Anno XVII - n. 93 - € 3,50 - Poste Italiane s.p.a. Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 - n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano
DEVinis LA COMPETENZA, LA PROFESSIONALITÀ, LA CULTURA, IL PIACERE, I PROTAGONISTI DEL BERE BENE
Maggio / Giugno 2010
PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z www.sommelier.it - ais@sommeliersonline.it
Editoriale
L’orgoglio di essere
sommelier di Terenzio Medri on l’arrivo dell’estate è ormai un’abitudine consolidata preparare e presentare gli eventi in programma nei prossimi mesi. Un menù ricchissimo quello dell’Ais, che il 20 settembre sarà a Londra all’Hotel Ritz di Piccadilly con il premio internazionale “Innovazione nella professione”, organizzato come tradizione con Villa Sandi, quindi ci sarà il congresso in Umbria, poi sempre in ottobre a Santo Domingo si svolgerà il Campionato mondiale della Worldwide sommelier association, quindi il 27 ottobre si terranno le elezioni per rinnovare gli organi associativi. A questo proposito voglio rivolgere un invito a tutti i colleghi: siate orgogliosi di far parte di una associazione come la nostra che in questi decenni di attività ha sfornato grandi professionisti che operano nella ristorazione, nelle enoteche, nella comunicazione, nel giornalismo e nella distribuzione.
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L’orgoglio è lo strumento per trovare una unità di intenti, un valore aggiunto che si trasforma in professionalità e prestigio. L’essere fieri dell’Ais e delle sue peculiarità è il modo per proseguire un cammino che finora ha portato la sommellerie italiana ad essere stimata e apprezzata in tutto il mondo. Infine permettetemi di fare una considerazione di carattere economico: in questo periodo di crisi in cui tutti tendono a delocalizzare le attività, vino e turismo sono risorse dal valore incommensurabile che nessuno può e potrà mai esternalizzare, perché le loro radici affondano nella cultura, nella storia e nel territorio italiani. Vino e turismo, oltre ad essere un traino per l’economia della nostra Penisola, costituiscono delle risorse a livello occupazionale. E il sommelier è uno dei soggetti coinvolti.
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AIS Associazione Italiana Sommeliers Presidente | Terenzio Medri Vicepresidenti | Antonello Maietta, Rossella Romani Membri della Giunta Esecutiva Nazionale | Terenzio Medri, Antonello Maietta, Roberto Gardini, Lorenzo Giuliani, Vincenzo Ricciardi, Catia Soardi, Rossella Romani, Marco Aldegheri, Roberto Bellini.
La competenza, la professionalità, la cultura, il piacere, i protagonisti del bere bene. Anno XVII maggio-giugno 2010 Associazione Italiana Sommeliers Editore Direttore editoriale e responsabile | Terenzio Medri, terenzio.medri@sommeliersonline.it Coordinamento redazionale | Francesca Cantiani, francesca.cantiani@sommeliersonline.it Per la pubblicità | Roberto Pizzi, pubblicita@sommeliersonline.it tel. 02/72095574 – ICE Srl – Corso Garibaldi, 16 – 20121 Milano Redazione | Associazione Italiana Sommeliers Viale Monza 9 - 20125 Milano Tel. +39 02/2846237 - Fax +39 02/26112328 - devinis@sommeliersonline.it Segreteria di redazione | Emanuele Lavizzari, emanuele@sommeliersonline.it Hanno collaborato | Ennio Baccianella, Roberto Bellini, Fabio Brioschi, Sandro Camilli, Francesca Cantiani, Luigi Caricato, Mauro Carosso, Riccardo Castaldi, Alessia Cipolla, Elisa della Barba, Piermaurizio Di Rienzo, Alessandro Franceschini, Natalia Franchi, Camilla Gaiaschi, Salvatore Giannella, Paolo Giarrusso, Michela Guadagno, Claudio Gualandri, Emanuele Lavizzari, Michela Lugli, Maurizio Maestrelli, Angelo Matteucci, Davide Oltolini, Roberto Piccinelli, Cesare Pillon, Paolo Pirovano, Annalisa Raduano, Alessandra Rotondi, Lorenzo Simoncelli, Barbara Summa, Franco Ziliani. Fotografie | Archivio Ais Per l’articolo a firma di Salvatore Giannella il ritratto di Ermanno Olmi è di Ro Marcenaro Per l’articolo a firma di Piermaurizio di Rienzo foto di Federica Ghizzardi Per l’articolo a firma di Camilla Gaiaschi foto della stessa autrice Per l’articolo a firma di Fabio Brioschi foto dello stesso autore Per l’articolo a firma di Alessandra Rotondi foto della stessa autrice Per l’articolo a firma di Riccardo Castaldi e Natalia López Mota foto di Natalia López Mota Si ringrazia Carmen Giuratrabocchetta per le foto dell’articolo a firma di Michela Guadagno Reg.Tribunale Milano n.678 del 30/11/2001 Associato USPI Abbonamento annuo a 6 numeri | ITALIA € 20,00 ESTERO € 45,00 Intestare ad “Associazione Italiana Sommeliers – viale Monza, 9 – 20125 Milano” specificando il motivo del versamento da effettuarsi secondo una delle tre seguenti modalità: - pagamento tramite c/c postale 000058623208 - bonifico su Banco Posta, codice IBAN IT83K0760101600000058623208 (aggiungere per versamenti dall’estero codice SWIFT BPPIITRRXXX) - bonifico bancario presso “Banca Intesa Sanpaolo, via Costa 1/A, Milano, IBAN IT26H0306909442625008307992 (aggiungere per versamenti dall’estero codice SWIFT BCITIT22001) Chiuso in redazione il 30-04-2010 Stampa | Grafiche Parole Nuove Srl - Brugherio Milano Copie di questo numero | 40.000
AIS 2010
Rinnovo quota associativa 2010 E’ possibile rinnovare l’iscrizione nei seguenti modi: Internet basta collegarsi al sito www.sommelier.it, cliccare su “Rinnovi Online” e seguire le istruzioni per effettuare il pagamento tramite Carta di Credito (escluso Diners Card).
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c/c postale n. 58623208 intestato ad “Associazione Italiana Sommeliers Viale Monza 9, 20125 Milano”, indicare nella causale “Quota associativa 2010”. Bonifico presso Banco Posta intestato ad “Associazione Italiana Sommeliers” IBAN IT83K0760101600000058623208 (aggiungere per versamenti dall’estero codice SWIFT BPPIITRRXXX).
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Sommario
Maggio / Giugno 2010
I produttori oltre la crisi
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CONTI DEL VINO IN UN’INDAGINE DI
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Benvenuti sommelier!
A PERUGIA
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IL
LA
30 LA
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CONGRESSO NAZIONALE 2010
Dal cinema arrivano “Parole Maestre”
L’INTERVISTA
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A
ERMANNO OLMI
Un vino, un territorio VENDEMMIA
2005
DEL
BRUNELLO
IL
All’interno
44 56 62 70 72 74 76 96 98
DI
MONTALCINO
Vigneti d’alta quota DEGUSTAZIONE DEI VINI VALDOSTANI
Fascino e personalità
IL TORGIANO ROSSO RISERVA
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MEDIOBANCA
DI CASA
LUNGAROTTI
Sempre al lavoro VINO CHE CREA OCCUPAZIONE
Abbinamenti IL MATRIMONIO CON IL CIOCCOLATO Tendenze I LOCALI PER LA PROSSIMA ESTATE Turismo ALLA SCOPERTA DELL’AUSTRIA Olio TUTELIAMO LA PROFESSIONALITÀ DEGLI ASSAGGIATORI Birra IL CARATTERE DI TOCCALMATTO Distillati UNA STORIA DI FAMIGLIA Acqua L’ARTE DI DEGUSTARE Sullo scaffale LE NOVITÀ EDITORIALI Io non ci sto! LA LIBERALIZZAZIONE DEI DIRITTI DI IMPIANTO
Mercato del vino
L’annus horribilis non ha terrorizzato i produttori di Cesare Pillon
LA
CRISI ECONOMICA HA EVIDENZIATO CHE IL PRESUNTO TALLONE D’ACHILLE DELLA
PRODUZIONE VINICOLA ITALIANA, LA
FRAMMENTAZIONE DELLE
AZIENDE, È STATO UN PUNTO DI FORZA.
LA
FLESSIBILITÀ HA CONSENTITO ALLE PICCOLE IMPRESE A CONDUZIONE FAMILIARE DI AFFRONTARE MEGLIO LA RECESSIONE
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opo due anni di crisi economica mondiale, qual è la situazione del vino italiano? Essendo esportato in tutti i continenti, subisce l’impatto della recessione ovunque essa si manifesti: come l’ha affrontata? E con quali risultati? A queste domande ha cercato di rispondere l’ufficio studi di Mediobanca con la sua indagine annuale: uno studio che stavolta vale la pena di conoscere nel dettaglio perché, condotto con estremo rigore scientifico, è giunto a conclusioni particolarmente interessanti, garantite da un altissimo grado di attendibilità. Certo, la ricerca non ha preso in esame nella sua interezza il polverizzato mondo vinicolo della penisola: l’impresa è pressoché impossibile. I ricercatori di Mediobanca hanno concentrato la loro attenzione sulle novantanove principali aziende del settore, tutte quelle che fatturano più di venticinque milioni di euro all’anno. Perché proprio quelle? Perché, trattandosi di società di capitali, è possibile avere elementi certi consultando i loro bilanci. Ma quanto è significativo questo cam-
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pione? Molto più di quanto si possa pensare. In termini di fatturato, il tasso di rappresentatività delle novantanove aziende equivale alla metà circa dell’intero, affollatissimo panorama vitivinicolo italiano. A essere pignoli, il valore complessivo della loro produzione, 4,2 miliardi di euro nel 2008, rappresenta il 46 per cento del totale italiano, valutato in nove miliardi, mentre l’export, 1,95 miliardi di euro, è pari al 54 per cento di quello globale, che è di 3,6 miliardi. Analizzando i bilanci aziendali di cinque anni, dal 2004 al 2008, la ricerca di Mediobanca è riuscita a individuare i guasti provocati dall’insorgere della crisi e a dar loro una dimensione economica precisa, mentre intervistando i responsabili delle singole imprese e consultando ove possibile i preconsuntivi dell’anno scorso ha potuto non soltanto accertare com’è andata nel 2009, ma anche scandagliare attese, speranze e timori per il 2010. Che cosa è scaturito dall’indagine sui conti del quinquennio? Che la redditività operativa delle imprese vinicole, cresciuta dal 2004 in poi fino a
raggiungere nel 2006 il 7 per cento del fatturato, alle prime avvisaglie della recessione ha cominciato a scendere, fino a ridursi al 5,3 per cento nel 2008. Di conseguenza gli utili netti, che nel 2006 avevano toccato i 122 milioni di euro, sono crollati nel 2008 a 52,7 milioni, dimezzandosi perfino rispetto al 2004, data d’inizio del periodo preso in esame. «Il fatto è» spiega Gabriele Barbaresco, uno degli autori dell’indagine, «che nel 2008 quasi un’azienda su quattro ha chiuso l’esercizio in perdita: una quota costantemente lievitata dal 2004, quando era soltanto del 14 per cento». Il momento nero non sembra però aver terrorizzato i produttori di vino. Il continuo calo del rendimento del capitale impiegato non li ha infatti dissuasi dall’incrementare la consistenza dei mezzi propri: tra il 2007 e il 2008 non hanno affatto smesso di investire, hanno anzi aumentato dell’11,4 per cento il capitale delle loro aziende. Era inevitabile perciò che fossero costretti ad accrescere l’indebitamento, ed è quel che hanno fatto, ma con oculata prudenza, in modo da non
mettere a repentaglio la solidità delle proprie strutture patrimoniali. È vero che i debiti finanziari, pari nel 2006 all’85,4 per cento del capitale netto delle loro imprese, sono saliti nel corso del quinquennio successivo al 91,7 per cento, ma non hanno mai raggiunto né superato il livello di guardia del 100 per cento, che è il discrimine oltre il quale il passo diventa più lungo della gamba. La leva che i produttori hanno azionato con maggior energia per fronteggiare la crisi è stata quella dell’esportazione, che grazie al loro impegno è passata dal 43,3 per cento del fatturato nel 2004 al 46,7 per cento nel 2008. Il 35 per cento delle aziende prese in esame ha venduto all’estero più di metà del proprio fatturato e una su cinque ha addirittura esportato più del 60 per cento della produzione. Non per niente, ricorda Barbaresco, il saldo attivo dell’export vinicolo italiano è balzato dai 760 milio7
Mercato del vino
ni di euro del 1990 ai 3,3 miliardi del 2008. Questi diciotto anni di ininterrotta performance positiva del commercio estero nazionale necessitano però di un approfondimento. Fino al 2007 essa è stata ottenuta perché aumentava la quantità del vino esportato e allo stesso tempo cresceva il prezzo medio a cui esso veniva ceduto. «Nel 2008» racconta Barbaresco, «si è registrato invece un decremento dei volumi nell’ordine del 4 per cento, ma con una crescita a valori del 3,7 per cento. Il prezzo medio all’export è infatti aumentato quell’anno dell’8,3 per cento». Nel 2009, infine, la situazione si è capovolta: i produttori italiani sono stati per la prima volta costretti a diminuire il prezzo medio (dell’11,1 per cento) e grazie a questo sacrificio sono riusciti a esportare il 6,2 per cento di vino in più. Ma non è bastato: hanno incassato il 5,5 per cento in meno. Quanto ha influito questa svolta dell’export sul giro d’affari complessivo delle aziende? Analizzando i preconsuntivi disponibili, i ricercatori di Mediobanca hanno accertato che l’anno scorso il 47,5 per cento delle aziende prese in esame è riuscita ugualmente ad aumentare il proprio fatturato complessivo. Ma mentre nel 2007 il 36,7 per cento di esse aveva registrato una crescita di oltre il 10 per cento, nel 2009 ciò è avvenuto solo nel 4,5 per cento dei casi. E, per contro, mentre nel 2007 solo un trascurabile 1,1 per cento delle aziende lamentava un calo di fatturato di oltre il 10 per cento, nel 2009 è stata addirittura più di un’azienda ogni cinque a denunciare un tracollo di quelle proporzioni. «Tutte queste cifre confermano dunque che il 2009 è stato veramente l’annus horribilis della crisi» conclude Barbaresco. «Tuttavia l’arretramento complessivo del fatturato vinicolo, pari al 3,2 per cento, è stato molto meno drammatico del meno 19 per cento segnato dalle imprese industriali in generale». Anche il confronto con l’andamento delle undici maggiori imprese internazionali del settore, analizzato dai ricercatori di Mediobanca nella seconda parte della loro indagine, testimonia che le imprese italiane hanno tenuto botta alle avversità meglio delle multinazionali. Cinque degli undici grandi gruppi che dominano il commercio vinicolo mondiale hanno infatti accusato una diminuzione di fatturato nel 2008, sette la denunciano per il 2009, e in entrambe le liste è presente il primo in classifica, Constellation Brands, il colosso statunitense presente in tutto il mondo (controlla anche il 40 per cento di un’azienda italiana, la Ruffino) con un giro d’affari annuo equivalente a 2,6 miliardi di euro. Le variazioni di fatturato, va detto, contano fino a un certo punto quando le società prese in esame sono di quelle dimensioni, perché per migliorare le loro efficienza hanno la ristrutturazione facile e per attuarla sono pronte a cedere o ad acquisire, da un giorno all’altro, grappoli di aziende. C’è un dato, però, messo in evidenza dallo studio di Mediobanca, che testimonia le difficoltà in cui si sono dibattute queste gigantesche organizzazioni nei due anni di crisi: i loro debiti finanziari, che nel 2006 rappresentavano già il 99,4 per cento del capitale netto, nei due anni successivi sono ancora aumentati, giungendo nel 2008 a quota 133,2 per cento e superando pericolosamente la parità con i mezzi propri.
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Non tutti i più importanti gruppi internazionali se la passano male, per la verità. «Accanto alla vischiosità del fatturato dei grandi operatori nel 2008 (Constellation a meno 3 per cento, l’australiana Foster’s a più 3 per cento)» fa notare Barbaresco, «vi sono casi di grande dinamismo commerciale, come quello della cinese Yantai Changyu, con un impressionante più 26,5 per cento, o della sudafricana Distell, con un ragguardevole più 17 per cento. E l’evoluzione negativa dei fatturati nel 2009 ha almeno un paio d’eccezioni: la solita Yantai Changyu e la cilena Viña Concha y Toro, entrambe a livello più 15 per cento». Allo stesso modo, anche le novantanove aziende italiane hanno avuto andamenti differenziati, com’è logico del resto visto che sono diverse perfino sotto il profilo societario: ventisette hanno la forma giuridica di cooperative, sessantotto sono SpA o Srl a controllo italiano, quattro sono società a controllo estero. È il caso di sottolineare che le cinque aziende in testa alla classifica per volume di vendita sono tutte cooperative: nell’ordine, Gruppo Italiano Vini, Caviro, Mezzacorona, Cantine Riunite & Civ, Cavit. E le cooperative, con un fatturato in crescita del 2,3 per cento, risultano anche essere state le più dinamiche nel 2008, tallonate a brevissima distanza dalle società italiane (più 2,1 per cento), mentre quel-
le a controllo estero hanno accusato una contrazione del 2,6 per cento. C’è una categoria di produttori cui il rapporto di Mediobanca dedica un capitolo a parte: è quella dei produttori di spumante. Particolarmente encomiabile il metodo con cui è stata condotta questa ricerca di settore, evitando il solito errore di mettere Prosecco e Asti, cioè le bollicine scaturite da rifermentazione in autoclave, nello stesso sacco di quelle ottenute col metodo tradizionale. Questa volta l’indagine è correttamente circoscritta ad aziende di Franciacorta e del Trentino e proprio per questo è sorprendente. Da essa risulta infatti che il comparto della spumantistica classica opera in condizioni di miglior competitività rispetto ai produttori di vini fermi. Lo testimonia un valore aggiunto più che doppio rispetto al costo del lavoro. E questo spiega perché esso vanti superiori margini operativi, un più cospicuo ritorno degli investimenti, maggior redditività dei capitali e al contempo manifesti un minor bisogno di ricorrere all’indebitamento. Il lato più singolare di questi brillanti risultati è che sono ottenuti in prevalenza sul mercato interno, perché la quota di export degli spumantisti è piuttosto bassa: 24 per cento, meno della metà di quel che esportano le altre
aziende, il 49,6 per cento. Ma la sorpresa è ancora più grande se si confronta lo stato di salute delle bollicine italiane con le traversie che stanno vivendo quelle francesi. Tre delle undici grandi società vinicole internazionali su cui ha soffermato la sua attenzione lo studio di Mediobanca, Boizel Chanoine, Vranken Pommery, Laurent Perrier, sono infatti di Champagne e sono proprio quelle che hanno più sofferto in questi due anni, con vistose perdite di fatturato o preoccupanti oneri finanziari. Non è il solo paradosso che il rapporto di Mediobanca mette in luce. Grazie alla crisi si scopre infatti che il presunto tallone d’Achille della produzione vinicola italiana, la frammentazione delle aziende, può diventare invece, nei momenti difficili, un punto di forza. La sensazione che sia stata proprio la flessibilità a consentire alle piccole imprese a conduzione familiare di affrontare la recessione meglio di quelle grandi si era già diffusa, tant’è che a un recente convegno Corrado Giacomini, economista dell’agroalimentare, aveva ammesso: «Il piccolo non è necessariamente bello, ma ha sicuramente maggiori capacità di adattamento in tempi di crisi». Adesso, però, lo studio di Mediobanca conferma questa ipotesi con la concretezza delle cifre. In che modo? Analizzando i risultati delle imprese dopo averle suddivise in quattro categorie a seconda della dimensione. E così fa scoprire che le aziende più piccole, di quarta categoria, hanno un tasso di rendimento del capitale (6,1 per cento) più elevato delle aziende di maggior dimensione (5,2 per cento), quelle di prima categoria. «Ma non mancano sorprese anche tra le aziende della prima categoria» segnala Barbaresco. «In piena crisi mondiale due delle maggiori cooperative italiane, il Gruppo Italiano Vini e le Cantine Riunite, hanno deciso di fondersi. Si sta così creando una società capace di confrontarsi con i maggiori attori del panorama internazionale. Si può infatti stimare che il nuovo gruppo italiano sarà in grado di produrre e commercializzare ogni anno 165 milioni di bottiglie, superando i 144 milioni della Diageo, sesto produttore mondiale, e collocandosi appena sotto i 192 milioni di bottiglie del quinto in classifica, la cilena Concha y Toro. Ma questo solo sul piano dei volumi, perché Giv e Riunite insieme dovrebbero fatturare 420 milioni di euro, mentre il giro d’affari di Concha y Toro è di 360 milioni». Mettendo insieme tutti i tasselli di questo mosaico si può capire meglio perché i produttori, interpellati sulle attese che nutrono per il 2010, si siano dimostrati insolitamente ottimisti: soltanto il 3,1 per cento ha detto di temere una contrazione dei ricavi, mentre il 66,1 per cento, la maggioranza assoluta, ritiene che i suoi conti risulteranno in equilibrio e il 30,8 per cento è convinta che il fatturato tornerà ad aumentare. Molti di più, quasi il 40 per cento, sono pronti a scommettere su un aumento delle esportazioni. Non è difficile capire perché. «L’indebolimento dell’euro dà fiato alle esportazioni nei Paesi extra-europei» ha spiegato Angelo Gaja in un suo recente intervento. «L’obiettivo di esportare nell’anno corrente almeno 2,5 milioni di ettolitri in più del 2009 è a portata di mano». Se è vero lo documenteranno le cifre dello studio di Mediobanca dell’anno prossimo.
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Congresso nazionale
sommelier
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“invadono”
Perugia DAL 30
4 OTTOBRE L’UMBRIA OSPITERÀ LA 44.MA ASSISE 600 CONGRESSISTI PROVENIENTI DA TUTTO IL MONDO
SETTEMBRE AL
NAZIONALE CON OLTRE
di Ennio Baccianella Altro momento di grande spessore assoopo la Basilicata, quest’anno tocca ciativo è l’incontro con gli oltre 200 deleall’Umbria ospitare la 44.ma ediziogati regionali che dovranno organizzare ne del congresso nazionale dei somla vita associativa e gli eventi regionali. melier. Dopo sedici anni ritorna in Umbria l’evento più importante dell’Associazione Particolare attenzione è stata rivolta alla sommelier più grande del mondo, oltre parte culturale dell’evento. Ci può dire 32.000 soci che operano in Italia e all’estein cosa consiste? ro. Un vero e proprio evento con la presenPer promuovere il nostro territorio e far za, per la prima volta in un congresso Ais, toccare con mano quanto di bello e buono di tutte le delegazioni dell’associazione, che la nostra regione offre in termini agroalihanno sede negli Stati Uniti, Inghilterra, mentari, artistici, paesaggistici ed artiGermania, Russia, Giappone, Caraibi, gianali, si è ritenuto opportuno organizzaLussemburgo, Belgio, Brasile e Scandinavia. L Gabriele Ricci Alunni, re un programma rivolto agli accompagnaAll’appuntamento prenderanno parte sompresidente Ais Umbria tori delle diverse centinaia di sommelier melier, giornalisti, ristoratori e opinion leader che daranno vita a una cinque giorni di incontri, semi- che arriveranno a Perugia per la loro assemblea annuanari, educational e visite alla scoperta delle principali le e un programma di visite per gli stessi sommelier che, al di fuori degli appuntamenti istituzionali del conzone di pregio della regione. Il Presidente dell’Ais regionale Gabriele Ricci Alunni ha gresso, potranno così visitare e scoprire i nostri territori. A tale scopo, oltre al capoluogo umbro, sono state quinfortemente voluto il Congresso Nazionale in Umbria. di individuate alcune zone e alcuni borghi della provinPresidente, quali saranno i principali appuntamenti cia di Perugia ritenuti interessanti che sono: l’area del Lago Trasimeno e della Valnerina per apprezzare il paeorganizzati in occasione del 44.mo Congresso Ais? Sono molte le attività programmate, ad iniziare da quel- saggio umbro, Torgiano, Montefalco, Orvieto e Città della la istituzionale il cui svolgimento è previsto nella splen- Pieve per visitare le principali zone di produzione vinidida Sala dei Notari, nel centro storico di Perugia, dove cola della nostra regione, Norcia e Trevi per le altre prosabato 2 ottobre si terrà l’Assemblea nazionale duzioni agroalimentari di qualità, Deruta per la valorizdell’Associazione. Per quello che riguarda la vita associa- zazione delle ceramiche artistiche, per terminare con tiva, è il momento più importante dell’anno: il presiden- Assisi per l’arte e la storia, tenendo conto che il conte e la Giunta esecutiva nazionale si confronteranno gresso si concluderà proprio nel weekend che anticipa il con le centinaia di sommelier sulle attività svolte nel 2009. 4 ottobre (lunedì), in cui ricorrono le celebrazioni per San Il giorno prima, con la presenza di tutti i presidenti regio- Francesco. Naturalmente tutti i comuni interessati sono nali e degli organi istituzionali, si svolgerà il Consiglio considerati validi in termini storici e artistici per cui, nazionale, che deciderà le strategie associative per il 2011. anche le visite organizzate verso le cittadine umbre toc-
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EVENTI
L Vigneti a Torgiano
cate dai tour enogastronomici, Montefalco, Torgiano, Orvieto, Città della Pieve, Norcia e Trevi, sentiranno anche gli ambiti culturali. Ecco allora che agli accompagnatori dei sommelier, per tutto il periodo dal primo ottobre (giorno di arrivo) al 4 ottobre, verranno proposti programmi giornalieri di visita verso le destinazioni di cui sopra, secondo un dettagliato programma in corso di definizione. Le escursioni saranno di mezza giornata e giornata intera in base alle diverse esigenze e prevedono trasferimenti in bus granturismo dal capoluogo umbro, dove comunque tutti dormiranno per ovvie ragioni di praticità logistica, verso le destinazioni giornaliere con accompagnatore e guida turistica e pranzo al ristorante, oppure in azienda in base al programma al quale si aderirà. La tradizione vinicola umbra è ormai nota in tutta Italia e nel mondo. Cosa è stato organizzato per ricordarla? L’Umbria si è sempre distinta per l’eccellenza dei suoi vini e per i numerosi premi conquistati a livello Nazionale ed internazionale. L’Ais Umbria ha previsto una degustazione importante dal titolo “I Vini che hanno fatto la storia dell’Umbria”. Ai sommelier che nei giorni del 1, del 2 e del 3 ottobre saranno impegnati nei vari momenti istituzionali del Congresso verrà dedicata una esclusiva degustazione, guidata dagli stessi produttori, di grandi annate dei vini umbri che hanno fatto la storia dell’enologia regionale e verranno proposte escursioni alternative simili a quelle degli accompagnatori, con un’ovvia predilezione per le zone vinicole. Non possiamo dimenticare la cucina e i prodotti agro alimentari della regione. Nella suggestiva cornice della Rocca Paolina si svolgerà “L’Umbria Bella e Buona”. Ci può spiegare di cosa si tratta? Per coinvolgere a 360 gradi la città di Perugia è prevista una mostra-mercato che si terrà all’interno della sala cannoniera della Rocca Paolina negli stessi giorni del Congresso e che vedrà protagoniste tutte le eccellenze del paniere agro-alimentare e artistico della nostra regione: vino, olio, cioccolato, tartufo, cereali, legumi, formaggi e zafferano, ma anche tessuti, maiolica, ferro battuto ed artigianato in genere. L’Ais si è sempre battuta contro la contraffazione enologica e a favore della qualità. Come verrà affrontato questo importante problema che ormai interessa tutto il territorio nazionale e ha forti ripercussioni sulla nostra produzione, sia in immagine sia a livello economico? È diventato un grave problema che noi affronteremo con un convegno dal tema “Contraffazione e falsificazione dei prodotti agroalimentari e del made in Italy”, evento dedi-
ARCHIVIATA CON SUCCESSO LA QUARTA EDIZIONE DI “UMBRIA WINE FESTIVAL” Si è svolta a Perugia la quarta edizione di “Umbria Wine Festival”, l’eccellenza enologica dei vini umbri in mostra e degustazione dal 24 al 25 aprile. La manifestazione, organizzata dall’Associazione Italiana Sommeliers, Sezione Territoriale dell’Umbria, in collaborazione con la Facoltà di Agraria dell’Università di Perugia, con i Patrocini della Regione Umbria, della Provincia, dell’Assessorato al Turismo e Sviluppo Economico e della Camera di Commercio di Perugia, ha ottenuto un successo senza precedenti. Lo splendido Complesso Monumentale di San Pietro, sede della Facoltà di Agraria dell’Università di Perugia, ha registrato l’ingresso di oltre 5.000 L Roberto Anesi visitatori, tra appassionati e operatori del settore enologico, per un totale di più di 1.500 bottiglie di vino stappate per oltre 20.000 assaggi. All’interno della manifestazione si è svolto il concorso del “Master Internazionale dei vini passiti e da meditazione” che ha incoronato vincitore il sommelier professionista Roberto Anesi. Secondo classificato è stato Maurizio Zanolla, mentre Anna Tenti e Sergio Garreffa sono giunti a pari merito al terzo posto.
cato alla contraffazione e falsificazione dei prodotti nazionali, con particolare focus sulla maiolica, nota dolente della contraffazione per quello che riguarda i prodotti umbri. In collaborazione con le maggiori istituzioni regionali e nazionali si cercherà di mettere a fuoco un mondo che sta fortemente penalizzando il Pil Italiano. Dal modo in cui lo ha descritto, il 44.mo congresso Ais è un appuntamento da non perdere. Per concludere, quale valore dà a questo importante incontro? Sicuramente per la visibilità della nostra regione è di grande importanza, ma credo anche per l’Ais visto che un mese dopo il congresso si rinnoveranno tutte le cariche istituzionali della nostra associazione e il congresso sarà sicuramente occasione di confronto per sviluppare le strategie che sicuramente consolideranno l’Ais in Italia e la catapulteranno in ambito internazionale con l’obiettivo primario di promuovere l’agroalimentare, la cultura, la storia, le tradizioni della nostra bella Italia. 11
Vinitaly Gabriele Ricci Alunni, presidente Ais Umbria, ha presentato il prossimo Congresso Nazionale che si terrà a Perugia
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appone la sua firma sulla nuova Docg Conegliano Valdobbiadene Prosecco
Vinitaly, nuovo sprint per il mercato vino di Emanuele Lavizzari
PROPRIO A PARTIRE DALL’OTTIMISMO CHE SI RESPIRAVA NEI PADIGLIONI SCALIGERI SI È RILEVATO IL NETTO MIGLIORAMENTO DELLO STATO DI SALUTE DEL SETTORE
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e cifre parlano chiaro: con un totale di 152mila presenze il Vinitaly 2010 stabilisce un record storico. La manifestazione veronese, definita ormai a buon titolo caput mundi dell’enologia, è riuscita anche quest’anno a battere se stessa e a richiamare un numero superiore di visitatori rispetto alla già invidiabile quota di 150mila unità fatta registrare nella passata edizione. Uno tra i dati più confortanti è l’incremento del 4,4 per cento degli operatori stranieri per un totale di 47mila, provenienti da oltre centodieci Paesi e in particolare da nuovi mercati, cui si aggiunge una massiccia presenza della stampa italiana e internazionale con oltre 2.500 giornalisti accreditati. «La mia soddisfazione più grande» ha affermato il presidente di Veronafiere, Ettore Riello, «è aver visto
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ritornare la fiducia sul volto degli espositori, che hanno potuto constatare il lavoro svolto dalla squadra di Vinitaly per incrementare la presenza di operatori». E proprio a partire dall’ottimismo che si respirava nei padiglioni scaligeri si è rilevato il netto miglioramento dello stato di salute del settore. Il Vinitaly ha costituito il rilancio per un settore che vale quasi 3,5 miliardi di euro di esportazioni. Dopo un congelamento delle vendite all’estero, a causa della concorrenza internazionale e a prezzi che oggettivamente dovevano essere rivisti, i mercati stranieri sono tornati a bussare alle porte delle nostre cantine. «Per raggiungere questo risultato» ha dichiarato Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere, «Vinitaly ha realizzato massicce azioni di marketing
Roberto Gardini, organizzatore e coordinatore delle degustazioni Ais al Vinitaly
diretto sui principali mercati e ha portato a Verona delegazioni qualificate da Nord, Centro ed Est Europa, Russia ma anche da Stati Uniti, Canada e Australia, Paesi mediterranei, Asia, Estremo Oriente, America Centrale e Meridionale». Oltre al carattere sempre più cosmopolita della manifestazione, a rendere davvero memorabile l’edizione di quest’anno, al di là dei numeri da primato fatti registrare in un momento di congiuntura economica sfavorevole, è stata la visita del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, primo capo di Stato a visitare il Vinitaly. Accolto dal neogovernatore della Regione Veneto, Luca Zaia, Napolitano ha girato nei padiglioni del quartiere fieristico, facendo tappa negli stand istituzionali della Regione Veneto, della Sicilia e della sua Campania. Questa presenza ha dato al settore la misura dell’attenzione delle istituzioni, ha riconosciuto l’importanza del salone veronese come uno strumento di promozione internazionale di un prodotto fondamentale del made in Italy agroalimentare e, ancor più, ha costituito un autorevole riconoscimento del valore del vino, non solo economico ma anche di identità nazionale. In questa direzione si inserisce la proposta di Veronafiere di indire un concorso per realizzare la bottiglia celebrativa del 150° dell’Unità d’Italia da presentare durante l’edizione 2011, iniziativa che ha fatto promettere al presidente della Repubblica una nuova visita per il prossimo anno. La grande risposta da parte del pubblico accorso a Verona è confermata pienamente anche da parte dell’Ais. Le degustazioni guidate dai relatori dell’associazione hanno attirato numerosi appassionati ed esperti,
facendo registrare nelle sale il tutto esaurito. Non di rado è capitato di avere nominativi addirittura in lista d’attesa, a conferma dell’interesse per le grandi etichette italiane e internazionali. Si è partiti con il Sauvignon, passando per i vini della Calabria, fino a quelli umbri. «La degustazione dei vini della nostra regione» ha affermato Gabriele Ricci Alunni, presidente Ais Umbria, «è stata l’occasione per presentare i nostri prodotti e per invitare tutti i sommelier a farci visita al prossimo congresso Ais». Il 44° raduno nazionale avrà infatti luogo a Perugia dal 30 settembre al 4 ottobre 2010. Notevole la partecipazione alla degustazione degli Champagne, ai quali sono seguiti i vini di Liguria e l’eleganza del Pinot nero di Borgogna. Le degustazioni guidate si sono concluse con il fascino del Metodo Classico italiano, i vini della provincia dell’Aquila e le impareggiabili etichette bordolesi. Non poteva mancare l’appuntamento ormai consueto con “Esordi: nuovi vini all’orizzonte”, una serie di banchi d’assaggio di recenti etichette e di produttori emergenti. «La risposta del pubblico alle iniziative dell’Ais in fiera dimostra che la gente desidera conoscere ciò che ha nel bicchiere e cerca esperti qualificati, come noi sommelier, per capirne di più». Queste le parole di Roberto Gardini, organizzatore e coordinatore delle degustazioni Ais a Verona. «La folta partecipazione ai nostri eventi» ha aggiunto Gardini, «non può che essere motivo di orgoglio per tutta l’associazione, a conferma di quanto di positivo offriamo ai professionisti del settore ma anche ai semplici appassionati». «Anche a questo Vinitaly » ha commentato il presidente nazionale Terenzio Medri, «la risposta del pubblico è stata a dir poco sensazionale. Per noi dell’Ais la manifestazione veronese rappresenta un momento unico nel calendario delle nostre attività: innanzi tutto è occasione per incontrare di persona le migliaia di nostri associati e, non dimentichiamoci, è un’opportunità per noi sommelier di fare divulgazione sulle grandi etichette italiane e straniere e continuare a diffondere la cultura del bere bene e consapevole». Chi guarda lontano può già pensare alla vendemmia futura e iniziare a segnarsi in agenda l’appuntamento per la prossima edizione del Vinitaly, prevista dal 7 all’11 aprile 2011 sempre nella città di Romeo e Giulietta.
CONCORSO CARTA DEI VINI:
VINCE IL RISTORANTE GELLIUS DI ODERZO (TV) Il ristorante Gellius di Oderzo (TV) è il vincitore della seconda edizione del concorso “Carta dei Vini della Ristorazione del Veneto” ideato da Ais Veneto con la collaborazione di Santa Margherita e il patrocinio della Regione Veneto. La cerimonia di premiazione anche quest’anno si è svolta al Vinitaly, presso lo stand della Regione Veneto. Oltre centocinquanta i locali veneti fra ristoranti, osterie, pubblici esercizi ed enoteche segnalati dalla sommellerie veneta e dagli agenti Santa Margherita. Il noto ristorante trevigiano si è anche aggiudicato la menzione speciale per la sezione della carta dedicata ai distillati, riconoscimento tributato dalla Distilleria Bonaventura Maschio, altro partner del premio. Il ristorante Ilva di Sanguinetto (VR) è salito sul secondo gradino del podio, mentre un altro locale della Marca trevigiana, il ristorante Vecchio Mulino di Fonte, si è classificato al terzo posto. Il ristorante Gellius è gestito da Adriano Fumis e dallo chef Alessandro Breda. Una stella Michelin, il locale propone una carta dei vini fornitissima che annovera ben ottocento etichette tra vini italiani, francesi, spagnoli, australiani, californiani, cileni e neo-zelandesi. La specialità della casa sono i piatti a base di pesce, anche se il pezzo forte è l’anatra al torchio. Roberto Braga è il patron del ristorante Ilva, che gestisce insieme ai figli Alessandra, diplomata all’Istituto alberghiero di Verona e sommelier professionista, Alessandro e alla moglie Rosalia. La carta dei vini, naturalmente curata da Alessandra, annovera oltre quattrocento etichette e offre una panoramica completa della migliore produzione italiana, la più prestigiosa offerta della viticultura francese oltre alle chicche di Argentina, Cile e Israele. La carta, con dovizia di particolari, descrive i vitigni, le caratteristiche dei vini e gli abbinamenti. Il ristorante è rinomato per i piatti di pesce e per menù a base di tartufo, in primis il risotto. Vally Zanin assieme al marito e lo chef Leopoldo Vanzetto sono i titolari del Vecchio Mulino. Collabora con loro anche la sommelier Ais Milena Corbo. La carta dei vini offre circa settecento etichette. Vengono proposte quelle di tutte le principali aree vitivinicole italiane, ma si punta molto anche sui vini francesi. La cantina è fornita anche di etichette di Sud America, Australia, Sud Africa, Nuova Zelanda e Grecia. La carta è corredata dalla descrizione dei vitigni e delle zone di produzione ed è aggiornata in base alle novità ideate nel menù dal fantasioso chef. (Laura Tuveri)
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Vinitaly
Il
vino,
biglietto da visita italiano
nel mondo LUCA ZAIA
HA APERTO IL
VINITALY
CON UN BILANCIO DEL
LAVORO SVOLTO AL MINISTERO DELL’AGRICOLTURA. IL
VINO È TRA I PRODOTTI PIÙ RAPPRESENTATIVI DEL MADE IN
ITALY
E PER IL GOVERNATORE DEL
VENETO
OCCORRE
CONTINUARE A PROMUOVERLO E A NON PENALIZZARLO
di Annalisa Raduano
n intervento a tutto a campo, quello di Luca Zaia alla cerimonia d’inaugurazione della 44° edizione del Vinitaly. Una presenza in doppia veste, da fresco presidente della Regione Veneto e da ministro delle Politiche agricole. E come ministro, Zaia si è detto subito soddisfatto del lavoro svolto in questi due anni, durante i quali ha guidato il dicastero dell’agricoltura italiana. Un impegno profuso su più piani: dal rilancio dell’indotto agricolo, dallo svecchiamento in termini d’immagine rispetto alla concorrenza europea, alla riorganizzazione del dicastero e all’attenzione rivolta alla tutela delle nostre tipicità, del buon vino e della nostra agricoltura. «Nel nostro Paese abbiamo 399mila aziende agricole nelle quali, ogni mattina, i nostri contadini lavorano » ha detto nel suo discorso di apertura. «Si tratta di piccole imprese agricole con poco più di un ettaro di superficie (in media) che producono una grande agricoltura. Un’agricoltura che genera 4.700 prodotti tipici in grado di offrire risposte a tutte le esigenze; un’agricoltura che “tiene” nonostante la flessione internazionale dei consumi e il calo del prezzo del vino, con una media del meno 20 per cento (meno 25 per cento nel prezzo dei vini comuni e meno 30 per cento nel prezzo del vino Docg)». Alla cerimonia inaugurale sono intervenuti il presi-
U
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dente di VeronaFiere Ettore Riello, il sindaco Flavio Tosi, il presidente della Provincia Flavio Miozzi, l’assessore della Regione Abruzzo, Mauro Febbo, che ha ringraziato il ministro Zaia per il sostegno dopo il sisma che ha colpito la regione. Il terremoto infatti ha determinato oltre al crollo degli edifici anche un preoccupante fermo dell’economia agricola e numerose difficoltà per riavviare il lavoro e la società. Sempre di sisma ma questa volta economico ha parlato Zaia, riferendosi alla crisi internazionale. «È passato il momento in cui si vedeva la luce in fondo al tunnel» ha dichiarato, riferendosi alla situazione di crisi economica mondiale e, in mondo parti colare, alla stasi dell’indotto agricolo dovuta anche a una mancata riorganizzazione e modernizzazione dell’indotto. «Siamo al sorgere del sole» ha proseguito Zaia, «con un Pil che è aumentato dell’1 per cento». Molto infatti è stato fatto in questi due anni, come la tutela delle tipicità, gli accordi internazionali, i controlli e gli interventi repressivi (nell’ultimo anno sono stati 12mila e hanno coinvolto tutte le autorità competenti, dai Carabinieri alla Guardia di finanza). Dopo diciotto
Il discorso di Luca Zaia, neo presidente della Regione Veneto, all'apertura del Vinitaly
Luca Zaia al Vinitaly con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il sindaco di Verona Flavio Tosi Luca Zaia con tutta la giunta della Regione Veneto
anni è stata riformata la legge 164, ripensando il sistema dei controlli. E non a caso, questo bilancio complessivo è stato formalizzato durante il discorso di quella che è la manifestazione più attesa per il vino italiano. In questa occasione, il presidente neo eletto della Regione Veneto ha annunciato un sequestro preventivo per frode in commercio appena effettuato di 10mila ettolitri di Chianti che non presentava le caratteristiche richieste per la Docg. Fino all’ultimo giorno quindi, il ministro ha difeso a spada tratta le eccellenze del Bel Paese e i produttori onesti, dando continuità all’azione repressiva di chi non rispetta le regolamentazioni vigenti in ambito di prodotti tipici e di vino di qualità. «Dobbiamo avere il coraggio di difendere e di promuovere la nostra pro-
duzione agroalimentare ed enologica» ha detto, «che per quanto riguarda il vino vede tre miliardi di euro di vendemmia di uva in dieci miliardi di valore di vino prodotto. Con il Veneto» ha sottolineato con orgoglio, «la mia regione, che primeggia in assoluto nella produzione dell’export. Il vino è uno dei migliori biglietti da visita della produzione made in Italy. Bisogna promuoverlo e non penalizzarlo… e mi riferisco non solo ai controlli ma anche a chi è per la tolleranza zero in fatto di consumo di vino alla guida dell’auto. Il 98 per cento degli incidenti stradali sono causati da fattori diversi dall’ebbrezza da vino e non è giusto definire ubriaconi coloro che bevono due bicchieri di vino a pasto». Zaia non ha dubbi, il vino è un fattore identitario, che parla della nostra cultura, delle nostre tradizioni, della nostra storia… sia in termini culturali e produttivi sia sociali. Chi non ha mai brindato con un bicchiere di vino o un Prosecco per un importante evento della propria vita privata? «Bisogna bere bene e con intelligenza e ciò non può essere un reato» ha aggiunto Zaia, prima di concludere il battesimo del salone del vino e dei distillati edizione 2010, consegnando il gran premio del Vinitaly a Gianni Zonin e ai suoi figli. Zaia ha sottolineato che la presenza del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, al Vinitaly è stato un grande segnale per inaugurare la stagione delle riforme che riguarderà il Veneto e tutta l’ Italia. Ha poi concluso con un appello: «Vi chiedo di stare vicino ai nostri agricoltori, cercate di portare di casa in casa la filosofia della bio diversità; difendete la nostra agricoltura». Un appello sentito, da parte di chi ama la propria terra e non si vergogna delle origini rurali, di chi rischia di essere giudicato male per le posizioni popolari, come la definizione di “ubriaconi alla guida”, di chi ha battagliato per la sospensione degli Ogm in Italia, di chi è riuscito, in soli due anni, a rendere comunicativa e sentimentale l’agricoltura italiana, rilanciandone l’immagine in maniera giovanile e dinamica. Per dirla con un vecchio proverbio, un uomo che parla come mangia. 15
Vino e psicologia
inconscio
L’
ci guida nella scelta
di un IL
vino
SOMMELIER CONSIGLIA, DESCRIVE IL VINO E NEL FAR CIÒ
SOLLECITA I SENSI E LE EMOZIONI PRIMA ANCORA DEL GUSTO, QUINDI USA LA PSICOLOGIA.
