DeVinis n. 94 Luglio-Agosto 2010

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Anno XVII - n. 94 - € 3,50 - Poste Italiane s.p.a. Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 - n. 46) art. 1, comma 1, DCB Milano

DEVinis LA COMPETENZA, LA PROFESSIONALITÀ, LA CULTURA, IL PIACERE, I PROTAGONISTI DEL BERE BENE

Luglio / Agosto 2010

PUBBLICAZIONE UFFICIALE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS z www.sommelier.it - ais@sommeliersonline.it


Editoriale

Vino, produttori e Ais: tris vincente di Terenzio Medri In Italia il consumo di vino risulta in diminuzione da diversi anni. Altrettanto sta accadendo negli altri Paesi europei “tradizionali produttori”. Dai quasi 37 milioni di ettolitri della fine degli anni Ottanta, siamo passati a meno di 25 milioni con un calo di oltre il 30 per cento. Ognuno di noi consuma poco più di 40 litri di vino all’anno rispetto agli oltre 60 di quasi venti anni fa. La stessa tendenza ha interessato la Francia, scesa da 66 a 53 litri pro-capite. La Spagna passa invece da 40 a 30 litri. Per le imprese italiane la fortuna risiede nel fatto che il consumo di vino si è ormai diffuso ai quattro angoli del pianeta, diventando una delle bevande più acquistate – o comunque inserite in un trend di forte espansione – tra la popolazione. È quanto sta ormai accadendo negli Stati Uniti, dove il consumo di vino ha superato – in termini assoluti – il livello di quello italiano (27,3 milioni di ettolitri) o anche in Gran Bretagna, dove i consumi sono praticamente raddoppiati dal 1990. Alla luce di questo calo strutturale dei consumi sul mer-

cato nazionale e della crescita nel resto del mondo, le imprese vinicole italiane hanno maggiormente focalizzato l’attenzione sulle vendite oltre confine: dal 2000 al 2008, il valore dell’export di vino italiano è infatti passato da 2,5 a 3,6 miliardi di euro, denotando un incremento di quasi il 47 per cento. Il merito principale di questa crescita è senza dubbio delle nostre eccellenze enologiche, che vengono apprezzate sempre di più dai consumatori. Ma senza nulla togliere agli amici produttori e agli enologi che lavorano con professionalità, un ruolo non secondario nella crescita del valore dell’export nel mondo ce l’hanno anche i sommelier, che negli ultimi anni grazie all’espansione internazionale dell’Ais e della Wsa hanno comunicato pregi, virtù e anche difetti (quando ci sono) dei vini italiani nei migliori ristoranti stellati, negli alberghi, nelle enoteche e durante i convegni e le tavole rotonde a cui sono stati invitati. Questi dati che confortano le nostre scelte e la nostra politica ci spingono a fare sempre meglio e sempre di più all’interno e all’esterno dei confini italiani.

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AIS Associazione Italiana Sommeliers Presidente | Terenzio Medri Vicepresidenti | Antonello Maietta, Rossella Romani Membri della Giunta Esecutiva Nazionale | Terenzio Medri, Antonello Maietta, Roberto Gardini, Lorenzo Giuliani, Vincenzo Ricciardi, Catia Soardi, Rossella Romani, Marco Aldegheri, Roberto Bellini.

La competenza, la professionalità, la cultura, il piacere, i protagonisti del bere bene. Anno XVII luglio-agosto 2010 Associazione Italiana Sommeliers Editore Direttore editoriale e responsabile | Terenzio Medri, terenzio.medri@sommeliersonline.it Per la pubblicità | Top Communication Sas topcommunicationsas@live.it Tel. +39 392/8289316 Redazione | Associazione Italiana Sommeliers Viale Monza 9 - 20125 Milano Tel. +39 02/2846237 - Fax +39 02/26112328 - devinis@sommeliersonline.it Segreteria di redazione | Emanuele Lavizzari, emanuele@sommeliersonline.it Hanno collaborato | Francesca Antonacci, Ennio Baccianella, Roberto Bellini, Pamela Bicchi, Carlo Cambi, Luigi Caricato, Mauro Carosso, Riccardo Castaldi, Elisa della Barba, Piermaurizio Di Rienzo, Maurizio Ferrari, Alessandro Franceschini, Natalia Franchi, Paolo Giarrusso, Maddalena Giuffrida, Michela Guadagno, Emanuele Lavizzari, Michela Lugli, Maurizio Maestrelli, Letizia Magnani, Angelo Matteucci, Davide Oltolini, Roberto Piccinelli, Paolo Pirovano, Alessandra Rotondi, Luigi Salvo, Ludovica Schiaroli, Lorenzo Simoncelli, Francesco Tarsia, Franco Ziliani. Fotografie | Archivio Ais Per l’articolo a firma di Francesca Antonacci foto © archivio Ramandolo/Tommasoli Per l’articolo a firma di Mauro Carosso foto di Maurizio Vincenti Per le foto dell’articolo a firma di Ludovica Schiaroli si ringrazia Gastronomade, nuovo canale di aggregazione per la valorizzazione della cultura e del turismo enogastronomico: www.gastronomade.tv Per l’articolo a firma di Letizia Magnani foto di Laura Pacchioni Per l’articolo a firma di Michela Guadagno foto di Giovanni Lamberti Si ringrazia la redazione di Bibenda e Stefano Segati per le foto dell’Oscar del Vino - Premio Internazionale del Vino 2010 Reg.Tribunale Milano n.678 del 30/11/2001 Associato USPI Abbonamento annuo a 6 numeri | ITALIA € 20,00 ESTERO € 45,00 Intestare ad “Associazione Italiana Sommeliers – viale Monza, 9 – 20125 Milano” specificando il motivo del versamento da effettuarsi secondo una delle tre seguenti modalità: - pagamento tramite c/c postale 000058623208 - bonifico su Banco Posta, codice IBAN IT83K0760101600000058623208 (aggiungere per versamenti dall’estero codice SWIFT BPPIITRRXXX) - bonifico bancario presso “Banca Intesa Sanpaolo, via Costa 1/A, Milano, IBAN IT26H0306909442625008307992 (aggiungere per versamenti dall’estero codice SWIFT BCITIT22001) Chiuso in redazione il 28-6-2010 Stampa | Grafiche Parole Nuove Srl - Brugherio Milano Copie di questo numero | 40.000

AIS 2010

Rinnovo quota associativa 2010 È possibile rinnovare l’iscrizione nei seguenti modi: Internet basta collegarsi al sito www.sommelier.it, cliccare su “Rinnovi Online” e seguire le istruzioni per effettuare il pagamento tramite Carta di Credito (escluso Diners Card).

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Sommario

Luglio / Agosto 2010

Il trofeo più ambito

6 IL

CONCORSO MONDIALE DEI SOMMELIER A

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Il vino nel cuore d’Italia

PERUGIA

24 UN

ACCOGLIE IL

2010

Vigneti ai piedi dei monti

35

IN DEGUSTAZIONE

Monsieur Pinot Noir

UNA

38

GIORNATA PARTICOLARE NEL

DOMAINE

DE LA

ROMANÉE CONTI

Appuntamento con la storia a Lessona BOTTIGLIE CHE HANNO FATTO L’UNITÀ D’ITALIA

42

Il profumo del Sud

VIAGGIO

20 52 68 70 72 74 83 96 98

NAZIONALE

BRINDISI CON I VINI DELL’ETNA

IL TRENTINO

All’interno

CONGRESSO

All’ombra del vulcano

30

LE

SANTO DOMINGO

NELL’IRPINIA DA BERE

Turismo

LE

Tendenze Olio

AROMI

Birra

PREGI

Acqua

UN LA

E DIFETTI DELL’ESTATE

DA SCOPRIRE

SPEGNERE

Distillati

Musei

STRADE E I VIGNETI DELL’UMBRIA

È

LA SETE E RINFRESCARE IL PALATO

UNA DONNA

“IL

MAGO” DEI RON

CORRETTO ESAME OLFATTIVO

STORIA DELLA

Sullo scaffale Io non ci sto!

LE

GUINNESS NOVITÀ EDITORIALI

SERVONO

NUOVE CANTINE SOCIALI NON MAXI STRUTTURE


Mondiale WSA

Il migliore del

mondo

sbarca in un paradiso terrestre di Emanuele Lavizzari

LA WORDWIDE SOMMELIER ASSOCIATION IN OTTOBRE A SANTO DOMINGO PER IL CONCORSO MIGLIOR SOMMELIER DEL MONDO 2010. DOPO LA FINALE DI ROMA DI DUE ANNI FA, È LA CAPITALE DELLA REPUBBLICA DOMINICA A OSPITARE I PROFESSIONISTI PIÙ ESPERTI DEL PIANETA

PER L’ASSEGNAZIONE

DEL TITOLO MONDIALE

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pochi passi dal Mar dei Caraibi, in un paradiso terrestre, ma non sarà per trascorrere una vacanza: la Wordwide Sommelier Association sbarca in ottobre a Santo Domingo per il concorso Miglior Sommelier del Mondo 2010. Dopo la finale di Roma di due anni fa, è la capitale della Repubblica Dominicana a ospitare i professionisti più esperti del pianeta per l’assegnazione del titolo mondiale. Già da diversi anni la WSA è presente ai Caraibi e questo evento internazionale è la conferma che il lavoro svolto ha raggiunto risultati ampiamente soddisfacenti. «La cultura del cibo e del vino nei Paesi caraibici» ha sottolineato Terenzio Medri, presidente della Worldwide Sommelier Association, «è molto distante dalle nostre tradizioni e dal nostro modo di concepire l’enogastronomia. L’obiettivo principale è quello di diffondere la nostra cultura del vino anche in questi luoghi, ma sempre in continuo dialogo e confronto con gli usi e i costumi enoalimentari locali». Nel 2004 il primo gruppo di appassionati, tutti diplomati provenienti dai corsi Ais, costituiscono una delegazione iniziando a organizzare un primo livello con docenti provenienti dall’Italia. A partire dal 2008, grazie a una collaborazione più stretta con El Catador e l’intervento di Thomas Sartori come relatore dei corsi, si avvia un intenso programma didattico e un fitta rete di iniziative. Per la diffusione della cultura del vino e della gastronomia nei Caraibi si diffondono così corsi professionali, degustazioni, laboratori di abbinamento cibo-vino, cene didattiche e conferenze. «I nostri corsi sono nella lingua ufficiale del Paese, lo spagnolo e considerando che la Repubblica Dominicana ha molto poco da condividere con il vino se non il consumo, questo già si può considerare un grande risultato» ha conferma-

A


La tradizione della Repubblica Dominicana Birra e rum, non potrebbe essere altrimenti. Queste le bevande più diffuse nella Repubblica Dominicana. Il clima tropicale e una temperatura media tra 25 e 30 °C durante tutto l’arco dell’anno invitano i dominicani a fare una pausa in qualsiasi momento della giornata, con una “fría”, così generalmente viene indicata la birra ghiacciata. E tra i prodotti locali la birra nazionale Presidente rappresenta un vero orgoglio popolare, tanto che il termine ha ormai assunto una connotazione precisa: “Una Presidente por favor!” significa “Una birra per favore!”. Il rum rappresenta la bevanda tropicale per antonomasia e senza dubbio alcuni tra i migliori rum del mondo provengono dalle isole caraibiche. La grande varietà prodotta in questo Paese deriva dal fatto che molto elevata è la coltivazione di canna da zucchero. Un distillato che racchiude il sé il sapore della propria origine, i profumi intensi di una terra lontana, in cui il fascino del mare sconfinato e della foresta incontaminata ha da sempre fatto da sfondo a leggende di pirati e corsari. I coloni secoli fa notarono che dalla distillazione del succo e della melassa della canna da zucchero si otteneva un prodotto alcolico con una personalità ben defi-

nita e particolari caratteristiche organolettiche. Così nel corso dei secoli processi di lavorazione sempre più ricercati e complessi ci hanno restituito il “ron” che conosciamo. Più lungo è il processo di invecchiamento, più pregiata è la qualità del rum. In ogni caso, ciascuna tipologia di rum sa esaltare il proprio corredo di profumi e sfumature se degustata correttamente: i rum bianchi danno il meglio di sé quando vengono miscelati in cocktail e long drink o se accostati alla Coca Cola. La combinazione coca e rum, infatti, non è una tradizione solamente cubana. Gli añejos e gli ambrati, invecchiati nel legno per un periodo compreso tra i tre e i cinque anni, si fanno apprezzare molto bene da soli, ma sono squisiti anche on the rocks o combinati nei cocktail a base di frutta. Gli invecchiati vengono affinati in rovere o quercia per almeno dieci anni e sono serviti nella copita da sherry o nel classico balloon di cristallo. Regalano sensazioni intense, frutto del loro incredibile spettro aromatico ottenuto anche grazie alla loro lunga permanenza in legni pregiati che, con il passare del tempo, fanno emergere note di frutta matura, caramello, tabacco biondo, vaniglia e sentori balsamici.

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Mondiale WSA

REPUBBLICA DOMINICANA

La Repubblica Dominicana è una democrazia rappresentativa situata nei due terzi orientali dell'isola caraibica di Hispaniola, nelle Grandi Antille. Confina a ovest con la repubblica di Haiti ed è bagnata a nord dall'Oceano Atlantico, a sud dal Mar dei Caraibi e a est con il Canale della Mona, che la separa da Porto Rico. La capitale è Santo Domingo. Il clima è prevalentemente tropicale, con piogge abbondanti e una temperatura media, durante tutto l'arco dell'anno, tra 25 e 30 °C. Le uniche eccezioni si registrano nelle zone a elevata altitudine, dove durante la stagione invernale le temperature scendono fino a -5 °C. A seconda della stagione, inoltre, le giornate durano da 11 a 13 ore. Nell'agricoltura, le colture prevalenti e di maggiore reddito sono quelle orientate alle esportazioni: canna da zucchero, caffè, cacao, tabacco, presenti in tutte le pianure interne. Tra le colture destinate all'alimentazione locale, prevalgono il riso, il mais e la manioca.

to Thomas Sartori. In effetti, il numero crescente di partecipanti ai corsi di Santo Domingo di madrelingua spagnola ha reso necessario strutturare le lezioni in questo modo. «Siamo orgogliosi che la WSA» ha aggiunto Sartori «ci abbia affidato la responsabilità di organizzare il prossimo concorso Miglior Sommelier del Mondo 2010 qui in Repubblica Dominicana. Qualcosa di impensabile fino all’altro ieri!». LA FINALE Alla finalissima di mercoledì 13 ottobre, aperta al pubblico, accederanno i tre sommelier che hanno ottenuto il miglior punteggio nelle semifinali del giorno prima: un questionario teorico, una degustazione alla cieca, con relativa descrizione tecnica e organolettica di due vini selezionati dal comitato tecnico, un test di abbinamento cibo-vino e una prova pratica di servizio selezioneranno i tre finalisti. La prova finale si svolgerà in due parti. 1) Degustazione e correzione di una carta dei vini - Analisi organolettica di cinque prodotti e loro relativa presentazione al pubblico secondo i principi stabiliti in materia di degustazione organolettica. Il comitato tecnico sceglierà in segreto i cinque prodotti in esame.

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Per ogni prova la giuria elaborerà una scheda tecnica in sintonia alle griglie di valutazione preparate. - Correzione della carta dei vini. I candidati dovranno evidenziare gli errori riscontrati nella carta dei vini sottoposta alla loro attenzione. 2) Prova di servizio a) Servizio dell’aperitivo, in accordo con i commensali. b) Abbinamento cibo-vino. A ogni candidato sarà assegnato un tavolo con almeno due commensali, il servizio dovrà essere eseguito nella lingua prescelta; il candidato dovrà consigliare i vini più adattati al menu di cucina internazionale (che sarà presentato dallo chef cinque minuti prima della prova), motivando le proprie scelte. Il menu per questa prova sarà stabilito dal comitato tecnico e redatto in francese e in inglese. c) Prova di conversazione. Il candidato sarà chiamato a rispondere correttamente alle richieste dei commensali. d) Prova di decantazione. Durante questa prova, la giuria sarà chiamata a valutare la presentazione e lo stile del finalista (tenuta, espressione, descrizione, abilità nel servizio ecc.), in accordo con i criteri internazionali adottati dal comitato tecnico.


Dall’Europa verso la fascia iridata Dopo la conquista del titolo europeo lo scorso 15 novembre a San Marino, Luca Gardini cerca ora l’affermazione sul gradino più alto del podio mondiale. Originario di Ravenna, si è formato presso l’Istituto Tecnico Agrario Luigi Perdisia. È diventato sommelier professionista poco più che ventenne dopo anni di gavetta tra hotel e ristoranti della Romagna. Tra le sue esperienze professionali non si può non ricordare quella come chef sommelier presso l’Enoteca Pinchiorri, il famoso Tre Stelle Michelin in pieno centro storico a Firenze. Attualmente ricopre lo stesso ruolo al Ristorante Cracco di Milano. Tra le sue numerosissime affermazioni citiamo il concorso Nebbiolo 2003, il titolo regionale e master Sangiovese nello stesso anno, il premio Miglior Sommelier d’Italia 2004 e, come già indicato, Miglior Sommelier d’Europa 2009.

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Congresso nazionale

Il cuore verde

d’Italia,

centro pulsante del

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vino


IL 44° CONGRESSO NAZIONALE AIS DOPO SEDICI ANNI TORNA IN UMBRIA, CON UN PROGRAMMA RICCO, CHE RISCOPRE I GRANDI VINI LOCALI E LE BELLEZZE ARTISTICHE

di Ennio Baccianella mozione, passione, grande professionalità e organizzazione, questi sono stati gli elementi che hanno permesso al direttivo dell’Ais di scegliere, tra le regioni d’Italia, l’Umbria come sede del prossimo Congresso nazionale, che si svolgerà a Perugia dal 30 settembre al 4 ottobre. Un grande evento non solo rivolto agli oltre 30mila sommelier iscritti all’associazione ma indirizzato ai milioni di appassionati e addetti al settore eno-gastronomico che ruotano intorno al mondo del vino. Numerosi i patrocini offerti all’evento. Da quello del ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali alla Regione Umbria, dalla Provincia al Comune, dalla Camera di Commercio di Perugia alle associazioni di categoria regionali, quali le Strade del Vino e la Strada dell’Olio, a dimostrazione dell’interesse e dell’importanza che riveste a livello nazionale il 44° Congresso Ais.

E

PROGRAMMA CONSIGLIERI

Giovedì 30 settembre: arrivo a Perugia della Giunta esecutiva nazionale e dei consiglieri nazionali presso l’Hotel Brufani, nel pieno centro storico della città e alle ore 11.30 riunione della Giunta esecutiva nazionale che nel tardo pomeriggio si trasferirà presso le Cantine Caprai a Montefalco per una visita e per partecipare in serata alla cena di gala. Venerdì 1 ottobre: trasferimento a Torgiano presso il relais Tre Vaselle per la prevista riunione del Consiglio nazionale e nel pomeriggio visita al Museo del vino e dell’olio.

PROGRAMMA CONGRESSISTI

Venerdì 1 ottobre: in mattinata arrivo dei congressisti provenienti da ogni parte d’Italia e, alle ore 15.30, inaugurazione della Mostra Mercato Umbria Bella e Buona, con protagoniste le eccellenze agro-alimentari e artistiche regionali umbre, che si svolgerà all’interno della Rocca Paolina, in pieno centro storico di Perugia. Alle ore 16.00 semifinale selezione “Primo Sommelier d’Italia 2010, Premio Franciacorta” e in contemporanea, incontro della presidenza Ais con i delegati di tutta Italia. Seguirà in Piazza della Repubblica, in esclusiva per l’Italia, “Happy Hour 61”, aperitivo in stile Anni ’60 offerto ai congressisti e alla città di Perugia dall’Azienda Guido Berlucchi. La serata proseguirà con il Gran Galà di benvenuto alle ore 20.30 presso l’Egizia Dancing di Deruta con protagonisti i vini della “Strada del Cantico”: Torgiano Rosso Riserva Docg e le Doc Assisi, Torgiano, Colli Martani e Colli Perugini. Durante la cena consegna della borsa di studio premio “Bonaventura Maschio – La ricerca dell’eccellenza”. Allieterà la serata uno spettacolo musicale a sorpresa. Sabato 2 ottobre: dopo la partenza per le varie destinazioni, meta delle numerose escursioni, alle ore 9.30, presso la Sala dei Notari, cerimonia di apertura del 44° Congresso nazionale Ais alle presenza delle autorità. Dopo la cerimonia tavola rotonda sull’importante tema “Perché l’Italia del vino non riesce a fare sistema?” con la presenza di illustri personaggi del mondo della stampa e dell’enologia. Al termine assemblea nazionale dei soci. Alle 13.30, all’interno del Centro espositivo della Provincia nella Rocca Paolina, pranzo in compagnia dei vini Doc della

“Strada Etrusco Romana” in Umbria da Gustare, dove le Doc Colli Amerini, Orvieto, Rosso Orvietano e Corbara saranno protagoniste. Appuntamento nel pomeriggio alle ore 16.00 nel Teatro Pavone di Perugia con la finale “Primo Sommelier d’Italia 2010, premio Franciacorta”, cui seguirà in Piazza della Repubblica, in esclusiva per l’Italia, “Franciacorta: unione di passioni”. Il Consorzio della Franciacorta e i finalisti del concorso “Primo Sommelier d’Italia, premio Franciacorta”, saranno protagonisti dello show delle bollicine insieme a tutti i congressisti e alla movida perugina. Alle ore 20.30 incontro conviviale presso il suggestivo complesso monumentale di Santa Giuliana per “La Notte delle Stelle”: appuntamento con gli chef stellati umbri Marco Bistarelli del ristorante Il Postale e Marco Gubbiotti del ristorante La Bastiglia, che incanteranno i congressisti con le loro creazioni, protagoniste insieme ai vini del Consorzio di Montefalco. Concluderà la serata la proclamazione del “Primo Sommelier d’Italia 2010, premio Franciacorta”. Domenica 3 ottobre: dopo la partenza per le varie destinazioni, meta delle numerose escursioni, alle ore 10.00 visita guidata, su prenotazione, alla città di Perugia e alle bellezze artistiche. Alle 11.30 appuntamento all’Hotel Brufani Palace con “I vini che hanno fatto la storia dell’Umbria”. Da sempre la regione Umbria protagonista con la sue produzioni enologiche di qualità crescente ha lasciato con alcune sue etichette segni tangibili nella storia enologica nazionale e quindi Ais Umbria ha organizzato una degustazione di annate storiche di alcuni vini che hanno portato l’immagine dell’Umbria in Italia e nel mondo. Alcuni vini in degustazione: Rubesco Riserva Vigna Monticchio e San Giorgio Lungarotti, Cervaro della Sala Castello della Sala, Sagrantino di Montefalco 25 anni Caprai, Orvieto Classico Campo del Guardiano Palazzone, Arquata Rosso Adanti, Rubino La Palazzola. Lunedì 4 ottobre: partenza con escursione libera ad Assisi in occasione delle celebrazioni della festa di San Francesco, patrono d’Italia. Solenni cerimonie liturgiche nelle Basiliche di Santa Maria degli Angeli e di San Francesco. Le manifestazioni collaterali comprendono spettacoli di danze e canti popolari.

ALLA SCOPERTA DEL TERRITORIO

LA ROCCA PAOLINA Nel 1540, durante il papato di Paolo III Farnese, Perugia, dopo la sconfitta nella Guerra del Sale, perse da ultimo comune d’Italia la sua indipendenza. In segno di affermazione del rinnovato dominio pontificio, Antonio da Sangallo il Giovane fu incaricato di costruire un’imponente fortezza sul Colle Landone, distruggendo l’intero quartiere dei Baglioni (la famiglia perugina più invisa dal papa) e il Borgo di S. Giuliano. A questo scopo più di cento case ma anche chiese e monasteri vennero rasi al suolo per ricavarne materiali per la costruzione. Il Papa volle che il suo progetto venisse realizzato in tempi brevi e pertanto incaricò, quale architetto dell’opera, Antonio da Sangallo il Giovane, il quale riuscì a fare 11


Congresso nazionale La rocca Paolina

Il Palazzo dei Priori in Piazza IV Novembre

Pietro Vannucci detto il Perugino, autoritratto

della nuova Rocca, voluta da Paolo III e perciò detta Paolina, non solo una possente costruzione militare, ma anche una grande opera d’arte. Egli ebbe, tra l’altro, la sensibilità di non distruggere l’etrusca Porta Marzia, ma la smontò e reincastonò nella rocca, così come oggi appare, comunque privandola per sempre della sua funzione. Il Papa in persona effettuò in tre anni ben sette sopralluoghi, per accertarsi che tutto procedesse speditamente. Per reperire denaro, non si esitò a disfare e poi vendere i singoli pezzi di travertino dell’antica porta etrusca di Porta Sole, probabilmente ubicata all’estremità nord della Piazza del Sopramuro, l’odierna Piazza Matteotti. Fu così che il nuovo considerevolissimo edificio fu completato in soli tre anni, cosa perfino adesso difficilmente realizzabile. Oggi, dall’esterno, rimane visibile solamente un tratto delle mura di sostegno in Viale Indipendenza e il bastione di levante sulla Via Marzia, che incorpora l’etrusca Porta Marzia, dalla quale si accede alle imponenti fondazioni che utilizzarono il quartiere dei Baglioni con la via Bagliona e le sue case in pietra ben individuabili fra le mura in mattoni aggiunte dal Sangallo. Un altro percorso, molto suggestivo, è quello delle scale mobili che portano dal parcheggio di Piazza Partigiani attraverso la Rocca sotto il porticato laterale del Palazzo del Governo (1870, sede della Provincia) in Piazza Italia, circondata da edifici costruiti in seguito alla demolizione della Rocca: Albergo Brufani 1880, Banca d’Italia 1871, Palazzo Cesaroni 1897 e ora sede del Consiglio regionale e il Condominio residenziale 1872, ambedue dell’architetto perugino Guglielmo Calderini che ha firmato anche il Palazzo di Giustizia a Roma. LA STORICA SALA DEI NOTARI È situata presso Palazzo dei Priori, di fronte a Piazza IV Novembre, in pieno centro di Perugia. Risalente all’epoca medievale in cui fu edificato il palazzo, ad essa si accede per mezzo di una scalinata sopra la quale fanno bella mostra il

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Grifo e il Leone di Perugia. Al lato destro della scalinata, guardando la facciata del Palazzo dei Priori, può scorgersi ancora il pulpito dai quali le magistrature cittadine di epoca comunale erano solite parlare alla popolazione. All’interno la Sala dei Notari si articola su di una pianta rettangolare con pareti finemente decorate e sormontate da volte romaniche. Gli affreschi sono stati purtroppo involgariti da riprese pittoriche di non particolare pregio, che fortunatamente non sono riuscite a offuscare interamente l’originaria eleganza e bellezza della sala. Sono particolarmente suggestivi gli affreschi degli stemmi araldici delle famiglie nobiliari perugine, tra cui svetta, su tutte, quella dei Bracceschi, innalzata ai vertici cittadini da Braccio Fortebraccio da Montone, fulgido esempio di condottiero medievale, che osò sfidare il papato, saccheggiando Roma, e fu sconfitto dagli intrighi contro di lui orditi, nella ferale battaglia de L’Aquila. La Sala dei Notari è oggi sede di incontri pubblici e di concerti corali e di musica classica. IL COMPLESSO DI SANTA GIULIANA Il complesso di Santa Giuliana, costituito dalla chiesa e dall’ex monastero femminile cistercense, risale al 1253 e fu restaurato nel Cinquecento, ma successivamente soppresso dai Francesi nel 1797 e trasformato in granaio. Parte del monastero è ora sede della Scuola di lingue estere dell’esercito. La facciata della chiesa è del Trecento ed è rivestita di marmi policromi a disegno geometrico. Bello il portale sovrastato da uno splendido rosone. L’interno è a una sola navata, con pareti rivestite da frammenti di decorazioni e da affreschi di scuole ed epoche diverse. Un affresco del 1250 raffigura l’Ultima cena, un altro, quattrocentesco, la Crocifissione. Altri affreschi mostrano angeli, santi, gli evangelisti e l’Agnello mistico. Notevole l’Incoronazione della Vergine, affresco staccato del XIII secolo. L’ex monastero cistercense è situato sul fianco destro della chiesa e, superato il magnifico portale duecentesco, si giunge al grande Chiostro, costruito intorno al 1376 e attribuito a Matteo


La sala dei Notari

Gattapone. È costituito da pilastri poligonali a fasce bianche e rosse e da un loggiato superiore a trifore. LA GALLERIA NAZIONALE DELL’UMBRIA Le collezioni della Galleria Nazionale dell’Umbria sono ospitate dal 1878 ai piani superiori di Palazzo dei Priori, uno dei più interessanti esempi di edilizia civile gotica in Italia. La raccolta museale è la più esaustiva e completa della regione, per la varietà e la molteplicità delle testimonianze artistiche pertinenti a un arco cronologico compreso tra il XIII e il XIX secolo. Parte dei lavori qui conservati costituivano il ricco patrimonio a uso didattico dell’Accademia di Perugia, fondata nel 1573. Ad esse si aggiunsero opere donate da privati e quelle demanializzate dopo i provvedimenti di soppres-

La Galleria Nazionale dell'Umbria

sione degli ordini e delle corporazioni religiose, emanati prima dal governo napoleonico e in seguito dallo Stato italiano. La consistenza numerica e il valore della raccolta portarono nel 1863 all’istituzione di una Pinacoteca civica, intitolata a Pietro Vannucci. Nel 1918 fu ceduta allo Stato e assunse il nome di Regia Galleria Vannucci, poi Galleria nazionale dell’Umbria L’ordinamento museografico, presentato nella sua veste definitiva nel dicembre 2006, propone le opere in sequenza cronologica. Le testimonianze dal XIII al XV secolo sono esposte al terzo piano, quelle dal XVI al XIX secolo sono presentate al secondo; il percorso è intervallato da sezioni monografiche dedicate ai tessuti umbri, all’oreficeria, alle ceramiche, alla grafica antica e alla topografia.

Il Consorzio Tutela Vini Montefalco Una realtà associativa con la dignità istituzionale di un consorzio di tutela non si può improvvisare in poco tempo. Si tratta di storie che vengono da lontano, di reti che raccolgono le volontà dei produttori, indirizzando i comuni sforzi verso uguali obiettivi, la fatica del lavoro quotidiano verso il riconoscimento della propria attività. È il caso del Consorzio Tutela Vini Montefalco, una realtà giovane nata nel 1981, all’indomani del riconoscimento del Montefalco Doc, ma in realtà rifondata e potenziata solo nel 2001. L’area si fregiava allora di un grande fermento per l’interesse di numerosi produttori e neoproduttori che si contendevano i migliori terreni a cifre esorbitanti per impiantare i propri vigneti e per costruire cantine d’avanguardia. È importante sottolineare come negli ultimi sei anni siano state edificate quaranta nuove cantine circa, oltre a ulteriori dieci in fase di realizzazione, e una quantità di manodopera assorbita, che fa del Montefalco una delle isole felici del settore vitivinicolo. Un distretto produttivo cresciuto a tempo di record attorno a un vitigno autoctono di gran pregio: il Sagrantino. Un boom sconosciuto a tutte le restanti aree viticole che sono partite con la produzione e la notorietà qualche anno prima, ma che hanno impiegato un lasso di tempo maggiore per sviluppare strutture, capacità e forza lavoro specializzata. Il Sagrantino, forte di una tipicità e di un legame al territorio che non ha eguali, si è avvantaggiato dell’interesse di grandi produttori che hanno creduto e investito nella zona, apportando capitali, know-how e una forte carica di imprenditorialità. 13


Convocazione

ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS CONVOCAZIONE ASSEMBLEA PER MODIFICHE STATUTARIE Il Consiglio Nazionale dell’Associazione Italiana Sommeliers ai sensi dell’art. 9 dello Statuto Sociale e in esecuzione della delibera del 12 luglio 2010 convoca gli iscritti dell’Associazione Italiana Sommeliers all’Assemblea che sarà tenuta il giorno 5 settembre 2010 alle ore 6.00 in prima convocazione e il giorno 6 settembre 2010 alle ore 10.00 in seconda convocazione presso Hotel Rome Cavalieri – Via Cadlolo 101, Roma per la trattazione del seguente ORDINE DEL GIORNO Approvazione delle modifiche statutarie proposte dal Consiglio Nazionale dei seguenti articoli dello Statuto vigente: 6, 12, 13, 19, 20. Il testo delle modifiche è pubblicato sul sito ufficiale dell’associazione www.sommelier.it

Il Presidente Terenzio Medri

ESTRATTO DAGLI ARTICOLI 5 - 6 - 9 DELLO STATUTO Possono partecipare all’Assemblea gli iscritti all’A.I.S. come da Art. 5 dell’attuale Statuto associativo. Possono deliberare e quindi votare l’approvazione delle modifiche statutarie gli iscritti all’A.I.S. come da art. 5/A, in regola con il pagamento della quota sociale. Non sono ammesse deleghe. Le modifiche dello Statuto saranno valide in prima convocazione con la presenza e il voto favorevole di almeno due terzi dei soci aventi diritto al voto e in seconda convocazione con il voto favorevole di almeno due terzi dei soci presenti aventi diritto al voto.

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Congresso nazionale

Il rilancio dell’Umbria Felix e del Sagrantino SOSTENERE

LE COLTIVAZIONI DI TABACCO PIUTTOSTO CHE PUNTARE A

MONTEFALCO. UNA PROPOSTA ALL’AGRICOLTURA, FERNANDA

QUALIFICARE LA PRODUZIONE ENOICA DI

QUELLA DELL’ASSESSORE REGIONALE

CECCHINI,

CHE LASCIA PERPLESSI, SOPRATTUTTO RIFERITA A UNA REGIONE

DALLA FORTE VOCAZIONE VITIVINICOLA.

