finale piuttosto lungo e persistente.

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Fattoria Carsica Terrano 2007


L’intervista

La diversità, il punto di forza del vino italiano di Cesare Pillon

PER

CONQUISTARE

IL CONSUMATORE È INDISPENSABILE

CAMBIARE STRATEGIA: BISOGNA ESPORTARE

CULTURA, FAR

CONOSCERE STORIA E TRADIZIONI IN MODO DA CREARE INTERESSE E GENERARE

ASPETTATIVE, CHE

VERRANNO SODDISFATTE ESPORTANDO IL VINO

L Donato Lanati 30

egli ultimi trent’anni il vino italiano ha conosciuto una stagione di straordinario successo, arrivando a competere con quello più prestigioso al mondo, il vino francese. Ma l’anno scorso la crisi, abbattutasi come un ciclone anche sul vino italiano quando questo non era più sulla cresta dell’onda, ha cambiato le carte in tavola. Qual è la situazione oggi? DeVinis lo ha chiesto a Donato Lanati, figura di spicco della cultura enologica italiana (è docente all’Università di Torino) ma anche consulente di molte aziende sparse in tutta la penisola, per cui dispone di informazioni di prima mano e ha tutti gli strumenti per analizzarle in profondità.

N

In questo momento così complesso e difficile, qual è lo stato di salute del vino italiano? “La crisi ha colpito tutto il mondo ma, in Europa, particolarmente Italia e Francia. La Francia lamenta i danni più gravi perché la sua immagine si identifica soprattutto con Bordeaux e Champagne, che hanno subito perdite del 30-40 per cento (lo Champagne però ha saputo reagire con maggior prontezza). L’Italia ne ha risentito meno perché i suoi vini, favoriti dalle differenze di stili e di regioni, sono stati in grado di affrontare le difficoltà meglio dei concorrenti. A compromettere la loro competitività è stato però (fino al febbraio scorso) il rapporto di cambio delle valute, con un euro troppo forte e un dollaro troppo debole, che li ha rincarati, favorendo i vini australiani e cileni. E non è stato certo d’aiuto il sistema italiano di denominazioni, ingessato da burocrazia e restrizioni, molto meno agile del laissez faire, magari anche eccessivo, di cui godono i Paesi nuovi produttori”. Quando si è alle prese con difficoltà economiche, il fattore prezzo assume un’importanza fondamentale per qualunque prodotto, figuriamoci per il vino, che non è indispensabile per l’alimentazione umana, e di cui perciò si può fare a meno. Di fronte all’inevitabile diminuzione dei consumi, la tentazione di abbassare i prezzi, pur di vendere, diventa fortissima. Qual è oggi, e quale dovrebbe essere, il rapporto tra prezzo e qualità? “Prima di tutto va fatto un distinguo: quando si parla di grandi vini ci si riferisce a denominazioni che godono di riconoscimento mondiale come Amarone, Chianti, Barolo, Brunello. Ma sono prodotti di nicchia, ed è una nicchia che non arriva neanche al 10 per cento della produzione. Sono vini che offrono indubbiamente margini importanti, ma la variazione del loro prezzo non smuove grandi volumi: chi abbassa troppo il suo listino rende meno credibile il proprio marchio senza far


RAMANDOLO D. O. C. G.

i nostri produttori

aumentare le vendite in misura apprezzabile. Per questi vini va fatta invece una politica sempre più seria di qualità, perché devono rappresentare unicità enologiche. Attraverso di essi si vende territorio, e perciò bisognerebbe lavorare sulla valenza dell’origine, comunicando un sistema diverso più che continuare a proporre tante denominazioni che creano confusione. Diverso è il discorso per i vini più commerciali”. In che senso? “Nel senso che il rapporto prezzo-qualità, nel loro caso, si confronta con quello degli altri Paesi produttori, quindi per valutarlo è essenziale innanzitutto capire quali sono i fattori qualitativi richiesti dal mercato: insomma, che cosa intende per qualità il consumatore, in un vino che arriva a 5 euro sullo scaffale? Poi bisogna confrontarsi con i concorrenti e verificare a quale livello si può competere, senza dimenticare però la redditività che deve avere tutta la filiera”. Il confronto, per questi vini, ha luogo nella grande distribuzione, che non è un partner neutrale perché dispone di un’enorme forza contrattuale per comprimere i prezzi. “Effettivamente in Italia metà dei circa 50 milioni di ettolitri prodotti viene venduta attraverso la grande distribuzione, che è diventata terribilmente importante in un momento in cui i consumatori sono alla ricerca del prodotto più conveniente. Infatti la tendenza è di abbassare sempre più i prezzi, per evitare stoccaggi di cantina insopportabili, e di praticare operazioni di svuotamento. Si applica perciò abitualmente il principio della vendita a costo industriale e a volte della “perdita di profitto”“.

Bernardis V. San Sebastiano 16 Nimis UD Tel. 0432-790140 A. Berra V. Ramandolo 29 Nimis UD Tel. 0432-790296 G. Bertolla V. Manzoni 19 Nimis UD Tel. 0432-790301 G. Bressani V. dei Conti 52 Nimis UD Tel. 0432-790430 A. Claucigh V. San Sebastiano 14 Nimis UD Tel. 338-7562364 A. Comelli V. Valle 71 Nimis UD Tel. 0432-790402 M. Cussigh V. Ramandolo 9 Nimis UD Tel. 0432-790427 G. Dri V. Ramandolo 7 Nimis UD Tel. 0432-790516 Favite V. Cloz 40 Nimis UD Tel. 0432-783914 Filippon V. Valle 72 Nimis UD Tel. 0432-790212 D. Gervasi V. Cloz 11 Nimis UD Tel. 0432-790019 I Comelli Largo Diaz 8 Nimis UD Tel. 0432-790685 Il Roncat V. Pescia 7 Nimis UD Tel. 0432-790260 Job Agricoltura V. Coia di Lev. 26 Tarcento UD Tel. 0432-783226 La Roncaia spa Via Verdi 26 Nimis UD Tel. 0432-790280 Merlino V. Carducci 47 Nimis UD Tel. 347-8931342 Micossi V. Bernadia 20 Tarcento UD Tel. 0432-783276 G. Petris V. Ramandolo 35 Nimis UD Tel. 0432-797039 Ronchi di Nimis V. dei Conti 26 Nimis UD Tel. 0432-790487 R. Tami V. Roma 50 Buttrio UD Tel. 0432-670174 Toblar srl V. Ramandolo 17 Nimis UD Tel. 0432-755840 Vigneti P. Pittaro V. Udine 67 Codroipo UD Tel. 0432-904726 S. e M. Vizzutti V. Vuanello 14 Nimis UD Tel. 0432-790167 M. Zaccomer V. Sedilis 31 Nimis UD Tel. 0432-790234

enoteche e wine bar selezionati Emilia Romagna Cantina Tumedei V. Ortolani, 32 Bologna Tel. 051-540239 Friuli Venezia Giulia Acer V. Manin 16 Udine Tel 0432-504186 Ai Bintars V. Trento Trieste, 67 S. Daniele UD Tel 0432-957322 Carnia Sapori Sauris di Sopra UD Tel 0433-866378 Da Benito Largo Diaz 4 Nimis UD Tel 0432-790019 Enoteca Dawit V. Alpi Giulie 30 Camporosso UD Tel 0428-63012 Enoteca di Buttrio V. Cividale 38 Buttrio UD Tel. 0432-683072 Rist. Cial de Brent V. Pordenone 1 Polcenigo PN Tel 0434-748777 G. Scognamiglio V. Conti 34 Trieste Tel 040-639582 Trattoria al Grop V. Matteotti 7 Tavagnacco UD Tel 0432-660240 Lazio Enoteca Trimani V. Goito 20 Roma Tel 06-4469661 Lombardia Bottega del Vino Peck srl V. Hugo 4 Milano Tel 02-861040 Cantina la Frasca V. Ticino 15 S. Fruttuoso MB Tel 039-2726243 Enoteca ai Ronchi V. Galilei 89 Brescia Tel. 030-305354 Enoteca Cotti V. Solferino 42 Milano Tel 02-29001096 Ottimo Rist. e Gastr. V. S. Marco 29 Milano Tel. 02-62694634 Winner Wines srl V. Roma 27 Leno BS Tel. 030-906374 Toscana Enoteca Bonatti srl V. Gioberti 66/R Firenze Tel. 055-660050 Selez. Fattorie V. Artigianato 50 Montespertoli FI Tel. 0571-670584 Veneto Enoteca Cortina V. Mercato 5 Cortina d’A. BL Tel. 0436-862040 Enoteca La Mia Cantina P. le S. Croce 21 Padova Tel. 049-8801330 Quadri Gran Caffè P. zza S. Marco 120 Venezia Tel. 041-5222105

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L’intervista Ma allora il concetto di qualità è molto diverso, per i vini da 5 euro rispetto a quelli da 30. “Proprio così. In questi ultimi c’è il patrimonio storico e culturale di un territorio con cui l’acquirente vuole entrare in contatto e per questo è disposto a spendere di più. Nei vini da 5 euro, invece, contano di più la varietà e la mancanza di difetti, anche se la qualità è oggi una condizione assoluta a tutti i livelli e non più un attributo dei vini al top. Questi, però, devono comunicare qualcosa di più: una qualità unica, riconoscibile, identificabile e allo stesso tempo storia, tradizione e verità. Meglio se verità scientifica!”. Questo concetto, che il vino italiano ha davanti a sé un grande futuro soltanto se riesce a far percepire il suo legame con il territorio e la sua storia, è diventato un ritornello che ripetono tutti. Ma la sensazione è che dietro le belle parole non si faccia molto di concreto, in questa direzione. Lei che cosa ne pensa? “Bisogna prendere atto che i francesi, avendo saputo esportare in tempi non recenti la loro cultura enologica, hanno fatto diventare i loro vini il punto di riferimento più facile per tutti i consumatori del mondo. Con la sola eccezione di Barolo e Brunello di Montalcino, perciò, la produzione italiana viene messa a confronto con Cabernet, Merlot, Shiraz, Chardonnay, ed è un confronto difficile. Tuttavia la vendita può essere favorita quando i vini ottengono punteggi molto elevati dalla newsletter The Wine Advocate di Robert Parker o dal periodico Wine Spectator, pubblicazioni che in una sola lingua vengono lette in almeno trentacinque Paesi del mondo: possibilità che le guide dei vini italiane ovviamente non hanno”. Ma il giudice decisivo non è il consumatore? “Sono il primo a esserne convinto, però è necessario che il vino arrivi a lui. Il problema è che se si vuole entrare negli Stati Uniti o in Russia con un nuovo marchio, bisogna esibire delle credenziali e questi supergiudici sono in grado di fornirle. Ma se il vino non è ancora sul mercato, non può avere un punteggio da Parker o da Wine Spectator: è il classico caso del gatto che si morde la coda. Ma c’è anche un altro problema. Le varietà tradizionali italiane sono molto diverse da quelle francesi, soprattutto sono accusate di avere meno colore. Io però sono convinto che la diversità delle loro caratteristiche, che sembrerebbe un punto debole, può diventare invece il loro punto di forza”. In che modo? “L’obiettivo di ogni produttore, oggi, è di proporre vini riconoscibili: il consumatore attento è stufo di assaggiare vini che si assomigliano tutti. Per conquistarlo è indispensabile però cambiare strategia: bisogna prima esportare cultura, far conoscere storia e tradizioni in modo da creare interesse e generare aspettative. Aspettative che verranno soddisfatte esportando, ma solo a quel punto, il vino”. Lei ha affermato spesso l’esigenza di una tracciabilità scientifica per garantire l’origine del vino. Certo, è importante dar certezza al consumatore che ciò che sta scritto in etichetta corrisponda esattamente a ciò

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che contiene la bottiglia, ma in un momento come questo, in cui il rischio più temuto è la caduta dei consumi, è lecito chiedersi: la tracciabilità scientifica può servire a incoraggiare le vendite oppure no? “No, a favorire le vendite oggi sono il marchio e la qualità. Il marchio esprime fiducia, costanza, sicurezza. E la qualità non è più un attributo ma condizione assoluta che deve essere garantita a tutti i livelli di prezzo. Da sola la tracciabilità scientifica non può incoraggiare le vendite per un motivo molto semplice: i consumatori pensano che sia già garantita da Doc e Docg. In realtà, avvenimenti anche recenti hanno dimostrato che ciò non è affatto vero: tutti i controlli imposti dalla normativa, i registri e le certificazioni permettono semplicemente di arrivare al produttore, ma è lui stesso, in definitiva, che garantisce varietà e origine di provenienza. Non sarebbe più razionale allora pretendere da lui solo un’autocertificazione delle quantità prodotte e del luogo da cui le ha ottenute, e poi, a campione, verificare scientificamente l’origine?”. Ma in che cosa può consistere questa verifica scientifica? “Esiste già un sistema di controllo, basato sul valore dei rapporti isotopici degli elementi leggeri, ma i risultati che si ottengono hanno solo carattere probabilistico perché sono influenzati dalle variazioni del clima. Vi è però un settore di ricerca più innovativo, centrato sul fatto che la vite, come tutte le piante, assorbe dal suolo le sostanze per il proprio metabolismo e nel percorso terreno-pianta-uva-vino vi sono alcuni isotopi che non subiscono frazionamenti neanche durante la fermentazione. Questi sono perciò eccellenti indicatori di provenienza, sempre costanti nel tempo, ma con valori specifici in funzione della natura e della composizione del terreno. Costituiscono cioè una vera e propria impronta digitale che certifica la zona di nascita del vino. Ecco perché sono convinto che la tracciabilità scientifica dell’origine geografica diventerà valorizzazione dell’economia reale e del territorio”. La sua proposta di tracciabilità scientifica provoca però qualche perplessità. Questa, per esempio: in un mercato egemonizzato dalla cultura americana, che privilegia la qualità varietale del vino, come pensa si possa imporre la qualità territoriale patrocinata dalla cultura e dalla tradizione europea? “Credo che la questione vada capovolta. Se il mercato omologato dalla cultura americana dovesse mai prevalere, noi saremmo costretti a smettere di fare vino perché in Australia, nel Cile e in Argentina le uve, per questo tipo di vino, si ottengono a costi decisamente più bassi. L’Italia, come tutti i Paesi storici, vende varietà ma soprattutto origine. Perciò deve fare vini appetibili al consumatore mantenendo le caratteristiche delle sue varietà così come scaturiscono da un territorio ben definito”.

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L’intervista Ma perché non accettare invece la sfida sul terreno della qualità varietale? “Lo si è tentato anche troppo spesso, in questi anni, ricorrendo a furbizie e scorciatoie, arricchendo i vini italiani di colori e profumi, mediante tagli truffaldini, per conferire loro più facilmente le caratteristiche dei vini dell’omologazione. Ma così facendo essi hanno perso la forza della territorialità e l’emozionalità della nostra cultura. Se invece di infilare nelle bottiglie a denominazione di origine vini provenienti da altre zone, si fosse fatta una vera ricerca viticola, selezionando le piante per ottenere una migliore differenziazione, avremmo qualche possibilità in più di vincere sull’omologazione. In Italia si fa troppo poca ricerca, in parte perché è costosa, ma anche perché c’è pochissima gente preparata per poterla fare”. Su questo tema si innesta un’altra questione: episodi come quello del Brunello di Montalcino, nel quale il suo centro di ricerca, l’Enosis, ha avuto un ruolo di primo piano come consulente della Procura, hanno lasciato nell’opinione pubblica la sensazione che sia molto complicato controllare scientificamente con certezza la qualità varietale di un vino. A lume di naso, le difficoltà di controllo della qualità territoriale dovrebbero essere anche maggiori. Perché allora il consuma-

tore dovrebbe sentirsene più garantito e basare su di essa le sue scelte? “Creda, non è difficile ricercare la varietà, almeno nei vini monovarietali. Per gli altri ci sono già oggi metodi biochimici e tecniche molecolari. E poi i ricercatori stanno portando avanti anche in Italia le tecniche risolutive del Dna: è solo questione di tempo ma ci si arriverà. Vorrei però sottolineare qual è il ruolo della ricerca in queste vicende. Secondo me, lo scopo della ricerca è capire la qualità e cercare di esprimerla al meglio, mantenendola nel tempo; il confronto con i vini truccati ne è solo una conseguenza”. Può essere più esplicito? “Certo. Il mio gruppo a Enosis non studia come scoprire le sofisticazioni, ma cerca di assolvere al più grande compito dell’enologia che è quello di individuare quali sono i metaboliti di interesse qualitativo per ogni particolare varietà, quali sono i fattori ambientali che stimolano l’espressione di alcuni geni anziché di altri e come sovrintendono ai corrispondenti livelli biosintetici. Tutto ciò per capire di più e nella consapevolezza che per fare delle scelte mirate bisogna basarsi su rigorose basi scientifiche. Insomma: non sono lo sceriffo di Nottingham. Ma poiché vivo a Sherwood, preferisco fare Robin Hood”.

CONVOCAZIONE DI ASSEMBLEA PER L’APPROVAZIONE DEL BILANCIO CHIUSO AL 31 DICEMBRE 2009 È convocata l’Assemblea dell’Associazione Italiana Sommeliers prevista dall’articolo 11 dello Statuto vigente presso la sede dell’AIS, Viale Monza 9, Milano per mercoledì 21 aprile 2010 alle ore 6.00 in prima convocazione e per GIOVEDÌ 22 APRILE 2010 ALLE ORE 9.00 in seconda convocazione per discutere e deliberare sul seguente ORDINE DEL GIORNO 1 – Lettura della relazione sull’attività gestionale 2 – Lettura della relazione del Collegio Revisori dei Conti 3 – Discussione e approvazione del Bilancio al 31 dicembre 2009 4 – Discussione e approvazione del Bilancio Preventivo 2010

Il Presidente Terenzio Medri


La verticale

champagne di Napoleone e della Regina d’Inghilterra Lo

L I vigneti della maison Maison Perrier Jouët

di Davide Oltolini a Maison Perrier Jouët è, innanzitutto, il frutto di un’unione: quella tra Pierre Nicolas Perrier e Rose Adélaide Jouët, meglio conosciuta come Adèle. Lui venticinquenne appartenente a una famiglia di viticoltori e artigiani della regione, lei proveniente da una famiglia di commercianti della Normandia, decisero di dedicarsi al commercio di Champagne e nel 1811 fondarono la loro famosa Maison, acquistando, tre anni più tardi il grande edificio che ne diventerà la sede storica, in Avenue de Champagne n. 28 ad Épernay. Si dice che la Maison sia nata sotto una buona stella, ovvero durante il passaggio della cometa di Halley, osservata per la prima volta la notte del 25 marzo proprio del 1811, che fu anche l’anno della prima, eccezionale, vendemmia Perrier Jouët, di cui, già nel 1819, rimanevano soltanto 50 bottiglie. Nel 1861 la Regina Vittoria decise di fare dell’azienda la fornitrice ufficiale della Corte d’Inghilterra, il che rappresentava un riconoscimento della grande qualità della produzione della Maison. Recentemente sono stati ritrovati in cantina anche gli ordini di champagne di altri clienti di altissimo livello, quali Napoleone III e Caterina II, imperatrice di Russia. La Maison possiede in proprio 65 ettari, classificati al 99,2% nella scala storica dei cru, ovvero ogni appezzamento è classificato quasi completamente come Grand Cru. Il fabbisogno aziendale viene coperto per un terzo da uve di proprietà, mentre la parte restante viene selezionata presso viticoltori che collaborano con la cantina da ormai molte generazioni. È lo Chardonnay, vitigno fine ed elegante, floreale e raffinato a caratterizzare la produzione Perrier Jouët che privilegia le vigne mature, ovvero con un’età media di circa 23 anni. Si trat-

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ta di poco meno di 40 ettari situati sui mitici Grand Cru di Cramant e di Avize. Tale vitigno viene poi unito al Pinot Meunier del Premier Cru di Dizy, generoso e fruttato e al Pinot nero della Montagna nord, come quello del Grand Cru di Mailly, certamente più delicato rispetto a quelli del sud. La Maison, fin dai suoi esordi, è stata strettamente legata all’arte, all’estro creativo e al design, a partire dall’esclusiva bottiglia della mitica Cuvée Belle Epoque, il cui decoro di anemoni, creato nel 1902 dal maestro vetraio dell’Art Nouveau Émile Gallé, la rende, ancor oggi un sofisticato capolavoro estremamente attuale. La mitica Cuvée è invece nata nel 1969, quando è stata proposta al pubblico degli estimatori con il grande millesimo 1964. La presentazione avvenne a Parigi presso Chez Maxim’s, uno dei templi della vita fastosa di inizio secolo e fu, successivamente, replicata, alla presenza dei più grandi nomi della politica, dell’arte e del mondo dello spettacolo, in occasione della serata per i festeggiamenti del settantesimo compleanno di Duke Ellington, ovvero Edward Kennedy Ellington, direttore d'orchestra e pianista, tra i più grandi compositori americani del Novecento. E proprio la mitica Cuvée Belle Epoque è stata la protagonista di un’eccezionale ed esclusiva degustazione verticale, di sole bottiglie dal formato Magnum, che si è svolta nella sala degustazione di Perrier Jouët, all’interno della storica sede di Épernay, alla quale hanno preso parte, oltre a chi scrive, solo Ivano Antonini, miglior sommelier italiano 2008, del ristorante Sole di Ranco di Varese, Fabrizio Sartorato, sommelier del ristorante Da Vittorio di Bergamo (3 stelle Michelin), Lorenzo Rondinelli, responsabile wines del ristorante Trussardi di Milano, e Davide Jais di Pernod Ricard, distributrice dello storico marchio. A condurre l’importante degustazione, delle storiche annate 1999, 1998, 1996, 1995, 1988, 1985 e 1982, un personaggio d’eccezione come Hervé Deschamps, dal 1993 Chef de cave della Maison, uno dei soli sette uomini che si sono alternati in questo ruolo in ben due secoli della gloriosa storia di Perrier Jouët e attuale depositario della filosofia produttiva dell’azienda.

L Davide Oltolini, il primo a destra, alla Maison Perrier Jouët

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La verticale

LA DEGUSTAZIONE ANNATA 1999 Annata di difficile gestione, dall’inverno freddo, ma senza gelate, seguito da una primavera che ha alternato periodi caldi a temporali e da un’estate soleggiata. Alla vista si presenta di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, mentre al naso si rivela complesso con, in apertura, una nota di fiori bianchi, seguita da sentori di albicocche, frutta esotica, ananas e pera e a una sensazione agrumata apportata dallo Chardonnay, i quali evolvono verso sentori mielati, di frutta secca e brioche. In bocca appare caldo, rotondo, potente e generoso, con il Pinot nero che, oltre a presentarsi in quest’annata fruttato e leggero, offre al vino un’ottimale “ossatura”. Lungo il finale che, in retrolfazione, evidenzia gradevoli note di torrone, noce e mandorla. ANNATA 1998 Annata dall’inverno mite e secco, caratterizzata da diverse gelate nel mese di aprile, alle quali è seguita la grandine, nonché abbondanti precipitazioni. Abbastanza fresche le temperature di inizio dell’estate che è, invece, proseguita con un mese di agosto piuttosto caldo. Il Belle Époque 1998 si presenta come un prodotto non immediato, né semplice da degustare, ma di un’innata eleganza, e appare come una delle migliori espressioni dello Chardonnay. Alla vista offre un colore giallo paglierino dai riflessi ben pronunciati, sintomatici di un’ottimale concentrazione, mentre all’olfazione diretta appare intenso, esprimendo una grande ricchezza, caratterizzata da aromi floreali e fruttati, con richiami particolari al limone e alla pesca, oltre a note di miele di fior d’arancio. Al palato si presenta consistente e corposo, rinfrescato da un’acidità ben presente che si stempera in un lungo finale. ANNATA 1996 Le condizioni climatiche inizialmente avverse del 1996 hanno, invece, consentito l’ottenimento di un’annata unica nel rapporto tra zuccheri e acidità. 50% di Chardonnay, 45% di Pinot Noir e 5% di Pinot Meunier per questo Champagne che all’esame visivo si presenta di un bel giallo paglierino, mentre al naso risulta caratterizzato da notevoli ed articolate note fruttate, arricchite da sensazioni minerali e un’invitante richiamo di tostatura. In bocca rivela una spalla acida ben presente, accomunata a un buon corpo e a una rilevante “potenza” gustativa, che si chiude con una notevole persistenza aromatica intensa con ricordi retrolfattivi agrumati. ANNATA 1995 Annata caratterizzata da molte piogge e poche giornate di sole, che ha costretto, in fase di vendemmia, a un’attentissima selezione dei grappoli. Il 1995 è il primo millesimo assemblato da Hervé Deschamps in qualità di Chef de cave e si compone del 48% di Chardonnay, 46% di Pinot Noir e 6% di Pinot Meunier. Alla vista appare di un bel giallo paglierino, mentre al naso si rivela ricco e invitante, con una spiccata e altrettanto delicata, nota floreale, che confluisce in sensazioni fruttate e in più evolute note di pasticceria, con un tocco di mineralità finale. L’attacco al palato è pieno, seguito, dopo una sorta di esitazione, da uno slancio fresco e agrumato. Lungo il finale per questo champagne elegante e di notevole espressività, dal particolare profilo organolettico. ANNATA 1988 Le condizioni climatiche del 1988 hanno contribuito all’ottenimento di questo Champagne di un bel giallo paglierino carico con riflessi dorati. All’olfazione si presenta fine, di grande eleganza, dagli aromi evoluti, contraddistinti da note quasi burrose e di pasticceria, che lasciano quasi sorpresi quando all’assaggio il vino presenta un’acidità “importante”, sintomatica di una potenziale, notevole longevità. Ottima P.A.I. ANNATA 1985 Una grande annata, contraddistinta da basse temperature. Le gelate hanno rischiato di compromettere il raccolto (in particolare per quanto riguarda il Pinot Nero della Montagna di Reims), che si è, comunque, rivelato di altissima qualità. 48% di Chardonnay, 47% di Pinot Noir e 5% di Pinot Meunier donano un colore paglierino con riflessi dorati che fa da anticamera a un naso di grande espressività. Particolarmente accattivante, dotato di un bellissimo e maturo fruttato, oltre a una notevole “rotondità” minerale, è arricchita da note di cuoio e fumée. L’attacco in bocca è intenso, cremoso, per lasciare poi spazio alle sensazioni pseudo caloriche dell’alcol e a una nota di piacevole freschezza. Il finale è lunghissimo. ANNATA 1982 Una vendemmia di eccellenti livelli qualitativi, seguita a due annate particolarmente difficili, porta alla creazione di questa cuvée ottenuta da 49% di Chardonnay, 46% di Pinot Noir e 5% di Pinot Meunier. Qui lo Chardonnay mostra le sue potenzialità. La finezza olfattiva si gioca sul classico intreccio fruttato-minerale, su un sottofondo tostato. Emergono note burrose, mielate, con richiami alla brioche e al torrone. Al palato mostra una struttura più esile delle precedenti, che si chiude in un lungo, elegante, finale .