LA
SCELTA DI UN VINO INFATTI ESPRIME NECESSITÀ
BASILARI MA ANCHE GRATIFICAZIONI PIÙ IMMEDIATE
di Francesca Cantiani
l vino è una delle materie più civili del mondo, una delle cose materiali che sono state spinte al più alto grado di perfezione, che offre una più ampia scelta di gioia e di soddisfazione». A sostenerlo era lo scrittore statunitense Ernest Hemingway, che già molti anni fa elogiava quello che da sempre è il vanto del nostro Paese e che oggi rappresenta una tra le produzioni più importanti e di pregio della nostra terra. Il vino dunque rimane confinato tra i piaceri irrinunciabili, non solo per produttori, vitivinicoli e agricoltori spe-
«I
L Il tavolo dei relatori del convegno 16
cializzati, ma anche per numerosi appassionati, enonauti o semplici curiosi, sempre più esperti ed esigenti nella scelta di un vino. Eppure che cosa si nasconde dietro la preferenza di un’etichetta piuttosto di un’altra? Perché si predilige una certa tipologia? E infine il vino si abbina solo alle pietanze o anche alla personalità di chi lo sceglie? Che il vino, oltre alle piacevoli emozioni provate degustandolo, offra altre chiavi di lettura lo aveva già capito lo scrittore Edmondo De Amicis, famoso per il libro Cuore ma autore anche de Gli effetti psicologici del vino. In occasione di una conferenza svoltasi a Torino nel 1880, De Amicis esplorò il vino da una diversa angolazione, sottolineando come il nettare di Bacco si ripercuotesse sul nostro io più intimo e sul nostro atteggiamento verso il mondo che ci circonda. Concorda con lo scrittore e pedagogo di Oneglia, Fabio Sinibaldi, apprezzato psicoterapeuta milanese che, con il collega Giuseppe Ferrari, ha scritto il libro Vino e Psicanalisi-Appunti e riflessioni di due psicoterapeuti. «L’esperienza in campo clinico è alla base di una profonda comprensione dei bisogni dell’uomo e della sua complessità. La scelta di un vino esprime necessità basilari e gratificazioni più immediate. L’impatto che un vino ha su di noi ha innanzitutto una fisicità immediata e poi una sua evoluzione temporale. La nostra sfida è di scegliere vini adatti. Per esempio certi profumi entrano
in noi dando sensazioni nette, la forza alcolica si riverbera rapidamente nel nostro corpo, inondandolo. Altre sensazioni sono invece più mediate, come la vista del perlage di uno Champagne, elegante prima per la nostra mente e solo in seconda battuta inebriante per il corpo. Oppure la decisione dei tannini, sensazione gustativa certa di momento in momento ma godibile». In tale quadro la figura del sommelier diventa centrale per valorizzare le eccellenze del territorio ma riuscendo ad adattarle ai gusti e alle richieste del cliente. «Il sommelier consiglia, descrive il vino al consumatore» spiega Sinibaldi, «e nel far ciò sollecita i sensi e le emozioni prima ancora del gusto, quindi usa la psicologia». Questo perché ciascun vino ha un suo preciso temperamento, proprio come le persone che lo scelgono. Una preferenza, secondo lo psicoterapeuta, determinata da tre fattori: l’inconscio, che associa il vino alla naturalezza e alla socialità, l’ambiente esterno e le interazioni tra noi e il vino, sia a livello fisico sia mentale. «Le sostanze contenute nel vino determinano nel nostro organismo delle reazioni. Ad esempio – sostiene ancora Sinibaldi – le bollicine con l’anidride carbonica attivano la corteccia cerebrale frontale, eccitando il cervello. Vi è poi un effetto “memoria”, per cui il solo pensiero di un vino che piace porta a provare emozioni e infine l’ambiente porta verso determinate scelte. Un locale in legno fa prediligere vini rossi e alcolici, un’enoteca in acciaio e vetro vini bianchi e bollicine. Inoltre ambiente significa anche contesto. Parlare di crisi, ad esempio, porta a spendere meno mentre il concetto di ricchezza è associato a quello di libera scelta. In tutti questi casi il sommelier fa da ponte, permette di capire meglio le sensazioni che si provano nella degustazione». Inoltre sembra esistere anche una relazione tra il mondo del vino, il suo percorso di maturazione e quello della persona. «Il vino ha un suo inconscio» prosegue, «il sentore del terreno, gli aromi, i sapori che nel corso degli anni lo arricchiscono. Esattamente come per l’uomo, che è il risultato dell’ambiente in cui nasce e delle sue trasformazioni nel tempo. L’inconscio di una persona è spesso sfuggente come il vino, che per la sua complessità, sfugge ai sensi più fini ed esperti che tentano di classificarne le caratteristiche. Dunque è un legame più profondo di quanto si possa immaginare». Insomma l’interesse per il vino, il mondo che vi gravita attorno sono, per Sinibaldi, il risultato della necessità di tornare alle nostre radici più profonde e il vino non è altro che questo. E anche il sommelier non è più solo una professione, sempre più amata, soprattutto dai giovani, ma l’esigenza di uno stile di vita che appaghi i nostri sensi più intimi. Si è tornati a unire, queste due discipline apparentemente estranee, enologia e psicologia, in occasione dell’evento “Il Veneto al 300 x 100” – trecento vini di cento produttori per rappresentare l’enologia veneta – ospitato al castello di San Salvatore a Susegana, in provincia di Treviso, un borgo del XIII secolo, nel cuore del territorio della neo Docg del Prosecco Conegliano Valdobbiadene
Vino e psicologia
Premio Uvive
Miglior sommelier del Veneto Al fine di valorizzare la figura del sommelier è stato organizzato il concorso per eleggere il migliore sommelier del Veneto, prova giunta alla quarta edizione e che per il primo anno è stata sostenuta da Uvive, Unione dei consorzi vini veneti Doc. «Il concorso è un’occasione per promuovere la professionalità dei sommelier del Veneto» ha dichiarato Dino Marchi, «ma da quest’anno anche un modo per migliorare la conoscenza delle eccellenze enologiche della regione». Decisamente selettive le prove, soprattutto per la categoria “professionisti”, che comprendevano l’analisi sensoriale di tre vini, una prova di decantazione, la correzione di una carta dei vini disseminata di errori, l’abbinamento cibo-vino per un menù completo proponendo quattro vini nazionali e altrettanti internazionali. Il premio come miglior sommelier professionista del Veneto è andato a Davide Buongiorno mentre Massimo Zardo, sommelier di Cittadella, ha vinto il titolo di miglior sommelier amatoriale. Al secondo posto dei professionisti si è piazzata la vicentina Silvia Brunello, mentre al terzo il trevigiano Flavio Parolin. Per i non professionisti il secondo posto è spettato a Paola Dallemulle di Vicenza e al terzo posto si è classificato Fabrizio genovese di Treviso.
L La premiazione di Massimo Zardo, Miglior Sommelier del Veneto 2010 per la categoria “non professionista”
L Davide Buongiorno, Miglior Sommelier Professionista del Veneto 2010
e organizzato dal presidente di Ais Veneto, Dino Marchi. «Il sommelier deve ascoltare il cliente, aiutarlo a conoscersi meglio e guidarlo nelle scelte» ha detto Marchi. Un ruolo perfettamente condiviso anche dal presidente dell’Associazione italiana sommeliers, Terenzio Medri, che è da sempre convinto che il vino sia collegato alla psicologia. «Il sommelier deve essere prima di tutto uno psicologo per indirizzare il consumatore» spiega Medri. «Bisogna infatti capire in poco tempo chi si ha di fronte, accompagnare il cliente, consigliarlo con tatto e professionalità proponendo il vino più adatto». Ma accanto a questo tema Medri ha rilanciato anche la questione della formazione del sommelier. «Il sommelier non è più quello del passato. Oggi per affrontare questo lavoro sono indispensabili, oltre ad un’adeguata formazione professionale, una grande capacità comunicativa, un’ampia cultura personale, conoscenza delle lingue straniere e, come abbiamo detto, un pizzico di psicologia, utile a comprendere gusti ed esigenze dei clienti. La preparazione quindi è estremamente importante. È indispensabile però» ha proseguito il presidente dell’Ais, «un aggiornamento continuo, perché quello del vino è un settore in rapida evoluzione. Oggi infatti la clientela presente in hotel e ristoranti di alto livello, non richiede più un semplice consiglio sul vino con il quale accompagnare il proprio pasto, ma apprezza la capacità del sommelier di addentrarsi in particolari che riescano a svelare anche la storia, la cultura e le caratteristiche che con-
traddistinguono un’etichetta». Un accenno interessante è stato anche quello al nuovo progetto dell’Ais per riconoscere la figura del maître-sommelier già al secondo livello di corso, novità che permetterebbe al locale o al ristorante, in un momento economico ancora difficile, di ottimizzare le risorse. «Oggi nei ristoranti» ha dichiarato il presidente dell’Ais, «coesistono due figure distinte, il maître e il sommelier che, secondo noi, devono invece integrarsi, un’unica persona che sia al centro della sala, a contatto con i clienti, ma anche sia in grado di interpretare al meglio le loro esigenze. Al momento esiste la qualifica di sommelier di terzo livello, stiamo lavorando perché ci sia la figura del maître-sommelier che possa raggiungere il secondo livello». Secondo Luca Bandirali, presidente Ais Lombardia, presente all’incontro, nell’essere psicologo il sommelier deve saper gestire i rapporti interpersonali, deve essere rispettoso, capire in quale contesto il vino verrà consumato, se una cena di amici, una ricorrenza o una festività e ascoltare prima di esprimersi per dare un consiglio. Dall’enotecario come dal sommelier il cliente si aspetta emozione e comprensione delle proprie esigenze, perché è diventato più esperto e ha i propri gusti e lo si può verificare in sala, come ha spiegato Benedetta de Prà, maître del Ristorante Dolada e miglior maître 2009: «Noto che le persone si fanno guidare ma sono anche disposte a essere stupite, a patto però che si sappia comprendere se sono disponibili o meno a questa esperienza».
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Le parole maestre
Dove c’è
vigna, c’è civiltà di Salvatore Giannella
IL
RISPETTO È LA
PAROLA CHIAVE DEL
RAPPORTO UOMO-
NATURA, PER QUESTO
ERMANNO OLMI
È
CONVINTO CHE CI SALVERANNO I CONTADINI E LA LORO
CIVILTÀ, A DIFFERENZA
DELLE LUSINGHE TECNOLOGICHE E
FINANZIARIE. IL GRANDE
REGISTA RICORDA LA SUA INFANZIA CONTADINA DOVE IL MOMENTO DEL VINO ERA UN RITO CHE SI RIPETEVA OGNI ANNO
ove c’è vigna c’è civiltà: lì io la cerco e lì cerco di rivivere il rito del vino”. “Ci salveranno i contadini”. “Il nostro futuro sarà l’agricoltura”. Ermanno Olmi, nel mezzo di una grave crisi economica globale, lancia una profezia culturale e chi conosce da anni il regista de L’albero degli zoccoli sa che questa leggenda vivente del nostro cinema poetico e non futile, come i poeti, scorge il futuro in anticipo. Olmi lancia questa profezia provocatoria negli stessi giorni in cui i giornali danno spazio al grido d’allarme dei contadini (“Siamo sull’orlo del collasso, redditi crollati per il tracollo dei prezzi, dal produttore al consumatore aumenti fino al 1000 per cento” denuncia al Corriere di Rimini il presidente degli agricoltori romagnoli Valter Bezzi). E lo lancia dal nido d’aquila che è la sua casa sull’Altopiano di Asiago, dove lo costringe una brutta frattura del femore. Una scelta geografica sorprendente per un uomo nato a Bergamo da una madre di famiglia contadina e da un padre ferroviere
“D
trasferitosi alla Bovisa, periferia povera (allora) di Milano. GIANNELLA - Una curiosità: come mai è approdato sull’Altopiano e ha scelto di vivere qui? OLMI - È una scelta che risale a mezzo secolo fa. Quell’anno, memorabile anche per il premio Nobel per la letteratura assegnato al nostro Salvatore Quasimodo, io capitai da Milano ad Asiago, per incontrare Mario Rigoni Stern e avviare così una creativa collaborazione per il Sergente nella neve prima e poi con i Recuperanti… GIANNELLA - Quell’incontro tra un grande regista e un grande scrittore ha dato buoni frutti: due sguardi, due linguaggi e due mondi che decidono di chinarsi l’uno verso l’altro. OLMI - L’Altopiano, allora, era una sorta di presepio, un trionfo della natura con cui contadini e boscaioli vivevano in serena sintonia. Un territorio isolato, autosufficiente. Pochi gli scambi con la pianura: for19
Le parole maestre
L Mario Soldati Mario Rigoni Stern M Papa Martino V, il pontefice esperto di enologia
maggio contro sale. Una comunità saldata da un’unità culturale e di intenti, guidata da un governo locale che seguendo le “regole” della montagna sapeva riflettere lo spirito della società. Ogni capo contrada aveva una campana da suonare per riunirsi e discutere i vari problemi. Un modello di democrazia e di federalismo esemplari (un mondo che fatico a riconoscere, perché il boom edilizio, la smania della seconda casa hanno snaturato tutto, paesaggio, rapporti umani, modi di vita). Ebbene, io e Mario camminavamo l’uno a fianco dell’altro. A un certo punto, dal basso di una collinetta, sopra un denso strato di nebbia si aprì un squarcio di luce. Alzai gli occhi, poi raccolsi un sasso dal selciato, lo tirai verso l’alto e lo lasciai cadere poco più in là, dicendo: “Se un giorno mi sposerò e avrò figli, farò la casa lì”. Anche Rigoni si chinò a prendere una pietra, la buttò a pochi metri dalla prima e disse: “Vegno anca mì, in piassa massa confusiòn”. In piazza, ad Asiago, dove abitava allora lo scrittore, c’era troppa confusione. GIANNELLA - Promessa mantenuta. OLMI - Fino a due anni fa io e Mario abitavamo a pochi metri di distanza. Rigoni Stern non c’è più da due anni e io sono rimasto qui, con mia moglie Loredana, in questa grande casa lungo via Valgiardini, sulla collina, dove il legno prevale su tutto. Qui studio, qui ogni tanto raccolgo parole e perle di umana saggezza. Per esempio, stamattina ne ho una sotto gli occhi: “Non è la fine del mondo ma è la fine del nostro mondo”. È di Evelyne Pieller, una scrittrice francese contemporanea. GIANNELLA - Qualche perla raccolta sul vino e dintorni? 20
OLMI - Senta questa. “Ci sono cinque buoni motivi per bere: l’arrivo di un amico, la bontà del vino, la sete presente e quella che verrà e qualunque altro”. Sembra la campagna pubblicitaria per il Vinitaly e invece sono parole pronunciate nel 1431 da Oddone Colonna, meglio conosciuto come papa Martino V: un testimonial al di sopra di ogni sospetto che ho scelto come citazione finale nell’ultimo mio documentario intitolato, appunto, Rupi del vino. GIANNELLA - Oltre al pontefice enologo, a chi altro rende omaggio nel suo film? OLMI - Allo scrittore Mario Soldati che nel lontano 1957 diresse per la televisione un celebre Viaggio sul Po alla ricerca dei cibi genuini, rimasto nella memoria di molti italiani. Lo stesso Soldati, poi, raccolse il frutto del suo viaggio nel fondamentale Vino al vino: alla ricerca dei vini genuini, raccolta di appunti, racconti, biografie, aneddoti, descrizioni dei luoghi e dei protagonisti della produzione enogastronomica del nostro Paese, messi da parte in tre viaggi in giro per l’Italia nel 1968, nel 1970 e nel 1975. Una raccolta anticipata da queste parole: “Dirò subito che mi considero anch’io, del vino, un amatore inesperto. È vero, i ‘viaggi d’assaggio’ che racconto mi hanno istruito un pochino: ma il loro risultato più apprezzabile è stato di misurare, dopo anni di esperienze enologiche, quanto sia vasta ancora la mia ignoranza e l’arte del vino quanto difficile”. GIANNELLA - Lo ricordo quel libro pubblicato da Mondadori nel 1981, “il più bel libro sul vino mai scritto in Italia”, a parere di un giornalista che se ne intende (Franco Ziliani, tra
i collaboratori di DeVinis). Non si tratta solo delle descrizioni dei vini – che sono deliziose e vive – ma sono anche e soprattutto i ritratti degli osti che gli hanno servito un Picolit, le descrizioni degli scorci che ha ammirato sorseggiando un Chianti, i racconti dei contadini da cui ha acquistato un fiasco di Lambrusco o i pensieri ispiratigli da un ombra di Merlot. A rileggerlo oggi si rimane ammirati dalla magnifica scrittura, dallo stile inimitabile, arguto e lieve di Soldati. E si possono meglio apprezzare le parole splendide con cui Natalia Ginzburg parla di Soldati: “Fra gli scrittori del Novecento italiano, l’unico che abbia amato esprimere, costantemente e sempre, la gioia di vivere. Non il piacere di vivere, ma la gioia; il piacere di vivere è quello del turista che visita i luoghi del mondo assaporandone le piacevolezze e le offerte ma trascurandone o rifuggendone gli aspetti vili, o malati, o crudeli; la gioia di vivere non rifugge nulla e nessuno: contempla l’universo e lo esplora in ogni sua miseria e lo assolve”. OLMI - Nel film cito un proverbio: “Dove c’è vigna c’è civiltà”. Ma oggi chi fra noi ha un rapporto così diretto con il mondo del vino? Per noi cittadini metropolitani l’approccio al vino è sugli scaffali dei supermercati: la bottiglia da rigirare tra le mani, per capire che cosa contiene. Anche se non si capisce molto e alcuni, ingenuamente, mettono la bottiglia controluce, per vedere il colore del contenuto. Chissà… Nella mia infanzia contadina, invece, il momento del vino era un rito che si ripeteva ogni anno. Si cominciava appena fuori dall’inverno con la preparazione della vigna. In primavera le mani del vignaiolo frugavano tra le foglie dove spuntavano i primi grappoli. In autunno si guardava il cielo e si invocava l’aiuto divino perché la temutissima grandine non rovinasse il raccolto. E finalmente arrivava la vendemmia… GIANNELLA - Per questo film lei ha viaggiato molto nella Valtellina con il collaboratore Giacomo Gatti. Che cosa ha trovato in quella valle? OLMI - Ho trovato una terra dove l’uomo vive da secoli in armonia con la natura, costruendo muretti a secco che non solo permettono di coltivare la vigna tra le rocce, ma evitano anche le frane. Nonostante le inevitabili devastazioni provocate dal processo industriale, la Valtellina ha comunque conservato un legame con il passato proprio perché queste colture così eroiche, così difficili, curate lungo le appendici rocciose della valle, sono la prova della tenace volontà dell’uomo quando vuole sopravvivere in un determinato luogo. Chi mai avrebbe pensato di andare a coltivare delle vigne a più di mille metri di quota? E invece l’homo valtellinensis si è accorto che, ad alte quote, nella parte esposta al sole, cresceva una flora di tipo mediterraneo: segnale di un microclima mite. E la coltivazione, proprio a causa delle difficoltà del luogo, ha creato anche i presupposti per una qualità eccelsa del raccolto.
GIANNELLA - Non solo, ma ha aiutato a frenare il dissesto idrogeologico che sta devastando tanta parte dell’Italia. OLMI - Certo, quando l’uomo agisce con lealtà nei confronti della natura, con quel bisogno di ricevere da essa dei doni senza mortificarla e con un’attenzione particolare alla prevenzione, allora la natura offre il meglio di se stessa all’umanità rispettosa. Ma oggi il patto uomo-natura lo vedo infranto. Bisogna acquisire la consapevolezza della stupidità che ha portato a tutto ciò. Rendersi conto di come una ricchezza fasulla non può dare che un godimento fasullo. GIANNELLA - Il rispetto: mi sembra la parola chiave del rapporto uomo-natura di questo terzo millennio. La filosofia dell’incontrollabile e selvaggio dominio sulla natura rischia di cancellare la natura stessa e con essa, ovviamente, anche l’uomo. La filosofia della sottomissione è fondata su un rifiuto della presenza dell’uomo e ci rende impotenti. L’idea del rispetto per la natura può essere vincente. OLMI - Per questo io credo che ci salveranno i contadini e la loro civiltà, a differenza di quella tecnologica e finanziaria. Avevamo creduto alle lusinghe delle scienze innovative e vi avevamo riposto le nostre certezze di progresso. Come mai proprio tutto questo nostro progresso non ci ha assicurato un mondo più sicuro e più
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Le parole maestre Le locandine di “Terra Madre” e de “L’albero degli Zoccoli”. Al centro Ermanno Olmi sui rispettivi set cinematografici
giusto? Quali sono state le ragioni per cui il nostro tempo ha fallito il suo proposito di porre le condizioni permanenti per un’autentica e solidale convivenza civile? Dove sono finiti tanti entusiasmi per le moderne economie delle società del benessere e tutte le baldanzose euforie per le ricchezze dei capitali che potevano fruttare come le monete d’oro seminate da Pinocchio nel campo dei miracoli? I gatti e le volpi di questi ultimi anni stanno mutando pelo per nascondersi sotto altri camuffamenti. Ma stiamo certi che, come dice il saggio proverbio, non perderanno il vizio. E invece noi non possiamo più accettare che pochi prevaricatori sottraggano ai più deboli. Non è più il tempo delle regge e dei sontuosi palazzi per magnificare la potenza di principi e re, né delle cattedrali per ogni sorta di divinità. E, più di tutte, le divinità del denaro. GIANNELLA - Lei è fiducioso in un cambiamento di rotta? OLMI - Sì, lo sono davvero. Non sarà facile e ci vorrà tempo, volontà e sacrifici, così come ogni importante
trasformazione richiede. Ma oramai non si torna più indietro. Il superamento di ogni condizione di difficoltà è sempre e solo nel coraggio del cambiamento e quindi nel futuro. GIANNELLA - Da dove cominciare? OLMI - Intanto decidendo da che parte stare. E io, come prova anche il mio documentario Terra madre, sto dalla parte della Terra come unica risorsa sicura di sopravvivenza e di chi la cura con rispetto. Io sto con il mondo dei contadini, assediato dalle grandi imprese il cui unico scopo è il profitto. Anche il contadino vuole guadagnare ma il suo attaccamento alla terra è un atto d’amore e di rispetto verso la natura, mentre i potentati economici (imponendo un’agricoltura forzata) stanno distruggendo la biodiversità. Sì, io credo che ci salveranno i contadini non solo con il loro lavoro, ma anche perché risveglieranno dentro di noi che facciamo altri mestieri utili quella civiltà contadina di cui tutti siamo figli. L’economia del mondo deve tornare a essere eco-
Scheda biografica di Olmi Nome e cognome: Ermanno Olmi Nato a Bergamo il 24 luglio 1931 Luogo di residenza: Asiago (Vicenza) Moglie: Loredana Tre figli: Fabio, Elisabetta e Andrea Piatto che cucina meglio: il pancotto Progetto a cui sta lavorando: non lo rivela neanche sotto tortura. «Parlare di ciò che si farà è quasi profanare una fase in cui noi dobbiamo coltivare nel profondo di noi stessi i nostri sogni. E per me ogni giorno è un sogno. È talmente bello alzarsi al mattino e dire: oggi che cosa farò?». L’impegno più gradito: nella giuria del Premio Nonino, presieduta dal premio Nobel V.S. Naipaul e comprendente grandi firme come Claudio Magris ed Edgar Morin. Il riconoscimento viene assegnato ogni anno, da trentacinque
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anni, nell’ultimo sabato di gennaio fra i sessantasei alambicchi a vapore fumanti della grande distilleria dei Nonino a Percoto, nella campagna friulana: un premio per i salvatori della tradizione e della cultura contadina, da Rigoni Stern a Tonino Guerra, da Jorge Amado a Léopold Senghor (per tutti i premiati, vedere il sito: www.nonino.it) che era cominciato in sordina e che oggi anticipa i Nobel. Tutti i film e i riconoscimenti, fino al Leone d’oro alla carriera al Festival del cinema di Venezia (2008): sul sito internet http://it.wikipedia.org/wiki/Ermanno_Olmi.
logia e la sapienza contadina deve riconquistare la sua attualità. Basta con la narcosi di questa società dell’immagine. GIANNELLA - Recentemente ho ripreso in mano il Codice di Ippocrate. Ho trovato una frase che le piacerà: “Oggi molti vedono, pochi sanno”. Sembra una diagnosi della società d’oggi, e invece è scritta in un’isola dell’Egeo dal padre della medicina quattro secoli prima di Cristo… OLMI - Io lo aggiornerei così: “Troppi vediamo, pochi sappiamo”. GIANNELLA - Chiudiamo con altre parole e perle di umane saggezza, come quelle che ama raccogliere lei. Anch’io ne ho messe da parte alcune. Gliele cito: “Guardo fuori dalla finestra e vedo il paesaggio tutto sommerso dalla neve, che quest’anno è caduta in abbondanza. Qui da noi, in montagna, la neve segna il riposo invernale della natura e il manto rimane candido e intatto fino a primavera. Intorno a casa vedo segnate le tracce degli animali che dal bosco escono in cerca di cibo. Fra tutte, riconosco quelle di uno scoiattolo che è diventato amico. Oramai si fida di noi e ogni giorno, da quattro anni, viene a prendersi dalle nostre mani una noce, un pezzo di pane secco e qualche volta persino un biscotto. Lui, in cambio del cibo, si lascia accarezzare. Una gioia grande, che non costa nulla. Perché la felicità, quella vera, che riempie il cuore, è sempre gratis. Forse questi momenti di amichevole condivisio-
ne del cibo con ogni creatura del Creato somigliano un po’ a quel giardino di Eden che, per peccato di superbia, abbiamo tradito. Allora il castigo fu il dover lavorare la terra per vivere. Oggi, coltivare la terra con una nuova consapevolezza, del reale valore, potrebbe essere il migliore dei progetti per riconquistare un nuovo Giardino di Eden”. OLMI - Bello. Chi ha detto queste parole? GIANNELLA - Lei, in occasione della prima mondiale del documentario Terra madre al Festival di Berlino dell’anno scorso. OLMI - Io? Oh, questa è bella. Sono d’accordo con Olmi. D’altra parte come non esserlo, con quel nome che si alimenta con radici profonde nella Terra che gli è madre? (6. Continua – Le precedenti interviste di Salvatore Giannella della serie “Le Parole Maestre” sono state dedicate a Umberto Veronesi, Stefania Campo per Andrea Camilleri, Nicola Dioguardi, Vittorino Andreoli e Silvio Garattini). 23
Degustazioni
Il Brunello di Montalcino: il vino della “serrata” di Roberto Bellini ontalcino è un’oasi agroalimentare disegnata in forma quadrata. I suoi confini sono definiti dai fiumi Orcia, Asso e Ombrone. Il cucuzzolo si eleva fino a 564 metri sul livello del mare e da lì la vista si spande a scrutare le ondulazioni del territorio che si allarga per 244 chilometri quadrati. L’idea vitivinicola che ci si fa di Montalcino è spesso imperfetta. È indispensabile camminare sul suo terreno per capire che la vigna ha una presenza minoritaria. La maggior estensione è riservata ai boschi e ai terreni incolti, oltre il 40 per cento, mentre il seminativo sfiora il 35 per cento; all’oliveto è riservato il 10 per cento e i vigneti si attestano al 15 per cento e di questo poco sopra del 60 per cento è a Brunello. Lo spazio vitale per coltivare il Sangiovese Grosso è stato strappato alle altre piante arboree selvatiche e il vitigno si è come appropriato di questa memoria rustica, tanto da creargli un gusto fruttato, graffiante, intriso di sostanzioso sapore di ciliegie selvatiche, che vira fino al gusto agro e al profumo del corniolo, del cui sapore il tannino si appropria insieme a quello dello “strappaborsa”, ingentilendolo però con la sosta in legno. Infine il bosco. La presenza profuma l’aria, le brezze spandono fragranze agresti e terrene e il vino sembra appropriarsene, offrendosi nella progressione evolutiva con sentori di secco sottobosco, di resinosa balsamicità e di un minerale che assomiglia all’odore della creta senese. E poi il prodotto dell’ante bosco, quel prezioso tartufo che trae linfa dall’acqua del fiume Asso. Il Brunello è da considerarsi un frutto del bosco, così come
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lo è Montalcino, mons ilicis, monte del leccio: infatti nello stemma comunale compare il leccio. Dal bosco si otteneva il carbone, le traversine per la ferrovia e fino a 700mila pali per le viti. La storia mette in luce le difficoltà che il Brunello ha avuto nell’affermarsi. Al lavoro della vigna si preferiva il più redditizio e più faticoso lavoro boschivo e solo l’avvento dell’elettricità, del gas liquido e dei derivati del petrolio ha modificato la filiera agricolo-lavorativa, facendola uscire dai boschi. Anzi questa uscita fu una vera fuga dagli oltre quattrocentocinquanta poderi che adornavano le campagne, segnando l’avvio di una crisi che finirà solo all’inizio degli anni Settanta. Come racconta Franco Pazzaglia, anima enoica del Montalcinese e patron del Caffè-Fiaschetteria Italiana 1888, «non era infrequente in quegli anni che si vendesse la vigna e il podere per acquistare casa nel borgo di Montalcino, attratti da un miraggio lavorativo lontano dall’agricoltura». Oggi la situazione è cambiata, il Brunello ha trainato e ancora traina il carro economico. I produttori di vino sono passati dalla striminzita tribù dell’anno dell’istituzione della Doc, il 1967, agli oltre duecentocinquanta odierni. Degustare il Brunello significa creare un contatto intellettivo con il passato, con il lavoro dei campi segnato dal sudore delle bestie e dei braccianti, con il fruscio dei pantaloni di fustagno e lo scarpone che incespica a scorticare la crosta dei sentieri arsi dalla canicola. Degustare il Brunello significa osservare in discesa il paesaggio circostante, con i declivi della collina che scivolano verso Buonconvento a catturare il sole gentile del mattino, e quel-
li dai riflessi crepuscolari della stretta pianura, tatuata a ovest dai binari che da Siena, via Buonconvento, portano alle pendici dell’Amiata. Degustare il Brunello riavvicina a quei tempi in cui si ascoltavano i fruscii delle frasche per carpire la presenza di qualche scalpiccio di cinghiale o il parlottio dei fagiani o ancora il raffinato scricchiolio di un tordo sibilante: non è un caso che cinghiali, fagiani e tordi, trasformati in succulenti manicaretti esigono il Brunello. È un abbinamento cogente, la cui applicazione è imposta dall’ordinamento delle cose, prescindendo dalla volontà dei singoli interlocutori dei sapori. Ed è qui che il Brunello si fa re del Senese e veste i panni di quel Cecco Angiolieri per ironizzar con toscanità: «Si fosse Brunello com’i’ sono e fui, torrei li cibi nobili e succosi; li scialbi e insipidi lasserei altrui». Il Brunello è un vino simbolo della toscanità enologica, ancora avvolto da un’aureola di civiltà contadina e piace ancora pensarlo come il vino della “serrata”, cioè quel vino che si offriva al frugale rinfresco che ogni famiglia organizzava, negli anni in cui dominava la civiltà contadina, lungo il percorso tra la casa della sposa e quella dello sposo. Ma com’è il Brunello di Montalcino della vendemmia 2005? Il clima è stato sufficientemente caldo e soleggiato nei mesi estivi, con alcune giornate caratterizzate da temperature più fresche e un po’ di pioggia. Il mese di settembre scandito da un’alternanza di sole e pioggia, nell’ultima quindicina il sole ha preso il sopravvento e, pur ritardando la vendemmia, la maturazione ha raggiunto il traguardo. Si è lavorato nella selezione delle uve, cercando la migliore maturazione fenolica. L’annata è da considerarsi ottima, con vini eleganti e di struttura che rinviano l’evoluzione organolettica a un invecchiamento medio-lungo.
Brunello di Montalcino 2005: la degustazione Le Potazzine Gorelli – Tenuta le Potazzine – 14° Ha colore rosso granato di media concentrazione con alone aranciato. L’intensità olfattiva ha spunti speziati, fruttati e floreali, con sentori di mora, ciliegia e di sottobosco. Al gusto prevale la personalità di un tannino un po’ astringente, ma lascia una scia fruttata e speziata che ricompone un buon dualismo caldo/sapido, chiude con una persistenza dai toni speziati e un retro aroma di legno dolce.
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Tenuta Nuova – Casanova di Neri - 14,5° Decisamente rubino alla vista, molto concentrato nella tinta con unghia vivacemente granato. Il profumo esplode di fruttato, balsamico e speziato, eleganti sono le note di mora di gelso, prugna, iris, viola, pepe e un soffocato boisé. Al palato impressiona l’ingresso tannico, che si lascia però equilibrare sia dall’effetto pseudocalorico sia dalla sapidità spinta da succosa fruttuosità. Nel lungo finale l’aroma della tostatura del legno riunisce a se i sapori delle spezie e del cassis e chiude il conto con un’asciutta eleganza.
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Poggio Antico – Poggio Antico Società Agricola - 13,5° Il colore è tinto di granato, i riflessi aranciati esaltano la vivacità dell’unghia. Intenso il fruttato che si miscela nello speziato e regala un raffinato tocco di alloro e di foglie di tabacco. La carica tannica tende a prevalere in rugosità: effetto di gioventù. La sapidità rientra nell’equilibrio gustativo ma l’alcol soffre un po’ a uscire. Il finale è espressivo, con retro aromi di spezie e di liquirizia. Solaria – Azienda Agricola Cencioni Patrizia - 14° La veste rosso granato è concentrata e i riflessi aranciati non scompongono gli effetti cromatici. Al naso i sentori fruttati, floreali e speziati cercano di spuntarla in intensità; i ricordi odorosi di mora, cassis, sottobosco costruiscono una finezza ruspante. Già definito è il bilanciamento tannico/sapido, i flavour fruttati creano già i presupposti di un rapido equilibrio. Il finale asciutto scrive un aroma retro nasale ai sentori di spezie e piccoli frutti rossi.
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Degustazioni Il Poggione – Francesi S.A. - 14,5° Granato lucente e concentrato, già si osserva un anello aranciato. L’intensità olfattiva si caratterizza molto negli spunti del sangiovese: fruttato e floreale. Il succo della ciliegia e della mora penetra decisamente nella costruzione dell’effetto tannico e sapido, mentre le note speziate condiscono di eleganza l’equilibrio gusto olfattivo. Finale semplice ma non banale che lascia la bocca asciutta.
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Fuligni – Eredi Franceschi S.S. - 14° Granato, compatto e consistente nella cromaticità. Il profumo non eccelle in intensità ma in complessità. Variegate sono le sensazioni olfattive. Cassis, mora e prugna elaborano un fruttato dalla carica speziata, di vaniglia e chiodo di garofano. Fine è la parte vegetale, di alloro e di lavanda. La progressione tannica avvolge il palato senza irruvidirlo, la sapidità assicura il tipico fruttato del sangiovese e sviluppa un interessante dualismo acido/sapido. La persistenza aromatica è lunga, i ritorni hanno la fragranza dei piccoli frutti rossi e scuri.
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Ciacci Piccolomini – Ciacci Piccolomini d’Aragona - 14,5° Tinto di rubino, il colore luccica nei riflessi granato e mostra una densa consistenza. Il sangiovese esprime il suo fruttato, accompagnato da spezie e fiori un po’ appassiti. Si individuano odori di mora e ciliegia, di liquirizia e resina di pino. Il tannino è il re del gusto e l’alcol stenta a creare un’adeguata combinazione tra durezze e morbidezze, nonostante un finale caldo e all’aroma di legno dolce. L’epilogo è speziato.
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Fattoi – Fattoi Ofelio e Figli - 14° Rubino luminoso con riflessi granato acceso. L’impatto olfattivo è intenso, il tipico fruttato dell’uva è subito avvertibile: ciliegia, mora e prugna. Raffinate sono le note di sottobosco, di lavanda e di eucalipto. Ha tannino vellutato, con trama gustativa sapida ai frutti rossi e sfumatamente amaricante. Il finale resiste in una sensazione pseudocalorica che addolcisce il fruttato e lo speziato, chiusura caldo/asciutta. La Lecciaia – La Lecciaia, Pacini Mauro & C. - 13,5° Vivacissima è la tinta granato, ravvivata da nuance rubino. La spinta olfattiva è carica di fruttato, speziato, minerale e balsamico. Mora di gelso, prugna e ribes e un tocco boisé a impreziosire il tutto. Un tannino increspato, lascia spazio alla sapidità e al volume alcolico, creando un dualismo che riproduce un finale pieno di retro aroma speziato e dall’elegante chiusura asciutta.
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Da Vinci – Cantina di Montalcino - 13° Limpido rosso rubino con riflessi granato d’ottima concentrazione. Il contatto olfattivo è spinto da un intenso fruttato e floreale, con uno speziato in cui spicca il chiodo di garofano e il pepe nero. Il sangiovese si riconosce nel floreale, viola mammola, e nel tannino che ricorda una spremuta di frutti a bacca nera. Sapidità e alcol chiudono le porte alla disarticolazione delle durezze, il finale si fa quasi setoso, in cui il boisé si fonde con quel minerale terroso che griffa l’eleganza del Brunello.
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Talenti – Talenti Riccardo - 14,5° La veste è consistente, il colore rubino scuro ha frangia color granato. Ha profumo complesso, vario nel fruttato, nel floreale, nel vegetale secco e nelle spezie. Nel minerale spicca la graffite, coesa nella liquirizia e nell’alloro. Ha tannino vigoroso, ammansuetito dall’alcool, dalla tostatura del legno e da spezie dolci. La sapidità insaporisce l’alcol e l’acidità del sangiovese, il gusto s’allunga in una scia di spezie, tanto che la sensazione finale si trasforma in morbidezza e aroma di caldo asfalto. Cantina di Montalcino – Cantina di Montalcino - 13° La trama è fitta e consistente, rubino scuro con bordo granato. L’influsso odoroso è intensamente composto dalla triade di questo millesimo: floreale, fruttato e speziato. È minerale e boisé, finissimo è lo spettro finale dell’odore: sottobosco, pepe, liquirizia e cacao. All’ingresso gustativo è immediatamente avvertibile un effetto tannico grasso e speziato, pur nella potente progressione tattile; sapidità elegante e in equilibrio con acidità e alcol. Lungo il finale con retro odore balsamico, di tabacco e lavanda. Chiusura segnata da pulizia assoluta e calorica avvolgenza.