E

PER RIBADIRE IL RUOLO DELLA

VITICOLTURA DI QUALITÀ NELLO SVILUPPO ANCHE TURISTICO, L’AIS SCEGLIE

L’UMBRIA PER IL SUO

CONGRESSO NAZIONALE

di Carlo Cambi ra Bacco e tabacco stavolta ci si è messa di mezzo Venere. Non sembri irrispettoso questo calembour per la neo Assessore all’Agricoltura della Regione Umbria, Fernanda Cecchini, ma alcune sue dichiarazioni hanno riagitato le acque, per la verità mai abbastanza tranquille, nel mare magnum delle polemiche che da un paio di anni a questa parte increspano l’arcadico profilo delle campagne attorno ad Assisi, la città di frate Francesco e della pace universale. È faccenda che riguarda molto da vicino uno dei vini più rappresentativi della qualità italiana: il Sagrantino di Montefalco. E che si porta dietro un problema assai più generale e centrale: il ruolo dell’agricoltura nello sviluppo sostenibile dei territori. L’Ais sbarcherà in Umbria per tenere il suo congresso nazionale. E stata una scelta precisa quella del presidente Terenzio Medri: ribadire il ruolo della vitivinicoltura di qualità nello sviluppo anche turistico dei territori da vino e porre così la figura del sommelier al centro non solo dell’expertise delle bottiglie ma dello scenario culturale che ruota attorno al vino: il paesaggio, l’arte, lo stile di vita. Oggi il sommelier è più che mai chiamato a essere un divulgatore della

T

Fernanda Cecchini, Assessore alle Politiche agricole e agroalimentari della Regione Umbria

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Congresso nazionale Piante di tabacco

Una coltivazione di tabacco

cultura complessiva del vino come frutto della terra e delle attività dell’uomo. La scelta dell’Umbria è stata fatta proprio per ribadire come il legame tra storia, territorio, cultura ed enologia di qualità sia inscindibile e come sia compito dell’Ais occuparsi della promozione e divulgazione di questi valori attraverso la comprensione alta delle qualità del vino. Vuole essere l’appuntamento congressuale dell’Ais un viaggio alla riscoperta dell’Umbria Felix: di quello straordinario connubio che si realizza nel cuore verde d’Italia tra paesaggio, cultura e cultura materiale e valori spirituali. Sono peraltro queste le componenti del vero turismo del vino, quel fattore che anche grazie all’opera dei sommelier italiani, è diventato ulteriore asset delle cantine nel loro sviluppo. Proprio l’Umbria è stata protagonista nell’ultimo decennio di uno sviluppo impetuoso del turismo del vino grazie a due fattori: il salto qualitativo delle produzioni enoiche di questa regione e l’instaurarsi di un connubio virtuoso tra la qualità percepita delle etichette e la qualità intrinseca delle dotazioni patrimoniali del territorio. Ecco perché DeVinis ha deciso di compiere – quasi un’anteprima del congresso Ais – un nuovo tour tra le vigne del Sagrantino, prendendo spunto dalle notizie di cronaca alimentate dalle dichiarazioni della neo assessore regionale all’agricoltura. Che cosa ha in sostanza detto Fernanda Cecchini, dinamica esponente di punta del Pd umbro? Che preferisce sostenere le coltivazioni di tabacco piuttosto che puntare a qualificare la produzione enoica di Montefalco. Una dichiarazione che ha lasciato molti perplessi e che finora l’assessore non ha affatto smentito. La sua intervista sul “Messaggero” comparsa nell’edizione regionale umbra dell’autorevole quotidiano capitolino, è suonata come una scelta di campo. L’assessore per giustificare la sua scelta ha snocciolato una serie di cifre che stanno a indicare come la tabacchicoltura sia uno dei settori che producono maggior reddito nelle campagne umbre. E inoltre la Cecchini ha sostanzialmente affermato che è vero che il tabacco fa male, ma è del pari vero che il vino fa ancora peggio perché se uno si mette alla guida dopo aver alzato il gomito diventa pericoloso per sé e per gli altri. Ma la Cecchini non si è limitata a questo: ha aggiunto che la tabacchicoltura di qualità è una produzione eco-compatibile e che finché c’è domanda di tabacco nel mondo bisogna pur soddisfarla. Dunque sostegno alle foglie di Kentucky e che le vigne si arrangino. C’è in questa presa di posizione del nuovo responsabile politico dell’agricoltura umbra – è appena il caso di ricordare che la riforma del titolo V della Costituzione varata nel 2001 assegna l’agricoltura come competenza esclusiva alle Regioni e perciò quanto dice l’assessore competente è “legge” – una sorta di conflitto al ribasso del politically correct. La campagna anti-alcol sembra aver fatto premio sulla campagna anti-fumo, ma mentre è certo che fumare fa male, ci sono moltissimi studi che confermano che bere del buon vino con moderazione fa bene. E questo è il primo motivo per cui l’Ais è schierata a difesa della vitivinicoltura di qualità: per divulgare la cultura del vino che significa piacere del vino, un piacere che si coltiva attraverso la degustazione, cioè la percezione sensoriale e culturale del vino e non attraverso un consumo smodato di alcol. È nella mission della sommellerie quella di difendere il vino come valore di civiltà. E dunque non può esservi nessuna contrapposizione tra Bacco e tabacco: il primo è cultura e benessere, il secondo ancorché un piacere è sicuramente un danno. Sarebbe il caso che l’assessore Cecchini si leggesse anche i moltissimi studi biomedici che indicano in un moderato apporto di alcol, ma 16


Montefalco

I vigneti lungo le colline intorno a Montefalco

Uve in appassimento per il Sagrantino Passito

soprattutto nel resveratrolo e nell’azione antiossidante dei flavonoidi uno dei capisaldi della dieta mediterranea: il migliore e più salutare regime alimentare del mondo. E guarda caso il Sagrantino è uno dei vini rossi a maggiore contenuto di flavonoidi. Senza scomodare il paradosso francese, si può dire che il vino fa bene. Al corpo, allo spirito e anche all’economia. E anche stando ai soli indicatori economici il vino fa sicuramente meglio del tabacco perché è uno straordinario marcatore territoriale, capace di veicolare l’immagine complessiva di una terra ed è una coltura davvero eco-compatibile. Certo, c’è chi ha notato che gli impianti viticoli intensivi modificano il paesaggio, lo descrivono in maniera diversa, ma sicuramente la vigna chiede alla terra meno di quanto non chieda il tabacco, una coltura che divora enormi quantità di acqua e che ha bisogno di consistenti apporti da parte della chimica in campo per dare buoni risultati. Basterebbe questo a farci interrogare su da che parte debba pendere la bilancia tra Bacco e tabacco. Ma sarebbe accedere all’idea di una contrapposizione tra le due colture, una contrapposizione che non c’è nei fatti e che men che meno può esserci a livello di valori, non solo economici. Tuttavia una riflessione va fatta sul ruolo che la Regione Umbria ha avuto nel governo di quel territorio straordinario che è la patria del Sagrantino. Una denominazione che è cresciuta in fretta grazie all’impegno di alcuni produttori “storici” che hanno creato da un vino di “paese” un fenomeno internazionale. Giova ricordare che il Sagrantino ha origine remotissime e ancora avvolte nel mistero. Marco Caprai insieme a Leo Valenti, uno dei maggiori enologici italiani e docente di viticoltura all’università di Milano, si sono messi sulle tracce del Sagrantino, ma arrivati in Anatolia ne hanno perso il filo. È un progetto di studio che continua, attraverso un’attenta disamina del Dna della pianta e che, a detta dello stesso professor Valenti , riserva a ogni successivo approfondimento una sorpresa. Del resto sono state fatte accurate selezioni clonali per capire le potenzialità di questo vitigno, si sono fatte in alcune aziende delle microzonazioni, ma è mancato un coordinamento di sistema. Gli effetti si sentono proprio in questi anni di crisi globale. Il Sagrantino viene venduto a prezzi molto bassi per una Docg di quel valore, è a rischio di perdere la sua identità che è data prima di tutto dal legame territoriale, in ultimo è in crisi di sovrapproduzione. E come se ci fosse stata una incapacità di gestire il successo. Ed ecco perché l’affermazione del neo assessore all’agricoltura ha lasciato molti increduli: come può non rendersi conto la Regione che uno dei punti di eccellenza del suo territorio ha bisogno non solo di un sostegno economico, ma prima di tutto di una meditata regia tecnico-politica? Come si può contrapporre una produzione massiva, ancorché importante sotto il profilo delle quantità, a una produzione di (potenziale) altissimo profilo qualitativo e che può fungere da enorme moltiplicatore per l’economia del distretto attraverso il motore di sviluppo dell’enoturismo? Nota al proposito il presidente dell’Ais Terenzio Medri: “Abbiamo deciso di tenere il nostro congresso in Umbria proprio per ribadire da questa eccezionale terra il rapporto inscindibile che c’è tra vino di qualità e territorio di qualità, ma anche per richiamare l’attenzione di tutti: dai 17


Congresso nazionale Montefalco, uno scorcio tra i vicoli cittadini

MONTEFALCO

La città è situata in una posizione panoramica, dominante la pianura del Topino e del Clitunno. Per questa favorevole posizione è chiamata "la ringhiera dell'Umbria”. Il toponimo Montefalco si deve, secondo la tradizione, a Federico II di Svevia. L'imperatore, visitando i luoghi nel XIII secolo, constatando il gran numero di falchi presenti nell'area, decise di cambiare il nome della località da Coccorone (Cors Coronae) a quello attuale. La presenza dell'animale nel territorio è andata via via scemando, fino a raggiungere il minimo storico in età moderna. Il 31 luglio 2007 è stata liberata nei cieli di Montefalco una coppia di gheppi, con finalità di ripopolamento. Il progetto ha avuto un grandissimo successo e i gheppi si sono riprodotti.

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produttori ai poteri politici sulla necessità di spingere sullo sviluppo dell’enoturismo come fonte economica e come prassi di divulgazione del valore e della cultura del vino”. È quanto si era tentato di fare a Montefalco. Mentre l’anno scorso il Sagrantino ha celebrato i trenta anni dall’ottenimento della Doc (fu voluta fortemente da cinque produttori che peraltro il Consorzio di tutela non ha sentito neppure il bisogno di invitare alle celebrazioni, né l’obbligo culturale di far raccontare a loro l’esperienza di pionieri di questa eccellente denominazione) quest’anno cade il decennale di una ricerca che segna una svolta nella percezione del rapporto vino-territorio. La ricerca fu quella promossa dalla Fondazione Agnelli sui giacimenti di valore dei territori vinicoli e da quella ricerca emerse che Montefalco, grazie al Sagrantino, era il territorio con le più forti potenzialità di espansione non solo del fatturato legato alla produzione vitivinicola, ma soprattutto alla creazione di un sistema territoriale a vocazione turistica di alta qualità. La professoressa Sabina Addamiano fu la coordinatrice di quella ricerca e oggi, di fronte alle evidenti difficoltà di mercato del Sagrantino, rilegge in maniera critica il “suo” studio. “Avvertimmo già allora che Montefalco poteva correre solo un rischio: la perdita di identità e la perdita di valore derivante da una non oculata programmazione territoriale e della produzione vinicola”. Una profezia che sembra essersi avverata. Montefalco è passata in una decina d’anni da poco più di 200 ettari vitati ad oltre 750 ettari, la produzione di vino si è di fatto quintuplicata e mentre sicuramente la rendita fondiaria di chi ha venduto i terreni sui quali far crescere le vigne è stata più che positiva, assai più complessi sono i problemi legati alla gestione non solo delle produzioni, ma anche della salvaguardia del valore economico del Sagrantino e alla capacità di penetrare nuovi mercati. A fronte di questa situazione la Regione Umbra ha spinto molto per l’incremento di produzione: l’albo viticolo è stato chiuso in ritardo e ora il problema di Montefalco è di essere in crisi per eccesso di successo. A fronte di tutto questo vi è oggi una sorta di paralisi del Consorzio di tutela che cerca di gestire la crisi piuttosto che di immaginare una possibile nuova chiave di sviluppo. Ecco perché le parole della Cecchini a Montefalco sono parse una sorta di presa di distanza da una situazione di difficoltà rispetto alla quale neppure la Regione è esente. Ma per fortuna il turismo a Montefalco sembra reggere almeno in termini di flusso. Sandro Casciola, direttore della Strada del Sagrantino, nota: “Abbiamo ancora una forte capacità di attrazione, la qualità complessiva dei servizi di accoglienza è migliorata, siano stati premiati come la Strada del Vino che fa la migliore comunicazione via internet, dunque abbiamo un nocciolo duro di competenza per potere reggere. Quello che ci serve è oggi un rilancio dell’immagine del vino”. E su questo tema Marco Caprai, il leader indiscusso di questo territorio, va incalzando da tempo il Consorzio di Tutela, la Regione medesima, ma anche i suoi colleghi produttori chiedendo di tornare a una valorizzazione piena del vino Sagrantino, di reagire alla crisi puntando sulle eccellenze territoriali, di governare il surplus produttivo, ma soprattutto di puntare all’innovazione salvaguardando la tradizionalità del vino e contemporaneamente dando il via alle zonazioni, a nuove selezioni clonali, a una omogeneità qualitativa e a una politica commerciale comune. Questo è oggi Montefalco visto dal vino, ma esiste l’eterno fascino di questo “balcone dell’Umbria” che ci consente di guardare dalle sue mura avite un paesaggio unico da Perugia a Foligno, a Spello, a Trevi e giù verso Sud fino a Spoleto, si vede l’incanto della culta valle. È la Montefalco che ci fa passeggiare tra i vicoli dove antiche viti di Sagrantino pre-fillossera sono dei monumenti vegetali, è la Montefalco che nel museo di San Francesco ci consente di ammirare Benozzo Gozzoli, il Perugino, i grandi del Rinascimento umbro. È la Montefalco che profuma di prosciutto e di tartufo, di griglia e di strangozzi, di pecorini, è la Montefalco che recita con l’affresco di Luigi Frappi l’eterna magia del paesaggio, è la Montefalco dove oggi sono stati aperti alcuni hotel di notevole fascino. Dunque è un territorio capacissimo di tornare a essere protagonista, solo che impari ad amare il suo vino. E magari lo faccia degustare all’assessore Cecchini per spiegarle che se il fumo è una semplice (e pericolosa) voluttà, il vino è la poesia della terra. E ancor di più a Montefalco: una terra unica come l’Umbria dove i sommelier si radunano per ascoltare la poetica dei luoghi racchiusa in un elisir dal sapore universale come il Sagrantino.


ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS CONVOCAZIONE ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA L’Assemblea Generale Ordinaria è convocata in conformità all’Art. 6 dello Statuto Sociale, in prima convocazione alle ore 6.00 del giorno venerdì 1 Ottobre 2010 e in seconda convocazione alle ore 12.00 del giorno sabato 2 Ottobre 2010 presso la Sala dei Notari, Palazzo dei Priori, Piazza IV Novembre, Perugia

per la trattazione del seguente ORDINE DEL GIORNO Relazione del Presidente Dibattito e interventi degli Associati Conclusioni del Presidente

Giunta Esecutiva Nazionale

Il Presidente Terenzio Medri


Congresso nazionale

Tutte le grandi potenzialità dell’

Umbria di Elisa della Barba

ECCELLENZE ENOGASTRONOMICHE, PAESAGGIO, STRUTTURE, VOGLIA DI FARE, STORIA E CULTURA FANNO DELLA REGIONE CHE OSPITERÀ IL CONGRESSO

AIS

UNA DELLE METE PIÙ VISITATE DAI TURISTI

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al XVII secolo la tradizione voleva che i giovani inglesi aristocratici (ma non solo) partissero per un lungo viaggio per apprendere la cultura, l’arte, la politica di un Paese straniero. Meta privilegiata era l’Italia: Roma, Napoli, Firenze, Venezia, Bologna. Con il trascorrere del tempo e grazie alle linee aeree low cost che hanno permesso un’esaustiva esplorazione dell’Europa, dai monumenti ai musei, dalle aree rurali alle zone urbane, ecco che l’enoturismo sostituisce la funzione pedagogica, indottrinando i più curiosi sul buon bere. Di cantina in cantina, di collina in collina, degustando i migliori vini del territorio ed educando i sensi, l’enoturismo è il nuovo Grand Tour. Perchè il vino è cultura, è la voce della terra e delle sue genti, specie quando si parla dell’Italia, ancor più quando si nomina l’Umbria. Quarta tra le cinque più importanti destinazioni enoturistiche in Italia dopo Toscana, Piemonte e Veneto e prima della Puglia, l’Umbria sta migliorando le sue strutture e ampliando gli eventi per attirare sempre più turisti amanti del vino (buono). Fino a dicembre “La Strada del Sagrantino”, iniziativa che porta il nome della punta di diamante della produzione vinicola regionale, coinvolge i turisti con l’approfondimento culturale ed enologico in terra umbra. Dal 16 al 19 settembre, Enologica: Montefalco, Bevagna, Gualdo Cattaneo, Giano dell’Umbria, Castel Ritaldi organizzano una quattro giorni dedicati al Sagrantino. Si parte con l’inaugurazione della mostra mercato dei vini di Montefalco doc e docg con i trenta produttori della zona, si prosegue con

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La cittadina di Amelia

le degustazioni guidate di Sagrantino e degli altri vini realizzate con l’Ais, mostre a tema, dibattiti e seminari formativi. Numerosi gli itinerari enoturistici da percorrere, da soli o in gruppo, che si possono però per comodità sintetizzare con le quattro Strade del vino della regione, tenendo però presente che le stesse sono costantemente innervate da novità. La Strada del vino Colli del Trasimeno comprende la tratta da Perugia al Lago Trasimeno e offre una serie quasi infinita di cantine da visitare, come l’Agricola Goretti Produttore Vini, la cantina Sasso dei Lupi, la Cantina Donini, l’Agricola Stefania Mezzetti. Il territorio è infatti interessato dai vini a denominazione di origine controllata Colli del Trasimeno o Trasimeno e Colli Altotiberini. Paesaggio, clima e diversità del microclima hanno permesso nuove forme di coltivazione, ovviamente affiancate alle varietà “tradizionali” (Sangiovese, Grechetto, Trebbiano, Canaiolo, Malvasia), mirando alla produzione di vini moderni e d’alta qualità. A Torgiano e Montefalco nascono i due grandi Docg dell’Umbria: il Torgiano Rosso Riserva, sulla Strada del Cantico dove troviamo anche Todi, Marciano, Perugia, Assisi, e il Sagrantino di Montefalco, sulla Strada del Sagrantino. Tra le cantine da visitare, la Cantina Giorgio Lungarotti e la Cantina Arnaldo Caprai. La Strada dei vini Etrusco Romana abbraccia le terre divise a metà dal corso del Tevere che offrono non solo un percorso di cantine da visitare vasto e interessante, ma panorami e monumenti che “chiudono” il cerchio con due strutture interamente dedicate all’enogastronomia: il “Palazzo del Gusto” di Orvieto, centro di formazione enogastronomica annesso all’Enoteca regionale, che offre una rassegna completa della realtà vinicola provinciale e regionale, e il Palazzo Petrignani ad Amelia nel centro storico della città, che ospita la Scuola dell’Alimentazione. Ampia dunque l’offerta per chi vuole avvicinarsi al vino o voglia approfondire le già solide conoscenze in materia. E se la crisi porta gli italiani ad accorciare le vacanze, questo non intacca di certo la qualità. È proprio il vino il fattore principale in grado di attrarre visitatori sul territorio dei comuni italiani che sono a vocazione enogastronomica e a incidere fino al 30 per cento sull'economia legata allo sviluppo turistico locale. Le statistiche fanno ben sperare: 7,5 milioni di italiani hanno già scelto e vissuto 4-5 esperienze di turismo enogastronomico mentre 2,6 milioni si dichiarano turisti espliciti del vino, in buona parte anche giovani (Fonte: VIII Rapporto sul Turismo del vino), fetta di mercato quindi già conquistata e da coltivare con itinerari ancora più ambiziosi. Positive anche le tendenze per il futuro: 2 milioni di italiani avrebbero intenzione di votarsi all’enoturismo. La qualità prende dunque piede non solo per un’élite ristretta ma per più persone interessate a una pausa breve volta a “coccolare” i sensi che il vino chiama attraverso eventi enoturistici mirati e consapevoli. Quali? Le possibilità per l’enoturismo, in particolare per le regio-

L Caratteristici vicoli di Spello, uno dei borghi più affascinanti d'Italia

ni attrezzate come l’Umbria, sono tante: le Strade del vino solo l’inizio di un lungo percorso che comprende anche la visita delle Cantine, i vigneti, i Musei del Vino fino ai ristoranti che puntano su prestigiose carte dei vini. Tra gli italiani fra i 30 e i 44 anni almeno il 40 per cento ha realizzato una delle attività elencate. Tra queste possibilità i dati ci indicano che gli enoturisti scelgono i tour delle cantine, con un 74 per cento coinvolto. Ultime nella lista, invece, le visite ai Musei del vino. Come incoraggiare invece all’azione coloro che vorrebbero concedersi all’enoturismo ma ancora non l’hanno fatto? La prima necessità per le regioni è sicuramente quella di comunicare maggiormente e in maniera più efficace, eventualmente anche allargando l’offerta con l’ideazione e la creazione di nuovi itinerari, seguiti con cura. Ci dice molto del mercato turistico il fatto che l’evento che meglio viene ricordato dagli appassionati del vino sia il Vinitaly, mentre le Cantine Aperte arrivano seconde. Questo perché le iniziative vengono memorizzate maggiormente se comunicate meglio e con più cura attraverso strumenti adatti. Si pensi che il numero delle strade del vino in tutta Italia dal 2008 al 2010 è passato da 128 a 154. Positivo, se 21


Congresso nazionale

l’alto numero rispecchiasse non solo quantità ma anche qualità. Il problema però, come spesso accade in territorio italiano, è la scarsa valorizzazione del patrimonio vinicolo unito a quello paesaggistico-culturale che spesso lascia molte di queste Strade scarne, poco visibili, sia sulle mappe reali che a livello metaforico e conoscitivo, oppure proprio inesistenti, elencate o registrate solo “per fare numero”. Incentivo a migliorare le cose dovrebbe essere la consapevolezza che resta ancora un grande mercato da conquistare che è quello di circa 28 milioni di turisti “indecisi”, e cioè che non si riconoscono nelle definizioni delle tipologie del turismo, ma che proprio per questo potrebbero essere convinti ad assaporare l’enoturismo, specialmente quei 2 milioni di turisti che già si dichiarano intenzionati a voler visitare un vigneto e i quasi altri due milioni che si dicono interessati a percorrere le Strade del Vino. Subito dopo una più oculata comunicazione sul territorio viene la riorganizzazione del piano urbanistico dei comuni per la valorizzazione del territorio vitivinicolo stesso, necessaria non solo per un’accoglienza appropriata degli enoturisti ma anche per la salvaguardia dell’ambiente coinvolto (Fonte: Fabio Taiti). A questo proposito l’Umbria si trova “nel mezzo” non solo geograficamente. Per quanto riguarda la ripartizione territoriale del turismo del vino, infatti, l’Italia centrale conta il 21 per cento di turisti enologici nel 2010 contro il quasi 25 per cento del nord, distaccando di parecchio il 14,5 per cento del sud e delle isole. L’Umbria si è avvantaggiata però rispetto alle sue colleghe del Centro Italia nell’evoluzione dei circuiti internet: nel Nord d’Italia 52 strade su 57 hanno un proprio sito web (91,2 per cento), nel Centro Italia 25 su 33 strade (75,7 per cento), nel Sud Italia 23 su 54 (36 per cento).

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Tra le regioni “in positivo” troviamo, appunto, l’Umbria, che per ognuna delle 4 strade del vino della regione ha approntato un sito internet, tutti aggiornati ed esaustivi, a pari merito con l’Emilia Romagna (11 su 11) e la Toscana con 14 siti internet su 16 (Censis Servizi). L’Umbria vince anche per tempestività di risposta ai potenziali clienti dell’enoturismo: con la tecnica statistica del mistery client è stata inviata una e-mail da un cliente fittizio ai siti internet disponibili delle Strade del Vino d’Italia (purtroppo solo 114 su 154 dispongono di un sito), domandando un itinerario per il week-end seguente. La redemption, ovvero la risposta ricevuta entro un tempo limite fissato in 72 ore, è stata del 39,6 per cento totale con 45 risposte date su 114 Strade, così suddivisa: una percentuale del 55 per cento per il Nord, 39 per cento per il Centro e del solo 13 per cento per il Sud. La risposta in media è pervenuta dopo 34 ore dall’invio della mail, ma il Nord ha risposto entro 26 ore, il centro dopo 38, il Sud dopo 39 ore. L’Umbria è al primo posto per maggior redemption con 4 siti su 4 delle Strade del vino, che hanno non solo risposto al cliente, ma l’hanno fatto esaustivamente, seconda l’Emilia Romagna (8 su 11), terza la Lombardia (5 su 9). Importante ricordarsi, poi, che è stata proprio l’Umbria nel 1993 a fondare il Movimento turismo del vino. Da qui è nata la grande iniziativa Cantine Aperte che le principali regioni vinicole d’Italia hanno poi adottato. Con un curriculum così e un po’ di buona volontà nei mesi a venire gli enoturisti possono (e devono) aspettarsi molto dall’Umbria. Hai visto mai che questa regione, zeppa di storia, bellezza e buon vino, rubi la scena alle prime della classe per arrivare presto in cima alle destinazioni enoturistiche più visitate?


Degustazioni

brindisi

Un sotto l’ombra del

vulcano di Luigi Salvo

LO

STRAORDINARIO

TERRITORIO DELL’ETNA, DOVE I PERCORSI DELLE VIGNE SONO STATI

TRACCIATI DALLA LAVA, CI REGALA VINI UNICI GRAZIE ALLE PARTICOLARI CONDIZIONI PEDOCLIMATICHE CHE CARATTERIZZANO QUESTA ZONA

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a “Montagna di Fuoco”, terra dove la lava ha tracciato i percorsi delle vigne, è un susseguirsi di terrazzamenti e muretti a secco in pietra lavica, antichi palmenti, bellissime case padronali che si alternano a casolari erosi dalle colate laviche, paesaggi di incomparabile bellezza plasmati dall'operosità dell'uomo che, malgrado le numerose devastanti eruzioni, mai ha abbandonato del tutto le coltivazioni delle vigne e anche dei castagni, ciliegi, noccioli, meli che segnano garbatamente il comprensorio. Lo straordinario territorio dell’Etna e i vini di grandissima finezza che da esso derivano sono da qualche anno sotto i riflettori per la loro unicità, figlia di particolari condizioni pedoclimatiche differenti, non solo rispetto al resto della Sicilia, ma anche tra una zona e l'altra dello stesso vulcano. Il lungo periodo caratterizzato da una viticoltura impegnata a produrre vini da taglio ad alta gradazione utili a dare corpo e colore ad anemici vini del Nord sta finendo, il nuovo fermento è la riscoperta della qualità, vecchie vigne sono ritornate in produzione con meticoloso lavoro di recupero e godono, nelle diverse contrade, dell’apporto di terreni di diversa composizione. Possono esprimersi a differenti altitudini, un vero e proprio paradiso in cui l'autoctonia di vitigno e territorio si fondono veramente al meglio. I vignaioli che vivono sotto l'ombra del vulcano più alto d'Europa, lo considerano un punto di riferimento, il primo sguardo al mattino è dedicato a lui, alla direzione che prende il pennacchio di fumo che da esso fuoriesce, e che svela come sarà il tempo del giorno. In queste terre, coltivati da oltre quattro secoli, i più importanti vitigni autoctoni a bacca rossa sono il Nerello

L


L’Etna (Mungibeddu o semplicemente ’a Muntagna in siciliano) è un vulcano attivo che si trova sulla costa orientale della Sicilia, tra Catania e Messina. È il vulcano attivo più alto del continente europeo e uno dei maggiori al mondo. La sua altezza varia nel tempo a causa delle sue eruzioni, ma si aggira attualmente sui 3.340 m.s.l.m. e il suo diametro è di circa 45 chilometri.

L Vignaioli al lavoro sulle pendici dell'Etna

L Grappoli di Nerello Mascalese

Mascalese e il Nerello Cappuccio. Il Mascalese è presente con una varietà di popolazioni clonali eterogenee e la sua resa è fortemente condizionata dal versante del vulcano nel quale è coltivato, dall’altitudine, lo si trova infatti dai 300 metri sul livello del mare fino ai 1.100, e dal sistema d’allevamento adottato. Il migliore e ancora oggi il più diffuso è quello ad alberello sostenuto dal tradizionale palo in castagno, con alte densità di viti per ettaro da 6.000/9.000 ceppi, ma esistono antichi vigneti anche a 12.000 ceppi per ettaro. In alcuni di questi manca il sesto d'impianto geometrico delle viti, questo perché sull'Etna per tradizione si è spesso praticata la propagazione della pianta per propaggine, ovvero l'interramento del tralcio di vite allo scopo di poter ripristinare le vicine fallanze, permettendo in questo modo la presenza di viti franche di piede. Il Nerello Cappuccio o Mantellato deve il suo nome al singolare portamento a cappuccio o a mantello della pianta coltivata ad alberello. Negli ultimi decenni è stato soggetto a un continuo abbandono da parte dei viticoltori tanto da rischiare l'estinzione. Sul vulcano vi sono tre grandi zone elettive per la coltivazione della vite: quella compresa tra i 400 e gli 800 metri nel versante rivolto a nord, quella tra i 400 e i 900 metri sul livello del mare nel versante rivolto ad est e quella fra i 600 e i 1.100 metri nel versante rivolto a sud. In particolare nel versante nord si concentra oggi quasi il 50 per cento della produzione vinicola e nei comuni di Castiglione di Sicilia e Randazzo si produce oltre il 40 per cento del vino dell'Etna. Le temperature medie sono più basse rispetto a quelle di tutta l’Isola, quelle minime in inverno e anche nel periodo dell'inizio del germogliamento scendono sotto lo zero, nel corso dell’estate le temperature massime non sono mai elevate. Le piogge sono per lo più distribuite nel periodo autunno-inverno e a volte in concomitanza con il periodo vendemmiale e sono molto più presenti nella parte est rispetto a quelle nord e sud. Le uve raggiungono qualità organolettiche di primissima grandezza grazie alle grandi escursioni termiche stagionali e giornaliere. Spesso sull’Etna si vendemmia a Novembre inoltrato con temperature che scendono a 6-8 gradi, gli sbalzi termici tra il giorno e la notte arrivano a sfiorare i 30 gradi. I vini da Nerello Mascalese e Cappuccio emozionano, e se è pur vero che il Nerello ha una certa somiglianza con il francese Pinot Nero, nota differenziale importante è il “terroir” che è unico in Europa, e ciò grazie al vulcano che ha creato con varie colate in epoche diverse un substrato ricco di particolari sali minerali a reazione sub-acida, di microelementi quali ferro e rame, potassio, fosforo, magnesio e azoto. L’apporto che le vigne ricevono influisce sulla componente olfattiva dei vini. Oggi gli ettari di vigneto coltivati a Nerello Mascalese sull’Etna sono circa 2.500, quelli a Nerello Cappuccio meno di 100, mentre quelli iscritti all'Albo dei vigneti Etna a Doc sono in totale 250, di questi la metà hanno oltre 30 anni d'età, e alcuni sono più che centenari. Gli antichi vigneti sul vulcano hanno un grandissimo fascino, alcuni d’impianto 1870-1880 sono uno spettacolo della natura, ogni pianta con il suo tronco spesso e contorto è vicinissima all’altra, tutte insieme creano un disegno figlio del tempo. La magia di questo territorio vinicolo si esprime attraverso vini dalla chiara connotazione. Salvo Foti, enologo etneo di grande esperienza, dice a questo proposito: «Definire a parole come debba essere un vino dell'Etna è difficile. È più facile capire che è etneo dalle sensazioni che riesce a dare. D'altronde, il nostro modo di essere, così come per il vino, è relativo e dipende dall'ambiente (la zona) in cui si vive, dal proprio passato (la vigna e i vitigni), dal presente (l'annata), dalla propria cultura (il viticoltore, il vinificatore), dal momento (la vinificazione), dal futuro (l'affinamento). Vi sono due tipi di vino: il vino dell'uomo e il vino degli uomini. Il primo ha una durata relativa a una persona. Il secondo dipende da una civiltà, da un territorio e sopravvive al singolo uomo. Il vino dell'Etna è il vino degli uomini».

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Degustazioni

LA DEGUSTAZIONE Pietradolce – Etna Rosso Doc Archineri 2008 Trecastagni (Ct) – Nerello Mascalese – 14,5°

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Tra Solicchiata e Passopisciaro sul versante Nord dell’Etna, tra i 600 e gli 800 Mt. s.l.m, si estendono i 10 ettari di Michele Faro, vigne ad alberello di Nerello Mascalese a piede franco tra i 50 e i 60 anni d’età. Esordisce con lucente rubino pieno. Sprigiona aromi eleganti e complessi di rosa canina, note di ciliegia, prugna fresca, cuoio, cioccolato. Di notevole presa, ha tannino di fine estrazione e una precisa continuità che mette in relazione naso e bocca. Affinato 14 mesi in tonneaux. Abbinamento consigliato tagliatele al sugo di cinghiale. Prezzo consigliato in enoteca: 26 euro.

Passopisciaro – Passopisciaro Igt Sicilia 2008 Castiglione di Sicilia (Ct) – Nerello Mascalese – 15° Andrea Franchetti produttore di origine romane, ma toscano d’adozione, ha animato il rilancio della viticoltura Etnea. Il suo vino nasce da uve raccolte risalendo lungo il fianco settentrionale del vulcano, tra i 550 ed 1.100 metri sul livello del mare nelle contrade Malpasso, Moganazzi, Feudodimezzo, Santo Spirito, Sciaranuova e Guardiola. Rubino caldo e trasparente, intenso e attraente il bouquet di lampone, ribes, macchia mediterranea, balsamo e spezie. In bocca è di finezza avvolgente, tra freschezza e sapidità di frutto. Con rosette di maiale e radicchio. Prezzo consigliato in enoteca: 34 euro.

Graci – Etna Rosso Doc Quota 600 2007 Castiglione di Sicilia (Ct) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio – 14,5° Nel territorio di Passopisciaro i vigneti a piede franco di Alberto Graci sono coltivati ad altitudini che vanno dai 600 ai 1000 Mt. s.l.m. Nel bicchiere il vino è rubino trasparente, dal sipario olfattivo variegato caratterizzato da sentori di rosa, viola, ciliegia, lampone e suadenti note speziate e selvatiche. La bocca è ricca di calore e di tannini fitti ma flessuosi spalleggiati da viva freschezza, colpisce la sua lunga chiusura di persistenza frutto-minerale. Un anno in botte grande. In abbinamento con agnolotti al ragù di cervo. Prezzo consigliato in enoteca: 26 euro.

Girolamo Russo – Etna Rosso Doc San Lorenzo 2007 Castiglione di Sicilia (Ct) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio – 14,5° Giuseppe Russo ha deciso di cambiare vita dando un contributo significativo all’azienda di famiglia rilevata dal padre. Le uve del San Lorenzo provengono dall’omonima contrada a 820 Mt. s.l.m. da vigne di età compresa fra i 50 ed i 100 anni, il vino affina 12 mesi in barriques nuove e di secondo passaggio. Dal luminoso colore rubino, veicola al naso intense note di frutti rossi, grafite e spezie. In bocca si mostra elegante, avvolgente, equilibrato da sfaccettature aromatiche di freschezza e solida mineralità. Ideale con agnello brasato. Prezzo consigliato in enoteca: 26 euro.

Cottanera – Etna Rosso Doc 2007 Castiglione di Sicilia (Ct) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio – 14,5° Deriva da 5 ettari in contrada Solicchiata a 730 Mt. s.l.m., a composizione prettamente lavica, segnati da microclima con forti escursioni termiche tra giorno e notte, di proprietà della famiglia Cambria. Veste rosso rubino trasparente, ha naso elegante e seduttivo, con fresche note di rose, amarena e ciliegia, sentori vegetali e minerali. La bocca è di calore e sostanza, una vivida sponda di freschezza conduce al finale avvolgente di sapidità vulcanica. È maturato 12 mesi in barriques. Ottimo con filetto di manzo agli odori. Prezzo consigliato in enoteca: 24 euro.

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Fattorie Romeo del Castello – Etna Rosso Doc Vigo 2007 Randazzo (Ct) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio – 14,5°

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Rosanna Romeo del Castello e la figlia Chiara Vigo si occupano dell’azienda in contrada Allegracore sul versante Nord dell’Etna. Il vino deriva da una vigna centenaria denominata “la fruttiera”, coltivata ad alberello è sopravvissuta all’eruzione vulcanica del 1981. Colore rubino vivo, il naso è pieno di sentori floreali di rosa, fruttati di ciliegia e marasca, eucalipto e spezie. La beva è tutta freschezza e mineralità, i tannini sono di pregevole spessore, chiude lungo con finale fruttato. Accompagna medaglioni di vitello alla piastra. Prezzo consigliato in enoteca: 22 euro.

Biondi – Etna Rosso Doc Outis 2007 Trecastagni (Ct) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio – 13,5° Da vigneti ad alberello del Monte Ronzini nel versante Est dell’Etna, Ciro Biondi produce Outis (Nessuno), matura in barriques per 12 mesi. Nel bicchiere è rubino trasparente, dall’impianto olfattivo di grande eleganza che spazia da viola, rosa, ciliegia e fragola sotto spirito, a sensazioni mentolate, vaniglia ed evidente brezza minerale. Al palato anche se vigoroso incede sul velluto, rinfrescato da viva spalla acida, tannino fine in evoluzione e lunga chusura tra frutto e mineralità. In abbinamento con costatine di maiale. Prezzo consigliato in enoteca: 23 euro.

Tenuta di Fessina – Etna Rosso Doc Il Musmeci 2007 Castiglione di Sicilia (Ct) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio – 13,5° Fessina è un atto d’amore della Toscana Silvia Maestrelli per la Sicilia, il vino nasce con l’intervento dell’agronomo ed enologo Federico Curtaz, le vigne di contrada Rovitello di oltre 80 anni d’età sono a 670 metri s.l.m., affina 15 mesi in parte in botte da 36 hl e in tonneaux. Dal vivo colore rubino, ha naso con eleganti note di rosa, ciliegia, amarena sotto spirito, vaniglia e tabacco scuro. La bocca è fresca e poliedrica, minerale, dalla nobile trama tannica, è persistente nella lunga scia di gran fascino. Abbinamento con involtini d’agnello. Prezzo consigliato in enoteca: 35 euro.

Benanti – Etna Rosso Doc Serra della Contessa 2006 Linguaglossa (Ct) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio – 13,5° Questo Cru di Giuseppe Benanti maturato per oltre un anno in barriques, deriva da un vigneto centenario in parte franco di piede posto nel Monte Serra, un cono vulcanico a 500mt s.l.m. nel versante Est nel comune di Viagrande. Si presenta alla vista rubino intenso, ha un bel naso aperto di amarena, ribes, piacevoli note mentolate, tabacco e spezie scure. Beva importante, composta da tannini coesi, netta sensazione di freschezza, lunga e persistente chiusura di sapidità minerale. Abbinamento consigliato: agnello alla senape. Prezzo consigliato in enoteca: 30 euro.

Paolo Caciorgna Etna Rosso Doc N’anticchia 2006 Randazzo (Ct) – Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio – 14°

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L’enologo toscano Paolo Caciorgna produce l’eccellente Etna “N’anticchia” (“un poco” in dialetto siciliano), nome appropriatissimo visto la micro produzione di sole 2600 bottiglie. Rubino trasparente, di viva lucentezza, dal bicchiere lascia emergere sensazioni di prugna, amarena, origano, vaniglia e soffi balsamici. Bocca che si allarga su registri di calore e morbidezza, presente spina acida sostenuta, perfetta corrispondenza gusto-olfattiva con lunghi e piacevoli ricordi di frutta e spezie. Affinato sei mesi in barriques, in abbinamento con arista al forno. Prezzo consigliato in enoteca: 30 euro.