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Vino che passione!

Valtellina,

un amore che dura nel tempo di Piermaurizio Di Rienzo

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VALORIZZAZIONE E

LA PROMOZIONE DELLE NOSTRE PRODUZIONI RAPPRESENTANO

ASPETTI FONDAMENTALI: PAROLA DI TITOLARE

MARCO FAY, DELL’AZIENDA DI FAMIGLIA

L Marco Fay 40

nni di studio, di passione per il vino e di conoscenza approfondita del proprio territorio, la Valtellina. È il mix che sta facendo dell’azienda Fay di San Giacomo di Teglio, in provincia di Sondrio, una delle realtà più interessanti nel panorama vitivinicolo lombardo e nazionale. Si tratta di un’azienda giovane, fondata nel 1973 da Sandro Fay, che un bel giorno decise di sviluppare quella che fino a quel momento era solo un’attività amatoriale del padre Pietro. Partendo da una piccola gamma, presto la produzione si allarga e dal 1998 si affiancano i figli Elena e Marco. Quest’ultimo, appena trentaduenne, ora è il vero motore. Ha studiato prima a San Michele all’Adige, poi ha conseguito una laurea breve in Enologia alla Statale di Milano. Quindi il ritorno a Teglio per prendere in mano il gioiellino di famiglia, curarlo giorno dopo giorno e portarlo alla ribalta del mercato nazionale e internazionale. Ora la sua vita è tutta casa e vigna, con una puntatina all’anno in Borgogna per scoprire sempre qualcosa di nuovo. “Mi sono appassionato allo studio delle potenzialità delle uve valtellinesi, prevalentemente Nebbiolo” racconta Marco Fay. “Ho cercato di capire le differenze tra le sottozone della Docg Valtellina Superiore (Valgella, Inferno, Sassella, Grumello, Maroggia), spo-

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sando una precisa teoria: a fare la differenza è il posizionamento dei vigneti in verticale”. Partendo da questo presupposto, Fay, che nella sua attività non si avvale di consulenti commerciali o di enologi, ha passato tre anni a sperimentare. Alla fine, ha collocato sotto i 450 metri le uve per il vino base, semplice senza particolari complessità, complice l’umidità nel fondovalle. Tra i 450 e i 600 metri coltiva le uve per le sue etichette più importanti, le selezioni, tutte in zona Valgella. Al di sopra di quest’area, dove l’aria si fa sempre più fredda, ha destinato la coltura della Chiavennasca, questo il nome che qui prende il Nebbiolo, per lo Sforzato di Valtellina: grappoli meno maturi, poco zuccherini, ma certamente più acidi. La vendemmia inizia nei primi giorni di ottobre per lo Sforzato, che in etichetta si traduce in Ronco dei Picchi. Verso la metà del mese si scende verso il basso a cominciare dal Carteria, altro prodotto di punta, il cui nome deriva dalla frazione di Teglio dove sono situate le vigne. Poi si passa al Glicine, coltivato nel territorio di Sondrio. Quindi il Cà Morei, ancora a Teglio, dal nome dialettale di Casa Morelli, che identifica la proprietà in cui Mansueto Morelli viveva con la famiglia nei primi anni del Novecento. La figlia Emma nel 1947 sposò Pietro Fay, il nonno di Marco.


I vigneti dell'azienda Fay

Nella zona intermedia, infine, trovano spazio le uve per la produzione de La Faya, a ridosso di un bosco secolare: vi crescono Merlot, Nebbiolo e Syrah, in rigoroso ordine di altezza. In bottiglia nasce un prodotto al 60 per cento Nebbiolo, al 30 per cento Merlot e al 10 per cento Syrah. Dai vigneti più bassi provengono il Nebbiolo in purezza e il Rosso di Valtellina, combinazione di Chiavennasca, Merlot e le varietà autoctone Pignola, Rossola e Brugnola. L’affinamento delle selezioni Docg è uguale per tutti. Carteria, Cà Morei, Glicine e La Faya riposano un anno per un terzo in barrique nuove, per un altro terzo di secondo passaggio e per un ulteriore terzo di terzo passaggio. Passano altri sei mesi in acciaio e un nuovo anno in bottiglia. Lo stesso avviene per lo Sforzato Ronco del Picchio, dove cambia solo la materia prima, le uve appassite. “Esce il vino che voglio io, quello che mi sono studiato nei minimi dettagli prima ancora di iniziare tutto il processo” racconta Marco Fay, che annovera in totale 14 ettari di proprietà, fatta eccezione per una piccola porzione che affitta da un cugino del padre. La produzione annuale si attesta ormai intorno alle 85mila bottiglie per un fatturato di circa 800mila euro. Alle dipendenze ci sono sei lavoratori stagionali, nel periodo della vendemmia,

due in cantina a tempo indeterminato che si aggregano nel periodo clou dell’anno al resto del team. La sorella Elena si occupa di marketing e della rete commerciale. Il padre Sandro si è ritagliato uno spazio nella gestione della contabilità. Il mercato italiano si sviluppa attraverso un network di rappresentanti diretti nelle province di Como, Lecco, Bergamo e Sondrio. Per il resto del Paese l’azienda si appoggia a un distributore di Trento. Per quanto riguarda l’export, che rappresenta il 30 per cento della produzione, i vini Fay sono presenti ormai in quattordici Paesi. “Andiamo molto bene sulle piazze di New York e Londra, che hanno sempre apprezzato i prodotti piemontesi, ma che ultimamente hanno scoperto il Nebbiolo valtellinese” sottolinea Fay. “Andiamo bene anche in Giappone. Poi il resto lo fa il Vinitaly di Verona, un momento che ci permette di creare occasioni di business. Ricordo ancora la soddisfazione di aver intercettato un operatore danese che scelse la nostra gamma dopo aver girato tutto il giorno per il padiglione della Lombardia”. I prezzi? “Vengono fatti dal mercato, ma bisogna considerare che abbiamo costi di produzione più alti rispetto ad altre zone italiane: 1.000-1.200 ore di lavoro a ettaro”. Funziona bene anche il Consorzio di Tutela dei Vini della Valtellina, all’in-

terno del quale c’è stato ultimamente un parziale ricambio generazionale. Per Marco Fay “la valorizzazione e la promozione delle nostre produzioni rappresentano aspetti fondamentali. L’Ais e la Regione Lombardia si stanno muovendo per fare le cose bene, ma noi non dobbiamo e non possiamo più tradire le attese. La Valtellina deve smetterla di fare solo parole, occorre impegnarsi esclusivamente sui vini, evitando autocelebrazioni”. A proposito di riconoscimenti, va detto, però, che l’azienda Fay negli ultimi mesi ha messo insieme un bel bottino. La guida Duemilavini 2010 ha assegnato cinque grappoli al Valgella Carteria 2006 e quattro al Cà Morei, al Glicine, al Ronco del Picchio e al La Faya. Nell’ambito del progetto Viniplus, promosso dall’Ais Lombardia, a Fay è stato assegnato il premio speciale “Il Sano”, quale realtà che unisce la qualità della produzione a un’etica orientata al “sano, buono ed equo”. Per le prossime annate le prospettive sono buone. Lo Sforzato Ronco del Picchio 2007 sta affinando alla perfezione: esala già aromi di confettura e violetta. Anche l’ultimo inverno ha rispettato le attese: freddo e neve non sono certo mancati e da queste parti non sono solo condizioni ben accette, ma fondamentali. 41


Musei

Cibi unici

per buongustai

di VIAGGIO

tutte le età

GOLOSO NEI MUSEI INTERNAZIONALI DELLA PATATINA FRITTA,

DELLO STOCCAFISSO E DELLE CARAMELLE

di Letizia Magnani l cibo e il vino sono eredità. E come tutte le eredità nascondono segreti, curiosità, amori. Vestono identità e sapori diversi ma, c’è da crederlo, non mancano le rarità. Forma e contenuto si mescolano nella messa in scena dei cibi. È questo che si scopre andando in giro per i musei del gusto. Così, ci si può lasciar rapire dai colori e dagli aromi del museo delle caramelle, a due passi da Lione, in Francia, ma ci si può letteralmente innamorare di altri protagonisti sacri del gusto, come la patata e lo stoccafisso, ma non solo. Entrambi sono cibi umili, ricchi di sapore e di sapere, universali. C’è un segreto per cuocere al meglio le patatine fritte? E, se sì, chi l’ha inventato? A Bruges, in Belgio, non hanno dubbi: la patatina fritta è nata proprio lì. In Norvegia invece sono convinti che lo stoccafisso sia un cimelio nazionale. Più ancora della bandiera, rappresenta i mari e le terre del Nord, fredde e distanti da tutto. Per questo è sorto un museo unico al mondo, dove si possono scoprire le ragioni della conservazione di questo cibo che si mangia in molte zone del mondo.

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III Un museo per la patata Nel 2008, l’anno della patata, in Belgio hanno pensato di dedicare al tubero più famoso del mondo un vero e proprio museo. Si trova a Bruges, nel nord-est del Belgio e a dire il vero è la Mecca della patatina fritta, il Frietmuseum. In barba alle diete ipocaloriche e ai concetti nutrizionisti che bandiscono il fritto dalle tavole, questo museo vuole al contrario esaltare proprio la patata fritta che, a dire dei belgi, è un’invenzione nazionale. Sia come sia, la patata fritta è una costante nella cucina di quasi tutto il mondo, come a dire che la sostanza e il gusto non hanno patria. Nel museo si trovano come sempre cartelloni pubblicitari, ma anche un’interessante collezione di macchine utilizzate nella lavorazione industriale delle patate. Fra le curiosità da non perdere ci sono le French fries nell’arte e nella musica. È in questo modo che i belgi hanno deciso di esaltare la loro “invenzione” nazionale, declinandola in diversi aspetti che pescano nella cultura materiale e che rendono la patatina fritta un vero must. Alla base dell’esposizione ci sono alcune domande ricorrenti: da dove viene veramente la patata? E, soprattutto, qual è il segreto per fare delle ottime patatine fritte? Con fare giocoso il museo prova a fare un percorso, divertente per i bambini e non solo, nel quale racconta vita, morte e miracoli di miss chips. Info: www.frietmuseum.be/en/

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Musei

III Stoccafisso amore mio La patata non è buona solo fritta ma proposta in mille altri modi e accompagnata a numerose pietanze. È il caso del baccalà, per esempio, una costante che si ritrova in molti Paesi del mondo e che, accoppiato alla patata, è un piatto ricco di sapore e di sapere. In Liguria, così come in Portogallo e nel centro della Spagna ci sono intere feste paesane dedicate a questo particolare pesce secco che, dai gelidi mari del Nord, da secoli, viaggia per mare e per terra e sfama intere popolazioni. Lo stoccafisso è un cibo che può essere considerato sia di mare che di terra. Non è raro, infatti, trovare ricette che lo riguardano anche molto lontano dal mare. È il caso dei piatti tipici del Centro e del Sud della Spagna, ma anche di molte prelibatezze portoghesi e italiane. Nei Paesi del Nord lo stoccafisso è immancabile, accompagnato molto spesso a ortaggi di sostanza e a tuberi, come, appunto, la patata. E proprio allo stoccafisso è dedicato il Lofoten Stockfish Museum, che si trova nell’isola di Lofoten, in Norvegia. Ogni anno a partire dalla fine di Aprile una vasta area della città viene letteralmente coperta di baccalà, messi uno a fianco all’altro per essere essiccati. È questa una delle attività principali dell’isola. Gli abitanti della Norvegia infatti non solo escono in mare per la pesca, ma sono abili artigiani della conservazione. Sono sedici i tipi di stoccafisso che vengono pescati, trattati, conservati ed essiccati. Di ogni specie il museo racconta la storia, ma anche le curiosità e le ricette tipiche della Norvegia e non solo. Il museo sorge sul mare, in mezzo a palafitte ed è progettato per raccontare la storia e il futuro dello stoccafisso. Ogni anno è visitato da migliaia di turisti curiosi. Info: www.datadesign.ws/stockfish.htm III La mania per le caramelle A Uzès, vicino a Lione, in Francia, sorge un altro originale museo, quello dei Bonbon. Si sa, ai francesi piacciono i dolci, per questo non stupisce che proprio nel cuore della Francia sorga questo luogo magico. Esattamente come nel film La fabbrica di cioccolato, nel museo ci si lascia rapire dagli aromi di zucchero, caramello, vaniglia e cioccolata, ma anche dalla magia delle carte colorate. L’estetica nella presentazione dei cibi e dei vini è molto forte in Francia, per questo non stupisce che venga data alle carte dei bonbon, cioè delle caramelle, almeno la stessa attenzione del contenuto in quanto tale. Il museo, aperto dal 1996, racconta la storia della confetteria francese, consente di giocare, assaggiare, manipolare e ovviamente degustare. Haribo è uno dei marchi più noti nel mondo per quanto riguarda la produzione e distribuzione di bonbon, caramelle e gommosi, per questo più di dieci anni fa ha allestito il museo, progettandolo a portata di bambino. La prima cosa che un visitatore, di qualunque età, ha voglia di fare dentro al museo, è quello di allungare la mano e prendere una manciata di “golosinas”, per dirla alla spagnola. Bonbon, caramelle e leccornie varie sono a disposizione di chiunque abbiamo voglia di tuffarsi nel magico mondo delle caramelle. Info: www.haribo.com/planet/fr/info/main/musee/popup/index.php?cat=1&nav=1&subnav=1

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Vino e scuola

Sommelier,

un master in comunicazione di Emanuele Lavizzari

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PRESO IL VIA

IL CORSO NATO DALLA COLLABORAZIONE TRA

AIS

E

ALMA

PER FORMARE VERI E PROPRI MANAGER DEL VINO

n grande esperto di enogastronomia e di turismo, capace di gestire e di comunicare il vino e i suoi abbinamenti. Ecco la figura professionale che uscirà dal Master Sommelier partito a febbraio presso la sede di Alma a Colorno. Proprio dall’accordo tra la scuola internazionale di cucina e l’Ais è nato questo percorso formativo (IV livello Ais) rivolto a sommelier, ristoratori e operatori di settore per diventare indiscutibilmente “specialisti del vino”. Il progetto didattico nasce dalla volontà di Albino Ganapini, presidente di Alma, e Terenzio Medri, numero uno dell’Ais, attraverso l’unione del modello didattico di Alma ai contenuti professionali dell’Ais. Il tutto innalzato a un corso di livello superiore. Il bilancio dei primi tre anni di vita di Alma è molto positivo: 1500 studenti, più della metà dei quali stranieri, hanno frequentato i corsi di ristorazione con risultati pienamente positivi. La vocazione internazionale dell’istituto di Colorno è molto marcata, ma ancor più forte è quella dell’Ais e della Wsa. Per questo motivo il sodalizio che ne è scaturito non poteva che considerare questo percorso didattico alla luce della crescente internazionalizzazione del settore. La formazione superiore è sicuramente una risorsa per il nostro Paese in molti ambiti, ma a quello del turismo e dell’enogastronomia non si era ancora dedicata la dovuta attenzione. Sono nati nel corso degli anni molti Master di comunicazione e di gestione, di economia e di marketing del territorio, ma nessuno si è orientato a formare un vero e proprio top manager del vino. All’inizio di febbraio è stata ufficialmente inaugurata la prima edizione del Master Sommelier Alma-Ais. Il Master è strutturato in modo da fornire conoscenze teorico-pratiche molto avanzate nel campo di tutta la cultura enogastronomica di cui il vino è espressione. Questo con particolare attenzione agli strumenti più adatti alla comunicazione, alla gestione e alla promozione del prodotto. Ogni lunedì, per un totale di 20 giornate, gli allievi saranno accolti secondo un programma didattico che prevede lezioni teoriche e degustazioni guidate di alto livello, il tutto supportato da ulteriori approfondimenti da effettuare tramite formazione a distanza per ottenere una preparazione integrata e in linea con le esigenze professionali di un moderno sommelier. Da febbraio a luglio molte giornate saranno inoltre dedicate alle uscite didattiche sui territori che meglio rappresentano la produzione vinicola di alta qualità in Italia, per capire come nascono le specifiche identità territoriali e come viene mantenuta e trasmessa l’eccellenza qualitativa raggiunta. Sono poi previsti periodi di stage e di coinvolgimento degli allievi in attività lavorative sul campo, perché la formazione ricevuta si trasformi in esperienza pratica immediata.

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Vino e scuola

Direttore del Master è il sommelier Luigi Bortolotti e Rossella Romani ne è il tutor scientifico. La formazione è affidata a docenti universitari, professionisti ed esperti dei diversi settori, docenti Alma e a sommelier di sicura e comprovata esperienza e capacità come i già citati Luigi Bortolotti e Rossella Romani, quindi Antonello Maietta, Manuela Cornelii, Roberto Bellini, Fabrizio Maria Marzi. Proprio con Rossella Romani, vicepresidente Ais e tutor scientifico del Master, abbiamo discusso per mettere in rilievo i contenuti del corso e capire in dettaglio come è stato strutturato. Un Master sicuramente unico nel suo genere quello lanciato da Ais e Alma. Quale sarà l’orientamento di questo corso? Il Master mira alla valorizzazione del rapporto tra vino, territorio e qualità, affrontando un ampio spettro di tematiche di settore, con l’obiettivo primario di offrire ai corsisti gli strumenti indispensabili per la migliore comunicazione e gestione del prodotto-vino.

L Rossella Romani, vicepresidente Ais e tutor scientifico del master

Come è pensato questo percorso formativo? Il percorso formativo del Master si svolge su diversi piani. La fase residenziale prevede lezioni frontali e partecipate presso la Sede Alma di Colorno ed è svolta in parallelo con la formazione a distanza, proposta su una piattaforma multimediale, nella quale i corsisti approfondiranno gli argomenti trattati dai docenti attraverso letture, partecipazione a forum, preparazione di elaborati e test di valutazione. A questo approccio più strettamente teorico, seppur supportato da numerose degustazioni guidate, si affiancano diverse visite in Cantine e un periodo di stage. Che importanza avranno queste uscite presso le aziende? Le giornate dedicate a queste visite non si limiteranno a semplici tour esplorativi, ma dovranno rappresentare un aspetto fondamentale del Master, poiché permetteranno di approfondire temi di assoluto interesse per la comunicazione del vino, toccando con mano gli elementi peculiari che caratterizzano le diverse strutture. Alcuni temi interessanti che saranno affrontati durante queste giornate saranno, per esempio, il movimento del turismo del vino, la costruzione di un brand, il vino come racconto di storie umane e di territori, che permetteranno di cogliere l’anima del rapporto tra vino e territorio e di saperlo comunicare, di entrare in modo diretto nel marketing, nel commercio di settore e nel rapporto tra il vino e l’alta ristorazione. Che spazio avranno gli stage? Gli stage saranno un periodo di tirocinio individuale durante il quale il corsista svilupperà in aziende di settore le sue conoscenze e competenze in un contesto operativo di marketing e comunicazione vino. Ais e Alma, ovvero vino e cibo. Per parlare del bicchiere non si può tralasciare il piatto… Assolutamente. Il sommelier deve essere un interprete della perfetta fusione tra le sensazioni che i cibi e i vini possono offrire, interpretando e guidando i gusti del cliente, grazie a una interazione continua, creativa e costruttiva con lo chef. Per questo motivo il Master affronterà anche le tecniche di cottura e di abbinamento, la costruzione del gusto e il food pairing. Consigliare e servire il vino giusto richiede quindi un’ampia preparazione! Uno degli obiettivi del Master è quello di migliorare le abilità nella degustazione dei vini, ma soprattutto nella capacità di contestualizzarli nelle diverse realtà di territorio e di mercato. Il sommelier deve essere in grado di ricoprire il ruolo di un esperto che sappia gestire il vino sotto ogni aspetto e lo racconti al cliente in modo incisivo e convincente. Nella sua esperienza di insegnamento, quale risulta il modo più efficace per presentare le tecniche di degustazione e di abbinamento? Il mondo del vino è affascinante e incredibilmente sfaccettato. Su un sub-

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strato di conoscenze teoriche acquisite si deve inserire la continua esperienza di degustazioni di vini di ogni origine e tipologia, di visite in cantina, di confronti con tutte le realtà che compongono il mondo del vino. L’errore che cerco di evitare è quello di parlare di vino elencando nozioni senza dare loro un significato più profondo, senza collegare gli argomenti, senza porre domande e cercare insieme ai corsisti, sempre, la risposta più logica. L’obiettivo che mi propongo di raggiungere e che cerco di trasmettere anche ai corsisti è quello di “capire il vino”, di riuscire a trasmettere loro curiosità, passione ed entusiasmo, gli elementi fondamentali che li guideranno nella precisa osservazione nell’interpretazione di ogni sfumatura di colore, profumo e sapore, per creare ogni volta il mosaico sensoriale, territoriale e qualitativo di un vino.

L I corsisti del master il primo giorno di lezione insieme a Manuela Cornelii e Luigi Bortolotti

Le nuove tecnologie e Internet non possono essere trascurati dai sommelier del terzo millennio. Come si pone questo Master verso queste forme di comunicazione? I media di ultima generazione sono uno straordinario veicolo di conoscenze, ampiamente utilizzati anche da moltissime persone che si occupano di vino. Il Master sfrutterà quindi anche queste nuove forme di comunicazione, che permetteranno ai corsisti di ampliare le proprie conoscenze attraverso la visita di siti aziendali, vere e proprie vetrine per la comunicazione dei propri vini, in Italia e nel mondo. Non solo, perché la formazione a distanza si completerà attraverso l’approfondimento di argomenti e la partecipazione a un forum tra i corsisti, che dovranno discutere diversi argomenti proposti dai docenti, oltre che attraverso la verifica in itinere della loro preparazione con test ed elaborati. Ovviamente non si trascurerà la conoscenza della microlingua inglese di settore, da tempo la lingua del commercio e di Internet e indispensabile per una visione allargata della comunicazione del vino nel mondo. Un Master di questo tipo sarà un importante biglietto da visita per i corsisti… Il progetto di questo Master è stato elaborato con l’obiettivo di offrire un percorso formativo di livello superiore, che possa creare una figura professionale moderna e dinamica, in grado di incidere in modo efficace nel mondo del lavoro. Molti dei partecipanti hanno già un impiego e il nostro augurio è che questo Master dia loro gli strumenti necessari per compiere un importante salto di qualità e migliorare ulteriormente la propria professionalità, con creatività e determinazione, e quindi di recitare un ruolo di primo piano nel mondo della comunicazione e della gestione del vino. 47


Vino e architettura

Elementi naturali per esaltare

il vino abruzzese 48


di Alessia Cipolla l vino è sogno ed emozione. Continuamente. Ma è anche cultura, storia, tradizione e territorio. Le politiche di marketing dei competitor del Nuovo Mondo rispetto a quelle della tradizione vitivinicola dei Paesi del Vecchio Mondo spostano l’attenzione il più possibile sul nome, sulla comunicazione, che sulla terra di provenienza. Per “Vecchio Mondo” ci riferiamo alle produzioni vitivinicole che possiedono una lunga storia e cultura, come l’Italia, la Francia, la Spagna e il Portogallo, mentre con il concetto di “Nuovo Mondo” intendiamo quelle nazioni, come l’ Australia, la Nuova Zelanda, la California, il Cile, l’Argentina, il Sud Africa e anche, in un certo modo, l’Ungheria, che hanno incominciato ad affacciarsi sullo scenario internazionale, ma che grazie a innovative strategie promozionali, acquistano posizioni sempre più velocemente. Questi Paesi produttori hanno sviluppato una viticoltura nuova, basata su tecniche produttive innovative e tecnologie all’avanguardia e hanno investito anche sui luoghi di produzione, sulle cantine, realizzate spesso da grandi architetti internazionali. Il vino da loro ottenuto sembra prevalere per le caratteristiche di chiarezza e di immediatezza nei confronti del consumatore, e ciò rischia di mettere in crisi la viticoltura dei vecchi territori del vino: il rischio della perdita di importanza del terroir, concetto francese tipico dell’ideologia del Vecchio Mondo, che comprende un insieme di clima, terreno e paesaggio, ma anche di cultura, storia, organizzazione sociale, risulta grave dove l’origine del vino è sempre più un elemento per il settore di marketing e sempre meno per il settore di produzione. In Europa, la risorsa territorio va mobilitata in direzione del futuro. Le soluzioni a questo pericolo concreto risultano essere molteplici, ma due rappresentano risposte concrete: la prima è data dall’idea di promuovere e tutelare il territorio, un bene comune, attraverso il “fare sistema”, cercando di mettere insieme e coordinare le conoscenze, le esperienze, facendo “gruppo”, anche superando carenze normative, per attività concertate e integrate, finalizzate a interventi sul territorio condivisi, a basso impatto ambientale, di semplice realizzazione, definitivi ed efficaci; la seconda risposta riguarda il ruolo del cittadino, del consumatore, parte

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Vino e architettura

principale del “sistema territorio” e che come tale deve condividere e partecipare attivamente alle scelte, alla gestione ma anche all’informazione e alla tutela; per questo va costantemente formato e informato per una migliore consapevolezza del valore ambientale ed economico che lo circonda. Uno dei momenti fondamentali dell’accoglienza in cantina, spesso trascurati, è la visita nel vigneto. Parlare di vite è parlare della vita di un territorio, della sua formazione e delle sue storie, un modo per comunicare la propria passione per la terra a un consumatore, magari curioso di capire qual è l’origine del vino che a breve degusterà. Parlare di vitigni, del loro orientamento, dei colori durante le stagioni, dei sentori primari che nascono nel vino, vuol dire comunicare la qualità non solo di una regione e di un territorio, ma anche di un’azienda, magari di una storia di famiglia. Il vino nasce dalla vigna, far capire il lavoro che si cela dietro una bottiglia, la vita di una pianta con le proprie necessità di cura durante tutte le stagioni, il tempo dedicato a un buon impianto e al suo sviluppo impressionano sempre l’appassionato enoturista e regalano informazioni utili, chiare, familiari del prodotto facendone percepire maggiormente il suo valore. Bisogna partire, dunque, da un diverso approccio al sistema territorio, capace di avviare nuovi processi di sviluppo e di crescita innovativi e significativi, ritenendo l’ambiente e il territorio gli elementi principali e quindi il volano dello sviluppo economico e sociale ma anche ecosostenibile ed eco-compatibile. Proseguiamo il nostro viaggio all’interno delle nuove cantine italiane realizzate tra il 2001 e il 2009 in Italia, scelte secondo la qualità architettonica e funzionale, oltre che per il rispetto e la valorizzazione del paesaggio circostante. CANTINA DI DORA SARCHESE Caldari (CH) Una cantina fatta di pietra, legno e tanta concretezza abruzzese. L’idea è la riqualificazione di una struttura realizzata negli anni Ottanta, che si aggiunge a elementi della cantina preesistenti. Realizzato dall’ingegne-

L La bottaia della cantina di Dora Sarchese 50

re e architetto Rocco Valentini nel 2007, il progetto ha dato una sede adeguata al lavoro e alla passione di Dora Sarchese e di tutta la sua famiglia per la propria azienda vitivinicola, fondata dallo scomparso marito di Dora. La cantina si trova in Caldari, comune di Ortona, in provincia di Chieti, ed è stata costruita nell’altipiano ortonese, in una zona d’Italia meravigliosa, poco conosciuta ma dalle grandi potenzialità, all’interno di un territorio fatto da gente coraggiosa, di grande dignità e carattere. I protagonisti di questo progetto sono i materiali della tradizione: il legno, la pietra e i mattoni, sempre a ricordare che il vino è un elemento vivo, fortemente legato al suo territorio e alla sua storia. Usati come elementi di architettura bioclimatica, i materiali naturali permettono e agevolano il mantenimento costante della qualità igrometrica degli interni della cantina, evitando così costosi impianti di climatizzazione. Un progetto dalla forte personalità, un oggetto architettonico racchiuso in sé, intimo, come la relazione di ognuno di noi con il vino, una figura geometrica simbolica che appartiene fortemente alla tradizione del paesaggio abruzzese, un elemento definito, chiaro, protettivo ma anche aperto verso il paesaggio circostante, con un largo utilizzo di forme circolari e ondulate, sia in pianta che in prospetto, quasi a voler ricordare che il vino è un elemento liquido, con una sua esistenza, difficile da racchiudere all’interno di superfici troppo definite. L’ampliamento, una sorta di raccordo tra gli edifici preesistenti, è una struttura multiuso, sia per la trasformazione del vino, sia per la sua presentazione e promozione. La nuova struttura abbraccia e racchiude il capannone esistente: si presenta come un muro curvo esterno in pietra, all’interno del quale si sviluppano al piano terra, un portico e una sala da degustazione, gli uffici e i nuovi spazi per l’imbottigliamento. Al piano inferiore troviamo una nuova bottaia per la conservazione del vino. Il muro e la pensilina in legno proteggono la bottaia interrata dall’irraggiamento e fungono, nello stesso tempo, da volano termico accumulando calore durante le ore del giorno e cedendolo nelle ore notturne. La sala degustazione, uno spazio su due livelli, con soffitto a struttura in legno in travi lamellari, è delimitata da una parete in parte vetrata, dalla quale è possibile mantenere il contatto visivo con il paesaggio circostante, con le viti e gli ulivi che la circondano. La bottaia, spazio altamente scenografico, completamente interrata, è circondata da un muro curvo in pietra arenaria che diventa il supporto di più file di bottiglie distese, inserendo nel progetto il vetro come ultimo materiale naturale. Un progetto che di notte, nel silenzio dell’altopiano ortonese, tra la montagna e il mare, emana fasci di luce che tengono viva l’attenzione sui materiali utilizzati ed esaltano la complessità geometrica di un oggetto architettonico solido come lo spirito abruzzese.