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AP Agostina Pieri – Agostina Pieri - 14,5° Il vino scivola consistente, ha colore rosso granato scuro graffiato da un riflesso rubino. Le note odorose dell’annata si riconoscono; ha frutto che ricorda la ciliegia, la mora e la prugna, arricchite da pepe, cannella e resina di pino. La progressione gustativa è espressa da un antagonismo tannico/morbido, che rilascia sapori sapidi al gusto di frutti a bacca nera, al pepe e alla liquirizia. Ben composto l’asciutto finale, rinforzato da succoso fruttato e da cacao.
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Mastrojanni – Mastrojanni Srl - 14,5° Ha veste color granato con tenui riflessi aranciati e massa consistente. Dicotomico è l’accenno olfattivo, fruttato e floreale, mora e viola mammola. Al vegetale secco s’associa un minerale e un sottobosco agreste, un rinfrescante chiodo di garofano lo completa. Ben evidente è l’alluvione alcolica in cui il frutto del tannino si immerge per comporre una struttura sapido/morbida in via di equilibrio. Spezie e legno dolce scivolano nel finale gusto olfattivo che chiude con ferma sensazione asciutta.
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Lisini – Azienda Agricola Lisini - 13,5° Rosso granato discretamente concentrato e luminoso. Un mix fruttato di mora e ciliegia crea un’intensità che ricorda l’uva; lo speziato e l’empireumatico chiudono la pochette della fragranza olfattiva offrendo pepe nero e cannella, tabacco e liquirizia. Il gioco del gusto danza tra tannino, sapidità e alcol; la freschezza del sangiovese ha il sapore dei frutti rossi e nel finale, a sorpresa, lascia scoprire aromi di legno dolce, balsamicità e cacao amaro. Altero – Poggio Antico Soc. Agricola - 13,5° Colore compatto dai toni granato con riflessi rubino. Il profumo ondeggia tra floreale, speziato, minerale e tostato. Facile è riconoscere vaniglia e liquirizia, lavanda, tabacco e un elegante boisé. Il sangiovese dimostra la sua personalità al gusto con tannino fruttato, un po’ rugoso ma rinfrescato da un sapore di lampone. Il finale è lungo e variamente composito, ha ritorni aromatici di tostatura dolce di legno, di cacao, di liquirizia e chiude con una sensazione asciutta e calorica.
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Altesino – Palazzo Altesi, Altesino - 13,5° Brillante color granato, già rifinito con unghia aranciata. Resina, foglia di alloro, sottobosco e lavanda danno il giusto risalto a un terroir boscoso, poi s’allarga in un ventaglio fruttato e speziato, chiude infine con balsamico vigore. Il tannino ha la vitale freschezza amarascata del sangiovese, un finale leggermente amarognolo e nel mezzo un sapidità moderata, ma ben combinata con l’alcol. Chiusura mediamente allungata in un dolce speziato ed epilogo corroborante. Casanova di Neri – Casanova di Neri - 14,5° Rubino molto intenso e unghia granata. Ampio al profumo, ha l’odore del bosco secco: alloro, lauro, sottobosco, pigna secca e resina. Ha un fruttato polposo di mora e ciliegia matura addolcita dalla vaniglia. Il calore dell’alcol trova nella dimensione tannica uno scontro che fioretta una sapida sensazione gustativa al sapore dei piccoli frutti neri. Lunghissimo il finale, dicotomia di minerale e legno dolce, conclude con assoluta pulizia e asciuttezza.
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Pietroso – Azienda Agricola Pietroso - 13,5° Ottima l’integrità del rosso rubino dai riflessi granato dalla tonalità sanguigna. L’incipit fruttato e floreale anticipa un sangiovese puro: marasca, mora di rovo, iris e viola. La sosta nel legno si manifesta con spezie soffuse ed eleganti, la chiusura boisè ne completa l’armonia. Ha tannino che fonde la sua tattilità nell’alcol e nella sapida mineralità; la massa acido/fruttata dell’uva rilascia un finale dolcemente tostato e vanigliato. La Fiorita – La Fiorita - 14° Granato con riflessi rubino, gioventù assicurata. Mora, prugna e ciliegia sono le linee olfattive di un fruttato che trascina a sé anche sentori di pepe e cannella, di sottobosco, nel finale progredisce la violetta. Lo spunto calorico attira l’attenzione al primo impatto, un tannino un po’ rugoso e leggermente vegetale prende la scena e chiude la sapidità in un angolo. Ha finale mediamente allungato in una semplice espressione asciutta e minerale. Argiano – Argiano Srl Soc. Agr. - 14° Rosso granato ben concentrato. Fragola di bosco, mora di rovo, viola e giaggiolo dichiarano che è un sangiovese soleggiato. Lavanda, alloro e resina di pino completano l’equipaggiamento odoroso che chiude con un fumé d’asfalto. Nonostante l’alta gradazione, il tannino insiste con esuberante rugosità senza togliere valore alla sapidità, ha finale un po’ neutro, che illanguidisce in un fruttato vegetale.
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Valdicava – Vincenzo Abbruzzese - 13,5° Scurissimo al colore granato/rubino. La voluminosità olfattiva dà il meglio nella costante fruttata: ciliegia, mora, prugna rossa e ribes nero. Il balsamico e l’empireumatico rinforzano l’eleganza e il boisé e la vaniglia la rifiniscono. Il dualismo caldo/tannico impatta al palato e scolpisce un sapore un po’ piccante. Ha sapidità a concretizzare un certo equilibrio gusto olfattivo. Bene la chiusura finale: minerale e speziata. Ha contribuito alla degustazione il “Brunello Team”: Carlo Barni, Gianluca Bianucci, Luca D’Antraccoli, Daniele Marcuzzi, Sergio Rubbi, Giulio Ulivieri. 27
Nuove denominazioni
Moscato di Scanzo, preziosa perla di Lombardia
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L’OBIETTIVO UN COMPITO
È PROMUOVERE IN ITALIA E ALL’ESTERO QUESTO VINO.
TUTT’ALTRO CHE SEMPLICE,
CONSIDERANDO CHE SONO APPENA SESSANTA GLI ETTARI VITATI
di Piermaurizio Di Rienzo la più piccola denominazione d’origine italiana. Ma è ricca di storia e di progetti per il futuro. Si tratta della Docg Moscato di Scanzo, nata da poco più di un anno per valorizzare l’omonimo vitigno autoctono della provincia di Bergamo. È uno dei pochi vini rossi passiti e per questo considerato di nicchia. Estremamente profumato, esprime sapori di prugna, frutti di bosco, rosa canina e salvia. Straordinario per la meditazione, va degustato a 16-18 gradi e si adatta benissimo anche per accompagnare formaggi erborinati o dolci a base di cioccolato. Il nome deriva dalla zona di produzione, il Comune di Scanzorosciate, un favoloso territorio collinare a pochi chilometri da Bergamo, sdoppiato in due aree: quella orientale caratterizzata da terreni calcareo-argillosi e quella occidentale costituita da terreni silicei e ricchi di rocce stratificate. Una zona, tuttavia, ristretta, con rese molto basse che spesso non arrivano neanche al 30 per cento. Alcuni storici fanno risalire le prime tracce del vitigno intorno all’anno 1000 a.C, ma i primi documenti scritti lo collocano al 1272. Alberico da Rosciate nel 1350 scrisse nel testamento: «Lascio al figlio Tacino la Bersalenda, ove si coltiva il moscato rosso». L’interesse verso questo vino è in forte crescita. Lo dimostra il lavoro che sta facendo il Consorzio di tutela, al quale sono associate ventiquattro delle ventisette aziende produttrici. «Stiamo lavorando su vari fronti» racconta il direttore Corrado Fumagalli. «L’obiettivo è promuovere in Italia e all’estero il nostro prodotto». Un compito tutt’altro che semplice, considerando che si tratta di appena sessanta ettari vitati per una produzione di 91mila bottiglie nel 2009 (in crescita del 40 per cento nell’ultimo triennio). «Si comincia a guardare all’estero, destinando il 20 per cento delle bottiglie ai mercati degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Germania e del Brasile» aggiunge Fumagalli. La prossima tappa sarà San Pietroburgo, dove il consorzio porterà alla fine di giugno i prodotti delle sue aziende associate per una manifestazione enogastronomica in salsa bergamasca. L’occasione sarà offerta dal bicentenario del ritorno a Ranica dell’architetto Giacomo Quarenghi che lavorò proprio in Russia. A lui si deve l’arrivo del pregiato vino alla corte degli zar. Solo nel 2002 si è prevenuti al riconoscimento della Doc, anche grazie all’aiuto di Luigi Veronelli. Poi lo scorso anno, il 12 febbraio, è arrivato il riconoscimento della Docg, la quinta della Lombardia. Il disciplinare è particolarmente rigido. La vendemmia, di solito, si svolge entro la metà del mese di ottobre. L’appassimento delle uve, che non deve essere inferiore ai ventuno giorni, avviene in appositi locali a temperatura e umidità controllate. Segue l’affinamento in vasche d’acciaio per almeno ventiquattro mesi, ma la maggior parte delle aziende lo prolunga a trenta. Una volta immesso al consumo, il vino deve presentare un titolo alcolometrico svolto di 14 gradi. Il successo è certificato anche dalla critica. La guida Duemilavini ha conferito per due anni di fila il massi-
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mo riconoscimento dei cinque grappoli all’azienda La Brugherata per il suo Moscato di Scanzo «Doge». Il proprietario Silvio Bendinelli, che ricopre anche la carica di presidente del Consorzio di tutela, gestisce dalla metà degli anni Ottanta una produzione di dieci ettari di vigneto. L’accoglienza e il marketing sono competenze di Frida Tironi: «Attualmente produciamo 4mila bottiglie di Moscato di Scanzo, dedicando due ettari e mezzo alla coltivazione di queste uve. Ci stiamo concentrando sulla promozione di questo straordinario vino, cercando di farne comprendere alla gente il valore, la storia e l’unicità». Sul mercato, ad oggi, c’è l’annata 2006, mentre per il 2007 occorrerà pazientare fino al prossimo dicembre: qui l’affinamento viene prolungato almeno a trenta mesi. «Il nostro motto» spiega ancora Tironi, «è riportato su tutte le etichette ed è “vino d’arte” per sottolineare ulteriormente la qualità del prodotto». Alla Brugherata, tra l’altro, si sono dati da fare anche con la produzione di alcune chicche a base di Moscato di Scanzo: dalle salse per formaggi ai biscotti, dai boerini alle albicocche sciroppate. Nella gamma aziendale rientrano anche i classici rossi e bianchi Valcalepio Doc: gli uni a base di Cabernet Sauvignon (60 per cento) e Merlot (40 per cento), gli altri di Pinot Grigio, Chardonnay e Pinot Bianco. «Stiamo pensando di fare alcune prove sfruttando il Moscato di Scanzo da aggiungere ai vitigni rossi del Valcalepio» rivela ambiziosamente Tironi, annunciando anche studi e sperimentazioni del Consorzio su vecchie piante di vermiglio, altro vitigno autoctono della zona di cui se ne erano perse le tracce. Ancora più piccola, ma di elevata qualità, è la realtà de Il Cipresso. Nata nel 1989 e rilevata da Angelica Cuni e dalla sua famiglia nel 2003, l’azienda possiede quattro ettari per una produzione annua di 18mila bottiglie. La perla è “Serafino”, il Moscato di Scanzo che prende il nome del padre della signora Cuni: solo un ettaro per la coltivazione che si traduce in 3mila pezzi all’anno, a ruba soprattutto nel periodo natalizio. Merito della proprietaria che cura nei minimi dettagli la presentazione dei suoi prodotti: «Io e la mia famiglia non viviamo di quest’azienda, poiché operiamo principalmente nel settore del ferro. Credo che questo vino sia un po’ un gioiello e come tale va presentato». Da qui l’idea di proporre ai piccoli e grandi clienti astucci in pelle, set da gioco e confezioni di prestigio per accompagnare il Moscato di Scanzo. Anche qui l’affinamento dura trenta mesi e l’uscita dell’annata 2007 è programmata per il mese di ottobre. «Fatichiamo a far conoscere questo vino fuori dal nostro territorio» sottolinea Cuni. «Credo che i ristoratori debbano darci una grossa mano per promuovere uno dei prodotti di punta della provincia di Bergamo e della Lombardia. Cominciando a inserirlo nelle carte dei più prestigiosi ristoranti milanesi potremmo acquisire nuove fette di mercato». Già, ma i soli sessanta ettari della Docg forse non basterebbero per accontentare un pubblico più vasto. 29
Degustazioni
In Valle d’Aosta piccoli vignerons di qualità impeccabile
di Franco Ziliani ellissime novità dalla Valle d’Aosta. Da questa piccolissima zona vinicola di confine che siamo abituati a considerare come uno dei simboli (con la Valtellina, le Cinque Terre e Ischia) dell’eroica viticoltura di montagna, arrivano splendide notizie di una qualità in continua ascesa, di un numero crescente di protagonisti in grado di portare alta la bandiera di una produzione che rimane “confidenziale” nei numeri, e spesso introvabile se non in loco, ma che cresce nettamente di livello.
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Ancora più bello è poi rilevare che alla testa del plotoncino delle aziende più interessanti troviamo numerosi piccoli vignerons, molti con pochi ettari di proprietà, membri dell'Associazione dei Viticulteurs Encaveurs (sito Internet www.vievini.it), 36 aziende che controllano poco più di 100 ettari e producono complessivamente 750 mila bottiglie, riconoscendosi in una filosofia comune, un gruppo che rappresenta una realtà viva e in continuo divenire da cui non si può assolutamente prescindere per farsi
«Ci sono dei popoli che sono come delle fiaccole, sono fatti per illuminare il mondo; in generale non sono grandi popoli per numero, ma perché portano in essi la verità e il futuro». (Émile Chanoux, 1944, frase adottata come motto dal Consiglio della Valle) La Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste è una regione a statuto speciale dell'Italia nord-occidentale con capoluogo Aosta. È la regione più piccola d'Italia (3.263 km²) e anche quella meno popolata (126.660 abitanti). Lo stemma della Regione Autonoma Valle d'Aosta è leone d'argento armato e linguato di rosso su fondo nero sormontato da una corona. Dal 1947 lo stemma caratterizza anche tutte le targhe automobilistiche dei veicoli immatricolati in Valle d'Aosta.
un’idea della realtà vitivinicola della Vallée. Questo pur con tutto il rispetto per le varie Cantine sociali, che stimolate dal lavoro di questi vignaioli, persone che in passato magari conferivano loro le uve e che ora preferiscono vinificarle in proprio commercializzando i vini con proprio nome, stanno cercando di recuperare, raccogliendo la sfida della qualità. Molti i vini interessanti, di assoluta eleganza, finezza, personalità, espressione di vitigni autoctoni come il Fumin o il Prié Blanc o di altri riconducibili all’areale alpino e svizzero come Petite Arvine, Cornalin, Mayolet, oppure di varietà internazionali in senso stretto, ma ben ambientate nei particola-
ri terroir della Vallée, quali Gamay, Pinot noir, Chardonnay, o ancora Syrah, che i Viticulteurs Encaveurs propongono, spesso in piccoli quantitativi che occorre “conquistare” andando direttamente a trovarli in cantina. In bianco e soprattutto in rosso, sono vini, dall’inconfondibile carattere di montagna, che si esaltano e danno il loro meglio se proposti, come sempre dovrebbe essere, per ogni vino degno di questo nome, a tavola, abbinati non solo ai piatti della squisita cucina locale, ma a tante preparazioni di cucine anche di altre regioni. Vini cui non mancano mai un giusto corredo acido, doti di sapidità e anzi di mineralità, freschezza, nerbo, vini che si fanno bere
splendidamente. È proprio quello che ho avuto il piacere di verificare, qualche mese fa, nel corso di un’ampia degustazione di tanti vini dei vignerons aderenti all'Associazione dei Viticulteurs Encaveurs che ho potuto fare ad Aosta. Solo lo spazio a disposizione, ampio, ma non infinito mi ha impedito di fornire le note di degustazione di tutti i vini assaggiati, costringendomi a una selezione di quelli che, a mio avviso, costituiscono la punta di diamante di un’offerta ampia e differenziata. E quale pretesto migliore, se non quello di andare a coglier fior da fiore girando per cantine, per programmare presto una visita di qualche giorno in questa splendida regione?
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Degustazioni
LA DEGUSTAZIONE BIANCHI Vallée d’Aoste Blanc de Morgex 2008 Carlo Celegato Colore paglierino verdognolo traslucido, metallico e splendente, naso elegante, sottile, di grande nerbo e precisione con note di fiori bianchi e fieno di montagna, un leggero accenno agrumato sapido, nervoso, minerale di grande freschezza e sale, che apre poi su note delicate di mandorla e pesca bianca. Bocca molto fresca, incisiva, con acidità che spinge e nerbo preciso e lungo, ma con un’apprezzabile espressione fruttata, nitido e “croccante” con finale lungo e persistente, verticale, che chiude su nota di mandorla, in un quadro di grande equilibrio e piacevolezza.
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Vallée d’Aoste Petite Arvine 2008 Elio Ottin Grande vivacità di colore, un paglierino vivo oro dalla splendida brillantezza, naso complesso fitto elegante, di grande purezza aromatica, profumato di agrumi, fiori bianchi, mandorla, con una leggera speziatura, una vena di anice e un accenno burroso. Ancora “scalpitante” al gusto, con acidità lunghissima e viva, freschezza, una nitida vena di mandorla finale e “sale”, con andamento lungo, verticale, pieno di nerbo. Vallée d’Aoste Chardonnay 2008 Anselmet Bellissima vivacità di colore, naso fresco vivo, agrumato e floreale con bella nota di frutta secca, una vena burrosa vanigliata. Al gusto è molto equilibrato, sapido, nervoso con bella espressione larga e piena, una notevole freschezza e sapidità, molto lungo e verticale e di gran nerbo.
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Vallée d’Aoste Chardonnay Cuvée Bois 2006 Les Crêtes Oro luminoso splendente di grande bellezza, naso complesso, speziato variegato di grande compattezza, con note di agrumi, camomilla, miele, frutta secca. Molto ricco e strutturato al gusto con una tendenza leggermente asciutta sul finale dovuta alla gioventù del vino e un legno ben usato ma ancora da assorbire.
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Vallée d’Aoste Pinot grigio 2008 Di Barrò Colore poco intenso, mostra un bel naso vivo e nervoso con note di mandorla in evidenza e fiori bianchi, molto elegante, incisivo con nerbo preciso. In bocca grande materia ricca, molto strutturato con continuità e pienezza, con grande sostanza e lunga persistenza. Vallée d’Aoste Muscat 2008 D & D Paglierino verdognolo dorato brillante, si propone con un bel naso fragrante ed elegante, molto varietale, che richiama salvia e fiori bianchi. In bocca è nervoso, incisivo, con sapidità e acidità nervosa e finale lungo su una nota di vena di mandorla amara e dolcezza calibrata.
ROSSI
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Premetta 2008 Grosjean Quasi un rosato. Colore cerasuolo sangue di piccione mostra un naso leggero fragrante, profumato di ribes, lampone, rosa canina agrumi e melograno di grande freschezza. Al gusto è nervoso, di fragile sostanza ma con una magnifica acidità una piacevolezza salata di grande simpatia e una presenza tannica sul finale che si fa sentire in maniera intrigante.
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Vallée d’Aoste Gamay 2008 La Source Bella vivacità di colore, molto vivace, naso “ciliegioso” e succoso, di bella pulizia e dolcezza con note salate leggermente selvatiche. Al gusto grande piacevolezza, una vena salata, frutto nervoso sapido con acidità che spinge, ben succoso nello sviluppo, con buon equilibrio e una materia abbastanza ricca sostenuta da una leggera vena tannica.
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Vallée d’Aoste Gamay 2008 La Vrille Rubino vivace di grande brillantezza, naso leggermente selvatico, floreale con una certa complessità terrosa e selvatica e una apprezzabile dolcezza del frutto. Bocca di buona incisività, essenziale, con una certa vinosità, una bella vena acida e una buona lunghezza.
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Vallée d’Aoste Petit Rouge 2007 Didier Gerbelle Colore rubino violaceo profondo, naso fitto denso maturo, con una bella espressione selvatica con more, sottobosco, una leggera speziatura e una vena di marzapane e mandorla. Al gusto bella freschezza succosa ha linearità di espressione e nerbo sapido, verticalità con un sostegno tannico ben sottolineato. Vallée d’Aoste Torrette 2008 Feudo di San Maurizio Rubino violaceo vivo profondo e brillante, naso con magnifica espressione floreale di grande purezza, con accenni di ciliegia, prugna selvatica, fiori secchi e una leggera speziatura con pepe nero e note di grafite e liquirizia. Bocca di grande freschezza e sapidità, con un corredo tannico discreto molto levigato succoso ed elegante. 32
Vallée d’Aoste Torrette 2008 D & D Colore rubino violaceo di buona intensità e profondità, naso selvatico, con note di piccoli frutti neri, accenni di sottobosco e alloro, una bella dolcezza succosa suadente e rotonda, di notevole integrità, del frutto, con equilibrio, dolcezza calibrata, saldo corredo tannico e grande piacevolezza. Vallée d’Aoste Torrette 2007 Franco Noussan 70% di Petit rouge e 30% suddiviso tra Mayolet, Cornalin e Vien de Nus per questo vino di bellissima vivacità già dal colore, rubino violaceo profondo, dotato di un naso intrigante, selvatico, succoso, di bella fragranza, con fiori secchi e accenni minerali e di sottobosco in evidenza, completati da sfumature leggermente speziate e pepate e in evoluzione da toni di more di rovo. Bocca inizialmente sottile, essenziale, nervosa, con un'acidità molto viva subito in evidenza, ma poi il vino si distende e si impone con il suo gusto asciutto e croccante, con il suo taglio incisivo, con bella pulizia e carattere diretto lungo e verticale.
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Vallée d’Aoste Torrette Superieur 2007 Ottin Naso di bellissima espansione e fragranza con una componente floreale molto spiccata e note di sottobosco, alloro, liquirizia e una leggera speziatura. In bocca grande carnosità e consistenza di frutto, presenza tannica importante ma senza spigolosità, vino con carne freschezza, polpa, liquirizia, sale, finale lungo e nervoso e grande beva. Vallée d’Aoste Torrette Sup. 2007 Grosjean Grande intensità cromatica, naso, fitto complesso, con una netta componente selvatica e animale, accenni di cuoio, leggera speziatura, fiori secchi, amarena e mora, tabacco e una nota minerale petrosa. Al gusto è molto strutturato, con un tannino che si fa sentire e che morde, una componente fruttata più sfumata, ancora molto fresco, vivo, nervoso, giovanissimo, con un grande potenziale di evoluzione. Vallée d’Aoste Nus 2008 Lo Triolet Bellissima brillantezza e vivacità cromatica, naso fresco, vivo, nervoso con bella espressione minerale, molto essenziale e petrosa, grande integrità di frutto sapido e nervoso, con sfumature di viola, sottobosco, ribes, accenni di erbe aromatiche. Molto fresco, vivo, scattante, di grande equilibrio e piacevolezza al gusto. Vallée d’Aoste Arnad Montjovet Boen 2008 Dino Bonin Colore rubino squillante vivo, naso molto semplice, diretto, ciliegioso, non di grande complessità, bocca con tannino che “morde” e si fa sentire e che segna il carattere del vino. Vallée d’Aoste Cornalin 2008 Les Granges Rubino violaceo brillante, naso selvatico con una leggera nota pepata, accenni di viola e sottobosco, di fiori secchi di grande fragranza e pulizia esecutiva. Al gusto è molto diretto, pieno di gran nerbo, con bella incisività, non di grande ampiezza ma ben delineato nervoso e ricco di sapore.
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Vallée d’Aoste Cornalin 2007 Grosjean Bellissima vivacità e brillantezza del colore, rubino violaceo intenso, naso fitto, denso, caldo, compatto di nitida espressione, con note di ribes, sottobosco, speziatura leggera, pepe nero, liquirizia, alloro e rosmarino a costituire un insieme di grande plasticità e personalità. Al gusto grande ricchezza di sapore, salda struttura, grande equilibrio, vino ancora molto giovane, ma già largo, pieno, succoso, un vero vin de terroir dalla grande piacevolezza di beva, verticale, nervoso.
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Vallée d’Aoste Pinot noir 2008 L’Atoueyo Bellissima vivacità e brillantezza cromatica, un rubino intenso e profondo, naso molto caratteristico e tipico, succoso, elegante, carnoso, con note di lamponi e ribes in evidenza a scandire un insieme denso caldo, di bella espansione e nitidezza. Bocca, viva, carnosa, di nitida espressione, dal frutto rotondo e succoso, carnosità spiccata, finale lungo e persistente, pieno di sapore, con una bella vena sapida minerale.
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Vallée d’Aoste Pinot noir 2007 Grosjean Rubino vivo brillante, naso cremoso di bella densità d'espressione, con leggera nota tostata, accenni selvatici e terrosi di sottobosco che vanno a determinare una bella complessità. Bocca ricca, piena, succosa, di bella espansione, con larghezza, calore, dolcezza calibrata, tannino presente buona persistenza lunga.
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Vallée d’Aoste Pinot noir 2008 Franco Noussan Naso di grande densità e polpa, con profondità e carattere varietale spiccato, bocca ricca, piena, di nitida espressione, elegante e succosa, con polpa carnosa, continuità, dinamismo, un bell'equilibrio tra frutto acidità e tannino. 33
Degustazioni Vallée d’Aoste Syrah Coteau de la Tour 2007 Les Crêtes Grande intensità di colore, ha concentrazione, densità e fittezza, note selvatiche animali balsamiche in evidenza con una leggera speziatura e pepatura non so bene se più da legno o da uva con una bella plasticità. Bocca ricca, piena, succosa, ben strutturata, avvolgente, ricco, caldo, con una grande materia multistrato, molto elegante, senza eccessi, con una bella continuità e un saldo corredo tannico. Vallée d’Aoste Fumin 2008 D & D Bella intensità di colore di grande concentrazione, naso vivo, fitto, intrigante, con note di pepe nero, eucalipto, menta di bella carnosità e dolcezza. La bocca è ricca, ma non cade nella tentazione della iperconcentrazione marmellatosa e mantiene una bella freschezza, con un corredo tannico snello e nervoso. Vino molto equilibrato, con nitida espressione, grande pulizia e ricchezza. Vallée d’Aoste Fumin 2008 Lo Triolet Grande densità, ricco, pieno, carnoso, multistrato nel bicchiere, naso caldo pieno di bella espressione e calore mediterraneo, con note di pepe nero, una speziatura leggera e accenni carnosi di grande espressività. Bocca ricca e piena di grande dolcezza, polpa succosa, grande struttura e continuità, con finale lungo e persistente pieno di sapore.
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Vallée d’Aoste Fumin Vigne de la Tour 2007 Les Crêtes Colore fittissimo denso concentrato, quasi impenetrabile, naso di intrigante complessità, con speziatura, liquirizia, grafite, pepe nero, ginepro, un accenno di cuoio e di selvaggina di pelo. In bocca polpa succosa, molto ricco, pieno, multistrato, ma con una indubbia freschezza e un bell'allungo dinamico. Frutto di grande purezza e sensuale succosità, con grande equilibrio e piacevolezza. Vallée d’Aoste Fumin 2007 L’Atoueyo Colore fittissimo concentrato quasi impenetrabile, quasi da Lagrein, molto grasso e denso nel bicchiere, naso pepato, selvatico, animale. Bocca ricchissima, materica, con grande potenza, ma con grande equilibrio, dinamismo, energia e sviluppo di un'apprezzabile freschezza e chiusura su note di liqurizia nera sapide e nervose. Vallée d’Aoste Fumin 2007 Di Francesco Colore denso e profondo quasi impenetrabile, naso dominato da una componente animale cuoiosa selvatica molto evidente, con espressione cremosa di grande densità e fittezza. Bocca piena, densa, succosa, con grande polpa fruttata masticabile, multistrato ma con una grande freschezza, sapidità e pienezza di sapore.
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Vallée d’Aoste Fumin 2007 Grosjean Colore molto denso fitto e profondo, quasi grasso nel bicchiere. Naso di immediato appeal, con frutti di bosco maturi ma non sovra maturi, note selvatiche di pepe nero e ginepro e accenni di liquirizia. Al gusto è molto elegante, succoso, rotondo, poi si apre molto pieno e largo con un’ampiezza sorprendente e un corredo tannico da grande vino ancora giovane con ottimo potenziale di evoluzione. Vallée d’Aoste Coteau Barrage 2008 Lo Triolet Notevole concentrazione colorante, naso fitto, denso, compatto, “materico”, con note speziate, balsamiche, animali che vanno a completare un frutto maturo e denso. Molto più bilanciato e pieno di energia in bocca, con un bel sostegno tannico, una giusta acidità, una vivacità di espressione insospettabile e una grande freschezza. Vdt Le Prisonnier 2007 Anselmet 40 di Petit Rouge, 35% di Cornalin, 5% di Mayolet e 20% di Fumin la formula di questo vino espressione di una vigna posta nel cuore dell’area del Torrette. Bella vivacità di colore, naso caratteristico sensuale mediterraneo con una plastica dolcezza espressiva, una nota floreale di grande purezza e poi ribes, lampone, ciliegia, accenni speziati e selvatici di alloro e marron glacé. In bocca è pieno, lungo, continuo, suadente, di grande eleganza e dolcezza espressiva. Vdt Cuvée de la Côte 2008 Franco Noussan Un vino sorprendente: grande vivacità e intensità di colore, un rubino violaceo squillante e luminosi come certi tramonti in montagna, naso di grande personalità, incisivo, salato, salmastro, "acciugoso" quasi, completato da una bella dolcezza di frutto fragrante e succoso e note selvatiche di sottobosco e una leggera speziatura. Fresco vivo pieno, ben polputo ed energico al gusto, con assoluta freschezza, un'acidità "barberosa" di grande spinta, grande vinosità ed un carattere assolutamente schietto con grande ricchezza di sapore.
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Degustazioni
Il fascino indiscreto del
Torgiano
di Sandro Camilli i troviamo in Umbria a pochissimi chilometri da Perugia e da Assisi. Piccolo areale, alla confluenza del fiume Chiascio con il Tevere, dominato dalla cima della collina su cui sorge uno dei borghi medievali più belli d’Italia, Torgiano, dove fino agli anni Cinquanta il vino, soprattutto bianco e abbastanza “rustico” come nel resto dell’Umbria, insieme ad altri prodotti della terra, aveva garantito al settore agricolo con grande costanza decenni e decenni di sussistenza. È proprio qui che Giorgio Lungarotti, più di cinquant’anni fa, con grande lungimiranza e competenza, frutto anche della laurea in Agraria presso l’università di Perugia e dei continui viaggi all’estero, soprattutto in Francia, per confrontare e trovare conferma alle proprie idee, decise di riconvertire tutte le terre di famiglia a una viticoltura di qualità, sicuro dell’alta vocazione e certo che l’“ostinato” Sangiovese poteva essere ingentilito sia aggiungendovi del Canaiolo, sia facendolo maturare in botti di rovere ma soprattutto con l’affinamento in bottiglia. Si può affermare quindi, con certezza, che la riscossa dei vini umbri sia partita proprio da questi terreni che, formati soprattutto dai sedimenti dell’antichissimo Lago Tiberino che si estendeva dalla valle tiberina fino a quella umbra e amerina, con argille più o meno sabbiose intercalate da ciottoli, hanno come caratteristica un
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buon drenaggio e soprattutto sulle piccole dorsali a una altezza di trecento metri circa un’ottima esposizione e buone escursioni tra il giorno e la notte anche nei mesi più caldi. Condizioni ideali, quindi, per la coltivazione della vite e soprattutto del Sangiovese che regala vini dalla grande personalità solo quando cresce in ambienti e luoghi con caratteristiche pedoclimatiche che creano le condizioni ottimali per comunicare al meglio la personalità di un territorio. È il caso della collina di Brufa, sede del vigneto dove viene prodotto uno dei cru bandiera dell’azienda, il Torgiano Riserva Villa Monticchio. Il vino nasce nel 1962 ma è con la vendemmia del 1964 che le uve vengono vinificate separatamente e poi messe a maturare nelle botti di rovere dei boschi umbri e solo dopo dieci anni, dei quali molti passati a riposare in bottiglia nelle grotte di affinamento, viene immesso sul mercato, aggiungendo al nome del vino in etichetta il termine Riserva insieme al nome del vigneto Villa Monticchio. Nel 1968 c’è la premiazione di questo grande progetto con il riconoscimento a Torgiano della prima Doc umbra e nel 1990 con un disciplinare autonomo per la Riserva viene istituzionalizzata anche la prima Docg della regione.
È doveroso affermare che nel corso di questi anni, e soprattutto in questi ultimi dieci, le figlie Chiara Lungarotti e Teresa Severini, applicando le innovazioni sia in vigna sia in cantina, hanno contribuito in maniera determinante all’evoluzione di questo vino che viene prodotto solo nelle annate migliori. Densità d’impianto, bassissime rese per ettaro, tecniche di vinificazione all’avanguardia, scelta del giusto mix dei legni tra barrique e botti grandi per la maturazione hanno reso possibile accorciare i tempi di release dalla vendemmia, ora ridotti a cinque anni di cui gran parte in bottiglia, e conferire oltre alla grande complessità molta eleganza, garantendo comunque una continuità del vino con la sua storia. Questo straordinario atto d’amore per la terra della famiglia Lungarotti si concretizza in una verticale di rara eccellenza dal 2005 al 1974. Entrando nella sala da degustazione, la sacrale ritualità di occasioni rare, se non uniche come questa, è testimoniata dal nutrito manipolo di persone che accudiscono, ognuna con un preciso compito, “solo” dieci
bottiglie di vino, dal colore del vetro diverso, alcune lucide, alcune satinate ma quasi tutte (tranne quelle delle annate più recenti) impregnate del fascino della storia di un’azienda che identifica, soprattutto, un territorio unico. Il compito è quello di far arrivare nel bicchiere questa storia intatta, per rendere possibile percepirla in tutte le sue sfaccettature, durante la degustazione. Mentre i mille profumi diversi si diffondono nella sala, l’emozione prende sempre più corpo, accompagnando i silenzi, i respiri, gli assaggi e gli scambi di opinione e facendo convergere all’unanimità su un punto, ossia che la grande integrità dei vini riscontrata nelle annate degustate fa dichiarare con ragionevole certezza che sono poche le aziende che possono proporre una degustazione verticale di così alto livello. Fuori dalla verticale, chiude la degustazione dell’annata 1971, anno di nascita di una straordinaria donna del vino, Chiara Lungarotti, che con questo regalo dà appuntamento fra qualche anno per una replica dimostrando, ancora una volta, quali siano i valori che caratterizzano e qualificano l’azienda.
Il sogno di Chiara Lungarotti: una sinergia con il turismo Nata a Perugia, dove consegue anche la laurea in Agraria e dopo corsi di aggiornamento a Bordeaux, inizia giovanissima la gavetta in azienda. Oggi Chiara Lungarotti è amministratore unico di tutte le attività produttive che fanno capo all’azienda. È presidente nazionale del Movimento del Turismo del Vino, vicepresidente dell’Associazione Donne del Vino, accademico dell’Accademia dei Georgofili e dell’Accademia della Vite e del Vino. I suoi interessi culturali vedono in primo piano la musica, una passione che l’ha portata a essere consigliere di amministrazione della Fondazione Perugia Musica Classica. Che cosa pensa di aver ereditato da suo padre? «È stato senza alcun dubbio un vero maestro di vita, in tutti i sensi, soprattutto per avermi insegnato l’amore e la passione per il lavoro che si fa, in questo caso l’amore per la terra, perché mi preme ricordare che papà ha disegnato l’Umbria del vino sulle mappe mondiali». Che cosa pensa del vino italiano nel contesto del mercato globale in un momento di grande difficoltà come quello attuale? «Penso sia una sfida generazionale, ci troviamo di
fronte al grande problema della promozione, fare qualità da noi costa molto, ci dovrebbe essere più comunione d’intenti, una maggiore condivisione di obiettivi verso una sempre più efficace comunicazione delle nostre eccellenze. Di contro, il rischio reale di uscire dal mercato». Lei è una donna del vino molto affermata, stimatissima da tutti. Da presidente nazionale del Movimento del Turismo del Vino, una proposta per dare maggiore visibilità turistica alle cantine aderenti alla vostra associazione. «La ringrazio della domanda, perché mi dà la possibilità di esporre un desiderio al quale sto lavorando: che tutti i tour operator che organizzano pacchetti turistici, devono poter inserire, oltre all’arte, la musica, anche la visita a due o tre cantine di quel territorio, in modo da poter diffondere, a un sempre maggior numero di persone, la grande qualità dei nostri prodotti, dell’accoglienza e infine, da tenere in grande considerazione, l’educazione a un bere consapevole. Infine voglio fare un grande plauso all’Ais Umbria per essere riuscita a organizzare, nella nostra regione, un grande evento come il congresso nazionale, dove per quello che mi riguarda, penso di interpretare la volontà anche degli altri produttori, darò il mio contributo affinché sia un grande successo».
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Degustazioni
LA DEGUSTAZIONE Torgiano Rosso Riserva “Villa Monticchio” Vendemmia 2005 Una annata con decorso stagionale regolare, caratterizzata da accentuate escursioni termiche nel periodo antecedente la vendemmia. Un vino che spicca per straordinaria concentrazione e veste impenetrabile, rubino con bagliori di gioventù. Naso raffinatissimo e promettente, connubio di connotati giovanili (floreali) e complessità di piccoli frutti rossi pienamente maturi, costellati di spezie dolci con accenti balsamici e nuance minerali. In bocca è polposo. Lo sviluppo gustativo, sostenuto da tannini calibrati e abbondante vena tartarica, trova ottimo contrappunto nella componente alcolica. Non resta che attendere ulteriore evoluzione e fascino terziario, ma già ora impressiona la lunga e vellutata persistenza con ricordi di frutta e di spezie nel finale. Filetto al sangue con lamelle di tartufo nero di Norcia.
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Vendemmia 2004 Inverno rigido, estate piuttosto fresca, in lieve ritardo la vendemmia. Si mostra rubino con lievi trasparenze. All’olfatto incede scuro, spezie, sottobosco, rabarbaro, naso che si assottiglia con l’ossigenazione assestandosi su aromi di amarene e mirtilli in confettura con ricordi di violette e una evidente nota finale balsamico-mentolata. Assaggio autorevole e strutturato. Tannino serrato e vibrante asse acido-sapido, integrati in una massa estrattiva di riguardo conducono ad un finale appena contratto e sospeso, quasi a suggerire che non è ancora tempo per coglierne la grandezza. Cacciagione in umido. Vendemmia 2003 Annata considerata tra le più calde e siccitose degli ultimi cento anni. Un campione per concentrazione cromatica: rubino definito ed impenetrabile, disegna copiosi archetti. Decise folate di visciola sottospirito, mora in confettura, erbe officinali, spezie e tabacco dolce in un contesto di diffusa etereità (ambra resinata) che lascia spazio a intriganti guizzi minerali. In bocca è caldo e avvolgente, di notevole impatto e corpo; la grande forza tannica si lascia parzialmente smussare dall’abbondante abbraccio alcolico-glicerico ereditato dall’annata, il tutto racchiuso in una dominanza sapida. Caratterizza la persistenza una traccia gradevolmente amaricante con il calore a dettarne la chiusura. Ottimo con bocconcini di maiale alle spezie. Vendemmia 2001 Stagione regolare, una estate asciutta e soleggiata ha portato a una vendemmia con uve sanissime e perfettamente mature. Veste delle migliori occasioni, rubino integro e compatto con piccolissimi guizzi evolutivi. Quadro olfattivo inebriante e profondo, violette e garofani essiccati, amarena con il suo corteo di piccole bacche di bosco, cornice boisé di anice stellato, scatola di sigari, vegetale nobile di alloro e ginepro, e nuance minerale di humus. Al palato è godimento puro, in virtù dell’ottimo equilibrio e della speculare rispondenza gusto-olfattiva, appena mitigata da tannini fitti ma ben distribuiti. Monumentale per forza espressiva e capacità evocativa in un finale di bocca di delicate spezie dolci. Da conservare in cantina e capace di evolvere per molti anni. In abbinamento a grande cacciagione da piuma.
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Vendemmia 1997 Annata considerata una delle migliori del decennio, regolare, ha dato uve sane e perfettamente mature. Cambia la cifra stilistica, estrazione misurata e lunghissimo affinamento, parte in rovere di Slavonia e parte in barrique. Rubino granato di chiare trasparenze. Il bouquet approccia con grande eleganza e senza essere invadente, fiori essiccati, tè, corteccia, arancia candita, carne concia, rabarbaro e radice di liquirizia, in piena terziarizzazione. Bocca di buon volume in cui si innesta una componente tannica egregiamente rifinita e non asciugante grazie all’inesauribile energia acida. Soffre forse il confronto con lo strepitoso 2001, pur mostrando una compostezza invidiabile e un appagante finale dalle tinte minerali e amaricanti. Con bistecchine di cinghiale al lardo. Vendemmia 1992 Non in tutta Italia, ma in Umbria un’annata nella norma, con piogge scarse, clima asciutto e ventilato, precedente alla vendemmia. Granato brillante più rado nel bordo. Naso diretto su rimandi di tracce fruttate, composta di mele e pere, un abbrivio di gioventù che cede rapidamente il passo a sentori di evoluzione dalle tinte scure, rosa essiccata, macis, chiodi di garofano, terra arsa e tocchi empireumatici. Bocca integra e severa, che mostra con autorevolezza il suo “carattere” tannico soverchiato nel finale da una deriva ostinatamente sapida e sferzato da freschezza gustativa con timbro quasi pungente. Si congeda con una persistenza di dignitosa durata che sfuma su evocazioni fresche di erbe alpine. Cosciotto di agnello al rosmarino. Vendemmia 1988 Frutto di un millesimo prestigioso, con andamento perfetto, si mostra granato maturo percorso da vividi riflessi aranciati. Naso irresistibile, di grande seduzione: sa di tabacco, mineralità ferruginosa per poi concedersi con toni di visciola, ribes ed ancora mirto e humus tartufato. L’ennesimo colosso, di spettacolare estensione al gusto, per via di una accurata fusione tra le componenti: calore ben integrato, tannino che raggiunge l’ottima maturità affiancato da un tenore acido impressionante. Allungo finale, da grande vino, carico di rispondenze e di sapore. Un’altra esaltante prestazione, un vino che certamente regalerà grandi emozioni ancora per molto tempo. Con grandi formaggi stagionati della tradizione Umbra. Vendemmia 1982 Un’estate calda e le ottime condizioni alla vendemmia, ci presentano in vino con un bel punto di granato, profilo olfattivo caparbio nell’apertura ancora fruttata a quasi trenta anni dalla vendemmia: prugna, susine, gelatina di more, amarena sotto spirito, arancia sanguinella e ancora rosa canina, viole essiccate. Diventa con l’ossigenazione più profondo: cardamomo, caffè tostato, cuoio, spunti balsamici di alloro e tracce di mineralità. Invade il palato in maniera garbata, risalta il suo tannino maturo e levigatissimo ancor più accentuato dalla verve acida . La componente alcolica trova ruolo interessante contribuendo alla gradevolezza glicerica, in un quadro di buon equilibrio. Finale caloroso con accenni di scura speziatura. Affascina per l’eleganza non per la potenza. Lepre in salmì.