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Curiosità

La piccola perla dell’

Argentario di Francesco Tarsia

È PLENUM, IL VINO DI MARSILIO E ADEMIA, MARITO E MOGLIE ULTRAOTTANTENNI CHE SOSTITUISCONO LE MODERNE TECNICHE DI PRODUZIONE CON L’ISTINTO E LA

MEMORIA STORICA CONTADINA

pesso parlando di vino, l’approccio tecnico-degustativo tende a prevalere su quello narrativo-emozionale. Approfondite analisi sensoriali ci fanno dimenticare che dietro una bottiglia si celano storie di uomini e di terre, e a volte ci s’innamora di un vino al di là di qualunque sensata motivazione tecnico-organolettica, ma solo per semplice affinità emozionale, per quello che riesce a raccontarci e per ciò che rappresenta per il territorio in cui viene prodotto. Ed è proprio di un vino così che vogliamo parlarvi. Argentario, un promontorio tuffato nel mare nella Toscana del sud, ma di fatto una piccola isola collegata alla terra ferma da esili strisce di terra (tomboli) che fanno da confine alla suggestiva laguna di Orbetello. Porto Ercole, 1986. Chi scrive, quando visita un luogo sconosciuto, si lascia guidare dagli odori persi nel-

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Azienda Santa Potenziana-Boccadoro-Cetinone Punto vendita Via S. Antonio, 2 Località Porto Ercole - Monte Argentario - Grosseto Tel. 0564.83.23.12 - Cell. 347.60.46.695

L I vigneti sull'Argentario 28

l’aria, che spesso raccontano più di quanto si riesca a vedere. Col porto alle spalle, il fresco umido delle viuzze del vecchio paese viene incontro a placare l’afa di un giorno d’agosto. Era quasi mezzogiorno e il venticello fresco spirava tra i vicoli quattrocenteschi trasportando gli odori delle cucine in piena attività. Mentre lo stomaco gorgogliava suggestionato da effluvi di ragù, carni alla brace ed erbe aromatiche, le narici, colsero una nota olfattiva di vino che tra scalinate e viuzze portava in via Sant’Antonio 2, davanti a un vecchio magazzino sul cui portone campeggiava un consumato e bisunto cartello scritto a mano: “Vino locale”. L’anima da sommelier ebbe un sussulto, la curiosità montava e visto l’uscio semiaperto la testa si infilò per dare una sbirciata. Nella penombra fresca e umida della cantina sedeva un piccolo e anziano signore dagli occhi vispi che sorrise e disse di entrare. Una stretta di mano, un bicchiere di un insolito vino bianco dai riflessi ambrati e quattro chiacchiere. Le presentazioni: il signore è Marsilio Pucci nato nel 1921, ragioniere, ex sommergibilista, e sua moglie, Ademia Scotti, vignaiola già a sei anni, classe 1923. Nel calice viene versato il Vinum Plenum, un graffiante e sorprendente “Ansoneco” Costa dell’Argentario. Vino di grandi contraddizioni, quasi sconosciuto nella zona di produzione e vino di famiglia degli Agnelli, acquistato con regolarità da Susanna, per dieci anni sindaco di Porto Santo Stefano. Questi due “ragazzini” dal 1970 gestiscono l’azienda di famiglia, un morso di terra a 350 metri sul livello del mare, poco più di 5.200 metri quadrati strappati al bosco sul promontorio dell’Argentario. Una vigna a piede franco piantata dai genitori di Ademia a metà del Novecento su terreni carsici ricchi di calcare cavernoso (Miocene superiore, 10 milioni di anni fa), terrazze con


L Francesco Tarsia e Marsilio Pucci

mura a secco e coltivazione ad alberello, corta la potatura con i tralci che appoggiano su una palatura di canne intrecciate di sicura origine greca. Abituato a moderni e attrezzati vignaioli tra composti e super organizzati filari di moderna concezione, vedere Ademia, ultra ottantenne, scorazzare con l’agilità e la sicurezza di un ragazzina tra i sassosi e sdrucciolevoli filari della sua vigna riempie di sconcerto e sorpresa. La cantina, probabilmente sorta su un ex “palamento”*, è l'antitesi del tecnicismo e della modernità. Quello di Ademia non è solo un processo lavorativo, ma una vera e propria simbiosi con la sua vigna. Niente chimica, ma conoscenza e rispetto dei ritmi naturali della terra, solforosa spesso sotto gli 80 mg/l e trattamenti ridotti all’osso, vista anche la scarsità di pioggia che cade in zona. Lavora con gesti antichi e consapevoli, dove l’istinto e la memoria storica contadina sostituiscono le moderne tecniche di coltivazione. Eroicamente, tutto viene fatto rigorosamente a mano e ancora si zappa con il bidente, vite per vite, filare per filare, terrazza per terrazza. Le viti di Ansonica, dai certi progenitori greci Roditis e Sideritis, in questo fazzoletto di terra a picco sul mare esposte a sud-ovest, hanno imparato a rimanere basse per ripararsi dai venti caldi che soffiano durante il giorno e, nel contempo, a cogliere le brezze umide della notte, adattandosi così a sopravvivere con il minimo indispensabile in un habitat aspro ed essenziale. Il figlio Giuseppe dal 2005 è diventato un aiuto indispensabile per la conduzione dell’azienda, caricandosi di gran parte del lavoro pesante e manuale, nel fermo rispetto, naturalmente, dei consigli che mamma Ademia continua a dare. Le uve, ci racconta Giuseppe, vengono raccolte manualmente tra fine

L Annick Tarsia insieme ad Ademia Scotti e Marsilio Pucci

agosto e primi di settembre, trasportate e lasciate all’ombra della piccola cantina fino a notte fonda, quando, come tradizione, con il rinfrescarsi dell’aria e relativo calo delle temperature vengono deraspate e pigiate sofficemente. Il mosto ottenuto rimane a contatto sulle bucce 48 ore, con brevi rimontaggi manuali che imprimeranno al vino l'inconfondibile colore ambra dorato. L’uvaggio è Ansonica al 90 per cento, con piccole percentuali di Procanico, Aleatico, Biancone e Malvasia. La fermentazione è naturale da lieviti indigeni, avviene in piccoli tini d’acciaio senza alcun controllo sulla temperatura e, come raccomanda Ademia, svinatura e travasi solo e rigorosamente nelle fasi di luna calante, dando così luogo a un processo di chiarificazione naturale e arcaico che come da tradizione conferirà al vino una piacevole ed ormai dimenticata nota d’ossidazione, caratteristica irrinunciabile per una vera Ansonica dell’Argentario, ricordandoci così che un vino è anche patrimonio culturale, espressione di storia e tipicità di un territorio e quindi non sempre vale la pena svenderlo agli altari del gusto contemporaneo spesso dettato da veloci ed effimere e mode commerciali. È un vino insolito, non addomesticato, dove già il colore d'un vivido e lucente giallo oro dai riflessi ambrati ci mette in allerta, la nota ossidata fa da volano a una complessità olfattiva che si evolve molto lentamente, dalle fragranze floreali di mele e d'acacia, per arrivare a impronte più accattivanti di agrumi, con accenti salmastri e minerali. In bocca entra irriverente, deciso e avvolgente. Una piacevole freschezza sveglia il palato confermandoci intensità, struttura e sapidità. L’ossidazione viene confermata, ma essa si accompagna a lievi note iodate che ci ricordano la vigna a picco sul mare. Ottima

persistenza gusto-olfattiva, con un finale asciutto dal lieve sapore di mandorla. Il Plenum imbottigliato rimane 4/6 mesi in cantina prima della vendita, ma in 10/12 mesi aumenta di complessità ed equilibrio, conferendo al colore un brillantissimo e marcato tono ambrato. Insostituibile abbinamento con i piatti tradizionali dell’Argentario, come le linguine alla bottarga di muggine, oppure sorseggiato con dei crostini di cefalo sfumato leggermente piccanti. Ma se volete tirare fuori l’anima del Plenum accompagnatelo a un piatto di melù, o potassolo, dell’Argentario in umido, con pinoli e olive nere: è un pesce di mare della famiglia Gadidae, simile a un piccolo nasello, che dopo essere stato pescato viene essiccato direttamente in barca. Ademia, Marsilio e Giuseppe, per dirla con Veronelli sono “Angeli Matti”, viticultori fuori dagli schemi, che al di là di ogni retorica celebrazione fanno il vino non solo con il palato e con il cuore ma anche con il cervello. * I palamenti, costruiti tra il 1500 e il 1700, sono strutture di modeste dimensioni destinate alla pigiatura dell'uva. All'interno di una sorta di edicola in muratura si trovano una o più vasche, non di rado scolpite direttamente negli affioramenti di granito. Nella prima veniva pigiata con i piedi l'uva, nella seconda, posta più in basso e collegato mediante un foro detto “cucchione”, si raccoglieva il mosto. Attraverso un secondo foro, posto nel punto più basso del palmento, si procedeva al recupero del liquido in otri in pelle di capra che poi venivano con l'asino portato nelle cantine. Questo sistema risparmiava ai contadini il trasporto dell'uva fino al paese, consentendo loro di ricavare il mosto in prossimità dei punti di vendemmia. 29


Degustazioni

Anima e identità

Trentino

del nel bicchiere di Franco Ziliani

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uando si parla di Trentino del vino non si deve solo pensare, con tutto il rispetto che meritano soprattutto per la loro intraprendenza commerciale alle tre grandi cantine cooperative (Cavit, Lavis e Rotari Mezzocorona) che hanno portato il messaggio del vino della provincia di Trento in giro per il mondo. Oppure a una serie di più piccole cantine sociali che talora difendono l’identità di vini a diffusione più zonale come il Marzemino o il Vino Santo. A difendere e proporre un’immagine più ambiziosa, a misura di consumatore un po’ più curioso ed esigente, dei molti vini prodotti in questa bellissima terra, un ampia gamma di vini che vanno dai Trento Doc metodo classico ai bianchi da varietà autoctone e internazionali, ai vini rossi di diversa struttura sino ai vini dolci o da fine pasto, pensano egregiamente una cinquantina di aziende agricole piccole e medie, attive un po’ su tutto il territorio provinciale. Aziende che, fortunatamente, hanno capito che solo l’unione fa la forza (nessuna di loro, seppure le più blasonate, può pensare di bastare a se stessa) e da anni si sono unite pensando di dar vita a quella benemerita realtà che è l’Associazione Vignaioli del Trentino, di cui è possibile visitare il sito Internet a questo indirizzo: http://www.vignaiolideltrentino.it/. Un gruppo di azien-

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de che cerca di proporsi insieme con una coralità d’espressione, in tutte le occasioni in cui sia possibile mostrare che c’è anche… un altro Trentino del vino. Aziende piccole, ma agguerrite, fedeli a un concetto di qualità, che significa proporre vini fedeli al proprio territorio e che ne rispecchino l’anima e l’identità, che ha “contagiato” positivamente ogni associato e spinge ognuno, grazie a un sano meccanismo di emulazione, a fare sempre meglio. La riprova di questo stato di cose l’ho avuta a maggio, quando sono salito a Trento per una prima degustazione, riservata a bollicine e vini bianchi, di ottanta vini di un folto numero di associati, quelli che hanno ritenuto proporsi alla “verifica” del mio assaggio fatto rigorosamente alla cieca. Per i consumatori e gli appassionati di vini trentini buone notizie, perché i riscontri più che convincenti, anzi ottimi, non sono assolutamente mancati, con un livello qualitativo più che confortante sia nel caso dei Trento Doc che dei bianchi da varietà autoctone come la Nosiola, o da quelli da varietà aromatiche. Senza dimenticare Chardonnay e Pinot grigio e soprattutto una serie di uvaggi bianchi, varianti da azienda ad azienda, che danno la misura di come in terra trentina si producano oggi bianchi non solo piacevoli, ma complessi, con una ricchezza e una varietà di espressione sorprendente.


LA DEGUSTAZIONE Trento Doc Brut Nature 2007 Letrari Colore paglierino vivo oro di grande luminosità, naso fine, ben espresso, floreal-vegetale con accenni di alloro, crema pasticciera, pan brioche, con una bella sapidità e freschezza, vivo e quasi cremoso. La bocca è molto sapida con acidità mordente, gusto equilibrato, bello sviluppo verticale, persistenza lunga, vivo nervoso, ancora molto giovane.

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Cuvée Extra Brut 2005-2006 Pojer & Sandri Paglierino oro di bella intensità e brillantezza, naso fitto, pieno con una certa dolcezza e maturità del frutto, giocato su note, frutta esotica, pompelmo, ananas. Bocca molto ricca ben strutturata, chiude su note leggermente asciutte, ben costruito ma ancora molto giovane. Trento Doc Brut 2007 Letrari Paglierino oro di notevole intensità e brillantezza, naso fitto, complesso, con note di frutta secca, leggera speziatura, accenni di miele, agrumi, frutta esotica, per un bouquet ampio, di bella intensità ed espressione nitida. Bocca ricca, larga, piena, con grande espressione di frutto, salda costruzione, persistenza lunga e viva, carattere ben secco e diretto.

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Trento Doc Brut Riserva 2006 Letrari Paglierino di media intensità, grande brillantezza, perlage sottile e continuo, naso molto elegante, secco, ampio, con note di alloro, cioccolato bianco e pan brioche, piuttosto sapido con accenni minerali e di pietra focaia. Bocca molto asciutta e viva sin dal primo impatto, molto diritta, nervosa con ampio sviluppo, diritta verticale, con persistenza lunga e gran nerbo.

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Trento Doc Brut riserva 2004 Maso Martis Paglierino oro intenso e brillante, naso caldo, secco, maturo, con bella espressione floreale, spiccato carattere citrino, sapido minerale, con sfumature di spezie orientali e alloro. Bocca piena, di ampia struttura, il vino sembra mancare un po' di energia, di allungo, tende a sedersi con spiccata vinosità.

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Trento Doc Brut riserva del Fondatore 2000 Letrari Bella vivacità cromatica, naso fresco, floreale, nervoso di bella fragranza e vivacità incisiva. Bocca ricca, di bello slancio ed energia, ha sale, acidità ben bilanciata, verticalità, lunga persistenza, grande equilibrio e piacevolezza e si fa bere molto bene. Vigneti delle Dolomiti Nosiola 2009 Pojer & Sandri Grande vivacità di colore, brillante, metallico, vivo, squillante. Naso caratteristico ben secco, salato, con note di fiori bianchi, accenni di agrumi, bel nerbo vivo. Al gusto acidità spiccata, salato, appuntito, con nerbo preciso, bell'allungo verticale, grande energia e carattere e finale nitido di mandorla. Trentino Nosiola Vigneti Maso Nero 2009 Roberto Zeni Paglierino verdognolo vivo, brillante, molto luminoso, naso caratteristico, elegante, con note di fiori bianchi e nocciola fresca di grande fragranza e bella dolcezza espressiva e sfumature di pesca bianca. Bocca salata, di bella energia, con grande allungo, acidità calibrata, verticalità, carattere saldo con lunga persistenza e ricchezza di sapore. Vivo fresco, davvero ben fatto.

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Trentino Nosiola Sole Alto 2009 Marco Donati Poca intensità di colore e lucentezza metallica; naso sottile, caratteristico, fragrante, di bella grazia espressiva con note di fiori bianchi, nocciola fresca, anice e qualche accenno agrumato. Bocca ben secca, composta, di salda costruzione con buon equilibrio e sapidità. Vigneti delle Dolomiti Nosiola 2008 Fanti Giuseppe Colore paglierino verdognolo di bella luminosità e brillantezza pieno di riflessi, naso di buona fragranza e freschezza, con note di fiori bianchi, agrumi, accenni di nocciola fresca e pesca bianca. L’attacco in bocca è ben secco, vivo nervoso, con acidità che spinge, con nerbo sapido pieno di energia e carattere, con una piacevole nota amara che richiama la mandorla sul finale lungo e diritto.

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Vigneti delle Dolomiti Nosiola Maiano Bianco Poli Francesco 2007 Colore vivo, naso molto aromatico e quasi moscatato con accenni dolci speziati, agrumati, di mandorla, noci e miele d'acacia. Bocca ricca piena leggermente dolce con ampia materia larga e succosa: difetta un po' di freschezza e di nerbo acido sul finale.

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Degustazioni

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Trentino Pinot grigio Maso Bergamini Paglierino oro di bella intensità, naso ampio, caldo, espansivo, con bella espressione di frutta - pera - molto varietale. Bocca con buon equilibrio, frutta viva e succosa ma ravvivata da una bella espressione acida minerale e da una buona freschezza. Salato con interessante persistenza.

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Vallagarina Pinot grigio 2009 La Cadalora Naso molto varietale, con espressione fruttata nitida, nervosa, salata, note floreali, accenni sapidi. Buon equilibrio in bocca, abbastanza strutturata piena, con materia ricca, salda costruzione, molto secco, diretto, con una bella persistenza lunga.

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Vallagarina Pinot grigio Aes 2009 Letrari Colore buccia di cipolla con leggera ramatura, naso molto caratteristico, macerativo, maturo, molto varietale ma con una certa fragranza e sapidità. Bocca nervosa, con bella acidità che spinge, una materia larga ed equilibrata e finale nervoso salato di notevole energia.

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Vigneti delle Dolomiti Pinot grigio Graminé 2008 Longariva Colore buccia di cipolla-sangue di piccione-rosato scarico, naso effusivo, ampio con bella polpa fruttata, pera, fiori bianchi, accenni salati minerali. Bocca ampia, ricca, di notevole impegno e larghezza, molto strutturato pieno, succoso con buona persistenza lunga, difetta solo un po' di freschezza e di nerbo sul finale. Trentino Riesling 2008 Zanotelli Colore di grande vivacità e brillantezza, paglierino verdognolo, naso elegante, sapido, con agrumi e leggera speziatura di bella fragranza e ricchezza. Bocca fresca, salata con acidità nervosa che spinge, e una notevole mineralità nel retrogusto. Lungo, persistente con grande energia e “sale”. Trentino Riesling 2007 Maso Bergamini Colore di media intensità traslucido vivo, naso di grande impatto, con note minerali, accenni di idrocarburi, note di agrumi, fiori bianchi, mandorla, di notevole eleganza e freschezza. Bocca un po' sottile, non di grande ampiezza, ma con una bella vena acida salata incisiva e una lunga persistenza nervosa, essenziale, petrosa di stupenda energia.

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Trentino Riesling Clessidra 2004 Pelz & Piffer Colore molto vivace, luminoso, traslucido, naso caratteristico, minerale, petroso, con accenni di idrocarburi, fiori bianchi, agrumi, mandorla, miele d'acacia. Bocca ricca, piena, di bella espansione, giocata più sul piano del frutto, della dolcezza, della cremosità che della incisività minerale. Molto piacevole da bere ora.

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Trentino Chardonnay L’Opera 2009 Grigoletti Bella vivacità e intensità di colore, naso ampio, maturo, succoso, con bella consistenza di frutto, accenni di fiori secchi, fieno e agrumi, di interessante complessità e vivacità. Bocca ricca, piena, con una bella consistenza succosa, sviluppo largo, di buona ricchezza di sapore e finale articolato e lungo.

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Vigneti delle Dolomiti Chardonnay Perer 2008 Longariva Colore paglierino di media intensità, naso essenziale, incisivo, salato, con note di frutta esotica, fieno secco e di agrumi in evidenza. Bocca viva, nervosa, con acidità che spinge. Vino ancora molto giovane, con una buona mineralità e un certo nerbo.

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Vigneti delle Dolomiti Myrto 2009 Foradori Naso caldo, maturo, ancora un po' fermentativo, di buona complessità e fittezza, caldo ma sapido e nervoso, bel mix di agrumi e fiori bianchi con una leggera speziatura. Bocca ricca, piena, strutturata, ben secca e incisiva, vino di gran carattere ancora un po' squilibrato. Da uve Incrocio Manzoni.

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Vigneti delle Dolomiti Manzoni bianco 2008 Giuseppe Fanti Colore paglierino vivo dorato multi riflesso, profumi di bella vivacità e definizione, ampi, complessi, ben strutturati, con note di fiori secchi, agrumi, mandorle, accenni di miele e solo una leggera speziatura in evidenza, gusto ben secco, ma largo, ampio, ben strutturato, ricco di grande soddisfazione, con un’acidità ben calibrata, continuità e nitido sviluppo, grande nerbo ed estrema piacevolezza, da vino, come la Nosiola, di spiccata personalità e carattere.

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Vigneti delle Dolomiti Manzoni bianco 2007 Zanotelli Colore poco intenso, traslucido, naso non molto espressivo ma incisivo nervoso e floreale. Bocca di buona freschezza, con acidità che morde, grande sale che dà persistenza lunga e appuntita. Vino molto fresco e ancora pieno di energia.

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Vigneti delle Dolomiti bianco Filii 2009 Pojer e Sandri Media intensità di colore, naso molto particolare, dolce-salato con una nitida vena agrumata e un accenno leggermente minerale di bella fragranza e freschezza. Bocca molto piacevole, larga succosa di bell'equilibrio e calibrata dolcezza, vino molto immediato, fresco e di grande appeal. Da uve Riesling, Incrocio Manzoni, Kerner e Müller Thurgau.

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Vigneti delle Dolomiti Fossa Bandita 2009 Letrari Bellissima brillantezza di colore con riflessi metallici nel bicchiere. Naso intrigante, complesso, con una buona freschezza e sapidità, ampio, fragrante, elegante, molto salato nervoso. Bocca con acidità spiccata, una grande mineralità e freschezza non ampio, ma preciso verticale persistente. Da uve Chardonnay, Pinot bianco, Pinot grigio e Incrocio Manzoni. Vigneti delle Dolomiti bianco L’Aura 2008 Pedrotti Gino Colore di bella intensità, quasi “grasso” nel bicchiere. Naso caldo, mediterraneo, complesso, con note di frutta matura, accenni vegetali di fiori e fieno secco, oltre che di miele. Bocca piena, molto strutturata, con prevalenza di note dure e leggermente astringenti, manca di bilanciamento. Il finale è molto pieno, ma la piacevolezza è un po' carente. Da uve Nosiola e Chardonnay.

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Vigneti delle Dolomiti Retiko 2008 Grigoletti Colore intenso di bella vivacità, naso cremoso, compatto con bella densità di frutto e una certa dolcezza espressiva, con note di agrumi, frutta secca, pesca e fiori bianchi. Bocca ampia, articolata con freschezza e acidità nervosa, con equilibrio e piacevolezza e finale lungo e vivo. Da uve Chardonnay, Sauvignon, Incrocio Manzoni.

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Vigneti delle Dolomiti Sortì 2008 Roberto Zeni Naso molto caldo, maturo, complesso di grande compattezza ed eleganza, con un bel gioco dolce-salato fresco nervoso e vivo, che richiama la frutta secca e il fieno. Bellissima ampiezza, larghezza e densità in bocca, molto strutturato, caldo, espansivo di grande soddisfazione, con una persistenza lunga, pieno ma vivo, con acidità ben calibrata e nervosa. Da uve Pinot bianco e Riesling. Vigneti delle Dolomiti Pritianum 2008 Giuseppe Fanti Grande brillantezza e intensità nel bicchiere, naso salato, elegante, nervoso con una bella florealità, note di agrumi evidenti, molto fresco, nervoso, essenziale, vivo. Al gusto ha notevole allungo e una bella personalità, molto secco diretto, con grande equilibrio e bel corredo acido. Da uve Chardonnay, Incrocio Manzoni, Nosiola, Riesling.

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Vallagarina Anisos 2007 Eugenio Rosi Colore paglierino intenso oro ambrato, naso piuttosto maturo, caldo con presenza di note dolci tostate, zafferano leggera speziatura. Bocca ricca, piena, di ampia struttura ma tende a chiudere leggermente asciutto e un po’ amaro, anche se molto pieno con tanta materia. Da uve Pinot bianco, Chardonnay, Nosiola.

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Degustazioni Vigneti delle Dolomiti bianco Stravino di Stravino 2006 Pravis Splendida intensità e brillantezza cromatica, un paglierino oro squillante spettacolare. Naso ampio, caldo, suadente, con note aromatiche, di frutta matura, agrumi, rosa passita, ginger e intreccio di sfumature dolci e salate e una leggera presenza di legno. Bocca ricca, piena, ampia, di grande struttura, con una nota leggermente affumicata, materia ricca, lunga persistenza, molto intrigante. Da uve Riesling, Incrocio Manzoni, Chardonnay, Sauvignon e Kerner.

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Vigneti delle Dolomiti Besler Biank 2005 Pojer & Sandri Colore di grande brillantezza e vivacità, naso di bella espressione minerale petrosa, con sfumature di agrumi e fiori bianchi, ha freschezza e sale. Bocca viva, nervosa di nitida definizione, ha sapidità, bell'allungo, nerbo, grande piacevolezza e sapidità, vino incredibilmente giovane ancora con uno splendido potenziale di evoluzione. Da uve Pinot bianco, Riesling, Sauvignon, Incrocio Manzoni e Kerner.

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Vigneti delle Dolomiti Müller Thurgau Quaron Borgo dei Posseri 2009 Colore paglierino verdognolo di media intensità, naso caratteristico, varietale leggermente muschiato-aromatico di una certa freschezza ed eleganza. Bocca abbastanza ricca e piena, con un bel corredo acido, una buona lunghezza e persistenza. Vino equilibrato, piccolo ma ben fatto.

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Vallagarina Sauvignon 2009 Balter Colore paglierino verdognolo scarico, naso varietale di una certa finezza con leggere note verdi, di foglia di pomodoro e sambuco più che peperone, di bella sapidità e freschezza. Gusto sapido, nervoso, con una bella coerenza e dinamismo e acidità tagliente e profonda.

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Vallagarina Moscato giallo 2009 Vallarom Colore totalmente scarico, ma naso assolutamente intrigante di crema pasticciera, agrumi canditi, rosa, accenni geraniosi di grande fragranza. Bocca moderatamente secca, con una buona acidità, poi prevalgono note terpeniche e il finale di bocca non è fresco, articolato, scattante come prometteva.

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Vallagarina Traminer aromatico 2009 Letrari Colore di poca intensità, ma brillante, naso molto varietale, con bella nota speziata non priva di accenni dolci, di rosa passita, salvia e canditi, in complesso una bella espressione nitida con qualche accenno geranioso. Bocca di buon equilibrio, secca, nervosa, con una buona ampiezza e densità, ha lunghezza, nerbo preciso e nessuna nota amara. Trentino Traminer aromatico 2009 Maso Poli Colore di poca intensità più sul verdognolo che sul paglierino, naso sottile, fragrante, floreale, geranioso, con una discreta equilibrata dolcezza e accenni di agrumi rosa e ginger. Abbastanza grasso in bocca, voluminoso con alcol pronunciato e un certo residuo zuccherino che dà volume ma non facilita la beva. Trentino Traminer aromatico 2008 Maso Furli Colore paglierino oro intenso, naso intrigante, con accenni di miele, rosa, scorza d'arancia amara, una speziatura leggera. In bocca molto vivace, sapido anzi salato, con una bella articolazione e componente minerale: ha nerbo, vivacità, persistenza lunga e viva, un'acidità nervosa e grande ricchezza di sapore.

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Trentino Superiore Villa Margon 2007 Lunelli Colore di media intensità, un paglierino oro brillante, naso fitto, maturo, compatto, di una certa finezza ed eleganza, con nitida nota di mandorla. Al gusto ha piacevolezza, nerbo sapido, si propone lungo e nervoso, con coda verticale, spalla acida, linearità e sapidità pronunciata. Da uve Chardonnay e con una quota di Pinot bianco.

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Borgogna

Una giornata

particolare di Roberto Bellini el 1977 Ettore Scola racconta la storia di due solitudini umane, le quali si incontrano, si riconoscono, uniscono le loro solitudini, si amano e infine di devono lasciare. Il titolo del film è Una giornata particolare. La particolarità risiede nell’intimistica diversità del perduto personaggio maschile, nell’inconsapevolezza della calda femminilità della protagonista femminile e dell’eccezionalità dell’evento: la visita di Hitler a Roma. Mercoledì 26 maggio 2010 è stata una giornata particolare. A Vosne-Romanée è una mattinata quasi calda, il cielo è disegnato di cumuli e ricci, l’aria non si è ancora caricata di umidità, il silenzio delle vigne attornia tutto il villaggio. Sono le dieci quando nella stretta strada che unisce Rue du Château e Rue du Temp Perdu, il cui nome è Rue Derrière le Four, ecco apparire di colore rosso un cancello alquanto anonimo se non fosse per le

N

I vigneti della Romanée-Conti

due consonanti che lo addobbano in alto “R” e “C”. R.C. per gli enofili impenitenti ha un solo significato: Romanée Conti. L’ambientazione è alquanto naturale e normale, non ci sono sfarzi evidenti, tutto è plasmato in un feeling che si abbina alla silenziosità del terroir; altri, vista la fama mondiale del vino ne avrebbero fatto un tempio da osannare. Lo stile discreto e schivo di una borgognosità contadina salta agli occhi all’ingresso della cantina. A destra sono allineanti dei grandi e larghi tini di legno usati per la vinificazione con in bella mostra il patriarca dell’azienda, di oltre 200 anni di età, ma ancora in uso. Qua è la riposano alcuni pancali di prezioso vino rosso destinati alla Nuova Zelanda e al Messico. Tutti gli attrezzi enologici sono sistemati a macchia di leopardo a testimonianza di un disordinato e momentaneo disuso. È una cantina molto simile a quella di un “coldiretto”, per dimostrare, se ce ne fosse bisogno, che fare vino è molto, molto naturale. Seguo la mia guida che si avvicina nell’angolo a sinistra dell’ingresso, proprio dietro un tino di legno che ancora sembra odorare di mosto; lì c’è un piccolo passaggio, stretto e nascosto, come se volesse nascondere un caveau. Oltrepasso la soglia e piccoli scalini in pietra mi avviano verso il basso; l’aria si fa più fresca, mi viene incontro come per salutarmi, è pulita e carezzevole, è acromicamente umida e linda. Quest’aria protegge un tesoro: il Pinot Nero della Société Civile du Domaine de la Romanée Conti. 35


Borgogna Il piccolo centro urbano di Vosne-Romanée

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Il liquido rubino s’annida in barrique allineate in modo ordinato, che emanano un profumo dolce e delicato di legno; legno che il Domaine acquista direttamente dai coltivatori di quercus nelle foreste di più antico blasone di Francia, lo fa stagionare all’aria, lo invia alla lavorazione, a façon, e infine ritira le barrique finite. Bernard Noblet è figlio d’arte, per 40 anni suo padre ha lavorato in azienda, lui invece opera nel Domaine da 35 anni: una vita maritata al Pinot Nero. Bernard spiega che dal 2008 tutte le vigne sono coltivate in modo biodinamico, il composto organico è fatto in casa, la vigna viene lavorata con l’ausilio del cavallo. La loro coltura “ragionata” vuole ancor di più conservare la naturalità dell’espressione del terroir, per questo i lieviti sono solo indigeni, solo quelli che vivono in vigna. La vinificazione, macerazione e fermentazione si svolge nell’arco di 18-25 giorni, seguono 18 mesi in barrique e 18 mesi in vetro. Il percorso nella cantina sotterranea mi conduce nell’angolo a sinistra, Bernard toglie il cocchiume da una barrique che porta il nome Grand Échézeaux, l’annata è 2009, poi seguiranno Romanée-Saint-Vivaint, Richebourg, La Tâche e Romanée-Conti. Grand-Échézeaux 2009. Il vino, nonostante la poca fioca luce dell’ambiente, ha limpidezza ben brillante. Vestito abbigliato di lucente rubino buccia di ciliegia, impetuosa l’intensità fruttata e floreale, naso non completamente composto per via di un accennato residuo di malolattica che non impedisce di percepire una vellutatezza succosa e saporita, un tannino finissimo e una persistenza aromatica intensa che sta componendosi elegantemente. Romanée-Saint-Vivaint 2009. Ha colore rubino setoso, ottima la consistenza. Il profumo si articola tra espressioni di piccoli frutti rossi e dolcissimo speziato, le note tostate si stanno maritando alla complessità. Gusto già sapido e raffinato nel tannino, la succosità del Pinot Nero si fa tentata armonia, vividamente fruttato il sapore è di ribes rosso e la chiusura gusto olfattiva si sta allineando ai canoni di una resistente lunghezza. Richebourg 2009. Molto intensa la tonalità rubino, d’una scintillante vivacità. Freschissimo l’impatto fruttato, finemente vegetale di violette ammazzettate, vanigliato e pepato. La sapidità pizzica le papille gustative, al sapore di ciliegia selvatica che forma una espressione tattile di tannino un po’ scorbutico. Ha una scala strutturale decisamente sopra la media dei Pinot Noir, esuberantemente giovane necessiterà dell’affinamento in vetro per armonizzarsi. La Tâche 2009. È un monopole, cioè la vigna appartiene a un solo proprietario. Questa unicità si individua subito nella purezza del Pinot Nero, complesso nel fruttato, nel floreale e nello speziato, un po’ balsamico e minerale. Finissima è la spigolosità gustativa, al gusto di corniola selvatica che si estrinseca in una sensazione tannica in via di equilibrio, saporito di spezie orientali. Il finale di gusto si allunga alternando espressione di morbidezza e di tannicità, chiusura pulitissima. Romanée-Conti 2009. Bernard Noblet s’avvicina alla barrique posta nella fila superiore, nel settore centrale, toglie il cocchiume e inserisce la “pipette” e poppa quel


vino. Il bicchiere dal bevante a forma di rosa quasi sfiorita accoglie il Pinot Nero. La voce di Bernard esce quasi silenziosa, cercando di non disturbare la quiete di quei vini sonnecchianti. Romanée-Conti è un vino particolare, anch’esso è un monopole di proprietà della Société Civile du Domaine de la Romanée Conti. Il vino rappresenta la pura essenza del Pinot Nero e incontrarlo sfiora un aspetto magico: è incontrarsi, riconoscersi, unirsi, amarsi e infine lasciarsi. Ettore Scola volle rappresentare nel film “Una giornata particolare” le velate malinconie quotidiane della Loren e di Mastroianni, entrambi inconsapevoli che al meglio potrebbe non esserci mai fine e incontrare RomanéeConti è avvicinarsi a un fine e a una fine. Ecco allora l’incontro particolare con Romanée-Conti, dal colore rubino setoso di fulgida cristallinità, sinuosamente scivola nel bevante con movimento seducente e femminile. Riconoscere l’essenza del Pinot Nero è facile, riconoscere l’esplosione floreale di Romanée-Conti è odorare un’anima irripetibile: glicine, violetta di bosco e giaggiolo dal petalo viola; intensamente raffinato è il fruttato, una corbeille di ciliegie, di ribes rosso, di fragola di bosco. Il vino è ancora cullato dalla barrique e l’apporto aromatico del prezioso legno si sta insinuando nella personalità varietale dell’uva, sta unendo le due solitudini ed emozionalmente inonda lo spirito del degustante e lo ammalia, lo prepara alla nuova esperienza, predisponendolo a prossime intime complicità. Romanée-Conti si ama e ti ama, la particolare complicità si massimizza nelle sensazioni gusto-olfattive. Il tripudio del gusto ha nella sensuale tannicità sapido-fruttata la migliore rappresentazione del seduttivo appeal di un vino che è insieme femmina e amante. Sorprende la sua gioventù gustativa verginea e navigata, a cui la barrique sta costruendo un maquillage gustativo cremoso e sofficemente piccante, la cui sosta distillerà un eaude-parfum di balsamica menta, di vanigliata liquirizia, di rinfrescante efflusso di spezie orientaleggianti. È un atto di amore gusto-olfattivo lunghissimo dal sapore sapidamente fruttato, una linfa finissima al sapore di ciliegia e altri piccoli frutti a bacca rossa frullati, quasi un mix, un frappé fruttato dal gusto secco. Romanée-Conti è un Pinot Nero che sensualizza e illanguidisce le sensazioni che rifiniscono la persistenza aromatica, il suo finale di gusto ha ancora un intreccio puerile, alcuni approcci aromatici s’affacciano timidamente, ma la tempra dell’eleganza e della perfezione s’intuisce ghiottosamente. Lasciarsi è un po’ morire, qualcuno sicuramente l’avrà detto, questa giornata particolare ha il suo epilogo nel lasciarsi, come nel film di Ettore Scola. È un lasciarsi silenzioso, soffusamente melanconico, d’una melanconia felice per l’amore vissuto e i cui umori effusivi resteranno a lungo nelle corde della memoria di questa giornata particolare. La particolarità della giornata merita di rielaborare una citazione dotta, poetica e scomodare la genialità di Fabrizio De André diventa un obbligo se si parla di RomanéeConti: è stato meglio lasciarlo che non averlo mai incontrato.