Le parole maestre

Cambiare stile di vita per vivere

sani

di Salvatore Giannella

NON

CI SONO

BACCHETTE MAGICHE, BISOGNA IMPOSTARE AZIONI EDUCATIVE DA PARTE DI TUTTE LE FORZE SANE DELLA

SOCIETÀ IN MODO DA DIMINUIRE, SE NON CANCELLARE, LA

DIFFUSIONE DI ALCOL, FUMO E DROGHE.

a cinquant’anni Silvio Garattini, maestro di vita che appartiene alla generazione dei fuoriclasse “senza tempo” come Veronesi, Olmi e Missoni, rappresenta l’antenna più sensibile puntata sui danni dell’alcol, del fumo, delle droghe, dell’inquinamento e sui rapporti di queste sostanze con i farmaci. Il suo impegno di fustigatore inflessibile delle cattive abitudini degli italiani coincide con la rara avventura dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, una fondazione privata non profit che quest’anno festeggia, nel nuovo edificio nel quartiere milanese della Bovisa, il suo primo mezzo secolo di vita dalla data del testamento di Mario Negri di indipendenza, di critica costruttiva, di difesa della salute pubblica. Un’avventura non solo scientifica che ha il sapore di una favola.

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GIANNELLA - Professor Garattini, come nacque il “Mario Negri”? GARATTINI - Nel 1957, a 29 anni, ero volato da Milano negli Stati Uniti per la prima esperienza di ricercatore sul campo. È stata un’avventura breve ma molto istruttiva. Io avevo scelto la carriera universitaria, ero libero docente e mi ero accorto della grande differenza che c’era tra loro e noi italiani. Lì far ricerca era già una professione, da noi era solo un modo per far carriera. In Italia per un ricercatore c’era solo lo sbocco nell’università pubblica o nell’industria, in America c’erano invece più forme di ricerca: in particolare mi aveva colpito la loro idea di fondazione, perché la fondazione aveva e ha la libertà d’azione tipica di tutte le attività private ma (non dovendo fare profitti) permette di rivolgersi all’interesse pubblico. GIANNELLA - Al ritorno dagli Stati Uniti trovò un’Italia che stava fiorendo per il miracolo economico. GARATTINI - Tutto lievitava al meglio. Il Prodotto interno lordo cresceva a ritmi da record, oltre il 6 per cento. Il reddito pro-capite passò da 350mila lire a 571mila lire, favorendo la crescita dei consumi individuali di oltre 5 punti percentuali l’anno. L’industria registrò una crescita pari all’84 per cento tra il 1953 e il 1961. Questi numeri ridussero il divario storico con i grandi Paesi europei. Importanti cambiamenti ci furono anche nell’alimentazione, grazie alla diffusione del frigorifero che, permettendo una prolungata conservazione del cibo, modificava anche le abitudini della spesa quotidiana. In questo scenario io, con Alfredo Leonardi (poi indimenticabile segretario scientifico dell’istituto) e una ventina di collaboratori dovemmo prendere una decisione: partire tutti per gli Stati Uniti, e questa volta definitivamente, o resistere al fascino dell’emigrazione e fare qui in Italia qualcosa di diverso da quello che già esisteva. E così, ingenuamente, chiedevo a tutti quelli che incontravo se potevano darci una mano a realizzare il nostro sogno: una fondazione per le ricerche sui farmaci. 51


Le parole maestre

GIANNELLA - E un bel giorno il vostro desiderio fu esaudito. GARATTINI - Nel 1958 ebbi la fortuna di incontrare, per caso, Mario Negri, un imprenditore milanese proprietario di una gioielleria, con l’animo del filantropo. Lui aveva investito un po’ di soldi anche in una piccola azienda farmaceutica. Un giorno venne a chiedermi consigli. E anche a lui chiesi se mi aiutava a fare una fondazione. Era molto interessato. Abbiamo dapprima collaborato, facevo ricerche per la sua azienda, poi abbiamo parlato del futuro. Lui avrebbe fatto la fondazione da vivo, ma venne colpito da un tumore e poco prima di morire, nel ‘60, mi chiamò e mi disse: “Stia tranquillo, ho fatto ciò di cui avevamo discusso”. Nel testamento lasciava il ricavato dalla vendita delle azioni dell’azienda e altri risparmi, in totale 900 milioni di lire, al fine di far nascere la fondazione. Una firma del presidente della Repubblica Gronchi e via, abbiamo cominciato a costruire l’istituto. Il 1° febbraio 1963 è partita la nostra attività. GIANNELLA - Quanti eravate? GARATTINI - Eravamo ventidue. Oggi siamo oltre un migliaio, distribuiti nelle quattro sedi in Italia. Un vero miracolo che noi, descritti come missionari laici consacrati alla scienza, dobbiamo a lui, Mario Negri, al quale è stata intestata la via che circonda il nostro istituto. GIANNELLA - Come la ricorda quella Milano degli anni Sessanta? E quali differenze trova rispetto a quella di oggi? GARATTINI - La Milano di ieri era una pentola in ebollizione. Giorno dopo giorno fiorivano tante novità, Milano accoglieva cervelli e braccia provenienti da ogni parte d’Italia, vicina o lontana: per esempio, io arrivavo da

Bergamo, Paolo Grassi dalla Puglia a sviluppare il Piccolo Teatro… C’era più interesse concreto per la ricerca unita a una cultura del fare. Oggi Milano resta la capitale italiana della scienza biomedica e una delle città europee a maggiore densità di istituzioni scientifiche, ma c’è troppo individualismo, pubblico e privato devono tornare a lavorare insieme. Si è tutto più burocratizzato, ogni giorno si assiste allo scontro tra burocrati e creativi. Per fare qualsiasi cosa servono decine di permessi, di firme congiunte ed è facilissimo bloccare un’iniziativa, trovando un appiglio, ignorando una pratica. Per dirla con un titolo del “Corriere della Sera”, “siamo nell’Italia dei piccoli poteri: creo ostacoli, dunque esisto”. E nel nostro campo “creo brevetti, tengo il segreto, dunque esisto”.

SILVIO GARATTINI: UNA VITA IN POCHI NUMERI 1928: Silvio Garattini nasce a Bergamo. Studia da perito chimico. Lavora agli altiforni della Dalmine. Si laurea in medicina. È libero docente in chemioterapia e farmacologia. 1962: assistente e aiuto presso l’Istituto di farmacologia dell’Università di Milano. 1963: è fondatore e direttore del “Mario Negri” (sito: www.marionegri.it). Con gli anni l’Istituto ha attrezzato quattro sedi: Milano; Bergamo, 1983; il “Negri Sud” in Abruzzo, a Santa Maria Imbaro (Chieti) 1986; Ranica nel Bergamasco specializzato nella ricerca sulle malattie rare,1992; con un personale di 1.050 unità. È stato membro di vari organismi fra cui: Comitato di biologia e medicina del Consiglio sanitario nazionale e Commissione della Presidenza del Consiglio dei ministri per la politica della ricerca in Italia, membro della Commissione unica del farmaco (Cuf) del ministero della Salute. Ha ricoperto molte cariche, fra le quali quella di presidente del Comitato di chemioterapia antitumorale dell’Unione internazionale contro il cancro; presidente dell’Organizzazione europea di ricerche sul cancro (Eortc), consulente dell’Organizzazione mondiale della sanità. Autore di centinaia di lavori scientifici, fa parte del gruppo 2003 (i ricercatori italiani altamente citati nella letteratura scientifica internazionale: www.lascienzainrete.it. 4 su 51 sono del “Mario Negri”). In mezzo secolo di attività, l’Istituto, sotto la sua direzione, ha prodotto 11.105 pubblicazioni scientifiche e circa 250 volumi. Oltre 6.100 sono i giovani laureati e tecnici che si sono specializzati presso l’Istituto. 03254210150 il codice fiscale dell’Istituto da indicare per destinare il 5 per mille nelle dichiarazioni fiscali (i contributi sono deducibili). 52


GIANNELLA - E intanto migliaia dei nostri migliori cervelli lasciano l’Italia per cercare opportunità lontano. GARATTINI - È un paradosso tragico. Finanziamo i Paesi europei già forti e più attenti al loro futuro, fornendo non solo risorse economiche ma anche cervelli che in Italia non trovano attenzione e strutture adeguate al loro lavoro. GIANNELLA - Perché la ricerca in Italia è così maltrattata? GARATTINI - Perché siamo molto pochi, meno di tre ricercatori per ogni mille lavoratori, contro gli oltre cinque della media europea e gli otto degli Stati Uniti. La nostra spesa non rispecchia il peso del nostro Paese, che è il sesto Paese industrializzato del mondo. In base a impegni europei presi a Lisbona avremmo dovuto spendere il 3 per cento del Pil, invece investiamo meno dell’1 per cento. GIANNELLA - A proposito di brevetti coperti da segreti: sono stato nel più grande laboratorio di restauro privato, quello dei Nicola ad Aramengo in Piemonte. Lì il patriarca Guido Nicola mi raccontava, per il libro che ho scritto per Allemandi (I Nicola appunto) che anche nel loro campo avevano un rigido segreto professionale, fino all’alluvione di Firenze 1966: quell’emergenza portò a diffondere i metodi di restauro, ci volle una tragedia storica per battere il segreto. GARATTINI - La mia può essere una visione utopistica, però noi come istituto non brevettiamo le nostre scoperte, produciamo solo idee e risultati scientifici che sono pubblicati sulle riviste internazionali e messe a disposizione della comunità scientifica. Ovviamente rispettiamo i brevetti e i segreti degli altri, anche se credo che tutti i dati dovrebbero diventare pubblici, perché i pazienti hanno il diritto di sapere che farmaci prendono e perché li prendono.

GIANNELLA - Voltiamo pagina: l’inquinamento, a quel tempo, com’era? GARATTINI - C’era un altro tipo di inquinamento, c’era l’anidride solforosa e c’era il carbone. La misura l’avevi sul davanzale quando trovavi al mattino uno strato di nero che si era accumulato nelle ore notturne. Adesso l’inquinamento è più subdolo, non è visibile, ed è dovuto sempre agli stessi due fattori: il riscaldamento (che però sta migliorando, anche se c’è ancora da fare), e le auto ed è molto peggiorato, non tanto per via dei loro scarichi (ridotti) quanto per l’aumento delle vetture circolanti. E questo porta alla sensazione dell’aria opprimente, irritante, dannosa. Ci vorrebbe molto più coraggio da parte delle autorità. Purtroppo gli amministratori non decidono: nel caso specifico il Comune di Milano ha tagliato i fondi della ricerca anti-inquinamento. Insomma, per sconfiggere la “mal’aria” ci vorrebbero cittadini più coerenti e autorità più coraggiose che facciano riforme strutturali capaci di favorire i comportamenti virtuosi dei cittadini. GIANNELLA - Continuiamo con il confronto tra ieri e oggi. Spostiamoci sull’alimentazione e l’alcol. Com’erano e come sono le abitudini di bere dei milanesi? GARATTINI - L’alcol allora era più diffuso e anche il fumo. Abbiamo fatto molti passi avanti, però sono sorti altri problemi preoccupanti: per esempio l’abbassamento dell’età, per cui si comincia sempre più giovani a bere alcol (e il discorso si può estendere al fumo e alle droghe). Oggi si comincia a 12-13 anni, roba che negli anni Sessanta non si riusciva nemmeno a immaginare. E molte donne hanno preso confidenza con l’alcol. GIANNELLA - Da questa emergenza come si esce? GARATTINI - Non ci sono bacchette magiche e comunque non se ne esce nei tempi brevi. Bisogna avere la capacità di pensare sul lungo termine. Sommando 13 53


Le parole maestre

L Il gioielliere e filantropo Mario Negri (1891-1960) destinò nel testamento 900 milioni di vecchie lire per fare nascere l'istituto di ricerca La nuova sede dell'Istituto Mario Negri

milioni di fumatori, alcolisti, consumatori di cannabis, cocainomani, ci aspetta un brutto futuro. Ecco perché bisogna impostare azioni educative da parte di tutte le forze sane della società: famiglie, insegnanti, medici, sociologi, amministratori che guardano lontano, giornali, in modo da diminuire, se non cancellare, la diffusione di alcol, fumo e droghe, per esempio della cocaina che ormai è diffusa trasversalmente. Al “Mario Negri” abbiamo studiato la diffusione della cocaina con un metodo particolare. Abbiamo misurato la presenza di tracce nelle acque fognarie prima che esse entrino nei depuratori. E abbiamo trovato, a sorpresa, notevoli quantità dei metaboliti della cocaina. In quanto a cocaina nelle fogne, Milano è al primo posto in Europa. Non solo nelle fogne, va da sé. Ormai la cocaina è diventata un modo attraverso cui alcuni rimediano allo stress, alla competizione sul lavoro, alla necessità di rendere di più. GIANNELLA - Si deve fare più prevenzione. Ma agli italiani lo si dice dai tempi di Leonardo. Ho trovato traccia, da poco, di un suo decalogo, Insegnioti la sanità. Vi si legge, tra l’altro: “Guardati dall’ira e fuggi l’aria greve. Tien mente lieta. Sta coperto bene di notte. Se fai esercizio sia di picciol moto. Non mangiar sanza voglia e cena leve. E il vino sia temprato, poco e spesso, non fuori pasto, né a stomaco vuoto. Mastica bene. Non aspettar né indugiar al cesso”. GARATTINI - Consigli di grande attualità. Vede, noi continuiamo a parlare di diritto alla salute, che è giusto, però dobbiamo parlare anche dei doveri nei confronti della salute. Tutti coloro che hanno cattive abitudini di vita non hanno solo la responsabilità individuale perché potrebbero fare ciò che vogliono, ma anche responsabilità sociali perché il servizio sanitario nazionale deve pagare per attività che non sono necessarie: si calcola che quasi la metà delle malattie non piovono dal cielo ma siamo noi che ce le autoinfliggiamo con cattivi comportamenti. Tutto questo è responsabilità anche sociale, se vogliamo mantenere la sostenibilità del servizio sanitario che dà gratuitamente a tutti quello che è necessario: un bene della cui importanza non ci rendiamo conto.

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GIANNELLA - Basti pensare alle fatiche del presidente Obama, per istituzionalizzarlo negli Stati Uniti. GARATTINI - Ai tempi in cui non c’era il servizio sanitario ma c’era la mutua, una malattia cadeva pesantemente sulle spalle della famiglia anche dal punto di vista economico. In conclusione, cambiamo stile di vita, riduciamo le medicine inutili (circolano 20 mila farmaci, ma solo poco più di 300 funzionano davvero) e teniamo d’occhio i doveri verso la salute. GIANNELLA - Cattive abitudini alimentari: le tre più diffuse? GARATTINI - La prima è quella di mangiar troppo rispetto a ciò che si consuma, perché tenere lontano il sovrappeso è il primo presupposto per mantenersi in buona salute. Secondo errore: è quello di non privilegiare, insieme al pesce, la frutta e la verdura cruda. La parte vegetale dovrebbe essere una voce molto importante di ogni dieta: è stato dimostrato che broccoli e cavolfiori hanno la capacità chimica di far aumentare gli enzimi che neutralizzano le sostanze cancerogene prima che entrino in circolo. La stessa funzione protettiva viene dal resveratrolo, contenuto nella buccia dell’uva nera e nel vino rosso, ma il problema è che nel caso del vino, il resveratrolo si assume con l’alcol. Queste prime due norme sarebbero già sufficienti per star bene. La terza: non si può pensare a una cultura nel campo del cibo, senza pensare anche all’esercizio fisico, perché il movimento (il “picciol moto” raccomandato da Leonardo) è un complemento necessario al tipo di alimentazione. Se qualcuno vuol dimagrire non può dimagrire soltanto mangiando poco, perché in questo modo sottrarrà al suo organismo molti micronutrienti che sono importanti. Deve farlo con i due aspetti della bilancia: mangiare un po’ di meno e muoversi un po’ di più. GIANNELLA - Anche sul movimento come terapia, noi italiani siamo stati precursori al mondo. Penso al De arte gymnastica del medico romagnolo Girolamo Mercuriali (Forlì 1530-1606), celebre per avere per primo teorizzato l’uso della ginnastica su base medica. GARATTINI - Purtroppo sono cose note da molto tempo ma praticate poco o niente.


L Il Presidente Napolitano in visita all'Istituto Mario Negri, accompagnato dal Professor Silvio Garattini Un pensiero del Presidente Giorgio Napolitano a ricordo della sua visita all'Istituto Mario Negri

GIANNELLA - Lei che ha esplorato le interazioni tra vino, alcol e farmaci, ci dia dei consigli utili per evitare nefaste conseguenze dall’eccesso di alcol. GARATTINI - A piccole dosi (vedere riquadro a pag. xx, Ndr) l’alcol può avere effetti positivi. Se si supera la soglia, si provocano seri danni al fegato e al cervello. Quando si guida, quando si usano apparecchiature che possono comportare pericoli, quando si fanno attività che richiedono riflessi pronti, la tolleranza deve essere zero. Se ricorrono queste condizioni, la persona non deve bere o deve bere in tempi adeguati prima di fare la sua attività. Vanno privilegiate bevande a basso contenuto alcolico; si dovrebbero evitare liquori e grappe, whisky, cognac e brandy, perché hanno alte percentuali di alcol che sono irritanti per le mucose e quindi alla lunga possono essere responsabili di tumori del tratto digestivo. Infine è da tener presente che alcol e fumo si potenziano a vicenda: per uno che fuma e che beve alcol il conto 2 più 2 non fa 4, ma fa 16.

GIANNELLA - A Helsinki, in una festa, ho visto che ai tavoli c’era un biglietto con l’indicazione del commensale astemio. Certo i finlandesi bevono, ma il punto è che dopo non guidano. Ogni auto di quegli invitati aveva il suo autista astemio o “astemio” solo per quella sera. GARATTINI - Questi sono piccoli passi, ma (se emulati) aiuterebbero da noi a evitare stragi sulle strade come quelle del sabato sera. GIANNELLA - Professore, ho da farle una domanda privata. Da quando la conosco, e sono più di trent’anni, l’ho vista sempre vestito con i suoi inesauribili maglioni dolcevita, sia al lavoro sia in occasioni mondane. Dove nasce questa passione per i maglioni? GARATTINI - Me li regala mia moglie Anny. Ogni tanto, quando capita a Roma, va in una bottega storica di via del Corso e fa rifornimento. Il negozio si chiama Schostal, ha aperto nel 1870 e aveva tra i suoi clienti Luigi Pirandello.

ALCOL E FARMACI L’abuso di alcol, secondo gli ultimi dati pubblicati da Garattini con Alessandro Nobili, sarebbe responsabile di circa 30 mila decessi l’anno in Italia. G Questo il contenuto di alcol (etanolo) per 100 ml di bevanda alcolica: circa 10,5 grammi per il vino; 2,8 g per la birra; 33,6 g per la grappa; 27,3 per amari e digestivi; 32,6 per gli altri alcolici (whisky, cognac e brandy). G Un bicchiere di vino corrisponde a circa 125 ml, uno di birra a circa 330 ml, uno di grappa, amari, digestivi, whisky, cognac o brandy a circa 30 ml. A piccole dosi (da 30 a max 50 grammi di vino al giorno), l’alcol può avere effetti positivi. G Da tenere presente che: 1) l’uso concomitante di farmaci che deprimono il sistema nervoso centrale aumenta la tossicità dell’alcol; 2) la capacità di giudizio e la reattività agli stimoli possono essere gravemente compromesse dagli effetti combinati dell’alcol, anche in piccole quantità, con i barbiturici, con conseguente marcata azione sedativa e potenziale ipnosi; 3) gli effetti dell’alcol sul sistema nervoso possono essere aumentati anche da altri farmaci, tra cui gli antidepressivi triciclici, i tranquillanti minori, gli analgesici oppioidi e gli antistaminici. Il consumo di alcol in questi casi deve essere assolutamente evitato. Inoltre è bene avvertire il paziente dei rischi che corre nello svolgere attività lavorative o di altra natura che richiedono particolare attenzione, come per esempio guidare l’automobile. G Il rapporto completo di Garattini e Nobili sulle principali Interazioni tra farmaci e alcol, con l’elenco di tutti i principi attivi, le rilevanze cliniche, i possibili effetti, i meccanismi e i comportamenti clinici, può essere richiesto alla redazione di “DeVinis”.