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Vendemmia 1977 Una stagione calda e asciutta ha prodotto uve sane e concentrate. Rigore filosofico, solo legni grandi e un lunghissimo affinamento in bottiglia di cinque anni. Ci donano un vino dal classico rosso aranciato trasparente, propone un naso “sussurato”, articolato in delicate espressioni di confettura di frutta rossa, pot-pourri floreale, miele di castagno, radice di liquirizia e sigaro toscano, di chinotto, infuso di artemisia e fondo di caffè. Splendida la presenza gustativa che propone integrità, equilibrio e un insieme di eccellente finezza. Sostenuto ancora da una calibrata intelaiatura, un tannino che svela serica trama tattile. La caparbia freschezza da dinamismo conduce verso un finale asciutto con eleganti ritorni di frutti e di spezie. Da abbinare alle quaglie brasate con tartufo. Vendemmia 1974 Millesimo regolare, primavera piovosa e estate molto asciutta portano a una vendemmia ideale. Colore tra l’arancio e il mogano con buona “mobilità” cromatica. Originale e di estrema suggestione l’incontro con l’olfatto, con stile, è quieto e di contegno “monacale”: funghi essiccati, nocino, salsa di soia, carne grigliata, tè nero, lavanda, reminescenze fruttate. Bocca disegnata dalle misurate note di origine ossidativa che conferiscono sensuale morbidezza a carattere placido, ma non arrendevole, che accompagna sino all’epilogo caldo, impreziosito da sapori di erbe officinali, cuoio e toni affumicati. Ha il grande fascino della maturità. Da meditazione.
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Viticoltura
L’oro nero del Salento di Alessandro Franceschini
LA
GRANDEZZA DEL
NEGROAMARO SALENTINO,
INDIPENDENTEMENTE DALLE ESIGENZE DEI MERCATI
INTERNAZIONALI, È IN GRADO DI LEGGERE COME POCHI IL SUO TERRITORIO LÀ DOVE SI RIESCA A ESALTARE POTENZA E BEVIBILITÀ
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istese solcate da ulivi e viti, ma soprattutto un cielo che guarda in mille direzioni, continuamente cangiante, che lascia passare una luce a tratti soffusa oppure accecante e calda. Quando si comincia ad attraversare il Salento si ha subito l’impressione di entrare in una dimensione “altra” della Puglia: le lievissime ondulazioni dell’orizzonte sono in realtà una grande pianura che sfiora altitudini di poco inferiori al centinaio di metri. Un mare di viti e di ulivi che potremmo affiancare agli altri due mari, questi realmente acquosi, che segnano una discontinuità che si unisce in forma di vento. Adriatico da una parte, Ionio dall’altra. Scirocco e Tramontana. Se l’ingresso tra i monumenti e le chiese lasciano quasi senza fiato, tanto è piena e opulenta la faccia barocca del Salento, una volta all’interno, tra le vie del centro di Lecce, così come tra quelle di Galatina, si respira un’atmosfera più soffusa, timida, senza trionfalismi o stucchevolezze. Questo lembo di Italia meridionale, crocevia di commerci, conquiste e culture ha stratificato in sé secoli di testimonianze tra le più disparate tra loro. Si può rimanere senza parole davanti alla Basilica di Santa Croce di Lecce, icona del Barocco salentino, così come lasciarsi penetrare dal mistero del mosaico pavimentale dell’Abbazia di San Nicola di Casale a Otranto, un magistrale connubio di Oriente e Occidente, tutt’ora enigmatico e difficile da decifrare nella sua interezza. Se vogliamo, il carattere del Negroamaro, l’uva regina nel Salento, racchiude più facce in sé. Quando ben eseguita, condensa peculiarità che non appartengono solo al proprio corredo aromatico. Calda, a tratti quasi terrosa, nell’aspetto gustativo tradisce spesso l’idea che ci si può fare se ci si ferma al solo naso. Essenziale, sapida, può inizialmente aggredire con la sua trama tannica, ma specie nelle versioni più tradizionali, ha l’indiscusso merito di riportare a una visione del vino più ancestrale, che meglio si addice alla quotidianità e alla tavola, che anche da queste parti
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L'abbazia di San Nicola di Casale a Otranto, particolare della vendemmia del mosaio pavimentale La Basilica di Santa Croce a Lecce M Five Roses del 1943 in bottiglia di birra
non lesina ricchezza ed eterogeneità. Un’uva che al naso può essere barocca, con quella ricchezza surmatura del frutto, tipica di molti vini pugliesi, ma al tempo stesso equilibrata se chi la maneggia ne ha la necessaria cura. Nuda in bocca, a volte nervosa, ma tremendamente bevibile e mai ridondante. I segni del cambiamento C’è fermento da queste parti, già da qualche anno. Un ritrovato fermento. Benché, infatti spetti probabilmente a un altro vitigno, il Primitivo, e ad altri areali, quelli di Manduria e, perché no, anche di Gioia del Colle, il rinascimento, nonché una vera e propria moda nei confronti di questo particolarissimo vitigno, nel Salento si ha la percezione di una tradizione vitivinicola a lungo tratteggiata senza urla o schiamazzi, condotta sia nel solco della tradizione che attraverso i nuovi investimenti portati da queste parti da imprenditori fuori regione. «Col rifiuto dei vini cattivi, sofisticati, con la ricerca di quelli veri, quindi anche buoni, facciamo onesta contestazione. Difendiamo con i leciti interessi di categoria, l’interesse più vasto per il vino. Per quel vino in cui tutto, vendemmia, vinificazione, assaggio, può ancora essere oggi, soprattutto oggi, in tempi di meccanizzazioni e di affanni, gioia e verità. Il vino è un valore reale perché ci regala l’irreale». Questa frase di Luigi Veronelli, che onora un riquadro che si scorge salendo le scalinate che portano al museo Piero e Salvatore Leone de Castris a Salice Salentino, stupisce per non pochi motivi. Per la sua stringente attualità ma anche per il luogo. È bello, infatti, leggere questo atto d’amore di Veronelli proprio in una regione nota ai più per i volumi che non per la qualità. Altri tempi si dirà. Ed è, per fortuna, vero. Una regione, Salento incluso, che è sempre stata serbatoio per qualcun altro. Di vino sfuso, per colorare mosti settentrionali meno dotati da questo punto di vista e magari, chi lo sa, anche per arricchirne profumi e aromaticità, ma anche di olio lampante, per accendere intere città, qualche secolo fa. Londra ne fu un esempio. Oggi molte cose sono cambiate: i frantoi ipogei rappresentano splendidi musei all’interno dei quali si respirano atmosfere quasi sacrali e non più luoghi di attività sfiancanti, dove uomini e animali lavoravano costantemente per produrre olio. Sono cambiate, vale a dire diminuite, anche le rese per ettaro della viticultura pugliese, aspetto che, insieme a una maggior consapevolezza tecnica, ha fatto sì che si potesse realmente valorizzare il potenziale di molte uve a bacca rossa di questa regione. Dal Nero di Troia al Primitivo, passando, ovviamente, per il Negroamaro. A spasso tra i secoli Leggere la storia della viticultura pugliese è, comunque, un viaggio non solo necessario, ma al tempo stesso affascinante vista la sua capacità di attraversare le vicende italiane. Qui la vite era presente ancor prima 41
Viticoltura
M Un antico frantoio ipogeo
della colonizzazione greca avvenuta tra il VIII e il VII secolo a.C.. Non a caso una parte dell’Italia meridionale era chiamata Oinotria, cioè “terra del vino”. L’essere punto di passaggio delle rotte commerciali tra Grecia e Calabria, nonché Sicilia e con la successiva nascita di Taranto (706 a.C.), fece sì che la cultura ellenica si diffondesse in moltissimi campi. Tra questi, ovviamente, anche quello della vite. E si deve soprattutto ai Messapi, gli abitanti della penisola salentina, la valorizzazione della viticultura e di un vigneto in particolare come l’Aleatico. Sempre in territorio salentino, un vino che fece epoca e che ha una grandissima fama nel campo dei recenti ritrovamenti archeologici è l’Alezio, prodotto nell’omonima cittadina vicino Gallipoli, attraverso la vinificazione del Negroamaro. Già in epoca romana la vocazione del vino pugliese a essere esportato diventò una sua caratteristica importante, ma dobbiamo saltare all’Ottocento per vedere una vera e propria esplosione della viticultura come attività agricola dominante in tutto il territorio pugliese. Se, infatti, durante il Medioevo, il grano spadroneggia e la vite serviva sostanzialmente per autoconsumo, tra il 1872 e il 1877 si assiste alla cosiddetta corsa al vigneto. In seguito al Trattato commerciale tra Italia e Francia, di stampo liberista, del 1863, di fatto la Puglia diventa un’enorme distesa di vigne che servono per produrre mosti colorati, alcolici, inadatti a durare nel tempo, ma ideali per tagliare i vini francesi. Un business enorme, specie per i possidenti terrieri più che per i contadini, che fece sì che il valore di un ettaro di terreno allevato a vite rendesse il doppio di uno coltivato a seminativo. La Puglia si trasformò in pochi anni in un grande serbatoio dedito a produrre un solo tipo di vino (il rosso) che aveva 42
un unico utilizzo (il taglio), collocato in un unico mercato (quello francese). Niente qualità, nessun miglioramento delle tecniche produttive, nessun reinvestimento dei profitti in queste direzioni. Un modello ad alto rischio e puntualmente la grande cavalcata si fermò e con essa arrivò la crisi. Fu sufficiente, infatti, che l’unico acquirente, la Francia, chiudesse i rubinetti (aumento dei dazi doganali) per far emergere la debolezza di un modello di sviluppo come questo. Ci si rivolse al mercato austriaco e ungherese, anch’esso bisognoso di mosti con caratteristiche simili a quelli pugliesi, nonché alla distillazione. Ma nulla fu come prima. (Per una dettagliata storia della viticultura pugliese si rimanda al volume Storia regionale della vite e del vino. Le Puglie, a cura dell’Accademia Italiana della vite e del vino, edito da Edizioni Pugliesi, 2010). Le due anime del Negroamaro Parlare di Negroamaro significa parlare di due facce: una più delicata, rosata ma di carattere, quasi «un escamotage per avere un vino da bere prima» come ha detto Alessandro Candido. L’altra, quella rossa, più potente, ricca ed essenziale insieme, che può essere di sorprendente raffinatezza. Benché il rosato sia una tipologia che ha solcato gli ultimi cinquant’anni di viticultura italiana alternando più prove opache che dimostrazioni del suo reale potenziale, non si può non notare un recente e rinnovato interesse. Sia da parte dei mercati che da parte della stampa specializzata. Sia per tipologie più leggiadre che per campioni con maggiori attributi: tra questi, il Negroamaro, si è ritagliato sicuramente un ruolo di primo piano. È proprio un Negroamaro rosato a rappresentare il papà di tutti i vini che appartengono a questa categoria in Italia, nonché a buon diritto può considerarsi l’apri-
pista del rinascimento di tutto il vino pugliese. La storia del Five Roses di Leone De Castris, primo rosato a essere imbottigliato in Italia, il 15 marzo del 1944, all’interno di un’incredibile bottiglia per birra è una storia che ben interpreta quel gioco tra irreale e reale di veronelliana memoria. (Per leggere con dovizia di particolari l’intera vicenda, si rimanda al bellissimo articolo di Armando Castagno, pubblicato su Bibenda 25 nel 2007 corredato da una degustazione verticale del Five Roses, dal ’44 a oggi). La crescita qualitativa dei rosati pugliesi è oggi una realtà con ottime fondamenta nonché prospettive per il futuro e il Negroamaro è il suo interprete principale, specie nelle versioni più nervose, che giocano con colori lievemente aranciati, toni minerali e agrumati insieme e una beva di grande piacevolezza. Il succitato Five Roses, specie nella versione anniversario, ne è un esempio. Ma a questo possiamo aggiungere oramai tanti altri ottimi interpreti: dal Le Pozzelle di Candido al Rosa del Golfo, dal Zimara di Sanchirico al Girofle dell’Azienda Monaci di Copertino o ancora il Mjère di Michele Calò & Figli. Il Negroamaro può dare origine a grandi rossi, anche da invecchiamento. Dipende, ovviamente, da molti fattori. Primo fra tutti da ciò che si fa in vigna e in cantina, si dirà. Corretto, ma non sufficiente. I mercati di riferimento non sono affatto da sottovalutare. La vocazionalità pugliese all’esportazione, che abbiamo visto attraversare secoli di storia, resiste anche oggi nel Salento. Come per molte altre zone italiane, da queste parti il Negroamaro viaggia in quantità consistente sui mercati esteri. Molti produttori hanno sottolineato la difficoltà, oggi in parte migliorata, a vendere vino a operatori del settore della regione. Ovvio che questo può incidere sulla connotazione delle peculiarità di questo vino. Se l’alcolicità, seppur minore rispetto ad altre zone pugliesi, e l’esuberanza della maturità del frutto sanno coniugarsi con un corpo ricco anche in tannicità e sapidità, può nascere un grande vino. Impossibile, da questo punto vista, non citare un grande classico, il Patriglione di Cosimo Taurino, che quanto a longevità sfida vini che altrove fanno dell’invecchiamento la loro arma migliore. Spostandoci a Copertino, stupisce la degustazione di una riserva del 1993 dell’Azienda Apollonio, in grande forma, a partire dal colore, ma soprattutto nella perfetta tenuta e integrazione tra estratto e tannini. Tante le denominazioni pugliesi che prevedono l’utilizzo del Negroamaro: ben quattordici, sulle ventisei totali della regione. Spesso in blend con altri vitigni. La Malvasia Nera di Lecce o Brindisi, storicamente, è sempre stata una compagna da maritare con il Negroamaro. A questo, nel tempo, si sono aggiunti anche il Montepulciano e il Primitivo (nonché vitigni internazionali) per ragioni aromatiche, di colore piuttosto che di acidità. La grandezza del Negroamaro salentino risiede ove si riesca a lavorare quasi in sottrazione: indipendentemente dalle esigenze dei mercati internazionali, l’essenzialità di questo vitigno, completamente diverso dalla prorompenza del Primitivo, è in grado di leggere come pochi il suo territorio là dove si riesce a esaltare, insieme, potenza e bevibilità.
L Una celebre citazione di Luigi Veronelli M Rosati di Negroamaro
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Abbinamenti
Il
cioccolato
esaltato dal nettare di Bacco di Mauro Carosso
NELLA
CAPITALE
ITALIANA DEL
CIOCCOLATO,
TORINO,
DUE SEMINARI SONO STATI DEDICATI AL
XOCO-HUALT,
“L’ACQUA
AMARA”, DIVENUTO
THEOBROMA CACAO OVVERO CIBO DEGLI DEI COME FU CHIAMATA LA PIANTA DAL NATURALISTA
LINNEO,
E
AL SUO ACCOSTAMENTO AI VINI E AI DISTILLATI
I gianduiotti, i primi cioccolatini incartati della storia
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amicizia e la stima per due cioccolatieri contemporanei, Guido Gobino e Guido Castagna, che con passione tengono alta la scuola torinese, ha favorito l’approfondimento didattico sull’abbinamento del cioccolato con i vini passiti, liquorosi e i distillati. L’attenzione di questi ultimi anni verso la degustazione di vino, olio, formaggio non ha risparmiato il cioccolato. La presenza sempre più specifica di cioccolato da degustazione, con provenienze e percentuali di cacao diverse, ha creato maggiore attenzione verso il prodotto di qualità. Anche il cioccolato si è riservato un posto con diritto di degustazione e conseguente abbinamento, creando un legame tra prodotti che fino a non molti anni fa sembravano inavvicinabili. Pur rimanendo alcune difficoltà è possibile creare una piacevole e intrigante armonia.
L’
LA STORIA DEL CIOCCOLATO ALLA CORTE SABAUDA Il cacao arriva a Torino attraverso i Duchi di Savoia. Il primo fu Emanuele Filiberto, detto “testa di ferro”, regnante negli anni 15281580. Il duca era capitano dell’esercito spagnolo e ricevette in dono dal re Carlo V le preziose fave che tanto avevano entusiasmato la Spagna, portandole a Torino. Gli spagnoli erano riusciti infatti verso la fine del ‘500 a realizzare il cioccolato, portandolo alla perfezione e a diffonderlo in Europa. Ulteriore affermazione della nobile bevanda avviene sotto il ducato di Carlo Emanuele I, regnante tra il 1580 e il 1630. Sposa Caterina d’Austria, figlia di Filippo II re di Spagna. La preparazione del cioccolato diventa dunque di casa alla corte dei Savoia. A Torino nascono numerose botteghe dove si esercita l’ar-
Il Duca Emanuele Filiberto di Savoia, il primo a portare il cacao a Torino
te del cioccolatiere. La presenza dei canali d’acqua che attraversavano a cielo aperto la città favoriranno in seguito le prime “fabbriche di cioccolato” in particolare alle basse della Dora. La bevanda al cacao diventa molto popolare nella città sabauda. All’inizio del ‘700 la colazione dei torinesi è la bavareisa, bevanda a base di cioccolata, caffè e fior di latte servita nel bicchiere. Nell’Ottocento prenderà il nome dal piccolo bicchiere con manico in cui veniva servita, il bicerin. Nella seconda metà dell’800, viene prodotta la pasta gianduja e da questa il primo cioccolatino incartato della storia, il gianduiotto. Tra le aziende storiche che hanno contribuito a rendere famosa la produzione del cioccolato e del gianduiotto torinese non si può non citare Caffarel, nel cui laboratorio fece apprendistato Louis Cailler e pare anche Philippe Suchard. Seguirono nel tempo numerose piccole aziende tra le quali Baratti & Milano, Talmone, Feletti, Streglio, Moriondo e Gariglio, trasferitasi a Roma al seguito dei Savoia, Gay, trasferitasi a Napoli, Peyrano, ultimo provveditore della Real Casa, Giordano, che ancora oggi produce a mano i gianduiotti. Negli ultimi anni del secolo appena trascorso, a fianco di questi produttori di cioccolato sono sorti diversi laboratori che mantengono viva la tradizione e l’anima dell’artigianato del cacao di Torino. Prodotti di alto livello, con attenzione estrema alla materia prima. L’ANEDDOTO: “FARE LA FIGURA DEL CIOCCOLATAIO” Lo racconto volentieri durante la lezione sul cioccolato al terzo livello. Il detto è attribuito al re Carlo Felice (1765-1831). Torino era famosa per la produzione di cioccolato, di conseguenza andando bene gli affari, un cioccolataio girava per la città con una carrozza tirata da quattro cavalli. Ordinariamente i nobili e i borghesi utilizzavano il tiro a due. Informato dai dignitari di corte, il sovrano, che utilizzava il tiro a quattro, fece chiamare il temerario e superbo cioccolatiere intimandogli di modificare le sue abitudini. Lui, re di Sardegna, di Cipro e di Gerusalemme non poteva permettersi di fare una figura da ciocolatè, ovvero da cioccolataio. Di qui il detto che significa fare una brutta figura, non essere all’altezza della situazione o meglio ancora atteggiarsi con indegna superiorità. LE CATEGORIE DI PRODOTTI 1. Prodotti dolciari della tradizione e innovativi, con utilizzo del cacao tra gli ingredienti (dessert). 2. Tavolette da degustazione con percentuali diverse di cacao, per un fine pasto o meditazione: cioccolato a base di latte; praline e cremini; cioccolato gianduja e giandujotti; cioccolato fondente con diverse percentuali di cacao. 3. Sorbetti o gelati a base di cioccolato.
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Abbinamenti
SEMINARIO DI DEGUSTAZIONE CON GUIDO GOBINO L’abbinamento è stato fatto con i vini e i distillati di Ceretto Terroirs. I fratelli Ceretto non hanno mezze misure, tutto è sempre ai massimi livelli. Giacolino Gillardi e i suoi collaboratori hanno allestito la degustazione con grande professionalità. Hanno partecipato Bruno Ceretto e sua figlia Roberta. La degustazione si è rivelata impegnativa con quattordici tipologie di cioccolato accostati a diversi prodotti tra vini passiti, liquorosi e distillati. GIANDUIOTTO TOURINOT MAXIMO GOBINO Prodotto senza latte, secondo la ricetta originale. Cacao Venezuela e Nocciola Piemonte Igp. Aromaticità molto persistente, dolcezza e grassezza persistente. Piemonte Moscato Passito 2004, I Vignaioli di S. Stefano Abbinamento equilibrato, giocato sulla freschezza del vino, dolcezza e buona persistenza. FOGLIO FONDENTE 60% CON NOCCIOLE PIEMONTE IGP INTERE L’aromaticità della nocciola tostata avvolge il palato, la nota amara del cacao incide sulla persistenza. Delicata dolcezza e percettibile succulenza. Porto Old Tawny de Zellaer Cristiano Van Zeller Il Porto esalta la persistenza della nocciola agendo con l’alcolicità sulla succulenza. CACAO EXTRA BITTER BLEND 63% Prodotto molto equilibrato, ottenuto da miscela di cacao poco acido e senza estratto di vaniglia. Gusto fruttato, elegante aromaticità. Porto Vintage 1985 Quinta do Vale D. Maria, Cristiano Van Zeller Alcolicità e delicata tannicità si contrappongono alla succulenza, paritarie le persistenze e in concordanza la dolcezza, contrappunto ideale la morbidezza con la tendenza amarognola. CACAO EXTRA BITTER BLEND 70% Miscela dei migliori cacao orientali. Gusto speziato morbido e persistente. L’assenza di estratto di vaniglia Bourbon valorizza l’aromaticità. Banyuls Rimage 2003 Domaine du Mas Blanc Ideale l’abbinamento con il vino dolce dei Pirenei. Centrata la contrapposizione con la morbidezza e tendenza amarognola. Sulla persistenza del cioccolato si allarga con tenacia il vino. CACAO EXTRA BITTER BLEND 75% Ottenuto da cacao aromatici, varietà trinitario. Intensa e persistente l’aromaticità, la tendenza amarognola si fa più incisiva, il finale è insolitamente fruttato. Barolo Chinato Ceretto, Alba Non risulta coprente l’intensa speziatura del vino. Si rivela vincente sulla persistenza finale, anche l’alcol agisce con vigore sulla succulenza. Abbinamento decisamente armonico. 46
CACAO EXTRA BITTER GHANA, ECUADOR 60% Cacao Arriba dell’Ecuador, ottima ed elegante tipologia fondente. Equilibrato il gusto, preciso il rapporto dolcezza e tendenza amarognola. Porto Vintage 1985 Cristiano Van Zeller Il Porto Vintage crea un preciso contrappunto con la grassezza del cioccolato. In corrispondenza l’armonia e in particolare l’apporto della giusta alcolicità. CACAO EXTRA BITTER VENEZUELA 70% Elegante aromaticità caratterizzata da morbidezza e bassa acidità. Si percepisce un piacevole sentore di caffè e agrumi. Montilla Moriles Don PX 1958 Bodegas Toro Albala Eccellente PX, il lungo affinamento esalta l’intensa persistenza. L’insolita freschezza è il cardine dell’armonico abbinamento, morbidezza tattile duellante con la tendenza amarognola. CACAO EXTRA BITTER JAVA 70% Cacao di varietà Java regala un’intensa acidità. I ricordi gustativi vanno dalle note speziate al tabacco con finale affumicato. Quasi un cioccolato primitivo. Rum 12 anni Compania Licorera Nicaragua Abbinamento giocato sulle intensità dei due prodotti, un gioco d’armonia basato su piccole dosi per entrambi. Finale caratterizzato da persistenza e armonia. CACAO EXTRA BITTER TRINIDAD 80% Non distragga la percentuale, notevole la tendenza amarognola, ma ricco e pieno il sapore. Degna di nota la grassezza e succulenza. Cognac Napoléon Maison Dudognon Ideale abbinamento giocato sulla forza gustativa del vino e del cioccolato. La notevole dolcezza è supportata da una sottile e insistente nota acidula. Armonia democratica. TAVOLETTA EGIZIA CACAO 85% Il cacao di Java e Trinidad viene lavorato con l’aggiunta di zucchero di canna, sale marino ed estratto di mirra. Un’esaltante e inconsueta aromaticità. Molto persistente. Montilla Moriles Don PX 2007 Bodega Toro Albalá Dolcezza persistente, intensa e avvolgente morbidezza, caratteristiche che bene accompagnano la forte aromaticità e la tendenza amarognola che nella dolcezza trova il suo compimento.
CIOCCOLATO AROMATIZZATO CIOCCOLATO BIANCO E PETIT GRAIN Aromatizzato con olio essenziale ricavato dalle foglie dell’arancio amaro. Impatto fresco e deciso tipicamente mediterraneo, unito alla delicatezza del cioccolato bianco. Kirsch, Distillato di Ciliegie Etter Ricavato da ciliegie della regione di Zurigo, puri sapori, di grande persistenza. Ideale concordanza sulla persistenza, finale pulito e delicato.
CACAO EXTRA BITTER 70% AROMATIZZATO AL CARDAMOMO Ricco di proprietà terapeutiche il cardamomo si lega felicemente con il cacao fondente creando una ricca intensità di sapore. Persistenza accompagnata da sensazioni di intensa freschezza. Barolo Chinato Ceretto Sensazioni ricche e persistenti, basate sulla concordanza delle rispettive intensità gustative, finale lungo e modulato sulle spezie. CACAO EXTRA BITTER 70% AROMATIZZATO ALLA CANNELLA La cannella Ceylon dalla spiccata aromaticità regala, in unione al cioccolato fondente, intense e piacevoli note speziate. Rum agricolo Sapori forti e intensi che regalano un preciso equilibrio. Un abbinamento riuscito e di vero carattere.
SEMINARIO DI DEGUSTAZIONE CON GUIDO CASTAGNA Vera rivelazione degli ultimi anni tra gli artigiani del cioccolato sabaudo. Nel suo laboratorio di Giaveno, in provincia di Torino, la filiera produttiva parte dalle fave di cacao aromatico della varietà Criollo, proveniente dal Venezuela. Guido esegue tutto il processo di lavorazione della materia prima per arrivare a un eccellente prodotto finale, di qualità assoluta. La specialità sono i cremini, cioccolatino di tradizione torinese, aromatizzati in varie tipologie. La vera sorpresa è stata il gianduiotto, prodotto con l’utilizzo di Nocciola Piemonte al 40% e cacao Criollo del Venezuela, zucchero di canna e niente altro. Un omaggio alla pura tradizione. Il seminario di degustazione ha coinvolto i degustatori e i collaboratori della delegazione di Torino. Sono stati testati i cremini, accostati a vini passiti, aromatizzati e liquorosi.
Il Porto Vintage è il compagno ideale per il cacao amaro
CREMINO CON MALVA E CARDAMOMO Ottima intesa gustativa tra le due componenti, particolarmente raffinato l’incontro con il cacao che media con delicata dolcezza la persistenza del cremino. Marsala Superiore Buona armonia con la tipologia semi secco. Si esalta il timbro balsamico e si lega alla dolcezza del cremino, lunga persistenza di entrambi i prodotti. CREMINO CON ZENZERO Intensa e articolata la persistenza balsamica. Lo zenzero tende a prevalere per carattere, ottimo il supporto in morbidezza reso dal cacao. Cognac Napoléon Ideale concordanza per intensità e persistenza, contrapposizione sulla succulenza molto piacevole. L’intensa morbidezza si lega alle note balsamiche. CREMINO CON CANNELLA E CALENDULA Vera sinfonia di sensazioni speziate, l’intrigante aromaticità della cannella si armonizza con il tocco balsamico della calendula. Barolo Chinato Con il più classico dei vini aromatizzati si crea un accordo mirabile tra le speziature del vino e del cremino. Dolcezza in piena armonia e discreta sapidità rigenerante sulla grassezza.
CREMINO ALLA NOCCIOLA Sia il classico sia quello con la nocciola intera sono caratterizzati dalla intensa aromaticità di quest’ultima. Un vero trionfo di sapore, molto persistente. Caluso Passito La freschezza del vino esalta l’intensa aromaticità della nocciola, agisce piacevolmente sulla grassezza del cremino, creando un accordo piacevole sulla persistenza.
CREMINO CON GRANELLA DI CACAO Incisiva la piacevole tendenza amarognola del cacao, segna il sapore e la persistenza del cremino resa ancor più evidente dalla granella. Porto LBV Un accordo molto piacevole basato sulla contrapposizione morbidezza-tendenza amarognola, unitarie le persistenze gustative che si esaltano vicendevolmente.
CREMINO CON PISTACCHIO DI BRONTE Caratterizzato dalla fine aromaticità del pistacchio che rende il finale gradevole e accattivante, con intensa dolcezza. Distillato di ciliegie Esalta con decisione le sfumature mandorlate del cremino oltre a fondersi in contrasto perfetto con la grassezza, armonia finale di grande piacevolezza.
CREMINO AL PEPE ROSA E PAPRIKA Per palati forti e disposti ad abbandonare le sensazioni scontate o tradizionali. Piccantezza e forte persistenza, difficile da domare. Whisky Con l’aggiunta di acqua risulta l’abbinamento migliore, accordo sulla lunga persistenza di entrambi e attenuazione della piccantezza. 47
L’intervista
Gutturnio, speranze e ambizioni
L Mario Fregoni nelle vigne piacentine 48
di Camilla Gaiaschi
tra le aree di più antica tradizione vitivinicola in Italia. I suoi vini, corposi e profumati, sono considerati l’eccellenza dell’Emilia Romagna. Diversi per storia e qualità dai “cugini” di pianura, e in particolare dal più noto Lambrusco, sono l’ultimo bastione della viticoltura di origine greca, che da Marsiglia è proseguita verso oriente per fermarsi su questi dolci pendii. Stiamo parlando dei Colli Piacentini, la patria del Gutturnio, il vino frutto del matrimonio tra la Bonarda e la Barbera, ma anche di un’ottima Malvasia, che in queste terre si coltiva nella più pregiata delle varietà: l’Aromatica di Candia. Eppure, nonostante le sue eccellenze, il Piacentino è praticamente sconosciuto al di fuori dei confini locali. Il mancato salto di qualità nella Docg, più per una scelta politico-istituzionale che non per mancanza di requisiti, assieme a errate strategie commerciali, stanno ora mettendo in ginocchio tanti produttori. Costretti ormai a vendere a prezzi inferiori rispetto a quelli di produzione. Ne parliamo con Mario Fregoni, tra i massimi esperti a livello internazionale di viticoltura e, come ama precisare, “piacentino d’adozione”. Già professore ordinario di viticoltura all’università Cattolica di Piacenza e autore di numerosi libri, Fregoni è stato presidente del Comitato Nazionale Vini Doc e attualmente è presidente onorario dell’Oiv (Organisation Internationale de la Vigne et du Vin), dell’Accademia Internazionale di Analisi Sensoriale, nonché sommelier onorario dell’Associazione Italiana Sommeliers. Amante di questa terra, Fregoni ha lottato un’intera vita per la tutela dei suoi vini e ora lancia l’allarme: la viticoltura piacentina è a rischio.
È
Lei parla di rischio di forte riduzione per la viticoltura piacentina. Non è forse troppo? «Non credo. La crisi ha colpito tutti, chi più, chi meno. La viticoltura piacentina partiva però già da una situazione difficile. Piacenza, essendo in Emilia, ha la sfortuna di subire l’influenza dei vini frizzanti: nell’immaginario collettivo il vino più famoso dei Colli Piacentini, il Gutturnio, è spesso confuso con il Lambrusco moderno. Il paragone però con la viticoltura di origine etrusca, che discende cioè dalle vigne “alberate”, come quella appunto che si coltiva in pianura, non tiene. La viticoltura piacentina è al 100 per cento collinare. I costi di produzione sono perciò molto più elevati e la quantità prodotta, per ettaro, è inferiore. Si tratta insomma di vini molto diversi, in storia e qualità. Ma il prezzo di vendita è praticamente lo stesso e non rende giustizia al territorio. Con la crisi è sceso ulteriormente a prezzi insostenibili per chi opera in collina. Sappiamo tutti, dati Oiv alla mano, che il consumo di vino in Europa continua a calare. Se Piacenza vuole vincere la scommessa con il futuro deve puntare all’export extra-europeo, ma per un territorio che fatica a uscire dai confini locali non sarà di certo facile. La mia preoccupazione è che si perda la viticoltura, che vorrebbe dire perdere una tradizione antica di 2000 anni».
COLLI PIACENTINI GUTTURNIO È un vino DOC la cui produzione è consentita nella provincia di Piacenza ottenuto da Vitigni: Croatina (Bonarda) e Barbera. È il capostipite dei vini rossi piacentini. Nel 1967 il Gutturnio è stato tra i primi dieci vini italiani (e il primo vino piacentino) a ricevere la denominazione d'origine controllata (DOC). Esistono vari tipologie di Gutturnio: Gutturnio Classico Gutturnio Classico Riserva Gutturnio Classico Superiore Gutturnio Frizzante Gutturnio Riserva Gutturnio Superiore Resa (uva/ettaro): 120 q Resa massima dell'uva: 70,0% Titolo alcolometrico naturale dell'uva: 11,5% Titolo alcolometrico minimo del vino: 12,0% Estratto secco netto minimo: 20,0‰ Vitigni con cui è consentito produrlo: Barbera: 55.0% - 70.0% Croatina (Bonarda): 30.0% - 45.0%
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L’intervista
Milanese di nascita, piacentino di adozione e docente di viticoltura. Che cosa l’affascina di queste terre, spesso misconosciute ai più? «La viticoltura piacentina ha una tradizione storica molto lunga, che nasce al tempo dei Romani. Si narra che Cesare avesse bevuto quello che oggi si chiama Gutturnio, in un’anfora, il gutturnium appunto, che diede poi il nome al vino. Rispetto al resto dell’Emilia, il vino piacentino ha una storia interessante, di impronta greca. Da Marsiglia, l’influenza ellenica è passata attraverso la Liguria e il Piemonte per arrivare, e fermarsi, sui colli piacentini. Le caratteristiche vinicole, in particolare della Val Tidone, sono quelle dell’antico Piemonte e non a caso il Gutturnio, è una miscela di Barbera e Bonarda». Il Gutturnio, appunto: l’eccellenza dei colli. Un vino che sta cercando, con molta fatica, di uscire dal mercato locale. Ci riuscirà? «Il Gutturnio è un vino che sta subendo, anche se con molta lentezza, delle evoluzioni. L’80 per cento è ancora frizzante, perché così vogliono i consumatori locali. Il restante 20 per cento è invece costituito da vino tranquillo, che sta progressivamente raggiungendo i mercati extra-territoriali e prima o poi prenderà il posto del Gutturnio frizzante, sulla falsa riga di quello che è già successo a suo tempo al Barbera piemontese. Si tratta di un processo inevitabile, per quanto lento». A cosa è dovuta questa lentezza? «Alla mancanza di un’apertura verso altri mercati che non siano quelli locali. E qui ritorniamo al problema di cui si parlava sopra. Il prestigio qualitativo del Gutturnio rispetto agli altri vini emiliani è conosciuto solo all’interno della regione e in Lombardia. Al di fuori, è molto difficile trasmettere questo messaggio. Ho portato qui numerosi operatori del settore, in particolare stranieri, che non immaginavano nemmeno l’esistenza di una viticoltura di questo tipo a Piacenza e soprattutto la straordinaria bellezza dei paesaggi collinari. C’è un evidente ritardo dal punto di vista dell’organizzazione commerciale, manca un organismo che faccia da promozione al territorio».
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Che cosa propone a riguardo? «Immaginerei un’associazione dei comuni viticoli piacentini, che si uniscono per far conoscere il territorio. Non è solo una questione di vendere vino, ma di inserirlo all’interno di un’offerta culturale in senso lato. Sono molto deluso perché per anni ho sostenuto che il vino simbolo del piacentino venga proposto alla Docg ma questo non è mai avvenuto. Manca la voglia di fare un salto di qualità, di trasformarsi in vino di prestigio, di limitarne la produzione. E in questo le responsabilità investono politici e amministratori di varie istituzioni, anche di settore». Passiamo a un’altra eccellenza del territorio, la Malvasia. «L’Italia è il Paese delle Malvasie. Nonostante l’origine greca del nome, sembra che non sia stata importata dai Greci, così come la varietà di Candia, che in greco significa Creta, non proviene dall’omonima isola. Le sue origini restano misteriose, di sicuro nella Bobbio di San Colombano, in Val Trebbia, la Malvasia non era ancora arrivata, mentre i monaci a quell’epoca, siamo nel 600 d.C., parlavano già di Ortrugo, l’“altra uva”, tra i bianchi locali più apprezzati. La Malvasia che attualmente troviamo sui colli piacentini è la varietà di Candia Aromatica, la regina delle Malvasie, la più “profumata” tra le diciassette presenti in Italia. La finezza e la persistenza aromatica di questa uva, peraltro utilizzata come base per il Trebbianino e il Monterosso, non si trova nelle altre Malvasie. Credo che Piacenza abbia tutte le carte in regola per diventare la capitale della Malvasia. Di sicuro per ottenere la Docg, valorizzando così eccellenze e territorio». Lei è stato estensore della legge 164 del 1992 sulle Doc e Docg. Qual è il suo giudizio sulla nuova legge? «Complessivamente positivo. Ci sono alcuni elementi interessanti, ma trovo molto rischiosa la mancanza di obbligatorietà per quanto riguarda l’indicazione geografica per i vini con nome di vitigno. Il pericolo è però mitigato dal fatto che questo verrà concesso solo per i vitigni internazionali e non per quelli italiani. In genere, la nuova legge eredita gran parte della struttura di quella vecchia. A cambiare è tutta la parte relativa ai controlli, che mi auguro siano davvero efficaci».