Il cancello con le iniziali della Romanée Conti

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Degustazioni

La

storia

raccontata attraverso

il vino IN

OCCASIONE DELL’ORMAI PROSSIMO

150°

ANNIVERSARIO

DELL’UNITÀ D’ITALIA SI SONO VOLUTI RICORDARE GLI EVENTI

CON IL VINO DI LESSONA, PICCOLO CENTRO A POCHI PASSI DA

BIELLA

di Mauro Carosso

Q

uintino Sella alza in alto il bicchiere di cristallo sul quale è inciso lo stemma sabaudo. Il vino è quello della sua terra: il Nebbiolo di Lessona. Il limpido colore granato riflette la luce degli imponenti lampadari che illuminano la sala. Tutti i presenti lo seguono, alzandosi in piedi e brindando all’Italia finalmente unita. Il 18 ottobre 1870, l’illustre politico piemontese, severo ministro delle Finanze, tiene a battesimo il primo governo italiano dopo la breccia di Porta Pia a Roma e, con orgoglio, offre il vino che la sua famiglia produce da secoli sulle dolci colline di Lessona, nei pressi di Biella. Il cammino verso l’atto finale dell’Unità d’Italia era iniziato a Torino il 17 marzo 1861 con la proclamazione del Regno d’Italia. Camillo Benso conte di Cavour morirà poco dopo, il 6 giugno dello stesso anno, tra il rimpianto generale. Il sommo statista, tessitore dell’unità d’Italia, non partecipò alla seduta del primo parlamento italiano a Roma. Avrebbe certamente condiviso il brindisi con il Lessona, naturalmente aggiungendo anche il Barolo, prodotto nelle sue tenute di Grinzane, presso il famoso castello. La storia passa anche attraverso il vino. In occasione 38

dei 150 anni, ormai prossimi, dell’Unità d’Italia si sono voluti ricordare gli eventi con una speciale serata dedicata al vino di Lessona, nobile denominazione legata al vitigno Nebbiolo, concludendo con l’apertura di una storica bottiglia Lessona del 1861. Luca De Marchi titolare della Proprietà Sperino ha illustrato il particolare terroir di Lessona, piccolo centro a pochi chilometri da Biella, la storia e la peculiarità del suo vino ottenuto dal Nebbiolo. La particolare qualità che gode questa denominazione è dovuta al terreno costituito da soffici e antiche sabbie marine. Fino ai primi anni del 1900 Lessona era circondata dalle vigne, uno spettacolo unico, la viticoltura era praticata con cura e i vini prodotti godevano di grande considerazione ed erano presenti su molti e importanti mercati. I principali proprietari e produttori erano nobili e famiglie borghesi, per i quali la viticoltura non era l’attività principale. Una fortuna per alcuni aspetti, per i contatti e per la commercializzazione del vino, ma anche un limite per il futuro. L’estinzione di alcune famiglie e la speranza di guadagni superiori in altre attività, allontanò dalla vigna due generazioni di lessonesi. L’eccezione, grazie alla quale la memoria del vino di


Lessona e le Prealpi Biellesi

L Mauro Carosso, delegato di Torino, e Fabio Gallo, presidente Ais Piemonte, insieme ai produttori di Lessona

Lessona non si è estinta, è rappresentata dai Sella, storici produttori e banchieri, e dai Clerico, unici contadini che per generazioni hanno vissuto della loro terra. Accanto a queste due realtà si è affiancata l’antica Proprietà Sperino, produttori nel passato di ottimi Spanna, così erano chiamati i vini di Lessona, la cui attività enologica è stata ripresa con passione dalla famiglia De Marchi, originaria di questa terra, titolare della tenuta toscana di Isole e Olena, ma con la passione per il Nebbiolo. IIIILE VICENDE LEGISLATIVE Già nel 1895 in uno studio del ministero dell’Agricoltura si citava il vino di Lessona come vino prodotto dal vitigno Spanna. Vino di particolare pregio. Arturo Marescalchi scriveva nel 1905: «Il Lessona è un vino gagliardo, che mantiene la sua piena vitalità forse più a lungo e più degnamente degli altri grandi vini d’Italia. Nella sua pienezza di vita è un vino fino, completo, splendido per il profumo sottile e delizioso e non traboccante. Magnifico per la pastosità carezzevole che presenta al palato, per il nervo vigoroso e sincero che fa sentire sotto, per l’armonia piena dei suoi componenti». Notevoli in questo periodo le lucide e competenti riflessioni sulla indiscutibile qualità del vino di Lessona riportate sui bollettini della locale parrocchia da parte del parroco monsignor Delfino Maggia : «A Lessona dobbiamo rivalorizzarci curando il vino tipo Lessona, dato dalla cosiddetta “Spanna” che ha profumo, gusto e pregio da superare il Barolo, formato dalla L Camillo Benso stessa vite produttrice, ma con Conte di Cavour

specialità di terreno fecondatore inferiore al terreno collinare di Lessona» (novembre 1925). Il decreto del 1942 disciplinò la produzione del vino di Lessona classificandolo tra i vini di pregio di seconda categoria, come sottospecie del Gattinara. Si legge nel decreto che «partecipando alle caratteristiche organolettiche del vino fino (che derivano dall’esposizione delle vigne, dalla composizione chimica del terreno e dalla ricchezza di particolari sali metallici in esso contenuti ) non può venire confuso nella massa anonima dei vini definiti di “normale consumo” dall’art. 1 del Decreto 29/8/1941». Nel 1977 si giunse, dopo un lungo iter burocratico, al riconoscimento della Doc. Il periodo non era dei più favorevoli, la viticoltura a Lessona e nel Biellese denunciava il progressivo abbandono verso altre attività certamente più remunerative. Pochi, seppur tenaci, furono i produttori che portarono avanti con difficoltà le pratiche per la denominazione, tra questi i Sella, i Clerico e gli Ormezzano. Finalmente il 2 marzo 1977 fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il disciplinare della nuova Doc Lessona. Fortemente voluta dai Sella, per molti anni la Doc Lessona risultò quasi un monopolio della loro azienda agricola, essendo rimasti gli unici a imbottigliare ed etichettare il vino Lessona. Una fortuna che ha mantenuto in vita questa denominazione. IIIILA RIPRESA I nuovi vigneti, che in questi ultimi anni spuntano sulle colline di Lessona, testimoniano la volontà di ripresa della viticoltura, dando al Lessona un più ampio respiro e competitività. La vite riprende quello che un tempo era suo. Prestigiosi terreni e mirabili posizioni, abbandonate al bosco per quasi un secolo, sono reimpiantati a Nebbiolo. Una rivincita? Certamente terreni sani, terreni vergini. Negli anni in cui trattamenti ed esasperati interventi hanno invaso i vigneti di mezza Europa in nome della tecnologia, le vigne di Lessona erano assopite, invase da robinie, faggi e betulle. Dunque una nuova viticoltura su terreni antichi che, attraverso le nobili sabbie marine, respirano il desiderio di produrre un grande vino. Una zona vitivinicola non può che crescere quando al suo interno ci sono più produttori che mirano alla qualità e alla valorizzazione del L Quintino Sella territorio e alla competitività. 39


Degustazioni

TENUTE SELLA

Le Aziende Agricole Sella comprendono i vigneti di Lessona e la tenuta di Bramaterra. Terreni coltivati a vigna fin dalla fine del 1400. La famiglia Sella inizia la produzione del vino nel 1671, affiancando nel tempo le attività nel campo tessile e successivamente bancario. Gioachino Sella, con la collaborazione di Cristiano Garella, conduce oggi l’azienda vitivinicola affiancato dall’enologo Gianluca Scaglione. Per loro la produzione del vino è passione, cultura ed emozione. Negli ultimi anni l’azienda ha proposto al mercato delle nuove etichette che valorizzano i vigneti più vocati, rinnovando anche la grafica dell’elegante e storica etichetta. www.tenutesella.it – aziendeagricolesella@virgilio.it LESSONA SAN SEBASTIANO ALLO ZOPPO 2004 La prima annata del San Sebastiano risale al 1980 e valorizza l’antico vigneto di famiglia, collocato ai piedi della storica villa settecentesca che domina la collina. Una parte delle viti superano il mezzo secolo di vita. Intenso il colore granato, ricca complessità olfattiva che spazia dai profumi fruttati, speziati e minerali. Lentamente con l’ossigenazione il vino aumenta in definizione e finezza rivelando il vero carattere dei vini di Lessona. Gusto pieno e completo, di grande corrispondenza gusto olfattiva, tannino vivo e piacevole. Vino importante e di fascino. LESSONA OMAGGIO A QUINTINO SELLA 2004 Da alcune vendemmie viene proposto il Lessona Quintino Sella, selezione della migliore botte. Un riconoscimento all’illustre uomo politico che portò a compimento il cammino dell’Unità d’Italia. Granato limpido, intensi e complessi profumi di fiori, frutta matura, accompagnati da intriganti note minerali, sfumature agrumate caratterizzano il finale. Completo al gusto, equilibrato e persistente.

PROPRIETÀ SPERINO

L’amore per la propria terra ha mosso la famiglia De Marchi a ricominciare la produzione di vino in Lessona. L’antica etichetta Proprietà Sperino ha ripreso vita grazie al progetto di recupero e valorizzazione di Paolo De Marchi e del figlio Luca. Le difficoltà per il rimpianto della vigna dove il bosco era ormai padrone, lo studio del terreno e ultimamente la produzione in proprio di fertilizzante, caratterizzano la tenacia e la volontà pionieristica dei De Marchi che hanno creduto in questo territorio, da sempre nel loro cuore. Le prime vigne reimpiantate hanno ormai dieci anni e iniziano a dare prodotti di alto livello. info@proprietàsperino.it LESSONA 2005 Classico granato, brillante di fascino. Profumi intensi ampi, di estrema finezza, ricordi floreali di rosa e piccoli frutti, ribes e fragolina, le note di affinamento sfumano in un ricordo speziato dolce. Sapore intenso, fine e delicato, ricorda con forza la salinità del territorio. Perfetta fusione dell’acidità con il tannino, vino armonico. LESSONA 2006 Scintillante il colore granato, ricco di riflessi rubino. Olfatto finissimo e intenso ad un tempo, fiori rossi accompagnati da sfumature speziate che non invadono il campo minerale, quasi vegetale, che apporta freschezza olfattiva incredibile. Sapore pieno, equilibrio completo in divenire, senza dubbio la maturazione in bottiglia apporterà le attese grandi e nobili evoluzioni del Nebbiolo.

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MASSIMO CLERICO

Antica famiglia di Lessona, da sempre produttori di vino, abitano nella bella casa di famiglia chiamata Ca’ du Leria. Massimo rappresenta la quarta generazione e nel vino ha puntato sull’assoluta qualità. Il papà è stato uno dei sostenitori della Doc, motivo in più per incentrare tutto sulla valorizzazione del territorio. La scelta di dedicarsi completamente al vino di Lessona è stata vincente regalando a Massimo soddisfazioni e importanti riconoscimenti per i suoi vini. www.clericomassimo.it – massimo.clerico@virgilio.it LESSONA 2004 Granato trasparente, all’olfatto esprime con calma e precisione articolati e intensi profumi fruttati che ricordano il melograno e il ribes, affiorano dolci spezie e finiture minerali. Al gusto è intenso con lunga e finissima persistenza. Ottimo equilibrio con dialogo tra l’acidità e il dolce tannino. Il sapore risulta coerente con l’olfatto imprimendosi nettamente nella memoria gustativa. LESSONA 2005 Granato da Nebbiolo di razza, olfatto fine e delicato, porge tutta la fragranza e la mineralità dei migliori Lessona. Piccoli frutti, delicata speziatura con ricordi di agrume. Il gusto rivela la sua giovinezza e il ricco tannino tende a prevalere sulle morbidezze. La persistenza rivela grande sapidità che segna il finale. Vino con spiccato carattere.

LESSONA SELLA 1961 Le bottiglie provengono direttamente dalle cantine dell’azienda. Sono state conservate con cura in locali idonei. Dopo l’apertura si è effettuata la decantazione. Perfetto il colore aranciato limpido e vivo. Naso austero ed etereo, che lentamente progredisce nell’espressione di articolati profumi. Dominano le note terziarie della maturazione in bottiglia, spezie, erbe e frutta in confettura. L’insistente ricordo dei fiori secchi, i tocchi di tostatura e liquirizia nobilitano il bicchiere. Ottima bevibilità, tutto appare equilibrato con grande lunghezza e persistenza. Si ricorda a lungo, vino con mezzo secolo di vita. LESSONA PROPRIETÀ SPERINO 1861 La bottiglia originale non ha subito nessuna ritappatura nel corso della sua vita. Proviene dalle cantine del castello di Lessona, antica proprietà della famiglia Sperino, pervenuta in eredità alla famiglia De Marchi, parenti collaterali degli Sperino. Una nota particolare merita Casimiro Sperino (1812 - 1894), senatore del Regno d’Italia, medico chirurgo, preside della facoltà di medicina e fondatore del primo ospedale gratuito d’Italia, l’Ospedale oftalmico di Torino. Deluso e amareggiato dalle vicende interne al suo ospedale, si ritirò a Lessona, dedicandosi alla viticoltura. In particolare suo figlio Felice si applicò con metodo, pubblicando saggi sulla viticoltura e intrattenendo corrispondenza con esperti del tempo in campo agronomico ed enologico, confrontandosi pure con importanti realtà produttive come la Francia. Il colore giallo paglierino limpidissimo, il Nebbiolo si decolora negli anni, potassio, tannini e antociani formano la camicia che rende trasparente il vino. La luce attraversa con fierezza il vino nel decanter, dal bicchiere emergono profumi complessi e particolarissimi. Il sentore di frutta secca, tostato e vaniglia, spezie complesse e grande etericità degna di un grande vino simile allo sherry fino, con aggiunta di fine mineralità. Si sorseggia in silenzio: fresco, sapido, anzi, molto sapido, continuo e piacevole nel comunicare la sua vitalità. È un vino vivo, ricco di gusto.

LESSONA Denominazione d’origine controllata D.M. 3/12/1976 G.U. 2/3/1977 Vitigno Nebbiolo min 75%, Vespolina e/o Bonarda max 25% Comune di produzione: Lessona in provincia di Biella Resa : 80 q./ettaro 70% resa uva /vino Gr. alcolica minima: 12° Acidità : 5.50 per mille Estratto: 22 per mille Affinamento: due anni di cui uno in legno, con decorrenza dal 1° gennaio successivo alla vendemmia. 41


Anteprima Irpinia

Tutti i volti della

viticoltura irpina

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di Alessandro Franceschini

vere i giusti compagni di viaggio è una fortuna impareggiabile. Specie quando ci si incunea in territori da soppesare con cura, per togliere preconcetti o false sovrastrutture che ci si è costruiti nel tempo, dedicandosi sempre e solo all’assaggio di campioni, attività fondamentale, ma non sufficiente senza l’ascolto delle vigne e delle persone che le vivono quotidianamente. “Qui ci sono ancora molti boschi. La fillossera è arrivata intorno agli anni venti e trenta e fino a prima del terremoto praticamente solo tre aziende hanno portato avanti l’intero comparto vitivinicolo irpino: Mastroberardino, Di Marzio e Struzziero”. Maurizio Paolillo, agronomo e consulente scientifico della rivista Porthos, è uno dei nostri primi “Caronte” che ci accompagneranno in un breve, ma intenso, tour, tra alcuni dei territori simbolo delle viticultura irpina. Greco di Tufo, Fiano di Avellino e Taurasi: tre denominazioni che da sempre fanno da portabandiera del vino campano, ma che al tempo stesso incorporano diversità e complessità che solo raramente emergono con chiarezza. Il mercato, sappiamo bene, ha i suoi tempi, spesso in antitesi con quelli dell’uomo e dei vini che produce. Fiano e Greco sono due uve che più di altre patiscono l’indistinta consuetudine di dover consumare i vini bianchi entro il primo anno dall’uscita. L’Aglianico taurasino non è lo stesso, sempre e comunque: il comprensorio ha terreni, altitudini ed esposizioni talmente eterogenee al suo interno da consegnare vini con volti di varia fattezza. Così come esiste il Barolo di Barolo e quello di Serralunga e Monforte, non è una forzatura, anzi, una necessità, dover parlare del Taurasi di Taurasi, ma anche di quello di Paternopoli o di Castelfranci. La ricchezza della viticultura irpina, ancorata quasi senza accorgersene a un dedalo di territori diversi ma anche a un patrimonio ampelografico autoctono praticamente immacolato, spesso non riesce a far parlare di sé come dovrebbe. Difficile spiegare il motivo. Atavico individualismo locale? Anche, ma in realtà qui, forse più che altrove, limiti e punti di forza spesso non riescono a trovare il giusto equilibrio. Paolo De Cristofaro, giornalista e anima di molte iniziative vitivinicole presenti sul territorio irpino, ci può aiutare a capire bene parte delle difficoltà presenti: “Da un punto di vista strategico e promozionale, l’Irpinia del vino è l’emblema di quanto spesso si sostiene a proposito delle politiche di sostegno ai prodotti del sud. Molto complicata la creazione e il

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consolidamento delle forme associative, grande dispendio di energie e risorse in iniziative di respiro prettamente localistico, esasperazione degli atteggiamenti di campanilismo, difficoltà di dare continuità e sostegno ai progetti di promozione e comunicazione”. Ci siamo affidati a tre persone che vivono il territorio irpino quasi quotidianamente, attraverso due giorni di visite in vigna e seminari all’interno della manifestazione Anteprima Irpinia, svoltasi il 5 ed il 6 giugno. III Non tutti i Greco sanno di tufo “Le note di albicocca oppure di miele e castagno sono dovute più ad ossidazioni precoci che non all’aderenza al varietale”. A Mauro Erro, enotecario, giornalista e collaboratore di varie testate tra le quali il blog www.lucianopignataro.it, spetta il compito di sfatare alcuni preconcetti legati a uno dei vini bianchi storici campani più tradizionali, intimamente legati al bere quotidiano locale e al tempo stesso più difficili da definire. “Vi è una estrema polverizzazione della proprietà e difficilmente le aziende vinificano in purezza le uve di un determinato areale”: difficile qui più che altrove definire con certezza tratti e caratteristiche di un uva che lega il suo nome al comune di Tufo, ma che sa anche non esserne schiavo. Se dal paese che dona il nome insieme all’uva all’intera denominazione, Docg dal 2003, si sale verso Santa Paolina o Montefusco cambiano le altitudini e i terreni. Qui, in una delle zone più aperte del comprensorio irpino (nonché una delle più vitate) i terreni sono più argillosi rispetto a Tufo, con buona presenza di calcare e di carbonato di magnesio. È storica la diatriba tra Tufo e Santa Paolina per definire il miglior Greco: impossibile rispondere, basta però, in effetti, osservare. Tufo ha storicamente gli impianti più vecchi e connota in modo preciso i vini attraverso quelle note minerali e sapide insieme. Spostandosi verso Santa Paolina ci troviamo in presenza di grandi escursioni termiche che aiutano le fasi dormienti della vite e soprattutto accentuano note aromatiche che non fanno parte in modo marcato e spiccato di quest’uva. Come sottolinea ancora Erro: “Fondamentale, poi, è sempre il cosiddetto manico”, cioè il produttore. Allevare Greco per ottenere vini ricchi di personalità non è d’altronde facile: acidità elevate e pH basso, grande carica polifenolica con rischio di ossidazioni, grappolo compatto e soggetto a muffe. C’è una bella ricchezza di profili olfattivi diversi oggi presenti sul mercato, ma certamen43


Anteprima Irpinia L Vigneti di Lapìo ai piedi del Monte Tuoro

te quelli che ricordano in modo quasi stucchevole e ossessivo “i frutti tropicali e la banana non appartengono né al varietale, né al territorio”.

rischio di giudicare il Fiano poco dopo la sua uscita: “Il Fiano non dovrebbe mai essere consumato prima del terzo anno, altrimenti si omologa agli altri vini”.

III Tra i gran cru del Fiano Quando arrivi al bivio tra Lapìo e Montefalcione e cominci a tuffarti tra le vigne, magari inoltrandoti verso la vocata frazione di “Càmpore”, rimani colpito prima dal cartello “III Tratto Appia Antica” e poi dalla sagoma del monte Tuoro. Queste due zone rappresentano la culla del Fiano, luoghi dove la coltivazione della vite ha sempre resistito anche dopo la seconda guerra mondiale. Due macrozone: Lapìo con terreni argillosi ed esposizioni a sud vocate anche per l’Aglianico, Montefalcione con terreni più sciolti e leggeri e la presenza di versanti che guardano anche a nord. “È più facile parlare di territorio per il Fiano”: Antonio Del Franco, sommelier e presidente uscente Ais Campania, disegna con relativa sicurezza un quadro, quello del Fiano, dove la distinzione tra caratteristiche organolettiche dovute ad areali ben distinti è più semplice da delineare: “Pompelmo e agrume a Lapìo, grande mineralità a Montefrèdane, frutta carnosa e grassezza a Summonte” e ancora maggior sottigliezza e finezza a San Michele di Serino e via discorrendo. Quella del tempo e dell’attesa è un fattore che in molti sottolineano quando si parla di Fiano: “Spesso tra il secondo ed il terzo anno il Fiano ha come una sorta di mutismo per poi riemergere” ci dice sempre Del Franco o ancora c’è chi, come Maurizio Paolillo, pone l’accento sul

III I volti del Taurasi Paolo De Cristofaro non si stanca mai di sottolineare l’incredibile diversità presente tra le diverse anime dell’Aglianico di Taurasi: “È un areale diversissimo con anche un mese di differenza nell’epoca di vendemmia tra zona e zona”. Se Mastroberardino ha corso una gara a sé in assoluta autonomia fino agli anni Ottanta, in seguito il panorama si è arricchito di realtà, spesso piccolissime, ma in grado di animare una denominazione che stupisce per eterogeneità. Cloni diversi, altitudini praticamente di tutti i tipi, terreni argillosi, calcarei o ancora vulcanici. Se a questo uniamo le ovvie variabili dell’annata e delle filosofie produttive, ci si rende conto, poco dopo aver attraversato, anche velocemente, i luoghi di elezione dell’Aglianico taurasino come il paragone con le Langhe, che abbiamo evocato in apertura, non sia poi così forzato. “La grande annata per Taurasi non coincide, come si è sempre pensato con il colore e la concentrazione”. De Cristofaro, in effetti, sottolinea come questi due parametri non possano essere considerati come uniche icone stilistiche in presenza di una tale varietà di terroir. Nelle zone alte, come ad esempio a Montemarano, Paternopoli e Castelfranci abbiamo tannini, acidità e alcol. Vini potenti dove la vendemmia a volte si protrae anche sino a metà novembre, completamente all’opposto rispetto ad areali come Venticano o Pietradefusi dove l’Aglianico matura molto prima. Per

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L Vigna Cinque Querce a Montemarano

vati a Fiano, la piccola azienda di famiglia lavora su vigneti posti a 650 metri di altezza su terreni argillosi e sabbiosi insieme. Spostandoci tra i Greco di Tufo, segnaliamo invece il campione di Vadiaperti, annata 2009: da vigneti provenienti tra i 600 metri di altitudine in località “Marotta” nel comune di Montefusco, riesce a coniugare bene tratti agrumati, di limone e una mineralità di grande finezza espressiva. Gessoso e di gran bello slancio finale, sebbene ancora in fasce, il Greco di Raffaele Troisi rappresenta bene quelle peculiarità che distinguono il Greco della fascia alta della denominazione. Taurasi presentava un discreto numero di campioni dell’annata 2006: una conferma anche in quest’annata emerge da Pasqualino Di Prisco. Da vigneti presenti nell’antico borgo di Fontanarosa, il suo Taurasi ha classe e finezza, nella grana dei tannini così come nella definizione del frutto, dolce, già ben distesa e aperta, ma mai ruffiana e stucchevole. Il Vigna Cinque Querce di Salvatore Molettieri ha come timbro potenza ed estrazione, specie in questa fase ancora in fasce: ma rimanendo sempre nella fascia alta della denominazione, a Castelfranci, merita una menzione il Taurasi dell’azienda Boccella. Da vigneti di più di 50 anni, posti a 600 metri di altitudine con una splendida esposizione sud-est, nasce questo campione da un particolare clone dell’Aglianico detto “a coda di cavallo”. Gran nerbo nella trama tannica, spezie, note di cacao e frutto ben integrati insieme e un centro bocca di gran razza e sostanza. Da aspettare con calma, come molti dei vini provenienti da questo piccolo comune. L Il Fiano di Avellino di Ciro Picariello

ricercare maggior eleganza, con vini più sottili che grossi, dobbiamo spostarci nella media Valle del Calore, a Luogosano piuttosto che a Sant’Angelo all’Esca, o ancora in specifiche località, come Case d’Alto e Piano d’Angelo, dove uno strato di lapilli vulcanici disegna un terroir dove è facile imbattersi in vigne ancora a piede franco. “La raggiera avellinese” ha oggi lasciato il posto all’allevamento a contro spalliera, anche se è ancora abbastanza facile osservare vigne allevate con il vecchio e storico sistema di conduzione della vite in Irpinia: ma non sono gli unici cambiamenti. “A partire dagli anni Novanta sono scomparse molte classiche aziende agricole che producevano sostanzialmente grano per gli animali e sono nate molte aziende vinicole”. Chi parla è Salvatore Molettieri, considerato uno dei pionieri del rinascimento locale. III Qualche segnalazione Trentuno aziende non possono ovviamente donare un quadro esaustivo di tre denominazioni, alla luce della complessità appena evocata, seppur sommariamente. Alcune realtà, degustate sia alla cieca che tra i banchi di assaggio allestiti presso il Castello Marchionale di Taurasi, meritano comunque una segnalazione. Ciro Picariello è senza indugio il primo nome segnalare: il suo Fiano di Avellino 2008 è una ventata di aria fresca. Sapido, mordente, di gran bella lunghezza, non concede alcuna concessione ad aromaticità fuori posto o a piacione mollezze. A tratti quasi affumicato, con un frutto vivo e dritto, rappresenta una gran bell’esempio dell’areale di Summonte. Sette gli ettari proprietà, cinque dei quali alle-

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Ramandolo

oro del Friuli

L’antico

di Francesca Antonacci

PRODOTTO

DA UNO DEI

PIÙ ANTICHI VITIGNI DEL

FRIULI

E PRESENTE

NELLA LISTA DEI VINI

CONCILIO DEL 1409 A PAPA GREGORIO XII, IL

SERVITI NEL

RAMANDOLO

È LA PRIMA

DOCG DELLA REGIONE.

UNA

RARITÀ DI CUI SI

PRODUCONO SOLO POCHE MIGLIAIA DI

BOTTIGLIE L’ANNO

L I vigneti

L La Conca di Ramandolo

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l nome evoca l’idea di un luogo ameno e piacevole. Ma il Ramandolo riporta alla memoria più il vino, che non la località. Infatti fin dall’antichità il vino porta il nome del toponimo e non quello del vitigno. E come ha detto Piero Pittaro, ex presidente dell’Unione internazionale degli enologi, “ciò accade quando la fama di un prodotto supera quella del luogo d’origine e ne congloba storia e immagine”. Ci troviamo in Friuli Venezia Giulia e in particolare sulle colline di un antico borgo rurale tra Nimis e Tarcento, in provincia di Udine, un tempo patria di Celti e di Longobardi. Un territorio attraente per la gente ospitale, per le pregevoli espressioni artistiche, per le antiche tradizioni e naturalmente per la grande varietà di vini. Piccoli terrazzamenti realizzati con la sola forza delle braccia e intorno distese di boschi. È questa l’area del Consorzio Colli Orientali del Friuli e Ramandolo, che comprende circa 2300 ettari di vigna. Fra le varietà coltivate in questa zona vanno segnalati anche gli altri vitigni autoctoni di questo territorio, come Friulano, Verduzzo friulano, Ribolla gialla, Schioppettino, Pignolo, Tazzelenghe, Refosco dal peduncolo rosso e Picolit. Il Ramandolo è una pregevole rarità, se ne producono appena 285 mila bottiglie l’anno. Ottenuto da uve di Verduzzo Friulano, clone giallo, viene coltivato in un anfiteatro di vigneti arrampicati sulle colline, le cui lavorazioni, data la forte pendenza, devono essere realizzate interamente a mano. Le viti affondano le radici in terreni marnosi e sono allevate usualmente con il sistema a Guyot o alla cappuccina. Hanno una discreta resistenza alle malattie e una produzione piuttosto buona e costante. Le operazioni di vendemmia iniziano in genere nelle ultime settimane di ottobre. La raccolta tardiva ha lo scopo di ottenere un leggero appassimento dei grappoli, poi completato nel centro di appassimento appositamente costituito, favorendo così la formazione di un maggiore contenuto zuccherino e ottenendo un vino di notevole complessità aromatica. Il Ramandolo viene fatto riposare in barrique per circa un anno, poi l’imbottigliamento e l’affinamento in vetro per altri sei mesi. Si ottiene un vino unico. Pittaro lo descrive così: “Colore giallo dorato, quasi oro antico o buccia di cipolla, odore di miele di castagno, con sfumature di miele di tiglio e, invecchiando, di frutti di bosco, muschio, fieno. Il gusto è pieno, di gran corpo, morbido, deliziosamente dolce, che richiama nettamente il gradevole amarognolo del miele di castagno. Lunghissimo in bocca, poiché la sensazione piacevole rimane per gran tempo dopo la deglutizione”. È un vino da meditazione ma è ottimo anche in accompagnamento con alcuni antipasti come il fois gras, il patê di fegato, il Parmigiano a scaglie, il Gorgonzola. Abbinato al prosciutto San Daniele con i fichi maturi, al Montasio a piccole fette guarnite con miele e nocciole e alla trota affumicata esalta, con il suo equilibrio tra tannino e acidità, il loro gusto deciso. Il suo sapore dolce ne fa un pregevole vino da dessert, ideale con la pasticceria secca e i tipici dolci locali, come i biscotti Uessuz, i Ramandolini, la Gubana, con lo strudel e la frutta secca. Un tempo venduto solo localmente, oggi il Ramandolo è conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. È il primo cru del Friuli

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L Sirio Tommasoli

quindi era di posizionare il Ramandolo nella fascia dei passiti italiani di alta gamma, raggiungendo la produzione annuale di 300 mila bottiglie. Gli interventi sono stati mirati a ridefinire in termini di attualità la personalità del prodotto, si è puntato alla formazione dei produttori, all’individuazione delle prime azioni di marketing rivolte al binomio “prodotto-territorio”. Si è anche provveduto a costituire l’archivio del Ramandolo, che raccoglie una corposa scelta di fotografie sulle caratteristiche morfologiche dei vigneti, sulle tecniche tipiche di produzione e le architetture dei luoghi, sui paesaggi e sulla gente del Ramandolo, rintracciando numerosi documenti storici in diversi fondi della regione. Questo archivio ha permesso di gestire subito l’immagine del Ramandolo e del suo territorio, coordinando i tempi e i contenuti dei messaggi e mettendo a disposizione delle imprese e dei mezzi di comunicazione una rassegna completa di fotografie e di notizie articolate nelle diverse stagioni della produzione”. Un impegno che ha visto la sinergia tra Consorzio e produttori. “Da una parte il primo ha saputo interfacciarsi concrevino tamente con le amministrazioni locali che hanno mostrato Una preziosa e intelligente operazione di sensibilità e interesse” spiecomunicazione, rivolta soprattutto ai ga Tommasoli, “procedendo giovani, è stata portata avanti per proa realizzare progetti volti a promuovere una pregiata perla della nostra muovere lo sviluppo turistico viticoltura, come il Ramandolo. Tra le dell’area e adottando soluziodiverse iniziative, anche la pubblini adeguate alle richieste che cazione di un volume Il Ramandolo sui caratterizzano la crescente Colli Orientali del Friuli e di una raffinata domanda di turismo nelle aree brochure. Dalle pagine di quest’ultima il pedemontane. Dall’altra i proRamandolo scandisce i tempi dell’inconduttori hanno incessantementro e della memoria, sottolineati da te incontrato il loro pubblico immagini emozionali e da indimenticabili anche al di fuori delle aziende, versi di grandi poeti, un percorso dei partecipando a importanti inisensi, per ricordare che il vino di qualità ziative, organizzando degustaè in grado di offrire momenti di intensità, zioni in numerose città italiaconsentendo di consumare comunicanne e proponendo il Ramandolo do, come amano fare sempre più gioin abbinamenti opportunamenvani o semplicemente di godere di una te mirati con prodotti tipici delle pausa di piacere in totale tranquillità. zone visitate”.

Venezia Giulia e la sua Docg, ottenuta nel 2001, ha contribuito a dare alla viticoltura locale quella sorta di “spinta”, come l’ha definita il giornalista Giuseppe Longo, che attendeva da anni. Nella sua zona di produzione si sta infatti puntando al rilancio del vecchio clone di Verduzzo giallo, caratteristico di Ramandolo, poco produttivo e di alta qualità, i vigneti si sono ammodernati, ne sono stati creati di nuovi. Dal 1988 è stato costituito il Consorzio per la Tutela del Ramandolo che assiste i viticoltori dal vigneto alla cantina e organizza attività divulgative e promozionali per valorizzare questo prodotto. Sirio Tommasoli, consulente di strategie di valorizzazione e comunicazione, ricorda che nel 1996 la produzione era caratterizzata da una frammentazione in piccole aziende operanti in una sottozona Doc dei Colli Orientali del Friuli estesa per circa 60 ettari. “Il vino, un passito a vendemmia tardiva, aveva una personalità storica importante e ben definita ma peccava di omogeneità e coerenza nelle diverse produzioni aziendali. L’obiettivo

Far conoscere un

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Vino che passione!

Il vino

del petroliere

di Piermaurizio Di Rienzo a sua grande passione per il mondo del vino è sbocciata frequentando la comunità di San Patrignano. In mezzo a quei vigneti e osservando l’ultraperfezionismo di Andrea Muccioli, ha deciso che anche nei suoi terreni in Oltrepò Pavese avrebbe avviato una produzione che guarda esclusivamente alla qualità e per nulla alla quantità. Lui, Gian Marco Moratti, petroliere, marito del sindaco di Milano Letizia Moratti e fratello del patron dell’Inter Massimo, è una di quelle persone che quando iniziano a parlare di vino, non solo del suo, non si fermerebbero più. La sua azienda, Castello di Cigognola, sta scalando ormai le classifiche di tutte le guide italiane e si sta ritagliando importanti fette di mercato, in Italia e all’estero. D’altronde già nei secoli scorsi il vino di Cigognola si faceva apprezzare. “Negli archivi storici di Milano ci sono documenti che parlano di quel vino come buono e salubre, dal quale proveniva l’entrata economica principale del castello”, racconta Moratti, che a quella collina è particolarmente affezionato. Lì, infatti, ha sposato sua moglie Letizia, sindaco di Milano. Lì ci torna spesso perché seguire il lavoro in vigna e in cantina non è un sem-

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plice passatempo, ma è un’attività che lo impegna in prima persona. Come le è venuta l’idea di fondare l’azienda e dar vita alla produzione di vini? “Il Castello di Cigognola ha una storia millenaria, esiste una relazione del Fondo per l’Ambiente Italiano che ci riporta a prima dell’anno 1000. La collina, infatti, era una posizione strategica per scrutare tutta la Pianura Padana. Alla fine del XVIII Secolo passò alle famiglie Gazzaniga Arnaboldi e da qui è possibile ricostruire l’albero genealogico della famiglia di mia moglie Letizia, arrivando a suo nonno, di cognome Brichetto, che vinse parecchi premi con il Barbera di Cigognola, poi a mio suocero, il padre di Letizia, che, finita la Seconda Guerra Mondiale, decise di mettere in vendita il castello”. Per quale motivo? “Durante il periodo fascista il castello venne trasformato in una villa triste (luogo dove venivano imprigionati e torturati coloro che si ribellavano al regime, ndr). Mio suocero, che fu deportato nel campo di concentramen-


Il Castello di Cigognola

Gian Marco Moratti

to di Dachau, non si sentiva più legato a quel luogo. Così nel 1982 lo rilevammo io e Letizia e cominciammo a ristrutturare gli interni. Il piano per ripartire con la produzione del vino risale al 1996. Fino a quel momento, infatti, si producevano 8mila bottiglie di un blend di Barbera, Croatina e Uva rara: lo faceva il nostro anziano custode”.

Adige e dell’Austria, per non parlare della Borgogna, che mi sembra fuorviante”.

Com’è scattata la molla? Quando ha pensato di produrre i suoi vini? “Premetto che decidemmo fin dall’inizio di fare le cose seriamente, non tanto per farlo a livello amatoriale. Io e mia moglie ne parlammo con Andrea Muccioli, che a San Patrignano ha trasformato il vino del contadino in un vino pluripremiato. Camminando nei campi intorno al castello con Andrea, vidi tre ettari di terreno in vendita e decisi di comprarli, portando così la nostra proprietà a cinque ettari. Poi chiesi all’amico Riccardo Cotarella di darmi una mano. Ero già in possesso di stime sui terreni, compiute da alcuni agronomi, che avevano giudicato il terreno ottimo per la produzione di vino. Cotarella mi confermò che la terra era adatta per fare cose eccezionali”. Qual è la vostra produzione attuale? “Abbiamo 32 ettari, di cui 25 vitati, presto arriveremo a 28, e 20 in produzione. Parlando di bottiglie, nel 2009 ne abbiamo prodotte 82mila, ma contiamo di arrivare ad una media di 250mila. Al momento produciamo il Barbera “Dodici Dodici”, che è il nostro vino base, e il Barbera “Castello di Cigognola”, che è la riserva: quest’ultimo si stappa dopo tre anni di affinamento ed è ancora giovane. A fine anno arriveranno sul mercato le prime bollicine rosé, un metodo classico dell’Oltrepò (100% Pinot nero), mentre nella primavera del 2011 usciranno le bollicine bianche (85% Pinot nero, 15% Chardonnay). Poi presenteremo il nostro Nebbiolo”. Un Nebbiolo dell’Oltrepò: una scommessa? “Guardi che un tempo di Nebbiolo ce n’era parecchio in Oltrepò. D’altronde il terreno non è poi molto diverso dal Piemonte e questa era una zona che fino all’Unità d’Italia apparteneva al Regno dei Savoia. Io ho una particolare passione per il Nebbiolo, in particolare per i vini piemontesi, ma apprezzo anche quelli valtellinesi. Mi rendo conto che si tratta di una scommessa ambiziosa, ma il terreno è talmente buono che sarebbe un peccato non provarci. Spero che il mio venga considerato all’altezza dei grandi vini piemontesi”. Molte aziende dell’Oltrepò stanno provando e proponendo al mercato la vinificazione in rosso del Pinot nero: non ci avete pensato anche voi? “No, perché ritengo che qui il Pinot nero sia buono vinificato in bianco. Da queste parti la vinificazione in rosso porta a una tale differenza con i grandiosi vini dell’Alto

Il mercato ha apprezzato finora i vostri prodotti? “Per i primi due vini la risposta è stata ottima e sulle bollicine non ho timori perché sono di alta qualità. In Italia abbiamo cinquanta agenti per poter coprire tutto il Paese. Anche all’estero stiamo ottenendo buoni risultati. Siamo penetrati in Svizzera, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, mentre stiamo partendo in Canada, Germania, Singapore e Hong Kong. L’estero mi preoccupa meno dell’Italia, perché sanno riconoscere subito la qualità del vino italiano e i nostri prodotti vantano un ottimo rapporto tra qualità e prezzo, un vero punto di forza”. Quali errori sono stati commessi in Italia per quanto riguarda la relazione tra i consumatori e i produttori di vino? “L’Italia può vantare un terreno magico, come diceva Luigi Veronelli. È nostro dovere produrre il massimo della qualità cercando di farlo a prezzi non esagerati. Nel periodo prima della crisi i vini avevano raggiunto quotazioni francamente eccessive. Io ritengo che non si debba mai abbandonare la qualità in favore della quantità: ecco, questo è l’errore da evitare”. Dai racconti sembra di capire che l’origine della sua azienda e della sua passione sia legata a doppio filo a San Patrignano? “È innegabile: la mia passione per il vino la devo tutta a Vincenzo e Andrea Muccioli. Conobbi Vincenzo nel 1979 e già nella primavera del 1980 andai con i ragazzi della comunità per scoprire da vicino tutta l’attività in vigna. Vincenzo seguiva la tradizione romagnola, producendo un classico Sangiovese di facile bevuta, di quelli da conservare in cantina per non più di un anno. Andrea, che chiese a suo padre di occuparsi di questo settore, è una persona che ricerca l’eccellenza, più di un perfezionista: andò da Cotarella con la chiara intenzione di arrivare a una produzione di altissimo livello. Adesso non lo dico solo io, ma sono tutti i critici a riconoscere che i vini di San Patrignano sono eccellenti”. Lei è capace di emozionarsi quando parla di vino. Pensa che i giovani dovrebbero capirne di più per bere più consapevolmente? “Veder nascere il vino, sentirlo nel tempo, è un’esperienza di vita. Seguendo la sua lavorazione, ci si accorge della straordinarietà. Faccio questo paragone: è come l’uomo che dà il meglio di sé quando fatica per raggiungere un obiettivo, il vino diventa ottimo se proviene dai terreni più difficili, quelli collinari. Per questo credo che il vino meriti molto rispetto, spesso, purtroppo, lo sento equiparare senza senso ad altre bevande alcoliche. Il

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Vino che passione! vino dev’essere protetto come caratteristica della nostra nazione. Anziché riempirci continuamente di normative, dovremmo da una parte dare più libertà alla produzione, dall’altra proteggere la qualità”. L’Oltrepò ha bisogno di rilanciarsi? “L’Oltrepò sarà una terra straordinaria quando punterà esclusivamente sulla qualità. La nebbia per anni ha frenato lo sviluppo urbanistico in Oltrepò: Milano si è espansa a Nord, in Brianza, dove, tradizionalmente, non c’è nebbia. Grazie a questo fattore climatico, quella dell’Oltrepò si è conservata come una zona bellissima. Ho molta fiducia in questa terra che deve abbandonare il concetto della quantità. Mi creda, è il consumatore che ce lo impone. Basti osservare la scomparsa della vendita di vino in damigiana: è una chiara indicazione che ci dice come la gente sia più propensa a premiare la qualità”. Sulle vostre etichette sono riportati il suo nome e quello di sua moglie Letizia. Qualcuno potrebbe identificare i vostri vini come “i vini del sindaco”. Le fa piacere? “Essendo mia moglie un ottimo sindaco, non può che farmi piacere. Direi che ci può stare la correlazione ottimo sindaco-ottimo vino. Poi le confesso che a casa nostra si beve di tutto”.