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Turismo

Tunisia,

un paradiso in cerca d’identità di Elisa della Barba i dice che il suo nome, Tu-nus, abbia origine dalla lingua berbera e che significhi “promontorio”, oppure “luogo in cui passare la notte”. E di notti, i turisti che visitano la Tunisia, ne passano ben più di una in questo Stato del Nord Africa confinante con l’Algeria a ovest e la Libia a sud e a est. Terra con origini che risalgono alla preistoria – i primi abitanti del Paese furono proprio le tribù berbere che oggi rappresentano una piccola minoranza – qui i Fenici fondarono Cartagine, che conobbe un periodo di grande prosperità grazie al dominio romano. La Tunisia, che conta una popolazione per la maggior parte araba di dieci milioni di abitanti (2008), ha molto da raccontare a chi la visita: con un misto di archeologia, resort ed enogastronomia ricorda in parte il panorama turistico che offre l’Egitto. Purtroppo un altro fattore oltre a quello della tipologia delle risorse turistiche accomuna i due Paesi: il basso tasso di crescita del settore turistico. L’Egitto infatti, con un 7,5 per cento affianca la Tunisia che riporta un 7 per cento, ultimo fra i 19 Paesi studiati dalla Banque Européenne d’Investissement che ha esaminato il tasso di crescita annuale previsto durante l’arco temporale 2006-2010. Campione di crescita fra i Paesi del Mediterraneo è risultato invece il Marocco (19,4 per cento), seguito dalla Siria (16,3 per cento), la Turchia (15 per cento), il Libano (14,9 per cento), l’Algeria (14,4 per cento), Israele (10,7 per cento) e la Giordania (10 per cento). Lo stesso vale per gli arrivi turistici. Con un tasso di crescita annuale del 24 per cento la Siria distacca tutti gli altri Paesi della Regione Mediterranea: anche qui la Tunisia è ferma con

S

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un 5,4 per cento, superata dalla Giordania (6,5 per cento), il Marocco (8 per cento), l’Algeria (11,2 per cento), il Libano (11,7 per cento), Israele (13,3 per cento), l’Egitto (14,8 per cento) e la Turchia (15,5 per cento). Va un po’ meglio per quanto riguarda le spese dei turisti: la Tunisia si classifica quinta, dietro alla pole position della Turchia, dell’Egitto, del Marocco e della Siria. La diagnosi di questa analisi che vede la Tunisia arrancare è però nota: la poca diversificazione dell’offerta turistica. La Tunisia fino a poco tempo fa ha infatti basato la sua immagine esclusivamente sul turismo balneare familiare a prezzi ragionevoli. Solo ultimamente, grazie alla consapevolezza di questa posizione, il Paese ha cercato di diversificare maggiormente puntando sul turismo desertico, su quello termale e su quello archeologico, con un miglioramento lento ma che fa ben sperare. Pollice verso, però, per il 2008 con una diminuzione notevole dei turisti dall’Europa occidentale: inglesi, tedeschi, spagnoli, italiani e francesi sono meno inclini a visitare la Tunisia nonostante le offerte all-inclusive (un esempio per tutti, un pacchetto di una settimana in alta stagione in hotel extra lusso viene offerto a 500 euro). A salvare la situazione sono i mercati dell’Europa dell’Est e del Medio Oriente, allettati dai prezzi. L’aspetto positivo della tipologia di questo turismo è che non si affida agli hotel bensì alle ville balneari e preferisce evitare la formula all-inclusive: questo crea un certo dinamismo nell’industria turistica tunisina. Quello che colpisce invece dei bilanci annuali è che, nonostante la crisi, la Tunisia ha resistito bene nel 2009, con un impatto ridotto sull’industria turistica che rappresenta il motore dell’economia tunisina con il 10 per cento della popolazione attiva totale impiegata in questo settore. Bilancio positivo, infatti, per il primo trimestre che segna un più 0,7 per cento di guadagni turistici in euro rispetto al 2008: un milione di turisti ha visitato la Tunisia nei primi tre mesi del 2009, anche se va segnalato 57


Turismo

Il cortile interno della Moschea Zitouna

La Medina di Tunisi

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che vi è stata una diminuzione del numero di turisti europei, circa 70mila in meno rispetto al 2008. Persino gli europei che hanno scelto la Tunisia hanno modificato il loro comportamento: i francesi, per esempio, hanno optato per soggiorni di breve durata. Questo ha coinvolto di conseguenza le prestazioni che ruotano attorno al turismo: voli, alberghi, ristorazione. Per attirare clienti, le aziende dei trasporti aerei hanno ridotto i prezzi tra il 15 e il 20 per cento e le industrie alberghiere hanno ribassato del 70 per cento le tariffe per camera (in caso di quelle extralusso la condizione era mantenere l’anonimato). Questo stratagemma, che aveva fallito nel 2008, pare quindi aver funzionato per il 2009 (merito probabilmente della crisi), anche se la realtà è che le parole chiave per una rimonta davvero stabile e duratura del settore sono diversificazione e qualità dell’offerta. Per un Paese come questo, che ha a disposizione le stesse caratteristiche attrattive di tutti i suoi colleghi del Mediterraneo – storia, clima temperato quasi tutto l’anno, coste bellissime – la soluzione è trovare un turismo di nicchia. E allora mentre la Turchia, terzo Paese preferito come destinazione turistica dai francesi, punta tutto su prezzi competitivi per attirare i giovani, la Tunisia sceglie un’altra strada e si organizza per investire sulla terza età. È previsto che 16.500 turisti over 60 raggiungeranno la Tunisia nei prossimi due anni. Un mercato promettente, se si considera che questa è l’unica fascia d’età che quasi non è stata toccata dalla crisi e che è disposta quindi a spendere di più. Non avendo poi problemi di ferie, i viaggi si distribuiscono durante l’intero anno, risolvendo così i periodi di “magra” della bassa stagione. Certo è che la Tunisia dovrà fare in modo da organizzarsi per soddisfare appieno questa categoria, mettendo in conto servizi d’animazione specializzati e assistenza medica facilitata. A questo scopo il ministero del Turismo ha messo a disposizione, per cominciare, 50mila dinari, la moneta ufficiale (circa 27mila euro). Nel 2009 si è visto inoltre un aumento di turismo da parte del mercato


L'ingresso di una delle caratteristiche abitazioni di Sidi-Bou-Saïd

recentemente acquisito dell’Europa dell’Est e soprattutto dell’Inghilterra (più 5 per cento rispetto al 2008), che dispone di un notevole potere d’acquisto. Ecco perché nonostante il numero dei turisti sia stato 6,4 milioni di visitatori si è avuto un incremento delle entrate monetarie grazie a un turismo di più alto profilo, con una forte capacità di spesa. Meno turisti e più entrate potrebbe essere la risposta ai problemi della Tunisia, costretta, come abbiamo visto, fino ad oggi a giocare al ribasso con un turismo di massa per nulla conveniente per il Paese anche in termini di fidelizzazione del turista. Ma che cosa si può visitare in Tunisia? Con capitale Tunisi, collocata all’estremo nord del Paese, la Tunisia vanta le più disparate attrattive turistiche. Con 1200 chilometri di coste c’è l’imbarazzo della scelta fra i resort balneari di Scusse, Monastir, Hammamet, Djerba, Tabarka, dove oltre a prendere il sole si possono praticare immersioni subacquee, windsurf, vela. Non lontani dal paradiso di sole e mare i siti archeologici, storici e monumentali sono un must. A Tunisi, non perdetevi la Moschea Zitouna, accessibile anche ai non musulmani, e la medina, dove visitare il Souk el Attarine, il mercato dei profumi, risalente al XIII secolo: si possono ancora trovare oli essenziali e profumi rari. Andate anche al Museo Bardo, collocato in un palazzo del XVII secolo, per vedere gli splendidi mosaici romani. Il museo offre anche importanti resti archeologici di Cartagine e delle ere musulmane e cristiane (primo periodo). Una tappa a Cartagine è d’obbligo vista l’importanza storica di questo sito nominato patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco. Merita anche la medina della città santa di Kairouan, che vanta più di cinquanta moschee. Sempre nella medina di Kairouan si trova la Moschea di Sidi Oqba, la più antica di tutto il Nord Africa. Da vedere anche Sidi-Bou-Saïd, il villaggio meglio conservato di tutto il litorale mediterraneo, con tipiche case bianche; le grotte-abitazioni di Matmata, ora disabitate, anche se alcune riabilitate come hotel, costruite dai Berberi sottoterra per sfuggire al calore così come la “versione” roma-

Il minareto della Grande Moschea di Sidi Oqba a Kairouan

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Turismo

Uno degli ksour tunisini, antichi rifugi berberi, presso Ouledsoltane

na di queste, Bulla Regia, dove si possono ammirare intere stanze conservate al tempo del dominio romano. Se il tempo non manca ci si può anche avventurare per un safari nel deserto (partendo da Douz, villaggio tipicamente desertico) o spingersi fino a sud, per ammirare gli ksour, villaggi fortificati costruiti con il fango che servivano da rifugio ai Berberi contro gli attacchi nomadi ma anche come granai. Anche la gastronomia non delude: come per il Marocco, è una gustosa miscela di cucina francese e araba ed è parte integrante della cultura tunisina. Olio d’oliva e spezie, in particolare quelle piccanti, sono gli ingredienti base: la cucina tunisina è quella più piccante fra tutte quelle del Nord Africa. In aggiunta vi è grande uso di pomodori ma anche grande assortimento di carni e di pesci. Come antipasti menzioniamo il più famoso, il brick à l’oeuf, una pastasfoglia triangolare riempita con tonno, erbe e un uovo e poi fritta in olio. Un altro antipasto famoso è la chorba, una zuppa cremosa fatta di pomodori, cipolle e pastina. Qui gli antipasti sono chiamati kemia, preparano all’appetito e sono composti anche da bocconcini di polipo, peperoni, olive, salsiccia di agnello grigliata (merguez). La harissa è la salsa da pasto locale, preparata con peperoncino essiccato, aglio e spezie. Il couscous è il piatto nazionale: sia i Berberi che la comunità ebraica contribuirono in passato a portarlo in Tunisia. Si possono trovare come portate principali anche gamberi o sardine o la chakchouca, una ratatouille di pomodori freschi, peperoni e cipolle o la koucha, un arrosto di spalla di agnello con peperoncini e patate cotte al forno. La frutta è sempre freschissima e per chi ama i dolci quelli tradizionali sono fatti di mandorle, noci, datteri e conditi con miele. I baklava sono quelli più conosciuti e utilizzati in tutte le feste del Paese: sono fatti di pistacchio, burro, pasta sfoglia e sciroppo di miele. Il tè alla menta è una classica bevanda da pasto e il caffè tunisino è forte e preparato con estrema cura. Per quanto riguarda l’enologia, l’arte di fare il vino per la Tunisia risale all’epoca punica. Gli abitanti di Cartagine furono i primi a occuparsi di viticoltura, pratica che divenne comune a partire dall’VIII secolo a.C.. Ad oggi la Tunisia produce (spesso con l’aiuto di enologi francesi) più di 300mila ettolitri di vino all’anno (2007) che viene esportato in tutto il mondo. Il 70 per

Il chakchouca, a base di pomodori freschi, peperoni e cipolle 60

cento dei vini è Doc e il 20 per cento è classificato come Premier Cru. Nel 2008 le vendite si è registrato un incremento delle vendite pari al 6 per cento in più rispetto al 2007. La tradizione enologica è così radicata nel Paese che circa la metà delle vigne tunisine esistenti è dedicata all’uva per la produzione di vino e non all’uva da tavola; ultimamente, piccole compagnie come Domaine Atlas, St. Augustin e Ceptunes si sono affermate con successo creando una nuova generazione di vini tunisini. Le zone più rinomate per la produzione sono Tunisi, Megrine e Grombalia, chiamata dai suoi abitanti “il regno delle uve”. I vitigni più comuni sono di origine europea, per lo più francese: l’Alicante-Bouchet, il Cinsault, il Grenache, il Carignan, il Nocera, il Pinot Nero come vini rossi (e rosati) e il Semillon, il Pedro Ximénez, il Moscato di Terracina e il Moscato di Frontignan per i vini bianchi, per quanto riguarda i vitigni autoctoni ricordiamo l’Abeidi, il Mizzutello e il Sultanieh. Tra i vini rossi celebri tunisini: Vieux Magon, Château St. Augustin e Sélian; tra i bianchi Château St. Augustin e Ugni Blanc, tra i rosé Coteaux de Carthage e Château Mornag. Una curiosità: per il rosso Vieux Magon, “Magon” deriva dal nome dell’agronomo che visse a Cartagine al tempo dei Fenici e annotò le tecniche di vinificazione, oggi ancora in uso, in un trattato di viticoltura.

Brick à l'oeuf tunisino

Baklava


Eventi

Il

made in Italy spopola

a

New York

di Alessandra Rotondi osa bolle in pentola a New York? Di tutto e di più! Nella metropoli in cui etnie e culture diverse si incontrano e coabitano, anche le cucine del mondo convivono quotidianamente. In questa Babele di sapori, effluvi e ricette, oltre agli orrori delle rivisitazioni culinarie arbitrarie e fasulle del made in Italy, quali il chicken parmigiana, pastrocchio di pollo inserito suo malgrado in una parmigiana di melanzane in cui a mancare sono, per assurdo, proprio le melanzane, fortunatamente molti eccellenti professionisti dell’enogastronomia, insieme a una nuova generazione di imprenditori, propongono il rispetto della vera tradizione culinaria nazionale. Sono ristoratori, chef, titolari di aziende vinicole, giornalisti del settore, personaggi della vita sociale o istituzioni quali il Consolato generale, l’Istituto del Commercio estero, l’Ente nazionale del Turismo. Negli ultimi mesi, tutti costoro si sono adoperati per la promozione del made in Italy da mangiare e da bere, proponendo su New York una serie di eventi che hanno suscitato l’attenzione dei media, oltre che del vasto pubblico americano. Tra questi, la Giornata internazionale delle cucine italiane, organizzata dal Gruppo Virtuale dei Cuochi Italiani (GVCI) che riunisce nel mondo migliaia di adepti, tra cuochi e addetti ai lavori, decisi a dire no ai taroccamenti e alle falsificazioni della cucina e prodotti nostrani. È il terzo anno consecutivo che il GVCI, capitanato da Mario Caramella, chef di base a Bali, indice una giornata dedicata al rispetto di una ricetta che fa parte del patrimonio culinario italiano da celebrarsi simultaneamente nel mondo. Dopo il risotto alla milanese e gli spaghetti alla carbonara, quest’anno si è indetto “il rispetto” delle tagliatelle al ragù. L’anteprima dell’evento si è svolta a New York, presso la sede dell’Italian

C L Chefs degustano tagliatelle tra cui Mario Batali e Cesare Casella

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Eventi Culinary Academy, il cui responsabile, ideatore e preside degli studi è lo chef Cesare Casella, titolare del Ristorante Salumeria Rosi, nonché leader del GVCI negli USA. Vari cuochi italiani aderenti all’iniziativa, come Valentino Rizzo dell’Osteria Bottega Bologna e Cinzia Orlandi, vera sfoglina, sono convenuti nella Grande Mela esibendosi nella preparazione originale delle tagliatelle alla bolognese. Il console generale Francesco Maria Talò ha fatto da arbitro nella prova culinaria. Mario Batali, popolare cuoco italo-americano cultore del ragù, durante la video conferenza in diretta con Bologna è stato nominato membro onorario dell’apostolato della tagliatella e ambasciatore culinario di Bologna ed Emilia Romagna. Rappresentanti di eccellenti marchi dell’enogastronomia e beveraggi italiani, come Grana Padano, Parmacotto, Ferrarelle, Barilla, Calvisius Agroittica, hanno offerto seminari e degustazioni gratuite. Una cena di gala, svoltasi anch’essa presso la scuola di Casella, preparata da Chicco e Bobo Cerea, (ristorante Da Vittorio, Bergamo, 3 Stelle Michelin) coadiuvati dagli allievi dell’istituto, ha riunito personaggi della tavola di New York, tra cui Anne Burnell, conduttrice di un reality tv di gran successo dal titolo I Peggiori Cuochi d’America, ma soprattutto cuochi e ristoratori italiani, tra cui i “newyorkesi” Sirio Maccioni de Le Cirque e Osteria del Circo; Lidia Bastianich di Felidia, Becco, Del Posto e l’itinerante Gianfelice Guerini, chef del Team Ferrari Formula 1, i quali sono stati tutti insigniti dell’Italian Cuisine Worldwide Award, per l’impegno nella diffusione dell’autentica cultura enogastronomica italiana, ricevendo una padella in argento come premio simbolico. A distanza di pochi giorni, l’Accademia italiana della cucina, istituzione culturale della Repubblica, riconosciuta in tal senso dal ministero dei Beni Culturali, ha festeggiato proprio a New York il 50° Anniversario dalla sua fondazione. La contessa Francesca Baldeschi Balleani, delegata su New York, ha organizzato al Metropolitan Club una cena di gala tutta marchigiana, opera dello chef Lucio Pompili, alla quale ha partecipato oltre che il presidente dell’Accademia, Giovanni Ballarini, l’alta società e le autorità. Nel corso della serata sono stati premiati personaggi che operano nell’enogastronomia per “l’alta professionalità e l’intelletto con cui svolgono il loro mestie62

L Tagliatelle al ragù M Preparazione delle Tagliatelle per la Giornata Internazionale delle Cucine Italiane


re e soprattutto per il cuore con cui sanno esprimere le eccellenze delle tradizioni culinarie italiane”. E ancora una volta Sirio Maccioni era nel parterre dei premiati, come Lou Di Palo, titolare dello storico Di Palo Alimentari ed Enoteca a Little Italy, meta indiscussa per gli acquirenti delle prelibatezze italiane e punto di attrazione turistica, per i cento anni di attività festeggiati quest’anno. Dall’Italia la simpaticissima Luisanna Messeri, autrice e conduttrice televisiva del Club delle Cuoche ha ricevuto lo stesso premio. Verdicchio, Pecorino, Passerina, Rosso Conero e Piceno di varie aziende hanno ricevuto l’onore degli altari come forse mai successo prima. Ma tutti i vini italiani hanno avuto recentemente una chance in più di farsi conosceL La Principessa Kathreen di Serbia, in blu, e re e apprezzare dal pubblico newyorkese. È successo con l’evensuoi ospiti al Ballo in Maschera da Cipriani to Vino 2010, promosso dall’Italian Trade Commission, cioè M Riccardo Ricci Curbastro, Gianfranco Fini, l’Ufficio del Commercio estero di New York,oltre che da Marco Pallanti e Aniello Musella, Direttore Buonitalia, Vinitaly, vari consorzi vinicoli e regioni, che ha offerdell'ICE New York, in occasione di Vino 2010 to alla città grandi degustazioni, seminari, conferenze e cene a tema per celebrare le tipicità italiane. A richiamare l’attenzione dei media anche l’inaspettato arrivo del presidente della Camera dei Deputati, Gianfranco Fini, di passaggio dopo una visita ufficiale a Washington, che ha presenziato a uno dei wine tasting, degustando vini e intrattenendosi con i titolari ed enologi convenuti, tra cui Marco Pallanti in qualità di presidente del Consorzio del Chianti Classico e Riccardo Ricci Curbastro per la Franciacorta. E la rassegna si chiude con il galà in maschera che la famiglia reale di Serbia, residente a New York, ha organizzato per raccogliere fondi a favore dell’opera benefica e umanitaria Lifeline. L’occasione era il Carnevale e, visto il tema, non poteva non tenersi in quella che è considerata la trasposizione di Venezia nella Grande Mela, cioè la sontuosa sala da ballo di Cipriani sulla 42ª Strada. In questa occasione il made in Italy è andato ancora oltre: non solo la sede dell’happening esclusivo, che ogni anno richiama tutto il jet-set newyorkese e internazionale, era italiana, ma anche tutto il vino che è stato servito, merito della generosa e totale donazione da parte delle aziende Zonin e Salvatore Ferragamo, le quali, oltre a contribuire a una nobile causa, hanno garantito agli invitati il miglior intrattenimento possibile: quello del vino al cento per L Vino 2010, la settimana enologica italiana a New York cento italiano! 63


Vino e finanza

oro abbaglia, vino rallegra

Se l’ il

di Lorenzo Simoncelli

DAL 2001

A OGGI

on la fine della prima decade del ventunesimo secolo è tempo di bilanci anche per la finanza. Due gli elementi da sottolineare. Primo: IL VALORE l’investimento azionario è quello che tra le diverse asset class ha DEI GRANDI CRU performato peggio (meno 24,5 per cento) negli ultimi dieci anni, stando È AUMENTATO ben al di sotto dell’asticella dell’inflazione (22,34 per cento). Secondo: chi ha scommesso sui beni rifugio, oro e immobili su tutti, ha avuto ancoDELL’11 PER CENTO. ra una volta ragione. Il metallo giallo ha conseguito un rendimento del più CHI HA INVESTITO 155 per cento, cioè quasi il 10 per cento all’anno (molto più di Bot e Cct), mentre il mattone si è rivalutato del più 118 per cento. A seguire è stato IN VINO HA AVUTO premiato chi ha scommesso su petrolio, titoli di Stato e mercato monetaOTTIMI RITORNI, rio. Ma la vera sorpresa è il vino. Lo dimostra l’andamento del Liv-ex 100, l’indice basato a Londra, che rappresenta un benchmark per il settore con INFERIORI SOLO le sue cento bottiglie più ricercate al mondo (91 per cento Bordeaux). A ORO E IMMOBILI Dal 2001 a oggi le grandi etichette hanno registrato un più 11 per cento, e nel 2009, anno ancora burrascoso per le borse mondiali (soprattutto il primo semestre), il Liv-ex ha fatto registrare un più 0,9 per cento attestandosi a 237,17 punti. Un trend di crescita che tra l’altro sembra essere confermato anche per il 2010 visto che a gennaio è salito ancora del 2,7 per cento. Oltre alla sua valenza economico-finanziaria, questo indice è uno strumento molto utile per tutti quei collezionisti che vogliono controllare il valore della loro cantina. Le etichette che confermano la loro quotazione, anche al di là delle oscillazioni tra le diverse annate, sono principalmente i bordolesi Premier Cru: Lafite Rothschild, Mouton Rothschild, Cheval Blanc, Haut Brion, Margaux, Latour, Petrus. Per quanto riguarda la Borgogna invece non sembrano sentire oscillazioni di alcun genere i prodotti del prestigioso Domaine Romanée Conti. Fra le etichette italiane, poche (0,63 per cento dell’indice), c’è il Masseto della Tenuta dell’Ornellaia. Un prodotto di qualità elevata che da dieci anni a questa parte ha visto incrementare il suo valore economico del 446 per cento. Presso la casa d’aste Gelardini & Romani l’annata 2006 en primeur è stata battuta alla Giovanni Geddes, AD della Tenuta dell'Ornellaia 64

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Claudio Zara, ricercatore e professore di banking e finanza, Università Bocconi e SDA Bocconi

cifra record di 604 euro (14/03/2009). Valori che hanno preso quota ulteriormente dopo che il Petrus italiano (come lo ha definito il noto critico enologico Robert Parker) ha messo piede nella Place de Bordeaux (11/11/2008). Una scelta voluta fortemente dall’amministratore delegato dell’azienda toscana, Giovanni Geddes, che in esclusiva per DeVinis, ha spiegato alcuni retroscena dell’operazione. «Con la vendemmia del 2006 abbiamo deciso di mettere una quota del Masseto (20 per cento) sul principale palcoscenico dei migliori vini a livello internazionale» spiega Geddes. «Nel corso di questo primo anno ha già lasciato il segno facendo registrare quotazioni che hanno raggiunto i 560 euro. È un grande successo che conferma la qualità del nostro Merlot. Essere a Bordeaux, rappresenta un privilegio. I Negociants gestiscono da sempre i grandi Cru di Bordeaux e perciò hanno il know how perfetto per gestire un grande Cru italiano. Con questa operazione manterremo il pieno controllo della tracciabilità del nostro vino, abbiamo un accordo che prevede la totale trasparenza su dove verrà venduto il vino». Investire in vini giusti e d’annata può dunque rendere anche il 20 per cento. È il caso del Lafite Rothschild 1982, che negli ultimi dieci anni ha avuto una rivalutazione dell’857 per cento. Ciò significa che dodici bottiglie di questo Premier Cru bordolese sono passate da un valore di 2 mila sterline alle attuali 25 mila. Oppure il caso dello Château Le Pin 1998, una cassa sempre da dodici nel 1999 valeva 800 sterline, quattro anni dopo ne valeva 1.550 (più 27 per cento). Ma l’acquisto diretto dal produttore o tramite asta sono solo alcune delle possibilità d’investimento nel vino. Da una decina d’anni, infatti, anche il vino ha subito in parte un processo di finanziarizzazione, che ha visto la nascita dei primi fondi d’investimento comuni, della prima sicav (società d’investimento a capitale variabile) nel 2008 e dei contratti futures. I risultati anche qui sono stati ottimi, meno per quanto riguarda la diffusione del vino come asset strategico da inserire nei portafogli. Il perché non sia ancora apprezzato dai gestori delle banche d’investimento lo abbiamo chiesto a Claudio Zara, ricercatore e professore di banking e finanza dell’Università Bocconi e della Scuola di direzione aziendale (Sda) della Bocconi. «La nota positiva del fondo d’investimento in vino è la possibilità di finanziarizzare un prodotto che per natura non lo è» spiega Claudio Zara. «La finanza permette di rendere questo bene, che per natura non è negoziabile, indirettamente negoziabile, tramite strumenti quali quote di fondi chiusi o future mediante le regole del mercato finanziario». E quella negativa invece? «Come tutti i mercati di nicchia», ammonisce il professore della Bocconi, «c’è il rischio che ci possano essere forti scostamenti nel tempo e quindi una scarsa garanzia per il futuro. Inoltre si investe su vini specifici, con un mercato che può essere volatile e con prezzi poco trasparenti. È sbagliato confrontarlo con altri asset finanziari, l’importante è coglierne il beneficio». Che cosa fare dunque per far sì che questa forma d’investimento abbia un futuro più roseo viste le buone performance registrate in un periodo di grossa turbolenza dei mercati? «In un corretto portafoglio sarebbe bene mettere un 1015 per cento di investimenti alternativi tra cui il vino. È un settore che ha grosse potenzialità, il problema sta nel veicolarlo correttamente, per farlo crescere bisogna aprire la dimensione del mercato, altrimenti si rischiano speculazioni» conclude Zara. In Europa a tutt’oggi esiste un solo fondo d’investimento sul vino, escluse alcune strutture off-shore in Gran Bretagna, Svizzera e Canada, ma di dubbia trasparenza. Si chiama Noble Crus, è

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Vino e finanza Christian Roger, fondatore della società ''Vino e Finanza''

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di diritto lussemburghese (lo emette la società di consulenza Elite Advisers), ed è gestito da Christian Roger, uno dei massimi esperti del settore, nonché fondatore della prima società di consulenza sull’investimento in vino, chiamata appunto Vino e Finanza. Lanciato sul mercato il primo gennaio del 2008 nel pieno della crisi finanziaria, ha fatto registrare più 20,8 per cento il primo anno e più 9,7 per cento nel 2009. Una massa totale gestita che si aggira intorno ai 20 milioni di euro: di questi il 10 per cento cash per far fronte alle richieste d’uscita, e un portafoglio composto prevalentemente da vini della Borgogna. Tra le grandi novità degli ultimi mesi una serie di acquisti mirati per rafforzare la posizione sulle annate più recenti dei grandi vini, erroneamente sottovalutate l’anno scorso, e adesso con prezzi nuovamente in ripresa. In particolare Christian Roger, gestore del fondo Noble Crus, ha puntato forte sul Premier Cru Château d’Ausone 2005. «Senza alcun dubbio lo Château d’Ausone è il numero uno dei Bordeaux degli ultimi dieci anni» commenta Roger. «Si tratta pertanto di un investimento sicuro e di grande qualità». Tra i progetti futuri di Noble Crus c’è anche l’apertura a quello che è e sarà sempre di più la locomotiva dei vini di lusso, ossia l’Asia (secondo la società di ricerche Iwsr la Cina ha un aumento annuo dei consumi di vino pari al 15 per cento e nel 2012 supererà la quota di 1,24 miliardi di bottiglie) e in particolare Hong Kong. L’obiettivo del gestore del fondo è, infatti, costituire una grande collezione verticale di Château d’Yquem, ossia tutte le annate del ventesimo secolo, molto apprezzata dalla domanda orientale. È passata la bufera? E quali scenari per il futuro? «Per i vini top di gamma non ci sono stati problemi, soprattutto per gli Châteaux dove la richiesta è superiore all’offerta» risponde Christian Roger, gestore del fondo Noble Crus. «Tutto ruota attorno alla qualità. Il terroir è impossibile da esportare. I vini di alto valore possono crescere anche del 12-15 per cento all’anno. In questo periodo chi ha bottiglie pregiate non vuole vendere e chi compra lo fa a prezzi ribassati». Due, secondo il fondatore di Vino e Finanza, gli elementi principali che caratterizzeranno il 2010 dei grandi vini. USA e Gran Bretagna, le cui divise si sono deprezzate nei confronti dell’euro, esauriranno le loro scorte di grandi vini e saranno costrette a ricostituirle acquistando sul mercato europeo, facendo così alzare i prezzi delle piazze di Londra e New York, che avranno un effetto traino su tutto il settore. Secondo: il 2009 sembra essere un’ottima annata, ci sarà quindi una corsa all’acquisto con conseguente lievitazione dei prezzi. Effetto moltiplicatore per le produzioni minime. Per concludere nel 2010 Noble Crus avrà maggiore attenzione per l’Italia e in particolare alla Toscana che nel 2006 ha prodotto un’ottima annata, attualmente già in commercio.