Giovani chef
Lo chef Roberto Andreoni con i suoi collaboratori
Passione per la
tradizione con uno sguardo al
futuro
di Fabio Brioschi assione è la parola cui lo chef Roberto Andreoni fa più volte ricorso mentre parla della propria avventura professionale. Non potrebbe essere altrimenti, dato che è stato e continua a essere una delle anime della sezione italiana dell’associazione Giovani Ristoratori d’Europa, il cui motto è “talento e passione”. Andreoni, classe 1960, ora è socio onorario dell’associazione, non essendo più un giovane chef, ma per tanti anni ne è stato protagonista con il suo ristorante Via del Borgo di Concorezzo (oggi provincia di Monza e Brianza). Aderire all’associazione, nata in Francia nel 1974 e diventata europea nel 1992 con lo scopo di valorizzare e sostenere l’esperienza di tanti giovani chef, fu in qualche modo il naturale approdo per chi, come Andreoni, dopo anni di gavetta, aveva deciso di tentare il grande passo di aprire un ristorante proprio. Caratteristica peculiare dei
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Giovani Ristoratori, infatti, è che lo chef associato sia proprietario o comproprietario del ristorante in cui esercita la professione; un elemento questo che coniuga ed esalta imprenditorialità e professionalità. Se si chiede ad Andreoni qual è lo spirito con cui opera all’interno dell’associazione, si comprende bene come innanzitutto prevalga la voglia di condividere le proprie esperienze in un clima di collaborazione e convivialità. I congressi annuali sono l’occasione per fare il punto sugli aspetti professionali della categoria, ma anche per fare festa e spesso cucinare insieme. Ogni anno nuovi associati si aggiungono a questa lista che oramai sta per toccare quota cento. E i soci onorari, come Andreoni, un po’ ne sono diventati i tutori. «Vogliamo mantenere alto il livello dell’associazione» spiega lo chef Andreoni, «e sostenerne la filosofia che si esprime nel motto “talento
RAMANDOLO D. O. C. G.
prossimi appuntamenti Nimis e Tarcento UD 15 maggio 2010 Centro Antonio Comelli - località Ramandolo - Villa Moretti Oro di Ramandolo Conoscere Ramandolo, convegno su vino e territorio Degustare a Ramandolo, a cura dei produttori Laboratori del Gusto, a cura di Slow Food FVG A Cena con il Ramandolo, serata di gala con asta benefica Su e giù per Ramandolo, passeggiate guidate con bus navetta L'esterno del ristorante, un'antica corte lombarda ristrutturata
e passione”. Chi non ha i requisiti richiesti deve aspettare di possederli per entrare a farne parte, ma non è questione di concorrenza. La concorrenza non esiste, siamo colleghi e siamo diversi, io faccio il mio e cerco di essere diverso dagli altri. Nell’associazione regna lo spirito di gruppo e la collaborazione». Passione, dicevamo. Una passione che è nata da ragazzo, quando Andreoni ha scelto di frequentare l’istituto alberghiero Vespucci di Milano. Poi una trafila abbastanza normale, con le immancabili esperienze stagionali e l’approdo, dopo otto anni, in uno storico ristorante di Milano, l’Osteria Corte Regina. Un posto frequentato da gente del calibro di Gualtiero Marchesi, Luigi Veronelli e Gianni Brera. Un posto dove ci si attardava a parlare, a scambiare idee sul cibo, ma non solo. Un posto che, a parlarne oggi, rimanda alla dimensione di una Milano creativa, nottambula, profonda. Altri tempi. Passare una sera a tavola con Brera... Gente di altro calibro. Ma non c’è compiacente malinconia nelle parole di Andreoni. Forse un pizzico di orgoglio, questo sì. Da Corte Regina Andreoni passa a lavorare nello storico bistrot di Marchesi in cima alla Rinascente di piazza del Duomo. Anni di profonde esperienze umane e professionali. Poi è venuta la decisione di tentare l’impresa da solo o meglio con la moglie, che ora però si occupa della casa e dei figli. Via del Borgo nasce nel 1994 e Andreoni sceglie una localizzazione di grande significato per la propria storia privata: la casa dove aveva vissuto il nonno, in un’antica tradizionale corte lombarda finemente ristrutturata. L’ingresso dell’attuale ristorante è proprio fisicamente ubicato nei pochi metri in cui la sua famiglia aveva vissuto, e dove lui stesso è stato da bambino. Accanto, dove oggi c’è la sua sala ristorante, fino al 1990 c’erano le stalle. Quando il proprietario decise di ristrutturare la corte e previde di creare moderni appartamenti e spazi commerciali, Andreoni prese in affitto i locali e creò il suo ristorante. Per uno chef il proprio ristorante è come una seconda casa, ci si passa gran parte del proprio tempo e necessariamente deve riflettere la personalità del proprietario. «Offrire un ristorante piacevole» ha detto chef Andreoni, «è sempre stata la mia intenzione. Il cliente deve essere
Monza 24 maggio 2010 ore 21 Urban Center, Binario 7, via Turati 6/8 Serata Ramandolo A cura dell’Associazione Italiana Sommeliers Delegazione di Monza e Brianza
enoteche e wine bar selezionati Emilia Romagna Cantina Tumedei V. Ortolani 32 Bologna Tel. 051-540239 Friuli Venezia Giulia Acer V. Manin 16 Udine Tel. 0432-504186 Ai Bintars V. Trento Trieste 67 S. Daniele UD Tel. 0432-957322 Carnia Sapori Sauris di Sopra UD Tel. 0433-866378 Costantini Rist. V. Pontebbana 12 Collalto UD Tel. 0432-792004 Da Benito Largo Diaz 4 Nimis UD Tel. 0432-790019 Enoteca Bischoff V. Mazzini 21 Trieste Tel. 040-380333 Enot. Dawit V. Alpi Giulie 30 Camporosso UD Tel. 0428-63012 Enot. di Buttrio V. Cividale 38 Buttrio UD Tel. 0432-683072 Enot. La Serenissima V.Battisti30Gradiscad’I.GOTel.0481-954539 Gelateria Montereale V.Montereale23PordenoneTel.0434-365107 Rist. Al Monastero V. Ristori 9 Cividale del F. UD Tel. 0432-700808 Rist. Cial de Brent V. Pordenone 1 Polcenigo PN Tel. 0434-748777 Santanna srl V. Maniago 27 S. Quirino PN Tel. 0434-91122 G. Scognamiglio V. Conti 34 Trieste Tel. 040-639582 Trattoria al Grop V. Matteotti 7 Tavagnacco UD Tel. 0432-660240 Lazio Enot. dei Desideri P.le Gregorio VII 17/18 Roma Tel. 06-6381507 Enoteca Trimani V. Goito 20 Roma Tel. 06-4469661 Lombardia Bottega del Vino Peck srl V. Hugo 4 Milano Tel. 02-861040 Cantina la Frasca V. Ticino 15 S. Fruttuoso MB Tel. 039-2726243 Enoteca ai Ronchi V. Galilei 89 Brescia Tel. 030-305354 Enoteca Cotti V. Solferino 42 Milano Tel. 02-29001096 Ottimo Rist. e Gastr. V. S. Marco 29 Milano Tel. 02-62694634 Sarfati V.le Sabotino 38 Milano Tel. 02-58310687 Winner Wines srl V. Roma 27 Leno BS Tel. 030-906374 Toscana Enoteca Bonatti srl V. Gioberti 66/R Firenze Tel. 055-660050 Selez. Fattorie V. Artigianato 50 Montespertoli FI Tel. 0571-670584 Trentino Alto Adige Club Moritzino Piz La Ila Alta Badia BZ Tel. 0471-847407 Enoteca Gandolfi V.le Druso 349 Bolzano Tel. 0471-920335 Veneto Enoteca Centrale V.IVNovembre59MestrinoPDTel.049-9004947 Enoteca Cortina V. Mercato 5 Cortina d’A. BL Tel. 0436-862040 Enot. La Mia Cantina P.le S. Croce 21 Padova Tel. 049-8801330 Quadri Gran Caffè P.zza S. Marco 120 Venezia Tel. 041-5222105
Consorzio Tutela Vini Colli Orientali del Friuli e Ramandolo info@ramandolo.it www.ramandolo.it
Giovani chef Bresaola di manzo Kobe
Risotto al rosmarino e caprino con costoletta d'agnello
Un aperitivo con mondeghili, zuppa di cipolle, zuppetta di fave e calamari, broccoletti all'agro
rilassato e sentirsi a suo agio. Siccome ci passo molto tempo cerco di renderlo gradevole secondo il mio gusto e spero che se piace a me possa piacere anche ai miei ospiti. Qui non conta quanto si vuole spendere. Si possono spendere solo 20 euro oppure 200, dipende da quello che si vuole, l’importante è che ci sia equilibrio al tavolo: se una persona ordina due portate e il suo commensale ordina il menù degustazione da sette portate è ovvio che uno finirà prima e l’altro dopo». Il menù di Via del Borgo non è impostato sulla tradizionale divisione fra antipasti, primi e secondi, bensì sulle pietanze: carne, pesce, formaggi. In più la cucina offre la possibilità di affidarsi allo chef per un menù degustazione che spazia un po’ su tutti i piatti forti del momento oppure permette di scegliere fra il menù di stagione a base di formaggi e verdure e un menù Brianza, a base di carne con i prodotti tipici del territorio. «Quando creiamo un menù cerchiamo di dargli una struttura abbastanza classica, in modo da non disorientare il cliente. Tuttavia, la divisione classica fra primo e secondo qui da noi non ha ragion d’essere. L’importante è scegliere bene fra pietanze che si compensino e che siano adatte anche al vino scelto. In genere i clienti si orientano su due piatti e quin-
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di che scelgano quello che più gli piace senza pensare a primo e secondo». L’attaccamento al territorio è uno dei punti fermi di Via del Borgo, al punto che Andreoni è stato tra i promotori dell’associazione Cuochi e Ristoratori di Lombardia, nata con lo scopo di coinvolgere e stimolare l’uso dei prodotti tipici della regione, partendo innanzitutto dagli agricoltori e allevatori. «L’anno scorso siamo riusciti a fare consorziare sette contadini del Vimercatese, insieme ai quali abbiamo cominciato un percorso di valorizzazione dei prodotti locali. Alcuni prodotti quali la patata di Oreno, l’asparago di Mezzago, la farina del parco Molgora sono eccellenze del territorio, ma rischiano di perdersi perché la produzione è bassa e i prezzi alti. Eppure il mercato ci sarebbe, solo che i produttori hanno difficoltà a distribuire questi prodotti meravigliosi: l’associazione serve anche a questo, a mettere in rete produttori e ristoratori, in modo da rendere continuo l’approvvigionamento». La territorialità, non solo lombarda, e la tipicità sono discorsi che stanno molto a cuore ad Andreoni e alle associazioni di cui fa parte. Anche e soprattutto quando si parla di vini. «La nostra carta dei vini è arrivata a
La gelateria dove si lavora senza coloranti e con soli ingredienti naturali La sala
Il bar di Roberto Andreoni
contare anche 800 etichette, quasi tutte disponibili in cantina. L’idea è di coprire il più possibile la regionalità e la provenienza da tutto il mondo, non solo dall’Italia. Con una peculiarità: la carta è divisa a seconda della tipologia di vino e non in base a un criterio geografico. Questo permette a chi ama un determinato vitigno di poter confrontare tutte le etichette a nostra disponibilità, quindi valorizzando la bottiglia per quello che è, anche quando il produttore è poco noto. Tutto il vino che ho in cantina è ciò che mi piace, che ho provato, magari grazie al consiglio di un amico o perché l’ho assaggiato a una fiera. Cerco piccoli produttori con un buon rapporto qualità/prezzo, anche se non sono noti, purché mi piacciano, li metto in carta e li consiglio ai miei clienti. Potrei fare una carta dei vini più sicura, con etichette di grande richiamo, ma non è quello che voglio». La ricerca di prodotti nuovi ha definitivamente imboccato per Via del Borgo la strada della produzione biologica e naturale. «Oggi già il 70 per cento del cibo che serviamo è biologico e nel giro di pochi mesi vorremmo che fosse tutto naturale e tradizionale. Anche la carta dei vini sta seguendo questa strada e tutte le etichette nuove sono biologiche, perché molte aziende si sono con-
vertite alla produzione di vini biologici, che spesso sono anche meglio dei tradizionali. Non è una moda, assolutamente, ma una scelta di piacevolezza». Che la scelta di favorire l’utilizzo di prodotti biologici e naturali non sia una moda, ma una scelta, lo dimostra un altro paio di imprese di chef Andreoni. Insieme ad alcuni soci/amici da tre anni ha aperto sempre a Concorezzo un bar e una gelateria: nel bar sono vietatissimi i prodotti di richiamo commerciale e si offrono birre artigianali e naturali e vini biologici; nella gelateria si producono gelati senza coloranti e con soli ingredienti naturali. «Il bar e la gelateria erano due imprese che mi piacevano molto. In particolare, in gelateria facciamo gelati senza coloranti e con sola frutta di stagione. E poi creiamo i gelati che utilizziamo anche al ristorante come accompagnamento ai nostri piatti, gelati al parmigiano, alla barbabietola, allo zafferano. Utilizziamo molto il latte di capra e abbiamo creato una serie di gusti a base latte di capra. I clienti lo apprezzano al punto che ogni tanto qualcuno se ne va con in mano un cornetto alla barbabietola. Noi consigliamo di utilizzare il gelato per fare degli abbinamenti, ma se piace... perché no?». Non fa una grinza.
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Tendenze
Le nuove frontiere del piacere tutte da scoprire
TRA LE REGIONI AL TOP DAL PUNTO DI VISTA TURISTICO-LUDICO, IL VENETO E LA SICILIA VINCONO PER LE EMOZIONI PROPOSTE, MA L’ABBINATA DI QUALITÀ ED EMOZIONI VEDE IN VETTA LOMBARDIA ED EMILIA ROMAGNA
di Roberto Piccinelli alla comparsa dei Detox Club all’esplosione delle Trolley-Dinner, c’è tutto un mondo intorno alle nuove frontiere del loisir. Entrano in scena il ristorante “a peso”, il cocktail antinfluenzale e la cena con le bolle di sapone, mentre l’aperitivo top si chiama Hugo… Perfino l’ospitalità cambia le sue regole, in funzione delle nuove tendenze e abitudini sociali: se una volta si parlava di mezza pensione o di pensione completa, ora gli alberghi più trendy puntano sulla pensione tre quarti! Fra i balli, impazza l’erotico Daggering ma sale alla ribalta la Danza del Lulur, che pure ballo non è. In fatto di food&beverage diventano modaioli i locali votati alla cucina Kasher, mentre un barlume di luce in fondo al grave problema dell’alcol giovanile arriva dall’entrata in scena dei drink Just an Illusion. Fra le città al top svetta- Tropea
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no Lecce, Roma, Salerno, Siracusa e Venezia, fermo restando che assumono sempre più importanza i quartieri, tornano alla ribalta le vasche old style e impazza il rito della movida open-air: le aree più gettonate si rivelano Borgo Wuhrer (a Brescia), Città Vecchia (a Bari), Piazza dei Martiri (a Mirano), Piazza Flavio Gioia (a Salerno) e Piazza San Giorgio (a Sarzana). Quanto alle località di montagna, vincono e convincono Courmayeur, Gran Sasso, Livigno, Sauze d’Oulx e Selva di Val Gardena, mentre il mare celebra il ritorno al vertice di Forte dei Marmi e Milano Marittima, la riscossa di Santa Margherita Ligure e la definitiva esplosione di Cefalù e Tropea. Nella classifica delle regioni al top dal punto di vista turistico-ludico, il Veneto vince quanto a emozioni proposte, la Sicilia domina per numero di Oscar, ma la
quadratura del cerchio, l’abbinata fra qualità ed emozioni, vede in vetta Lombardia ed Emilia Romagna. Quest’ultima offre buoni spunti poiché sono proprio due prospicienti località romagnole ad avermi ispirato lo slogan dell’estate: “Tu Russi, io Godo”. Trattasi della versione riveduta e corretta del classico “chi dorme non piglia pesci” e ribadisce in modo chiaro che regioni, città e porzioni di territorio troppo propense a tirare i remi in barca o, addirittura, ad addormentarsi sugli allori, perdono posizioni e credibilità. Ma non basta. Dal punto di vista sociologico, testimonia fedelmente il cambiamento dei tempi e del linguaggio: quarant’anni fa, nel 1970, il film Love Story strappava il cuore con la frase “Amore significa non dover mai dire mi dispiace”. RITORNO AL FUTURO Tanta la carne al fuoco, necessarie le spiegazioni. Procediamo, facendo un salto indietro nel tempo. Corre l’anno 1977, il 14 dicembre, quando sugli schermi americani irrompe Saturday Night Fever, film targato John Travolta e Bee Gees, che arriva nei cinema italiani il 13 marzo 1978. Ebbene, trentadue anni dopo La Febbre del Sabato Sera, il fenomeno-discoteca perde colpi a beneficio di un nuovo rito, di matrice salutistico-socializzante, le terme del sabato sera. Le beauty farm surclassano i dancefloors: la voglia di benessere e il culto dell’immagine, hit dei giorni nostri, detronizzano il rito del ballo anche sul suo terreno più fertile, il fine settimana. Alle terme, arrivano frotte di giovani che, in gruppo, quando la luna è già alta, sguazzano in acqua fra frigidario, calidario e sprazzi salsobromojodici, con adeguato contorno musicale e maggiore possibilità di fare nuove amicizie. Le prove? Presto detto, l’apertura fino a tardi del Grand Hotel Nuove Terme di Acqui Terme, l’esplosione di un centro benessere con dj incorporato quale il Panta Rei di Capri e i dance-party dell’Hidron di Campi Bisenzio, maxi-aquapark con centro wellness, distribuito su ben 35mila metri quadrati. Conseguenza diretta del trend sono i Detox Club, locali trasversali capaci di alternare massaggi e the, camera di compensazione e vino, ginnastica e bevande energetiche, solarium e mojito. Qualche nome? Caribe (Modena), Geo Village (Olbia) e Wellfit (Parma). I ristoranti non restano certo a guardare: moltiplicano la loro fantasia, cercando di regalare nuovi sogni alle rispettive clientele. Il Pravda Cafè di Sanremo invita le coppie a presentarsi a cena con una valigia piena dell’occorrente “per passare un’indimenticabile notte fuori casa, in una splendida località, a sorpresa”. Il lui e la lei che vengono baciati dalla fortuna di un sorteggio amico sono attesi all’uscita da una limousine con autista… L’ex Contrada di Dalmine riparte, adottando il nome Guga, soprannome di Gustavo Kuerten, mitico tennista brasiliano e sperimentando una formula di ristorazione nata proprio in quel Paese, salvo poi essere rimbalzata a New York e a Londra, il “pranzo a peso”! Lo sviluppo è di semplice spiegazione: il cliente sceglie ciò che vuole da un buffet lungo 27 metri e dopo essersi servito da solo va diritto alla cassa che, dotata di bilancia, consente agli inservienti di pesare i piatti, stabilire il prezzo ed emettere lo scontrino. Prove tecniche equilibrate dimostrano la convenienza economica
della proposta, ma il conto della serva è presto fatto: le vivande sono proposte a 15 euro al chilogrammo e il consumo medio di ogni singola persona si attesta sugli 800 grammi… Ciò nonostante, la formula è diventata di moda per la maniacale cura dell’immagine in atto ai giorni nostri: mangiando così è infatti possibile tenere sotto controllo tanto il portafoglio quanto la linea. Del resto, niente da dire, in questo caso a fare spettacolo è proprio la bilancia! La società che ha voluto l’iniziativa è formata da Renato Rodigari e tre soci, mentre la direzione è appannaggio di Giuseppe Mucedola che, nemmeno a farlo apposta ha lavorato per ben quindici anni in Brasile. Il Pacifico di Milano Marittima sale ancora una volta alla ribalta come Oscar del piacere, in quanto dimostra di saper adattare le sue forme di spettacolo all’evolversi dei tempi. E fu così che la vintage-mania completò il cerchio vitale… Si mangia ai margini di una cascatella fluo, mentre il mix fra musica revival e vocalist “salutatutti” irrompe nell’aria e un gruppo di sirene fa il bagno nella piscina illuminata. Appena si sale di ritmo, nell’ambito di un menù fisso, di gente che rimane seduta ce n’è davvero poca: al suono di Tuca Tuca, Stasera mi butto, Se mi lasci non vale e Su di noi (quella di Pupo è la vera hit dance del momento: strano, ma vero), tutti a ballare a fianco, sopra e sotto i tavoli, con i tovaglioli al vento! Ultimamente, si è aggiunta anche l’usanza di fare le bolle di sapone e riempire la sala di venditori di cappelli. Fa tanto Rimini, anni ’60, non vi pare? NOMI ILLUMINANTI Gli hotel più lungimiranti, quale il Tolder di Valdaora di Sopra, non possono fare a meno di sposare la filosofia vitale della “pensione tre quarti”: ricco buffet proposto dalle ore 14.00 alle 17.00 che, nel caso specifico, risulta ideale per i ritmi vitali degli sciatori, ma si rivela vincente anche per località marine e città. Svegliarsi tardi la mattina (post notti allungate nel tempo) e andare al mare non prima delle 11.00 vuol dire trovare trendy e perfetta questa nuova formula, garantito. Bar e american bar spaziano in lungo e in largo, visto che il Nottingham Forest di Milano propone un cocktail antinfluenzale, a base di estratti di Echinacea, termine che comprende varie specie di piante endemiche del Nord America, di cui venivano usate soprattutto le radici. L’Echinacea fu un medicamento basico fra gli indiani d’America, che la utilizzavano per impiastri, collutori e, 57
Tendenze
I LOCALI PIÙ TRENDY Ba Ghetto. Via del Portico d’Ottavia 57, Roma. Tel. 06/68892868 Balebuste. Via della Vittoria 44, Ferrara. Tel. 0532/763557 Blanco. Piazza Lavater, ang. via Morgagni 2, Milano. Tel. 02/29405284 Caribe. Via Toscanini 16, Modena. Tel. 059/367313 Charlise. Via Dei Monti Di Creta, Roma. Tel. 06/6622894 Fishbanke. Via Dr. Streiter 28, Bolzano. Tel. 0471/971714 GeoVillage. Circonvallaz. Nord, direz. Golfo Aranci, Olbia. Tel. 0789/596790 Grand Hotel Nuove Terme. Piazza Italia 1, Acqui Terme (AL). Tel. 0144/58555 Guga. Via Friuli 29, Dalmine (BG). Tel. 035/567453; 347/3993564 Hidron. Via di Gramignano, Campi Bisenzio (FI). Tel. 055/892500 Kosher Bistrot. Via Santa Maria del Pianto 68/69, Roma. Tel. 06/6864398 Milano. Via S. Pellico 3, Castione della Presolana-Bratto (BG). Tel. 0346/31211 Morgan’s. Via Bafile 225, Lido di Jesolo (VE). Tel. 347/6409003 MyKosher. Streda de Doleva, Alba (TN). Tel. 0462/602460 Nottingham Forest. Viale Piave 1, Milano. Tel. 02/798311 Pacifico. Viale Romagna 64, Milano Marittima (RA). Tel. 0544/994727 Panta Rei. Via Lo Palazzo 7, Capri (NA). Tel. 081/8378898 Pravda Cafè. Piazza San Siro 16, Sanremo (IM). Tel. 0184/591829 Tolder. Vicolo della Chiesa 6, Valdaora di Sopra (BZ). Tel. 0474/496127 Wellfit. Via Emilio Lepido 66, Parma. Tel. 0521/486805 IL LOCALE ALLA MODA CHIAMA, IL CALCIATORE COMPRA... Flavio Briatore (Twiga-Marina di Pietrasanta; Billionaire-Porto Cervo) Alessandro “Billy” Costacurta (Cocoà-Forte dei Marmi) Mauro Tassotti (Dac a Trà-Castello di Brianza) Giovanni Lasaracina (L’Ancora-Bari/Palese) Christian Abbiati (3 Jolie-Milano) Giancarlo Alessandrelli (Next Door-Porto Cervo) Gianluigi Buffon (La Romanina-Ronchi) Pasquale Bruno (Mulligan’s-Maglie) Giuseppe “Beppe” Bruscolotti (10 Maggio ’87-Napoli) Fabio Cannavaro (Il Re di Napoli-Napoli; Regina Margherita-Bologna) Dario Dainelli (Locanda dell’Amicone-Peccioli) Ciro Ferrara (Da Ciro-Torino) Kakha Khaladze (Giannino-Milano) Marcello Lippi (Twiga-Marina di Pietrasanta) Massimo Ambrosini (L’Amour-Milano) Felice Centofanti (Mitikò-Ancona) Gennaro “Rino” Gattuso (3 Jolie-Milano) Clarence Seedorf (Finger’s-Milano e Baja Sardinia) Xavier Zanetti (El Gaucho-Milano) Roberto Donadoni (Dac a Trà-Castello di Brianza) Adrian Mutu (Sottotono-Carmignano; Pasha-Bucarest) Giampaolo Pazzini (Panbagnato-Ponte Buggianese) Fabrizio Ravanelli (N° 11-Cagli) Paolo Rossi (Poggio Centina-Bucine) Luca Toni (Figli dei Fiori-Cervia) Pietro Paolo Virdis (Il Gusto-Milano)
soprattutto, infusi contro raffreddore, vaiolo, morbillo, parotite epidemica e artrite. I risultati di numerosi studi farmacologici hanno dimostrato che le preparazioni ottenibili dalle piante medicinali appartenenti al genere Echinacea hanno la capacità di stimolare l’attività del sistema immunitario, potenziando le funzioni delle cellule natural killer e fungendo da valido aiuto per sostenere il nostro sistema immunitario contro gli attacchi influenzali. Il drink ideato da Dario Comini (che lo ipotizza tanto come long drink alla frutta quanto come un classico Martini Cocktail) è controindicato per chi soffre di allergie alle betulle e alle asteraceae, soggetti asmatici e donne in gravidanza. Dal Blanco di Milano, nato da una costola dell’omonimo chiringuito di Formentera, arriva un freschissimo cocktail a base di vino (Oktober Mint by barman Fabio Tarroni. Componenti? Morellino di Scansano, vodka, foglie di menta e tanto ghiaccio). Segnaliamo che dal Trentino Alto Adige, Fishbanke di 58
Bolzano in primis, irrompe lo spritz, new version: si chiama Hugo ed è un mix fra prosecco, sciroppo di sambuco, soda e foglie di menta. Vince e convince, conquista terreno all’ora dell’aperitivo, sembra un mojito, ma non lo è. A proposito di apparenza, in parziale ma graditissimo aiuto al grave problema dell’alcol giovanile, arrivano i drink Just an Illusion. Fra i primi a proporli, il Morgan’s di Jesolo, pronto a sviluppare la geniale idea del cocktail trompe l’oeil. Geniale perché in un’era sociale in cui i giovani troppo spesso si fanno travolgere dalla voglia di emulazione o pseudo-trasgressione di gruppo, inventarsi il simil-mojto può fare del bene. Chi non ama, non regge o non vuole giudiziosamente esagerare con l’alcol, ma non vuole nemmeno sentirsi emarginato da una comitiva che beve una cosa sola, quasi in presenza di un diktat divino, può optare per un cocktail che sembra un mojito in tutto e per tutto (foglia di menta compresa) eppure non lo è. In quanto composto da ingre-
dienti rigorosamente analcolici. Il risultato finale è che l’immagine esteriore del bevitore è salva e il fegato pure... Ovviamente, l’escamotage vale anche nel caso che il drink di riferimento si chiami Caipinriha, Caipiroska, Cuba Libre, etc. L’idea si rivela tanto più interessante, in quanto il locale segnalato è da sempre un punto di ritrovo di compagnie under 23, che ne apprezzano l’atmosfera latina, la musica piacevole e la facilità di socializzazione. Dal bar alla cucina il passo è breve e qui la novità sta tutta nella trionfale avanzata della filosofia culinaria ebraica: il Kasher sfonda a Roma con i modaioli Ba Ghetto e Kosher Bistrot, ma anche a Ferrara con il Balebuste e ad Alba con l’hotel Mykosher. A colpire è sì l’espansione di menù e preparazioni tipiche, ma soprattutto il fatto che i locali ospitanti abbiano iniziato a regalarsi look e clientele di matrice trendy. Niente male per una cucina che ha radici nella Bibbia e che vuole ancora le foglie d’insalata lavate una a una, nonché la rigida divisione fra latticini e carni, le quali ultime devono essere certificate dal rabbinato! Passando ai balli, dalla Giamaica fa capolino il superhot Daggering, che però è già in odore di divieto perfino nell’isola del reggae. Dalle Grandi Antille all’Indonesia per salutare il grande successo riscontrato nella Penisola per la Danza del Lulur che, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, è un massaggio tipico dell’isola di Java: dona al corpo tutti gli effetti benefici di un’armoniosa sequenza di manovre di stretching dolce effettuato con una sciarpa di seta. Da provare al Charlise di Roma o all’Hotel Milano di Castione della Presolana, ove è seguito da una doccia profumata, un impacco restituivo allo yogurt e infine un sontuoso bagno caldo, tra gelsomini e rose. Magia pura. CALCIO CHAMPAGNE Della filosofia di gioco dell’Olanda di Johan Cruijff all’attuale mondo del pallone di casa nostra il passo è lungo, eccome. Più che di Calcio Champagne si deve parlare di Calcio&Champagne, visti i soldi che girano nel settore e la patina vip che ammanta i protagonisti degli stadi. Fatto sta che per gli appassionati di Vipwatching estivo, niente di meglio che lo studio della Top 11 Social Football Club 2010, squadra di calcio completa di titolari, riserve, allenatori, presidente e addirittura chef, formata da proprietari di locali pubblici (discoteche, bar, ristoranti, stabilimenti balneari, agriturismi, etc.) che, nella vita di tutti i giorni, hanno un pallone fra i piedi. Calciatori-imprenditori che, da soli, con i loro familiari o con i soci, hanno pensato bene di investire una parte dei loro guadagni nel mondo del loisir. La formazione è stilata, avendo come unico e insindacabile criterio di selezione il successo dei rispettivi locali, nell’anno in corso. Rispetto al 2009, entrano in campo Costacurta, Pazzini, Mutu, Donadoni, Dainelli e Zanetti, mentre escono Ambrosini, Toni, Rampulla, Antognoni e Ravanelli. Ma è l’intera rosa che deve essere tenuta in considerazione: vedetela e regolatevi, perché è l’anno dei Mondiali di calcio ed essere nel locale giusto al momento giusto potrebbe regalare emozioni modaiole a bizzeffe!
Eventi
Una per lanciare i vini portoghesi di Alessandra Rotondi GLI AMERICANI SONO MOLTO SENSIBILI AL NUOVO E ALLE OPERAZIONI DI MARKETING CHE PREMIANO LA QUALITÀ COMBINATA A UN COSTO CONTENUTO
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New York, presso Cipriani 42 Street, si è tenuto il Grand Wine Tasting dei Vini del Portogallo, appuntamento annuale di forte richiamo per gli appassionati e addetti ai lavori, organizzato dalla Dunn Robbins Group, agenzia di pianificazione che negli USA significa: eventi vino di gran successo. Tema portante della manifestazione: “A World of Difference“ ovvero “Un
A
Mondo di Differenza”, per lanciare una nuova campagna internazionale volta a evidenziare la peculiarità dei vini portoghesi, le oltre 260 varietà autoctone e le tecniche di vinificazione insolite rispetto al resto del mondo, soprattutto per quanto concerne i blending. La diversità è stata la vera protagonista dell’evento, preannunciata anche nella brochure di presentazione: «La natura è estremamente complessa e, nella maggior parte dei casi, la scienza dell’essere umano è troppo limitata per capire le ragioni di tale complessità. Non sappiamo come il sole, il vento, la pioggia, la terra, le pietre comunichino tra loro. Possiamo solo annusare o assaggiare il risultato. Colui che ne sa di vino riconoscerà anche a occhi chiusi un vino del Portogallo perché ha profumi e sapori diversi rispetto a ogni altro vino del mondo. Questo è il risultato di una natura unica e di una particolare comunicazione tra il sole caldo, i venti freschi dell’Atlantico, le piogge torrenziali, le terre formatesi milioni di anni fa, le varietà autoctone delle uve e, non ultimo, il lavoro di moltissimi piccoli produttori che rispettano ancora il carattere distintivo e lo preservano». Nel dettaglio, l’evento ha registrato la partecipazione di cinquantuno produttori delle maggiori aree vinicole nel Portogallo: Minho,
Trasmontano, Duriense, Beiras, Lisboa, Peninsula de Setubal, Alentejano, Beiras, Algarve e le isolane Terras Madereinses e Açores, con banchi di assaggio di un’ampia gamma di vini e ulteriore possibilità di approfondimento a due seminari-degustazione, per addetti ai lavori e pubblico, tenuti da Michael Weiss, professore degli Studi enologici presso l’Istituto americano delle Arti culinarie. Ma “A World of Difference” è soprattutto il logo di una più vasta campagna lanciata a Lisbona nel febbraio 2010 dal ministero dell’Agricoltura, in cui è stato creato un nuovo marchio globale (umbrella brand) per la promozione internazionale: “Vinhos de Portugal – Wines of Portugal”. Gli Stati Uniti sono il primo Paese al mondo a conoscere il brand. La creazione del marchio deriva dalla consapevolezza raggiunta, dopo accurati studi compiuti sull’andamento del mercato americano e del Regno Unito e soprattutto sui consumatori di vino degli stessi Paesi, che manca totalmente la percezione del Portogallo come Paese produttore di vini di qualità. Si conosce e si apprezza solamente il Porto e, in forma minore, il Madeira. L’obiettivo dei soggetti che hanno concepito la campagna iniziata nel 2009, il suo lancio e diffusione, ossia l’Instituto da Vinha e do Vinho, l’Instituto dos Vinhos do Douro e do Porto, Viniportugal, le Commissioni Vitivinicole regionali e varie imprese del settore, è la creazione di una forte coscienza nazionale che aumenti la percezione dei vini portoghesi all’interno dei mercati internazionali, puntando decisamente al mercato USA e britannico, almeno nella prima fase. Vinhos de Portugal, accompagnato dal logo “A World of Difference”, sarà considerato bene pubblico rappresentativo di un settore dell’economia nazionale ma portatore dell’immagine del Portogallo in senso lato, esprimendo, attraverso i vini, la varietà, la complessità, la tipicità dell’intero Paese. Il simbolo del marchio, riprodotto largamente durante l’evento newyorkese nelle cartelle stampa, nei quaderni di degustazione, negli striscioni, nei manifesti e persino proiettato nelle pareti e soffitti del
L Marcio Ferreira, Area Manager di Vini Portugal, e Aileen Robbins, Titolare della Dunn Robbins Group, organizzatrice dell'evento
Cipriani, è una P maiuscola la cui grafica, piena di intrigante simbolismo, è stata creata appositamente per catturare l’anima dell’avventura e il desiderio di esplorazione tipici del popolo lusitano. L’elemento chiave della P è un cuore, simbolo della passione per il vino e la terra da cui nasce. C’è poi una figura umana che indica il ruolo dell’uomo che interagisce con la natura per far crescere l’uva e fare il vino, bicchieri intorno a un tavolo a rappresentare il piacere di condividere il vino e il sacro senso dell’ospitalità, il tutto con colori sgargianti e luminosi, quali verde, blu e rosso che contrastano vivacemente con il bianco e il nero dello sfondo. Tale P diventerà l’immagine coerente e coesiva dei vini del Portogallo per ogni operazione marketing e verrà usata nelle brochure, gadgets, su tutte le liste vino dei ristoranti o punti vendita, esibita durante le fiere, nei website e, fondamentale, verrà riportata nella retro etichetta di tutti i vini delle regioni. Il Grand Tasting ha riscosso un gran successo di pubblico, attirando ospiti anche per la bellissima sala da ballo nella quale si è tenuto e per un biglietto d’ingresso abbastanza contenuto, i cui proventi di vendita sono andati al finanziamento di Slow Food America. Tra le novità per i palati e i nasi americani, molte etichette di spumanti rossi, secchi, da uve Baga fermentate in bottiglia con metodo classico, presentati da varie aziende, tra cui São Domingos dell’area centrale Barraida, verso l’Atlantico. L’uva Baga si presta alla spumantizzazione e si abbina bene alla cucina tipica di questa regione: maialini da latte e pesci e in preparazioni elaborate quali il bachalau assado, merluzzo
essiccato e poi fritto con patate. Hanno destato curiosità anche i vini dolci, a base Moscatel, Arinto e Malvasia tra cui l’Alambre 20, dell’azienda Josè Maria da Fonseca, (area Setubal), blend di varie annate, tra 20 e 40 anni d’età; analogo successo anche per il Periquita Riserva 2007 della stessa azienda fatto con Castelão, Touriga Nacional e Touriga Franca, molto bene recensito dalle riviste specializzate americane. Per quanto presenti, i banchi d’assaggio dei Porto non sono stati i più frequentati, registrandosi una curiosità maggiore verso i vini mai provati prima. Gli americani sono molto sensibili al nuovo e alle operazioni marketing vincenti che premia-
L La sala del Cipriani 42 Street
no la qualità combinata a un costo contenuto, vista la sussistente recessione economica. Rimangono invece disorientati di fronte a legislazioni complicate o eccessive frammentazioni di aree vinicole, molteplicità di categorie, sottocategorie, indicazioni, zone superiori o denominazioni. Tale mancanza di orientamento si traduce nella difficoltà di vendita di alcuni vini, colpevoli di non essere famosi al pari di altri, anche se di eccellente qualità, o nella loro totale assenza nelle carte dei vini dei ristoranti. Il Portogallo sembra aver trovato una soluzione funzionante per il mercato americano che privilegia la coesione e l’unione fa la forza, tramite la creazione di una P comprensiva di tutto, in cui le variegate differenze, considerate vero patrimonio nazionale, possono esprimersi. 61
Turismo
Austria,
dove il vino
è di casa da secoli
di Elisa della Barba CON I SUOI
60MILA
ETTARI L’AUSTRIA È UN PAESE VINICOLO
PIUTTOSTO PICCOLO, MA I VIGNETI CARATTERIZZANO
ALCUNI TRA I PIÙ BEI PAESAGGI, COME LA
WACHAU IN BASSA AUSTRIA, LE RIPIDE COLLINE DELLA STIRIA MERIDIONALE E LE SOLEGGIATE AREE INTORNO AL LAGO DI
NEL 62
NEUSIEDL
BURGENLAND
erde. Se si pensa all’Austria il primo colore che viene in mente è proprio questo: le sue foreste occupano circa il 46 per cento del territorio. L’Austria è situata nell’Europa centrale, non ha sbocco sul mare e tre quinti sono occupati da territorio alpino. Non si potrebbe fare un quadro completo se non si dicesse che è uno dei pochi Paesi che hanno dichiarato la neutralità permanente. Da sempre in buoni rapporti con l’Italia, in comune con noi ha una qualità di vita decisamente alta e la varietà del paesaggio. Per quanto riguarda l’etimologia del nome esistono diverse teorie, tra cui quella di Friedrich Heer, uno dei più importanti storici austriaci del XX secolo, che sostiene che la forma germanica ostarrîchi (territorio orientale) sia il risultato di un termine antichissimo risalente alle lingue celtiche della regione. Oggi comunque il suo nome ufficiale è Repubblica d’Austria (Republik Österreich). Con un territorio che è in gran parte ricoperto da catene montuose e da vegetazione, l’Austria attira a sé una buona parte di turismo domestico e straniero. Questa industria occupa una parte importante dell’economia e costituisce il 9 per cento del prodotto interno lordo. Nel 2007 l’Austria si è classificata al nono posto per le entrate turistiche internazionali, con quasi 19 miliardi di dollari americani. Per gli arrivi, si è classificata dodicesima con quasi 21 milioni di turisti. Anche il 2008 è stato un anno positivo per il turismo austriaco che ha visto salire gli arrivi, con un aumento del 4,7 per cento rispetto al 2007, mentre i per-
V
REPUBBLICA D'AUSTRIA Capitale: Vienna Superficie: 83.858 km² % delle acque: 1,3 % Popolazione (2007): 8.316.487 ab. Densità: 99 ab./km² Lingue ufficiali: tedesco Altre lingue: croato e ungherese, una minoranza in Burgenland, e sloveno, una minoranza in Carinzia Ingresso nell'ONU: 14 dicembre 1955 Ingresso nell'UE:1 gennaio 1995
nottamenti sono stati 126,7 milioni con un aumento del 4,3 per cento. Costituita da nove regioni federali, l’Austria ha registrato aumenti di pernottamenti ovunque. Ma da dove provengono i turisti? La maggior parte arriva dalla Germania, dai Paesi Bassi, dal Belgio e dalla Francia – da segnalare anche un incremento del turismo domestico – mentre diminuiscono quelli dall’Inghilterra, dalla Svizzera e dall’Italia. Pollice verso invece per il 2009 e il 2010. La stagione invernale 2009/10 parla di un turismo “mordi e fuggi”: dal novembre 2009 al febbraio 2010 si calcolano meno 1,6 per cento di notti spese sul territorio con un più 0,6 per cento per gli arrivi. I numeri però parlano anche di organizzazione turistica implementata: durante la stagione invernale 2008/2009 e quella estiva 2009 il numero dei letti disponibili è aumentato dell’1,9 per cento (in inverno) e dello 0,8 per cento (in estate), paragonato allo stesso periodo dell’anno prima. Il trend continua: incrementi sono stati registrati per gli hotel a 4-5 stelle con un più 4,3 per cento in inverno e un più 5,1 per cento in estate, mentre si è vista una diminuzione di letti per quanto riguarda la disponibilità nelle case private, con un meno 1,9 per cento in inverno e un meno 3,9 per cento in estate. L’occupazione dei letti per l’estate 2009 è calata al 29,6 per cento rispetto al 30 per cento del 2008 e anche per la stagione invernale 2008/09 si è registrata una diminuzione dello 0,9 per cento. Sempre nel 2009 si sono ridotti i pernottamenti dell’1,9 per cento rispetto al 2008, con un totale di circa 124 milioni. I pernottamenti interni sono aumentano dell’1,6 per cento mentre quelli dall’estero del 3,3 per cento. La media delle notti di pernottamento turistico è di 3,8, con una diminuzione dello 0,1 per cento rispetto al 2008. I pernottamenti negli hotel a 1 o 2 stelle sono diminuiti nel 2009 del 5,7 63
Turismo Il castello di Schönbrunn È stato la sede della casa imperiale d'Asburgo dal 1730 al 1918. Una volta era in campagna, ma ormai è stato inglobato dalla città e ora si trova nella periferia ovest di Vienna. Il nome di Schönbrunn gli venne dato dall'Imperatore Mattia che, durante una battuta di caccia in quest'area, vi scoprì una fonte di acqua limpidissima da cui il nome di Schöner Brunnen (bella fonte). Dal 1996 il palazzo e il giardino sono stati dichiarati patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Salisburgo
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per cento, in quelli a 4-5 stelle dell’1,5 per cento. Un terzo dei pernottamenti è stato registrato in hotel a 4-5 stelle. Per quanto riguarda le mete preferite, è Vienna quella che richiama di più in assoluto in tutte le stagioni. Salisburgo riceve un quinto dei turisti totali durante l’estate, mentre in inverno i luoghi di richiamo sono i resort sciistici: Ölden, Saalbach-Hinterglemm, Ischgl, Sankt Anton am Arlberg, Kitzbühel (Tirolo), Salzburger Sportwelt, Turracher Höhe e Obertauern. Ed è proprio negli impianti sciistici che l’Austria si supera, con modernità e attenzione all’ambiente. Nel comprensorio sciistico SkiWelt Wilder Kaiser-Brixental gli skilift sono a energia solare! Ma non è solo lo sport il potenziale dell’Austria: ogni anno si organizzano diverse attività per attirare il maggior numero possibile di turisti. Questo però non avviene rivolgendosi a clienti che potrebbero portare a un turismo di massa. L’offerta viene diversificata il più possibile, in modo da aumentare la qualità del turismo. Per il 2010 numerosi gli eventi in programma, come a giugno quello dell’esibizione dal vivo nel parco del castello di Schönbrunn dei filarmonici di Vienna, con ingresso gratuito e una serie di concerti di Gustav Mahler (1860-1911), di cui quest’anno ricorre il centocinquantesimo anniversario della nascita. Consigliata anche la meta di Kleinarl, sulle montagne del Salisburghese: qui si possono fare escursioni, gite in bicicletta e arrampicate, a soli 70 chilometri da Salisburgo. Da non perdere il Museumsquartier a Vienna, un complesso di 60mila metri quadrati, che ingloba più di venti musei e iniziative private che hanno rinnovato quest’area appartenente in passato alle stalle reali. Classica e sempre divertente la ruota panoramica del Prater, il parco divertimenti viennese. Non molti sanno che le grotte di ghiaccio più facilmente accessibili sono in questo Paese: le Eisriesenwelt Höhle (cioè le gigantesche cave di ghiaccio) si possono visitare con un tour di 75 minuti. Anche le cascate Krimml Falls a tre livelli meritano una visita: contano un’altezza complessiva di 380 metri. E poi il Tirolo, con capitale Innsbruck, e i bellissimi laghi
In alto a sinistra la Wiener Schnitzel, a destra i Knödel, gnocchi di pane o semolino. Sotto, a sinistra, un invitante Apfelstrudel. A destra la Frittatensuppe
Il Lago di Neusiedl
Wörthersee, Wolfgangsee, Traunsee, Hallstättersee e Mondsee. E non può mancare la Via Culinaria: sette itinerari attraverso Salisburgo e la sua regione che toccano 62 ristoranti, fattorie, pasticcerie, aziende produttrici di generi alimentari locali e trattorie tipiche. Sempre restando nella filosofia dell’offerta diversificata, i sette itinerari sono ben differenziati: c’è quello per i palati raffinati, quello per gli amanti del pesce, quello per i dolci-dipendenti, quello per i patiti della birra e così via. Sicuramente l’Italia è forte di una cucina che non ha (quasi) rivali, ed è esattamente per questo che dovrebbe puntare ancora di più sull’enogastronomia, ma non si può dare un quadro completo senza descrivere i piatti da provare in territorio austriaco. La gastronomia è varia e merita un esame accurato: è qui che si nascondono le più profonde radici della cultura monarchica austro-ungarica. Accanto a piatti tipicamente austriaci, troviamo quelli di origine boema, ungherese e italiana. Nelle regioni occidentali si può riconoscere chiaramente un tocco bavarese e alemanno. Queste influenze gastronomiche risalgono alle vicende storiche che hanno coinvolto l’Austria. La struttura del pranzo consiste in una zuppa seguita da un secondo piatto. La Frittatensuppe, strisce di crespelle in brodo, la Leberknödelsuppe, gnocchetti di fegato in brodo, o la Kürbiscremesuppe, crema di zucca, sono da provare. Tipici anche i Knödel, gnocchi di pane o semolino, salati o dolci, ripieni di carne, verdure o pesce. Per quanto riguarda i secondi di carne sono consigliati la Backhenderlsalat, pezzi di pollo impanati su un letto di insalata, il Cordon Bleu, il Tafelspitz, un bollito di carne di manzo che è una specialità viennese, oppure il Tiroler Gröstl, pezzetti di carne cotta con patate e uova. C’è poi la famosa Wiener Schnitzel, in lotta con la cotoletta alla milanese per stabilire quale delle due sia nata prima. Per il pesce, quelli di lago sono i più comuni: Forelle, la trota, Gebackener Karpfen, la carpa fritta, o i filetti di luccio, Zanderfilet. Va detto che quasi tutti i menu, almeno quelli dei ristoranti meno turistici, sono solo in tedesco, quindi uno studio dei termini è d’obbligo per non incappare in piatti sconosciuti e poco graditi. Una curiosità: il nostro “happy hour” è il loro Brettljaus’n, un piatto freddo con una scelta di salumi, verdure, uova pane e patè (tutto artigianale) serviti su un piatto di legno. Ma è risaputo che il punto di forza della cucina austriaca sono i dolci. Probabilmente legati al clima che non è deci65
Turismo Vigneti in prossimità del Lago di Neusiedl
Le coltivazioni nella Stiria
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samente mediterraneo, i dessert sono calorici e buonissimi. Spesso sono la lista più lunga del menu. Abbiamo lo strudel più correttamente chiamato Apfelstrudel, o pasta sfoglia ripiena di mele, uva passa e cannella. La Kaiserschmarrn è un tipico dolce viennese composto da una omelette stracciata con composta di frutta, la Mohr im Hemd, un soufflè di cioccolato e papavero. E poi ovviamente la Sachertorte. Questi dolci sono spesso accompagnati da un elaborato rituale che conosciamo bene: il caffè. Ci accomuna la fantasia nel servire questa bevanda calda in molti modi diversi (non dimentichiamo che l’Austria è passata anche sotto l’Impero Ottomano, cultore del caffè): melange, caffè con schiuma di latte o panna, Kleiner Brauner, caffè ristretto con latte, Großer Brauner, caffè lungo con latte, espresso, Einspänner, caffè moca con panna servito in bicchiere, Fiaker, caffè moca corretto con cognac e servito in bicchiere. Al pasto si preferiscono bibite analcoliche che a noi possono sembrare stonate, come l’Apfelsaft, succo di mele, Gespritzter Apfelsaft, succo di mele con acqua minerale frizzante e l’Orangensaft, succo di arancia o il leggermente alcolico Radler, metà birra e metà gazzosa. I vini austriaci sono comunque i benvenuti sulla tavola con una varietà e una qualità notevoli nonostante la loro eccellenza si conosca ancora poco nel mondo. Quello che trae spesso in inganno è il fatto che si associa spesso il terreno vinicolo della Germania a quello austriaco. Niente di più errato: la realtà è che il clima in Austria è più temperato e permette una maturazione dell’uva migliore, che dà vini più robusti e corposi. L’Austria, con i suoi 60mila ettari di vigneti, è il diciottesimo produttore al mondo per quantità. Furono probabilmente le popolazioni celtiche a coltivare per prime le viti in questo territorio. Il testimone fu passato ai Romani, subendo una battuta d’arresto sotto i Barbari e riprendendo solo con Carlo Magno, grazie all’importanza del vino nel rituale cristiano. La produzione vinicola è dedicata a vini bianchi secchi e dolci (80 per cento della produzione totale), ma si producono anche vini rossi. Le uve a bacca bianca, utilizzate sia per la produzione di vini secchi, sia di vini dolci, sono Grüner Veltliner, Furmint, Chardonnay (noto nella Stiria con il nome di Morillon), Muskateller (Moscato Bianco), Neuburger, Pinot Bianco, Pinot Grigio, Riesling, Müller Thurgau, Sämling, Sauvignon Blanc, Traminer, Welschriesling (Riesling Italico). Fra le uve a bacca rossa troviamo il Blauburgunder (Pinot Nero), Blaufränkisch, Cabernet Sauvignon, St. Laurent e il Zweigelt. Va sottolineato poi che la maggior parte dei vini austriaci è monovarietale (cioè i vini sono prodotti con un’unica uva). Wachau in Bassa Austria, la regione intorno a Vienna, è la zona vinicola più estesa. Più del 50 per cento dei vigneti del Paese si trova qui, dove si coltivano principalmente vini bianchi. Il Burgenland è la seconda regione vinicola: si producono i vini dolci (l’Ausbruch è il più noto). In Stiria meridionale si coltivano oltre ai vini bianchi anche i vini rosati (come lo Schilcher). Infine, interessante è che Vienna è l’unica capitale al mondo che ha un’area vinicola di rilievo in loco. Nella sua periferia, infatti, si trovano vigneti dove si producono ottimi bianchi e rossi. Il vino si degusta anche nei caratteristici Heuriger o Buschenschänke ovvero i locali dei viticoltori, dove i vini di produzione propria si accompagnano a piatti semplici di salumi e formaggi. Una realtà piuttosto simile alla nostra, quella austriaca, condita con un altro elemento che ci accomuna: l’eleganza.