L Andrea Muccioli, Riccardo Cotarella e Gian Marco Moratti 50

Sua moglie è un’appassionata di vini? “Mia moglie ha un palato straordinario ed è un giudice inflessibile dei nostri vini. Quando verso del vino a Letizia lo faccio alla cieca, ma lei difficilmente si sbaglia nell’identificarlo o nell’indicare le caratteristiche. È in grado di stabilire una corretta analisi sensoriale”. Le bollicine che arriveranno sul mercato a fine anno hanno già passato l’esame di Letizia Moratti? “Abbiamo fatto poco tempo fa un ultimo assaggio del rosé con Cotarella e Letizia: lo abbiamo accompagnato a una gelatina di astice e verdure. Devo dire che è passato a pieni voti, un motivo in più per essere più che ottimista”. E il Nebbiolo? Quando arriverà? “La vendemmia è programmata per il prossimo anno, poi farà quattro anni di affinamento per approdare sul mercato nel 2015”. L’anno dell’Expo di Milano, che si concentrerà sul tema dell’alimentazione. Ci aveva mai pensato a questa coincidenza? “Spero che tra le cose buone che verranno presentate all’Expo ci possa essere anche questo nostro vino”.

L Gian Marco Moratti insieme alla moglie Letizia, sindaco di Milano


Tendenze

bello e il brutto

Il

dell’estate

2010 di Roberto Piccinelli

I SECRET

CONCERTS, I CHIRINGUITOS, LO

“CHEF

ROMPISCATOLE”, IL PIGIAMA

ALLA CITRONELLA: LE ULTIMISSIME NOVITÀ SUI PIACERI DELLA VITA E DEL PALATO

osa è In e cosa è Out in questa nuova stagione calda? Come cambia il mondo del loisir, in tempo di crisi? E quali sono le ultimissime novità, relative ai piaceri della vita, comparse all’orizzonte? Mettendo subito in chiaro le domande cui vado a dare una risposta con questo mio articolo, desidero sgombrare il campo da qualsivoglia dubbio e favorire la lettura ai veri interessati. Che, molto probabilmente, rimarranno sorpresi quanto me, davanti all’ennesima moda vinicola, in rampa di lancio. Le prime avvisaglie risalgono a mercoledì 9 giugno 2010: avendo il piacevole compito di inaugurare gli

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attesissimi aperitivi estivi del quotidiano Il Resto del Carlino presso il delizioso giardino del Royal Carlton Hotel di Bologna, organizzo il simpatico dibattito “Come partire per le vacanze, senza farsi fregare…”, coinvolgendo in veste di relatori l’architetto Ettore Mocchetti, direttore di AD, il cantante Gazebo (do you remember “I like Chopin”?) e la responsabile formazione Clarins, Cinzia Volponi. Ebbene, proprio in quella felice occasione, il direttore commerciale di IsoEventi, Alberto Grazia, responsabile di un servizio catering molto propositivo fra cui spiccava la qualità delle carni e dei salumi della


Macelleria Zivieri di Monzuno, mi anticipa che nel corso della serata avrei assaggiato una Ribolla Gialla made in Slovenia, spumantizzata, servita con ghiaccio e spicchio di arancio, da bere con la cannuccia. Se mi avesse preannunciato l’atterraggio dei marziani, l’avrei senz’altro guardato con meno stupore… Ma è stato proprio così, con bollicine servite da ragazze-immagine in una sorta di tumbler basso, dalle forme morbide, smaltato di bianco e chiamato a fare pendant con il colore ed il look della bottiglia. Tutto molto modaiolo, in perfetta sintonia con una società che tiene più alla forma che alla sostanza. La proposta arriva da Solkan, sobborgo di Nova Gorica, e cavalca il fenomeno della “vetrinizzazione” di cui ho già avuto modo di scrivere su queste pagine: in particolare, il “White” targato Silveri gioca la carta estrema, cercando di trovare un punto di fusione fra il mondo del vino e quello dei drink, fra il minimo comune qualitativo e il massimo comune spettacolare. Ne sentiremo senz’altro parlare. Ma andiamo avanti e schiudiamo le porte a un’al-

tra tendenza dell’ultima ora, i Secret Concerts. Trattasi di concerti intimi, modello falò, che si svolgono in case, ville, giardini o spiagge private, tutti immersi in atmosfere sopra le righe, tra candele e abat-jour, profumi inebrianti e allestimenti da favola, persone selezionate (max 100) e informazioni centellinate. L’indirizzo della location viene svelato tramite sms il giorno prima dell’evento, mentre uno dei primi appuntamenti doc ha avuto come protagonista la band Marta sui Tubi e si è svolto in quel di Cavriago (RE), l’11 giugno 2010, tra alberi, fiaccole ardenti e distese verdeggianti, sotto le stelle... Terza chicca di cui discutere sotto l’ombrellone è l’approdo in Italia di una filosofia culinaria nata in una Spagna duramente colpita dalla recessione economica: preparare da mangiare utilizzando i prodotti contenuti nelle scatolette in vendita nei supermercati. Portabandiera nostrano di questa nuova moda è l’autodefinitosi “chef rompiscatole” Marco Squizzato, di stanza alla Trattoria al Corso di Camposampiero. Le sue tesi a sostegno sono 1) si spen53


Tendenze de meno 2) al ristorante, la formula scatoletta va vista come sperimentazione allegra, che il cliente apprezza in particolar modo perché, tornato a casa, può copiare qualsiasi ricetta con facilità 3) piuttosto che il pesce fresco a basso prezzo, ma dalla qualità incerta, meglio il tonno in scatola. Visto che le sue ricette sono già su YouTube, possiamo farci una prima idea sul nuovo fenomeno, preparando e assaggiando un “Timballino di tonno con crema di piselli al pan perduto”. Ma per avere le idee davvero chiare, dovremmo ottenere risposta a una domanda angosciosa: se le materie prime della cena provengono da scatolette di latta, da dove dovremmo estrapolare il vino? I Zanzare tigre e chiringuitos Dopo una primavera lunga, fredda e piovosa, frotte di esperti si sono subito premurati di darci la prima brutta notizia della nostra estate: le zanzare tigre sono più numerose e agguerrite che mai, a causa di questo matto clima degli ultimi tempi. Ovvio, quindi, che il nostro nuovo, vero oggetto di culto non possa che essere che l’introvabile pigiama anti-zanzare alla citronella, sorta di araba fenice dei giorni nostri. La domanda è una sola: ce la farete a rintracciarlo e comprarlo prima che vada esaurito e che siate pieni di bolle anti-estetiche? Scherzi a parte, direi che fra le hit stagionali devono senz’altro essere annoverati i chiringuitos, fatti apposta per ballare a piedi nudi sulla sabbia e decisamente da preferire alle discoteche vecchio stampo. Del resto, dici chiringuito e ti viene in mente una baracca di legno e paglia innalzata su una spiaggia caraibica, inondata di musica e piena zeppa di giovani… Per non costringere gli amanti del genere a lunghi viaggi, segnaliamo le più piacevoli strutture della nostra Penisola, partendo da L’Avamposto di Santa Cesarea Terme, Ficodindia di Santa Caterina, Beach Bar di Torregrande, Maklas di Costa Rey e Barlovento di Santa Teresa di Gallura. Che, rispettivamente, regalano la vicinanza di un’antica torre saracena, notti a picco sulla scogliera, party dedicati a sub e velisti, grigliate funky e intriganti gare di nascondino nella macchia mediterranea. Con tutto ciò, non si vuole negare che esistano versioni edulcorate dell’originale. Ma anche in questa versione, alcune strutture vanno tenute sott’occhio per

qualità musicale, come il Chiringuito di Mantova, per l’allegria coinvolgente, tipo Il Castello di Vulcano e per la facilità di socializzazione, esempio classico il Lele’s di Lignano Pineta. Discorso a parte, per le due evoluzioni fascinose e trendy, ma rigorosamente in salsa gourmet, proposte dallo chef Moreno Cedroni. La prima, il Clandestino Susci Bar di Portonovo, propone la versione italica del sushi nell’ambito di un chiosco proiettato sul mare selvaggio del parco del Conero. La seconda, Anikò di Senigallia, sviluppa la prima “salumeria di pesce al mondo” all’interno di un piccolo chioschetto stiloso, piazzato appena fuori del centro pedonale e votato a servire pesce, crostacei e veloci piatti caldi, accompagnati da un buon bicchiere di vino. E dove lo trovate, ai Caraibi, un chiringuito per gastronauti? Nonostante tutto, però, devo confessare che, quanto a chiringuitos nostrani la mia mente ritorna sempre con grande piacere al Jeko Bay di Lido di Staranzano (Go), attualmente chiuso, ma location selvaggia, ideale per scatenarsi sulla sabbia, fra torce, mare e vegetazione incontaminata. Già. C’era una volta una serie di spartani chioschi piazzati a pochi metri dal delta del fiume Isonzo, nell’ultimo tratto di spiaggia prima del Parco Naturale, in grado di spalancare le porte su una realtà unica. Una realtà fatta di un panorama fiabesco sull’intero golfo di Panzano, musica dance fino all’alba e totale libertà nell’espressione delle proprie sensazioni vitali. Qua, la trasgressione era di casa, soprattutto nei magici “full moon party” in cui nulla era programmato ma tutto accadeva, perché la luna sa fare miracoli… Certo, per raggiungere la location occorreva percorrere un tratto di strada sterrata e parcheggiare le auto in mezzo al bosco, ma il gioco valeva la candela, vieppiù presentandosi in loco fin dall’ora dell’aperitivo, quando davanti agli occhi si parava un fantastico tramonto su un mare piatto come l’olio, attraversato da insolite specie di animali e uccelli, in libera uscita dall’adiacente oasi faunistica.

INDIRIZZI Anikò. Piazza Saffi 10, Senigallia (AN). Tel. 071/60990; 071/7931228 Barlovento. Loc. Giucchesu, Santa Teresa di Gallura (SS). Tel. 0789/756088 Beach Bar. Lungomare Eleonora d’Arborea, Torregrande (OR). Tel. 335/384440; 329/6136461 Chiringuito. Loc. Miglioretto, via Parma 22, Mantova. Tel. 0376/2200240; 347/4252215 Clandestino Susci Bar. Contrada Poggio, Portonovo (AN). Tel. 071/801422

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Covo di Nord Est. Lungomare Rossetti 1, Santa margherita Ligure (GE). Tel. 0185/290348 Ficodindia. Loc. Torre UluzziPortoselvaggio, lit. Salentina, Santa Caterina (Le). Tel. 339/4441363 Il Castello. Loc. Fanghi, via Porto Lervante, Vulcano (ME). Tel. 090/9852622; 335/7850399 L’Avamposto. Loc. Porto Miggiano. Santa Cesarea Terme (LE). Tel. 340/4110764 Le Gorille. 1 quai Suffren, Saint-

Tropez. Tel. 0033 (0) 4/94970393 Lele’s. Piazza Marcello D’Olivo 7, Lignano Pineta (UD). Tel. 0431/422133 Maklas. Loc. Cala Sinzias, Costa Rey (CA). Tel. 328/1343329 Royal Carlton Hotel. Via Montebello 8, Bologna. Tel. 051/249361 The Club. Via Veglia 12, S. Moritz. Tel. 0041/818372805 Trattoria al Corso. Via Corso 86/a, Camposampiero (PD). Tel: 049/9303013; 335/1227036


I Blu pavone e cappelli di paglia Detto basta al tacco 14, che ci azzoppa qualche ragazza di troppo e alla sedia a sdraio, che fa tanto “pensione Mariuccia” e in quanto tale ampiamente surclassata da quei lettini rotanti capaci di seguire gli spostamenti del sole, che nemmeno Mazinga, non possiamo fare a meno di celebrare la salita alla ribalta del color blu pavone, perfetto per pavoneggiarsi in un mondo in cui si ama guardare, ma soprattutto essere guardati. Stop anche alla tristanzuola bandana e agli zoccoli della bella olandesina, rispettivamente rimpiazzati, al meglio, dal cappello di paglia in versione multicolor e dagli infradito personalizzati, decisamente più godibili delle celeberrime e ormai déjà vu babbucce cifrate, lanciate da Flavio Briatore. La lista degli oggetti da considerare irrimediabilmente out comprende senza tema di smentita anche il perizoma a vista, soprattutto se spunta dalle gonne panterate delle ultra-cinquantenni d’assalto e il pantalone a vita bassa di uomini over 40, con tanto di pancia, palesemente affetti da sindrome di Peter Pan. Quanto all’Happy Hour, come da concezione attuale, con nome non pertinente, ma soprattutto con modalità aberranti, poi, non ci ripeteremo mai abbastanza: fare code che manco negli uffici postali e prendere gomitate nelle gengive per strappare un’oliva o una tartina già toccata e rifiutata da altri non è davvero cosa. Come pure bere cocktail preparati da pseudobarman e mangiare prodotti anti-qualitativi… Tornando alle hit positive, in questo caso virate sul femminile, fari puntati sul mismatched bikini che invita, perfino in spiaggia, a stare alla larga dagli abbinamenti standard. Via libera ai due pezzi a piacere, con conseguente campo libero nella scelta di top e slip apparentemente spaiati, ma palesemente coordinati. Grande è l’attenzione per paillettes e strass, vieppiù in presenza di un’estate votata al binomio glitter&glamour. Le T-shirt prediligono stampe con ritratti di attori o attrici di Hollywood, mentre i capelli puntano su acconciature naturali, mosse, ondulate e sexy. L’icona di bellezza per eccellenza ritorna a essere Brigitte Bardot. E chi potrebbe non essere d’accordo, soprattutto rivedendola nel film “Piace a trop-

pi”, ossia “Et Dieu... créa la femme”, risalente all’anno di grazia 1956? Contestualmente, la mente vola a SaintTropez e al mitico Le Gorille, dove i play boy facevano a gara a contendersi le stelle e stelline del momento. Ma il periodo storico e la connotazione geografica del flashback mi offrono su un vassoio d’argento l’opportunità di festeggiare sulla carta, dopo averlo fatto di persona, in loco, lo scorso 1 giugno, il primo compleanno post riapertura di una discoteca inaugurata nel lontano 1934, il Covo di Nord Est di Santa Margherita Ligure. Basterebbe solo la meravigliosa vista sul golfo di Portofino a farne parlare, ma la storia e l’atmosfera del locale sono di quelle che non passano inosservate. Qui hanno cantato Frank Sinatra, Liza Minnelli, Sammy Davis jr., Barry White, Grace Jones e il tennista John Mc Enroe vi si é scoperto chitarrista, dimostrando però di non essere dotato di talento in quella veste… Del resto, questa discoteca non merita di perdere colpi. Visto che già nel 1958 funse da set per il film “Racconti d’Estate”, in cui recitavano Sylva Koscina, Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Lorella De Luca e Michelle Morgan. A farla conoscere al jet set internazionale fu il pierre svizzero Peppo Vanini, che in seguito fece grande anche il The Club di St. Moritz, a mantenerla inizialmente alla ribalta fu Lello Liguori, a farla ripartire è Stefano Rosina che punta a utilizzare al meglio i vari spazi, proponendo Beach & Yacht Club, Dancefloor, Restaurant Lunch&Dinner e Champagnerie in area Covino. Insomma, sono stato molto lieto di attribuire al Covo di Nord Est un Oscar del Piacere 2010, vieppiù perché affiancato dalla dj Reina Moncada, con passato di Playmate, dal vocalist Giovanni Conversano, noto per la sua partecipazione al programma “Uomini e Donne”, dalla violinista Marta Cosaro, ospite di numerose trasmissioni televisive e circondato da 20 splendide modelle, trasformate in altrettante, deliziose madrine. A far da corollario al taglio della maxi torta celebrativa, un eccezionale spettacolo di fuochi d’artificio, allestito da veri professionisti del settore, grazie ai quali tutto il Golfo del Tigullio si è unito ai festeggiamenti. Dalla festa agli auguri sentiti, il passo è breve: buona estate a tutti!

IN & OUT DELL’ESTATE 2010 In Chiringuitos Lettino rotante Glitter&glamour Pigiama alla citronella Cappello di paglia Blu pavone Infradito personalizzati Star T-shirt Mismatched bikini Pantaloni a vita bassa L Un chiringuito

Out Discoteche Sedia a sdraio Tacco 14 Happy Hour Bandana Zoccoli Babbucce cifrate Perizoma a vista Costume intero L Il mismatched bikini, ovvero i due pezzi ''spaiati'' 55


Oscar del Vino

I Vip premiano le

eccellenze enologiche

CONSEGNATI A ROMA I PREMI INTERNAZIONALI DEL VINO 2010: TRA LE NOVITÀ DI

QUEST’ANNO LA D’ORO DI

TARGA

BIBENDA

E

DUEMILAVINI ASSEGNATA A BRUNO CERETTO DI ALBA, AMBASCIATORE DEL

PIEMONTE

E

DELL’ITALIA NEL MONDO

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Oscar del Vino torna a splendere a Roma. Ancora una festa spettacolare si è svolta durante il Premio Internazionale del Vino 2010. La nuova formula studiata da Franco M. Ricci, ideatore dell’evento, la conduzione della brava e frizzante Elisa Isoardi, gli ospiti intervenuti durante la cerimonia, tutto ha contribuito al clima gioioso ed emozionante. L’Associazione italiana sommeliers Roma ha rinnovato la sempre più attesa cerimonia per l’assegnazione del Premio Internazionale del Vino, ormai un consolidato classico della scena mondana. Sul palcoscenico una scenografia non solo di grande effetto ma anche di alto valore artistico e una bella sfilata di Vip per consegnare i prestigiosi trofei a chi nell’ultimo anno si è distinto per il contributo

L’

dato al successo del vino italiano nel mondo. Elisa Isoardi ha tenuto la scena davanti a un parterre eccezionale, con la presenza di Vip del mondo del vino, dello spettacolo e della cultura. Tra gli altri, sono intervenuti Al Bano, Eleonora Daniele, Federico Quaranta, Veronica Maya, Mimmo Locasciulli, Pierluigi Diaco, la cantante emergente Anita, tre bellezze di Miss Italia 2010 (Mirella Sessa, Claudia Loy, Ludovica Caramis), Claudia Andreatta (Miss Italia 2006), Gianfranco Vissani. Un bel ritmo ha accompagnato la consegna degli undici trofei, anche grazie ai brillanti interventi musicali del quartetto di Giuliana Soscia e Pino Jodice Italian Tango Quartet. Al termine dello spettacolo, tutti i vini premiati e tutti i candidati sono stati di nuovo protagonisti di una “prezio-

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I PREMIATI 1 MIGLIOR VINO SPUMANTE Franciacorta Brut Satèn 2004 Palazzo Lana Berlucchi | Borgonato di Corte Franca (Brescia) 2 MIGLIOR VINO BIANCO Sauvignon Vie 2008 San Patrignano | Coriano (Rimini) 3 MIGLIOR VINO ROSSO Vino Nobile di Montepulciano 2007 Fattoria del Cerro | Acquaviva di Montepulciano (Siena) 4 MIGLIOR VINO EMERGENTE Franciacorta Villa Crespia NumeroZero Riserva Francesco Iacono - Muratori | Adro (Brescia)

sa” degustazione. I sommelier hanno messo a disposizione degli ospiti tutta la loro esperienza e capacità nel servizio dei vini e Dante Renzini ha deliziato tutti i convenuti con le sue ghiottonerie. Il Premio Speciale della Giuria 2010 è stato assegnato dal patron Franco M. Ricci alla Famiglia Mariani per l’azienda vitivinicola Banfi di Montalcino (Siena) con questa motivazione: “Pionieri e protagonisti dell’ambizioso progetto italiano mirato al mercato internazionale del vino di qualità hanno contribuito in maniera determinante al successo del nostro paese, fino a renderlo il

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5 MIGLIOR RAPPORTO QUALITÀ PREZZO Ginepreta 2007 - Cirulli | Ficulle (Terni) 6 MIGLIOR PRODUTTORE / AZIENDA Cecchi | Castellina in Chianti (Siena) 7 MIGLIOR GIORNALISTA / SCRITTORE Marcello Masi | Tg2 8 MIGLIOR RISTORANTE / CARTA DEI VINI Spiritodivino | Montefalco (Perugia) 9 MIGLIOR SOMMELIER Simone Semprini | The Ritz | Londra

primo assoluto nel mercato americano. In Italia le loro sperimentazioni e ricerche, in vigna e in cantina, hanno fatto scuola alla nuova enologia nascente. Un’azienda nata con un sano rapporto con l’ambiente e sviluppata attraverso importanti investimenti nella cultura che hanno prodotto un fondamentale arricchimento del territorio”. Novità di quest’anno la Targa d’Oro di Bibenda e Duemilavini 2010 assegnata a un personaggio che ha dedicato la sua vita al vino: Bruno Ceretto di Alba, grande ambasciatore del Piemonte e dell’Italia nel mondo.

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Mappamondo

Il

Sud Africa presenta

l’abbinamento

calcio-vino IL MONDIALE

HA DATO AL

PAESE L’OPPORTUNITÀ

DI PROMUOVERE LE

ECCELLENZE TURISTICHE, IMPRENDITORIALI E IL PATRIMONIO VINICOLO

di Alessandra Rotondi

Q

uando questo articolo andrà in stampa, il Mondiale di calcio 2010 sarà alle battute finali. Quindi onore ai vincitori. I vinti, se non altro, hanno avuto l’opportunità di soggiornare in Sud Africa, Nazione magica dal punto di vista vinicolo. L’operazione marketing e promozione delle eccellenze turistiche, opportunità imprenditoriali e soprattutto del patrimonio vinicolo di questo “nuovo mondo” è iniziata molto prima del 2010 Fifa sokker-wêreldbekertoernooi (in lingua afrikaans), riguardando anche la città di New York con le degustazioni organizzate “su vari campi”: al ristorante Le Cirque (con tutte le autorità governative convenute); a Xai-Xai, il wine bar di Manhattan bandiera del Sud Africa con carta vini e cibo assolutamente locali; nei pub dotati di grandi schermi per vedere le partite in diretta, tifando per la squadra del cuore e brindando con prodotti di 58

Stellenbosch o analoghi. L’evento clou è stato comunque “The Great South African Wine Show” presso il Tribeca Rooftop, terrazza coperta e scoperta nella Manhattan sud (con vista spettacolare sulla città) in cui oltre 400 vini da 135 produttori sono stati oggetto di degustazione, in abbinamento a piatti della cucina tipica, tra cui il Bobotie, cioè manzo essiccato, tritato e servito con frutta. L’organizzazione è stata ancora una volta affidata alla Dunn-Robbins Group. I “padroni di casa” invece erano l’americana James Beard Foundation Greens, dedicata alla diffusione e salvaguardia della cultura enogastronomica americana, e soprattutto Wines of South Africa (Wosa) associazione non-profit di oltre 500 produttori locali, creata nel 1999 per promuovere il Sudafrica nei mercati internazionali attraverso i suoi vini. Il Wosa, che partecipa regolarmente a fiere quali ProWein in


Germania, il London Wine Trade Fair ed il Vinordic a Stoccolma, collabora attivamente con il ministero del Turismo, organizza seminari marketing per i membri, ospita compratori e giornalisti internazionali presso le aziende o in vigna per renderli consapevoli delle strategie di mercato o aggiornarli sulla domanda e offerta. Wosa inoltre realizza la “Cape wine trade exhibition” ogni 2 anni. Quest’anno con l’industria vinicola sudafricana, ha creato “Fundi”, linea di vino di qualità superiore, i cui proventi di vendita sono serviti per preparare 2010 persone diversamente abili a diventare “Stewards del Vino” in occasione dei molti eventi collaterali alla Fifa World Cup. Oltre a una ampia selezione di vini in degustazione, il Great South African Wine Show ha offerto 3 seminari sulla versatilità dello Chenin Blanc, l’uva più coltivata in tutta la nazione; sul Pinotage a cui è stato affiancato l’attributo “Plus, Plus”, e l’ultimo dal titolo accattivante “la varietà è la nostra natura”, excursus sulle differenze ambientali e realtà vinicole. Globalmente l’evento ha contribuito a far sapere che il 95 per cento dei vini sudafricani è prodotto nella regione Cape Floral, la più piccola anche se più ricca del Paese, per biodiversità di flora, riconosciuta dall’Unesco come la sesta area verde nel mondo, con diecimila specie di piante, più di tutto l’intero emisfero boreale, valore di maggior rilievo se si considera che l’estensione di Cape Floral rappresenta solo lo 0,5 per cento del continente africano. Tra gli altri dati diffusi durante il grande tasting, quelli relativi all’esportazione dei vini sudafricani verso il mercato americano: in dettaglio, da marzo 2009 si è registrato un incremento del 4 per cento, di cui il 41 per cento verificatosi nei primi 3 mesi del 2010 grazie al battage pubbicitario del campionato mondiale di calcio. Se si considera che gli Stati Uniti non sono propriamente “big fan” di questo sport, è un eccellente risultato. Il fatto che il Wosa abbia poi uno dei suoi quartieri generali a Montreal (Québec) fa sì che la sensibilità verso i vini sudafricani sia elevata anche in Canada con vendite aumentate recentemente del 26 per cento e un fatturato di 47 milioni di dollari nel 2009 contro i 2 milioni del 2005.

La vendemmia 2010 (“capovolta” perché si effettua a febbraio-marzo) ha registrato tuttavia una diminuzione del 6,5 per cento rispetto all’anno precedente per un totale di 1.243.449 tonnellate di uva raccolta, 948,8 milioni di litri prodotti tra vino, succhi di uva e distillati, con una stima media di 765 litri per tonnellata d’uva, (dati del South African Wine Industry Information & Systems). I responsabili di tale decrescita – che comunque non ha riguardato la zona di Orange River – sono stati l’eccessivo calore e irradiazione solare, la scarsa irrigazione e la peronospora. I produttori sono tuttavia soddisfatti della qualità raggiunta che definiscono eccellente in analisi sensoriale. Come prevedibile, lo show ha offerto una grande la selezione di Pinotage nei banchi d’assaggio e inebrianti effluvi di caffè tostato e cioccolata fondente usati da tutti gli espositori come “elemento di attrazione”. Tra le curiosità, “The Old Man’s Sparkle”, un metodo “Cape Classique” Brut della cantina Groote Spot di Cape West, dove i venti freddi dell’Atlantico creano analogie climatiche con la regione della Champagne, tanto cara al patriarca aziendale Peter Pentz. La novità è data dalla composizione: 100% Merlot. Il resto rispetta le fasi della spumantizzazione con seconda fermentazione in bottiglia. Il Grande Show dei vini sudafricani ha infine ospitato il lancio americano dell’“Enviropack” dell’azienda Douglas Green cioè il “vino in busta”. In dettaglio, è definito come “un contenitore con rubinetto” 100 per cento riciclabile, salvaspazio, ecointelligente (80 per cento in meno di impronta al carbonio) equivalente a 4 bottiglie di vino, in grado di mantenersi per 6 settimane dopo l’apertura. Disponibile in Chardonnay e Cabernet Sauvignon, rispettivamente al primo e secondo posto per vendite e gradimento globale. Il costo al dettaglio è di 19.99 dollari. Ancora prematuro prevederne il successo ma certamente il banco dove è stato presentato, con la mascotte dei mondiali e la sagoma a dimensione naturale del presidente Obama è stato il più fotografato dell’evento, attirando tutti gli invitati a un incontro ravvicinato con entrambi. 59


Vino e storia

Il

vino negato

alle donne dell’antica

Roma

di Maddalena Giuffrida

IL

CONTROLLO SOCIALE

SULLE DONNE PREVEDEVA IL DIVIETO DI BERE

VINO, AL PUNTO CHE

ESISTEVA LO IUS OSCULI, IL DIRITTO DEL BACIO, PER VERIFICARE SE AVEVANO BEVUTO

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“Bevete acqua, perché il vino non rientra fra ciò che è permesso” (Agostino, Confessiones) iente vino alla donne. Era questa la “dura lex” imposta dagli antichi Romani alle donne. Ne ha parlato recentemente il professor Maurizio Bettini all’università di Vercelli in occasione di una conferenza intitolata “Perché a Roma le donne non pote-

N

vano bere il vino?”. Presentato dalla professoressa Magrassi, che presiede la Società di Cultura Classica vercellese, Bettini, docente di filologia classica all’ateneo di Siena e appassionato studioso di antropologia del mondo antico, ha minuziosamente descritto il contesto arcaico dell’incompatibilità che intercorre tra la donna e il vino nella cultura romana. L’argomento non è nuovo allo stu-


Il prof. Maurizio Bettini, docente di filologia classica all'Università di Siena

come se questa bevanda in qualche modo rendesse impura la donna o la predisponesse all’impurità”. Per la donna che beveva di nascosto si ricorreva addirittura allo ius osculi, il diritto del bacio. “Credo che la sua domanda intenda riferirsi all’uso, anzi al diritto (ius), secondo cui la donna romana doveva ricevere sulla bocca il bacio (osculum) dai suoi parenti maschi fino al sesto grado incluso. Le nostre fonti – a cui, ripeto, dobbiamo dar retta, visto che ce lo dicono – insistono sul fatto che questo bacio veniva dato proprio per controllare se la donna avesse bevuto del vino. Non era una manifestazione di affetto, ma una vera e propria forma di test olfattivo, cui si aggiungeva anche l’idea di rendere visibile, attraverso il diritto del bacio, il reticolo di parentela in cui la donna era inserita”.

dioso, che ha già trattato il tema in un saggio nel volume Affari di famiglia dedicato allo studio e alla esplorazione delle forme parentali all’interno della cultura antica. Senza mai perdere di vista il rigore filologico, l’autore declina in chiave antropologica il divieto del vino alle donne nel mondo romano, tessendo il reticolo culturale e il contesto etnografico dove tale divieto si inserisce. Emerge un quadro caratterizzato dal forte controllo sulla donna esercitato dal gruppo parentale, che considerava una vera e propria minaccia alla purezza e all’integrità della famiglia stessa l’eventuale inte-

resse femminile per il vino. L’assunzione di vino da parte di una donna era considerata reato al pari dell’adulterio o dell’aborto senza il consenso del marito. E per adulterio una donna poteva addirittura essere messa a morte. Professor Bettini, perché a Roma alle donne non era permesso bere vino? “Quello che dicono le nostre fonti, ed è bene dar retta prima di tutto agli antichi quando parlano di se stessi, era questo: il vino porta la donna alla disonestà e all’adulterio. In altre parole, i Romani stabilivano un nesso fra vino e trasgressione sessuale,

Come si è arrivati al divieto di bere vino, o meglio, a tale divieto è possibile dare una data precisa? “In realtà di questo divieto si parla soprattutto nel periodo della Roma arcaica. Ma anche Monica, la madre di Agostino, secondo suo figlio, sconsigliava le donne dal bere questa sostanza. Diceva che non era nella loro “potestà”. Insomma, si tratta di un divieto o meglio di una incompatibilità di lunga durata. Non escludo neppure che, almeno in certi ambienti sociali, la donna che beveva apertamente venisse guardata male anche fino a qualche decennio fa”. Quali erano le punizioni inflitte alle donne colte a bere vino? “Si riuniva un consiglio di parenti, ovviamente maschi, i quali prendevano le loro decisioni in proposito. 61


Vino e storia Nella letteratura degli exempla, certo di carattere alquanto mitologico che possediamo, la donna viene addirittura uccisa per questo”. È vero che alle donne era interdetto anche l’ingresso alle cantine di stoccaggio del vino? “A dir la verità non mi risulta. Forse lei si riferisce al fatto che, secondo Plinio, la donna con il ciclo aveva il potere di far inacidire il mosto. Si tratta dunque di una cosa diversa. Che il liquido mestruale abbia poteri malefici, del resto, è una credenza comune a molte culture, anche al folklore europeo. Insomma nelle credenze condivise (più o meno consapevolmente) da molte persone, il liquido mestruale può destare un certo orrore. Soprattutto nei maschi, ma talora anche nelle femmine. Un illuminista direbbe che le superstizioni sono difficili da estirpare del tutto”. Quali autori ci narrano di questi episodi di percosse e punizioni alle donne? “Soprattutto Plinio e Valerio Massimo. Ma anche storici come Dionigi di Alicarnasso, un greco appassionato di Roma che scrisse un’interessantissima storia di questa città e di questa cultura. Soprattutto i primi libri sono preziosi per noi”. Che cosa potevano bere le donne senza incorrere in severe punizioni? “Dei vini che non erano vini. Alle donne erano permessi vini, per così dire, camuffati, i cosiddetti dulcia, bevande ben diverse dal temetum, il vino vero. La cosa fondamentale è che questi vini dolci non prevedevano la fermentazione. Aulo Gellio, ad esempio, nelle Notti attiche ci fornisce interessanti notizie a questo proposito elencando una serie di bevande concesse al mondo femminile: la murrina, ovvero vino aromatizzato con la mirra, o la lorea, una bevanda ricavata dalla macerazione in acqua delle fecce. Erano bevande che non sapevano di vino, come dicono le nostre fonti. Insomma non avevano quell’odore intenso, quel gusto forte che ha il vino e che i Romani chiamavano virus. Non è un caso che questa parole designasse anche il seme maschile”.

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Anfore vinarie romane

Si può parlare di una forma di controllo sociale sulla donna? “Certamente, si tratta proprio di questo. Il controllo sociale viene esercitato soprattutto dal punto di vista della sua purezza e fedeltà. Quello che più si teme è che la stirpe venga “inquinata” (è proprio questo il termine che usano) da figli nati da un seme diverso da quello del padre e marito legittimo. In fondo, il divieto del vino si riconnette proprio a questo: al timore che la donna, fanciulla o sposa possa mettere al mondo dei figli spuri”. Non solo il vino era vietato alla donne nella vita quotidiana ma era bandito anche nei riti alla Bona Dea, cerimonia religiosa rigorosamente femminile, dal quale gli uomini erano esclusi. “È proprio così. Secondo uno dei rac-

conti di fondazione del culto alla Bona Dea è proprio la colpa del vino a giocare un ruolo di primo piano. Secondo Plutarco, ad esempio, il mito della istituzione del culto sarebbe da far risalire a Fauno, marito di Bona Dea, che uccise la moglie colpendola con rami di mirto, dopo averla sorpresa a bere vino. Secondo Macrobio, invece, Fauno non è più un marito ma un padre che vuole commettere adulterio con sua figlia e per ottenere il suo scopo la fa ubriacare. La resistenza della ragazza è punita a colpi di rami di mirto. Da questi racconti si vede chiaramente che il vino femminile ha un ruolo fortemente negativo nei rapporti di parentela: da una parte abbiamo una moglie che viene uccisa e dall’altra un padre che cerca di ubriacare la figlia per commettere incesto”.


Donne romane in un dipinto di Lawrence AlmaTadema

Questa presenza del rapporto parentale anche nel mito ci riporta, dunque, al punto di partenza, ovvero al profondo intreccio donna e gruppo familiare. “È vero. Anche nella rappresentazione religiosa, la ‘colpa del vino’ appare associata da una parte, alla relazione parentale, e dall’altra alla trasgressione sessuale. Insomma il contesto mitico non fa altro che confermare un modello culturale reale”. Interessante è l’uso linguistico del termine “vino” nel culto alla Bona Dea. “La presenza del vino, in effetti, all’interno della cerimonia alla dea è camuffata, come del resto l’uso del vino al femminile nella vita quotidiana. Il vino, causa della punizione di Bona Dea, è bandito dal rituale celebrato in suo onore, così come il mirto, pianta sacra a Venere, non può comparire tra le piante con cui si adorna l’altare della dea. Tornando al vino usato per le libagioni, esso entra in scena sotto il falso nome di “latte” e il “vaso da vino” che lo contiene viene chiamato mellarium ovvero “vaso da miele’. Anche nella dimensione cultuale femminile, il vino può entrare solo in maniera, per così dire, negata e coperta”. Latte e miele, vino dolce. Sembrerebbe che le donne siano associate all’idea di dolcezza. “Per quanto riguarda il rapporto miele e mondo femminile, c’è da notare che le api, nel mondo antico, erano ritenute creature caste e sobrie per eccellenza. Da un punto di vista meramente biologico, il latte distingue nettamente la donna dall’uomo. È la donna, infatti, che produce il latte dal suo seno. Alla dea Rumina, la dea protettrice delle donne che allattano, era vietato fare offerte di vino a conferma della netta contrapposizione tra latte e vino. Sulla dolcezza femminile, beh, non cediamo troppo agli stereotipi”.


Vino e finanza

Tutti

vigna

in per l'estate

di Lorenzo Simoncelli

L'ENOTURISMO RACCOGLIE UN NUMERO SEMPRE MAGGIORE DI APPASSIONATI ANCHE SE IN PASSATO LA SCARSA COORDINAZIONE NAZIONALE E I TROPPI CAMPANILISMI HANNO OSTACOLATO LO

SVILUPPO.