Oli d’Italia

passo falso sull’olio di oliva Un

di Luigi Caricato i sono molti passi in avanti da fare, sul fronte della comunicazione di una corretta cultura dell’olio di oliva in Italia. Se poi nel fare comunicazione a fallire è proprio il ministero delle Politiche agricole, allora ogni speranza è perduta e non si può certo pretendere che il consumatore assuma atteggiamenti corretti. Immagino che abbiate preso visione dello spot dedicato alla promozione dell’olio di oliva trasmesso sulle reti Rai. Per chi non avesse visto il filmato, è possibile reperirlo su YouTube, alla voce “spot olio italiano”, dove si leggono commenti autoreferenziali del tipo “lo spot che mancava!” oppure “gran bel montaggio” e complimenti a seguire. Commenti scritti da qualche mano amica. A me, tuttavia, lo spot non è piaciuto. Ritengo sprecati i 156mila euro, Iva compresa, investiti. L’impegno economico è eccessivo a fronte dei risultati. Si sarebbero potuti utilizzare diversamente e con maggiore efficacia tali fondi. L’iniziativa è stata pensata allo scopo di fronteggiare la grave crisi che ha coinvolto in questi ultimi mesi l’intero comparto, ma non apporta nulla. Da un punto di vista tecnico lo spot è mal riuscito. Per avere un riscontro esterno ho sentito il regista Angelo Ruta, il quale concorda con la mia sensazione. “A prima vista mi sembra uno spot realizzato in modo amatoriale” ha dichiarato. “Dall’ambiente alla luce, dai costumi alla struttura drammaturgica: non apre orizzonti, ma li chiude”. Non è soltanto una mia sensazione. Lo spot “è pensato per un pubblico piuttosto provinciale” ha aggiunto. “Gli attori fanno del loro meglio. Le comparse ai tavoli, invece, a giudicare dalla loro rigidità, sembrano parenti del regista. Manca forse un’atmosfera generale, evocata dalla voce fuori campo ma non corrisposta da quello che si vede”. Il giudizio di Ruta è inequivocabile. Mette in evidenza i vistosi limiti tecnici dello spot. Su internet, il portale specializzato Spot anatomy - la pubblcità vista al microscopio accoglie commenti del tipo: “Anonimo… non lascia traccia nello spettatore” oppure “lo speaker poteva sforzarsi un po’ di più” e di conseguenza “da Lowe PirellaFronzoni mi sarei aspettato di più. Ma visto l’interlocutore…”. Lo spot, della durata di trenta secondi, è ambientato in un ristorante e ha come protagonista una coppia di innamorati che introduce lo spettatore alla conoscenza e alla degustazione dell’olio extra vergine di oliva italiano. L’agenzia pubblicitaria ideatrice del filmato è appunto la

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Lowe Pirella-Fronzoni, non un nome a caso ma, fanno sapere dal ministero, un riferimento ritenuto “di primario livello internazionale”. Il regista è Franco Bernini. Ci sarà pure un “primario livello internazionale”, dietro allo spot ma il risultato resta comunque insoddisfacente. Ciascun lettore potrà verificare in prima persona. Ciò che emerge è che fare della buona comunicazione sul fronte degli oli di oliva sia proprio un terno al lotto. Eppure con altri spot l’effetto è totalmente diverso. Ricordate lo storico spot a favore della birra, con protagonista Renzo Arbore? Quello sì che era uno spot avvincente, perché riusciva a convertire al consumo della birra anche gli astemi più incalliti. Al contrario lo spot sull’olio, oltre a fallire sul fronte della comunicazione, ha sprecato anche il denaro della collettività. Scendo più nei particolari, soffermandomi sul perché anche sul piano dei contenuti lo spot sia di fatto fallimentare. Per la cronaca, risale al 1991 l’introduzione ufficiale, con un apposito regolamento comunitario, del ricorso al panel test per gli oli di oliva. È stato il primo alimento che ha fatto perno sull’analisi sensoriale per valutare la bontà di un extra vergine. Ed è sempre a opera dell’Unione Europea che è avvenuta l’adozione del bicchiere ufficiale per la degustazione, seguendo le indicazioni fornite dal Consiglio oleicolo internazionale. Si tratta del noto bicchiere tulipano, ambrato, che si scorge chiaramente nello spot. Ma la scena risulta errata: il cameriere versa l’olio e l’uomo seduto al tavolo dopo averlo annusato nel bicchiere, lo riversa sul pane, per apprezzarlo al gusto. È una scena che mette in crisi le molte scuole di assaggio operanti nel Paese, le quali per anni hanno fatto il possibile per trasmettere e far capire - dapprima al produttore, in seguito al fruitore professionale del prodotto, chef o personale di sala che sia e, in ultimo, al consumatore finale - il concetto che l’olio va degustato solo nel bicchiere tulipano, in modo da valutare le note olfattive e gustative. Anni e anni di fatica per far capire che l’olio lo si degusta in purezza nel bicchiere e non invece sul pane. E ora si ricomincia daccapo, spiegando che lo spot era solo uno scherzo e che sul pane l’olio lo si apprezza e si gusta, ma non lo si valuta. Non è per essere puntigliosi ma il bicchiere o entra in scena utilizzato in maniera corretta o non entra affatto e rimane il semplice piacere dell’assaggio dell’olio sul pane e nulla più. Perché è così difficile far capire qualcosa di elementare?


GLI ASSAGGI Nel bicchiere. È verde dai riflessi dorati e limpido. Al naso ha profumi fruttati puliti e freschi di oliva, con netti sentori di pomodoro e connotazioni erbacee. Al palato è morbido e avvolgente, suadente e armonico, con note amare e piccanti ben dosate. In chiusura una punta piccante e note di mandorla. L’abbinamento. Con couscous freddo al limone e zenzero con zucchine e mais, crema di verdure, carni bianche ai ferri.

SICILIA

“Isola” da olive Biancolilla in purezza.

Consorzio olivicoltori di Pantelleria, via Tadi 12, 35139 Padova, tel. 049.660900, www.olioisola.com, info@olioisola.com

Nel bicchiere. Verde dai riflessi oro, è limpido alla vista. Al naso ha profumi di media intensità, note vegetali di carciofo e rimandi alle erbe di campo. Al palato è sapido e avvolgente, gusto vegetale di carciofo e punte amare e piccanti nette ma in equilibrio. In chiusura sentori di cardo e tocco piccante. L’abbinamento. Con gnocchetti di segale con cipolle al cartoccio e fagioli, minestroni di verdure e grigliate di carni rosse.

UMBRIA

“Colle dell’eremita” da olive Moraiolo (70 per cento), Frantoio (20 per cento), Leccino (10 per cento). Ottenuto per estrazione con metodo sinolea, sole 500 bottiglie da 500 ml.

Luigi Tega – Il mondo dell’olio, via dei Frantoi 53, 06034 Foligno (Pg) tel. 0742.660015, www.luigitega.it, tegalink@libero.it

Nel bicchiere. È giallo oro dalle sfumature verdi e limpido alla vista. Al naso ha toni fruttati di media intensità e chiari sentori erbacei. Al gusto le note vegetali di carciofo e mandorla, l’armonia di amaro e piccante. In chiusura note di pomodoro e richiami di mandorla. L’abbinamento. Con vellutata di lenticchie verdi, insalata di carciofi con patate, involtini di pesce spada al cartoccio. Tenuta Zimarino - Masseria don Vincenzo, via Torre Sinello 45 Contrada Zimarino, 66054 Vasto (Chieti), tel. 0873.310027 www.tenutazimarino.com, info@tenutazimarino.com

ABRUZZO

“Per Liliana” da olive Ascolana in purezza.

Nel bicchiere. Giallo dai riflessi verdolini, è limpido alla vista. Al naso ha note fruttate di media intensità con netti sentori di pomodoro ed eleganti toni floreali. Al palato è morbido, con sensazione dolce iniziale e una progressiva apertura all’amaro e al piccante, gusto vegetale pieno, lieve astringenza. In chiusura note mandorlate e punta piccante. L’abbinamento. Con orzo alle erbe aromatiche, asparagi alle noci, petti di pollo alle cipolle.

CAMPANIA

“Pietra Bianca” da olive Salella in purezza.

Frantoio oleario Germano Monzo, 84040 Casal Velino Marina (Sa) tel. 0974.907384, www.oliodelcilento.it, monzo.germano@tiscali.it

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Birra di qualità

Quando la va a

birra tavola

di Maurizio Maestrelli

LA

TRADIZIONALE

FRONTIERA SEMBRA ESSERE STATA

INFRANTA.

SONO

SEMPRE PIÙ NUMEROSI I RISTORANTI CHE VALORIZZANO LE BIRRE

DI QUALITÀ, NEGLI ABBINAMENTI E IN

CUCINA.

UN

FENOMENO

CHE IN PARTE È MODA,

MA CHE INDIVIDUA UN CAMBIAMENTO NEGLI STILI DI CONSUMO

L Una birra chiara per accompagnare una caprese 70

n sommelier del calibro di Luca Gardini non si scompone nel proporre un abbinamento con la birra a un piatto di Carlo Cracco. D’altra parte, lo stesso Cracco prepara da qualche tempo un fantastico dessert proprio con la birra. Davide Oldani, a Identità Golose 2010, ha proposto una sua creazione con spuma profumata alla birra, Massimo Bottura ha fatto qualcosa di simile poco tempo fa. Da Igles Corelli la birra è di casa, la carta dei vini di Moreno Cedroni apre con una selezione di birre Baladin e Marco Bistarelli aveva già confessato di possedere una sua piccola cantina di birre preferite. Può bastare? Se non altro a dimostrare che l’ingresso delle birre nei ristoranti, anche blasonati come quelli citati, sia un dato di fatto. Scoperto già dalla maggior parte delle guide di settore, ma “creato” grazie alla spinta propulsiva del movimento birrario artigianale che, a partire dai primi anni del nuovo millennio, si è fatto sempre più consistente, in termini di quantità e di rappresentanza, e più costante, in termini di qualità ripetuta e assicurata nel tempo. Requisiti questi imprescindibili, ma qualche volta dimenticati, se dalla sfera del volontariato birrario, bello e spesso folcloristico, si vuole passare a una dimensione più seria e imprenditoriale dell’avventura birraria. Oggi i ristoratori sanno di poter contare su un manipolo di produttori affidabili quanto creativi e originali, che realizzano ottime birre in bottiglie degne di stare sulle loro tavole, che assicurano consegne in tempi logici e attendibili e, alla fine, portano nelle carte e nei menu dei loro ristoranti una ventata di novità e, a nostro avviso, un valore aggiunto. Che in tutto questo ci sia un effetto moda è innegabile, ma molto si deve anche alla naturale curiosità degli chef, abitualmente alla ricerca di nuovi sapori e profumi, al cambiamento in corso da anni negli stili di consumo fuori casa, si beve meno e si sta più attenti al contenuto alcolico di ciò che si beve, e infine alla moltiplicazione di consumatori consapevoli o edotti quindi curiosi di tutto ciò che è patrimonio enogastronomico italiano. E, sebbene neonata in confronto al vino, la birra artigianale nazionale è ormai un patrimonio italiano. È su queste basi dunque che si è costruito lentamente il fenomeno delle birre nei ristoranti, un fenomeno compreso a fondo anche dai grandi gruppi che non a caso stanno puntando, come mai avevano fatto prima, su questo canale di vendita, ma soprattutto di immagine. Almeno per quanto li riguarda. Sono spuntate così delle vere e proprie carte delle birre pensate da aziende di produzione e distribuzione e in diverse occasioni, al di fuori dei circuiti birrari tradizionali, si è iniziato a parlare di alta e bassa fermentazione, di stili, di ingredienti. Elementi quasi imprevedibili fino a qualche anno fa. Preso atto dunque del fenomeno in corso, adesso si tratta di lavorare per il suo radicamento. Alcuni fattori positivi di base ci sono, molti ristorato-

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ri, ad esempio, affermano che la birra cresce sulle loro tavole anche in considerazione del suo minore contenuto alcolico, ma non bastano e non è detto che siano destinati a durare nel tempo. In molti casi la birra è ancora considerata un’alternativa al vino, spesso si rimane affascinati soprattutto dalla sua componente di originalità con una conseguente caccia alla birra più strampalata d’Italia cosa che, inoltre, spinge incautamente molti birrai artigianali esordienti a impegnarsi da subito su birre con ingredienti particolari. Mentre sarebbe forse meglio mettere prima a punto delle birre, per così dire, “base”. Soprattutto, capita che la birra faccia fatica a uscire dagli abbinamenti tradizionali, carni e formaggi soprattutto, o informali, ovvero ricette più semplici e immediate. È uno strascico della considerazione che la birra ha sempre avuto in Italia: una bevanda riservata a giovani e compagnie variegate, perfetta sulla pizza e davanti a un barbecue. Noi non vogliamo negare le buone possibilità della birra in questi contesti, ma ci teniamo a sottolineare che l’abbinamento non dovrebbe essere tanto sul contesto, quanto sugli aromi e sul gusto. Gli abbinamenti con la birra vanno insomma fatti con la testa sgombra da preconcetti e luoghi comuni e soprattutto vanno fatti, perché possono essere fatti, con la nostra cucina italiana, tipica o creativa che sia. Proprio perché è una questione di alchimia e di equilibrio organolettico. Affrontata la questione in questo modo e “svestite” le birre dai parametri della novità, della sorpresa e delle tendenze del momento, siamo convinti che si possa dare, anche all’interno del mondo della ristorazione italiana, un solido futuro alle birre di qualità. Per farlo è necessario conoscere il mondo delle birre, frequentare qualcuno dei sempre più numerosi corsi di degustazione, andare alle fiere di settore, anch’esse più frequenti e diffuse di un tempo, e ovviamente assaggiare e ancora assaggiare. Esattamente come mi aveva spiegato, con queste due parole, un vecchio oste di Parma parecchi anni fa quando muovevo cautamente i primi passi nel mondo del vino. Ecco, per le birre è la stessa identica cosa.

L Una birra ambrata abbinata a un piatto di salumi

SCHEDE DI DEGUSTAZIONE Rodersch

Panil Barriquée Sour

Nectar

Produttore: Birrificio Bi-Du - Olgiate Comasco (Como) (www.bi-du.it)

Produttore: Birrificio Panil - Torrechiara (Parma) (www.panilbeer.com)

Produttore: 32 Via dei Birrai - Pederobba (Treviso) (www.32viadeibirrai.com)

Torrechiara è famosa nel mondo per la qualità del prosciutto crudo di Parma che si stagiona da queste parti, ma da qualche anno è nota a livello internazionale anche per la sua birra artigianale interpretata dall’inesauribile vena di Renzo Losi. La birra assaggiata è la versione sour, ovvero “acida”, di una birra scura fatta affinare in barrique di rovere francese dove i batteri lattici le conferiscono questa nota unica e incredibile che ha portato la sour a essere eletta tra le migliori birre del mondo sul popolare sito Ratebeer.com. Inutile dire che ha fatto incetta di premi anche in Italia.

Fabiano Toffoli è uno dei più competenti e regolari produttori di birra artigianale di qualità, Alessandro Zilli il suo più valido collaboratore e Loreno Michielin un commerciale capace ed efficiente. Logico quindi che le birre di 32 Via dei Birrai stiano conquistando un pubblico sempre più vasto, soprattutto tra i ristoranti e le enoteche. La Nectar è birra scura particolare, un’alta fermentazione aromatizzata con rilevanti dosi di miele di castagno del Monte Grappa, intensa e complessa, prodotta in tiratura limitata ma senza dubbio da non perdere.

Si può definire “un classico” un prodotto che ha solo qualche anno alle spalle? Noi pensiamo di sì anche perché sul talento cristallino di Beppe Vento non si discute e questa birra chiara, di alta fermentazione e ispirata a uno stile originario di Colonia fa parte di un range ristretto di birre che vorremmo avere sempre a disposizione. Fortunatamente, per noi, è prodotta tutto l’anno. Colore giallo paglierino, note fruttate di banana, pesca e miele, straordinario equilibrio al palato. Si fa bere senza se e senza ma.

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Distillati

Piemonte

Il e le sue

grappe

di Angelo Matteucci

VIAGGIO

NELLE

DISTILLERIE STORICHE DI UNA REGIONE CHE HA NUMEROSE GRAPPERIE CHE SI TRAMANDANO DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE

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iemonte, ricco di storia contadina legata alla terra, al vino e alla grappa. Un viaggio allo scopo di riscoprire le antiche distillerie, nate nel cuore della regione vitivinicola e tuttora fiorenti nonostante le difficoltà del momento. Parlare con chi produce grappa è sempre un grande piacere. Ognuno dice la sua, ognuno ama il suo operato che difende con tenacia. Sono molte le grapperie sparse sul territorio, alcune con una lunga tradizione familiare, altre di più recente fondazione, gestite con grande entusiasmo da chi lavora con passione. Le piccole realtà continuano su una strada artigianale, producendo grappe in limitate quantità, cercando di ottenere i massimi risultati. Ancora una volta si possono

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notare le caratteristiche della distillazione discontinua effettuata con caldaiette a vapore o a bagnomaria con un ulteriore passaggio in distillatore a colonna per raggiungere i risultati voluti. In alcune distillerie troviamo anche il successivo distillatore demetilatore, per un’ulteriore rettificazione. Queste imprese generalmente rimangono fedeli alle vinacce piemontesi, spesso locali, avendo una capacità produttiva limitata. Sul territorio vi sono, naturalmente, distillerie a livello industriale che operano su scala più ampia. A Silvano d’Orba, in provincia di Alessandria, troviamo la distilleria Gualco nata nel 1870 da Paolo Gualco e ora nelle mani di Alessandro Soldatini e dei figli Giorgio e Marcella.


Grappa di Malvasia di Casorzo dell’Antica Distilleria di Altavilla

Grappe dell’Antica Grapperia Bosso

Grappa di Moscato della distilleria Gualco

La distilleria ha un alambicco tradizionale a bagnomaria alla piemontese della capacità di 200 chilogrammi, con vinacce emerse (con la sola umidità delle vinacce rispetto alle altre caldaiette a vinacce sommerse per l’aggiunta di acqua e/o di vino) alimentata dal fuoco delle vinacce esaurite. Produce una gamma di grappe sia monovitigno sia invecchiate in botti di rovere di Slavonia da 2500/3000 litri. Per le qualità scelte per lungo invecchiamento si utilizzano carati di acacia da 200 litri o barriques di rovere da 225 litri. Si producono 25mila bottiglie l’anno e la distillazione avviene esclusivamente nei mesi di ottobre e novembre. Secondo la tradizione sono messe in commercio anche grappe aromatizzate alla ruta, erba Luisa, peppera e ginepro. Sempre a Silvano d’Orba troviamo Luigi Barile che, al contrario della maggior parte degli altri produttori, non è nato “in distilleria”. La sua passione e ragione di vita l’ha scoperta in età adulta, nel 1976, quando ha acquistato una vecchia grapperia, innamorandosi della nuova attività. Famose sono le sue grappe invecchiate in barili di rovere utilizzate prima in Scozia per la maturazione del whisky. Opera con una coppia di alambicchi discontinui a bagnomaria alla piemontese alimentati a legna e con le vinacce “spente”. La vinaccia è Dolcetto di Ovada e la distillazione è limitata a soli trenta giorni con una produzione totale di 9mila bottiglie. Non distilla per conto terzi. Molti sono i premi e i riconoscimenti che Barile ha ottenuto in questi anni. Ad Altavilla Monferrato, in provincia di Alessandria, troviamo l’Antica Distilleria di Altavilla di Laura Raimondo Mazzetti che opera con trenta caldaiette a vapore (utilizzate in batterie) seguite dal rettificatore a colonna. In alcuni casi utilizza anche il demetilatore per vinacce di vitigni particolari. La distillazione si conclude entro il mese di dicembre per poter utilizzare solamente vinac-

Grappa Rovero

Grappe Beccaris di Nebbiolo e Moscato

ce fresche locali e regionali. La caratteristica dell’azienda è di offrire alla propria clientela grappe millesimate, sapientemente invecchiate e alcune riserve. Imbottiglia anche per alcuni vignaioli. Interessante il museo della grappa. Sempre ad Altavilla vi è la distilleria Mazzetti di Altavilla. Di fatto nel 1846 Filippo Mazzetti iniziò a distillare e le due aziende sopra indicate sono condotte separatamente dai discendenti del fondatore. Qui abbiamo una realtà più piccola della precedente che opera esclusivamente con caldaiette “a corrente di vapore” classiche piemontesi. La produzione artigianale di 70-80mila bottiglie comprende le serie di grappe monovitigno Bricco del Vignaiolo e Bricco degli Apostoli oltre a Ruché di Castagnole Monferrato prodotta con vinacce del vitigno autoctono. Anche in questo caso imbottigliano piccole partite di grappa per conto di alcuni vignaioli che danno le loro vinacce. A Costigliole d’Asti dal 1951 vi è la distilleria industriale Beccaris che ha una vasta gamma di grappe sia bianche, sia invecchiate, sia monovitigno. La grappa di moscato è considerata la specialità della casa. Distillano per conto terzi. Sempre nell’astigiano troviamo la distilleria fondata da Paolo Berta nel 1947 e trasferita nel 2002 a Casalotto di Mombaruzzo. Oggi, grazie ai figli del fondatore, è diventata una vera e propria industria ed è tra le distillerie che ha dato nuovo vigore alla grappa piemontese. Opera per la maggior parte con distillazione continua ma alcuni prodotti come la Riserva del fondatore o il Bric del Gaian sono ottenuti dalla distillazione in caldaiette a corrente di vapore. La distilleria Rovero in San Marzanotto in Valdonata, sempre in provincia di Asti, è all’interno di un’azienda agriturismo produttrice anche di vino eccellente. Franco Rovero dimostra sempre il suo entusiasmo di distillatore. Distilla le proprie vinacce e quelle che raccoglie nel Sud Piemonte. Imbottiglia con il proprio marchio 73


Distillati esclusivamente grappe provenienti da vinacce piemontesi. Tuttavia su richiesta distilla anche vinacce di altre regioni e le grappe sono imbottigliate per i relativi produttori di vino. Non utilizza vasche di raccolta e riceve le vinacce in sacchi di plastica ermeticamente chiusi oppure in bins da 400 chilogrammi per le vinacce dei dintorni. Utilizza due caldaiette a bagnomaria della capacità di 400 chilogrammi. Le grappe principali sono i monovitigni di Moscato, Nebbiolo e Barbera. Per le qualità invecchiate (come altri distillatori) non utilizza coloranti (caramello). Le sue grappe sono considerate dagli esperti tra le migliori piemontesi. L’Antica Grapperia Bosso è a Cunico sempre nell’Astigiano e ha tre impianti. Due con caldaiette di piccole dimensioni, atte a contenere circa 300 chili di vinaccia, che lavorano in coppia a vapore a bassa temperatura e vengono utilizzate per le grappe monovitigno e per piccole produzioni per conto dei fornitori di vinaccia. L’Azienda vinicola Bava di Cocconato, ad esempio, fornisce le vinacce alla Grapperia Bosso e fa distillare per proprio conto una grappa bianca di Malvasia e, con etichetta Cocchi, una grappa bianca e la famosa grappa Doré di Moscato invecchiata sette anni. Il terzo impianto di Bosso è responsabile della maggior parte della produzione (in totale si raggiungono 120mila bottiglie). Le grappe destinate alle qualità riserva sono invecchiate in grandi tini di rovere dalla capacità di 8-10mila litri. La distillazione si effettua fino a marzo e le vinacce sono custodite in vasche ricoperte da teli e quindi da sabbia per evitare quanto più possibile l’ossidazione delle vinacce stesse. Si utilizza in certi casi anche la colonna di demetilazione. Passando nel Novarese, a Ghemme vi sono le industriali Distillerie Francoli. Qui sono prodotte varie tipologie di grappa etichettate Luigi Francoli che comprendono qualità bianca, riserva, monovitigno e specialità della casa. La grappa Oro di Barolo ha ricevuto la medaglia d’oro a Bruxelles. Le prime distillazioni di grappa da parte della famiglia risalgono alla metà dell’Ottocento in Val San Giacomo mentre le attuali distillerie presero il via a Ghemme nel primo dopoguerra ad opera di Luigi

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Francoli. A Piobesi d’Alba, in provincia di Cuneo, la distilleria Sibona, ricostruita fuori paese nel 2003, ha mantenuto la sua anima di antica grapperia (con la licenza di distillazione n.1) e allo stesso tempo ha modernizzato i propri impianti con un nuovo sistema che si distingue sia dall’industriale a colonne, sia dall’artiginale a caldaiette. I risultati garantiscono una maggiore caratterizzazione del vitigno e una produzione in linea con le esigenze del mercato. Per piccole partite di vinaccia e in casi particolari vengono utilizzane caldaiette a vapore. La distillazione normalmente termina prima di Natale con una produzione di circa 300mila bottiglie che comprendono principalmente monovitigni o con invecchiamenti in barili particolari. Sempre in quel di Alba, in frazione Mussotto, Paolo Marolo nel 1977 ha deciso di dedicare le sue energie alla produzione di grappa che si identifica con il produttore. La distilleria

ha tre caldaiette a bagnomaria a vinacce sommerse. Due della capacità di 400 chili sono utilizzate per le vinacce a bacca bianca e l’altra di 800 chili per le vinacce a bacca rossa. La gamma è variegata e comprende anche grappe monovitigno di vinacce provenienti da altre regioni. La sua produzione è di 60-70mila bottiglie. La distilleria non ha vasche per contenere le vinacce. La distillazione inizia ad agosto con le vinacce bianche e la distilleria continua via via a ricevere e a distillare, in pochissimi giorni di permanenza, le varie qualità per terminare con le vinacce di Nebbiolo da Barolo (fermentato in maniera tradizionale) che giungono ultime in distilleria all’inizio di dicembre. Ogni fase di lavorazione, ogni particolare, dalle bottiglie alle etichette, al packaging in generale dimostrano, come per altri suoi colleghi, la passione di Paolo nello svolgere il lavoro vissuto come una vera e propria missione.