Vino e finanza
L’effetto
boom
vino
del sull’occupazione di Lorenzo Simoncelli
IL
COMPARTO
VITIVINICOLO È UNO DEI POCHI SETTORI CHE HA CREATO POSTI DI LAVORO NEGLI ULTIMI DIECI ANNI ED È AUMENTATA LA RICHIESTA DI
FORMAZIONE.
SI
PROFILA
UN FUTURO PIÙ ROSEO PER IL VINO MADE IN
ITALY, ECONOMIA ED ETILOMETRO PERMETTENDO
Sergio Marini, presidente della Coldiretti
l contrario dei principali settori di impiego, dove nel complesso diminuisce il numero degli occupati, 390 mila in meno rispetto al 2008 (dati Istat di fine 2009) e cresce il tasso di disoccupazione medio: 8,6 per cento (dati Istat quarto trimestre 2009), il vino made in Italy sta registrando numeri da boom economico. Sono 1,2 milioni le persone impegnate direttamente in vigne, cantine e nella distribuzione commerciale del vino. Il comparto vitivinicolo ha visto così incrementare del 50 per cento il suo tasso occupazionale negli ultimi dieci anni. «Il vino rappresenta l’unico modello da replicare anche in una situazione di difficoltà» afferma Sergio Marini, presidente della Coldiretti, la principale organizzazione italiana che raccoglie gli imprenditori agricoli, «anche se il vitivinicolo italiano risente meno di quello di altri Paesi e degli altri settori produttivi del made in Italy, perché esprime i valori dell’identità e del legame con il territorio che nel mercato globale sono vincenti». Va poi considerato l’indotto che per ogni grappolo raccolto in campagna è in grado di attivare diciotto diversi settori operativi. Tra questi spiccano la lavorazione del sughero per i tappi, in fase di rivoluzione con l’introduzione degli ultimi modelli in silicone; l’enoturismo, che nel 2009 ha mosso 6 milioni di visitatori per un fatturato di 1,8 miliardi di euro e addirittura l’editoria con il proliferare di riviste specializzate, guide e siti web dedicati. Numeri che a guardare l’anno appena trascorso in cui si sono versate più lacrime che vino lasciano ben sperare per una ripresa più rapida rispetto agli altri comparti dell’economia italiana.
A
RADDOPPIA LA RICHIESTA DI FORMAZIONE Questo quanto emerso da uno studio realizzato dalla Coldiretti in collaborazione con Città del Vino, rete di enti locali a vocazione vitivinicola. Il rapporto dal titolo I mestieri del vino tra tecnologia, tradizione, territorio e salute è stato presentato in occasione della 44esima edizione del Vinitaly, la principale kermesse internazionale dedicata al vino in Italia, che ogni 67
Vino e finanza Giampaolo Pioli, presidente dell'associazione Città del Vino
anno aumenta di importanza grazie ai numeri che fa registrare. Gli espositori quest’anno hanno toccato quota 4.200, 4,4 per cento in più rispetto al 2009, e i visitatori sono stati 152 mila. A far ben sperare è la continua domanda di formazione che sta spingendo il movimento vino, indispensabile per soddisfare le sempre maggiori richieste di qualità da parte di enofili e degustatori saltuari. Sono ormai venti i corsi di laurea attivi nelle università su viticoltura, enologia, enogastronomia e alimentazione. Mentre per le specializzazioni post laurea sono 449 i corsi sul tema vino, di cui 212 specifici sull’enologia e 75 per i sommelier. A questi si aggiungono i corsi di specializzazione delle associazioni di settore. In primis l’Associazione Italiana Sommeliers (Ais) che con i suoi 5mila corsi all’anno è leader indiscussa del settore. È in continua crescita il numero di sommelier, che tra appassionati e professionisti ha toccato quota 32mila, per un mercato che ha ancora molti spazi per questa nuova e ambita figura professionale. San Michele all’Adige, Alba, Conegliano Valdobbiadene le più importanti scuole enologiche del Paese dove negli ultimi cinque anni le iscrizioni hanno registrato un trend in crescita con oltre 650 studenti immatricolati (80 per cento italiani, 20 per cento stranieri). Secondo i dati Città del Vino/Censis Servizi Spa a diplomarsi in enologia è il 90 per cento degli studenti, il 46 per cento prosegue gli studi all’università e il 44 per cento si laurea in una disciplina legata al vino. Buona anche la percentuale di chi trova lavoro nel mondo del vino, 41 per cento, mentre solo il 10 per cento alla fine cambia settore. Su questo scenario a dir poco idilliaco si stanno per abbattere i tagli della riforma Gelmini, che prevedono importanti modifiche al diploma di enotecnico. La durata dei corsi passerà da 6 a 5 anni e le ore settimanali si ridurranno da 36 a 32, cancellando la maggior parte delle esercitazioni, declassando così l’attestato in semplice perito agrario. «Un vero declassamento per uno dei corsi di studi più importanti in Italia» sottolinea Giampaolo Pioli, presidente dell’associazione Città del Vino, «è un duro colpo all’immagine dei prestigiosi istituti enologici italiani chiamati a formare ogni anno un numero crescente di giovani, perché anche in un momento difficile per l’economia, il mondo del vino si conferma settore su cui investire per il futuro del Paese». ENOTURISMO 2009: 1,8 MILIARDI DI FATTURATO Interessante il dato emerso da VeronaFiere sullo status di salute delle aziende vitivinicole italiane nel 2009. Per il 36 per cento di queste il fatturato è aumentato, per il 30 per cento è rimasto stabile e meno di un terzo ha visto subire perdite ingenti. In Italia, secondo la Coldiretti, ci sono 250mila aziende agricole con vigneti che garan-
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tiscono occupazione a circa 200mila lavoratori dipendenti. Di questi quasi 20mila sono extracomunitari. In particolare il melting pot del vino si ha nel distretto di Montalcino, dove alla lavorazione del pregiato Brunello concorrono 44 nazionalità diverse. Solo 21.600 aziende agricole vendono direttamente il proprio vino ai consumatori mentre le altre lo cedono alle 35mila aziende imbottigliatrici presenti in Italia che impiegano operai, agronomi, enologi, responsabili marketing e wine manager. Un contributo importante all’occupazione nel mondo del vino proviene dagli accessori che genera un giro d’affari di 2,6 miliardi di euro. L’talia, infatti, è leader nell’utilizzo di tappi da sughero, 1,5 miliardi di pezzi, ma grande mercato hanno anche le etichette, le bottiglie, i decanter e per finire anche i grembiuli. Ma il vero boom dell’economia-vino è stato registrato nell’indotto, enoturismo in primis, grazie alle 150 strade e le oltre 500 città del vino realizzate negli ultimi anni, ma anche alle proliferazione di attività legate all’industria della cosmetica e del benessere. Si moltiplicano ad esempio i centri di vinoterapia e l’arrivo di nuovi prodotti per la cura del corpo. Tra le maggiori attrazioni il dopobarba all’Amarone e una crema di bellezza alla Barbera. Alla base del successo è individuare esperienze imprenditoriali creative che valorizzino lo storico legame del vino con il territorio e la tradizione. «La dinamicità e la crescita economica e occupazionale di questo settore» spiega Sergio Marini, presidente della Coldiretti, «è una risorsa per l’intero made in Italy per il quale svolge una funzione da traino sul mercato nazionale e internazionale». ENTRO IL 2020 I CONSUMI AUMENTERANNO I segnali positivi emersi dal Vinitaly, termometro del mercato vitivinicolo italiano e internazionale, lasciano ampi margini di ottimismo per la ripresa dei consumi, sia nel nostro Paese sia in termini di export. Se, infatti, la produzione mondiale di vino nel 2009 si è attestata tra i 25 e i 30 miliardi di litri (4/5 litri pro capite), per un valore complessivo di circa 115 miliardi di euro, per i prossimi dieci anni, economia permettendo, si dovrebbe verificare una crescita dei consumi intorno al 14 per cento. Trainata dall’incessante richiesta di etichette di qualità dei Paesi emergenti, dovrebbe crescere anche la spesa media per bicchiere, che nel 2009 si è fermata a 1,2 miliardi di euro. Più che le difficoltà economiche, che comunque permangono soprattutto per le aziende medio-piccole, il vero spauracchio oggi per la diffusione del vino sembra essere l’etilometro. Ristoranti, enoteche e wine bar (circa mille sul territorio nazionale) sono i più penalizzati, con una riduzione dei consumi legati al vino che sta toccando anche il 30 per cento. Chi riuscirà a capire per primo come frenare questa emorragia uscirà prima e meglio dall’attuale contingenza. Un’idea? Diffondere maggiormente le bottiglie da mezzo litro. Ideali per legare il connubio bere responsabile e di qualità. Se poi anche le istituzioni volessero dare una mano alzando la soglia massima da 0,5gr/litro a 0,8gr/litro sarebbe cosa gradita a produttori ed enofili. In questo modo i due bicchieri a pasto non farebbero scattare sanzioni pesanti sia in termini di patente sia economici e gli amanti della buona tavola e del buon bere potrebbero tornare ad assaporare senza ansie i prodotti delle nostre vigne.
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Oli d’Italia
Tuteliamo la professionalità degli assaggiatori di di Luigi Caricato
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uesta volta racconto una storia poco edificante. Riguarda il mondo degli assaggiatori degli oli extra vergini di oliva e dei numerosi corsi che si svolgono in giro per l’Italia. Da qualche tempo accade un po’ di tutto. Da una parte ci sono i veri formatori, quelli che da anni si dedicano espressamente all’analisi sensoriale degli oli di oliva. Costoro hanno fondato delle scuole d’assaggio che hanno già un po’ di storia alle spalle, come ad esempio l’Onaoo, operativa a Imperia dal 1983, l’Olea a Pesaro e l’Umao a Roma, attive nell’organizzare corsi di formazione sin dal 1995. Dall’altra parte ci sono invece associazioni di produttori olivicoli che, facilitati dall’attingere cospicui fondi comunitari e nazionali, intervengono nel processo formativo ma senza avere di fatto una peculiare specializzazione. Costoro rientrano nella categoria dei “tuttologi”, da cui è sempre bene tenersi opportunamente alla larga. Si muovono in genere baldanzosi, forti del fatto di disporre di finanziamenti pubblici, ma non sempre sono all’altezza del ruolo che ricoprono. La loro fortuna è tutta negli agganci con la politica, che mostra tanta generosità nel sostenere, sul piano economico, ogni loro iniziativa. Tutto ciò non è edificante ma è legittimo. Nel senso che la legge consente loro di fare questo e altro, nonostante la competenza sia tutta da verificare. La legge sa essere pessima quando lascia spazi di operatività estesi volutamente a tutti. È sufficiente chiedersi chi abbia voluto certe leggi e chi, in particolare, abbia fatto sì che le organizzazioni dei produttori olivicoli avessero voce in capitolo, per rendersi conto di come vada realmente il mondo. E così, nel pieno esercizio della legalità, accade che le scuole di assaggio stiano a guardare, mentre le organizzazioni degli olivicoltori vestano indebitamente i panni degli esperti formatori, pur di ritagliarsi uno spazio di visibilità, più che altro per attingere a quel fiume di denaro pubblico che sarebbe stato invece molto più utile se affidato nelle mani delle organizzazioni di assaggiatori. Tale anomalia non è per nulla un buon segnale. A Verona, tanto per fare un esempio, una nota associazione olivicola locale, l’Aipo, ha organizzato le venti sedute d’assaggio valide per poter ottenere l’iscrizione all’elenco nazionale dei tecnici ed esperti degli oli di oliva extra vergini e vergini, elenco che è tenuto presso il ministero per le Politiche agricole e forestali. Nel caso veronese è accaduto – pensate un po’! –
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olio
che le venti sedute di assaggio certificate fossero programmate tutte nell’arco di una sola giornata. Bastava versare la somma di duecento euro e portarsi l’olio da casa. Proprio così! C’è da restare allibiti, di fronte a simili notizie. Ritenete che sia davvero possibile ottenere l’abilitazione ufficiale all’assaggio degli oli di oliva dopo aver effettuato in tutta fretta le venti sedute d’assaggio certificate? A me sembra una soluzione scandalosa, tant’è che a denunciare l’accaduto è stato il presidente di Olea, Ettore Franca, che ha posto un quesito, cui è bene dare urgentemente una risposta univoca: «Chi distribuisce i certificati per le venti sedute di assaggio, ufficializzate da enti pubblici e certificate da capi-panel, svolge seriamente il ruolo di preparatore?». Arriverà mai una risposta al quesito? Finora da parte dei soggetti chiamati in causa vige il silenzio più ferreo: meglio lasciar correre. Le istituzioni, intanto, soggiogate dalle organizzazioni di categoria degli olivicoltori, tacciono. Per loro, d’altra parte, conta poco la formazione. L’importante è che figuri sulla carta, che sia valida o meno diventa del tutto secondario. La questione posta da Ettore Franca esige tuttavia una risposta urgente o quanto meno una riflessione. Dopo aver ottenuto l’iscrizione nel noto elenco ufficiale di assaggiatori, chi ha potuto farlo con metodi che lasciano quanto meno a desiderare, può davvero mettersi all’opera? Può sentirsi un bravo analista sensoriale su cui fare pieno affidamento? Con tutta franchezza, nutro dei forti dubbi. Eppure, nonostante ciò, le associazioni olivicole che fanno capo all’Unaprol, non si danno per vinte e si spingono addirittura, come nel caso di Apol Lazio, a formare i Nas e l’Icqrf, i due organismi di controllo preposti a verificare la qualità delle produzioni olearie anche all’assaggio. Poveri noi, in che Paese viviamo! Anziché valorizzare le scuole di analisi sensoriale, si sottraggono loro spazi di visibilità e denaro utile per la loro organizzazione. Lo Stato, in tal caso, si fa complice di un’anomalia che non merita giustificazioni. Si sa tuttavia che quando in un Paese è la politica a comandare, le conseguenze le paga la comunità e, nel caso specifico, anche il prodotto: l’olio extra vergine di oliva. Per tirarci su con il morale e non per avvilirci, scendiamo idealmente in Campania, nell’area del Sannio beneventano, e in provincia di Caserta, con la proposta-gioco-provocazione dell’olio aperitivo!
GLI ASSAGGI Nel bicchiere. È giallo intenso, lievemente velato. Al naso ha sentori fruttati di media intensità dalle connotazioni erbacee, con eleganti rimandi alla mela. Al gusto è delicato e morbido, dolce e mandorlato, armonico nelle punte amare e piccanti. In chiusura l’erba di campo, la mandorla e una gradevole punta piccante. L’abbinamento. Vellutata di piselli all’origano.
CAMPANIA
Azienda agricola Zamparelli “Recioppella” da olive Recioppella in purezza, in raccolta tardiva.
Azienda agricola Zamparelli, corso Umberto I 58, 82032 Cerreto Sannita (Benevento), tel. 0824.861117, info@zamparellifarm.it, www.zamparellifarm.it
Nel bicchiere. Verde tenue dai riflessi dorati, è limpido. Al naso ha note fruttate di media intensità dalle connotazioni erbacee e dai chiari sentori di mela verde. Al palato è morbido e armonico, vegetale, con note sapide di pomodoro ed erbe aromatiche, lieve amaro e punta piccante in chiusura. L’abbinamento. Filetti di platessa ai capperi. Azienda agricola Teresa Di Lorenzo, via Romana 20, 82034 San Lupo (Benevento); sede amministrativa: via Eulero 37, 35143 Padova, tel. 049.623290, cell. 347.7279818, rag.dilorenzo@alice.it
CAMPANIA
Azienda agricola Teresa Di Lorenzo “L’aroma di San Lupo” da olive Ortolana.
Nel bicchiere. È giallo oro dai riflessi verdolini, limpido. Al naso i profumi fruttati di media intensità, con richiami al carciofo e al pomodoro. Al palato un’alta fluidità e l’armonia delle note amare e piccanti, con un tocco erbaceo e mandorlato che chiude con eleganza le sensazioni retro-olfattive. L’abbinamento. Involtini di fesa di tacchino con cremolata di verdure. Cooperativa Olivicola Titerno, via Napoli, 82030 San Lorenzello (Benevento), tel. 0824.940502, info@olivicolotiterno.it, www.olivicolatiterno.it
CAMPANIA
Cooperativa Olivicola Titerno “Ortice” da olive Ortice in purezza.
Nel bicchiere. Verde dai riflessi dorati, è limpido alla vista. Al naso ha profumi di media intensità, dalle connotazioni erbacee e dai toni vegetali di carciofo. Al gusto si apre dolce e morbido, con amaro e piccante in ottimo equilibrio, buona fluidità e sentori di mandorla fresca. L’abbinamento. Ravioli di boragine con bufalo, mozzarella e nocciole di Teano. Fortezza Normanna di Antonio Ruggiero, via Madonna di Loreto, 81058 Vairano Patenora (Caserta), tel. 0823.985140, fortezzanormanna@virgilio.it, www.fortezzanormanna.it
CAMPANIA
Fortezza Normanna “Olio Aperitivo” ottenuto da un blend di oli ricavati da olive autoctone campane.
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Birra di qualità
Il carattere di Toccalmatto di Maurizio Maestrelli
UNA
CARRIERA DA
MANAGER E POI IL COLPO DI FULMINE PER
LA BIRRA ARTIGIANALE.
COSÌ,
NEL
2008,
È
INIZIATA L’AVVENTURA DI
BRUNO CARILLI. LE SUE PRODUZIONI SI DISTINGUONO PER ORIGINALITÀ E
CARATTERE, CON UN OCCHIO DI RIGUARDO ANCHE ALL’ESTETICA
Alessio Gatti, Bruno Carilli e Marcello Ceresa
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o ammettiamo. La prima volta che abbiamo visto le bottiglie ci sono subito piaciute, tremendamente, le etichette. Per uno che, praticamente di mestiere, assaggia birre questo non dovrebbe essere il massimo dei complimenti, ma la grafica, i colori, il disegno delle etichette di Toccalmatto (www.birratoccalmatto.it) non potevano non colpirci. La cosa però, in effetti, poteva anche finire lì. Invece il microbirrificio inaugurato appena fuori dal casello autostradale di Fidenza, provincia di Parma, nel 2008 ha saputo dimostrare che il contenitore non era uno specchietto per le allodole, solo una brillante premessa al contenuto. Bruno Carilli ha saputo fare le cose davvero per bene. D’altro canto, il suo percorso tra luppoli e malti non è iniziato ieri. Laurea in Scienze Agrarie, un master, Carilli è stato un dirigente di lungo corso in Carlsberg, uno dei colossi mondiali del settore. E la birra gli è sempre piaciuta, tanto da aver presto preso il “vizio” di prodursela da solo o con gli amici. «Ho iniziato quasi subito con l’all grain, quindi materie prime e niente preparati», confessa, «intorno al 1997. Quando mi sono trasferito per lavoro a Parma ho conosciuto dei ragazzi con cui condividevo la stessa passione e per due o tre anni venivamo a fare birra, il sabato e la domenica, esattamente dove adesso c’è il birrificio». Pratica e passione, poi il grande salto con annessi e connessi. «Beh, aprire un birrificio è un bello sconvolgimento», prosegue, «anche per la famiglia. Ma mi ero
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stancato di un certo tipo di vita e, volendo cambiare attività, ho scelto quella che amavo di più e che conoscevo meglio. La cosa più bella nel produrre birra è la creatività che ci puoi mettere, la birra è un prodotto plasmabile che puoi fare anche senza avere alle spalle quello che è necessario per produrre il vino. E poi bere una buona birra è davvero bello». Toccalmatto è oggi una delle realtà emergenti nel panorama nazionale della birra artigianale, la filosofia produttiva è centrata sull’originalità, sulla personalità e su un pizzico di provocazione. Le idee, forse anche per il passato manageriale di Carilli, sono ben chiare e prive di tentennamenti, la crescita è graduale ma costante, la gamma davvero di notevole livello. «Vogliamo fare birre caratterizzate», conferma Carilli, «e distintive. In qualche caso anche un po’, se vogliamo, eccessive ma sempre cercando di mantenere un buon grado di beverinità. Sarà banale, ma la birra deve mantenere le sue caratteristiche socializzanti e informali. Non amo le birre “caramellone”, quelle cioè che dopo un bicchiere ti stancano». E, in effetti, difficilmente le birre di Toccalmatto stancano. Anzi, più ne bevi e più ne berresti. La Re Hop è un’american pale ale dalla decisa luppolatura, la Sibilla un’alta fermentazione ispirata alle dissetanti saison belghe, la Rude Boy una india pale ale davvero decisa e senza compromessi, la Fumè du Sanglier, la prima birra che ha fatto conoscere il birrificio fidentino, una smoked ale prodotta con malto affumicato.
Tutte birre davvero dotate di personalità, su questo non c’è dubbio. «Abbiamo due linee di produzione», sottolinea Carilli. «Una ispirata alle luppolature britanniche e americane, l’altra che fa riferimento a certi stili del Belgio. Ma il tocco in più è solo nostro». Il nostro si riferisce ad Alessio Gatti, birraio di valore già in forza al toscano Brùton, e a Marcello Ceresa, che con Bruno Carilli compongono il team del Toccalmatto. Quelle segnalate sono le birre presenti tutto l’anno, ma la produzione è molto più ricca. Ci sono le stagionali come l’eccellente Jadis, una sorta di double blanche realizzata impiegando anche mosto d’uva dell’autoctona Fortana, l’Ambrosia con fiori di sambuco, gelsomino, erica e miele di erba medica, la Skizoid dalla luppolatura indimenticabile, la leggera, solo 4.3% vol, Grooving Hop e la natalizia e speziata Noel du Sanglier. A queste ultime infine, si aggiungono le produzioni speciali. Tutte visibili sul sito, per non tirarla troppo lunga. Per un birrificio che è partito due anni fa, non c’è che dire: le possibilità di scelta non mancano. «Ci divertiamo a fare birre, questo è sicuro», conclude Carilli, «ma allo stesso tempo vogliamo crescere passo dopo passo, senza incertezze ma anche senza sbandamenti. Abbiamo iniziato proponendo il nostro prodotto in quelli che consideriamo i migliori locali birrari d’Italia, poi siamo entrati in alcuni beershop e il nostro spaccio, aperto nel birrificio, rimane fondamentale per la vendita. Ma è inutile negare che guardiamo con interesse al mondo della ristorazione, a quelle delle enoteche e dei gourmet shop. È senza dubbio un canale interessante per chi, come noi, imbottiglia il 70% della produzione. Ed è un canale sul quale stiamo iniziando a lavorare». Già perché, da manager esperto quale è, Carilli sa che per lavorare bene in questo canale, mai come oggi interessato alle produzioni birrarie, conta molto la qualità costante del prodotto e l’efficienza distributiva. Viste le premesse e testimoniato il valore delle birre di Toccalmatto, siamo certi che per Carilli la strada sia più che percorribile.
DEGUSTAZIONE
BockstaeleDirk Produttore: Birrificio Menaresta Carate Brianza (Milano) (www.birrificiomenaresta.com) La carruba è il tratto distintivo di questa birra dal colore ambrato scuro. Un ingrediente originale, nella “sorella” Figueira invece ci sono i fichi secchi, che conferisce indubbia personalità, e anche a parer nostro un pizzico di nostalgia, a questa birra complessa ma non inavvicinabile. Solo 6% vol, una schiuma compatta e persistente, aromi fruttati e tostati, con note di carruba e cioccolato, piccoli frutti rossi e caffè. Morbida al palato, lascia una traccia lunga nel retrogusto e si abbina bene a formaggi stagionati ed erborinati, da provare infine con il celebre violino di capra della Valchiavenna.
ViaEmilia Produttore: Birrificio del Ducato Roncole Verdi (Parma) (www.birrificiodelducato.it) La carriera di Giovanni Campari e soci sembra essere in vertiginosa ascesa visto l’incetta di premi, anche internazionali, che stanno ottenendo le loro birre da quando hanno aperto i battenti nella patria di Giuseppe Verdi. La ViaEmilia è un cavallo di battaglia rodato ma di sicuro effetto. Si ispira alle pils e offre quindi eleganti profumi erbacei e floreali di luppolo fresco, grazie anche alla tecnica del dry-hopping. Secca e pulita al palato, costituisce un valido aperitivo al ristorante ma si sposa bene con fritture e formaggi freschi.
Inga Produttore: Birrificio Maspy Ponte San Pietro (Bergamo) (www.mm1989.it) È uno dei birrifici lombardi più recenti, ha inaugurato nel 2007, ma i primi passi sono stati buoni e merita pertanto i nostri auguri più sinceri. La filosofia è per la bassa fermentazione, con l’unica eccezione della weiss, lo stile è pulito, senza voli pindarici, con il risultato di produrre birre di facile beva e approccio. Una delle più interessanti è senza dubbio la Inga, una scura dalla carica olfattiva intensa, ricca di note di caffè e cioccolato. In bocca il taglio leggermente acidulo sorprende un po’, ma in effetti elimina il rischio della stucchevolezza. Da provare con dolci al cioccolato fondente.
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Distillati
Grappa, una storia di famiglia DAI
GRAPAT VALDOSTANI ALLE DISTILLERIE ARTIGIANALI,
LA PRODUZIONE SI TRAMANDA DI PADRE IN FIGLIO
di Angelo Matteucci ntrando nel mondo della produzione di grappa si ritrova la nostra storia con la “s” minuscola ma, nondimeno, con il fascino di poter conoscere e toccare con mano quanto di valido hanno saputo fare i nostri vecchi con fatica, in momenti difficili. A Quart, alle porte di Aosta troviamo ancora viva la memoria di una famiglia di “grapat”, i Levi, che provenienti da Campodolcino scendevano a valle nei mesi invernali, con rudimentali alambicchi fissati su ruote per girare nelle campagne e offrire, fino alla festa di San Giuseppe, il 19 marzo, la loro opera nelle cascine e a volte nelle stalle. Distillavano con maestria le vinacce accantonate per loro, ricavandone grappa forte adatta agli uomini di un tempo. È la storia di Gugliemo Levi che, abbandonando quella vita ambulante, decise di aprire la propria distilleria nel borgo di Sant’Orso ad Aosta. Qui visse e prosperò producendo grappa, genepy e altri liquori. Sua figlia Nicoletta, nel 1958, con il marito decise di trasferire l’azienda (che prese il nome di St Roch) a Quart, operando con grande maestria e oggi ne è a capo la terza generazione con Nicola Rosset. Vengono gestite due tipologie di grappa: la prima, la più conosciuta è la gamma Sant’Orso con qualità bianca e affinata in legno nonché con monovitigni di Chardonnay, Moscato e Torrette. Vogliamo soffer-
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marci in modo particolare sulla seconda gamma denominata Levi che offre un’ampia scelta di diciotto splendide grappe soprattutto monovitigno di ottima qualità. È anche interessante notare che un altro Levi della medesima famiglia, padre del compianto Romano, nel 1925 aprì la sua distilleria a Neive, in provincia di Cuneo. La produzione di grappa in Lombardia è nelle mani di un gruppo di distillerie industriali e di un pugno di entità artigianali che operano a Milano e nelle provincie di Sondrio, Brescia, Varese e Pavia. L’Azienda Fratelli Branca di Milano produce la Grappa Candolini, nata nel 1898, che oltre alle qualità bianca e classica, affinata in legno, nel dicembre scorso ha inserito la riserva invecchiata per diciotto mesi in botte di rovere. Branca produce e distribuisce anche grappe monovitigno e aromatizzate al miele con etichetta Sensea. Il Gruppo Pernod Ricard con la distilleria Ramazzotti produce la grappa Fior di Vite sia bianca sia bionda. Entrambe le aziende hanno una importante distribuzione su tutto il territorio nazionale con interessanti mercati d’esportazione. A Tirano (Sondrio) Giuseppe Della Morte, famoso “grapat”, creò la propria distilleria che oggi è conosciuta come Distillerie Riunite Schenatti & Della Morte. Lavorano con caldaiette in
rame a bagnomaria, riuscendo a operare man mano che ricevono le vinacce senza creare stock. I vitigni sono Nebbiolo nelle varie sottozone della Valtellina: Grumello, Sassella, Inferno, Valgella e Maroggia. Distillano anche vinacce da uve passite secondo il metodo locale “sforzato”. La gamma comprende grappe monovitigno secondo le denominazioni sopraindicate e le qualità “bianca” e “barrique”. Le vallate del Bresciano sono state una delle culle della distillazione, quasi a carattere familiare. Rimangono oggi solamente i capisaldi con il centro a Gussago, nel cuore della Franciacorta, dove la distilleria Maddalena Peroni, creata nel 1969, è particolarmente attiva, per opera della titolare, coadiuvata dai tre figli: Carlo, Paola e Sandro Andreoli. Operano con due impianti composti ciascuno da quattro caldaiette a vapore diretto, secondo la tradizione locale. Ciascuna ha la capacità di cinque quintali di vinaccia e dopo la distillazione discontinua segue il passaggio in distillatore a colonna. Utilizzano vinacce sia a bacca bianca che rossa provenienti prevalentemente dalla Franciacorta e dall’area del Garda. Si cimentano anche con vinacce di Brunello di Montalcino e addirittura Malvasia delle Lipari. La loro gamma è ampia e comprende circa venti qualità, tra grappa classica bianca, monovitigno,
affinate in barile e riserve maturate in una batteria di duecento barrique. La produzione annuale con propria etichetta è di circa 120mila bottiglie, alle quali si aggiungono ulteriori 40mila bottiglie prodotte per conto terzi, che vengono commercializzate sotto il nome di Grappa di Fattoria. L’altra distilleria artigianale di Gussago è Distillerie Frassine Pier Giulio, nata agli albori del secolo scorso. Ha davvero una capacità produttiva artigianale con le sue 10mila bottiglie annue. Opera con due caldaiette a vapore diretto da due quintali di vinaccia prevalentemente a bacca rossa da uve di Franciacorta. La sua distillazione è rapida con una “cotta” di circa quarantacinque minuti e una resa, a detta del proprietario distillatore, abbastanza buona, pari al 4 per cento. Di fatto la produzione in passato raggiungeva a malapena il 2 per cento. Per sua scelta non crea alcuna grappa monovitigno e non distilla per conto terzi. Le vinacce lavorate da Pier Giulio non superano mille quintali annui e la conseguente distillazione è effettuata nel periodo di quarantacinque giorni. Ciò significa che le vinacce sono distillate particolarmente fresche, con risultati pregevoli. Sempre a Gussago nel 1901 Luigi Gozio iniziò a distillare le vinacce locali e con l’aiuto dei figli Paolo e Giuseppe creò, in seguito, le Distillerie Franciacorta. Molti sono i cambiamenti nell’arco di oltre un secolo, diventando una realtà industriale nel 1977. Alla fine degli anni ’90 l’azienda ha acquisito i marchi grappa Piave e Brandy René Briand. Le distillerie Franciacorta sono gestite da Giuliano, Antonio e Luigi Gozio che hanno raggiunto l’8 per cento della produzione nazionale di grappa. Per un certo periodo non hanno operato direttamente come distillatori, acquisendo le vinacce che venivano distillate altrove per proprio conto e sotto il loro controllo. Oggi hanno il nuovo complesso nel Borgo Antico San Daniele a Borgonato di Cortefranca, prevalentemente a distillazione continua. Il sistema utilizzato e brevettato pre-
vede, dopo la prima distillazione, il raffreddamento e il filtraggio delle flemme fino a meno 10 gradi. In seguito avviene un secondo passaggio in alambicco discontinuo. Questo sistema permette la produzione di grappa particolarmente pulita e fresca. Offrono alla clientela, oltre alla citata grappa Piave, due gamme distinte sotto le etichette Distillerie Franciacorta, che comprendono la specialità La Corte e Borgo Antico San Vitale. Luigi Medagni, direttore commerciale dell’azienda, spiega che, in un mercato globale in flessione (2009) di circa il 4 per cento, l’azienda ha aumentato le vendite dello 0,7 per cento, ottenendo così un ottimo risultato contro tendenza. Ad Angera (Varese) troviamo la distilleria Rossi d’Angera che produce grappa morbida, definendola l’allegra signora del dopocena. Dichiarano di «incrociare la raffinatezza e l’eleganza del gusto contemporaneo per una clientela sempre più eterogenea con giovani e donne in prima fila». Per ottenere i risultati voluti pongono la massima attenzione nell’operare con vinacce fresche, distillate in caldaiette di rame a passaggio di vapore, producendo grappa monovitigno di Dolcetto, Nebbiolo e Chardonnay. Alcune grappe hanno un passaggio in legno. Lasciando le Alpi troviamo la pianura e le colline pavesi. A Montù Beccaria (Pavia) vi è la distilleria omonima definita con orgoglio “cantina”, poiché in passato nell’Oltrepo si effettuava la vinificazione e la distillazione delle vinacce nel medesimo sito. Oggi, naturalmente, in base alle leggi vigenti, questo non è più possibile. Tuttavia, per quanto riguarda la Cantina storica di Montù Beccaria sia la vinificazione sia la distillazione rimangono nel medesimo complesso anche se sono in ambienti separati. Questo permette l’utilizzo immediato delle vinacce una volta uscite dalla cantina vera e propria, ottenendo così grappe ricche di aromi. Gli alambicchi a bagnomaria sono di forma specifica che troviamo anche
nell’altra distilleria pavese. La loro forma permette di ottenere buoni risultati di aromi e gusto morbido delle grappe. I prodotti specificano in etichetta il vino d’origine, per esempio Buttafuoco, Sangue di Giuda, con l’indicazione dei vitigni (Barbera, Croatina e Uva Rara). Vengono prodotte anche grappe monovitigno Chardonnay, Malvasia, Pinot Nero con alcune qualità stravecchie. Nel 1977 fu installata nell’azienda La Versa, a Santa Maria della Versa, la prima grapperia che fu sostituita nel 1998 da nuovi impianti. Troviamo due alambicchi a bagnomaria e due distillatori a colonna. Utilizzano esclusivamente le proprie vinacce da uve convogliate dai soci di La Versa e producono circa 150mila bottiglie di grappa, che comprendono anche le qualità monovitigno di Moscato, Bonarda e Pinot Nero. Il loro punto di forza è sicuramente la grappa di moscato sia bianca sia stravecchia. A Ne, nell’entroterra chiavarese, esiste l’unica distilleria ligure. Giovanni Battista Parma nel 1963 rilevò l’Antica Distilleria di Portofino e iniziò a distillare vinacce liguri, quali Pigato, Rossese, Vermentino e le altre componenti del Cinque Terre: Bosco e Albarola. Oggi l’azienda è intestata ai figli Simone e Daniele Fratelli Parma, ma naturalmente è ancora Giovanni Battista solidamente il capo dell’impresa. Produce 40-50mila bottiglie annue, prevalentemente monovitigno con circa quindici qualità. La distilleria ha un percorso di lavoro unico nel suo genere. È composta da tre caldaiette a vapore seguite da una caldaia a bagnomaria, da un filtraggio a carbonato di calcio e quindi in sequenza due colonne che operano a vapore e nella terza avviene il ripetuto passaggio del liquido. Lo scopo è di ottenere una grappa pulita, ben strutturata e soprattutto con le vere caratteristiche positive della grappa, senza che sia snaturata da distillazioni ad alto grado alcolico. Degustando la grappa di Portofino si ci convince che la Famiglia Parma sa il fatto suo. 75
Acqua
L’arte di degustare
acqua
l’
di Davide Oltolini ome abbiamo più volte sottolineato l’acqua, proprio come il vino, possiede precise caratteristiche organolettiche, individuabili attraverso l’analisi sensoriale. L’individuazione di tali caratteristiche appare di rilevante importanza per i professionisti della ristorazione e, quindi, in particolare per i sommelier, ai fini del corretto abbinamento con i differenti piatti. Un’ottimale armonia con il cibo non è però l’unica che può essere raggiunta tramite la scelta delle diverse acque. Per quest’ultima andrebbe infatti considerata anche la tipologia dei vini in degustazione, ai fini di un ottimale connubio tra la preparazione alimentare, l’acqua e il nettare di Bacco. Una tematica, quest’ultima, di notevole complessità ma al contempo di indubbio fascino. Ricordiamo pertanto, sinteticamente, quali sono le differenti fasi della degustazione delle acque. La prima è quella dell’esame visivo, con il quale viene valutata la limpidezza della bevanda oltre che, nelle acque con la presenza di anidride carbonica, la finezza delle relative bollicine, caratteristica che ne influenza considerevolmente anche l’aspetto gustativo. La seconda fase è quella dell’esame olfattivo attraverso il quale si procede alla difficoltosa individuazione dei tenui sentori delle acque quali, ad esempio, quello minerale o calcareo. Chiaramente durante questa fase va evidenziata anche l’eventuale presenza di odori anomali, quali lo zolfo, il cloro, nonché quelli solitamente lievi riferibili alle problematiche dovute al contenitore o a una cattiva conservazione. L’esame gustativo valuta l’effervescenza delle acque, già considerata nel corso dell’esame visivo. Durante tale fase viene inoltre valutata l’intensità della percezione dei quattro sapori fondamentali: dolce, amaro, acido e salato ovviamente influenzata dalla presenza delle diverse sostanze in esse disciolte. Valuteremo, inoltre, il bilanciamento tra le differenti sensazioni gustative mentre, a livello retrolfattivo, potremo sincerarci dell’assenza di eventuali difetti che potrebbero essere “sfuggiti”, per la loro tenuità, all’olfazione diretta.