LE

PROPOSTE

E LE STRATEGIE DEGLI ESPERTI DEL SETTORE

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on l’arrivo dell’estate, per chi può, è arrivato il momento di decidere dove trascorrere qualche giorno di riposo. Mare, montagna o mete esotiche? Questi i soliti dilemmi. Ma in aggiunta all’offerta turistica tradizionale, si stanno sviluppando da qualche anno i cosiddetti turismi alternativi. Su tutti quello enologico che, solo nel 2009, ha mosso 6 milioni di visitatori per un fatturato di 1,8 miliardi di euro (dati Coldiretti). Visitare cantine e vigneti non è più un vezzo di pochi intimi, ma una tipologia di vacanza che sta prendendo sempre più piede anche tra i meno intenditori. Secondo l’VIII rapporto sul Turismo del Vino, realizzato da Censis Servizi-Città del Vino e presentato agli stati generali dell’Enoturismo ad Alberese, sono 7,5 milioni gli italiani adulti che nell’ultimo anno hanno svolto almeno 4/5 esperienze turistiche legate al vino. Sono invece 2,6

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milioni quelli che si autodefiniscono turisti espliciti del nettare di Bacco. Numeri in continuo aumento “che stanno trasformando una ristretta tribù di specialisti in un preciso popolo di appassionati” afferma Fabio Taiti, professore di Politica Economica presso l’Università di Siena e autore del rapporto. Ma nonostante i risultati e i numerosi passi avanti fatti negli ultimi vent’anni, si può dire che il turismo enogastronomico non abbia ancora sfondato. Di seguito una disamina delle problematiche e una serie di proposte, fatte in esclusiva per De Vinis, da alcuni dei principali attori del settore, per far emergere definitivamente un comparto con potenzialità ancora inespresse. MENO CAMPANILISMI E PIÙ COMUNICAZIONE Se dunque il turismo enogastronomico ha un potenziale di crescita ancora consistente, non bisogna però


Donatella Cinelli Colombini, assessore al Turismo del Comune di Siena

sottovalutare le altrettante problematicità. Su tutte lo scarso sviluppo della comunicazione. Sei sindaci su dieci (sempre secondo il rapporto dell’Osservatorio) ritengono che il fattore di spinta più efficace per incrementare il turismo del vino sia legato ai modelli comunicativi. Quindi la sottovalutazione dei nuovi elementi di interazione (social media su tutti) appare come un fattore di rischio, da scongiurare il più rapidamente possibile. Su 154 Strade del Vino presenti in Italia, 40 non hanno alcuna visibilità su Internet. Le regioni in forte deficit sono l’Abruzzo (0 su 6) e la Sardegna (0 su 8), totalmente irragiungibili dagli enonaviganti. A volte invece si verifica il fenomeno inverso, dove un’eccessiva informazione genera disorientamento. È il caso della tenuta di Bolgheri con cinque portali dedicati di enti diversi l’uno dall’altro. I risultati dunque appaiono ancora disuguali e spesso controversi. A fronte di pochi consolidati distretti, i soliti noti, più di cinque e meno di dieci (Prosecco, Chianti, Montalcino) ci sono molte, ma volatili occasioni festaiole (qualche fiera

locale e un po’ troppe sagre). La domanda di tendenza, in assenza di sistemi di attrazioni forti e innovativi, rischia infatti di scivolare rapidamente in una moda passeggera. “Gli amministratori di Città del Vino vogliono vendere o promuovere?”, si chiede il professor Taiti. “Per vendere bisogna prima promuovere e questo dev’essere il ruolo degli amministratori”, conclude. Altri pericolosi vezzi che stanno prendendo corpo sono un citazionismo più orecchiato che esperienziale, il dilettantismo degustativo e la ricerca di gusti fusion o di tendenza. Ma il vero tallone d’Achille resta l’eccessiva frammentazione dei percorsi legati al vino. Dal 2008 al 2010 il numero delle Strade è passato da 128 a 154 “creando così un processo inerziale che crea confusione e non valore”, sottolinea Fabio Taiti, professore di Politica Economica all’Università di Siena. “Un’accentuata concorrenzialità di mete e di destinazioni a costi bassi”, prosegue Taiti, “che sa più di scelta politica che di lungimirante azione strategica”. Dello stesso avviso Donatella Cinelli Colombini, assessore al Turismo di Siena che ritiene il turismo un bene non surrogabile: “154 Strade del Vino uguali non creano una destinazione”. Confrontando la realtà enoturistica italiana con quella degli altri due grandi Paesi europei a vocazione vitivinicola, Francia e Spagna, effettivamente quache dubbio potrebbe sorgere. Se il numero di turisti è simile, 7,5 milioni per la Francia e 6 per la Spagna, a sorprendere è la quota ridotta di Strade del vino. Solo 14 in Francia, 21 per la Spagna, cioè quante ne ha la Toscana. Allora che cosa fare? “Per potenziare e integrare il sistema d’offerta è opportuno incrementare le politiche di alleanze

Fabio Taiti, professore di Politica Economica all'Università di Siena e autore dell'VIII rapporto sul turismo enogastronomico

Giampaolo Pioli, Presidente Associazione Nazionale Città del Vino

con i comuni limitrofi”, analizza Fabio Taiti, “la parola d’ordine per i prossimi anni è condensazione, meglio se sotto una regia nazionale”. MANOVRA FINANZIARIA: “NO ALLA STANGATA” Se i turismi classici stanno subendo qualche contrazione a seguito del perdurare delle difficoltà economiche delle famiglie, l’enoturismo ha anche la qualità di essere decorrelato dall’andamento degli altri mercati. Questo fa sì che stia subendo meno la generale contrazione dei consumi. Anche se, le scarse risorse destinate agli enti locali, tra i 20 e i 25 mila euro all’anno, non permettono di ammortizzare le spese necessarie per eventi, comunicazione e formazione degli addetti. Inoltre la recente manovra finanziaria varata dal ministro Tremonti, che prevede nel biennio 2010-2012 tagli ai comuni per una cifra che si dovrebbe aggirare intorno ai 4 miliardi di euro (fonte Il Sole 24Ore), non va certo nella direzione auspicata dagli amministratori locali. Dura la replica di Giampaolo Pioli, presidente dell’Associazione Nazionale Città del Vino, “una vera e propria stangata per i comuni italiani, a par-

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Vino e finanza

tire dai tagli del 5 per cento del personale, che avrà forti ripercussioni soprattutto sui territori con meno di 5mila abitanti (oltre l’80 per cento dei comuni in Italia), che rappresentano l’ossatura della gestione dei territori rurali e della produzione agricola di qualità del made in Italy”. Che cosa proponete in concreto? “Rendere facoltativa la tassa di soggiorno per i comuni”, commenta Pioli, “eliminare il patto di stabilità almeno per una soglia superiore di enti locali virtuosi e infine adottare misure strategiche per non perdere competitività, ad esempio ridurre l’Iva al 5,5% a ristoranti e alberghi come in Francia”. QUALI SCENARI PER IL FUTURO? Dato che per i comuni a vocazione enoica lo sviluppo del turismo legato al vino assumerà un’importanza sempre crescente per l’economia del loro territorio (già oggi incide intorno al 30 per cento sullo sviluppo turistico), servono proposte concrete e condivise tra ministero del Turismo ed enti locali. Poi toccherà a sindaci e Città del Vino trovare un punto d’incontro tra visioni a volte divergenti. Da una parte troppo localistiche (quelle dei comuni), dall’altra eccessivamente teoriche e autoreferenziate (quelle delle Strade del vino). E allora che cosa serve in concreto? “Regolamentare gli uffici turistici a livello nazionale e renderli sostenibili”, suggerisce Donatella Cinelli Colombini, assessore al Turismo di Siena, “realizzare un logo comune riconosciuto dal Codice della strada, creare accordi con network commerciali e compagnie aeree, ma soprattutto caratterizzare i percorsi vinicoli ognuno secondo le peculiarità del territorio, cosicchè enoappassionati e non, possano sapere già prima di

partire quello a cui vanno incontro, senza incappare in spiacevoli sorprese”. Secondo Giampaolo Pioli, presidente nazionale dell’associazione Città del Vino bisogna “creare una regia unica nazionale, garantire standard minimi di qualità condivisi, puntare sulla formazione e l’aggiornamento delle figure professionali e infine alla riforma e al rifinanziamento della legge sulle Strade del vino (268/99)”. “È arrivato il momento di cercare una strada diversa”, afferma Fabio Taiti “con l’incombere della globalizzazione bisogna puntare su settori di competitività vantaggiosa. Serve una massa critica degli investimenti e poi il progetto intrapreso dal Ministero del Turismo su un itinerario nazionale del turismo enogastronomico è fermo da un anno e mezzo”. A rappresentare il ministero del Turismo agli stati generali di Alberese c’era anche Pierluigi Ronchetti, coordinatore del comitato per l’enogastronomia del ministero del Turismo, che in esclusiva per DeVinis, ci ha preannunciato quelli che saranno le prossime mosse del dicastero guidato da Michela Vittoria Brambilla. “La commissione è molto giovane è nata da un anno, ma ci stiamo muovendo già in diverse direzioni”, ci ha detto Ronchetti, “in queste settimane inizierà una trasmissione su Rai 2 alla ricerca dei piatti perduti dal titolo ‘Capotavola’ e a breve partirà un tour europeo che toccherà le principali capitali dove saranno allestiti stand con i nostri prodotti nelle principali piazze”. E cosa risponde alle accuse

degli enti locali sui tagli previsti dalla manovra Tremonti? “Al di là della manovra finanziaria sono le idee che moltiplicano le risorse”, commenta Ronchetti, “inoltre per realizzare una regia comune serve una volontà culturale più che politica, c’è ancora un eccessivo campanilismo, bisogna essere uniti nel nome del made in Italy”. In sostanza il turismo enogastronomico italiano in presenza di una domanda di tendenza, sembra trovarsi di fronte all’alternativa fra restare un buon comprimario o diventare un attore protagonista sulla grande scena delle moderne smanie per la villeggiatura. Fino a quando si continuerà a pensare che il vino prodotto in una certa zona sia di per sé l’attrattore fondamentale dei visitatori su quel territorio, l’enoturismo resterà confinato a esercitare ruoli complementari o da specialisti. Solo in pochi casi (Champagne, Chablis, etc.) il vino da solo (o quasi) è capace di generare un effetto di sviluppo moltiplicatore per tutta l’economia locale. Ma per puntare sul turismo enogastronomico come nuovo motore dello sviluppo economico locale e nazionale occorrerà mettere in cantiere e condividere un ben diverso e più ambizioso progetto. Per convincere volumi consistenti di enoappassionati a muoversi dalle rispettive residenze e trasformarsi da consumatori di vino in turisti di territorio e quindi spendere tempo e reddito, è indispensabile montare e comunicare meccanismi generatori di irripetibili emozioni, fruibili solo in quello specifico contesto.

Breve storia del turismo enogastronomico PRIMA FASE: fino agli anni Settanta ci si focalizzava su una ricerca esplorativa di vini di buona qualità, autentici e identitari (Doc, Docg), dotati di marche affidabili (storici casati), prodotti da validi enologi, in cantine attrezzate da visitare, ubicate in territori noti. SECONDA FASE: negli anni Ottanta e Novanta si formano cinque distinte fasce di enoturisti, i curiosi, gli esploratori, i tifosi, i professionisti, e gli sperimentatori. Il loro volume è in crescita e si passa da un grado all’altro quanto più numerose e frequenti sono le tappe enoturistiche praticate. La ricerca sul posto si allarga dai prodotti ai servizi, si affer66

mano gli agriturismi, proliferano le sagre, prende quota l’ibridazione fusion della cucina di tradizione, si affermano gli eventi dedicati, da “Cantine aperte” a “Calici di stelle”. TERZA FASE: dagli anni Novanta ad oggi, si assiste alla formazione di quei processi che rappresentano il nodo critico in attesa di essere sciolto. Da una parte prosegue la mutazione evolutiva degli enoturisti, alla ricerca non più solo di prodotti e servizi, ma di esperienze enoiche e racconti memorabili; dall’altro il paradigma dell’offerta tipica ha generato una proliferazione di micro destinazioni (154 Strade del vino).


Oli d’Italia

Gli aromi si sposano con gli

oli

di Luigi Caricato n territorio meno battuto e certamente poco valorizzato è quello dei condimenti all’olio extra vergine di oliva. Gli oli aromatizzati sono qualcosa di diverso, forse non piaceranno ai puristi che optano per l’olio extra vergine in purezza, tuttavia c’è un nuovo segmento di mercato in continua crescita che non si può trascurare. È il chiaro segnale che un numero sempre maggiore di consumatori ne stanno apprezzando la bontà o comunque desiderano accostarsi a tali oli per soddisfare una loro legittima curiosità. A questo punto, meglio affidarsi a condimenti dalla qualità certa, con una materia prima buona in partenza. E che siano sicuri per la salute, oltre che gradevoli dal punto di vista sensoriale. Meglio diffidare invece di quelli realizzati occasionalmente o senza la dovuta cura. È bene dubitare anche di quegli oli aromatizzati senza etichetta e presentati nei ristoranti il più delle volte in bottiglie di fortuna e di cui non si ha la certezza di una materia prima dalla qualità garantita. In tutta confidenza, non ho mai utilizzato tali oli. Non mi affascinano, però resto aperto a tutte le possibili soluzioni: li accolgo senza alcun fastidio. Non riesco a utilizzarli solo perché non ne sento la necessità ma se il consumatore li gradisce non vedo motivi per non accontentarlo. Non c’è nulla di anomalo, il condimento aromatizzato ha un pubblico di estimatori che si sta sempre più estendendo, soprattutto all’estero, soprattutto là dove non conoscono ancora bene l’olio extra vergine in purezza e così restano affascinati dagli aromi che si uniscono alla materia grassa. La gran parte di tali oli aromatizzati viene presentata in confezioni da 250 ml, ed è anche giusto perché in fondo è bene che si consumino in tempi brevi, una volta aperta la bottiglia. Sul mercato stanno prendendo progressivamente piede anche confezioni più piccole e al momento si contano oltre quindici varietà di gusto, poste in vendita a un prezzo medio che si attesta su circa quattro euro la confezione. È un vero successo, considerando tra l’altro che l’olio aromatizzato è a tutti gli effetti un prodotto nuovo, sul piano merceologico. È recente infatti la presenza di tali condimenti sugli scaffali dei negozi tuttavia non sono affatto prodotti del tutto nuovi, visto che vantano un’antica, millenaria, tradizione alle spalle. Le varie denominazioni con cui vengono presentati in etichetta danno libero sfogo alla fantasia e tutto è lecito. Il legislatore non ha infatti formulato, ad oggi, alcuna norma specifica al riguardo. Così, quando per esempio si effettuano i consueti controlli da parte delle autorità ispettive, si cerca in primo luogo di capire se il prodotto sia corrispondente a quanto dichiarato in etichetta e che soprattutto sia microbiologicamente sicuro. Le aziende professionali non deludono, perché provvedono a effettuare tutte le più accurate analisi. Valutano sia la materia prima, sia il prodotto finale al momento della collocazione in bottiglia, facendo effettuare le principali analisi chimico-fisiche e microbiologiche e, nondimeno, quelle strettamente sensoriali, così da garantire uno standard più elevato e costante. È evidente che non tutti gli oli aromatizzati siano di qualità, c’è chi immette in commercio prodotti scadenti e poco sicuri. Per questo è utile

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segnalare alcuni condimenti a base di olio extra vergine di oliva, mettendo tra l’altro in luce anche gli abbinamenti al cibo più indicati. Quanto invece alle degustazioni di tali oli, riporto solo le indicazioni relative alla fluidità degli oli stessi, alla loro pulizia al palato, all’equilibrio della carica aromatica e soprattutto all’assenza di difetti. Per il resto, si sa, ciascun olio esprime l’aroma di riferimento, quindi è evidente che un olio al peperoncino sa di peperoncino, e via a seguire. Ma ora, giusto per inquadrare in qualche modo il prodotto, segnalo alcune indicazioni di massima, certamente utili per rendersi conto di cosa vi sia effettivamente dietro al processo produttivo. L’olio e l’aroma vengono ovviamente prima di tutto, mentre a volte, c’è chi decide di aggiungere il “testimone”, ossia pezzi interi di peperoncino, di frammenti di funghi, di tracce di rosmarino o prezzemolo, e tutto ciò che ispira di volta in volta la fantasia del produttore. Ciò che più importa, è in particolare la natura della sostanza grassa utilizzata, alquanto determinante per la qualità. È da tenere presente che tutti gli oli sono in quanto tali strutturalmente fragili e delicati e hanno perciò vita breve, in quanto destinati a ossidarsi. C’è però una grande differenza tra i vari oli cui si può ricorrere. Meglio, tra tutti, un buon extra vergine, che è sempre da preferire a un generico olio di oliva, ma soprattutto a un olio di semi. In alcuni casi si ricorre invece a miscele tra oli diversi. C’è l’imbarazzo della scelta. Prima di acquistare meglio leggere con attenzione l’etichetta. I condimenti di cui si apprezza la bontà del prodotto finale restano sempre quelli a base di olio extra vergine di oliva. Ma anche l’aroma ha la sua importanza: può essere naturale o sintetico. Ed è evidente che quello naturale sia di gran lunga da preferire, ma diventa cruciale l’attenzione all’igiene. Con gli aromatizzati non si può rischiare, occorre essere certi che si sia fronteggiato ogni rischio batterico. L’estratto lo si può ottenere per “infusione”, ed è un metodo largamente utilizzato a livello artigianale e casalingo; ma anche per “percolazione”, che è un processo industriale ben sperimentato. Se qualcuno lo desidera, è possibile procedere con una preparazione casalinga, ma nulla in tal caso è da sottovalutare, perché i rischi sono molto alti. L’olio deve essere di buona qualità, perché la parte grassa subisce inevitabilmente una progressiva degradazione ossidativa nel momento in cui si lega ad altre componenti. Più un olio è buono, maggiore è la sua resistenza e anche gli aromi dovranno essere selezionati con cura, perfettamente puliti. Un esempio? In circa mezzo litro d’olio si metteranno a macerare due peperoncini piccanti per almeno dieci giorni e più. Al termine, dopo aver filtrato il tutto, si versa il condimento in una bottiglia scura, in modo da proteggere il contenuto dall’azione ossidante della luce. La bottiglia va anche tenuta lontana da fonti di calore, visto che si tratta di una materia prima molto delicata. La medesima operazione può essere fatta di volta in volta con delle foglie d’alloro o con altre erbe aromatiche ma è sicuramente più comodo e conveniente acquistare gli oli aromatizzati già fatti, affidandosi ad aziende serie e capaci.


GLI ASSAGGI Nel bicchiere. Verde, è limpido alla vista, con presenza di testimone. Ha profumo intenso. Al palato ha buona fluidità ed equilibrio, unitamente a una piacevole sensazione di morbidezza. L’abbinamento. Creme di legumi, arrosti di carne, grigliate di pesce spada.

VENETO

Fratelli Turri - Condimento aromatizzato al rosmarino.

Fratelli Turri, strada Villa 9, 37010 Cavaion Veronese (Verona) tel. 045.7235598, turri@turri.com - www.turri.com

Nel bicchiere. Color aranciato tendente al rosso, limpido, con presenza di testimone. Ha note pulite e nette di peperoncino, buona fluidità e sensazione tattile. L’abbinamento. Pizze, carni bianche ai ferri, patate lesse, salse di pomodoro. Azienda agricola Antico Colle Fiorito, via Porcianese 39 51035 Porciano Lamporecchio (Pistoia) tel. 0673.803842, anticocollefiorito@hotmail.com

TOSCANA

Antico Colle Fiorito - Condimento aromatizzato al peperoncino.

Nel bicchiere. Giallo dai riflessi aranciati, è limpido alla vista. Estratto da arance pugliesi, ha note dolci e fini, buona fluidità e armonia delle sensazioni fruttate. L’abbinamento. Tagliolini all’uovo con julienne di pompelmo, gamberi lessi, nasello con zucchine.

PUGLIA

Goccia di Sole - Condimento all’arancia in olio extra vergine di oliva .

Oleificio cooperativo Goccia di Sole, via Lago Tammone 70056 Molfetta (Bari), tel. 080.3381280 info@gocciadisole.com - www.gocciadisole.com

Nel bicchiere. Ottenuto non per infusione ma direttamente per spremitura di olive e limone. Giallo oro dai riflessi verdi, è limpido alla vista. Al naso ha note olfattive fini. Al palato morbidezza ed eleganza, buona fluidità. L’abbinamento. Insalate verdi, tartare di mare, pesci bolliti.

MARCHE

Gabrielloni - “Sapor”, condimento aromatizzato al limone.

Frantoio Oleario Gabrielloni, via Montefiore 62019 Recanati (Macerata), tel. 0733.852498 info@gabrielloni.it – www.gabrielloni.it

Nel bicchiere. Verde dai netti riflessi giallo oro, è limpido alla vista, con presenza di testimone in bacche. Al palato ha buona fluidità e armonia, una gradevole sensazione di morbidezza. L’abbinamento. Verdure alla griglia, arrosti di selvaggina.

UMBRIA

Gradassi - Condimento aromatizzato al ginepro.

Cufrol – Frantoi oleari umbri, ss. Flaminia Km 135 06049 Spoleto (Perugia), tel. 0743.275819 cufrol@cufrol.com - www.cufrol.com 69


Birra di qualità

estate a tutta birra Un’ È

LA STAGIONE DELLA BIRRA: LO DICONO I DATI DI MERCATO E LE

CONSOLIDATE ABITUDINI DEGLI ITALIANI.

LA

SCELTA VA INDIRIZZATA VERSO

PRODOTTI DI BASSA GRADAZIONE, BIRRE CAPACI DI SPEGNERE LA SETE E RINFRESCARE IL PALATO…

di Maurizio Maestrelli on le temperature che salgono rapide a sfiorare i 40 gradi e l’umidità, almeno nelle grandi città, che si fa sempre più simile a quella della giungla del Borneo, è giocoforza, se si deve scrivere di bevande alcoliche, pensare alle poche che si possono bere in questo periodo. Per chi scrive di birra non va poi così male. Il nostro mondo è talmente differenziato da non risultare pretenzioso affermare che ogni giorno ha la sua birra ideale e se l’inverno fa venire in mente specialità trappiste o d’abbazia e magari robusti barley wine dalle gradazioni alcoliche paragonabili a quelle di un buon vino, la stagione più calda dell’anno porta il pensiero a birre poco alcoliche, dissetanti per la loro gradevole acidità, secche nella loro luppolatura. Del resto, anche

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i numeri dicono che l’estate è davvero la stagione della birra, almeno in Italia. Da anni infatti circa la metà dei volumi consumati nel nostro Paese si sviluppa tra giugno e settembre e tale è il legame tra birra e temperature estive che, non stiamo esagerando, un’estate più piovosa del solito mette a repentaglio i risultati di fine anno. In parte, ovviamente, è un problema ma resta tuttavia un dato di fatto. Quali sono le birre che si bevono in estate e quali invece si potrebbe scoprire? Le “regine”, da un punto di vista meramente quantitativo, restano le lager. Italiane e del resto del mondo visto che sul nostro mercato furoreggiano etichette messicane e spagnole, forse anche legate all’immaginario vacanziero, e si segnalano le indiane, le thailandesi, le giapponesi e via di questo passo. Ma, oltre


DEGUSTAZIONE

RE ALE

Produttore: Birra del Borgo – Borgorose (Rieti) Distributore: Interbrau (www.interbrau.it) È la birra che ha costruito la fama di Leonardo Di Vincenzo portandolo a diventare, da eccellente homebrewer, a birraio tra i più affermati in Italia e assai noto anche all’estero. Alta fermentazione ispirata alle India Pale Ale inglesi, rispetta lo stile per l’abbondante luppolatura fatta però ricorrendo a varietà americane. Colore ambrato, profilo aromatico molto elegante con nette note agrumate e pepate, ottimo bilanciamento al palato per una birra che si lascia bere da sola, ma che regge bene il confronto con zuppe tradizionali a base di cereali o con piatti speziati ed etnici.

DEUS

Produttore: Brasserie Bosteels – Buggenhout (Belgio) Distributore: Interbrau (www.interbrau.it) Birra “di lusso” già dalla presentazione, la Deus ha attirato su di sé molti consensi autorevoli sia per la insolita tecnica di produzione, che prevede uno “stage” finale nella zona dello Champagne con l’applicazione delle tecniche da Metodo Classico del remuage e del dégorgement, sia per l’aroma piacevolmente fruttato, il fine perlage e il gusto secco che le fa meritare l’appellativo di “Brut des Flandres”. Va servita in flûte ed è perfetta come aperitivo, ma probabilmente dà il meglio su piatti a base di crostacei e molluschi, crudità di mare o formaggi delicati.

i brand, ci sono sicuramente delle tipologie che maggiormente gratificano il palato rispetto ad altre. Pensiamo ad esempio alle acidule e rinfrescanti blanche o witbier belghe, dai gradevoli e intensi profumati agrumati e speziati, alle weizen bavaresi, anch’esse molto dissetanti sebbene dotate di un corpo maggiore che le rende delle birre più consistenti, magari adatte a un pranzo leggero e ipocalorico. Perfette, almeno secondo il nostro gusto, sono tutte le birre particolarmente luppolate. Pensiamo in prima battuta alle pils, ceche o tedesche, ma anche alle India Pale Ale e alle loro cugine d’Oltreoceano, le American Pale Ale. Ottime, perché leggere e di facile approccio, le stagionali saison già pensate all’origine per rinfrancare le pause durante i lavori estivi nei campi, e le gueuze, la cui acidità complessa sa “asciugare” il palato come poche altre birre sanno fare. In Italia il microcosmo dei birrifici artigianali offre, come sempre ormai, solo l’imbarazzo della scelta. Ne presentiamo qualcuna seguendo alcune località di vacanza consci che il criterio è del tutto indicativo e che, anche rimanendo a casa, le opzioni non mancano. In Sardegna, ad esempio, cercheremmo di bere la Friska del birrificio Barley (www.barley.it), una blanche speziata con coriandolo e scorza d’arancia amara, oppure la Tuvi Tuvi, ultima nata di straordinaria bevibilità. Chi va in Toscana si adoperi per ricercare La 5 del birrificio L’Olmaia (www.birrificioolmaia.com) dalla buona luppolatura e dal grado alcolico contenuto, sulla costa ligure segnaliamo invece La Bianca di Maltus Faber (www.maltusfaber.com), anomala blanche, perché non speziata, ma di ottima fattura; oppure la N.8 del birrificio Scarampola (www.birrificioscarampola.it) aromatizzata con il chinotto di Savona.

SAISON DUPONT Produttore: Brasserie Dupont Tourpes (Belgio) Distributore: Dibevit Import (www.dibevit.com) Un classico mondiale di una tipologia, la saison, che dopo essere stata molto popolare in Belgio ha patito un po’ la concorrenza delle lager industriali. La Dupont, prodotta già nel lontano 1844, è una sorta di capostipite della “nuova” specie ed è riuscita ad affermarsi anche all’estero, Italia compresa. Alta fermentazione, colore dorato con riflessi arancioni, un aroma di grande freschezza con note floreali e fruttate, in bocca si lascia bere con facilità e disseta. Da provare su primi piatti saporiti, pesce d’acqua dolce, formaggi delicati e ricette a base di asparagi.

Scendendo verso sud, in Campania, ecco la profumata Lemon Ale del birrificio Karma (www.birrakarma.com) specialità con limoni della zona e in Puglia la bitter November Ray del salentino birrificio B94 (www.birrificiob94.it). In Abruzzo, che vi troviate sulla splendida costa o a respirare l’aria fresca del Gran Sasso, è da non perdere l’eleganza complessa della Blanche du Valerie del birrificio Almond ’22 (www.birraalmond.com) con aggiunta di pepe nero del Borneo, ma neppure l’insolita Bianca Piperita, con foglie di menta e miele locale, del birrificio Opperbacco (www.opperbacco.it). Nelle Marche, da qualche tempo a questa parte, si sta distinguendo il birrificio Tenute Collesi (www.tenutecollesi.it), da provare la loro Ego e in Romagna, ma sarebbe più corretto dire in Emilia, va benissimo la Surfing Hop di Toccalmatto (www.birratoccalmatto.it), birrificio che sta facendo incetta di premi un po’ dappertutto (e del quale abbiamo scritto il numero scorso) oppure la Via Emilia, ottima pils nostrana, dell’altrettanto blasonato Birrificio del Ducato (www.birrificiodelducato.it). Concludiamo infine questa specie di “giro d’Italia” per birre in vacanza con il Veneto, la Curmi ovvero la blanche del birrificio 32 Via dei Birrai (www.32viadeibirrai.com), e il Friuli Venezia Giulia, la Canapa del birrificio Zahre Beer (www.zahrebeer.com) di Sauris. Insomma, avendo presente che la panoramica non è per niente esaustiva, è abbastanza chiaro che se l’estate è davvero la stagione della birra, la birra sa offrire all’estate un autentico caleidoscopio di profumi e di sapori che vanno ben oltre il trito luogo comune della semplice “bionda” da bere in spiaggia. Anzi, la “bionda”, la “mora”, la “rossa” o chi volete voi, questa volta portatevela in giro alla scoperta delle infinite chicche birrarie che l’Italia ormai sa offrire. 71


Distillati

È una donna

“il mago” dei ron

LORENA VÁSQUEZ,

GRANDE PERSONAGGIO DEL MONDO DEL RUM,

È RESPONSABILE DI INVECCHIAMENTO, MISCELAZIONE E ASSEMBLAGGIO DEL PRESTIGIOSO

ZACAPA,

UNO DEI MIGLIORI RON

DELLA CATEGORIA SUPER PREMIUM

di Angelo Matteucci Genova presso il Palazzo Ducale, in occasione della mostra artistica fotografica della città ligure vista dall’alto di Olivo Barbieri intitolata A different Altitude, abbiamo avuto il piacere di incontrare per la seconda volta nel giro di due anni un grande personaggio del mondo del rum o meglio ron come si scrive e si pronuncia in Guatemala. Ci riferiamo a Lorena Vásquez, una delle poche donne Master Blender nel mondo, laureata in chimica farmaceutica con specializzazione in Tecnologia degli alimenti e Amministrazione d’impresa. Lorena inizia la sua opera presso Las Industrias Licoreras de Guatemala nel 1986 e dopo aver coperto vari incarichi è da qualche anno responsabile di invecchiamento, miscelazione e assemblaggio dei ron e si occupa specificamente del prestigioso Zacapa, considerato da un crescente numero di consumatori uno dei migliori ron della categoria super premium. Quando parla del “suo” prodotto esprime tutto l’entusiasmo nel poter dividere con gli intercultori alcuni dei segreti di produzione. Zacapa porta il nome di una città del

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Guatemala di circa 200mila abitanti che divenne capoluogo di regione nel 1876. Cento anni più tardi Las Industrias Licoreras vollero inserire sul mercato una nuova tipologia di ron da bersi liscio, che nacque appunto nel 1976 dalla distilleria di Retalhuleu di fronte all’Oceano Pacifico. Nel 2008 Diageo siglò un accordo di distribuzione ed eventuale acquisizione futura di parte delle azioni. In seguito elaborò per il prodotto un concetto innovativo, posizionando il ron Zacapa in un contesto suo che si distingue dagli altri prodotti. Questo indica chiaramente la particolare attenzione di produzione non solo durante la lavorazione per ottenere un distillato eccellente ma soprattutto per affinarlo in condizioni ambientali particolari. Il concetto è l’altitudine, l’avvicinarsi il più possibile agli dei, l’essere in un ambiente più sano dall’aria pura e sottile, più povera di ossigeno tipica delle alture. Lorena Vásquez, con la valida traduzione e commento del noto esperto di distillati Franco Gasparri, ci ha con-


Lorena Vásquez

dotto per mano in un viaggio immaginario alla scoperta del ron Zacapa. La canna da zucchero è coltivata nella pianura di Retalhuleu accanto alla distilleria su terreno vulcanico acido-argilloso, ideale per la coltura di una speciale qualità di canna atta a produrre un succo particolare. L’altitudine è di poco superiore ai 300 metri sul livello del mare. La pianta cresce e matura in sei mesi e durante la crescita il terreno, per la siccità superficiale, crea delle crepe obbligando la pianta a cercare l’acqua nel sottosuolo, ottenendo così una maggiore concentrazione di zucchero nel succo. Vi sono due raccolte l’anno, una a metà novembre e l’altra ad aprile. La canna tagliata e pressata rilascia il suo succo che viene concentrato tramite evaporazione di parte dell’acqua vegetale del succo stesso. Il nuovo liquido, sciropposo, prende il nome di miel virgen. Il momento è particolarmente delicato perché occorre evitare qualsiasi forma di fermentazione spontanea (da lieviti nell’aria, non selezionati) che può essere nociva per il risultato finale. In tempi brevissimi vengono aggiunti al “miele” lieviti prelevati direttamente dal frutto di ananas ottenuti freschi in laboratorio per ogni partita. La lenta fermentazione, per ottenere i migliori aromi, avviene a temperatura controllata di 32/33° per un periodo che varia tra cinque e sette giorni con un risultato finale di circa otto gradi alcolici. L’utilizzo del miel virgen e i lieviti da ananas fanno parte di una metodologia unica per la produzione di Zacapa poiché la maggior parte dei rum mondiali sono prodotti con la melassa, un sottoprodotto dello zucchero mentre i rhum agricole, prodotti nei territori caraibici influenzati dal dominio francese, utilizzano succo di canna non concentrato. Contrariamente agli altri prodotti fermentati (vino, birra, sidro ecc.) il derivato di canna da zucchero non è mai diventato una bevanda a se stante, se si escludono consumi limitati alla popolazione più povera di un drink a base di succo di canna fermentato chiamato boch o boj. Abbiamo visto che la distillazione avviene in pianura sul mare con un clima caldo, in una sola colonna di distillazione, in un unico passaggio ottenendo un distillato dal contenuto alcolico di 88/90° che, diluendolo con acqua pura, è portato alla gradazione di circa 60°. Per contro l’invecchiamento avviene in montagna presso la “Casa en las nubes” o addirittura sopra le nuvole a 2300 metri di altitudine in un clima sensibilmente più freddo che raggiunge a malapena 15°. Qui Lorena Vásquez da il meglio di se stessa. Applica un sistema solera particolare ad hoc con un procedimento dinamico. Per il nuovo distillato si utilizzano barili americani utilizzati in precedenza per la maturazione del bourbon whiskey dove il distillato rimane per almeno un anno ed è soprattutto in que-

sta fase che il ron Zacapa acquisisce nuovi aromi. L’evaporazione dei distillati in Paesi tropicali a temperatura di 30° ed oltre è di solito di circa il 10 per cento l’anno. Nel caso di Zacapa, per contro, essendo invecchiato a una temperatura sensibilmente più bassa, l’evaporazione è più limitata e l’invecchiamento è sensibilmente più lento. Dopo la prima fase avviene una miscelazione di ron vecchi e nuovi e quindi la nuova miscela è inserita in barili di rovere tostati all’interno. Qui vengono esaltati gli aromi di cocco, scorza d’arancia, mandorla e altri. Nella terza fase il distillato finora invecchiato in barili americani passa in barili spagnoli, utilizzati nel Paese d’origine per l’affinamento di vino sherry, dove rimane a lungo arricchendosi di caratteristiche di colore ramato e di aromi e gusto fruttati e speziati. Con questo percorso termina il proprio invecchiamento il più giovane dei ron Zacapa che è imbottigliato con la dicitura 15 anni Solera Reserva. Per le qualità superiori il ron così maturato è ancora miscelato a ron vecchi e passa in barili spagnoli che hanno contenuto il ricco sherry Pedro Ximenez. Lorena decide infine quando il prodotto è pronto per essere imbottigliato come Solera Reserva 23 anni. Per la qualità 23 anni Solera Reserva Etichetta Nera, esclusivamente per il mercato italiano, vi è un ulteriore passaggio in barile di rovere con una nuova tostatura interna. Infine per la qualità più prestigiosa Zacapa XO Solera Gran Reserva Especial vi è un ultimo passaggio in barili francesi che hanno contenuto cognac e di fatto quest’ultimo ron è definito “Il Cognac dei rum”. Lorena agisce, per ognuna delle tre tipologie più giovani, con lotti di 300-350 barili il cui contenuto è assemblato e posto in grandi tini per il periodo di affinamento. Il ron è sempre filtrato a temperatura ambiente e viene diluito con acqua pura di montagna per arrivare alla gradazione voluta. Ad esclusione della qualità XO, prodotta in piccole quantità e commercializzata in bottiglia particolarmente prestigiosa, le altre tipologie di Zacapa sono poste in bottiglie decorate da una fascia di foglie di palma essiccate, intrecciate a mano e denominata “petate” antico simbolo Maya dell’unione tra cielo, terra, sole e luna ovvero la materia e lo spirito con chiaro riferimento all’antico retaggio del popolo guatemalteco.

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Acqua

L’importanza del per conoscere

naso

l’acqua di Davide Oltolini

L’ESAME

OLFATTIVO,

INDISPENSABILE

PER IL VINO,

È PARTICOLARMENTE IMPORTANTE ANCHE PER

CAPIRE SE L’ACQUA PRESENTA DIFETTI O EVENTUALI PROBLEMATICHE

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no degli argomenti maggiormente affascinanti ma, al contempo, problematici per quanto riguarda l’analisi organolettica è l’esame olfattivo. Questa fase della degustazione, che risulta tra le più complesse per quanto riguarda il vino, aumenta ulteriormente il proprio livello di difficoltà se applicata all’acqua. Tale elemento è infatti, proprio per la problematicità di questo esame, da sempre considerato inodore (e insapore). Ovviamente l’acqua non presenta un bagaglio olfattivo composto da decine e decine di differenti sentori ma l’analisi olfattiva, proprio come accade per il nettare di bacco, appare indispensabile per l’individuazione di eventuali difetti e problematiche che può presentare la bevanda. Inoltre, non viene solitamente preso in considerazione il fatto che, tramite l’esame olfattivo, è possibile anche per le acque verificare e apprezzare le cosiddette “caratteristiche positive di tipicità”, nonché la corrispondenza di tipologia. Quest’ultima caratteristica, che in campo enologico si riferisce a diverse peculiarità, tra le quali il tipo di vino e la zona di produzione, è riscontrabile anche nelle acque. Nel liquido risultano, infatti, presenti le tracce minerali dei luoghi che questo ha attraversato durante il proprio cammino ed è notorio che ogni tipologia di terreno o di roccia presenta una propria precisa particolarità olfattiva come, ad esempio, le rocce tufacee che al naso esprimono note cosiddette di “pozzo profondo”. Vi sono poi i sentori peculiari di ogni sorgente, ma durante la degustazione devono essere evidenziati anche gli eventuali odori anomali, nonché quelle note particolarmente sgradevoli, anche se solitamente molto lievi, riferibili a problematiche dovute a un cattivo stato di conservazione, nonché a criticità legate al contenitore utilizzato. A tal proposito può accadere, anche se molto di rado, che si riscontri un sentore tendenzialmente “dolciastro”, a volte associabile all’utilizzo del PET. Il tutto senza dimenticare che, proprio come accade per il vino, il locale scelto per l’assaggio dovrebbe essere privo di odori che possano disturbare l’opera del degustatore e quest’ultimo, per il medesimo motivo, dovrebbe evitare di utilizzare profumo, saponi profumati, nonché ovviamente, astenersi dal fumare.