Eventi

DiVino Lounge,

il rilancio parte anche da qui IL

SUCCESSO DELLA MANIFESTAZIONE DIMOSTRA CHE AFFRONTARE I PROBLEMI

CON SPIRITO IMPRENDITORIALE È LA MIGLIOR RISPOSTA DA FORNIRE AI MERCATI roduzione, distribuzione e ristorazione rilanciano i consumi. DiVino Lounge, l’appuntamento dedicato a vini, spumanti e champagne rivolto a un pubblico professionale, chiude i battenti con grande soddisfazione delle aziende e degli operatori del settore. L’evento, riproposto dopo il successo dell’esordio dell’anno passato, si è inserito all’interno della prima edizione di Sapore 2010, la nuova formula espositiva che alla fiera di Rimini ha raccolto in contemporanea le storiche manifestazioni sull’alimentazione extradomestica: Mia, Mse, Frigus, Oro Giallo e Pianeta Birra Beverage & Co. All’interno di DiVino Lounge ha mosso i primi passi il movimento 2010 Anno dell’orgoglio del vino con un convegno promosso da La Madia Travelfood per riaffermare le connotazioni positive del nettare di Bacco e sottolineare che il mondo del vino rientra a pieno titolo della parte migliore di questo Paese, superando una logica proibizionista e di allarme sanitario e sociale. Un dibattito in cui il presidente dell’Ais, Terenzio Medri, ha ribadito l’impegno di tutti i sommelier a diffondere una cultura del “bere consapevole”. La formula, già sperimentata nella scorsa edizione, ha riproposto un’area business, con appuntamenti prefissati tra buyer esteri e italiani e postazioni internet per vendite on-line, un’area food, con abbinamenti a cibi gourmet realizzati grazie alla collaborazione di noti chef, e un’area wine. Proprio in questo spazio l’Ais ha organizzato degustazioni guidate che hanno coperto l’intera penisola: dalle bollicine italiane al Nebbiolo nelle sue diversificazioni, dai vini isolani sardi e siciliani ai Supertuscans, dai grandi bianchi altoatesini alle eccellenze di Romagna. Il successo delle manifestazioni dedicate al food&beverage nel polo fieristico riminese sono confermate dai numeri registrati durante i quattro gior-

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ni di attività di Sapore 2010: oltre 76mila visitatori e un boom di operatori stranieri che ha segnato un più 25 per cento rispetto all’anno scorso. Straordinario è stato anche il valore di business meeting internazionali con oltre 4mila incontri d’affari registrati. Più di 600 sono stati i giornalisti accreditati e i servizi sulla stampa nazionale, regionale e locale hanno raggiunto oltre 41 milioni di contatti. Il presidente di Rimini Fiera, Lorenzo Cagnoni, ha commentato con soddisfazione i risultati ottenuti: «Su Sapore abbiamo concentrato impegno e sforzi d’innovazione, affinché questo periodo di generale difficoltà economica fosse occasione per rilanciare l’autorevolezza di un appuntamento che rimane, nella sua globalità, il più importante per l’alimentazione e la distribuzione Horeca. Affrontare i problemi con spirito imprenditoriale, investendo nelle manifestazioni di punta, è la miglior risposta da fornire ai mercati. Un’iniezione di fiducia ben percepita dagli operatori, soddisfatti da una presenza di visitatori sempre più qualificata, professionale e soprattutto internazionale». DiVino Lounge tornerà all’interno di Sapore nel febbraio 2011 con un arricchimento della rosa di iniziative speciali finalizzate a costruire e a valorizzare relazioni sempre più articolate e profonde tra i vari protagonisti della filiera agroalimentare: il Progetto Prometeo, in partnership fra Rimini Fiera e Fipe Confcommercio (un processo di formazione e informazione destinato ai ristoratori desiderosi di avviare una nuova stagione di dialogo con il mondo dell’industria alimentare) e l’ampliamento della storica e costruttiva collaborazione con l’associazione Italgrob con un ciclo di incontri, articolato in tavole rotonde, per favorire il confronto tra il mondo della distribuzione e quello dell’industria. (E.L.)

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Eventi

La

semplicità fa rima

con

complessità

di Alessandro Franceschini robabilmente, il modo migliore per parlare dell’ultima edizione del congresso italiano di cucina d’autore, Identità Golose, giunto alla sua sesta edizione, sarebbe quello di dedicare ampio spazio all’incursione di Max Laudadio e del suo nuovo compagno di scorribande, lo chef Rocco Iannone, titolare del ristorante Pappacarbone in quel di Cava dei Tirreni. In effetti, il rumore che proveniva dall’auditorium del MIC (Milano Convention Centre) non lasciava indifferenti. L’occasione per il duo del tg satirico di Canale 5 era ghiotta: in un colpo solo avrebbero trovato Paolo Marchi (critico nei confronti dello chef campano dalle pagine del suo blog), ideatore del congresso e lo chef Massimo Bottura (Osteria Francescana di Modena), attesa star di questa edizione e tra i principali bersagli nei mesi scorsi della cosiddetta inchiesta di Striscia la Notizia denominata Fornelli Polemici. L’uso di additivi in cucina, ma anche e soprattutto nell’industria alimentare, in realtà mai affrontato dal tg satirico, potrebbe o

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dovrebbe essere un tema centrale di dibattito non solo del settore enogastronomico, quanto di quello che indaga i rapporti tra scienza e salute, medicina e alimentazione. Non pensiamo, però, che le modalità fin qui adottate siano servite ad approfondire questo delicato argomento, quanto a creare un clima di odio o, come giustamente ha affermato dal palco del congresso lo stesso Bottura, «di vera e propria caccia alle streghe» francamente deprimente. Quasi prevedendo l’incursione di Striscia, lo stesso Paolo Marchi aveva aperto il congresso parlando delle “guerre fratricide” che hanno avvelenato la cucina italiana negli ulti-

mi tempi, proprio in un periodo nel quale l’unità di intenti dovrebbe essere l’imperativo categorico da perseguire per affrontare il difficile momento economico, ma anche finalmente per donare un’immagine unitaria e identitaria, soprattutto all’estero. Il tema di questa sesta edizione è stato il lusso della semplicità: riscoperta delle materie prime, magari del proprio territorio, e offerta di piatti della tradizione. Il tutto con un’attenzione alle tecniche di lavorazione che si celano dietro la semplicità della presentazione di un piatto. Due esempi possono rendere bene l’idea di quello che è stato il leitmo-


tiv di molte delle relazioni degli chef che si sono avvicendati nelle differenti sale trasformate in cucine dal vivo: Elio Sironi e Davide Oldani. Entrambi accomunati dalla semplicità delle materie prime, ma al tempo stesso dalla cura, a tratti maniacale, dei dettagli e delle sfumature nella preparazione, operano in location praticamente agli antipodi l’una con l’altra. Il primo nel lussuoso Hotels&Resorts di Bulgari, in pieno centro a Milano, a pochi passi dal quadrilatero della moda, il secondo nella prima periferia ovest milanese, a San Pietro all’Olmo, frazione di Cornaredo, nel ristorante che porta le iniziali del suo nome: D’O. Elio Sironi ha aperto le danze del ricco calendario di incontri dedicato a un ingrediente semplice, popolare e italianissimo come la pasta, che ben sintetizza in sé il tema intero del congresso. Un grillo sul palco, passionale e coinvolgente, è riuscito a stupire i clienti con una semplice pasta al pomodoro, la cui ricetta, però, occupa tre pagine fitte di dettagli e accorgimenti fondamentali: «C’è poco studio sulla pasta perché la considerano semplice. Questo ha bloccato la ricerca. Invece ci sarebbero approcci diversi e complessi da approfondire». Per esempio la cottura e il cuoco brianzolo parla di quella “passiva”. Cosa si intende? Prima di tutto selezionare una pasta di grande qualità, successivamente farla bollire per due minuti a fuoco vivo e poi spegnerlo, lasciando che cuocia lentamente, quasi a “lume di candela” per circa sei minuti. A questo punto è pronta per essere utilizzata in padella insieme ai nostri condimenti. Che cosa si guadagna? In sapore, ma soprattutto in valori nutrizionali, perché quasi sempre «buttiamo via il buono della pasta insieme all’acqua che scoliamo nel lavandino». Al giovane Davide Oldani è invece toccato il compito di aprire i lavori del congresso nella sala principale: slide in PowerPoint e una terminologia degna di una presentazione di marketing per affermare che «il buon gusto può essere alla portata di tutti». Cucina Pop, questa la definizione della sua filosofia in cucina: qualità dei prodotti, ma a prezzi accessibili, selezionando tagli meno

nobili, da lavorare con la maestria di tecniche affinate presso anni di apprendistato da grandi maestri del calibro di Ducasse o Marchesi, ma tralasciando tecnicismi: «Niente sifone per fare le spume, costa troppo, uso la frusta». Un ritorno alla semplicità nell’offerta, quindi, ma che non fa rima con banalità: dietro delle semplici tagliatelle con gli scampi, si può nascondere una lavorazione impensabile e decisamente originale. È il caso di Niko Romito, giovanissimo chef bistellato del ristorante Reale in quel di Rovisondoli, nel cuore dell’entroterra abruzzese: una pasta all’uovo senza uovo. Lo scampo è utilizzato nella sua interezza: le chele per ricavare un fumetto dentro il quale cuocere la pasta, le teste centrifugate lentamente per ottenere una sostanza gelatinosa da impastare con la farina al posto dell’uovo e, infine, la polpa come condimento finale. Per Moreno Cedroni (Madonnina del Pescatore a Senigallia) la semplicità non consiste, invece, nell’utilizzo di materie prime meno nobili come Oldani: «È un palliativo. Per me la semplicità consiste nell’ottimizzazione del tempo. Ce ne vuole poco, altrimenti se uso materie prime povere e poi ci impiego tanto tempo per cucinarle non ho risolto nulla». Il

lusso, quindi, come tempo non sprecato, che Cedroni taglia drasticamente facendo assorbire il sugo dalla pasta molto prima della sua effettiva preparazione: cottura per due minuti e poi in frigo insieme al condimento, nel suo caso il salmone e il cocco. Se Cedroni gioca con la pasta lavorandola a freddo, c’è anche chi la reidrata con acqua tiepida per riportarla allo stato originario, «come se fosse appena uscita dalla trafila». È il trentaquattrenne Peter Brunel (Ristorante Chiesa a Trento), che utilizza solo materie prime del territorio nella creazione di un bicchiere di spaghetti reidratati per un’ora, cotti nel Teroldego e abbinati a del salmerino delle Valli Giudicarie aromatizzato con miele di melo. Il tutto affumicato con fumo ottenuto da trucioli di legni nobili. E Bottura? Standing ovation all’ingresso sul palco e un discorso introduttivo che certo non lascia indifferenti. «È un momento difficile, di grande confusione. Per certi aspetti di caccia alle streghe. In Italia la famiglia e l’amicizia sono al centro della vita. Condividere un pranzo è il miglior modo di passare del tempo insieme, si creano idee, si sogna e si smussano attriti! Dietro i fornelli non rinnego il passato, ma attingo dal passato. Non faccio rivoluzioni, cerco di evolvermi, cavalcando il tempo e proiettandomi nel futuro».

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Vino e tecnologia

tecnologie

Le che proteggono

l’ambiente di Michela Lugli

SONO

SEMPRE PIÙ I

MACCHINARI DOTATI DI SOFISTICATI DISPOSITIVI PER LA SALVAGUARDIA AMBIENTALE. QUESTI

TRA CASA, UN

PROTOTIPO DI MACCHINA IRRORATRICE IDEATA PER IL FRUTTETO MA IL CUI UTILIZZO SI ESTENDE ANCHE AL VIGNETO

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on si può restare tranquilli se ci si sofferma sulla lettura di protocolli mondiali studiati per ridurre l’emissione di gas dai più svariati e devastanti effetti o quando si leggono bollettini sui cambiamenti climatici e su ciò che scomparirà o cambierà radicalmente sul pianeta da qui ai prossimi trent’anni. Fortunatamente, il progresso tecnologico che in molti casi ha spinto l’acceleratore della devastazione mondiale, in altrettante occasioni è servito da paracadute o da uscita di sicurezza. È degli ultimi anni l’attenzione, ma la necessità ha origine un po’ più indietro, di guardare soprattutto in campo agricolo al lato ambientale. Sono molti gli studi e i prototipi, che da essi sono nati, di macchinari che, pur mantenendo la loro funzione originaria di instancabili lavoratori agricoli, sono dotati di sofisticati dispositivi il cui scopo ultimo è la salvaguardia ambientale. In questo contesto trova spazio CASA – Crop Adapted Spray Application, un prototipo di macchina irroratrice ideata per il frutteto, all’interno del progetto europeo Isafruit, ma il cui utilizzo si estende anche al vigneto. Il prototipo, nato dagli studi condotti dall’Università di Agraria di Torino in collaborazione con l’Istituto di Pomologia e Frutticultura polacco Skierniewicze e con l’Universtità di Wageningen dei Paesi Bassi, è equipaggiato con una serie di sensori e dispositivi elettronici che gli permettono di adeguare, in modo automatico, i parametri operativi della distribuzione della miscela fitoiatrica in funzione della quantità di vegetazione presente, dello stato di salute della pianta e delle condizioni ambientali. Per ben comprendere l’importanza che il sistema CASA riveste nel bilancio del processo di salvaguardia ambientale, occorre partire dalla consapevolezza che, come emerge da più di uno studio di settore, soprattutto nel caso di trattamenti fitoiatrici, una considerevole parte della miscela impiegata non viene messa a segno da una normale macchina irroratrice ma, al contrario, si disperde sul terreno o nell’atmosfera (Gil et al., 2007; Walklate et al., 2007). Il sistema CASA è dotato di tre componenti grazie alle quali la distribuzione della miscela fitoiatrica risulta essere precisa, sicura ed efficace. Crop Health Sensor o CHS è il nome del primo componente. Si tratta di un sensore ottico che individua precocemente (già dalle prime ore di insorgenza) la presenza del patogeno sulla pianta adeguando, di conseguenza, la dose di agrofarmaco da erogare solo dove e quando necessario in base al livello di diffusione del patogeno stesso. Il secondo componente, Crop Identification System detto CIS, è in grado di identificare la presenza, le dimensioni e l’intensità vegetativa della pianta da trattare grazie all’azione di sensori a ultrasuoni. Ciascun lato della macchina dispone di tre sensori, il cui segnale di risposta, analizzato, attiva automaticamente gli ugelli erogatori, la cui portata viene regolata in fun-

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CASA – Crop Adapted Spray Application

zione delle dimensioni e della densità vegetativa della pianta bersaglio. Il sistema, che ha come obiettivi quelli di individuare la presenza o meno della vegetazione da trattare e adattare il profilo e il volume della distribuzione alle caratteristiche geometriche della vegetazione quando presente, può ridurre il quantitativo di agrofarmaco impiegato, rispetto a una irroratrice tradizionale, da valori pari al 30 per cento fino a toccare punte dell’80 per cento del volume distribuito. Infine, il terzo dei componenti che permette a questo prototipo amante dell’ambiente di funzionare, si chiama EDAS o più estesamente Environmentally Dependent Application System e la sua capacità sta nel saper adeguare la distribuzione di prodotto alle condizioni ambientali, in modo da regolare i parametri distributivi rendendo il trattamento più sicuro per l’ambiente e proteggendo le aree sensibili all’inquinamento. Per fare questo, EDAS si avvale di un navigatore GPS in grado di identificare la posizione dell’irroratrice nel vigneto o frutteto e di un anemometro sonico per misurare la velocità e direzione del vento. L’unione dei due parametri regola il livello di polverizzazione delle gocce impiegando, alternativamente, ugelli convenzionali e ugelli antideriva. La macchina infatti è dotata di novantasei ugelli totali, di cui quarantotto convenzionali e altrettanti antideriva. Un convogliatore d’aria indirizza il flusso generato dal ventilatore a sedici tubi (otto per lato) che terminano con bocchette, su sei delle quali (per ciascun lato) sono presenti quattro ugelli convenzionali a fessura e quattro antideriva a iniezione d’aria. La macchina, inoltre, è divisa su ciascun lato in tre sezioni idrauliche che corrispondono a tre diverse altezze di lavoro così da distribuire la soluzione in modo preciso, adeguandola ai parametri vegetativi e all’intensità di infezione presente nella pianta bersaglio. Come spiega Paolo Marucco del Dipartimento di Economia e Ingegneria agraria, forestale e ambientale, Sezione di meccanica dell’Università di Torino, il prototipo è stato oggetto di una serie di otto dimostrazioni in campo svoltesi tra giugno e ottobre 2009 in sette diversi Paesi europei (Danimarca, Italia, Olanda, Germania, Francia, Polonia e Spagna), nelle quali, utilizzando bersagli artificiali, è stato evidenziato il funzionamento del sistema CIS. Un percorso predefinito, inoltre, indicato con appositi conetti colorati, ha permesso di evidenziare il funzionamento del sistema EDAS. Notevoli i vantaggi derivanti dall’impiego di un mezzo altamente tecnologico come CASA, che pur essendo allo stadio di prototipo certo non mancherà di suscitare il grande interesse internazionale. A conferma di ciò, la giovane macchina ecologica e intelligente ha già ricevuto la medaglia d’oro all’edizione 2010 del Polagra Premiery, all’interno della fiera della meccanizzazione agricola polacca conclusasi a metà febbraio. A quanto pare, CASA non sa stare lontana dalle luci della ribalta e sarà tra le attrazioni dell’edizione 2010 della più importante kermesse bolognese per le macchine agricole. Non resta dunque che attendere per scoprire l’effetto che la tecnologia ecologica fa agli addetti del settore. La speranza è che anche molti di loro amino le montagne, i vigneti e gli spazi aperti incontaminati. 79


Viticoltura

Il vino della terra di

Albione

di Riccardo Castaldi

introduzione della vite nelle isole britanniche è avvenuta nel 43 d.C., con l’arrivo dei Romani che la impiantarono nei territori più meridionali, facendo assumere alla sua coltivazione una significativa valenza economica, vista l’importanza del vino nel loro regime alimentare. La qualità organolettica dei primi vini britannici non era con molta probabilità eccelsa, tanto che Publio Cornelio Tacito considerava le condizioni climatiche dei territori d’oltremanica decisamente non adatte alla viticoltura. È comunque stato accertato come le popolazioni indigene conoscessero il vino antecedentemente all’arrivo dei Romani, grazie ai Belgi, tribù celtiche e germaniche, che si erano insediate nella porzione sud-orientale dell’isola e che lo facevano giungere dai territori facenti attualmente parte di Francia e Italia. La diffusione del Cristianesimo, avvenuta a partire dal IV secolo d.C., favorì l’espansione della vitivinicoltura, il cui sviluppo si arrestò però bruscamente con la fine del dominio di Roma nel 409 d.C. e il successivo arrivo di Angli, Sassoni e Juti; la viticoltura continuò a stento anche presso i monasteri, dal momento che queste bellicose popolazioni nordeuropee indussero i monaci a ritirarsi negli angoli più sperduti del territorio, in aree proibitive per la coltivazione della vite. Per assistere alla ripresa della produzione di vino si dovette attendere la conquista da parte dei Normanni nel 1066, il cui arrivo si ritiene abbia coinciso con l’inizio di un periodo, della durata di circa trecento anni caratterizzato da condizioni climatiche favorevoli alla viticoltura. I Normanni, abituali consumatori di vino, diedero impulso alla coltivazione della vite soprattutto presso i monasteri, favorendo l’arrivo dalla Francia di monaci con profonde conoscenze viticole ed enologiche. Oltre ai monaci la produzione di vino iniziò ben presto a interessare anche la classe nobiliare, tanto che dei 42 vigneti censiti nel 1087, solo 12 erano annessi a monasteri. Dopo alcuni secoli floridi, la coltivazione della vite andò incontro a un graduale declino, imputabile principal-

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mente al ritorno a condizioni climatiche avverse, alla Black Death, l’epidemia di peste che si diffuse dal 1348 al 1370 ed ebbe ripercussioni anche sul comparto agricolo, e non ultimo la distruzione dei monasteri o la confisca dei loro beni nel 1538, per volere di Enrico VIII. Il consumo di vino però, divenuto piuttosto radicato soprattutto nelle classi sociali più elevate, continuò e si rafforzarono le importazioni da Francia, Spagna e Italia, divenute piuttosto consistenti già nell’XI secolo. Nel periodo compreso tra XVII e XIX secolo, la viticoltura ebbe per lo più un carattere sperimentale, in molti casi portata avanti da appassionati e ricercatori, tra i quali spiccano il botanico John Tradescant e John Rose, giardiniere di Carlo II e autore del trattato di viticoltura The English Vineyard Vindicated. Da ricordare anche Lord Bute, che con l’aiuto del giardiniere Andrew Pettigrew realizzò un vigneto commerciale nel 1875 presso Castle Coch, nelle vicinanze di Cardiff. Nel periodo compreso tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale la messa a dimora dei vigneti si è arrestata completamente, per poi riprendere con un certo vigo-


Barnsole Vineyard nella contea del Kent, non distante da Canterbury

re a partire dal 1951. I cambiamenti climatici degli ultimi cinquant’anni, caratterizzati da temperature medie più elevate e da una minore piovosità, hanno stimolato un ulteriore ampliamento della superficie vitata.

TRA I VIGNETI DI INGHILTERRA E GALLES La superficie vitata presente nel Regno Unito, pur essendo in senso assoluto piuttosto esigua, ha fatto registrare negli ultimi quattro decenni una crescita significativa tanto che, da meno di 200 ettari presenti nel 1975, è balzata fino agli oltre 1.250 ettari attuali. Le aziende vitivinicole della Gran Bretagna, che sorgono esclusivamente sui territori di Inghilterra e Galles, sono situate nella porzione sud-orientale del Paese, in una fascia che si estende fino a 54 grado di latitudine Nord e che interessa lo Yorkshire e il Lancashire. La maggior concentrazione di superficie vitata la si incontra però nelle contee più meridionali, vicino al Canale della Manica, dove le condizioni pedoclimatiche sono tendenzialmente più favorevoli alla coltivazione della vite. Vagando per la stupenda campagna inglese, dall’estrema punta della Cornovaglia fino al Kent, attraversando Devon, Dorset, Hampshire, West Sussex e East Sussex, non è quindi così difficile imbattersi in uno dei curatissimi vigneti inglesi; la viticoltura viene

inoltre praticata anche nell’Isola di Wight, nelle Isole Scilly ad Anglesey e a Jersey. Complessivamente esistono 116 aziende vitivinicole, le più grandi delle quali sono The Chapel Down Winery (Kent), Denbies Wine Estate (Surrey) e Nyetimber Vineyard (West Sussex), che possono contare su poco meno di 110 ettari di vigneto ciascuna.

VITIGNI TEDESCHI E FRANCESI I vitigni di riferimento sono stati per lungo tempo quelli tedeschi, Müller Thurgau in modo particolare, e il francese Seyval blanc, in quanto in grado di portare a maturazione l’uva anche nelle condizioni climatiche del Regno Unito. L’ampliamento della gamma di vitigni coltivabili dovuta ai cambiamenti climatici e il favore riscosso dai vini provenienti dal Nuovo Mondo, prodotti con vitigni internazionali più nobili, associati al crescente interesse nei confronti della spumantizzazione, hanno decretato un netto cambiamento di rotta verso Pinot nero e Chardonnay, che sono attualmente i vitigni più diffusi; ad essi seguono Bacchus, Reichensteiner, Seyval blanc, Müller Thurgau, Madeleine Angevine 7672, Schönburger, Rondo, Pinot Meunier, Ortega e Huxelrebe. I vitigni a bacca bianca precoci, dato il clima fresco, sono nettamente prevalenti su quelli a bacca nera e interessano approssimativamente i quattro quinti della superficie vitata complessiva.

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Viticoltura LO STILE UK La produzione enologica della Gran Bretagna ha compiuto notevoli passi in avanti sotto il profilo qualitativo negli ultimi decenni, soprattutto per le migliori caratteristiche delle uve prodotte, riconducibili ai cambiamenti climatici, all’introduzione di nuovi vitigni e a un approccio più scientifico alla viticoltura. Non devono tuttavia essere sottovalutati anche i passi compiuti in cantina dove, a una accresciuta competenza tecnica si è aggiunta la diffusione delle più moderne macchine enologiche, soprattutto nelle realtà di medio-grandi dimensioni. Pur considerando le variabili dovute alle differenti condizioni pedoclimatiche degli ambienti di coltivazione, ai vitigni e alle tecniche enologiche adottate, è possibile delineare i caratteri generali dei vini della Gran Bretagna. I vini bianchi fermi, che riguardano circa il 63 per cento della produzione, si presentano in genere intensamente profumati e caratterizzati da sentori floreali fini, da note fruttate che richiamano gli agrumi e la mela verde, mentre più difficilmente presentano note di frutti maturi; al palato si dimostrano tendenzialmente leggeri, dotati di buona freschezza e abbastanza persistenti. I vini rossi, che nell’ultimo decennio hanno raggiunto il 12 per cento della produzione vinicola, grazie alla diffusione di Dornferlder e degli ibridi Regent e Rondo, hanno una colorazione nettamente migliore rispetto al passato, sia come intensità che come tonalità, inoltre presentano una struttura che gli consente in molti casi di essere affinati in legno; fini e delicati all’olfatto, al gusto sono freschi, abbastanza persistenti, caratterizzati da note fruttate e speziate e tendenzialmente dotati di buona bevibilità; degni di nota anche i rosé, molto apprezzati dal mercato interno. La categoria di vino in più forte crescita e sulla quale i produttori stanno riponendo molte speranze, è rappresentata dagli spumanti, che interessa il 25 per cento della produzione e le crescite di Chardonnay, Pinot nero e Pinot Meunier ne sono la prova tangibile. Abbandonata la gassificazione, molto diffusa in passato, i produttori d’oltremanica hanno puntato con decisione sul metodo classico, ottenendo in diversi casi risultati di elevato livello qualitativo che hanno consentito loro di misurarsi con lo Champagne, modello al quale si ispirano. QUALITY WINE SCHEME Conformemente a quanto stabilito nel Quality Wine Scheme, istituito nel 1992, i vini prodotti nel Regno Unito vengono classificati in Table Wine, Regional Wine e Quality Wine. Il Table Wine viene prodotto con uve che devono presentare un grado alcolico potenziale minimo pari al 5 per cento, senza limiti di resa riferiti all’unità di superficie. Per produrre un Regional Wine si deve invece partire da uve provenienti dalle regioni designate, ottenute per l’85 per cento nella regione dichiarata in etichetta e in vigneti ubicati a meno di 250 metri di altitudine; viene contemplata una resa massima di 100 ettolitri/ettaro

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Il Vallo di Adriano Il Vallo di Adriano (in latino Vallum Aelium), è una fortificazione in pietra, fatta costruire dall'imperatore romano Adriano nella prima metà del II secolo d.C., che anticamente segnava il confine tra la provincia romana occupata della Britannia e la Caledonia, l'attuale Scozia. Questa fortificazione divideva l’intera isola in due parti. Oltre al suo impiego come fortificazione militare, si ritiene che le porte di accesso attraverso il vallo siano servite come dogane per permettere la tassazione delle merci. Una significativa porzione del vallo è ancora esistente, in particolare la parte centrale. Il Vallo di Adriano è diventato patrimonio dell'umanità dell'UNESCO nel 1987.

e un grado alcolico potenziale minimo delle uve pari al 6 per cento. Il Quality Wine, designato in etichetta come England o Wales (Galles) a seconda della provenienza delle uve, viene prodotto con uve ottenute a meno di 220 metri di altitudine, considerando una resa massima di 80 ettolitri/ettaro e un grado alcolico potenziale minimo delle uve pari al 6 per cento. In Gran Bretagna, per l’innalzamento del grado alcolico, è consentito l’impiego del saccarosio, così come del resto tradizionalmente anche in diverse regioni della Francia, tra cui Champagne e Alsazia, in Germania, in Austria e in molti altri Paesi dell’Europa centro-settentrionale facenti parte della UE.