C
III ACQUA SANT’ANNA - BIO BOTTLE Risalgono al Cinquecento i primi documenti storici che esaltano le sorgenti di Vinadio e la bontà della loro acqua. Una fama diffusasi anche grazie ai racconti di migliaia di pellegrini, provenienti da ogni dove, che ogni anno, ora come allora, salgono al santuario piemontese di Sant’Anna, il più alto d’Europa, protettrice delle mamme, che dà il proprio nome anche all’acqua delle vicine fonti. Attraverso quattrocento chilometri di tubazioni in acciaio inox, l’acqua della sorgente, che sgorga fino a 1.660 metri d’altitudine, viene incanalata e condotta allo stabilimento dove è raccolta in undici serbatoi d’acciaio inox da un milione di metri cubi d’acqua. La nuova bottiglia Bio Bottle rappresenta, a detta dell’azienda, la prima bottiglia di acqua minerale con packaging 100 per cento vegetale, prodotta con il biopolimero Ingeo™, che si ricava dalle piante anziché dal petrolio. L’impiego di tale bottiglia permette importanti risparmi energetici e riduce l’inquinamento rispetto ai contenitori in plastica tradizio76
nale. Il residuo fisso di Sant’Anna è di 23,1 mg/l, mentre il pH ha un valore di 7,4. Al palato appare elegante e armonica, dalle note organolettiche gradevolmente delicate. www.santanna.it tel. 0171.959433 info@santanna.it III ACQUA VALVERDE L’acqua Valverde sgorga dalla viva roccia in Valsesia alle pendici del monte Rosa, in un ambiente naturale e incontaminato, del tutto privo di insediamenti industriali. Il residuo fisso, a 180° C è di 37,5 mg/l, mentre il pH alla temperatura dell’acqua alla sorgente (ovvero a 9,6° C) ha un valore di 6,3. L’analisi organolettica ne evidenzia una piacevole tendenza dolce, associata a una buona “freschezza”, che ne contraddistinguono il gusto raffinato e la gradevolezza al palato. La particolare sensazione di leggerezza risulta avvalorata dall’essenziale design della bottiglia, a cura del notissimo architetto altoatesino Matteo Thun. Una forma classica, con una particolare, leggerissima curva, alla quale è applicata un’etichetta d’argento, quasi invisibile. www.valverdewater.com Numero verde 800830071 info@valverdewater.com III ACQUA S. ANTONIO L’acqua oligominerale della Fonte S.Antonio nasce nel cuore delle Alpi, da una sorgente a trecento metri di profondità, circondata da un vasto parco naturale. Attraverso gli strati rocciosi, l’acqua viene filtrata naturalmente raggiungendo un perfetto equilibrio di sali minerali che le conferiscono un gusto morbido e vellutato. Completano il profilo organolettico una buona struttura e una particolare sensazione di pulizia al palato che segue la deglutizione. 7,8 risulta il valore del pH alla temperatura dell’acqua alla sorgente, cioè a 15,9° C, mentre il residuo fisso a 180° C è di 132,9 mg/l. L’anidride carbonica libera alla sorgente appare di mg/l 3,5. Il ministero della Salute ha, tra l’altro, riconosciuto l’acqua S. Antonio ideale come base per la preparazione di alimenti per neonati. (art. decr. min. Salute 3459 del 16 settembre 2002). www.acquasantantonio.com tel. 031.886.111 info@spumador.com III ACQUA DI TOSCANA SAN FELICE Dopo un percorso sotterraneo di almeno un decennio, durante il quale si definisce il patrimonio in sali, che ne caratterizza anche le peculiarità organolettiche, l’acqua di Toscana San Felice sgorga a valle delle montagne dell’Abetone. Si tratta di un territorio situato nella provincia di Pistoia, posto in un contesto naturale incontaminato, di assoluto rilievo. Il residuo fisso a 180° C risulta di 236 mg/l, mentre l’attività ione idrogeno, ovvero il pH, ha un valore di 7,3. L’acqua di Toscana San Felice presenta un ottimale equilibrio gustativo, una buona struttura al palato ed evidenzia, inoltre, una stimolante, quanto leggera e caratteristica, nota amaricante in “chiusura di bocca”. www.sanfelice.org tel. 0573.41049 vieri@sanfelice.org 77
Il personaggio
Il
principe del vino
che ha fatto scuola di Paolo Giarrusso
DOPO QUASI CINQUANT’ANNI DI ATTIVITÀ, GIACOMO TACHIS, ALLIEVO DEL GRANDE ÉMILE PEYNAUD E CONSIDERATO IL MAGGIORE ENOLOGO
ITALIANO, LASCIA E SI RITIRA A VITA PRIVATA
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considerato il padre di vini “star” come Sassicaia a Bolgheri e Tignanello e Solaia, nelle tenute di Antinori, vicino a Firenze. Tre rossi ormai entrati nella recente storia della nostra enologia. Vini che hanno rilanciato la produzione italiana nel mondo. Lo hanno anche definito un uomo di grande cultura, un corsaro, un archeologo, un poeta. Ora, a 77 anni, dopo quasi cinquanta di attività, Giacomo Tachis, piemontese originario di Poirino (Torino), ma da tempo trapiantato in Toscana, allievo del grande Émile Peynaud e considerato il maggiore enologo italiano, lascia e si ritira a vita privata. «Lascio» spiega Tachis, «per l’età. Ho avuto grandi soddisfazioni nella mia carriera e ora voglio dedicarmi interamente alla famiglia, ai miei nipoti e ai miei libri». Giacomo Tachis è davvero il principe degli enologi italiani ed è ritenuto artefice di un Rinascimento del vino italiano e scopritore dei Supertuscans. Ha inventato i vini celebri sopra menzionati e i suoi consigli sono ancora i più ascoltati e temuti, perché possono fare la fortuna di un’azienda. D’altronde la sua storia parla chiaro: dopo gli studi alla Scuola di Enologia di Alba e le prime esperienze professionali, nel 1961 Tachis approda alla casa
È
vinicola Marchesi Antinori, dove rimane per trentadue anni divenendone lo storico direttore. Appassionato bibliofilo, ora condurrà vita privata nella sua casa di San Casciano Val di Pesa, dove custodisce numerosi antichi volumi e dal cui studio continuerà a tenere d’occhio l’agricoltura e in particolare la viticoltura. Nel ritirarsi dall’attività, ci lascia subito una certezza: «Il vino non conoscerà mai crisi, perché la gente lo beve e lo berrà sempre. Negli ultimi decenni sono stati fatti forti investimenti nelle campagne. In parte hanno prodotto effetti positivi, perché hanno portato progresso. In parte, però, negativi perché alcuni si sono adagiati su un progresso iniziale, consentendo l’innestarsi di tendenze speculative. Ad ogni modo il vino ha avuto e avrà sempre mercato». Se il vino, dunque, ci sarà sempre, è bene tenere subito presente, dopo questa certezza, l’esortazione del principe degli enologi: «Rispettiamo la natura e la semplicità del vino. Sarà naturale se fedele alla sua natura. Perciò niente chimica come viene intesa e praticata oggi e attenzione alla genetica perché, come testimoniano casi anche eclatanti, la natura si ribella». Un’eredità e al contempo un avviso: la prima che passa alle
nuove leve di enologi e il secondo indirizzato ai consumatori. Dopo la certezza e l’esortazione, trasmesse con parole chiare e inequivocabili, arriva il distinguo di Giacomo Tachis: «Esiste il vino del povero e il vino del ricco. Quello del povero è il vinum operarium, fatto semplicemente dal contadino, che nasce dal sentimento e che è indubbiamente più vicino alla natura. L’agricoltore serio vinifica come si sente di fare e l’ispirazione gli proviene dalla campagna e dall’armonia raggiunta con essa; in questo modo il vino nasce dalla mano dell’uomo come la natura vuole che sia». «Il vino del ricco» continua Tachis, «lo si ottiene con tecniche sofisticate, lo si concretizza con travasi particolari, microinfiltrazioni o anche con quelle che chiamo chiaramente “balle”, tipo l’osmosi inversa e altre ancora. Punta su vitigni scelti, noti, famosi, blasonati». Fa davvero specie quando un uomo di rara cultura enologica come lui si definisce un umile mescolavini. In realtà, questo mito vivente dell’enologia italiana ha ben presente come il suo mondo stia aprendo la porta alla biologia molecolare e all’ingegneria genetica e non si tira indietro rispetto a previsioni che gli vengono di continuo sollecitate. «Ora» dice Tachis con calma, «è il momento di vitigni emergenti come Cabernet e Syrah, ma in futuro ne arriveranno altri. Si affermeranno vitigni più scorrevoli, “passanti”, meno alcolici. Oggi molti potano corto per ridurre la produzione, ma così facendo aumentano decisamente il grado alcolico. Dobbiamo dire con semplicità ma con altrettanta determinazione, senza nasconderci dietro a
I cipressi di Bolgheri
un dito o a falsi problemi, che il vino ad alta gradazione dà alla testa della gente che allora, senza ombra di dubbio, si accorgerà di preferire vini a gradazione bassa, più facili da bere e adatti alle proprie abitudini alimentari. Di conseguenza, tra le regioni vinicole italiane, verrà il momento della Maremma, l’area più vocata della Toscana e del Sud, in particolare di Puglia e Basilicata, mentre la Sicilia potrà migliorare purché non ecceda». Per il grande vecchio dell’enologia del Bel Paese, c’è comunque una cosa che i vigneron, siciliani e non, dovrebbero tener ben presente: tra i segreti del buon vino in cantina c’è l’utilizzazione dei tini di cemento, che altro non sono che la versione moderna delle antiche anfore di terracotta. «Sono da preferire» insiste, «anche ai serbatoi d’acciaio.
Perché il vino è come l’uomo: meglio una casa di mattoni che una gabbia di metallo». Oltretutto l’acciaio ha un limite, determina «fenomeni di elettrochimica e shock termici» che possono rivelarsi invece deleteri. «Il cemento no, è come la casa». Dunque i produttori ne tengano conto. «Voglio essere chiaro fino in fondo» afferma sicuro Giacomo Tachis, «in Italia basta voler produrre bene per ottenere risultati eccellenti e invidiabili, perché c’è sole, luce, i terreni sono esposti bene. Si tratta, per intenderci e non perderci in giri inutili di parole, di investire e di lavorarci». In tempi di accentuata globalizzazione non può mancare un pensiero rivolto all’estero. «Oltreconfine ho la convinzione che si svilupperanno maggiormente nazioni come il Cile, il Sud Africa, l’Argentina e, spostandoci negli Stati Uniti d’America, zone come la California. Ma anche la Moldavia entrerà in queste nuove eccellenze enologiche». Focalizzando l’attenzione sulla cara e vecchia Europa, Giacomo Tachis ha un’altra convinzione: che sia un fatto tra noi e i francesi al quale, come da lui ribadito in un recente passato, dobbiamo tra il 50 e il 60 per cento della nostra attuale cultura enologica, meno invece per ciò che riguarda la viticoltura. E conclude con un’altra inossidabile certezza: «Non dimentichiamo il marketing. Loro sono bravi venditori anche di scienza ma soprattutto di vino. Sono stati più furbi ma non sono mica imbattibili. Al di là di ciò che noi dobbiamo ai francesi, dobbiamo moltissimo ai tecnici italiani». Chapeau, “principe” Tachis.
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Mappamondo
Mezcal, il distillato che arriva dagli
Aztechi
OTTENUTO
DALLE AGAVI, È UNA BEVANDA ALCOLICA ANCORA POCO
CONOSCIUTA.
DURANTE LA DISTILLAZIONE POSSONO ESSERE AGGIUNTI DIRETTAMENTE NELL’ALAMBICCO FRUTTI, ERBE AROMATICHE, LARVE DI FALENA O IL VERME ROSSO
di Riccardo Castaldi e Natalia López Mota li Aztechi, già nel I secolo d.C., producevano l’octili poliqhui, una bevanda moderatamente alcolica ottenuta dalla fermentazione del succo di alcune specie di agavi, presenti spontaneamente nella porzione centrale dell’attuale Messico. L’octili poliqhui, in seguito denominato pulque dagli Spagnoli, era associato a rituali religiosi e veniva offerto ai guerrieri prigionieri prima del loro sacrificio. Le classi sociali più ele-
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vate lo consumavano abitualmente mentre a quelle subalterne era riservato solo in occasioni di particolari festività, durante le quali veniva bevuto collettivamente. Con l’introduzione della distillazione, avvenuta nel XVI secolo a seguito dell’arrivo dei conquistadores, partendo dal fermentato di agave furono gettate le basi per la produzione di Mezcal e Tequila. Nonostante possa vantare una tradizione plurisecolare,
L Don Martín, proprietario del Palenque El pequeño Martín L Piñas davanti al Palenque “Perla blanca” 80
L Preparazione della molitura delle Piñas presso il palenque di Don Aaron Hernández a Santiago Matatlán
L Forno con piñas dopo la cottura
il Mezcal è una bevanda alcolica ancora poco conosciuta, soprattutto se paragonata alla Tequila, poichè viene prodotta da piccoli e piccolissimi produttori che solo in pochi casi riescono a distribuirla al di fuori dell’area di produzione e sul mercato internazionale. I principali Paesi importatori di questo distillato sono gli Stati Uniti, dove peraltro vivono molti messicani, e il Giappone. La produzione del Mezcal è concentrata principalmente nello stato di Oaxaca, in modo particolare a Santiago Matatlán, considerata la capitale di questo distillato, oltre che negli stati di Durango, Guanajuato, Guerrero, San Luis Potosí, Tamaulipas e Zacatecas, i quali sono accomunati dal clima caldo - secco ideale per la crescita delle agavi. III NELLA TERRA DELLE AGAVI In Messico esistono complessivamente più di 200 specie di agavi, altresì conosciute come maguey, anche se non tutte vengono utilizzate per la produzione del Mezcal. Come stabilito dalla Norma Oficial Mexicana 070/94 che regolamenta la denominazione d’origine Mezcal, le specie contemplate sono infatti Agave angustifolia Haw (maguey espadín), in assoluto la più importante, Agave esperrima jacobi (maguey de cerro, bruto o cenizo), Agave
L L'ingresso di Santiago Matatlán
L Alambicco per la distillazione del Mezcal Piñas di agave prima della cottura
weberi cela (maguey de mezcal), Agave patatorum zucch. (maguey de mezcal) e Agave salmiana Otto (maguey verde o mezcalero); possono essere impiegate anche altre specie, a condizione che non siano la materia prima per altre bevande alcoliche a denominazione d’origine. Le agavi utilizzate per l’elaborazione del Mezcal possono essere sia coltivate che presenti allo stato selvatico; tra queste ultime spicca la Tobalá, dalla quale si ottiene l’omonima tipologia del distillato. Le agavi coltivate, nel corso del XIX e XX secolo, sono state oggetto di selezione al fine di individuarne i biotipi con le caratteristiche più adatte alla produzione del distillato. Il ciclo di coltivazione dell’agave ha una durata di sette anni, periodo necessario per il raggiungimento di una dimensione e di un grado di maturazione idonei alla produzione del Mezcal. Le agavi vengono seminate in lunghe file in valli e pendii e nei primi tre anni di coltivazione, quando il loro sviluppo è contenuto, sono generalmente consociate a mais per ottimizzare lo sfruttamento del terreno. III LA MAGIA DEL PALENQUE La produzione del Mezcal avviene seguendo un processo artigianale in strutture che prendono il nome di palenque, che in definitiva sono semplici case contraddistinte dalla presenza di un forno, di un mulino, di tini di fermentazione e di un alambicco in rame, ovvero gli elementi essenziali per l’ottenimento del distillato. I proprietari del palenque possono avere un appezzamento di terreno in cui coltivano le agavi, anche se più frequentemente le acquistano dagli agricoltori, limitandosi solo all’elaborazione della bevanda. La superficie media delle aziende agricole è in genere molto esigua, tanto che nello stato di Oaxaca i due quinti degli agricoltori lavorano meno di un ettaro e versano spesso in condizioni di povertà. Purché siano trascorsi i sette anni necessari alla maturazione, le agavi possono essere raccolte in qualsiasi periodo dell’anno, avviando il processo produttivo quando più lo si ritiene opportuno. Al momento della raccolta le agavi, che possono pesare fino a cinquanta chilo81
Mappamondo
grammi, vengono private della radice e delle pencas, cioè delle carnose foglie, ottenendo così la piña o cabeza, ovvero il cuore della pianta. Le piñas vengono quindi tagliate a metà o in quattro parti, prima di essere sottoposte al processo di cottura, necessario sia per idrolizzare gli zuccheri che per conferire il caratteristico sapore affumicato alla bevanda. I forni utilizzati per la cottura sono in definitiva delle buche coniche scavate nel terreno, la cui superficie viene ricoperta con pietra vulcanica. Nel fondo del forno viene acceso un fuoco, utilizzando come essenze legnose pino, leccio e mezquite, e quando il colore rosso vivo testimonia che le pietre vulcaniche sono ben arroventate, vengono poste in cottura le porzioni di piñas. Il forno, che può contenere fino a quattro tonnellate di agavi, una volta riempito viene coperto con uno strato di bagazo, sottoprodotto filamentoso della fermentazione che consente di evitare la rapida dispersione del calore. In trecinque giorni il processo di cottura viene ultimato, dopodiché una volta raffreddate, le porzioni di piñas vengono molite fino a essere ridotte a piccoli frammenti. Per la molitura si utilizzano rustici molini di pietra, dotati di un’unica macina trainata da un cavallo. I frammenti che risultano dalla molitura sono quindi immessi in tini di legno e addizionati di acqua, costituendo un mosto che, nell’arco di alcuni giorni, inizia a fermentare, separandosi in parte solida e parte liquida. La fermentazione ha una durata che può superare le tre settimane e può avviarsi spontaneamente, sostenuta cioè da lieviti selvatici, oppure a seguito dell’aggiunta di lieviti selezionati. Terminata la fermentazione, la cui durata è condizionata dalla temperatura, dall’umidità e dalla specie di agave utilizzata, si procede alla distillazione discontinua con alambicchi di rame e, in taluni casi, di terra cotta, come nel caso del Mezcal Minero, dotato di caratteristiche particolari, prima tra tutte l’elevata purezza. Nello Stato di Oaxaca vi è l’usanza di distillare parte liquida e parte solida, immessi nell’alambicco in egual misura, a differenza delle altre aree di produzione dove si distilla solo la parte liquida. Per caratterizzare il Mezcal, durante la distillazione possono essere aggiunti direttamente nell’alambicco frutti, erbe aromatiche, petto di pollo o di tacchino nonché gusanos de maguey, le larve della falena Hypopta agavis, parassita delle agavi (gusano rojo, verme rosso) oppure di Acentrocneme hesperiaris (gusano blanco, verme bianco). La frutta, le erbe o il verme possono essere aggiunti anche a fine distillazione, prima dell’imbottigliamento. Vengono in genere eseguite due distillazioni e nel corso della seconda si separano testa, corpo e coda: il corpo è Mezcal e viene commerciato come tale, senza essere diluito con acqua. 82
III UN SOLO PRODOTTO, MOLTE TIPOLOGIE Il Mezcal deve avere una gradazione alcolica compresa 36,0 gradi e 55,0 gradi e può essere immesso sul mercato immediatamente oppure dopo essere stato sottoposto a un periodo di invecchiamento in botti di legno. In commercio si trova pertanto la tipologia joven (giovane), reposado, se è stato affinato per almeno due mesi, e añejo o añejado, se è stato invecchiato per almeno un anno in botti di rovere o di leccio della capienza massima di duecento litri. Il prodotto ottenuto esclusivamente con agave viene etichettato come “Mezcal 100% agave” mentre semplicemente come “Mezcal” se sono stati utilizzati per l’elaborazione fino a un massimo del 20 per cento di carboidrati di altra provenienza. La dicitura “envasado de origen” significa invece che il prodotto è stato imbottigliato nello Stato in cui è avvenuta l’elaborazione, a differenza di quello “envasado en Mexico”, imbottigliato al di fuori dello Stato di elaborazione. Il Mezcal può essere da incolore, come la tipologia joven, fino a giallo paglierino, caratteristico della tipologia reposado; nella tipologia añejo, per effetto sia delle sostanze cedute dal legno che della maggiore ossidazione a cui è soggetto il prodotto, la colorazione può variare da giallo paglierino carico fino ad ambrato e bruno. Qualora siano state aggiunte erbe, la colorazione può essere verde, come nel caso del Mezcal Cedrón. In funzione del tipo di agave utilizzata, del grado di invecchiamento e, soprattutto, delle sostanze eventualmente aggiunte, le tipologie di Mezcal sono innumerevoli. Entrando in una mezcalería, locale tipico messicano dove si può degustare e acquistare il distillato, non è strano trovarne oltre cinquanta. In alcuni casi il Mezcal prodotto nello Stato di Oaxaca, viene messo in bottiglia con il caratteristico verme, che rappresenta un elemento distintivo importante sotto il profilo del marketing. La pratica di immettere il verme in bottiglia, tradizione iniziata per il Mezcal negli anni ’40, è stata adottata anche da alcuni produttori di Tequila, tanto che molti stranieri la ritengono erroneamente collegata a quest’ultimo distillato. Il motivo per il quale viene aggiunto il verme in bottiglia è il sapore che esso conferisce; si deve tuttavia considerare che è ritenuto afrodisiaco e che attrae molto i machos, che possono dare prova del loro coraggio mangiandoselo. Il Mezcal viene generalmente bevuto come tale, dato che il caratteristico aroma affumicato non lo rende particolarmente adatto a essere utilizzato per la preparazione di cocktail. Nello Stato di Oaxaca viene tradizionalmente bevuto liscio in piccoli bicchieri, accompagnato dal sal de gusano, ovvero vermi arrostiti e conditi con peperoncino e sale; dopo aver messo la larva sulla lingua, il distillato viene bevuto con estrema lentezza, sprigionando una serie di aromi intensi e particolari, non sempre apprezzati al primo assaggio.
Vino e architettura
Cantine sul web per comunicare il
vino
di Alessia Cipolla omunicare il vino, il suo territorio, i suoi colori e le sue emozioni non è cosa da poco. Nel mondo dell’enologia, dove la maggior parte delle aziende non è strutturata con un reparto specializzato, è molto difficile riscontrare il vero marketing. Da una parte c’è chi parla di vino, un produttore o un venditore, e dall’altra c’è chi ascolta, un appassionato, un curioso oppure un fruitore esperto. Bisogna trovare un linguaggio adeguato che non sia né troppo semplicistico o banale, né troppo tecnico, ma sicuramente efficace; i concetti basilari da cui è necessario partire sono quelli di qualità, innovazione e soprattutto relazione con il consumatore finale. Il mezzo che aiuta maggiormente la diffusione della comunicazione è, come ormai tutti sanno, internet: i consumatori per la prima volta possono scegliere e scambiarsi opinioni direttamente, come dimostrato dal fatto che il 2 per cento delle conversazioni quotidiane mondiali riguardano il vino e l’80 per cento delle persone si informa su internet prima di acquistare un vino. Chi non conosce la rete ne ha quasi paura, ma ormai nessuno può permettersi di restarne fuori. Una grande opportunità quindi la rete, con il suo fenomeno del passaparola, antico ed efficacissimo sistema di marketing, detto fenomeno della “viralità”, cioè della propagazione spontanea delle informazioni (anche pubblicitarie) che può essere utile per raggiungere una grande quantità di persone a costi molto ridotti. Tra i giovani e non solo, vengono molto utilizzati i social network, reti sociali, gruppi di persone connesse tra loro, come Facebook o le community, gruppi creatisi e uniti dalla stessa passione, ad esempio per il mondo del vino, che permettono e agevolano una conversazione continuativa e un coinvolgimento che si presume più alto di quello generato ormai dalla pubblicità
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e dall’informazione sui mass media. Oggi, quasi tutte le aziende vitivinicole hanno un sito internet, ma ben poche sfruttano questo mezzo dinamico. Molti siti sono statici, non vengono aggiornati o ciò accade di raro. Serve un sito funzionante in ogni sua pagina, navigabile in modo intuitivo e facilmente raggiungibile dai motori di ricerca, dove poter spiegare la produzione, la filosofia aziendale, presentare la propria cantina, il territorio e il proprietario, soprattutto se si tratta di una realtà familiare, con sezioni speciali non solo per la stampa, ma anche per la forza vendita, per le enoteche e i ristoranti. I testi devono essere facilmente leggibili e le foto come anche i filmati vanno sempre ridotti per non appesantire il sito, inserendo immagini sempre particolari, affascinanti, che invoglino alla visita in cantina. Musiche di sottofondo e animazioni sono da evitare: distraggono e rendono lenta la navigazione. Ma l’interattività di internet può essere sfruttata maggiormente grazie a strategie di comunicazioni innovative che coinvolgano il consumatore o il visitatore, come ad esempio la newsletter, che permette di creare un rapporto continuato e poco dispendioso con i propri clienti, informandoli su iniziative ed eventi, oppure altri strumenti più evoluti come i blog, siti internet in cui l’autore, magari lo stesso titolare della cantina, pubblica più o meno periodicamente, come in una sorta di diario online, i pensieri, le considerazioni e i risultati del proprio lavoro. I blog ottengono una diffusione enorme nel mondo del vino, sono seguitissimi non solo dai giovani e hanno la grande capacità di incuriosire e stimolare l’enoturista, dandogli il potere di condividere le proprie opinioni. Tutti strumenti preziosi, capaci di creare un rapporto diretto con il consumatore finale, umanizzando e rendendo
Cascina Adelaide 1- Una panoramica di Cascina Adelaide 2- L'area vinificazione 3- La sala degustazione 1
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più vera un’immagine altrimenti impersonale, con un approccio comunicativo incentrato sull’engagement, ovvero sul coinvolgimento del cliente o del semplice appassionato. Prosegue il percorso all’interno delle nuove cantine italiane realizzate tra il 2001 e il 2009. CASCINA ADELAIDE A BAROLO (CN) Un progetto a favore del paesaggio, un raccordo continuo di curve e forme sinuose, figure che si armonizzano perfettamente con le dolci colline delle Langhe che circondano l’edificio. Un progetto-metafora della produzione del vino: dalle radici sotto terra, il vino cresce, vuole emergere, si trasforma, fermenta, gonfia il terreno, crea una fessura e una crepa dalla quale fare uscire energia e fare entrare aria pura. L’edificio terminato nel giugno 2004 ha una superficie complessiva di circa 1.500 metri quadrati: un progetto mimetizzato all’interno di un paesaggio meraviglioso, nel rispetto della morfologia del territorio circostante; uno spazio che valorizza un edificio padronale preesistente e i prodotti della sua azienda senza esporsi troppo, con delicatezza, non a caso realizzato dallo studio di architettura Archicura di Torino e grazie al proprietario dell’azienda Amabile Drocco. Un edificio che bisogna voler trovare. La cantina è ipogea e si presenta come una dorsale allungata e affusolata ricoperta da un unico manto verde, interrotto solamente da un elemento circolare, il piccolo cortile di accesso. Ogni campata della struttura, sostenuta da pilastri in acciaio, è chiusa verso il fronte del Rio della Fava mediante una parete controterra in calcestruzzo impermeabilizzato. In corrispondenza di ogni campata troviamo, a soffitto, un’apertura visibile anche
dall’esterno nella parte superiore del manto erboso, la quale agevola lo scambio continuo d’aria per controllare la climatizzazione interna. La struttura portante del tetto è ricoperta, con l’inserimento di adeguati strati protettivi, da terreno vegetale alto circa 30 centimetri e rivestita lateralmente da lamiere di rame di intenso colore verde, stabilizzate chimicamente, a voler rievocare il verderame utilizzato da sempre nelle vigne. L’edificio è realizzato in un unico ambiente: l’altezza, nella parte centrale, la zona più alta dove avviene la trasformazione del vino, è di 5,50 metri mentre verso la valle dell’edificio, nella parte esposta a est, l’altezza della cantina si riduce al minimo fino a raccordarsi esternamente con il piano di campagna e dei percorsi adiacenti alla cantina. Nella zona ovest, lungo la strada d’accesso, sembra che la terra si sollevi in tutta la lunghezza dell’edificio per rendere visibile il portico di ingresso, il cortile circolare e la parete trasparente realizzata con vetrate continue, una parete protettiva che consente a coloro che vi lavorano di seguire tutte le fasi di metamorfosi del vino mantenendo un contatto visivo diretto con il territorio circostante e lasciando correre lo sguardo del curioso enoturista. I divisori interni sono stati realizzati con strutture di acciaio inox e legno con vetri in parte acidati o trasparenti a seconda delle necessità visive. Le pavimentazioni sia interne che esterne sono state realizzate in porfido. Al di sopra del manto inerbito del tetto troviamo la sala da degustazione con una diretta vista sulle vigne, un occhio privilegiato verso i dolci pendii del paesaggio circostante, luogo studiato nei minimi particolari, dal pavimento in legno moganoide al controllo della luce sia naturale sia artificiale.
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Vino e spettacolo
Monsieur Pinot e l’arte del sommelier di Michela Lugli
PORTATO IN SCENA DAI FREAK CLOWN, LO SPETTACOLO
DIVERTE E SORPRENDE, RICORDANDO CHE BERE BENE È UN’ARTE ALLA
PORTATA DI TUTTI
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ulla tavola un tagliere tondo in legno d’ulivo con formaggi e salumi, il naso si avvicina al calice le cui superfici trasparenti sono disegnate da cerchi rosei. Tutti i sensi sono impegnati a cogliere l’essenza di un prodotto che conserva il calore della vita concentrato nel succo di un acino d’uva. A questo punto il legame tannico della terra pervade i sensi, modulati sulle note di una musica interiore, accordando armonicamente scelte personali, sociali e politiche in una rotonda passione per il gusto. Il vino è tutto questo. È arte, è vita, è convivialità, è musica ed eleganza. Lo è per Alessandro e Stefano, i Freak Clown che, nati con il teatro di strada, sono cresciuti in spazi sociali dove si impara a guardare oltre l’apparenza e dove si vivono ancora le emozioni della vita reale. Hanno imparato, ascoltando gli insegnamenti di Luigi Veronelli, secondo il quale “il vino è il canto della terra verso il cielo”. Hanno appreso da Gian Paolo Bonani, leggendo il suo libro Vino e seduzione. Diario di un bevitore colto e avveduto, che del vino vanno amate le valenze seduttive.
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È insomma, con cognizione di causa, che Stefano e Alessandro portano in scena, nello spettacolo teatrale Le Sommelier, Monsieur Pinot, tanto esperto, serioso e intransigente quanto improbabile sommelier francese, e il suo goffo e inesperto apprendista Ciro. Ironico, dissacrante e intelligente, lo spettacolo si srotola per un’ora e un quarto in un susseguirsi di gag, calici e bottiglie volanti, equilibrismi estremi, bicchieri musicali e bottiglie sonore in cui, alla esasperata serietà di Monsieur Pinot, si contrappone la giocosità semplice e beffarda di Ciro. Impegnato in un interminabile esame che lo condurrà a essere insignito del tanto desiderato titolo di sommelier, Ciro si cimenta in una degustazione dove il tasso alcolico lascia il passo a un alto tasso di comicità e, nella quale, si trova ad affrontare le quattro regole di una “degustacion con elegance” come la definisce in un maccheronico francese Monsieur Pinot. Si parte dal colore, poi è il momento della temperatura, che il povero Ciro prova sulla fronte, quindi portando il calice al naso si passa all’aroma e infine l’attesa
degustazione. Naturalmente i tentativi del buon Ciro hanno come unico risultato di sfociare in un incalzante ritmo di battute esilaranti e situazioni comiche che si traducono in un fallimento totale. «La nostra idea – spiega Stefano che interpreta Ciro – è quella di esplorare il mondo dell’enologia con una comicità fisica e originale che, tra battute surreali e virtuosismi enologici, accompagna lo spettatore nel magico mondo del vino rendendolo più alla portata di tutti». «Pensiamo – continua Stefano – che un sommelier apprezzerebbe moltissimo il nostro spettacolo e ne resterebbe piacevolmente divertito. Non è difficile cogliere l’obiettivo che vogliamo perseguire interpretando i personaggi di Ciro e Monsieur Pinot, così estremizzati e legati agli stereotipi di un mondo che rischia di vedere offuscati i suoi valori più genuini dietro una patina di apparenza. Ci rivolgiamo soprattutto ai giovani che, diversamente da noi cresciuti con la bottiglia di vino rosso sulla tavola sia a pranzo che a cena, rischiano di perdere il piacere di una bevanda lenta e conviviale preferendolo alla birra o peggio alla Coca Cola». È scherzando sulla serietà del vino che i Freak Clown hanno voluto fare un salto di qualità nella loro carriera di artisti passando a un teatro di diverso spessore. La scelta del vino è arrivata proprio dalla rilevanza che i due comici gli riconoscono e dal desiderio di riportare l’attenzione sul fatto che bere di qualità è un dovere ma anche un diritto alla portata di tutti. «Abbiamo cercato, dissacrandolo, di valorizzare il lavoro del sommelier che è per noi un grande intenditore e conoscitore ma che, prima di tutto, è un amante del buon vino, in grado di elargire preziosi consigli e il cui obiettivo deve essere quello di aumentare il piacere di abban-
donarsi al contenuto del bicchiere». Lo spettacolo raggiunge il suo apice quando Monsieur Pinot sbalordisce il pubblico interpretando la Primavera di Vivaldi ma anche Smoke on the water dei Deep Purple, sfiorando con eleganza un cristallofono, cioè una serie di bicchieri variamente riempiti e inseriti in una cassa di risonanza di legno. «Si tratta – spiega Alessandro, che fuori dalla scena riconquista una piacevole semplicità, nascosta sul palco dall’ironica serietà del sommelier – di un’arte antica. Chi fa musicoterapia sostiene che suonare il cristallo fa bene alla salute, rilassa e stimola la fantasia, un po' come bere del buon vino» scherza. «Uno dei più grandi suonatori di cristallofono è Robert Tiso, io sono al livello Bontempi del cristallofono!» ironizza, con eccessiva modestia. Si tratta, come spiegano gli artisti, di uno spettacolo molto giovane, «ha meno di un anno di vita, è come se fosse un novello, ma come il buon vino invecchiando migliora!». Un ruolo fondamentale, ci tengono a sottolinearlo, va riconosciuto al regista Philip Radice e al fonico Luca De Marinis, che hanno saputo cucire con abilità lo spettacolo rendendolo armonico. Proprio per portare Le sommelier negli ambiti in cui può essere maggiormente apprezzato e dove il messaggio abbia maggiore possibilità di arrivare a segno, esistono due versioni della performance. La versione teatrale, che dura poco più di un’ora e una in pillole adatta alle enoteche oppure a eventi conviviali, quali cene o convention, per cui gli artisti hanno in serbo una variante davvero originale: si propongono in sala come veri sommelier ma poi, svelando il gioco, partono in acrobazie ed equilibrismi con grande sorpresa del pubblico. Un successo assicurato! 87
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Sommelier d’Olanda, passione e grande spirito di corpo La delegazione Ais di Amsterdam è un fatto compiuto. Il presidente Terenzio Medri, affiancato dal presidente della Camera di Commercio italiana nei Paesi Bassi, Roberto Payer, e dal delegato Antonino Ballarino, ha consegnato i diplomi al secondo gruppo di sommelier Ais d’Olanda. Che la presenza dell’Ais nei Paesi Bassi rivestisse un significato importante fin dai primi passi lo ha dimostrato anche la presenza dell’ambasciatore d’Italia Gaetano Cortese alla prima consegna dello scorso anno. Come già avvenuto per il primo gruppo di colleghi, Medri ha ricordato ai neodiplomati di comunicare il vino italiano in tutte le sue accezioni e in tutti i settori in cui sono attivi. Un invito che certamente non è andato sprecato nonostante un ruolo locale ancora tutto da inventare e che, grazie ai nuovi colleghi, renderà la presenza dell’Ais nel Benelux ancora più significativa. Non a caso l’Ais in Europa è presente in questo gruppo di Paesi contigui, Germania, Benelux e Gran Bretagna, cosa che facilita i contatti con i colleghi degli altri Paesi. La presenza istituzionale dell’Ais nei Paesi Bassi risale al 2008 ovvero al primo corso per sommelier organizzato e promosso in loco dalla Camera di Commercio italiana per i Paesi Bassi. In questi due anni si sono diplomate due classi di sommelier Ais e la delegazione ha quindi raggiunto la massa critica sufficiente per cominciare a fare sul serio. Inoltre la presenza dell’Ais comincia lentamente a essere conosciuta anche in questo Paese. Che cosa caratterizza un corso Ais all’estero? E in particolare chi sono i neodiplomati Ais d’Olanda? Un breve excursus sulla situazione locale in risposta a queste due domande non è superfluo per chi si chieda in che modo l’espansione dell’Associazione Italiana Sommeliers all’estero possa rafforzarla. Il punto complicato per l’organizzazione di un corso Ais all’estero è la logistica. L’importante lavoro effettuato da Nicoletta Brondi e dalla Camera di Commercio italiana nei Paesi Bassi come facilitatori locali è stata quindi di essenziale importanza per il successo di questa iniziativa. Inoltre, specialmente all’inizio, uno dei problemi è quello di trovare un numero sufficiente di corsisti che possano partecipare negli stessi giorni. Molti lavorano e sappiamo quali siano i tempi liberi per i professionisti della ristorazione. I corsi hanno attratto persone che provengono 88
da differenti realtà lavorative, alcune legate al vino, come importatori e vinologi, altre completamente diverse, come una traduttrice, una guida di viaggi in Italia, alcuni manager e persino una giornalista astemia. Il che comporta un grande arricchimento e uno scambio reciproco, ma anche tempi di lavoro quasi incompatibili tra loro. I corsi per questo motivo vengono organizzati in forma concentrata, l’equivalente di quattro lezioni normali compresse in due giorni. Inoltre i tempi di lezione devono prevedere anche quelli per l’interprete, visto che molti corsisti non parlano l’italiano o lo parlano poco. Si tratta quindi in genere di corsi bilingue, anche questo un ulteriore aspetto organizzativo da non trascurare. In entrambi i corsi i partecipanti italiani e olandesi erano ugualmente rappresentati. Mentre però nel primo gruppo predominavano corsisti provenienti dalla ristorazione e dalla gastronomia, il secondo gruppo, oltre a rappresentare un background professionale più variegato, aveva la curiosa caratteristica che i partecipanti olandesi erano tutte donne. Altre differenze tra i corsisti italiani e quelli olandesi, da segnalare in vista magari di un ulteriore sviluppo dei materiali didattici, è dovuto a elementi linguistici e culturali, ma anche a conoscenze che si presuppongono condivise e che in realtà non lo sono. I materiali di studio in lingue diverse dall’italiano scarseggiano e ciò avviene in particolare per il secondo livello. Se ci si rende conto che è proprio il secondo livello quello per cui chi sia già in possesso di un brevetto olandese decida di inve-
Roberto Payer, Gaetano Cortese, Terenzio Medri
Il presidente Terenzio Medri e il delegato di Amsterdam, Antonino Ballarino (il primo a destra) alla consegna dei diplomi
stire anche nel corso Ais, si capisce che questo possa essere un elemento di delusione. La lingua in questo caso, nonostante i notevoli sforzi e gli investimenti effettuati dall’Ais per tradurre i libri destinati al corso, è elemento di intralcio. A questo proposito però sappiamo che l’Ais sta continuando a lavorare sulla traduzione dei propri materiali, che di per sé è un lavoro lungo e complesso. Un altro elemento che si sottovaluta è la conoscenza pregressa e condivisa dei corsisti all’estero e in gruppi misti italiani e stranieri. In molti Paesi le conoscenze comuni sono diverse da quelle italiane. Durante una lezione è costata grande fatica convincere una corsista che un vino può avere sentori di violetta, perché le violette hanno un odore specifico. Questo era un elemento totalmente assente dall’esperienza di alcuni corsisti olandesi, perché da loro le violette sono esclusivamente coltivate a scopi decorativi, quindi prive di profumo. Oppure pensiamo ad alcune nozioni che fanno parte del bagaglio dell’italiano di media cultura: le regioni e le province. Citare una provincia per noi significa collocarla immediatamente nella regione e nell’ambiente pedoclimatico di appartenenza. E magari ci si ricorda persino qualche piatto tipico della zona. Lo straniero invece deve memorizzare il nome della provincia, capire in quale regione si trova e collocarla nell’area esatta. È come se a noi chiedessero dove si trovi, di che clima goda e quali siano i piatti tipici dello Shropshire. E avere questo tipo di nozioni a portata di mano nel corso della lezione fa la differenza a doversele faticosamente cercare a casa magari con l’aiuto di Wikipedia. Insomma, fare un corso Ais all’estero, nonostante l’alta qualità dei contenuti, dei materiali e soprattutto dei docenti, resta un gran lavoro, una fatica che molti hanno fatto con piacere pur di diplomarsi e i commenti finali dimostrano l’entusiasmo e la passione dei neodiplomati. Purtroppo questa organizzazione basata sulle esigenze di chi lavora nella ristorazione lascia fuori gli appassionati legati a orari di ufficio. Nicoletta Brondi, segretario generale della Camera di Commercio italiana, ricorda però che è importante far presenti le proprie disponibilità. Come sottolinea anche Sofia Biancolin, delegata Ais del Nord Germania e che è stata una fata-madrina molto presente e prodiga di
consigli nei primi passi della neonata delegazione della porta accanto, si tratta davvero di andare a stanare gli interessati uno a uno e ‘trascinarli’ al corso. Questo perché l’Ais è ancora poco conosciuta in molti Paesi e ogni volta occorre spiegare di che cosa si tratti esattamente. E i corsisti che si sono buttati in questa avventura certamente non sono rimasti delusi né dai contenuti del corso, in particolare da quelli del terzo livello, né dai docenti che si sono succeduti tra cui Eddy Furlan, Andrea Gori, Manuela Corneli, Guido Invernizzi e Massimo Castellani. Il panorama dei sommelier italiani d’Olanda è molto variegato e con un grande spirito di corpo. Ogni gruppo durante il corso organizzava serate per incontrarsi, degustare e approfittare della presenza del docente, che volente o nolente veniva trascinato alla scoperta di Amsterdam. Il primo gruppo, addirittura, prima ancora di venire informato dei preparativi di istituire la delegazione Ais, aveva già intrapreso i passi preliminari per costituirsi come associazione, tanto era il desiderio di non perdersi di vista dopo il corso ma di dare vita a sinergie professionali e soprattutto umane legate alla comune passione per i vini italiani. La nascita della delegazione di Amsterdam ha quindi creato questo punto fermo intorno al quale vedersi, migliorare la propria formazione e comunicare il vino. In questi due anni ci si è ritrovati a diversi eventi: non solo le due ultime edizioni del Sagrantino Day organizzate in proprio, ma anche la giornata per i professionisti del vino organizzata dall’Istituto per il commercio estero di Amsterdam e ulteriori degustazioni e fiere a tema. Tutto ciò che cosa può significare per il mondo del vino italiano? Innanzitutto la preziosa presenza in loco di persone in grado di comunicare il vino. È noto che l’estrema ricchezza e varietà del panorama enologico italiano rappresenti spesso una grossa palla al piede quando si tratta di marketing all’estero. Il consumatore medio a volte fa fatica a distinguere tra Chardonnay e Sauvignon. Per questo è importante che i sommelier dell’Ais all’estero facciano da esploratori e preparino il terreno ai produttori e agli importatori. (Barbara Summa) 89
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Winecode, il nuovo modo di leggere il vino Ci sono molti modi per utilizzare al meglio una guida ai vini: portarsela sempre con sé, per esempio, o segnarsi da qualche parte solo gli indirizzi che riteniamo più utili in base alle nostre esigenze. Oppure avere sempre tutto a disposizione attraverso il nostro cellulare. Che cosa esattamente? L’indirizzo della cantina, la descrizione dei vini, i luoghi più vicini a noi, dove poterli acquistare e ancora dei video con una degustazione professionale delle eccellenze presenti in guida. Tutto questo si chiama Winecode. Viniplus, la guida concorso creata e ideata nel 2005 da Ais Lombardia, quest’anno si è rinnovata attraverso questa importante novità. Di fatto, dalla collaborazione tra Ais Lombardia e Winecode è nata la prima guida interattiva ai vini lombardi. «Sono orgoglioso che Ais Lombardia abbia deciso di aggiungere questa importante novità a una guida già ricca di contenuti e che ogni anno recensisce un numero sempre più cospicuo di realtà lombarde» ha affermato Luca Bandirali, presidente di Ais Lombardia . «Da sempre credo nelle opportunità che la rete può dare al mondo della somellerie. Non potevamo, quindi, non esplorare anche le nuove vie che portano al mobile».