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SAN BENEDETTO L’Acqua Minerale San Benedetto è un’acqua oligominerale che nasce in Veneto dalle nevi perenni dei ghiacciai alpini della regione. La fonte è situata nel territorio del comune di Scorzè, in provincia di Venezia. Nata nel 1956, la società Acqua Minerale San Benedetto S.p.a. possiede un fatturato consolidato di gruppo di ben 875 milioni di euro, 2.300 dipendenti, una capacità produttiva in Italia di 17 milioni di pezzi al giorno ed è attiva commercialmente in oltre 80 Paesi nei cinque continenti. Per il 2010 Acqua Minerale San Benedetto ha presentato la nuova bottiglia da 1,5L e i nuovi formati da mezzo litro. Esteticamente i nuovi formati si presentano, rispetto alle versioni precedenti, con linee più pulite e una forma più slanciata e più stretta al centro, offrendo così al consumatore una migliore impugnatura grazie alla speciale presa ergonomica che facilita la versata migliorandone la praticità d’uso. Novità anche per l’immagine con la rivisitazione dell’etichetta che sottolinea i concetti di trasparenza e purezza. Il residuo fisso (a 180°C) è di 272 mg/l, mentre il pH ha un valore di 7,42. All’assaggio esprime una buona morbidezza ed evidenzia una struttura di particolare equilibrio. www.sanbenedetto.it Numero Verde 800544555

80 DEGREES NORTH – ICEBERG WATER Proviene dagli iceberg della Groenlandia, che pare siano stati generati tra i 12.000 e i 15.000 anni fa dalla neve e dalla pioggia di quell’epoca remota. Si ottiene dalla “raccolta” di iceberg alla deriva e dalla successiva lavorazione in un moderno impianto di filtrazione. Viene commercializzata in bottiglie in PTR da 1000 e da 500 ml. Al palato risulta morbida, quasi dolce e appare estremamente particolare in retrolfazione. www.distyle.it tel. 0516958605 - 3485403266

LURISIA L’acqua di Lurisia è stata casualmente scoperta all’inizio del Novecento da un minatore nella zona del comune di Roccaforte di Mondovì, in provincia di Cuneo. Il nome deriva dalle “lose”, spesse lastre di pietra che venivano ricavate dalle innumerevoli cave e gallerie presenti nella zona. I primi ad accorgersi delle qualità curative delle acque locali furono gli scalpellini del piccolo centro di Nivolano, che con esse si curavano le ferite procuratesi durante il lavoro. Dalle proprietà medicamentose delle acque trae, infatti, origine la storia dell’omonimo stabilimento termale e la successiva commercializzazione dell’acqua minerale naturale Santa Barbara di Lurisia. L’Istituto idrotermale esegue ben 120 mila prestazioni stagionali con 7mila passaggi giornalieri durante il periodo di alta stagione. Lurisia nasce sul monte Pigna a 1.460 metri sul livello del mare in un ambiente incontaminato. Presenta 35,4 mg/l di residuo fisso e contiene 3,0 mg/l di sodio. Ha un pH di 6,9 e una durezza < 1. Nel 2007 è stata l’acqua minerale “non effervescente” più venduta nei ristoranti di New York City. Al palato appare leggera, ben equilibrata e con una gradevolissima e accattivante nota “rinfrescante”. www.lurisia.it info@lurisia.it tel. 0174583000

INFINITI Infiniti è il brand delle auto di alta gamma del produttore automobilistico nipponico Nissan. Tra i gadget scelti per la propria clientela ve ne è uno estremamente particolare rappresentato da bottigliette di acqua dalla forma accattivante. L’acqua contenuta nelle bottiglie Infiniti proviene dalla fonte La Liese, conosciuta da oltre 3000 anni e situata nel cuore del Parc Naturel des Vosges du Nord, in Francia. Quest’ultimo è iscritto nel programma Men &Biosphere sostenuto dall’UNESCO per preservare il territorio e la purezza leggendaria della sua acqua. La bevanda presenta un buon equilibrio oligo-minerale e la composizione della stessa dichiarata dall’azienda (che riportiamo fedelmente) risulta la seguente: Sodium 1,1 mg/l, Potassium 1,9 mg/l, Calcium 10,5 mg/l, Magnésium4 mg/l, Fer 0,005 mg/l, Bicarbonate 48 mg/l, Sulfates6 mg/l, Chlorures 5 mg/l, Fluor 0,10 mg/l e No3 2,1 mg/l. www.infiniti.it 75


Eventi

La Liguria e i suoi

VinidAmare BILANCIO

PIÙ CHE POSITIVO PER LA RASSEGNA DI

CAMOGLI:

I PRODUTTORI

CHE PUNTANO ALL’ECCELLENZA NEL RISPETTO DELLA TRADIZIONE

di Ludovica Schiaroli

iunta all’edizione numero sette, VinidAmare, la manifestazione dei vini di Liguria, ha mantenuto le aspettative confermandosi “luogo privilegiato dove dare spazio e fare conoscere le eccellenze di questa regione non solo agli addetti ai lavori, ma anche al consumatore di tutti i giorni”. Con queste parole Pier Franco Schiaffino, presidente del comitato organizzatore della rassegna e delegato regionale Ais Liguria per le manifestazioni ed eventi, ha presentato la rassegna VinidAmare 2010 nell’affollata veranda dei bagni Miramare in passeggiata a Camogli. Il successo della manifestazione è nei numeri straordinari e ancora in crescita: ottantaquattro produttori presenti – dalla Riviera di Levante a quella di Ponente – e centinaia fra ristoratori, albergatori, sommelier e semplici amanti del vino che hanno affollato il lungomare di Camogli per scoprire i vini del territorio, approfittando del meraviglioso pomeriggio di sole. Ed è proprio sulla qualità dei vini che i produttori sembrano puntare, perché se in passato si produceva molto vino da tavola, oggi sono sempre di più le aziende impegnate nella ricerca dell’eccellenza nel rispetto della tradizione. Le scelte fatte stanno dando i primi frutti e si regista una piccola crescita nel settore, con un incremento del numero di aziende e addetti ai lavori. Un bilancio assolutamente positivo per Moreno Babbini, delegato uscente Ais di Genova, che descrive la situazione odierna senza però nascondere

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le difficoltà oggettive di un settore, quello vitivinicolo, che in Liguria risente di molti problemi, primo fra tutti la scarsa capacità produttiva, che rende il nostro vino per pochi essendo consumato quasi tutto in loco. Antonello Maietta, vicepresidente nazionale Ais, si sofferma su un dato emblematico: nel 1960 nelle Cinque Terre i vigneti occupavano una superficie di 500 ettari, mentre oggi ne sono rimasti solo 85. Superficialmente quanto detto potrebbe indurre al pessimismo, perciò è bene ricordare che nonostante le particolari caratteristiche del territorio (circa il 90 per cento dell’area ha una pendenza superiore al 30 per cento) in questi ultimi anni molti giovani si sono impegnati nel ripristino di antichi vigneti con ottimi risultati. In generale si riscontra quindi una viticoltura in crescita, poiché supportata da una generazione fortemente motivata che riscopre l’agricoltura come attività prevalente. Pier Franco Schiaffino, che insieme all’Ais e al comune di Camogli da sette anni organizza la manifestazione, ha l’aria soddisfatta mentre si aggira tra gli stand e sembra dimenticare per un attimo la fatica che comporta la preparazione dell’evento che, tiene a precisare, “richiede un impegno notevole e del tutto gratuito da parte degli organizzatori e dei sommelier della sezione genovese”. Promuovere e fare conoscere i vini del territorio è lo scopo del ritrovarsi a Camogli ogni anno, aggiunge Schiaffino. In quest’ottica, il premio, conferito annualmente a chi


Antonello Maietta, vicepresidente nazionale AIS e Pier Franco Schiaffino, presidente del comitato organizzatore VinidAmare

abbia contribuito in modo significativo alla diffusione della cultura dell’enogastronomia, è stato assegnato a Franco Bonanini, presidente del Parco nazionale delle Cinque Terre, “proprio per l’impegno quotidiano nella promozione del territorio che riflette lo spirito della manifestazione”, conclude Schiaffino. Nel ricevere il premio, Bonanini sintetizza in due parole il lavoro che da anni sta portando avanti nelle Cinque Terre: “paesaggio alimentare”, cioè la ricerca di un punto di incontro tra chi produce e chi consuma, per sfruttare al meglio le risorse del territorio, creando ricchezza e incentivando le piccole produzioni locali che sono anche a zero impatto ambientale. Ma soprattutto fare entrare la tipicità dei vini liguri, la varietà dei vitigni autoctoni nella carte dei vini dei ristoratori, che a volte presentano molte lacune sotto quest’aspetto. Lo sforzo da fare è in questa direzione: una comunicazione organica e precisa tra produttore e ristoratore che possa in fine giungere al consumatore, che si spera attento e sensibile. D’altronde Antonello Maietta fa notare come “i viticultori liguri hanno avuto in passato un approccio molto tiepido nei confronti dei vini internazionali, non seguendo la moda e mantenendo i vitigni tradizionali”. Oggi, che il consumatore è sempre più alla ricerca del vitigno autoctono, potrebbe essere un vantaggio da sfruttare. In chiusura, Alex Molinari e Marco Rezzano, rispettivamente neo presidente regionale e delegato Ais della Spezia hanno confermato le aspettative di crescita della manifestazione, non nascondendo la speranza di “bis-

Marino Giordani durante il seminario sull’olio di oliva ligure Da sinistra, Italo Mannucci, sindaco di Camogli, Franco Bonanini, presidente Parco Nazionale delle Cinque Terre, e Pier Franco Schiaffino

sare l’evento durante l’anno” e nel contempo condividendo la preoccupazione di Antonello Maietta circa le adesioni, perché “se continueranno a crescere, di questo passo, il prossimo anno il comune dovrà allungare la passeggiata…”. A latere, ma non troppo, visto che si era sempre in passeggiata, Marino Giordani, presidente uscente Ais Liguria e vicepresidente tecnico dell’Onaoo, Organizzazione nazionale assaggiatori di olio d’oliva, ha tenuto un affollato seminario sull’olio d’oliva ligure. Molti gli appassionati che hanno degustato le tre tipologie di olio ligure presenti, Riviera di Ponente, di Levante e Savona. Per chi volesse approfondire ulteriormente la conoscenza dei vini liguri, il consiglio è di leggersi il bel libro scritto da Antonello Maietta Vini di Liguria. VinidAmare (ed. Corigraf, Genova 2008). In otto capitoli, tante quante sono le Doc liguri con un’ultima parte sulle Igt, il numero due dell’Ais racconta il vino legandolo alla storia del territorio e delle sue genti. Si scopre così che Napoleone Bonaparte, ospite della marchesa Doria, assaggiò il Rossese e “lo elesse a prodotto di conforto personale” nel corso della campagna d’Italia, che Stendhal menzionò nel libro sul suo viaggio in Italia il Bianco della Valpolcevera, ma soprattutto che fu un ancora sconosciuto Luigi Veronelli, allora cronista del Giorno, a parlare della Liguria (i Colli di Luni) come zona di produzione di vini di qualità. 77


L’intervista

Quando bere significa

volersi bene di Paolo Giarrusso

IL

BARMAN PROFESSIONISTA

FULVIO PICCININO

CI PARLA DEL SUO PROGETTO

CHE PROMUOVE LA CULTURA DEL BERE RESPONSABILE E CONSAPEVOLE

un barman professionista di lungo corso. Docente esterno presso la Scuola Alberghiera Ermenegildo Zegna di Cavaglià e Trivero, insegna “Bar & Sala Bar” ed è il formatore responsabile del Progetto “Laboratorio Bar” della Scuola Superiore Salesiana di Torino, in Piazza Rebaudengo. Qui Fulvio Piccinino ha avviato un progetto dal titolo Saperebere di cui va giustamente fiero ed orgoglioso. Un’attività di formazione e sensibilizzazione al “bere consapevole” che coinvolge anche ragazzi disagiati.

È

Fulvio Piccinino, il progetto Saperebere da quali motivazioni è nato e quali finalità si propone? «Il progetto Saperebere parte dal convincimento che il bere responsabile nasce dalla conoscenza della storia e dei criteri per individuare i prodotti di qualità. Il processo virtuoso avvenuto con il consumo del vino, che ha visto progressivamente aumentare il consumo di qualità, può essere possibile anche per i distillati e il bere miscelato a patto che il consumatore conosca prodotti e cocktail, smettendo di accettare ignobili intrugli fatti con alcolici di dubbia provenienza. Il grande barman Angelo Zola diceva che “bere miscelato è bere moderato”, perchè i drink di qualità devono tornare a essere “prodotti da meditazione” e

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non da tracannare in piedi al banco bar. Un altro concetto che spesso ripeto ai ragazzi è che prima di inventare cocktail nuovi bisogna imparare a fare bene quelli che già ci sono. Solo rileggendo la storia e comprendendo il passato della miscelazione si creano le basi per il futuro, perchè tutto arriva dal periodo storico in cui i barman avevano a disposizione pochi aromatizzanti e prodotti di consumo come zucchero e limone. Alcuni anni fa mi fu proposto di insegnare all'interno delle scuole alberghiere nell’ambito della terza area, quella dedicata a interventi esterni di professionisti del settore bar, e mi resi immediatamente conto che se mi fossi proposto con delle lezioni nozionistiche su cocktail e distillati avrei perso immediatamente l’ attenzione dei ragazzi. Creai così delle presentazioni in Power Point dove, oltre alla storia della distillazione, ogni distillato aveva enunciata la sua origine, le curiosità a esso legate e aneddoti relativi alla letteratura o a personaggi famosi. Se parlavo di vodka , mi agganciavo a Napoleone, alla rivoluzione di ottobre, per arrivare a James Bond e al Vesper Martini che prevede la presenza del distillato di origine polacca. Se parlavo di gin, dicevo dell'origine

farmaceutica del distillato, passando dalla guerra dei trent'anni, la colonizzazione e la compagnia delle Indie, fino ad Hemingway con “Al di là del fiume tra gli alberi” per agganciarmi alla prima Guerra Mondiale e magari ripartire dalla Grappa.... Il progetto ha visto il suo coronamento quest’anno, poiché tramite l'Istituto Salesiano di Torino mi è stato affidato un corso di “sala e bar” per ragazzi con disagio giovanile, fuori dal percorso scolastico, affidati ai servizi sociali. Il corso bar tenuto secondo i criteri del progetto Saperebere ha ottenuto ottimi risultati, portando a fine corso un numero di ragazzi superiore alle aspettative e consentendo ad alcuni partecipanti di trovare lavoro presso i bar dove si erano recati per lo stage, dimostrando voglia ed entusiasmo per questa nuova possibilità che era stata data loro». C'è una netta contrapposizione, lei afferma, con il binge drinking cioè il bere per bere. Davvero quest'ultimo fenomeno è di moda fra gli adolescenti di oggi? E a suo avviso, perché? «Ho lavorato in Inghilterra dove, nonostante ci sia una grossa cultura del bere miscelato e alcuni dei bar e dei barman siano tra i più famosi del mondo, la gioventù si distrugge in nome del divertimento che di fatto


Fulvio Piccinino durante una lezione

è la cancellazione totale della propria persona. Il problema, quindi, è legato a una forma mentale del giovane che non vede alternative se non bere fino al completo stordimento. Lavorando, poi, nei bar del Nord Italia, ho visto come questo presunto stile di bere abbia preso piede anche qui da noi, ma in maniera sicuramente meno vistosa che nel mondo anglosassone. Conosco, tra l’altro, molti colleghi che rifiutano di preparare intrugli proposti dagli stessi clienti o cocktail “famosi” per un certo tipo di movida come “L'angelo azzurro” o il “Kamikaze” e invitano a cambiare richiesta. Il problema è che manca la cultura del bere, non c'è conoscenza dei prodotti e del bere miscelato, bisognerebbe creare una nuova classe di consumatori consapevoli che sia in grado di conoscere l'esatta preparazione dei drink e i criteri di qualità dei prodotti utilizzati. Da parte mia, sto cercando, con l’arrivo del prossimo anno, di mettere in atto dei corsi bar con il marchio Saperebere cha abbiano questo tipo di filosofia: la creazione della cultura del bere responsabile e consapevole». Uno degli scopi è quello del recupero della grande tradizione italiana della liquoristica. Questa è andata completamente persa? E

I ragazzi del progetto

se sì, per quali motivi? «Questo è un discorso che mi sta particolarmente a cuore. Curando il sito internet www.saperebere.com, ho riscoperto molti prodotti dimenticati della nostra liquoristica che ha una tradizione millenaria e un successo incredibile all’estero. Pensiamo al Frangelico, prodotto, con le nocciole del Piemonte, a Canale, da una grossa multinazionale e protagonista di decine di cocktail nei bar d’oltremanica; al Galliano, vendutissimo in Svezia e Inghilterra, al Tuaca, liquore livornese, a base di vaniglia, la cui ricetta si fa risalire al Lorenzo il Magnifico, praticamente sconosciuto in Italia, ma leader di mercato nei bar americani della west coast. Ma potrei citare anche L'Americano Cocchi, ottimo vino amaricato, eccellente aperitivo, prodotto a Cocconato d'Asti dall'omonima azienda spumantistica, che riceve continui riconoscimenti all'estero, ultimo un articolo sul New York Times, ma che è praticamente sconosciuto in Italia. Infine vorrei citare il Toccasana Negro, e in particolare la sua riserva del fondatore, eccellente amaro invecchiato, in grado di gareggiare per finezza e struttura con i grandi amari francesi come Chartreuse e Benedectine, ma praticamente sconosciuto ai più. Potrei continuare citando i liquori

cantati da d’Annunzio come il Sangue Morlacco della Luxardo e l’Aurum della Ilva, rispettivamente liquori alla marasca e all'arancio, di eccellente fattura e piacevolezza, praticamente sconosciuti alla maggioranza dei barman, ottimi aromatizzanti per la realizzazione di cocktail vintage. Il motivo della graduale perdita della tradizione è da individuare nel impoverimento della professione del barman, diventato un semplice porgitore, per comodità, mancanza di preparazione e per la pubblicità martellante di alcuni prodotti che indirizzano il consumatore in consumi di massa e standardizzati. Dobbiamo tornare ad essere propositivi dietro al banco, “perdere” del tempo con il cliente, farlo crescere a livello di consumo qualitativo. Un mio sogno rimane la realizzazione di una gara fra barman, in cui vengano nuovamente utilizzati questi prodotti dimenticati, riattualizzandoli magari con l'abbinamento alle spezie. Ritengo infatti che, spesso, nelle gare tra barman ci sia una banalizzazione del gusto, alla ricerca del drink solo piacevole, mentre ci sia poca ricerca e azzardo nell’abbinamento, cosa possibile con liquori mono erbe e liquori amari di produzione artigianale locale, proposti da piccole realtà come la Origine di Cengio».

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Analisi sensoriale delle uve

L’esame di maturità

uva

dell’

di Riccardo Castaldi

UN

METODO MESSO A

PUNTO IN

FRANCIA

FORNISCE UNA VERA E PROPRIA

“PAGELLA”

CHE CONSENTE DI

SEGUIRE L’EVOLUZIONE DELLE CARATTERISTICHE

DELL’UVA E DI

STABILIRE IL MOMENTO PIÙ OPPORTUNO PER LA VENDEMMIA

l processo di maturazione comporta una serie di importanti trasformazioni chimico–fisiche che interessano colorazione, consistenza e composizione della bacca. L’inizio della maturazione è sancito dall’invaiatura, che si manifesta visivamente con il progressivo cambiamento di colore degli acini, che dal verde virano gradualmente verso la colorazione tipica del vitigno, a seguito della scomparsa della clorofilla e alla comparsa dei pigmenti specifici a seconda che si tratti di uve a bacca bianca o a bacca nera. Dall’invaiatura in poi si assiste anche all’aumento delle dimensioni degli acini e al cambiamento della loro consistenza, che diviene via via più morbida e plastica. Dal punto di vista della composizione chimica si considera un progressivo accumulo di zuccheri e di polifenoli, una diminuzione dell’acidità, un aumento del pH e un accumulo di sostanze aromatiche e dei loro precursori, determinante per l’espressione organolettica del vino.

I

IL METODO ICV Per valutare il livello di maturazione delle uve e la loro qualità enologica ci si affida usualmente alle misurazioni analitiche di zuccheri (°Brix), acidità totale e pH; per scendere più nel dettaglio si procede spesso anche alla determinazione di acido tartarico e acido malico. Nel caso delle uve a bacca nera, a queste analisi si aggiungono quelle relative alla maturità fenolica ovvero indice di fenoli, antociani potenziali, antociani estraibili e tannini dei vinaccioli. Tramite questi parametri vengono 80

realizzate le curve di maturazione, un importante strumento che consente di seguire l’evoluzione delle caratteristiche dell’uva e di stabilire di conseguenza il momento più opportuno per la vendemmia, che come noto riveste un’importanza fondamentale nel determinare il profilo qualitativo del vino che sarà ottenuto. L’Institut Coopératif du Vin (Icv) di Montepellier ha messo a punto una metodologia di analisi sensoriale dell’uva, complementare alle analisi

Uva Trebbiano


chimico–fisiche eseguite in laboratorio, che consente di valutarne la qualità enologica e di trarre preziose indicazioni per guidare le scelte in vigneto, in primo luogo l’epoca di vendemmia; questo tipo di analisi si rivela inoltre strategica anche per scegliere le tecnologie di vinificazione più appropriate, in modo da esaltare le caratteristiche positive dell’uva e prevenire il rischio di difetti. Con la metodica Icv vengono valutate, con un’unica analisi, le caratteristiche meccaniche degli acini,

Uva Sangiovese

l’equilibrio acidico, la potenzialità aromatica e la quantità, la qualità e la localizzazione dei polifenoli, evidenziando eventuali disequilibri esistenti tra le varie componenti dell’acino. Il grande pregio della metodica Icv è di aver standardizzato e trasformato in uno strumento oggettivo quello che si è fatto fin dagli albori della viticoltura in maniera più empirica, ovvero l’assaggio delle uve. In questo modo tutti gli operatori della filiera hanno modo di utilizzare il medesimo linguaggio quando si esprimono relativamente alle caratteristiche dell’uva; inoltre è possibile confrontare tra di loro i risultati di annate differenti, dal momento che ciascuna valutazione viene registrata su una scheda di degustazione, avvalendosi eventualmente dell’ausilio delle tavole sinottiche di caratterizzazione dei descrittori. L’analisi sensoriale delle uve eseguita con la metodica Icv ha un costo molto contenuto e soprattutto ha il vantaggio di essere semplice ed estremamente rapida, tanto da consentire di prendere decisioni in tempo reale, direttamente nel vigneto, aspetto di importanza non trascurabile nel concitato e delicato periodo che precede la vendemmia, quando pochi giorni possono avere un’importanza determinante sugli esiti qualitativi. La tecnica di analisi sensoriale delle uve secondo il metodo Icv è acquisibile tramite corsi di durata limitata, rivolti ad agronomi ed enologi ma fruibili agevolmente anche da sommelier e da consumatori appassionati, interessati a comprendere meglio tutto ciò che sta a monte del

bicchiere di vino. I corsi, al di fuori del bacino mediterraneo francese, area di competenza diretta dell’Icv, sono impartiti da Vinidea srl di Ponte dell’Olio (Pc), società di servizi specializzata nella formazione e aggiornamento professionale per la filiera vitivinicola, in seguito a un accordo di esclusiva mondiale. IL CAMPIONAMENTO Per bene comprendere la reale situazione di un vigneto, è fondamentale prelevare un campione di acini rappresentativo, tenendo in considerazione di come il grado di maturità all’interno del grappolo subisca variazioni significative passando dal lato esposto al sole a quello in ombra nonché dalla porzione centrale alla punta e alle ali, che in genere sono più in ritardo. In genere si percorrono due interfilari, uno in andata e uno in ritorno, prelevando alternativamente sul lato destro e sul lato sinistro di ciascuno di essi. È importante che gli acini siano prelevati con l’aiuto di forbici, in modo tale da evitare il distacco del pedicello. I DESCRITTORI L’analisi prende in considerazione le tre porzioni principali dell’acino, ovvero polpa, buccia e vinaccioli, utilizzando 19 descrittori, a ciascuno dei quali viene attribuito un punteggio da 1 a 4. La procedura di degustazione viene applicata a tre acini scelti a caso nell’ambito del campione prelevato in campo e prevede che si parta dall’esame visivo e tattile. Comprimendo l’acino tra le dita viene valutata la consistenza meccanica, che diminuisce col procedere del processo di 81


Analisi sensoriale delle uve

maturazione; si prende poi in esame il colore della buccia, che passa dal verde al giallo ambrato nelle uve a bacca bianca e dal rosa pallido al nero in quelle a bacca nera, per le quali si deve focalizzare l’attenzione nel lato del pedicello. Staccando il pedicello dall’acino, viene valutata l’attitudine alla sgranatura, che aumenta col procedere della maturazione. Nell’uva matura il pennello, ovvero ciò che resta attaccato al pedicello dopo il suo distacco dalla bacca, si stacca con facilità, presenta poca polpa aderente e assume una colorazione rossa nelle uve a

bacca nera; la presenza di un pennello con polpa gelatinosa è indice di stress idrico subito dalla pianta. Si passa quindi alla degustazione della polpa, che prevede che sia estratta schiacciando gli acini tra lingua e palato, separando le bucce e i vinaccioli che sono sputati e conservati; si continua schiacciando la polpa al fine di estrarre il succo; considerando la facilità con cui la polpa si è separata dalla buccia, la presenza di polpa aderente ai vinaccioli e un’eventuale liberazione di succo a seguito di una successiva masticazione, viene valutata l’aderenza della polpa o attitudine alla separazione, che aumenta con l’avanzare della maturazione. La presenza di un grumo gelatinoso attorno ai vinaccioli è indice di stress idrico subito dalla pianta. Sul succo estrat-

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to vengono valutate la dolcezza, l’acidità, gli aromi erbacei e gli aromi fruttati. In talune varietà, col procedere della maturazione sparisce l’erbaceo e compare il fruttato, mentre in altre varietà queste due sensazioni aromatiche si intrecciano. La degustazione della buccia prevede che, dopo aver deglutito o sputato la polpa, si rimettano in bocca le bucce e si proceda alla loro masticazione, effettuando un numero di movimenti mascellari compreso tra 10 e 15, che deve essere sempre il medesimo per ciascun degustatore; dopo aver masticato viene valutata l’attitudine alla triturazione della buccia, che è maggiore nelle uve mature. Passando poi la lingua sul palato e focalizzando l’attenzione sull’attrito che incontra, viene valutata l’intensità tannica, dopodiché viene valutata l’acidità. Concentrandosi su labbra, gengive e palato e considerando le sensazioni di bruciatura e la difficoltà a salivare, viene valutata l’astringenza della buccia. L’analisi della poltiglia porta infine alla valutazione degli aromi erbacei e degli aromi fruttati, che concludono l’esame della buccia. L’analisi sensoriale si conclude con l’esame visivo e gustativo dei vinaccioli, la cui importanza non deve essere sottovalutata. Innanzi tutto viene valutato il loro colore, che può variare dal bianco e giallo–verde, fino al marrone scuro, che caratterizza i vinaccioli delle uve mature; la metodologia prevede che i vinaccioli non siano degustati qualora siano verdi. Mordendo i vinaccioli tra gli incisivi, viene valutata la loro durezza; il vinacciolo immaturo è tendenzialmente gommoso e non si rompe, mentre presenta un grado di maturazione ottimale quando diventa fragile e croccante. La degustazione dei vinaccioli prosegue masticandoli un numero fisso di volte, compreso tra 10 e 15, al fine di poter valutarne l’astringenza, gli aromi e l’intensità tannica. L’astringenza viene avvertita sulle labbra e sul palato mentre gli aromi, che possono essere da verdi, erbacei fino a torrefatti, scaturiscono dall’analisi della poltiglia. Passando la lingua sul palato durante la masticazione, viene invece analizzata l’intensità tannica.


Musei

Guinness:

più di un record, un mito di Letizia Magnani

VIAGGIO

STOREHOUSE

NELLA

DOVE SI

RACCONTA LA STORIA DELLA BIRRA NERA

D’IRLANDA

Arthur Guinness, il fondatore

a Guinness Storehouse è uno dei musei del gusto più interessanti del mondo. Lo è per diverse ragioni. Intanto perché rappresenta un prodotto e una terra. La birra nera, Dublino, l’Irlanda.

L

LA STORIA La sua storia parte da lontano. Siamo a metà del Settecento quando Arthur Guinness, figlio di un amministratore terriero, lascia il suo primo birrificio al fratello, per trasferirsi a Dublino. Sono anni difficili. La birra inglese costa meno di quella nazionale, perché sottoposta a minori tassazioni, eppure Arthur decide di puntare in alto e il 31 dicembre del 1759 firma il contratto d’affitto di un piccolo birrificio in disuso e male attrezzato situato a St James’s Gate. Il documento prevedeva una durata di 9000 anni al prezzo di 45 sterli-

ne l’anno. I locali erano situati su una superficie di quattro acri e dotati di paiolo di rame, vasca di fermentazione, macina, due contenitori per il malto, stalla per dodici cavalli e fienile per 200 tonnellate di fieno. Il primo dicembre, Arthur firma il contratto in veste di nuovo birraio e lo deposita presso il Minute Book of the Dublin Brewers and Maltsters Corporation (il Registro dei mastri birrai e produttori di malto di Dublino). Nel giro di otto anni diviene Mastro della Corporazione. Inizialmente il suo birrificio produce la birra classica, bionda, poi, sulla scorta di un nuovo prodotto che arriva da Londra, scuro, Arthur decide di puntare solo sulla birra nera, la Guinness, che nel giro di un paio di stagioni conquista non solo l’Irlanda. Ogni giorno nel mondo si bevono dieci milioni di bicchieri di Guinness. 83


Musei

LA BIRRA NERA CONQUISTA IL MONDO Acqua, orzo trasformato in malto e tostato, luppolo e lievito sono i quattro ingredienti della Guinness, che oggi si produce in 49 Paesi ed è venduta in oltre 150. La Guinness possiede 5 birrifici in 5 Paesi: Irlanda (Dublino), Malesia e tre in Africa: Nigeria, Ghana e Camerun. È proprio l’Africa, seguita dagli Stati Uniti d’America e preceduta dalla Gran Bretagna, il continente che beve più birra nera. Anche se non è il nero il vero colore della Guinness, bensì il rosso rubino intenso, dato dall’orzo tostato. È sempre l’orzo, con l’acqua, a conferire alla Guinness il sapore che da metà Settecento in poi conquista tutti, lavoratori, uomini, donne e giovani. Il colore, il sapore e il marchio, naturalmente. L’audacia del marchio infatti, usato per la prima volta in maniera moderna e spregiudicata fa della Guinness veramente una birra da primato. Ma andiamo per ordine. Torniamo al 1770, Arthur Guinness continua la supervisione degli affari del birrificio assistito da tre dei suoi figli. Arthur è sposato con un’ereditiera, Olivia Whitmore, da cui ha avuto 21 figli, dieci dei quali sopravvivono all’infanzia. Oltre alla casa di Dublino, Arthur acquista una casa di campagna a Beaumont, vicino alla capitale, e inizia a occuparsi della vita pubblica diventando Governatore del Meath Hospital e Segretario dei Friendly Brothers di San Patrizio. Dona anche 250 ghinee alle Chapel Schools annesse alla Cattedrale di San Patrizio. Viene inoltre nominato birraio del Castello di Dublino, la sede del governo irlandese. Alla sua morte, nel 1803, Arthur lascia in eredità alla famiglia un notevole patrimonio personale di circa 23 mila sterline e un’azienda in piena produzione alle successive generazioni che hanno seguito l’esempio imprenditoriale del fondatore. A seguire le suo orme sono infatti: Arthur Guinness II (17681855), Benjamin Lee Guinness (17981868), Edward Cecil Guinness (18471927), Arthur Edward Guinness (1840-1915), Rupert Edward Guinness (1874-1967). 84

L'azienda nel 1955

LA STOREHOUSE È questa la storia che si scopre entrando nella magnifica casa della birra nera di Dublino. Si tratta di un edificio dei primi Novecento a forma di grande pinta. Sarebbero necessarie 14,3 milioni di pinte di birra per riempire il gigantesco atrio in vetro che accoglie i visitatori. Alta 38 metri, la Storehouse ha sul tetto il Gravity Bar più famoso e più alto d’Irlanda, dove si beve rigorosamente Guinness. La Storehouse è il primo edificio a essere stato costruito nelle Isole Britanniche in struttura d’acciaio secondo lo stile di Chicago (il secondo favoloso si trova a Londra ed è l’Hotel Ritz). I muri fungono da barriera agli elementi con travi d’acciaio che formano l’intelaiatura di base dell’edificio stesso. È qui che per tutto il breve Novecento veniva fermentata la birra. Già negli anni Cinquanta i tini di legno vengono sostituiti con quelli di alluminio e quindi negli anni Settanta con quelli di acciaio. Passione e tecnologia sono alla base della Storehouse, che già dalle fondamenta tiene insieme questi due semi. È

per questo che una volta diventata troppo piccola per la produzione, la casa diviene invece perfetta per accogliere i visitatori. Così dal Duemila si trasforma nel museo della Guinness, dove si possono scoprire segreti e curiosità sul mondo della birra. ALL’INTERNO DEL MUSEO Al piano terra si scoprono i primi quattro ingredienti fondamentali per la riuscita della birra, che come abbiamo detto, sono l’acqua, l’orzo, il luppolo e il lievito. Ma perché la birra diventi mitica serve un quinto elemento, per questo nel corso della visita si incontra il fondatore della Guinness, Arthur. Sarà proprio il Mastro Birraio più importante del mondo ad accompagnare i visitatori alla scoperta del processo di produzione della birra, che si può scoprire al primo piano, dove si trovano anche il laboratorio di degustazione, la storia dei trasporti e quella della conservazione, affidata alla maestria dei costruttori di barili. Ma è alla comunicazione e alla pubblicità che la Guinness deve molto del suo successo. Per questo il secondo piano dell’edificio è forse il più interessante. Cartelloni pubblicitari, spot cinematografici e televisivi, gadget, testimonial, oggetti: c’è tutto. Il successo del marchio lo si deve


coccodrillo, il canguro, gli struzzi, la giraffa e i pinguini. Un successo dietro l’altro che colpiva l’immaginazione e faceva sognare, divertire ed emozionare uomini, donne, giovani, lavoratori. Geniale e semplice, immediata, la pubblicità ha reso grande un prodotto unico, come la Guinness. Al piano superiore si può ripercorrere la storia dell’edificio, e al quinto piano, l’ultimo prima di arrivare al Gravity Bar, si può infine mettere alla prova la propria abilità nello spillare la birra. Un gioco, ma anche un’avventura.

all’intuizione di legare l’identità della birra proprio al territorio. È la prima volta che avviene. Per questo sul marchio ci sono tre elementi distintivi e identitari: la firma del fondatore, l’Arpa, che è il simbolo dell’Irlanda (non a caso poi il governo ha deciso di inciderla anche sulle monete) e il marchio Guinness, nato, come tutti i marchi, per salvaguardare i consumatori dalle imitazioni, dai “tagli” e dagli “allungamenti” che i gestori di pub potevano fare per abbassare il costo del prodotto. Per la prima volta a metà Ottocento viene proposto di vendere la birra sfusa, cioè spillata nei pub, nelle pinte marchiate Guinness. È un successo. Ma è anche la certezza per il consumatore di bere

proprio il prodotto desiderato. Nasce un marchio famoso e forte, ma anche la garanzia migliore per il consumatore. Il resto è storia. Anzi, è mito. Ed è legato all’intuizione geniale di John Gilroy (1898-1985), uno degli artisti più versatili, dotati e originali di questo secolo. Dal 1930 al 1960 è lui a curare le campagne pubblicitarie della Guinness, “le prime e le migliori”, come è tipico per gli irlandesi. Si tratta di vere e proprie pietre miliari per il mondo della pubblicità e della comunicazione. Gilroy usa per la prima volta come testimonial gli animali dello zoo. Il leone marino è il primo protagonista della saga. A lui succedono i tucani, i pellicani, le testuggini, l’orso, il

IL LIBRO DEI GUINNESS E, nel segno dell’avventura, nasce anche a metà degli anni Cinquanta un altro mito legato al mondo Guinness, che è di per sé un marchio, una storia, un nome “da Guinness”, appunto. È il “Libro del Guinness dei primati”, che viene pubblicato per la prima volta nel 1955, ed è il libro coperto da copyright più venduto di tutti i tempi. L’idea venne a Sir Hugh Beaver, amministratore delegato della Guinness negli anni Cinquanta. Il 10 novembre 1951, Sir Hugh stava partecipando a una battuta di caccia nella Contea di Wexford quando un piviere dorato gli volò sopra la testa. Puntò e mancò la mira. La sera si iniziò una discussione tra i partecipanti su quale fosse la specie di selvaggina alata a volare più velocemente. Questa conversazione diede a Sir Hugh l’idea di compilare un libro di “eventi” che fungesse da riferimento ufficiale in grado di dirimere qualsiasi discussione notturna in atto negli 81.400 pub britannici e irlandesi. Sir Hugh parlò di questa sua idea a Norris e Ross McWhirter che gestivano un’agenzia di ricerche a Londra. Si decise quindi la pubblicazione del primo “Libro del Guinness dei Primati” nell’agosto 1955, dove però manca la menzione alla specie di selvaggina alata più veloce nel volo. Solo nella seconda edizione, l’anno successivo, viene inserita questa informazione, che come molte altre intuizioni legate al mondo Guinness, ha dato origine a un mito. Che piaccia o meno come gusto, la storia della birra nera, del suo fondatore, del marchio, è uno degli esempi più brillanti e unici di come un prodotto della terra, la birra, possa diventare molto di più. Un marchio, un mito, un Guinness. La Guinness. Info: www.guinness-storehouse.com