I vigneti di Barnsole Vineyard


Vino e religione

Il vino

“spirituale” dell’India di Maddalena Giuffrida

NEL TANTRISMO

IL VINO

È CONSIDERATO UN VEICOLO PER ENTRARE IN CONTATTO CON IL DIVINO MA IL SUO USO DEVE AVVENIRE ESCLUSIVAMENTE A

SCOPO RITUALE,

REGOLATO DA PRECISI DETTAMI

uò essere il vino un mezzo per il raggiungimento dell’estasi mistica? Per gli adepti del cosiddetto tantrismo della Via della Mano Sinistra il vino è considerato un veicolo per entrare in contatto con il divino. Come si ricava dalla Luce dei Tantra: «L’alcol è il succo di Shiva, né senza di esso vi possono essere fuori liberazioni e fruizioni». Il tantrismo è uno dei più vasti e complessi movimenti religiosi dell’India sorto intorno al VI secolo d.C., è una corrente spirituale e religiosa di ciò che generalmente viene chiamato induismo. Esiste anche un tantrismo buddhista e persino uno giaina.

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Generalmente in Occidente quando si parla di tantra si tende a svilirne e snaturarne l’essenza mistica per una sorta di luce sinistra su alcuni aspetti legati all’uso del sesso. Al di là di certa manualistica che ama indulgere sul binomio tantra e sesso, la via tantrica è una sintesi della spiritualità indù. Per usare una formula cinese, gli adepti del tantrismo “cavalcano la tigre”, ovvero hanno la capacità di trasformare gli aspetti usualmente ritenuti nocivi in validi mezzi salvifici; non reagiscono né subiscono le passioni, ma si aprono e si identificano in esse in modo attivo. 83


Vino e religione Questa superiore libertà si manifesta anche in campo alimentare e nel consumo di sostanze altrimenti proibite nella tradizione induista e buddhista, come le bevande alcoliche, il pesce e la carne. Se da noi un pasto a base di carne e vino è un’abitudine comune e normale, in India le cose vanno diversamente. L’India è un Paese prevalentemente vegetariano e il rifiuto della carne è legato al rispetto per tutte le forme di vita. Poiché la carne è frutto di una violenza sugli animali, capace di generare a sua volta effetti negativi, essa viene bandita dalla tavola induista insieme alle bevande alcoliche, che oscurano la mente e ostacolano la crescita spirituale. La capacità di trasformare il negativo in mezzi di salvezza spiegherebbe, invece, l’uso di carne, pesce e vino per gli adepti della Via della Mano Sinistra che, diversamente dai seguaci della cosiddetta Via della Mano Destra, dagli induisti e buddhisti stessi, non subiscono interdizioni alimentari. Le bevande alcoliche sono tra i protagonisti del pancatattva o rituale segreto delle cinque M, uno dei rituali più importanti del tantrismo della Mano Sinistra, volto a far sperimentare al praticante l’unione mistica di Shiva e Shakti, ovvero la coppia divina. I cinque elementi del rituale, che in sanscrito iniziano tutti con la lettera M, sono l’unione sessuale (maithuna), il vino o un’altra bevanda 84

inebriante (madya), il pesce (matsya), la carne (mamsa) e i cereali fermentati (mudra). Il Kularnava-Tantra (V, 84), uno dei testi della via tantrica della Mano Sinistra per l’utilizzo rituale di vino, carne e pesce, permette alla casta sacerdotale di bere sostanze inebrianti a piacimento; i re-guerrieri possono berne prima di una guerra, i mercanti e gli agricoltori ne possono consumare durante i sacrifici, mentre agli intoccabili è concesso di berne al momento dei riti funebri. In genere, però, può consumare bevande alcoliche solo chi è libero dai dubbi, dai timori ed è forte nello spirito, senza mai arrivare a perdere il controllo di sé. Qualche autore ha voluto vedere nell’estasi mistica tantrica un’interessante convergenza con l’ebbrezza dionisiaca, cioè quella particolare “pazzia” che fa superare all’uomo la sua naturale limitatezza per metterlo in comunione con il divino. Il professor Raffaele Torella, ordinario di lingua e letteratura sanscrita all’università La Sapienza e una delle maggiore autorità in Italia negli studi di indologia, nel libro Passioni ed emozioni nelle filosofie e nelle religioni dell’India scrive: «È nel tumulto delle passioni che è possibile incontrare di più faccia a faccia il divino. La dimensione emotiva, sia essa eccitazione sessuale, gioia, dolore o terrore, non va cancellata ma neanche soltanto accettata, al fine di neutralizzarla. Al con-

Alcuni ''mantra'', particolari formule rituali. La parola mantra deriva dalla combinazione delle due parole sanscrite manas (mente) e trayati (liberare). Il mantra si può quindi considerare come un suono in grado di liberare la mente dai pensieri. Sostanzialmente consiste in una formula (una o più sillabe, o lettere o frasi), generalmente in Sanscrito, che vengono ripetute per un certo numero di volte (Namasmarana) al fine di ottenere un determinato effetto, principalmente a livello mentale, ma anche, seppur in maniera ridotta, a livello fisico ed energetico. Esistono moltissimi mantra per gli scopi più diversi; la maggior parte sono in sanscrito, ma ne esistono anche in altre lingue. Il mantra più conosciuto è il mantra Om (AUM).


Shiva e Shakti, la coppia divina. La consorte di Shiva è Shakti, una forma di Devi, l'aspetto femminile e materno di Dio che si manifesta in aspetti differenti. In pratica, se Shiva rappresenta l'aspetto personale di Dio, immanifesto e trascendentale, Shakti è l'energia divina che da lui scaturisce, generando gli universi materiali e determinandone la trasformazione.

trario, le emozioni vanno coltivate e sapientemente intensificate per accedere alla Coscienza/Energia Universale. E il vino rappresenta uno dei veicoli per creare dei sottili squarci nel velo dell’esistenza ordinaria ed entrare in contatto con il divino». L’uso delle bevande alcoliche nel tantrismo deve avvenire esclusivamente a scopo rituale ed è regolato da precisi dettami. Come si evince rispettivamente da alcuni versi del Mahanirvana-Tantra e del Kularnava-Tantra «anzitutto è necessario purificare il vino o altre bevande alcoliche mediante la recitazione di determinati mantra, cioè di particolari formule» aggiunge Krishna del Toso, appassionato studioso di filosofie orientali, «quindi vanno offerte al guru e alle divinità e solo in seguito possono essere consumate dal discepolo tantrico. Chi, invece, beve alcol e mangia carne per sedare la propria sete e fame è considerato colpevole, subi-

sce l’ira degli dei e rinasce negli inferi». Sull’onda della filosofia tantrica, la casa vinicola astigiana Scrimaglio ha creato addirittura un vino, il Monferrato Doc Rosso Tantra, che nelle intenzioni dei suoi produttori deve essere degustato nella sua globalità, senza necessariamente portare alla scissione delle sue peculiarità, dovute all’assemblaggio di due vitigni, ovvero Cabernet e Barbera. La loro nobile armonia è il tratto distintivo di questo vino dal colore rosso purpureo intenso e profondo, che ambiziosamente tende al superamento della dualità e della separazione per indicare la via della totalità, in perfetta sintonia con la visione tantrica della natura pervasa dall’assoluto. Il vino, tuttavia, in India non è mai stato il protagonista principale a tavola. Sembrerebbe che la viticoltura sia stata introdotta all’inizio del IV millennio a.C., ma è possibile che il vino non sia stato prodotto per moltissimi secoli (J.Robinson, The Oxford Companion to Wine, Third Edition, Oxford University Press, 2006). Bisogna attendere il periodo vedico (II-I millennio a.C.) per vedere comparire nei testi sacri il nome di due misteriose bevande: soma, considerata la bevanda dell’immortalità, un po’ come l’ambrosia per gli antichi greci, e sura, un potente drink aromatizzato al miele prodotto da orzo o riso fermentati. Sull’uso del vino in India, invece, alcuni autori greci e romani forniscono informazioni spesso contraddittore e basate su false generalizzazioni. Da una parte affermano che l’assunzione di vino sia consentita solo a scopo rituale, dall’altra, invece, la considerano una normale abitudine (Pentti Aalto, Madyam apeyam, in Jnanamuktavali - Commemoration volume in honour of Johannes Nobel, International Academy of Indian Culture, New Delhi, 1963, pp. 17-37). La regione vocata per la produzione vinicola era il Kashmir grazie alle sue favorevoli condizioni climatiche e pare che il vino qui fosse molto diffuso (India in early greek literature, di Klaus Karttunen, Studia Orientalia, Helsinki, 1989). Kautilya, consigliere e ministro dell’imperatore indiano Chandragupta 85


Vino e religione Maurya, fustiga l’uso di alcol e la passione un po’ troppo spinta per il vino da parte dell’imperatore e del suo seguito nel trattato sull’arte del buon governo, Arthasastra, che tradizionalmente gli viene attribuito. Va detto che qualche moderno commentatore (Pentti Aalto, Madyam apeyam) mette in dubbio che fosse effettivamente il prodotto della vite quello che Kautilya condanna, mentre per altre fonti rappresenta addirittura il primo documento ufficiale che testimonia l’esistenza del vino in India (J.Robinson, The Oxford Companion to Wine). «In effetti la cosa non è chiara. C’è però almeno un passo, dal Brahmayamala, che non lascia adito a dubbi: parla di madya, che in sanscrito significa vino (o anche bevanda alcolica), contrapposto a sura, dicendo del primo che nasce dall’uva. Il che però non vuol dire strettamente che non ci siano anche altri madya nati da altre sostanze» puntualizza il professor Torella. Meno rigido sull’uso dell’alcol pare essere un altro autorevole testo della tradizione indù, il Manavadharmasastra, che alla generale condanna del vino associa dei consigli sulle occasioni in cui è lecito consumarne. Nei secoli il vino in India fu un prodotto riservato alle classi aristocratica e guerriera; le masse preferivano piuttosto bevande alcoliche derivate da altri prodotti agricoli locali, come orzo, riso o miglio. Furono in seguito i colonizzatori portoghesi e inglesi a dare impulso alla viticoltura e alla produzione vinicola, che subì una battuta d’arresto a causa delle devastazioni causate dalla filossera alla fine dell’Ottocento e, più tardi, dalla politica proibizionista. Le sfavorevoli condizioni climatiche, la difficoltà di collegamenti stradali e il divieto di bere sostanze alcoliche imposto dall’ortodossia induista e buddhista non hanno certamente facilitato la penetrazione della 86

cultura del vino in questo Paese. Oggi il vino sta lentamente prendendo piede anche in India e questo grazie a pionieri come Rajeev Samant, il creatore di Sula, uno dei marchi più noti, insieme a Grover e Château Indage. Il marchio Sula è legato alla produzione di vini californiani, Château Indage detiene il monopolio delle bollicine, Grover ha trasferito la sua passione per la Francia nelle sue vigne a nord di Bangalore. La maggior parte dei produttori, eccetto Grover, sono concentrati nello Stato di Maharashtra, che è a tutti gli effetti lo Stato leader nella produzione vinicola indiana. Prima di togliere al whisky il primato dal cuore degli indiani, il vino deve fare ancora molta strada; certamente l’economia guarda all’India come a uno dei mercati più interessanti del continente asiatico, con un futuro ricco di prospettive e di crescita (Vino: Vinitaly, India e Singapore nuove frontiere per il nostro vino, Il Sole 24 Ore Radiocor, 3 aprile 2009). Se il grande sogno delle principali aziende vinicole è quello di traghettare l’India a ruolo di leader nel mondo, quello che ancora manca alla produzione, qualitativamente priva di difetti grazie allo sviluppo della tecnologia, è una più precisa identificazione della peculiarità del suo terroir, come rileva la rivista «Indian Perspectives». La ricerca di una identità precisa e marcata è la sfida che la viticoltura in India deve affrontare per penetrare pienamente nel mercato mondiale. Chissà quali sorprese allora ci riserverà nel futuro il vino indiano, una volta trovata la chiave del successo. Non ci resta, quindi, che aspettare.

Rajeev Samant, fondatore dell'azienda Sula


Pillole

Sul podio le eccellenze lombarde Franciacorta Extra Brut Comarì del Salem 2004, Oltrepò Pavese Pinot Nero 2005 e Garda Classico Chiaretto Molmenti 2007 i tre migliori vini della Lombardia

I richiami classicheggianti, ricchi di suggestione della settecentesca Villa Panza a Varese hanno fatto da palcoscenico al Gran Galà Viniplus 2010 per la premiazione dei migliori vini della Lombardia. La cerimonia si è svolta, anche quest’anno, a conclusione del progetto Viniplus, inaugurato lo scorso novembre con la presentazione dell’omonima guida. Un importante banco d’assaggio ha preceduto la premiazione e ha permesso al pubblico di degustare in anteprima le eccellenze enologiche lombarde. La scelta della provincia varesina per le premiazioni è stata avvalorata dall’affermazione in campo vinicolo della recente denominazione Igt Ronchi Varesini. «Abbiamo puntato molto sulla promozione e sulla qualità dei nostri vini» ha dichiarato l’assessore all’Agricoltura della Regione Lombardia, Luca Ferrazzi. «Sono particolarmente felice che questo importante momento per i vini lombardi abbia trovato ospitalità a Varese, che con la nuova Igt Ronchi Varesini entra nel circuito dell’enologia regionale e da oggi avrà modo di riunire il meglio delle nostre etichette, dalle zone storiche e pluripremiate di Franciacorta, Garda, Oltrepò Pavese e Valtellina, fino alle realtà emergenti del Mantovano e della Bergamasca». Il premio speciale “Il Sano” è andato all’Azienda agricola Fay di San Giacomo di Teglio, in Valtellina.

L’azienda, a giudizio della commissione, è riuscita a riassumere in modo esemplare la qualità della produzione e la filosofia del concorso, che punta su un’etica produttiva orientata al “sano, buono ed equo”. I Tastevin oro, argento e bronzo hanno premiato la Franciacorta, l’Oltrepò Pavese e il Garda bresciano. Il Tastevin d’oro 2010 è andato al Franciacorta Extra Brut Comarì del Salem 2004 dell’Azienda Umberti, l’argento all’Oltrepò Pavese Pinot Nero 2005 dell’Azienda Le Fracce e il bronzo al Garda Classico Chiaretto Molmenti 2007 dell’azienda Costaripa. Doppio podio dunque per la provincia di Brescia che si aggiudica due riconoscimenti su tre. Sono state attribuite anche ventisette menzioni speciali ad altrettanti vini scelti dai sommelier lombardi come i più rappresentativi della produzione regionale. Anche in questo caso le province di Brescia con Franciacorta, Lugana e Garda Classico, di Pavia con l’Oltrepò e di Sondrio con la Valtellina confermano la propria vocazione territoriale alla produzione di ottimi vini. «Partendo dal nostro principale obiettivo, valorizzare e premiare i produttori più sensibili a un richiamo etico e qualitativo, siamo giunti a una fondamentale tappa del progetto Viniplus» ha spiegato Luca Bandirali, presidente dell’Ais Lombardia. «Con la premiazione delle migliori aziende inserite nella guida vogliamo ribadire la nostra interpretazione del concetto di qualità che tiene conto degli sforzi dei produttori in tutte le dinamiche che intervengono nel cammino di produzione di un vino. Per quanto riguarda i premi, quest’anno sono stati toccati tutti i territori lombardi, dalla Valtellina alla Franciacorta, dall’Oltrepò Pavese al Lago di Garda, assieme a realtà che ogni anno si riconfermano punte d’eccellenza della produzione vinicola della nostra regione». Insomma un’altra tappa di successo verso la promozione del sistema dei vini lombardi che stanno conquistando sempre più spazio anche sulle carte dei migliori ristoranti. Vini eccellenti che non sono uguali a nessuno.

L Il presidente Ais Lombardia Luca Bandirali e l'Assessore all’Agricoltura della Regione Lombardia Luca Ferrazzi insieme ai produttori premiati

(Francesca Cantiani) 87


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La rimonta dell’Amarone della Valpolicella L’Amarone della Valpolicella, vale a dire il re dei vini veneti e una delle punte di diamante dell’enologia italiana, finalmente riconosciuta Docg, ha messo a segno un importante punto a suo favore: nel 2009 ha registrato un bilancio di mercato “soddisfacente”. Agli inizi dell’anno scorso, a dire il vero, le vendite avevano avuto un rallentamento, ma nei mesi successivi si è palesata una rimonta tale da fornire risultati migliori rispetto al 2008. All’Ente Fiere Verona, il presidente del Consorzio di Tutela Vini Valpolicella, Luca Sartori, non ha nascosto la propria soddisfazione, in occasione della presentazione dell’annata 2006. “Si tratta di un’ottima notizia per tutti i produttori che nel frattempo avevano deciso di autoridurre la quantità di uve a riposo, destinate all’Amarone, del 30 per cento, per mettersi al riparo da sovrapproduzioni e conseguenti cali di prezzo” ha affermato. “Le vendite hanno recuperato terreno sul 2008 tanto da consentire di consegnare nel 2009 oltre 9 milioni di fascette contro gli 8,4 dell’anno precedente. Ebbene questa politica di rigore deve essere ancora mantenuta nell’ottica di un equilibrio di

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mercato anche per gli anni a venire”. Vi è da dire che il 2009 sarà ricordato, secondo il Consorzio di tutela, per due tappe di rilievo: il conseguimento della denominazione di origine controllata e garantita (Docg) per l’Amarone, vino tra i più grandi e ambiti dell’enologia italiana, (e anche per il Recioto della Valpolicella) e l’ambìto riconoscimento di Regione Vinicola dell’anno 2009, conferito dall’autorevole rivista americana Wine Enthusiast. Giustamente malcelata la gioia di Luca Sartori. “È un riconoscimento per tutta la denominazione” ha detto. “Premia non solo il territorio con i suoi vini, ma anche la capacità degli imprenditori, i loro investimenti sia in vigneto sia in cantina per migliorare la qualità. Siamo orgogliosi e crediamo che questo premio ci aiuterà sia nella lotta alle frodi e alla contraffazione (per inciso nel 2009 è stato smascherato un commercio di Amarone falso di 1 milione di bottiglie), sia sui mercati anglofoni su cui puntiamo per la promozione nell’immediato futuro”. Ben sessantacinque aziende produttrici hanno partecipato al prestigioso appuntamento dell’Anteprima Amarone, organizzata dal Consorzio di Tutela Vini Valpolicella in collabo-


L Uva Corvina per Amarone

razione con la Camera di Commercio di Verona, la Banca Popolare di Verona, VeronaFiere e con il contributo del ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Se il 2005 verrà ricordato come un millesimo di grande longevità, l’Amarone 2006 è quasi pronto, presenta un grande equilibrio, un naso fruttato e floreale e tannini morbidi. Senza ombra di dubbio, la grande variabilità dell’annata ha privilegiato la bevibilità, ma si può anche affermare che va a scemare la tendenza generalizzata alla muscolarità che non aveva risparmiato l’Amarone, pur trovandoci di fronte a vini di elevato tenore alcolico e notevole estratto. Le variazioni più importanti e significative del disciplinare riguardano la possibilità di porre un limite all’iscrizione di nuove superfici all’albo dei vigneti e di intervenire passo dopo passo, di anno in anno, rispetto alle uve rivendicabili e a quelle da mettere a riposo. Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante e merita che ci si possa soffermare almeno un attimo: consentirà infatti di gestire sul piano commerciale la denominazione, come peraltro è già stato fatto con ottimi risultati anche nell’anno appena trascorso. Inoltre, particolare non certamente di secondo ordine, diventa obbligatorio l’imbottigliamento in zona, ferme restando le deroghe per le situazioni consolidate. Vi è da rilevare, infine, che vengono incrementate, aumentano cioè nell’uvaggio le percentuali di Corvina e di vitigni autoctoni veronesi e nazionali autorizzati in provincia. In questo caso la conclusione viene affidata al vicepresidente del Consorzio di Tutela Vini Valpolicella, Daniele Accordini: “Si tratta di disciplinari che ricalcano ciò che già stiamo facendo. Alla “francese” fotografano la realtà attuale, mantenendo una certa elasticità”. (Paolo Giarrusso)


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I vini che arrivano dal freddo La sala del Westin Palace è gremita, nessuno vuole perdersi la degustazione. Fiorenzo Detti, delegato dell’Ais Milano e organizzatore dell’incontro, ha fatto miracoli ed è riuscito a prenotare all’ultimo la sala più grande. Ci sono centoventi persone ma, nonostante gli sforzi, più di sessanta sono rimaste in lista d’attesa. Nei bicchieri c’è un bianco elegante e inimitabile, il riesling al suo massimo livello. Quello che, con tutto il rispetto per altre latitudini, cresce solo in Germania, sui pendii che costeggiano il corso di Mosella, Saar e Ruwer. Una terra da fiaba, verde e rigogliosa in primavera, gelida in inverno. Ad accompagnare i presenti nella degustazione, il naso fine del sommelier Guido Invernizzi, enciclopedia vivente del mondo del vino e non solo. Con lui Dick ten Voorde, olandese di nascita, italiano d’adozione (sposato con una nostra connazionale), profondo conoscitore del riesling per passione e per lavoro (la sua società, Vino e Design, li importa): è lui che ha selezionato gli otto vini della serata. Una buona scelta, che mostra la versatilità del vitigno. Si parte con uno spumante, seguito da tre vini secchi. Poi quattro con residuo zuccherino naturale, ultimo dei quali l’Eiswein (vino di ghiaccio). Dick e Guido presentano disciplinare tedesco e territorio, passaggi fondamentali per capire l’unicità di questi prodotti. La sala pende dalle loro labbra. Solo la prima spiegazione, utile per comprendere le complesse etichette tedesche, meriterebbe un fiume di parole. Semplificando molto, i trocken (secco in tedesco) sono quelli con meno di 9 grammi di zucchero per litro. Gli altri sono dolci, anche se il termine è riduttivo. Più semplice comprendere l’alchimia del terreno tedesco. I riesling di questa zona hanno in comune spiccata acidità, dolcezza e bassa gradazione alcolica. Sono però longevi come i grandi rossi. «Tutto grazie all’ardesia nel terreno» racconta ten Voorde, «che ha anche protetto i vitigni dalla filossera. Così la maggior parte delle viti sono a piede franco, molto vecchie». Il resto lo fa il freddo (e in certi casi la botrytis cinerea), che fa maturare i vini lentamente e blocca la fermentazione, lasciando il residuo zuccherino naturale. Finita la spiegazione, si passa a degustare. Tutti i vini al naso presentano un’inconfondibile nota di idrocarburo. In bocca, pur tutti differenti, hanno in comune il perfetto equilibrio tra mineralità, sapidità, dolcezza e acidità. Non annoiano mai. Si fa fatica a credere che siano tutte anime diverse dello stesso vitigno. Eppure lo si dà per scontato, anche se sembra un paradosso. Descriverli tutti come meritano in poche parole è impossibile. Ne scelgo uno, quello che mi colpisce di più: il 2004 Von Schubert, Abtsberg, un QbA (la nostra Igt). C’è tutto il terroir di questa regione nel bicchiere. Nel naso si avverte un leggero sentore bruciato, seguito da note minerali e floreali, come il biancospino, il glicine. Ma anche salvia, con una nota muschiata. Un vino molto complesso, che in bocca però è sorprendentemente fresco. La 90

L La Mosella e i suoi vigneti

leggera sapidità è bilanciata dalla dolcezza, quella della mora. Ritorna la salvia e si aggiunge il tè. La persistenza è lunghissima. Come la longevità di questo vino, ancora un po’ giovane (sei anni!), grazie alla forte acidità, Dick consiglia di dimenticarselo in cantina per trent’anni. Dopo tre ore di autentica goduria è il momento dei saluti. Il tutto è costato 20 euro, molto poco visto il valore e la rarità dei vini e l’organizzazione. Il “trucco” lo svela Fiorenzo Detti: «Puntare solo a coprire i costi. Il socio Ais paga già una quota associata, va rispettato e noi lavoriamo per lui. Deve sentirsi parte di una famiglia, non all’interno di un business». Il resto lo fa la squadra di Fiorenzo: «Sono eccezionali» dice. Eccezionali come questi riesling. (Daniele Urso) VINI IN DEGUSTAZIONE Sekt (metodo classico) 1) 2004 Von Schubert Sekt – Mosel. 11%, Rz 12,9, Ac 6,2 Trocken (secco) 2) 2007 Horst Sauer – Kabinett – Franken 12%, Rz 8, Ac 7,2 3) 2008 Donnhoff – Tonschiefer – Riesling – QbA – Nahe 12%, Rz 8, Ac 8 4) 2005 Rebholz – Kastanienbusch – Grosses Gewachs – Pfalz Con residuo zuccherino naturale 5) 2004 Von Schubert – Abtsberg – QbA – Mosel 9%, Rz 54, Ac 10,5 6) 2007 Markus Molitor – Zeltinger Sonnenuhr – Spatlese – Mosel 7,2%, Rz 88, Ac 6,6 7) 1994 Karlsmuhle – Kaseler Kehrnagel – Auslese – Mosel 7,5%, Rz 69,2, Ac 10 8) 2007 Dr. Loosen Blauschiefer Eiswein – Mosel 6,5%, Rz 69,2, Ac 10