Come funziona Con la fotocamera del telefonino si “inquadra” la particolare etichetta applicata sulla guida o sulla bottiglia. Non è necessario fare la fotografia, è sufficiente inquadrarla con la fotocamera e un apposito software, già installato sui modelli più recenti o installabile gratuitamente da internet, decodifica il codice a barre applicato. Attraverso il codice il cellulare riceve tutte le istruzioni necessarie per connettersi a internet e richiamare dai server di rete dalla piattaforma tecnologica della Farm Computer System (Winecode è un marchio registrato di Farm Computer System srl. I servizi Winecode sono sviluppati in collaborazione con Distribuzioni Digitali sas) le informazioni sul vino. I servizi Su ogni pagina delle guida Vinipuls 2010 è stato stampato il winecode della cantina che permette di accedere a questa tecnologia di comunicazione multimediale del mondo del vino. Si possono ricevere nel telefonino tutte le informazioni sul vino e sulla cantina con i consigli dei sommelier di Ais e visionare le video-degustazioni dei vini premiati. Ogni produttore presente nella
guida è stato georeferenziato e Winecode dispone della posizione GPS di tutte le cantine della guida. Con un semplice click si attiva il navigatore stradale del telefonino e la visita in cantina da virtuale diventa reale. Una speciale applicazione realizzata per l’iPhone permette poi di avere sempre con sé la guida Viniplus 2010 arricchita dai servizi Winecode. È possibile visualizzare tutte le schede dei vini, vedere le video-degustazioni e i consigli dei sommelier Ais. Non appena si accede alla guida Viniplus per iPhone, viene individuata la posizione geografica dell’utente e gli vengono segnalate le cantine della guida più vicine alla sua posizione, con le indicazioni stradali per raggiungerle dal punto esatto in cui si trova. Ma non basta. Con la guida Viniplus per iPhone verranno segnalati sul telefonino i ristoranti più vicini al punto esatto in cui ci si trova, che servono quel vino e il percorso stradale per raggiungerli. Un’interattività, quella introdotta con la nuova edizione della guida Viniplus, che consente di avere un’edizione sempre in evoluzione rispetto a quella cartacea. Infatti, sebbene stampata una sola volta l’anno, Viniplus continua a cambiare nella versione digitale. (Alessandro Franceschini)
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Daniele Capuzzi e Mirjam Moretto migliori sommelier junior 2010 dell’Ais, con la collaborazione di All’Istituto alberghiero Buonarroti alcuni insegnanti dell’istituto capresadi Caprese Michelangelo, in prono. Momento importante della manivincia di Arezzo, si è svolta la finafestazione il convegno che si è svolto le della XXII edizione del concornell’aula magna del centro sportivo so Miglior Sommelier Junior. Due F.I.T., che aveva per tema le carattele categorie in gara, over e under ristiche dell’uva per vini longevi e che 18, per un totale di ventuno stuha visto l’intervento di enologi in rapdenti, selezionati attraverso verifipresentanza di Toscana, di Umbria e che intermedie all’interno dei di Romagna. Ad aprire la tavola rispettivi istituti. Al termine delle rotonda è stato il contributo del proprove la giuria, presieduta da fessor Pier Luigi Pisani Barbacciani Roberto Gardini, ha decretato che ha appassionato la nutrita plavincitore per la categoria under tea di studenti e insegnanti. A conDaniele Capuzzi dell’Istituto clusione una cena di gala all’interno alberghiero Mantegna di Brescia dell’istituto ha sancito il successo e per la categoria over Mirjam Daniele Capuzzi e Mirjam Moretto della manifestazione che ha coinvolMoretto dell’Istituto Maggia di to delegazioni provenienti da tutta Stresa. Entrambi i vincitori si sono Italia e alle quali ha provveduto in maniera scrupodimostrati entusiasti per il risultato del tutto meritato. losa e professionale la professoressa di ricevimento Anche gli insegnanti accompagnatori sono rimasti Teresa Cipriani. soddisfatti per aver preparato bene i loro studenti. Mente organizzatrice dell’intero evento è stato Lorenzo Giuliani, membro della giunta nazionale (Claudio Gualandri)
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Quel sorso di vino che “vince la partita con l’eternità” Una radiosa giornata di sole a Napoli ha dato il benvenuto ai convegnisti radunati a Villa Doria D’Angri per il convegno “Il Vino cuore di un territorio: storia, cultura e gastronomia”, promosso dalla Fondazione Simone Cesaretti, in collaborazione con l’Associazione Italiana Sommeliers e con le sezioni regionali di Basilicata e Campania, presso la prestigiosa sede dell’Università Parthenope, nell’intento di osservare l’enologia da un punto di vista storico e culturale. Dopo i saluti del rettore, Gennaro Ferrara e del presidente della Fondazione Cesaretti, Claudio Quintano, che ha elogiato l’argomento scelto, che incuriosisce il comparto enogastronomico e non solo, il presidente nazionale dell’Ais, Terenzio Medri ha dichiarato che in un momento di crisi economica la storia e la cultura sono le risorse su cui investire per portare all’eccellenza il settore agroalimentare, con i prodotti territoriali già apprezzati e valorizzati. “Una bottiglia di vino non si vende senza la cultura diffusa soprattutto tra i giovani per un bere consapevole” ha sottolineato. Augusto Marinelli, vicepresidente della Fondazione, ha spiegato invece il progetto per diffondere la cultura del vino, parlando di identità culturale, di percorsi sostenibili, di giovani e di alcol, tema quest’ultimo che deve essere affrontato in maniera responsabile. “La reazione immediata è la lotta all’alcol, che però è un modo non corretto di affrontare il problema, ma altri elementi vanno considerati attentamente, quali ad esempio i costi compatibili con le disponibilità finanziarie. Occorre poi capire le differenze sostanziali sul consumo. In Italia si beve il vino prevalentemente durante i pasti, ma sempre più giovani bevono fuori dai pasti,
L Una veduta della platea 92
con effetti devastanti. Bisogna quindi conoscere il fenomeno, distinguere tra consumo di alcolici e di vino e intervenire nella prevenzione. Va predicata la cultura della sostenibilità, della responsabilità, della formazione e della cultura. Il vino dimostra lo spessore culturale di chi lo beve e il rispetto dovuto al consumo non dannoso”. Mario Morcellini, preside della facoltà di Scienza della comunicazione all’università La Sapienza di Roma, ha presentato il progetto della Fondazione: I giovani tra la vita e l’alcol sospesi, illustrando la relazione tra vino e territorio, dove emergono alcune criticità nell’approccio in cui i disagi sono da osservare nella società. Sui giovani e il vino è intervenuto anche Medri, che ha posto l’accento sul fatto che occorre mettere insieme le forze. “Si deve lavorare in concerto su una politica che punti sul bere sano. I francesi sono stati bravi a vendere la propria storia e il territorio con una politica unitaria, ora anche in Italia l’economia agroalimentare deve essere trainante, vista la qualità e la nostra storia di eccellenze. I giovani più colti sono contrari agli abusi e hanno un approccio giusto ed equilibrato. Questo è un momento in cui il mondo osserva l’Italia, la ristorazione di eccellenza è made in Italy e il turismo, l’economia, l’agricoltura devono creare sinergie intorno al comparto vino, dando un valore aggiunto per uscire dalla difficoltà del momento di crisi economica”. Silvio Menghini, direttore Unicesv dell’università di Firenze, ha parlato di vino e cultura, tra sostenibilità e mercati. “In un rapporto conflittuale, quale tipo di mercato auspichiamo? Spesso il comportamento del cittadino non è lo stesso del consumatore, i requisiti di fondo di consapevolezza e di conoscenze personali si riferiscono alla responsabilità del consumatore ispirato da una concezione di benessere precisa. Associare il benessere alla libertà di poter accedere ai servizi è lo scopo del progetto Symposion. Se un individuo sa alimentarsi spesso e volentieri aumenta la propria capacità di relazionarsi al benessere. Importanti sono le conseguenze di un consumo di tipo post-moderno, con
“GUSTI DI UN TERRITORIO” Al termine del Convegno gli ospiti hanno saggiato i “Gusti di un Territorio”: un percorso enogastronomico di prodotti tipici dell’Accademia Lucana della Gastronomia in abbinamento con i vini di alcuni vitigni autoctoni lucani e campani, a cura dell’Ais Basilicata e Campania. Le aziende lucane che hanno fornito i vini per il percorso enologico a cura dell’Ais Basilicata sono: ! Firma 2007 Aglianico del Vulture DOC CANTINE DEL NOTAIO (in anteprima nazionale) ! Basilisco 2006 Aglianico del Vulture DOC BASILISCO ! Teodosio 2007 Aglianico del Vulture DOC BASILISCO ! Colli Cerentino 2005 Aglianico del Vulture DOC COLLI CERENTINO ! Masquito 2004 Aglianico del Vulture DOC COLLI CERENTINO ! Carato Venusio 2005 Aglianico del Vulture DOC CANTINA DI VENOSA ! Terre d'Orazio 2006 Aglianico del Vulture DOC CANTINA DI VENOSA ! Zimberno 2006 Aglianico del Vulture DOC MICHELE LA LUCE ! Le Drude 2006 Aglianico del Vulture DOC MICHELE LA LUCE (in anteprima nazionale) ! Carpe Diem 2006 Aglianico del Vulture DOC CONSORZIO VITICOLTORI ASSOCIATI DEL VULTURE ! Bauccio 2006 Aglianico del Vulture DOC MADONNA DELLE GRAZIE ! Divinus 2005 Aglianico del Vulture DOC TERRA DEI RE ! Nocte 2006 Aglianico del Vulture DOC TERRA DEI RE ! Melodia Greco 2008 Basilicata IGT MANTEGNA VINI
scelte consumistiche implicite, dove il consumo diventa linguaggio e il marketing è legato allo stile di vita. Una strategia che dia maggiore attenzione alla capacità di vendere e al ruolo della cultura, necessario al ragionamento sulla centralità del territorio, del turismo, del consumo responsabile e della comunicazione”. Luigi Moio, wine maker e professore di Enologia dell’università Federico II di Napoli, ha posto l’accento sul tema del vino cuore di un territorio, esaminandone gli aspetti attraverso il cuore degli uomini e dell’umanità e il territorio. “L’umanità da sempre ha richiesto bevande che confortassero il corpo e lo spirito” ha spiegato Moio, “e il vino ha qualcosa in più: nulla in natura è come il vino, che non è mai standardizzato e cambia a seconda dell’uomo che lo produce. Il vino è l’opera umana che interpreta un territorio e l’uva. La birra è la bevanda più antica ma è il vino ad aver ispirato poeti, artisti e letterati da migliaia di anni fino ad oggi. Il vino è anche espressione di libertà, l’uomo ama il vino come l’amico che ha scelto. A differenza di ciò che serve per sfamarci, il vino non serve a dissetarci, ma è il piacere di bere senza sete. Perciò il vino si sceglie e si ama, apre le porte al mondo dell’amore, tocca l’essenziale della condizione umana. Negli ultimi anni le strategie industriali” ha proseguito Moio, “hanno prodotto vini perfetti da alcune varietà ma che hanno creato una sorta di appiattimento. Il vino deve essere diverso, nei vini varietali oggi si ricerca il territorio, le
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Pretoriano 2001 Aglianico del Vulture DOC MARTINO Oraziano 2003 Aglianico del Vulture DOC MARTINO Malandrina 2006 Matera DOC MASSERIA CARDILLO Akatos Matera Moro DOC MASSERIE BATTIFARANO CANTINE CERROLONGO Torre Bollite 2007 Matera DOC MASSERIE BATTIFARANO - CANTINE CERROLONGO Le Paglie 2008 Matera Greco DOC MASSERIE BATTIFARANO - CANTINE CERROLONGO Lux 2005 DRAGONE Fantasia 2005 Terre dell’Alta Val d’Agri DOC PISANI Concerto 2004 Terre dell’Alta Val d’Agri DOC Riserva PISANI
Le cantine campane presenti nella degustazione sono: Viticoltori del Casavecchia I Borboni Nugnes Torre Gaia Torre a Oriente Ocone De Angelis Cantine degli Astroni Terre dei Colapietro Mazzella Cenatiempo Vigna Pironti I Vini del Cavaliere Apicella
persone che stanno dietro e l’onestà di chi lo produce. È fondamentale per avvicinare i giovani non proibire, coloro che sanno distinguere i vini non possono diventarne preda e questo grande lavoro va fatto nelle famiglie con l’esempio”. Moio ha infine chiuso il suo intervento con una poesia scritta da Eduardo De Filippo in dialetto napoletano: Dint' ‘a butteglia n'atu rito 'e vino è rimasto... Embè che fa m' 'o guardo? M' 'o tengo mente e dico: “Me l'astipo e dimane m' 'o bevo?” Dimane nun esiste. E 'o juorno primma, siccome se n'è gghiuto, manco esiste. Esiste sulamente ‘stu mumento e chistu rito 'e vino int' 'a butteglia. E che ffaccio, m' 'o perdo? Che ne parlammo a ffà! Si m' 'o perdesse manc' 'a butteglia me perdunarrìa. E allora bevo... E chistu surz' 'e vino vence 'a partita cu l'eternità! (Nella bottiglia un altro goccio di vino è rimasto... Ebbene che faccio me lo guardo? Lo osservo e dico: “Lo conservo e domani me lo bevo?” Domani non esiste. E il giorno prima, siccome se n’è andato, neanche esiste. Esiste solamente questo momento e questo goccio di vino nella bottiglia. E che faccio, me lo perdo? Che ne parliamo a fare! Se me lo perdessi neanche la bottiglia mi perdonerebbe. E allora bevo… E questo sorso di vino vince la partita con l’eternità!) La direttrice del Museo archeologico nazionale di Firenze, Carlotta Cianferoni, ha illustrato invece la tesi: La vite e il vino nel mondo antico, mostrando moltissimi 93
Pillole Il presidente Ais Terenzio Medri al tavolo dei relatori
Terenzio Medri e la Chef-Sommelier Rosanna Marziale
reperti, a partire dal kantharos, l’antico vaso di Dioniso, e le anfore vinarie usate anche per il drenaggio del terreno. Le ha fatto eco Filomena Moscato, archeologa dello stesso museo sul tema del simposio, che è la forma più alta di convivialità, dall’etimo greco “bere insieme”, dove il mangiare e il bere in compagnia era un privilegio destinato ai soli uomini dell’aristocrazia dominante nella polis, ed era un vero e proprio atto politico in cui si rinsaldava una socialità. Rosanna Marziale, chef del ristorante “Le Colonne” di
Caserta in un breve filmato dal titolo Vino e gastronomia, ha giocato sulle identità nascoste del cibo mediante varie espressioni di se stessa, intenta nella preparazione del pane e nella presentazione di piatti a base di maiale nero casertano o al mare in cerca di pescato. Attraverso le diverse espressioni del territorio, ha proposto in un cortometraggio le sue ricette sempre alla ricerca dei prodotti di identità in un percorso nel tempo. (Michela Guadagno)
Un saluto a Paolo Guidi Il 4 aprile scorso è mancato Paolo Guidi, consigliere nazionale dell’Ais e delegato di Novara. Ci ha lasciato quando aveva ancora in mente molte cose da fare. La sua caratteristica distintiva era lo spiccato spirito imprenditoriale, la capacità di guarL Paolo Guidi al lavoro dare sempre avanti e di pre Paolo Guidi insieme correre i tempi. Anche nell’ulad Angelo Gaja timo periodo, malgrado la malattia, il suo pensiero era rivolto al fare: non esisteva per lui il “si potrebbe”. La sua attività in proprio era cominciata nel 1984 con la gestione di un bar, nel 1989 aveva rilevato l’antica vineria Rizzolo e nel 1994, con un deciso salto di qualità, era giunta l’apertura dell’enoteca Guidi in corso della Vittoria a Novara. Parallelamente era iniziato il suo interesse per l’Ais, con la frequenza ai corsi per sommelier, dando così concreta realizzazione alla sua vocazione, diventando degustatore e infine delegato provinciale. Anche in questo ambito aveva dimostrato il suo attivismo, organizzando i corsi Ais e frequenti serate di degustazione e di abbinamento cibo-vino, per lui occasione di confronto e di scambio di esperienze. Il presidente dell’Ais, Terenzio Medri, la giunta e tutto il consiglio nazionale lo ricordano con grande affetto e stima per quanto ha svolto a favore dell’associazione. Gli amici dell’Ais lo ringraziano per il lavoro svolto e sono orgogliosi di aver condiviso tanti anni di impegno associativo.
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Il professionista dell’anno 2010 a nove associazioni di Solidus Nello splendido The Westin Europa & Regina di Venezia è stato consegnato il prestigioso riconoscimento “Il Professionista dell’Anno 2010”, assegnato dalle nove associazioni professionali che fanno parte di Solidus – I professionisti dell’ospitalità italiana”, forum permanente che raggruppa le più importanti associazioni professionali del settore alberghiero nazionale. Il premio è andato a Gianfrancesco Ostuni, general manager The Caleta Hotel Catalan Bay, Gibilterra - ADA, Associazione Direttori d’Albergo; Fabio Bacchi, F&B operation manager Europa e Far Esat Capomondo International a Ginevra - AIBES, Associazione Italiana Barman; Laura Diana, prima governante Hotel Cicerone Roma - AIH, Associazione Italiana Housekeeping; Massimo Borriello, Ricevimento Bonotto Hotel Belvedere, Bassano sul Grappa (VI) - AIRA, Associazione Italiana Impiegati d’Albergo; Luca Martini, Osteria da Giovanna, Arezzo - AIS, Associazione Italiana Sommeliers; Franco Rossi, Ristorante Franco Rossi a Bologna - AMIRA, Associazione Maître Italiani Ristoranti e Alberghi; Roberto Trematore, chef concierge Grand Hotel Billia, Saint Vincent (AO) - FAIPA, Federazione delle Associazioni Italiane dei Portieri d’Albergo Le Chiavi d’Oro;
I premiati 2010 insieme al presidente di Solidus, Franco Alzetta, e al segretario, Renato Andreoletti
Alessandro Circiello, responsabile del compartimento giovani della FIC e chef del programma televisivo I Fatti Vostri in onda su Rai 2 - FIC, Federazione Italiana Cuochi; Massimiliano Errichiello, chef concierge Hotel Bernini Bristol, Roma - UIPA, Unione Italiana Portieri d’Albergo Le Chiavi d’Oro - Les Clefs D’Or.
Prima edizione del concorso Matilde di Canossa - Terre di Lambrusco Promosso e organizzato dalla Camera di Commercio di Reggio Emilia, grazie all’impegno del presidente Enrico Bini e del componente di giunta Ermes Annigoni, prende il via il concorso enologico “Matilde di Canossa – Terre di Lambrusco”, in collaborazione con la Provincia di Reggio Emilia e il Comune di Quattro Castella. L’evento si avvale inoltre della preziosa collaborazione di Assoenologi, della sezione emiliana dell’Associazione Italiana Sommeliers e del patrocinio dei consorzi che operano nelle zone tipiche di produzione del Lambrusco: Consorzio per la promozione del marchio storico dei vini reggiani, Consorzio marchio storico dei Lambruschi modenesi, Consorzio volontario del Lambrusco Mantovano Doc e Consorzio volontario per la tutela dei vini dei Colli di Parma. «Lo scopo del concorso» sottolinea Enrico Bini, presidente della Camera di Commercio, «è quello di evidenziare la migliore produzione dei vini Lambruschi, farla conoscere ai consumatori e agli operatori, presentare al pubblico la tipologia dei vari vini attraverso la diretta partecipazione dei vini selezionati alle principali fiere internazionali di settore. Il concorso è riservato ai vini frizzanti con prevalenze del vitigno Lambrusco per almeno l’85 per cento e prodotti da uve delle vendemmie 2008 e/o 2009 e si propone anche di premiare e stimolare l’attività delle aziende vinicole al continuo miglioramento qualitativo dei loro prodotti». Possono partecipare aziende produttrici che hanno sede o unità locali produttive in provincia di Reggio Emilia, Mantova, Modena e Parma. Non possono essere presentati
campioni da aziende che ne curano solo la commercializzazione. Il 28 e 29 maggio 2010 presso il Castello di Bianello a Quattro Castella (RE) le sessioni di analisi sensoriali, presiedute da Assoenologi. Per le diverse commissioni di valutazione che compongono la giuria, ognuna delle quali è costituita da tre tecnici, di cui almeno due operanti in Emilia, un sommelier e un giornalista, indispensabile il metodo di valutazione “Union Internationale des Oenologues”. La proclamazione ufficiale dei vini vincitori è fissata per il 26 giugno 2010 sempre al Castello di Bianello. Nel corso della cerimonia allestiti anche banchi di assaggio e presentata ufficialmente la guida Terre di Lambrusco 2010 che, tradotta in tre lingue, contiene per ognuno dei vini vincitori una pagina dedicata. I vini premiati sono inoltre oggetto di una particolare azione promozionale che la Camera di Commercio di Reggio Emilia attuerà nel corso dell’anno.
La presentazione del concorso al Vinitaly 95
Libri
SULLO SCAFFALE LA STORIA DEL VINO Autore: Editore:
Donato Lanati Enosis
Chiamato l’enologo scienziato, Donato Lanati è interessato non solo alla parte chimica e microbiologica del vino ma anche a quella più emozionale, mettendone in luce il valore aggiunto fatto di storia, di territorio, di tradizione e di uomini. Docente incaricato di Tecnologia enologica all’università di Torino, membro dell’Accademia italiana della vite e del vino, Lanati ha un carattere eclettico ed estroso che manifesta nei molteplici interessi che coltiva fuori dalle mura di Enosis Meraviglia, la realtà scientifica, unica in Europa, da lui ideata (un centro di ricerca dedicato all’enologia varietale). È così che, appassionato di moto, pilota elicotterista e sub, Lanati non disdegna scrittura e invenzioni curiose; sua la creazione di uno speciale calice, il Calice Meraviglia, bicchiere unico per tutti i vini, la cui forma è il frutto di una accurata ricerca scientifica sui movimenti delle molecole dei profumi. La Storia del Vino è una favola moderna che ha in sé la cifra dell’apertura d’animo dell’autore. Accompagnata dalle illustrazione della brava vignettista Laura Pellegrini (sue le vignette che appaiono quotidianamente su “La Repubblica”) le vicende della bevanda di Bacco si snodano in forma di sogno dalle origini – la Bibbia – lungo le popolazioni che hanno segnato i secoli: Fenici, Egiziani, Greci, Etruschi e Romani. Fino a giungere ai giorni nostri con la celestiale apparizione di colei che viene definita la regina di Pantelleria, Carole Bouquet. Identica dimensione onirica per l’epilogo del volume, in cui l’autore afferma: “Mi piacerebbe tanto che qualche bambino fosse attratto da questo affascinante settore dell’agricoltura e che magari possa scattare in lui la molla, il desiderio di diventare un grande enologo, perché nel nostro Paese ci sono veramente molte possibilità di sviluppare il proprio talento in questo campo”. Prima ancora che mi commuova vi riassumo il suo pensiero: in un acino dell’uva è racchiuso il mondo intero. 96
di Natalia Franchi
VINO E PSICOANALISI Autori: Editore: Prezzo:
F. Sinibaldi e G. Ferrari Edizioni Ferrari Sinibaldi 16,00 euro
Se per il filosofo Michel Onfray Freud ha semplicemente “preso il suo caso per la generalità”, sono in tanti a pensarla diversamente, tra cui gli autori del godibile volumetto di cui in queste righe. La psicanalisi ricerca gli indizi di ciò che muove l’essere umano in quello che viene chiamato inconscio, la parte più profonda di ognuno di noi, deputata a sostenere i nostri bisogni. Anche il vino ha un suo inconscio, nel sentore del terreno, da cui nasce e trae carattere, negli aromi e negli odori che nel corso degli anni lo arricchiscono. Esattamente come per l’uomo, l’inconscio del vino è il risultato dell’ambiente in cui nasce e delle sue modificazioni nel tempo. Nel lavoro del sommelier esiste una certa assonanza con l’interpretazione dei sogni dello psicoanalista: anche il sommelier indaga gli indizi sensoriali allo scopo di definire la struttura e le caratteristiche del vino e con i propri sensi fa emergere l’inconscio del vino. Questa, in estrema sintesi, la tesi dei due psicanalisti (e proprietari di una enoteca) autori del volume. Le discipline, apparentemente estranee, dell’enologia e della psicologia, trovano in queste pagine un perfetto connubio quali espressione della reale essenza dell’uomo. Del suo vissuto e del suo modo di affrontare la vita. Fabio Sinibaldi e Giuseppe Ferrari hanno dedicato la loro vita professionale allo studio delle persone, dei loro mondi interiori e delle dinamiche che ci muovono nelle relazioni con gli altri, nello sviluppo di una propria struttura e personalità, che ci portano verso il dolore o in direzione del benessere. I due autori hanno anche coltivato nel tempo, in modo diverso e complementare, la conoscenza dell’enologia, la passione per i vini e i distillati come forma di cultura e conoscenza, di interazione con il Sé e con l’Altro. Di grande interesse nel volume le interazioni tra sessualità e vino e alcune riflessioni sull’alcolismo e le dipendenze. Curiose le analogie tra temperamento del vino e della persona che lo sceglie. Amate l’Amarone? Siete introversi e attratti dal mondo delle idee, curiosi e audaci. Ottime capacità analitiche e spirito critico molto sviluppato, chi ama l’Amarone tende a essere un perfezionista, molto riservato e poco interessato agli altri. All’opposto, il tipo psicologico dello spumante, che di norma è curioso, entusiasta e sensibile ai sentimenti degli altri. Detesta la routine e non è preciso, leggero come un perlage. L’inesauribile fascino dell’inconscio.
TRATTATO SUL BUON USO DEL VINO Autore: Editore: Prezzo:
François Rabelais Duepunti Edizioni 10,00 euro
Che a Rabelais piacesse il vino è cosa ormai assodata, le cui origini risalgono alle pagine di una sua opera, Gargantua e Pantagruele, in cui si rivolge a “bevitori illustrissimi” e “infaticabili” come gli unici in grado di apprezzare le gesta dei suoi personaggi. Non è un caso dunque se nella presente opera Rabelais si produca nella seguente frase: “Bere il vino è, accanto al parlare smodato e alla preghiera ardente, l’attività che distingue l’uomo dagli altri esseri che vivono sulla terra, i volatili, i mammiferi, i rettili, ai quali Dio non ha donato l’anima umana”. Questa l’essenza del Trattato sul buon uso del vino, scoperto in versione manoscritta ceca nella biblioteca del Museo nazionale di Praga, attribuito allo spregiudicato e irriverente Rabelais, edito in Italia da una piccola e curiosa casa editrice, la Duepunti di Palermo. Affascinante inedito, ode quasi smodata ai piaceri e ai benefici del vino, il trattato è dedicato, come scritto dall’autore, “al profitto generale della corporazione dei bevitori pantagrueliani” ai quali Rabelais ricorda l’importanza capitale del vino e le sue svariate qualità atte a curare molteplici malattie del corpo e dello spirito. Una spassosa elencazione delle proprietà benefiche del vino e di come buona parte del senso della vita ruoti intorno alla bevanda di Bacco, conduce il lettore in una realtà di rara ilarità. Il vino cura spirito e corpo. Chi è sobrio è incline alla disperazione e ha in continuazione paura. Bere vino in quantità aiuta contro le malattie e i disturbi interni; potente purga, risolve anche problemi quali il bianco degli occhi (cateratta), i topi tedeschi (acne), i calcoli e la “puzza dei denti”. Mai mischiare il vino a due cose assai pericolose: l’acqua, definita pericolosa per la vita stessa, e le donne, i cui mariti restano presto con la gola secca. Nel trattato Rabelais riesce a fondere conoscenze dotte e cultura popolare, provocazione e irriverenza, in uno stile unico e ancora nuovo, alla portata di tutti. Inserita nel volume troviamo un’ulteriore opera di Rabelais, I sogni bislacchi di Pantagruele, 120 esilaranti incisioni a regalarci un viaggio fantastico nell’immaginario pantagruelico. “Per lo spasso avete tutta la vita, e tutta la morte per il riposo”. F. Rabelais
ROSSA E DOLCE LA CIPOLLA DI ACQUAVIVA DELLE FONTI A cura di: Giuseppe Baldassarre Editore: Graficom Prezzo: 12,00 euro Dopo Ritorno al Primitivo, già recensito in queste pagine, Giuseppe Baldassarre, medico, sommelier e autore di questo delizioso volume, ci propone un ulteriore spaccato di realtà pugliese. Protagonista la cipolla rossa di Acquaviva delle Fonti, paese d’origine dell’estroso geriatra. Il nome Acquaviva delle Fonti è legato all’ampia disponibilità di acqua dolce, che sgorga limpida da una falda sotterranea perenne. Oltre a ciò, la qualità dei terreni, ben drenati e aerati, profondi, ricchi in potassio, con un impasto medio, tendente a limoso. Caratteristiche ideali per la coltivazione della cipolla, al punto che il bulbo coltivato in questi terreni, già nel corso dell’800, era apprezzato e scambiato anche su mercati extra-regionali. Rinomata per la sua dolcezza, la cipolla di Acquaviva è riconoscibile anche per la tipica forma appiattita: un grosso disco dello spessore di 2-3 centimetri, largo fino ad una spanna, e con un peso di circa 500 grammi. Il suo colore sta tra il rosso carminio e il violaceo e si schiarisce, verso l’interno, sino a divenire completamente bianca. È seminata in settembre, a luna calante, e raccolta dai primi giorni di luglio sino ad agosto. Asse portante dell’economia, storia e tradizione gastronomica pugliese, alla cipolla di Acquaviva il libro dedica un’autentica celebrazione, riportando innanzitutto curiosi versi che hanno reso in poesia, in dialetto e italiano, l’amore per questo prodotto locale (“Non si può dire altrimenti: è la regina dei condimenti” …. “Per trovarla non girate mari e monti, l’acquisterete ad Acquaviva delle Fonti”). Accuratissimi l’excursus sulla storia del versatile bulbo e l’analisi delle sue caratteristiche organolettiche. Preziose le ricette per le quali non manca l’abbinamento con il giusto vino (pugliese, ça va sans dire). Da conoscere gli aspetti salutistici legati al suo utilizzo. Se tutti sanno che la cipolla contiene solfuro di allile, la sostanza che induce la lacrimazione, in pochi conoscono le sue proprietà disinfettanti a livello intestinale, calmanti, diuretiche, ipoglicemizzanti e ipocolesterolemizzanti. E, soprattutto, anticancerogene. Tutto il buono della cipolla. 97
Io non ci sto
La liberalizzazione dei diritti d’impianto è una riforma molto pericolosa di Franco Ziliani o benissimo che si passa per essere quasi dei “provocatori” o per degli antidiluviani nemici della modernità a fare professione di euroscetticismo e a nutrire, e soprattutto ad esprimere, qualche dubbio su quello che viene deciso dagli euroburocrati membri della Commissione Europea e del Consiglio dell’Unione Europea in quel di Bruxelles. Sono assolutamente consapevole che il futuro vedrà sempre più i singoli Stati cooperare e dover armonizzare le rispettive legislazioni nazionali in un’ottica molto più allargata che è quella della Ue, ma permettetemi di mantenere qualche perplessità quando vedo, riferendomi ad esempio ad un mondo, quello del vino, che penso di conoscere, visto che ne faccio parte da qualcosa come 25 anni, che in Europa in materia vinicola vengono spesso prese decisioni la cui logica faccio fatica, ma soprattutto lo fanno i diretti interessati, i produttori, a capire. Ricorderete, lo scorso anno, il singolare progetto di autorizzare le miscele di vini da tavola bianchi e rossi per produrre vini rosati, anche quelli a denominazione d’origine, progetto che avrebbe portato a mettere sullo stesso piano vini generici, prodotti con una logica super industriale e senza particolari ambizioni qualitative e vini che hanno invece una ben precisa identità e una lunga storia (basta pensare ai vini di Tavel in Francia, ai rosati del Salento ed il Montepulciano Cerasuolo abruzzese), che sono stati tradizionalmente prodotti esclusivamente con una raffinata tecnica di vinificazione in bianco di uve rosse. Poi il progetto non andò in porto, ma fu più per la sacrosanta rivolta dei produttori francesi, spagnoli e italiani, che si ribellarono ad una trovata tanto bizzarra, che per un rinsavimento del Commissario europeo all’agricoltura. Ora, ma non è una novità, trattandosi di un Regolamento, quello 479/2008, (testo completo disponibile qui http://www.agenziadogane.it/wps/wcm/connect/resources/file/eb45b3450 d861d7/Reg_ce_479_2008.pdf?MOD=AJPERES ) che è già stato approvato da un anno, ma entrerà progressivamente in vigore, da qui ai prossimi cinque anni, stiamo progressivamente prendendo coscienza degli effetti devastanti che avrà la riforma dell’Ocm vino, riforma che contiene una serie di norme che cambieranno sensibilmente il modo di produrre e commercializzare vino nonché di presentarlo ai consumatori. Problemi considerevoli li produrrà di certo l’innovazione che prevede la possibilità di riportare il nome del vitigno e l’annata di raccolta anche sull’etichetta dei "vini da tavola", prodotti che verranno designati semplicemente dal termine "vino", ma senza fare riferimento alle aree geografiche d’origine. Non sarà possibile difatti trovare in commercio un vino da tavola definito "Dolcetto d’Alba" o "Piemonte Barbera", perché tutti i vini dove la varietà della vite è parte integrante di una Doc, Docg o Igt non potranno essere indicati sull’etichetta dei vini da tavola. Però, concedendo anche ai vini posti nel gradino più basso della piramide la possibilità di presentarsi, oltre che con il nome di vitigno, con l’indicazione dell’annata potrebbe indurre una parte considerevole del mondo produttivo,
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vista la ben più ampia libertà di manovra consentita a vini non ad indicazione d’origine, a trasferirsi in questo contenitore molto neutro che era stato progressivamente svuotato con la creazione dei vini ad indicazione geografica tipica. L’aspetto più insidioso di questa riforma Ocm vino varata a Bruxelles si avrà però con la liberalizzazione dei diritti d'impianto che decorrerà a partire dal 1° gennaio 2014 per i vini protetti da denominazioni d'origine e da indicazioni geografiche, mentre per gli altri vini la liberalizzazione potrebbe avvenire, dopo una preventiva valutazione d'impatto, già entro la fine del 2012. Con il Regolamento (Ce) n°479/2008 già citato, l'Unione Europea ha eliminato gli storici vincoli che esistevano dal 1976 in materia di “diritti di impianto delle viti”, vincoli grazie ai quali la produzione nelle zone di origine era limitata in base a criteri economici ed era soggetta ad una sorta di programmazione che, come vedremo, non sempre ha funzionato. Le nuove regole della nuova Ocm vino, per fare qualche esempio, potrebbero portare la superficie coltivata nella Côtesdu-Rhône da 61.000 a 120.000 ettari, quella del Chianti da 17.000 a 35.000 ettari, oppure quella della Rioja da 60.000 a 350.000 ettari. Sul poderoso impatto di questo provvedimento Riccardo Ricci Curbastro, neo presidente della European Federation of Origin Wines non ha dubbi: “La liberalizzazione totale dei diritti di impianto nel 2015 avrà conseguenze drammatiche sul settore dei vini di origine controllata. L'eccessiva produzione porterà a un crollo dei prezzi, a conseguenti perdite di posti di lavoro, mettendo in discussione gli sforzi qualitativi e la delocalizzazione, che sarà senza dubbio la rovina di migliaia di viticoltori”. La prospettiva di un incremento di un milione di ettari di vitigno europeo a denominazione d’origine vede l’opposizione anche di Christian Paly, Presidente della francese Cnaoc (Confédération nationale des producteurs de vins et eaux-de-vie de vin à appellations d’origine contrôlées - France): “la libertà di impianto rischia di destabilizzare il mercato dei vini a denominazione d’origine, i quali non saranno al riparo da sovraproduzione, crollo dei prezzi e a lungo termine potrà minare gli sforzi qualitativi compiuti”. Non bisogna essere dei geni, o degli euroburocrati, per capire quali effetti rovinosi possa avere una politica di totale liberalizzazione dei vigneti, avendo ben chiaro l’esempio di quello che è successo in Australia, dove secondo l’associazione Wine Grape Grower’s Australia, sarebbero ben 20.000 gli ettari vitati da tagliare, ettari che sono un surplus che non è possibile sostenere più, un 20 per cento del vigneto australiano in eccesso che non ha prospettive di lungo termine. Down Under la strategia di vendere vino di bassa qualità a prezzi bassi sta distruggendo l'immagine del prodotto australiano. Cosa aspettano italiani ed europei a dire con fermezza ai signori di Bruxelles che a fare la stessa fine degli australiani, con mare di vino invenduto e distese di vigneti dove lasciare l’uva, perché raccoglierla e trasformare in vino non conviene, loro proprio non ci stanno?