La salute nel bicchiere La salute nel bicchiere è il titolo dello speciale appuntamento organizzato dalla delegazione triestina dell’Associazione italiana sommelier a favore di un partner d’eccezione, la Lega Italiana Lotta ai Tumori (LILT), che da oltre ottant’anni si impegna nelle campagne istituzionali di sensibilizzazione ed educazione pubblica contro le cause che possono alterare lo stato di salute dell’individuo. La serata, i cui proventi saranno devoluti in beneficenza alla LILT, si terrà a Trieste il 28 maggio, alle ore 20.30, all’Hotel Greif Maria Theresia e sarà moderata dal giornalista de «Il Sole 24 ore», Paolo Pichierri. Al tavolo dei relatori siederanno la professoressa Bruna Scaggiante, neo presidente della sezione triestina della LILT, il professor Claudio Tiribelli, direttore del Centro Studi fegato del nosocomio triestino e dell’Area di Ricerca, e il professor Stefano Ciatti, presidente dell’Associazione Vino e Salute. Partner scientifico dell’Associazione Città del Vino, Vino e Salute dal 2005 riunisce alcuni tra i maggiori ricercatori e medici italiani, uniti dal comune intento di divulgare la cultura del vino e di diffondere la ricerca applicata alle sue proprietà salutistiche. Al centro della serata i positivi effetti del vino sulla salute, se consumato con moderazione, ma anche gli effetti negativi derivati dal suo abuso. «Sono particolarmente orgoglioso di aver avuto la possibilità di organizzare questo evento» sottolinea Federico Trost, delegato della sezione triestina dell’Ais. «Iniziative come questa permettono non solo di divulgare la conoscenza del potere terapeutico del vino sul nostro organismo, ma anche di favorire la prevenzione, soprattutto tra le fasce più deboli, come, ad esempio, i giovani». In scaletta una degustazione di vini, generosamente offerti da prestigiosi marchi quali Foss Marai, Mastrojanni, Livio Felluga e Rocca Bernarda, e di prodotti tipici dell’altipiano carsico donati dalla ZKB - Banca di Credito Cooperativo del Carso. (Maddalena Giuffrida) 91


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L’Ais Sicilia forma gli esperti di enoturismo In collaborazione con l’Istituto regionale siciliano della Vite e del Vino, l’Ais Sicilia dà il via a un’importante iniziativa, orientata a incentivare e a sostenere il flusso enoturistico nell’isola. Si tratta del primo corso di formazione per esperti di enoturismo, rivolto ad accompagnatori turistici e ad operatori del settore selezionati tramite un bando di concorso. Le figure specializzate formatesi nella gestione dell’ospitalità e nell’incoming turistico favoriranno la comunicazione delle bellezze naturali del territorio e delle qualità del vino che si produce, allo scopo di mettere in luce le risorse della Sicilia, raggiungendo l’obiettivo di destagionalizzare i flussi turistici e di favorire l’incontro tra produttori e consumatori. Il corso che è stato presentato con una conferenza stampa nella sede della fondazione Whitaker a Villa Malfitano a Palermo, da Camillo Privitera, presidente Ais Sicilia, e dai vertici dell’Istituto Vite e Vino, il presidente Leonardo Agueci e il direttore Dario Cartabellotta, avrà sede nel capoluogo per poi, nel corso delle lezioni, spostarsi nelle sedi messe a disposizione da alcune cantine della provincia palermitana: Feudi di Corleone, Disisa, Abbazia Santa Anastasia, Tasca D’Almerita e Feotto dello Jato. Strutturato in diversi moduli tematici per un totale di sessanta ore, vedrà la partecipazione di relatori Ais Sicilia, funzionari dell’Istituto regionale Vite e Vino e di docenti non solo siciliani, altamente specializzati e legati al mondo della produzione vinicola, olearia e gastronomica. I presidenti Camillo Privitera e Leonardo Agueci hanno sottolineato che la sinergia tra l’Istituto Vite Vino e l’Ais Sicilia colmerà un’esigenza forte, ovvero la richiesta di persone qualificate che possano comunicare in modo appropriato il territo-

rio e i giacimenti gastronomici in esso presenti. Il corso vedrà coinvolte le aziende vitivinicole sparse nell’intera regione, proprio perché luoghi ideali dove approfondire il vino e le tradizioni. Il direttore Dario Cartabellotta ha evidenziato l’importanza del valore culturale, organolettico ed emozionale del vino siciliano, un prodotto unico, frutto di un vero e proprio continente vinicolo, dalle condizioni climatiche differenti e dal territorio variegato. Basti ricordare che in Sicilia la vendemmia dura quattro mesi, dai primi di Agosto in cui si raccolgono le uve bianche nelle zone più calde, fino a Novembre inoltrato per i Nerelli delle zone più fredde dell’Etna. Il proficuo connubio tra Ais Sicilia e Istituto regionale Vite Vino ha previsto altri due corsi: uno a Trapani e uno a Catania, per un totale di sessanta formati, che saranno parte attiva di un processo di diffusione della cultura enogastronomica siciliana, affinché le eccellenze tipiche delle aziende vitivinicole, oleicole, agricole e i prodotti gastronomici locali siano sempre più considerati nel loro ruolo di componenti fondamentali del sistema sociale ed economico dell’isola. (Luigi Salvo) Una lezione di Camillo Privitera, Presidente Ais Sicilia

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Vino in villa… garantito! Un evento a “tutta G”. La G è quella di Garanzia offerta dalla Docg, il massimo riconoscimento qualitativo assegnato ai vini italiani. Un’eccellenza dimostrata dai numeri: in Italia vi sono oltre 300 vini Doc ma solo 44 Docg. La “numero 44” è il Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore, cui sarà dedicato Vino in Villa, festival internazionale di questo spumante italiano inimitabile, dal 15 al 17 maggio al Castello di San Salvatore di Susegana (TV). Per festeggiare la nuova identità, il Consorzio per la Tutela del Conegliano Valdobbiadene ha deciso di chiamare i quarantatre colleghi, vini famosi o rari, che saranno individuati grazie alla collaborazione con l’Ais Veneto. In una sola sede, i visitatori potranno immergersi in questo “Mondo G come Garantito”. Accanto alla degustazione delle 44 Docg d’Italia e alla presentazione della nuova annata del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore con ben 300 vini, si svolgeranno il convegno dedicato al valore delle Docg in Italia, ma anche gli incontri a tavola curati da Alma, Scuola Internazionale di Cucina Italiana che, per l’occasione, presenterà l’Atto Unico, ovvero il piatto unico. A fare da cornice a Vino in Villa sarà, come sempre, il castello di San Salvatore, borgo del XIII secolo immerso nell’area del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore, un nome difficile come faticoso è coltivare la vite in queste colline ripide quanto spettacolari. Una bellezza che, nei secoli, si è mantenuta intatta, come dimostra la pittura di un maestro del Cinquecento, Cima da Conegliano. Proprio a pochi passi da Vino in Villa si terrà la più grande mostra mai realizzata, organizzata da Artematica a Palazzo Sarcinelli a Conegliano e visitabile durante Vino in Villa. Ci sarà anche un quarto motivo per partecipare all’evento: i momenti culturali de I Simposi, in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dedicati quest’anno a “Meraviglie” ovvero al legame fra il dialetto e il paesaggio. Per informazioni www.prosecco.it


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La civiltà del vino dall’età romana ad oggi Secondo le previsioni degli analisti, nei prossimi decenni il comparto economico dalla crescita più intensa sarà il turismo culturale. Risulta perciò indispensabile una rivisitazione critica del patrimonio materiale e immateriale che ha modulato nel tempo l’identità dei luoghi al fine di pianificare un originale sistema di offerte. Il valore del “nuovo” turismo si concretizza infatti con la possibilità di immergersi in un’atmosfera culturale in cui concorrono, con efficace complicità, il paesaggio, la storia, l’archeologia, le tradizioni, la cultura materiale, i modi di vivere, gli stili e i piaceri. L’International Summer School “Mediterraneo” dell’Università di Bologna che si svolge a Cattolica dal 12 al 17 maggio può rivelarsi un’ottima opportunità di lavoro in questo senso, dando modo di sperimentare l’efficacia di una sinergica rete culturale che coinvolge le comunità di quest’area frontaliera definita dalle vallate del Conca, del Ventena e del Tavollo. L’edizione 2010 della Summer School “Mediterraneo” punta sulla civiltà del vino e consente di coniugare la didattica, demandata a docenti provenienti da università italiane e straniere e da istituti di cultura enogastronomica, con escursioni sul territorio (visite guidate a luoghi notabili ed ecomusei, aziende vitivinicole, etc.). Intrattenimenti conviviali e di spettacolo realizzati durante la settimana potranno contribuire ad arricchire l’interesse turistico per un soggiorno di conoscenza dei luoghi e delle proposte culturali espresse nei vari contesti cittadini in cui si svolgeranno le lezioni. Il corso è M Il vino, da sempre nella storia dell'uomo

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aperto a studenti, studiosi o altre persone interessate. Le attività della scuola restano comunque aperte a tutti indipendentemente dall’iscrizione, che dà diritto a tutto il pacchetto di offerta. La quota d’iscrizione di euro 250,00 comprende il soggiorno (vitto e alloggio) per l’intera settimana presso gli alberghi convenzionati, l’acquisizione del materiale didattico predisposto come dispensa delle lezioni, partecipazione alle escursioni sul territorio e alle iniziative culturali. Escludendo vitto e alloggio la quota d’iscrizione è di euro 50,00. La frequenza al corso comporterà per gli studenti universitari dei crediti formativi. Direzione della Scuola Maria Lucia De Nicolò, Università degli Studi di Bologna Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali tel. +39 0544 936766 / 0541 960079 email: luciunibo@libero.it Direzione organizzativa Gigliola Casadei, Comune di Cattolica tel. +39 0541 966607/603 email: giglioc@cattolica.net Segreteria Matteo Fuzzi tel. +39 0541 966607/603 www.cattolica.net Maura Silvagni, Nicoletta Biondi, Michela Silvagni Museo della Marineria W. Patrignani di Pesaro tel. +39 0721 35588, +39 335 7633367 email: museomarineria@comune.pesaro.ps.it


Oltolini, l’ambasciatore dei formaggi di Francia in Italia È il critico e giornalista enogastronomico Davide Oltolini l’ambasciatore dei formaggi di Francia in Italia nell’anno 2010. La nomina ha avuto luogo nell’ambito della campagna Evviva les fromages, protagonista contemporaneamente in ben sette Paesi europei, quali il Regno Unito, la Svizzera, la Germania, il Belgio, l’Olanda, la Spagna e l’Italia. La scelta di Oltolini si deve al Centre National Interprofessionnel de l’Économie Laitière (CNIEL), nonché al FranceAgriMer, ente nazionale dell’agricoltura e dei prodotti ittici, supervisionato dal ministero dell’Agricoltura e della Pesca. La Francia è uno dei Paesi con il più ricco patrimonio caseario del mondo e, a questo proposito, è famosa la frase del generale De Gaulle che, riferendosi alla Francia diceva: “Come si può governare un Paese che ha più formaggi che giorni nel calendario?”.

L Davide Oltolini, ambasciatore dei formaggi di Francia 2010

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Libri

SULLO SCAFFALE

di Natalia Franchi

ALBERGHI E RISTORANTI D’ITALIA

IL FASCINO ANTICO E NUOVO DEI VINI DOLCI DI PUGLIA

A cura di: Luigi Cremona Editore: Touring Editore Prezzo: 22,00 euro

Autore: Editore: Prezzo:

Giuseppe Baldassarre Graficom 15,00 euro

Il tema della crisi ricorre puntuale nella XVII edizione della guida Touring. Una crisi che, con ogni evidenza, non ha risparmiato nessuno e alcun settore. Anche se un dato curioso attesta quanto i sociologi affermano da tempo: nonostante la crisi, abbiamo speso per mangiare poco più di quello che spendiamo per dimagrire (le spese destinate a palestre e benessere non sono diminuite). Come a dire che le ristrettezze forzate amplificano il desiderio di coccolarsi, di prendersi cura di sé, di gratificarsi per affrontare con lo spirito migliore la ripresa. Altro dato: in tempi di crisi, la nuance di rossetto che incontra il maggior favore è il rosso fuoco. Il rosso della sfida ottimistica e dell’auto-gratificazione. Ciononostante, la guida Alberghi e Ristoranti d’Italia ha inteso venire incontro al più recente trend “risparmioso” includendo ben 1.311 tra alberghi e ristoranti a costo contenuto sui 6.786 recensiti. Altri punti forti della guida sono la copertura capillare del territorio, che ne fa uno strumento indispensabile per il viaggiatore (il volume è disponibile anche su navigatore Garmin); la presenza di 840 tra alberghi e ristoranti che non comparivano dell’edizione 2009, a riprova dell’attenzione per il continuo evolversi del territorio; la totale trasparenza e autonomia nei giudizi. Infine, l’assegnazione di 12 premi collegati alla guida, denominati Premi Ruota d’Oro Touring: otto assegnati ai quattro albergatori e ai quattro ristoratori che nei rispettivi territori meglio coniugano qualità e prezzo e quattro vinti da altrettanti giovani chef emergenti. Dalla guida emergono alcune criticità dell’offerta nazionale. Se, infatti, le tariffe alberghiere sono scese in tutto il mondo, l’Italia ha conservato un quarto posto nella graduatoria degli hotel più cari, pur mantenendo un vistoso ritardo nell’adeguamento a livello nazionale degli standard qualitativi internazionali e una scarsa integrazione con il territorio che soddisfi la richiesta di un turismo culturale e gastronomico, motivazione del viaggio per almeno il 50 per cento del turismo nazionale ed europeo. Ma non mancano i punti di forza. In Italia esiste molta buona ristorazione, capace di riscoprire e aggiornare antiche ricette, adeguandole ai mutati tempi e modi di vivere, conservando il tradizionale paniere degli ingredienti.

Bere dolce favorisce la convivialità, la conversazione e la meditazione. A stimolare neuroni e sinapsi non è infatti tanto l’alcol etilico, ma piuttosto lo zucchero naturale indecomposto, che nel nostro organismo scatena endorfine. Bere dolce è indice di romanticismo e perciò pratica resa superata dall’individualismo esasperato e dall’opportunismo oggi imperanti. Produrre buon vino dolce è costoso, perché occorre una materia prima molto selezionata, con oneri di produzione e di immobilizzazione del capitale altissimi, indirizzati peraltro a un segmento di nicchia del mercato, inaccessibile alla produzione di massa. Ma produrre vini dolci conferisce lustro all’immagine aziendale e impulso all’intera gamma vinicola. Occorre dunque far uscire il consumo del dolce dalla sola occasione del dessert, in cui è stato relegato da tempo. Ne è convinto Giuseppe Baldassarre, autore del volume, medico perfezionato in bioetica e sommelier dal 2001. Il vino dolce rappresenta in qualche modo l’archetipo di tale nobile bevanda: è assai probabile infatti che molti dei vini delle origini appartenessero a questa categoria in primo luogo per la difficoltà di fermentare in modo completo mosti a elevato contenuto zuccherino, in secondo luogo per la maggiore stabilità dei vini dolci. Così come è nota l’usanza, a partire dal II millennio prima di Cristo, di introdurre miele nel mosto a soddisfare nel tempo i palati di egizi, ebrei, fenici, greci e romani. Il panorama pugliese dei vini dolci ha radici antiche: dall’anno Mille in poi guadagnano prestigio vini come il Moscato di Trani e la Verdeca di Gravina, oltre a diversi moscatelli e malvasie. Una fortuna senza battute d’arresto fino agli anni ‘60 del secolo scorso, quando prende piede una sorta di ostracismo nei confronti dei vini dolci in parallelo alla moda di accostare ai dessert Champagne o spumanti brut e distillati dal gusto secco. Una caduta che riduce i vini dolci pugliesi quasi esclusivamente all’autoconsumo di agricoltori e vignaioli. Lento e graduale il riscatto operato a partire dagli anni ‘90, anche se il vino dolce pugliese non sembra aver ancora interamente espresso il proprio potenziale. Lo stesso potenziale che il volume porta all’evidenza del lettore, con orgoglio e dovizia di particolari ed etichette.

Lungo le strade del gusto e dell’ospitalità.

La dolcezza che viene dal cuore.

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GUIDA AL PIACERE E AL DIVERTIMENTO 2010 Tutti gli indirizzi più nuovi e alla moda d’Italia

GIULIANO BORTOLOMIOL Il sogno del Prosecco Autore: Editore: Prezzo:

Ettore Gobbato Veronelli Editore 17,00 euro

Anche per il 2010 appuntamento in libreria con l’irrinunciabile Guida del sociologo del piacere Roberto Piccinelli, giunta alla XIII edizione. L’azzardato colore della giacca tartan che l’autore sfoggia in copertina, non sia motivo di perplessità nell’acquisto: l’edizione 2010 è infatti colma di novità in merito alle rapide evoluzioni del mondo del loisir, fotografate in un’istantanea ironica e molto fruibile. 2.600 gli indirizzi inseriti, 90 i locali che si aggiudicano un Oscar del Piacere e 50 annoverati nella Top Ten Emotion, la classifica delle location che sanno emozionare. L’attenta disamina dei locali non può prescindere dalla identificazione delle località più cool disseminate sul territorio nazionale. Fra le città al top svettano Roma, Lecce, Salerno, Siracusa (quanti hanno visitato l’incantata Ortigia, confermeranno) e Venezia, dove tornano alla ribalta le “vasche” old style e regna il rito della movida open-air. Tra le località turistiche montane, vincono e convincono Courmayeur, Livigno e Selva di Val Gardena. Per gli amanti del mare e della salsedine le classiche Santa Margherita Ligure, Forte dei Marmi e Milano Marittima e, a scalzare del tutto quest’ultima, la solita Riccione. Tra le tipologie di locale, censito per la prima volta il “ristorante a peso”. Entrano in scena il “cocktail antinfluenzale” e la “cena con le bolle di sapone” per tornare bambini. Perfino l’ospitalità cambia le sue regole, in funzione delle nuove mode e abitudini sociali: se una volta si parlava di mezza pensione o di pensione completa, ora gli alberghi più trendy puntano sulla pensione tre quarti.

Più che eloquente il nome della collana di cui il volume fa parte: i Semi - i protagonisti delle culture materiali. Donne e uomini che nella loro terra di origine hanno trovato spunto di miglioramento e valorizzazione per sé e le genti che vi abitano. Giuliano Bortolomiol di Valdobbiadene è uno di questi uomini: nel 1945, qualche mese dopo la fine della guerra, con la fondazione della Confraternita del Prosecco, Bortolomiol divenne il principale promotore della rinascita del Prosecco. Cinque anni di conflitto e vent’anni di dittatura fascista avevano stremato contadini e vignaioli, che preferivano andare in pianura alla ricerca di lavoro remunerativo. All’oggettivo disagio, che condivideva con i suoi compaesani, Bortolomiol oppose il coraggio e la forza di un sogno da realizzare. L’autore del tributo a Bortolomiol, Ettore Gob bato, giornalista e scrittore da tempo attento all’ambiente e alla cooperazione internazionale, vede incarnarsi nel valdobbiadenese l’essenza di una generazione di uomini che, nel dopoguerra, lontani dall’italica arte di arrangiarsi con il poco che si trovava, riuscirono a emanciparsi dalla povertà con una voglia di riscatto insieme individuale e collettiva. Persone, fiere e cocciute, cui va il merito di quanto è poi passato alla storia come il miracolo italiano. Giuliano Bortolomiol, tra gli altri, ha contribuito in modo decisivo a trasformare un territorio disastrato in un modello di agricoltura industriale che ha nel Prosecco di Valdobbiadene il suo protagonista. Un prodotto da vitigno poco considerato, definito un tempo “pissariol” (di facile digestione, beva), poi spumantizzato e divenuto un prodotto moderno e ricercato in ogni parte del pianeta. La narrazione del lavoro di Gobbato si snoda con delicatezza lungo tracce segnate dai ricordi, famigliari e di quanti hanno conosciuto e amato Giuliano. Degna di nota anche la ricerca iconografica, capace di far immergere il lettore nell’atmosfera e nelle attese del tempo.

Programmati per il piacere.

Bollicine con l’anima.

Autore: Editore: Prezzo:

Roberto Piccinelli Outline 15,00 euro

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Io non ci sto

Alta ristorazione: proporre vini è sempre più difficile di Franco Ziliani empi difficili per la ristorazione italiana, soprattutto quella che potremmo definire di alta qualità e di conseguenti prezzi elevati. Difficili non solo per la crisi economica che riducendo la disponibilità di spesa delle persone porta a considerare l’uscita al ristorante come una voce di spesa da tagliare, un qualcosa, seppur piacevole, cui si deve rinunciare, oppure, nel migliore dei casi, di cui si deve ridurre la frequenza. Difficili i tempi, oltre che per la “criminalizzazione” in atto dei consumi di vino, con lo spettro dei severissimi controlli con l’etilometro che induce giocoforza anche chi continua ad andare al ristorante a ordinare e consumare molto meno vino che in passato, e ricorrere al vino al bicchiere, ma un bicchiere che diventa unico per tutto il pasto, con un calo delle vendite di vino calcolato nell’ordine del trenta per cento e più, anche perché impongono scelte molto difficili. Non sto parlando solo delle materie prima utilizzate per la preparazione dei piatti, sulla scelta delle quali, in tempi di difficoltà e di minori incassi, si potrebbe avere la tentazione di essere meno rigorosi, puntando non su prime ma seconde scelte che costano meno, oppure della necessità, che molti hanno avvertito, e lo si è visto persino in occasione dei cenoni di fine anno, di abbassare decisamente i prezzi. Le scelte difficili, per i ristoratori stellati e di livello più elevato e di maggiori ambizioni, soprattutto per quelli che a questo importante elemento hanno tradizionalmente dato ampio rilievo, si pongono in relazione al discorso sul vino, al tipo di proposta vini da fare. Sappiamo benissimo, fa ormai parte della piccola storia della ristorazione e del mondo del vino negli ultimi 15-20 anni, come si sia svolto in molti casi il discorso sul vino e quali siano stati i criteri adottati da molti ristoratori nelle loro scelte. Da un lato la soluzione comoda, non faticosa, della scelta dei vini fatta in base al portafoglio aziende proposto dal rappresentante amico di turno. Ci sono in giro per l’Italia molte carte dei vini che rivelano subito, sin dal primo sguardo, di essere conseguenza del fatto che in quella zona operasse e fosse più attivo degli altri il rappresentante X o Y, tanto abile da riuscire a piazzare tutte le aziende della propria “scuderia”. Dall’altro lato, ancora più diffusa, la soluzione politicamente ed enologicamente corretta di una scelta dei vini come riflesso fedele dei punteggi e dei premi decisi da alcune delle guide più influenti (soprattutto una), perché, soprattutto a certi livelli, e quando si arriva “in odore” di stella, o si punta a riceverla o mantenerla, si diceva fosse impossibile non avere in carta certi vini, non dotarsi almeno delle sei bottiglie che magari non vengono tanto richieste ma facevano fare bella figura e rassicuravano, quando il giornalista, l’ispettore della guida, l’esperto influente, facevano una visita in cantina… Dall’altro lato, in sintonia con questa opzione, la scelta dei vini, di determinati vini, fatta non tanto ragionando sul tipo di cucina proposta, sull’armonia tra i piatti ed i vini da abbinare, e su una sorta di continuità e coerenza tra la voce spesa per il cibo e quella per i vini, bensì in ossequio ai rapporti diretti, spesso di amicizia, instaurati con taluni produttori, i cui vini, anche se costosi, anche se talvolta del tutto eterogenei e fuori linea rispetto al tipo di cucina proposta e spesso ben più costosi rispetto a quanto normalmente si spendeva in quel ristoran-

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te per mangiare, venivano comunque, magari in piccoli quantitativi, acquistati. Questo in uno spirito, nel migliore dei casi, di amicizia e collaborazione, oppure, nel peggiore dei casi, in ossequio a quella che un mio carissimo ex direttore, l’indimenticabile Germano Pellizzoni, definiva senza mezzi termini “una cupola”, ovvero un intreccio d’interessi dove ristoratori di haute gamme, un certo mondo del vino, e una parte della stampa specializzata e delle guide si sostenevano reciprocamente, avendo interessi comuni, rappresentando le diverse facce di un identico universo. Poco è contato, finché le cose giravano, finché Pantalone, ossia il cliente consumatore, accettava di pagare, che molti di questi vini, usati come specchietto per le allodole, scelti per segnalare che di un certo sistema si faceva o si aspirava a fare parte, finissero per prendere polvere in cantina, per non essere mai stappati e ordinati, sino a costituire un malinconico cimitero degli elefanti enologico. Ma con l’arrivo, l’intensificarsi ed il ristagnare della crisi, con la chiara e sempre più diffusa tendenza dei clienti a non farsi abbacinare come in passato dal canto delle sirene delle griffe enologiche, e con la loro risoluta volontà di scegliere soluzioni più risparmiose e ragionevoli, vini meno mediatici e glamour, ma soprattutto meno cari e più piacevoli da bere, oggi il ristoratore responsabile si trova costretto a rivedere molte delle proprie posizioni. Costretto a scegliere in prima persona, senza relegare la responsabilità a nessuno, e senza farsi condizionare che dal proprio gusto e dall’elemento che deve essere il punto di riferimento basilare di ogni carta dei vini degna di questo nome, ovvero il rapporto prezzo-qualità, in altre parole la corrispondenza fedele tra il valore del vino ed un prezzo corretto che consenta di lavorare su quel vino, proporlo con soddisfazione al cliente, e andare incontro alla sua richiesta di vini buoni ma che non richiedano l’accensione di un mutuo per poterli stappare. Lo so bene che, così facendo, molti ristoratori rischiano non solo di incrinare antiche amicizie, di vedersi tacciare di “ingrati” perché in un momento di difficoltà come l’attuale scelgono, giocoforza, di non aiutare determinate aziende (anche quelle che, nel frattempo, sono “miracolosamente” riuscite a ribassare i prezzi, a praticare condizioni di pagamento quasi… “a babbo morto”) che negli anni sono state loro naturali partner, ma sono anche persuaso che questo ritorno alla realtà non potrà fare che del bene sia a loro, sia alle aziende che hanno prodotto e provato a vendere vini lontani anni luce dal sentire, dal gusto e dal potere d’acquisto del normale consumatore. Qualcuno potrà anche obiettare che “gli amici si vedono nel momento del bisogno” e che non acquistare più vini, molto cari, che si sono sinora acquistati, magari a cuor leggero, in questo particolare momento equivale ad una sorta di “tradimento”. Ma se dar prova di amicizia significa continuare a scegliere, a prescindere, la griffe, invece di vini altrettanto buoni ma decisamente meno cari e più “food friendly”, come non dire che questa non è più amicizia, ma incoscienza e irresponsabilità nei confronti del cliente? Una forma di complicità, che ci ha portati a molte situazione difficili, di fronte alla quale non ho dubbi a dire che “io non ci sto”… Proprio come mi auguro non debbano starci, per il futuro delle loro imprese, molti ristoratori…


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