85


Grandi chef

Buon compleanno,

Gualtiero di Maurizio Ferrari

AIS

E

ALMA,

LA SCUOLA INTERNAZIONALE

DI CUCINA ITALIANA, HANNO ORGANIZZATO

UNA SERIE DI EVENTI,

CONVEGNI E DIMOSTRAZIONI PER CELEBRARE

GLI OTTANT’ANNI DI

86

MARCHESI

etti una sera con il cuoco che ha fatto la storia della cucina italiana nella seconda metà del Novecento e scoprire che si tratta di una cena pensata e realizzata seguendo idee e creatività di Gualtiero Marchesi. Voluta per festeggiare l’ottantesimo compleanno di un maestro che ha insegnato l’arte e la scienza della cucina a generazioni di cuochi, ma che si è presto trasformata da momento di convivialità in manifesto della filosofia gastronomica di Marchesi. L’evento si è svolto a Colorno, in provincia di Parma, lo scorso 14 maggio ed è stato il momento finale di Alma Viva 2010. Questa manifestazione organizzata da Alma, la Scuola internazionale di cucina italiana, è stata istituita per celebrare la gastronomia e la cucina del nostro Paese attraverso convegni, dimostrazioni ed eventi culturali e gastronomici, che hanno coinvolto cuochi, docenti, allievi, giornalisti, istituzioni e imprese. La missione di Alma, infatti, è quella di formare nuovi cuochi, pasticcieri e sommelier, trasformando la loro passione in una professione. Determinante per questo il coinvolgimento di grandi maestri della cucina italiana, come Gualtiero Marchesi, rettore di Alma. L’edizione 2010 di Alma Viva è stata dedicata alla figura del maestro Marchesi che quest’anno compie ottant’anni. Per festeggiarne il compleanno sono stati organizzati diversi eventi, culminati nella giornata del 14 maggio con una Lectio Magistralis del maestro dedicata a “La costruzione del menu”, un seminario su “La formazione nel mondo del vino”, organizzato con la collaborazione di Ais, e una cena di gala con degustazione “7 grandi vini per 7 grandi piatti del Maestro”. Tutto questo per celebrare l’arte, le idee e la filosofia gastronomica di Gualtiero Marchesi. Il momento culminante della giornata è stata la cena di gala, per cui Alma ha voluto proporre sette piatti che hanno reso famoso Marchesi, sette piatti di grande interesse e caratterizzati da una propria personalità. Per questi sono stati scelti e abbinati sette grandi vini per esaltarli, ma non sono stati serviti assieme alla portata, bensì dopo che le posate sono state appoggiate sul tavolo. Questo perché la serata è stata realizzata seguendo la filosofia professionale di Marchesi, applicando alla lettera le sue idee. Secondo il maestro un grande piatto va assaggiato e degustato da solo, così anche una grande vino deve essere degustato da solo, senza la presenza di cibo. Sul tavolo, quindi, si sono alternati i diversi momenti legati alle due degustazioni. Prima il piatto e solo dopo che è stato portato via arrivava il vino, a sua volta portato via prima del piatto successivo. Sempre presente sul tavolo solo l’acqua. Un’alternanza che ha permesso di trasformare la serata in un momento di studio e approfondimento, più che una semplice cena di gala è diventata una degustazione a tutto tondo: grandi piatti e grandi vini. Un momento di convivialità che ben si sposa con la “mission” di Alma di promuovere la gastronomia italiana nel

M


RITORNA IL MASTER SOMMELIER ALMA-AIS Conoscere per far conoscere. Il prossimo 4 ottobre prenderà il via, nella sede di Alma a Colorno, la seconda edizione del Master Sommelier Alma-Ais, IV livello Ais, destinato a sommelier, ristoratori, esperti od operatori in possesso del diploma di terzo livello Ais o di una formazione equivalente. L’obiettivo del master, come sottolineato dal direttore Luigi Bortolotti, è quello di fornire ai partecipanti i migliori strumenti per comunicare il vino e il suo mondo. Spazio dunque a un approfondimento molto spinto sulla degustazione, ma con un orientamento specifico al marketing e alla comunicazione. Gli studenti apprenderanno come avvicinarsi al cliente in sala per spiegare le qualità dei vini e i giusti abbinamenti, come gestire in modo corretto una cantina, come maneggiare in modo proficuo i moderni strumenti della comunicazione e del marketing. Impareranno quindi a gestire tutto il processo che va dall’analisi del vino alla gestione e promozione di quest’ultimo in diversi ambiti. Nelle 500 ore di formazione una quota rilevante sarà dedicata a visite didattiche alla scoperta di territori d’eccellenza, con degustazioni presso cantine selezionate di vini caratteristici. Prima dell’esame finale un altro importante momento formativo sarà rappresentato da uno stage. I partecipanti al Master andranno in Italia o all’estero in strutture legate al mondo della sommellerie o della comunicazione dove potranno sin da subito applicare ciò che hanno appreso durante le lezioni con i docenti. Docenti che non lasceranno mai “soli” i partecipanti, ma li seguiranno anche a distanza grazie all’uso di Internet. Attraverso un apposito sito sarà possibile agli studenti accedere a materiale e attività didattiche on line, rimanendo così in costante contatto con il personale docente. Dopo l’esame finale i promossi riceveranno il diploma Ais di IV livello. Per maggiori informazioni sulla seconda edizione è possibile contattare la segretaria del master Giulia Baccarelli allo 0521.525221.

mondo sostenendo l’impiego di materie prime, ingredienti e vini che ne caratterizzano l’eccellenza qualitativa. Il menu della serata prevedeva uovo al caviale; insalata di capesante allo zenzero; riso oro e zafferano; sfalde di merluzzo, asparagi e tartufo nero; filetto di vitello alla Rossini (secondo Gualtiero Marchesi); gelato al parmigiano reggiano e prosciutto di Parma croccante; zuppa di piccione alle verze, tre gusti per un dolce. A questi piatti sono stati abbinati i seguenti vini: Franciacorta Gran Cuvée Brut 2005 Az. Vinicola Bellavista, Contea di Scalfani Bianco Nozze d’Oro 2008 Azienda Agricola Tasca d’Almerita, Alto Adige Pinot bianco 2007 di Giorgio Grai vini, Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Villa Bucci riserva 2006 Azienda Agricola Bucci, Langhe Chardonnay Gaia&Rey 2004 Cantina Gaja, Colli Piacentini Malvasia Donna Luigia 2009 Azienda Agricola Torre Fornello, Dindarello 2009 Azienda Agricola Maculan. Gli altri due eventi organizzati in occasione di Alma Viva 2010 si sono svolti gli scorsi 17 aprile e 8/9/10 maggio. Un giro al Castello sforzesco di Milano per una visita guidata alla mostra “Storiae d’Italia – Gualtiero Marchesi e la Grande Cucina Italiana” ha aperto l’appuntamento del 17 aprile. La giornata è poi proseguita con due tavole rotonde dedicate a formazione, professionalità e prospettive occupazionali nel settore dell’enogastronomia. Il secondo appuntamento ha visto coinvolte alcune delle più prestigiose scuole internazionali di cucina che si sono confrontate in seminari e workshop tra Milano e la sede di Alma a Colorno dedicati al futuro della gastronomia. Durante la tappa milanese i partecipanti hanno potuto effettuare una visita guidata della mostra dedicata a Marchesi al Castello Sforzesco, che è proseguita sino al 20 giugno. Una occasione per conoscere la storia dell’uomo Marchesi e del cuoco che sono state intrecciate in un “racconto” che si è snodato intorno al numero sette, amato dal maestro. La mostra ha ripercorso la vita e le opere di Marchesi, calandole all’interno di cornici musicali e artistiche che hanno guidato i visitatori alla scoperta dei principi del fare cucina del maestro: semplicità, essenzialità, verità, materia ed eleganza. 87


Ecologia e qualità

Arriva la vigna

eco-sostenibile di Michela Lugli

SI

SCRIVE

MAGIS

MA SI LEGGE SPERIMENTAZIONE SULLA SOSTENIBILITÀ DEI PROCESSI PRODUTTIVI IN VIGNA. IL PROGETTO

COINVOLGE UN

CENTINAIO DI CANTINE,

E

88

ASSOENOLOGI, DUE UNIVERSITÀ L’ISPA-CNR DI BARI

‘Q

uid philosophia magis colendum...?’ Cosa dobbiamo coltivare più della filosofia, si domandava Cicerone nel De finibus honorum et malorum nei secoli ‘avanti Cristo’ non pensando certo di ricevere risposta dal futuro dopo Cristo! La risposta, in chiave per così dire moderna, è arrivata nel 2010 dal mondo scientifico, dai produttori e dagli enologi: una produzione vitivinicola eco-sostenibile i cui fattori di sostenibilità ambientale, sociale ed economica abbiano come denominatore comune la qualità. Proposto come progetto di sperimentazione sulla sostenibilità dei processi produttivi in vigna, Magis, è proprio questo il nome scelto dai promotori, vede coinvolte per ora cento aziende vitivinicole italiane dislocate in tutte le regioni della penisola e che hanno messo a disposizione i più importanti vitigni autoctoni e internazionali. Più volte, in verità, le riso-

luzioni dell’Oiv, l’Organizzazione internazionale della vigna e del vino, si sono occupate di tracciare le linee guida per quelle aziende orientate ad una produzione ecocompatibile; questa volta però i plus che segnano la differenza, sono la sinergia e la fusione delle competenze volte a delineare un protocollo operativo che permetta alle aziende coinvolte di attuare una viticoltura realmente sostenibile in tutti i sui aspetti. Scoprire uno ad uno gli strumenti che compongono l’orchestra del progetto in cui ognuno è perfettamente abile nel suonare il proprio spartito, permetterà di cogliere appieno le potenzialità del percorso apertosi con Magis, che grazie al ‘protocollo di sostenibilità’ metterà a disposizione delle aziende aderenti le migliori competenze del comparto. L’Università di Milano, per iniziare, il cui compito è quello di toccare le corde della parte agronomica lavorando in particolare nell’area d’intervento riguardante il miglioramen-


to della gestione della chioma, si prefigge di raggiungere il migliore equilibrio vegeto-produttivo possibile occupandosi, inoltre, della difesa del vigneto dalle principali avversità biotiche in linea con i principi dell’agricoltura integrata. All’Università di Torino tocca la parte relativa alla meccanizzazione; l’ateneo piemontese, infatti, dovrà redigere specifici protocolli per la regolazione ottimale delle diverse attrezzature impiegate in azienda per la distribuzione degli agrofarmaci impegnandosi, inoltre, ad offrire un adeguato livello di formazione agli operatori. Le analisi qualitative su uve e vini saranno affidate all’Unione italiana vini che al termine del progetto si occuperà anche della stesura del ‘protocollo di sostenibilità’; affidate all’Ispa-Cnr (Istituto di Scienze delle produzioni alimentari) di Bari le analisi di valutazione dei livelli di contaminazione di ocratossina (una micotossina ad attività principalmente nefrotossica) su uve, mosti e vini e l’individuazione di misure per la sua prevenzione in campo. Assoenologi, l’associazione enologi ed enotecnici italiani, effettuerà la valutazione sensoriale dei vini occupandosi, inoltre, di seguire la parte delle pratiche enologiche. Bayer Crop Science avrà il compito di garantire alle aziende una linea di difesa in vigna dotata dei requisiti di sostenibilità economica, sociale e ambientale unitamente all’irrinunciabile requisito di efficienza. Image Line, infine, avrà il compito di gestire e rendere disponibile in rete alle aziende coinvolte dal progetto, una piattaforma gestionale sulla quale sarà possibile trovare e gesti-

re, tramite accesso privato, i dati aziendali dal vigneto alla cantina ma anche trovare e condividere conoscenze e informazioni. La cantine impegnate in Magis, tra cui Santa Margherita, Marchesi di Barolo, Gruppo italiano vini che hanno aderito già in fase sperimentale, a fronte di tanto bagaglio scientifico e professionale si impegnano a mettere a disposizione una parte di vigneto sufficientemente consistente da consentire di ottenere una produzione ‘Magis’ parallela ma separata da quella aziendale, condividendo inoltre, l’abilità dei propri tecnici ed il pacchetto di esperienza che ciascuna di esse ha accumulato nel tempo in termini di viticoltura di precisione, gestione della chioma, analisi qualitative e sensoriali e tutto quanto possa essere utile. “Tra le cento aziende aderenti ci siamo noi” si legge sul sito aziendale della Cantina di Castelnuovo del Garda che oggi associa oltre 250 produttori della zona che si estende a sud-est del Lago di Garda e che comprende i siti di produzione dei vini Bardolino, Bianco di Custoza, Lugana e Bardolino Superiore. “Anche la nostra azienda” prosegue “partecipa a una iniziativa che per la prima volta riunisce gli sforzi di produttori di vino, enologi, comunità scientifica, associazioni e industria con l’obiettivo di migliorare e garantire la sicurezza e la sostenibilità delle produzioni italiane. Questo progetto rappresenta per noi un’opportunità unica che ci consente di anticipare e di prepararci all’evoluzione normativa in atto a livello comunitario; rispondere alle esigenze dei consumatori in tema di sicurezza alimen-

tare e rispetto ambientale; fornire dati oggettivi per la comunicazione dimostrando concretamente la sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle produzioni così da preparare l’azienda ad una certificazione del processo produttivo dalla vigna alla bottiglia”. L’enologo Lorenzo Landi afferma invece che oggi “è veramente possibile ottenere vini di grande qualità limitando al massimo gli effetti sull’ambiente”. Un aiuto può arrivare, secondo Landi, dalla ricerca scientifica e dall’utilizzo di prodotti a basso impatto ambientale come ad esempio il rame e lo zolfo utilizzati in agricoltura biologica ma prodotti di sintesi con effetto e durata limitati nel tempo. “Un altro aspetto importante è – afferma Landi – la capacità di modulare l’impiego di questi prodotti laddove ci sia veramente bisogno; oggi disponiamo di tecnologie, da quella satellitare a quelle più semplici, che ci consentono di individuare se nel vigneto vi sia effettivamente bisogno di intervenire con specifici prodotti oppure no. Tutto questo – conclude l’esperto – permette anche di ridurre i costi”. Si tratta quindi di un progetto permeato da grandi aspettative e ambizioni che per una volta si pone alti e importanti obiettivi rivolti, senza dubbio, al miglioramento della competitività aziendale sul mercato ma che per fare ciò, passa attraverso la presa di coscienza della necessità di produrre secondo principi etici e di rispetto ambientale richiesti a gran voce dal mondo dei consumatori del vino e la cui eco, ci auguriamo, si estenda e contagi l’intero settore delle produzioni alimentari e non. 89


Pillole

Elezioni dei presidenti regionali In alcune regioni si sono tenute le elezioni dei presidenti. Le novità arrivano in Campania con Nicoletta Gargiulo, in Liguria con Alex Molinari e in Friuli Venezia Giulia con Renzo Zorzi. Sono riconfermati alla presidenza delle rispettive regioni: Vito Sante Cecere (Puglia), Gennaro Convertini (Calabria), Gaudenzio D’Angelo (Abruzzo), Vito Giuseppe D’Angelo (Basilicata), Giovanna Di Pietro (Molise), Fabio Gallo (Piemonte), Christine Mayr (Alto Adige), Gian Carlo Mondini (Romagna), Giuseppina Pilloni (Sardegna) e Franco Ricci (Lazio).

VITO SANTE CECERE - PUGLIA Via Santa Maria della Croce, 32 70015 Noci (BA) Tel. 080/4970495 visace@tin.it

NICOLETTA GARGIULO - CAMPANIA Rot. Capo D’Arco Nerano 17/C 80061 Massalubrense (NA) Cell. 338/6398521 nicolettagargiulo@virgilio.it

GENNARO CONVERTINI - CALABRIA C/o segreteria Ais Calabria Via Livenza 20/22 87100 Cosenza (CS) Cell. 393/9241200 geconve@tin.it presidente@aiscalabria.it

CHRISTINE MAYR - ALTO ADIGE Via Beato Arrigo 18/A/2 39100 Bolzano (BZ) Cell. 331/1944402 chris.mayr@sommeliervereinigung.it

GAUDENZIO D’ANGELO - ABRUZZO C/o Rist. Casa D’Angelo Via San Nicola 5 66010 Fara F. Petri (CH) Tel. 0871/70296 - Fax 0871/70282 gaudenziosomm@libero.it VITO GIUSEPPE D’ANGELO - BASILICATA C/o Enoteca Il Cantinone Via Forcella 22 85028 Rionero in Vulture (PZ) Cell. 338/7661297 ilcantinonewine@yahoo.it vito.dangelo@aisbasilicata.it GIOVANNA DI PIETRO - MOLISE C/o Grand Hotel Europa Viale dei Pentri 76 86170 Isernia (IS) Tel. 0865/2126 - Fax 0865/413243 Cell. 337/671746 aismolise@email.it giovannadipietro@grandhotel-europa.it FABIO GALLO - PIEMONTE C/o Gastronomia Gallo C.so Sebastopoli 161 10137 Torino (TO) Tel. 011/393488 - Fax 011/362597 gallo.fabio@tin.it aisp@fastwebnet.it 90

ALEX MOLINARI - LIGURIA C/o Lord Nelson Pub Corso Valparaiso 27 16043 Chiavari (GE) Tel. 0185/302595 - Cell. 335/5626663 axmol@libero.it GIAN CARLO MONDINI - ROMAGNA Via Martiri della Libertà 45 48024 Massa Lombarda (RA) Tel./Fax 0545/83332 mondinigiancarlo@libero.it GIUSEPPINA PILLONI - SARDEGNA C/o Rist. Dal Corsaro Viale Reg. Margherita 2 09125 Cagliari (CA) Tel. 070/664318 -Fax 070/653439 dalcorsaro@tiscali.it FRANCO RICCI - LAZIO C/o Hotel Rome Cavalieri Via Alberto Cadlolo 101 00136 Roma (RM) Tel. 06/8550941 - Fax 06/85305556 aisroma@bibenda.it RENZO ZORZI – FRIULI VENEZIA GIULIA C/o Enoteca La Serenissima Via Cesare Battisti 30 34072 GRADISCA D'ISONZO (GO) Tel. 0481/99598 - Fax 0481/954539 enotecalaserenissima@aisfvg.it


Convocazione

ASSOCIAZIONE ITALIANA SOMMELIERS CONVOCAZIONE ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA L’Assemblea Generale Ordinaria è convocata in conformità all’Art. 6 dello Statuto Sociale, in prima convocazione alle ore 6.00 del giorno 26 ottobre 2010 e in seconda convocazione alle ore 9.00 del giorno 27 ottobre 2010 presso la sede dell’Associazione Italiana Sommeliers – Viale Monza 9, Milano per la trattazione del seguente ORDINE DEL GIORNO Relazione del Presidente Interventi degli Associati Apertura dei seggi elettorali presso le sedi delle Associazioni Regionali o luogo da loro indicato

Giunta Esecutiva Nazionale Il Presidente Terenzio Medri Le elezioni per il rinnovo delle cariche sociali si svolgeranno presso i seggi elettorali aperti dalle ore 12 alle ore 20 presso il luogo indicato dalle singole associazioni regionali. STRALCIO DAL TESTO DELLO STATUTO SOCIALE Art. 6 - Organi Gli organi dell’Associazione sono i seguenti: A) Assemblea. L’assemblea è formata dagli associati appartenenti alle categorie di cui all’art. 5. Hanno diritto di voto i sommelier (art. 5/A) in regola con il pagamento della quota sociale nei termini previsti dal regolamento. Viene convocata, almeno una volta all’anno dalla giunta esecutiva nazionale, per pubblici proclami, mediante pubblicazione dell'avviso sulla rivista organo ufficiale dell'associazione, da effettuarsi almeno 45 giorni prima della data dell'assemblea. L’assemblea nomina il Presidente e il segretario. Spetta all’assemblea: - eleggere, ogni quattro anni, il consiglio nazionale; - fornire le indicazioni per l’attuazione degli scopi sociali; - approvare la relazione del Presidente dell’A.I.S.; - modificare lo statuto, se convocata per tale scopo; - stabilire i rimborsi forfettari per gli organi statutari. L’assemblea sarà valida, in prima convocazione, con la presenza di almeno la metà dei soci mentre, in seconda convocazione, sarà valida qualunque sia il numero degli associati presenti aventi diritto al voto. Le decisioni vengono prese a maggioranza semplice, tranne quelle relative alle modifiche statutarie, per le quali è richiesta una maggioranza qualificata (art. 9). Le votazioni per il rinnovo delle cariche sociali vengono effettuate come da regolamento elettorale approvato dal Consiglio Nazionale.

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Pillole L Riccardo Sgarra, Daniel Marzotto e Diego Meraviglia, vincitori lo scorso anno

Il Premio Villa Sandi vola a Londra APERTE LE ISCRIZIONI AL PREMIO INTERNAZIONALE “INNOVAZIONE NELLA PROFESSIONE” IN PROGRAMMA ALL’HOTEL RITZ DI LONDRA Il Premio Villa Sandi “Innovazione nella professione” giunge alla 10.ma edizione e conferma il proprio carattere sempre più internazionale. Quest’anno infatti i tre vincitori saranno invitati a ricevere l’ambito riconoscimento all’Hotel Ritz di Londra il prossimo 20 settembre. I premiati delle passate edizioni hanno confermato il valore di questo titolo, un elemento importante che ha dato loro prestigio e popolarità. Le candidature e gli elaborati dovranno pervenire alla Sede Ais entro il 31 luglio 2010. I candidati dovranno avere meno di 29 anni e presentare 92

i documenti previsti dal regolamento del premio secondo le indicazioni presenti sul sito internet www.sommelier.it. La selezione sarà effettuata da una giuria qualificata composta da giornalisti enogastronomici di fama internazionale, dal presidente Ais Terenzio Medri e dal presidente di Villa Sandi Giancarlo Moretti Polegato. Anche quest’anno il concorso è volto a valorizzare quei giovani che stanno maturando la propria esperienza nel mondo della sommellerie internazionale e che si sono già distinti per professionalità e spirito di iniziativa. I tre vincitori riceveranno il premio di 1.550 euro ciascuno, un attestato e una targa di Villa Sandi, consegnati il 20 settembre durante la cena di gala nella capitale inglese.


Pillole

Il Carmignano grande protagonista nel “salotto” di Prato I produttori del Carmignano, con il nuovo e vulcanico presidente del Consorzio, Igor Fiorini, hanno fatto le cose in grande per l’undicesima edizione di “Di Vini Profumi”, vetrina dove è stata presentata l’annata 2008 di questa Docg. Oltre duemila le presenze registrate nel corso della due giorni che si è svolta nel primo week-end di giugno al Giardino Buonamici di Prato, trasformato in un salotto dove sono stati realizzati percorsi adeguati per la degustazione e soprattutto è stata installata un'illuminazione suggestiva che al calar del sole ha reso questo spazio nel cuore del centro storico di Prato davvero magico. La presentazione dell’evento si è invece svolta alla Cantina del Redi di Artimino, dove sono state protagoniste le annate 2007 e 2008 di questa piccola (in termini quantitativi) grande (in termini qualitativi) zona viniviticola della provincia di Prato. Il “cantore” storico del Carmignano Realmo Cavalieri sottolinea che ci troviamo nell’“ombelico del mondo del vino”, affermazione questa assolutamente vera. Il perché è presto detto: la prima citazione scritta del Carmignano risale al 1392 quando il notaio ser Lapo Mazzei invia una missiva al mercante di Prato Marco Datini, in cui comunica di aver acquistato per suo conto 15 some di vino di Carmignano pagato 5 volte in più rispetto ad altri vini, segno questo della sua già rinomata qualità. Sarà poi il Granduca Cosimo III de’ Medici a stabilire in un bando del 1716, le qualità del vino che si produceva all’interno della sua tenuta di caccia (il Barco Reale, la Doc nata successivamente), creando così, la prima vera e propria Doc della storia vinicola italiana. Altra data fondamentale nella storia di questo vino, è il 1600, quando Caterina de’ Medici importa dalla Francia il Cabernet (e chiamata per questo ancora oggi “uva francesca” dai produttori locali), vitigno che entra nel disciplinare di produzione e da considerarsi per questa ragione storica ormai quasi “autoctono” di questo territorio. Le annate presentate in questa edizione, sono state descritte dal dottor Rigoli, il quale ha specificato le particolarità di questo terroir e delle vendemmie in 94

questione, puntando l’attenzione sull’ottima maturazione delle uve per quanto riguarda il 2008, che ha visto un giugno piovoso, un luglio e agosto particolarmente caldo e secco e un settembre fresco, tutte condizioni quindi ideali per una vendemmia pressoché perfetta, con ottimi profumi e buona acidità, donandoci vini molto equilibrati e con un ottimo potenziale d’invecchiamento. Il 2007 va invece ricordato come uno degli anni più precoci, senza dimenticare il fatto che qui il Sangiovese possiede un germogliamento particolarmente precoce e un ciclo vegetativo lungo (più che nel Chianti Classico o a Montalcino), condizioni queste ottime per l’uva. Questa annata può essere paragonata in termini climatici a quella del 2003, anche se a differenza di essa,

i risultati ottenuti sono stati sinceramente migliori, con buoni equilibri e potenzialità. Tutte queste caratteristiche si sono riscontrate nel bicchiere al momento della degustazione delle riserve 2007 e dell’annata 2008, degustazione di grande livello qualitativo. Le riserve 2007, si possono definire generalmente ancora in piena evoluzione, con vini caldi ma eleganti, a conferma del fatto di come il Carmignano, raggiunga livelli qualitativi sempre migliori e in costante crescita, e che merita per questo, una grande attenzione da parte di tutto il mondo del vino e soprattutto dei consumatori, grazie anche al suo ottimo rapporto qualitàprezzo. (Pamela Bicchi)


Napoli celebra i vini dei vulcani Maggio mese “di-vino” a Napoli e in Campania. Numerosi gli eventi promossi e patrocinati dalla Regione a cui ha partecipato l’Associazione italiana sommeliers della Campania. Tra questi la manifestazione “I Vini dei Vulcani” si è svolta a Palazzo Reale di Napoli, presso la sede della Biblioteca Nazionale nella Sala dei libri “Rari”, affacciata sulla terrazza prospiciente il porto e il Golfo. Una giornata intensa di scambi culturali sul patrimonio vitivinicolo della regione, per accendere i riflettori sui vini delle aree a carattere vulcanico dalla peculiarità del terreno arricchito dalla secolare mineralità di lave e lapilli e dalla singolare varietà di uve: non solo il Vesuvio, noto al mondo enologico per il Lacryma Christi, ma anche Ischia, Capri e Campi Flegrei, volano per il turismo e la storia archeologica. Nell’ambito della manifestazione si è svolto il convegno “Vino e Memoria” organizzato dal Consorzio di tutela vini dei Campi Flegrei presieduto da Michele Farro, a cui hanno dato il proprio contributo esperti di settore quali Fabio Terribile, ordinario di Pedologia presso l'Università Federico II di Napoli, e Antonella Monaco, tecnico della Facoltà di Agraria di Portici, con cartografie sui vitigni e sulle aree vinicole della provincia. Si è parlato dell’importanza di una sinergia a livello istituzionale tra le associazioni dei produttori con Rosario Lopa del ministero dell’Agricoltura intervenuto in rappresentanza del presidente della Regione Campania Stefano Caldoro, Lucio Tisi segretario generale della Camera di Commercio di Napoli, Nello Palumbo, assessore alle Attività Produttive della Provincia di Napoli e Andrea d'Ambra, presidente del Campania Wine Group; ma soprattutto il vino regala emozione alla cultura e alla storia come sottolinea Mauro Giancaspro, direttore della Biblioteca nazionale, indicando uno dei primi trattati di agricoltura nel manoscritto del Rusticano di Pietro De Crescenzi. Nel pomeriggio, un ampio banco di assaggio con il percorso sensoriale dei vini delle Strade del Vino dei Campi Flegrei, del Consorzio di Tutela Vini del Vesuvio e delle isole di Ischia e di Capri, curato dalla professionalità dei sommelier campani. Con il vulcano che, sornione, sorvegliava il tutto dall’alto. (Michela Guadagno)

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Libri

SULLO SCAFFALE

di Natalia Franchi

PANE E BUGIE

LA VERITÀ SU CIÒ CHE MANGIAMO. I PREGIUDIZI, GLI INTERESSI, I MITI, LE PAURE Autore: Editore: Prezzo:

Dario Bressanini Chiarelettere 13,60 euro

VINO E PAESAGGIO

MATERIALI PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO A cura di: Pier Carlo Tesi, Lorenzo Vallerini, Luigi Zangheri Editore: CI.VIN Prezzo: 15,00 euro

Questo libro è un vaccino contro i pericoli della cattiva informazione. Con queste parole l’autore Dario Bressanini apre la sua acuta analisi dei numerosi luoghi comuni di cui è vittima il consumatore nei confronti del cibo. Una sorta di colossale fraintendimento che origina da una malintesa cultura del “naturale a tutti i costi” oltre che da una serie di interessi economici intorno ai quali, purtroppo, ruota buona parte del nostro vivere quotidiano. Bressanini non cerca colpevoli, ma denuncia una grave approssimazione nel sistema informativo, dove la stampa spesso si limita a passare nozioni erronee, senza reale fondamento scientifico. Lo stesso approccio scientifico che troviamo nelle pagine del volume e che deriva dalla formazione dell’autore – chimico e ricercatore universitario all’Università degli Studi dell’Insubria a Como e collaboratore della rivista “Le Scienze” – mediato e reso gradevolissimo da un piglio da cronista che rende il testo un inaspettato viaggio nel mondo della tavola. Siamo attorniati da tantissimo cibo, mai come adesso, ma non sappiamo quale sia l’esatta provenienza e la qualità con la quale viene prodotto. Lo spauracchio degli Ogm (organismi geneticamente modificati) domina l’immaginario collettivo, mentre tutti sembrano ignorare il fatto che da almeno trent’anni nelle nostre tavole trovano spazio cibi selezionati attraverso l’uso di radiazioni (nucleari!): pompelmi, orzo, riso, melanzane e piselli, solo per citarne alcuni. Non ha dunque senso essere pro o contro gli Ogm e i raggi gamma, ciò che importa è essere a favore della ricerca scientifica, l’unica in grado di proporre risultati controllati e controllabili dall’opinione pubblica, rifuggendo la filosofia della “natura benigna” fondata sull’idea che si possa distinguere chiaramente tra ciò che naturale (buono) da ciò che è artificiale (cattivo). La realtà – ai più sconosciuta – è che tra una molecola prodotta in laboratorio e una prodotta dalla natura non vi è alcuna differenza. Le due molecole sono assolutamente identiche: le proprietà caratteristiche, infatti, non dipendono da come queste vengono prodotte, ma semplicemente dalla struttura geometrica e dai legami tra gli atomi che costituiscono la molecola stessa, oltre che dagli atomi che la costituiscono. Le trecento pagine del volume si sarebbero potute raddoppiare, a detta dello stesso autore, “parlando delle patate al selenio, dell’aspartame o dei probiotici dello yogurt. Ma non è necessario. Ora avete qualche mezzo in più per giudicare l’informazione che vi bombarda ogni giorno, dai giornali, agli scaffali dei supermercati”.

All’indomani della crisi provocata dallo scandalo del metanolo nel 1986, nasce l’Associazione Nazionale Città del Vino, cui dobbiamo il lavoro di analisi e proposta noto come “Piano Regolatore delle Città del Vino”, che ha visto la luce nel 1996 e che trova nelle nuove indicazioni metodologiche raccolte nella presente pubblicazione la sua rinnovata forza. L’Associazione Nazionale Città del Vino si inserisce in un contesto di grande attenzione per la tutela del territorio e la sua valorizzazione. L’Associazione raggruppa un insieme di enti locali convinti che il vino e le campagne che ospitano la sua produzione costituiscano un circuito virtuoso di cui molti Comuni hanno avuto bisogno per tornare a vivere e per diventare una comunità migliore radicata su un migliore territorio. L’assunto del volume ruota intorno al territorio e alla necessità di gestirlo con attenzione in quanto esauribile e fondamentale per la stessa sopravvivenza umana. Il paesaggio non va considerato solo nella sua apparente immobilità, ma ne vanno assecondate le dinamiche di cambiamento che l’uomo, inevitabilmente, apporta. Cambiamenti che devono però rispondere a una logica ben precisa: quella della salvaguardia dell’identità territoriale come elemento di competitività. Per questo, il paesaggio rurale non può più essere “affidato” alle dinamiche economiche spontanee, ma può e deve essere oggetto di una pianificazione urbanistica, allo stesso modo delle aree d’insediamento urbano. Da qui origina la raccolta di esperienze e di regole che hanno portato a un vero e proprio “piano regolatore rurale”, inserito nel volume. Obiettivo dell’opera è quello di far crescere una “cultura” del paesaggio, indirizzando Comuni e amministrazioni pubbliche verso una programmazione consapevole di moderna conservazione del paesaggio. A supporto, una ricca raccolta di suggerimenti, anche metodologici e riferimenti operativi per le buone pratiche a tutela del paesaggio, e su insediamenti residenziali e produttivi.

Gli atomi non hanno memoria.

Il paesaggio come risorsa.

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IL VINO DEGLI ALTRI

VIAGGIO ALLA SCOPERTA DEI MIGLIORI VINI DEL MONDO (E DEI LORO RIVALI ITALIANI) Autori: Editore: Prezzo:

Andrea Scanzi Mondadori 18,50 euro

Originale firma de La Stampa, Andrea Scanzi addossa la colpa di questo volume ai lettori che hanno apprezzato il suo bestseller Elogio dell’invecchiamento (2007), di cui il vino degli altri è ideale seguito. O meglio, prosecuzione di un viaggio – come scrive lo stesso autore – “perché i viaggi non finiscono mai”. Un viaggio che conduce idealmente il lettore dalla Franciacorta alle falde dell’Etna, dalla Toscana a Bordeaux, dalla Mosella all’Abruzzo, dalla Rioja spagnola all’Argentina, in una spettacolare varietà di paesaggi, profumi, colori, gusti, culture, tradizioni, alla scoperta di vini che hanno storie importanti da raccontare e di viticoltori coraggiosi. Lo scopo non è quello di stabilire graduatorie («il “vino migliore” non esiste» ammonisce l’autore), ma di conoscere meglio i vini degli altri attraverso il confronto con i nostri. Il volume si apre con una dedica a uno tra i più amati attori e registi americani: “A Clint Eastwood, con e senza cappello. Ai suoi sigari, ai canyon sul volto. Allo sguardo che fa in Gran Torino, quando muore per noi, ultimo filare di un tempo che abbiamo voluto smarrire”. Una dedica che incarna l’essenza del libro, che del viaggio racchiude tutto il senso di scoperta del nuovo e di nostalgia per il vecchio. Un’ironia e un umorismo senza pari permeano le pagine dell’intero scritto e permettono a Scanzi di approcciare un tema che, per sua natura, sarebbe destinato a una ristretta cerchia di “enoesperti”, e che invece diviene libro per tutti. Il lettore si sorprenderà nel ritrovare tra le righe situazioni esilaranti in cui riconoscersi, perché ognuno ha il suo modo di avvicinarsi al vino, sia che nel degustarlo si avverta una “distinta matrice boschiva di Pinot Nero” o un più semplice sapore di frutta. Perché nel mondo del vino nessuno ha ragione, e ognuno sceglie in base alla propria sensibilità. L’impronta personale dell’intero libro si ritrova in due divertenti capitoli (in apertura e in chiusura dell’opera), esemplari dell’impianto narrativo: Le dieci cose che pensavo sul vino prima di questo libro e Le dieci cose che penso sul vino dopo questo libro. Ecco quanto Scanzi pensava: 1) I vini francesi sono troppo cari. 2) I vini migliori del mondo sono quelli italiani. 3) I vini americani sanno di vaniglia. 4) I vini del Sudamerica costano poco. Giustamente. 5) Sono trent’anni che bevo, ci fosse stata una volta che ho beccato un vino con sentori di chiodi di garofano. 6) I vini più buoni sono sempre rossi. 7) I vini dolci piacciono a tutti, hanno qualcosa in più. 8) Lo Champagne è sopravvalutato. 9) Quando non so come scegliere un vino, mi affido ai voti in centesimi delle riviste di settore. Meglio se statunitensi. 10) Gli astemi mi fanno paura. In merito a quanto Scanzi pensa, l’invito è a gustarvene la lettura. Ne vale la pena. Credo che il vino sia uno dei pochi vaccini al nichilismo.

ENOLANDIA

VINO EROS POESIA A cura di: Francesco Leuzzi Editore: Francesco Leuzzi Prezzo: 22,00 euro Il vino è un soggetto poetico privilegiato, al pari dei fiori e del corpo femminile: un microcosmo perfetto, un segno, una forma della perfezione mirabile della natura e dell’arte umana. La poesia è la più degna interprete della sua essenza; poesia che diventa sublime se associata all’eros, alla bevanda di Bacco indissolubilmente legato. Il volume di Francesco Leuzzi – appassionato cultore di eno-poesia – è assai più di un atto di amore nei confronti del vino: è la prova tangibile di un completo abbandono al suo fascino, al quale nulla può opporsi, come nell’innamoramento più sincero. A ulteriore prova di ciò, l’autonoma pubblicazione del libro, quasi a voler sottrarre tale tributo alle fredde logiche commerciali dell’editoria tradizionale. E di poesie si compone l’intera opera, oltre a precisi richiami storici: una curata raccolta di odi al vino afrodisiaco fonte di erotismo e sensualità. Al vino del Simposio e della comunicazione umana. Al vino “demone trascinante che conduce gli uomini verso l’abbandono dionisiaco”. Una rassegna da cui lasciarsi condurre, da Omero a Ovidio, da Dante Alighieri e Gabriele d’Annunzio, fino a Neruda e al vino dell’oroscopo (chi scrive è della Bilancia, dunque amante dello Champagne e del Dolcetto d’Alba). Difficile scegliere il poema che meglio esprima la cifra del volume. Volendo prediligere il tema dell’amore come forza salvifica che il vino sublima, la scelta non può che cadere su Jacques Prévert … Vuote erano le coppe e in pezzi la bottiglia e il letto sgualcito e la porta serrata e tutte le stelle di cristallo della bellezza e della gioia splendevano nella polvere della camera non spazzata ed io ero in una fiamma di gioia ubriaco morto e tu ubriaca viva nuda nelle mie braccia. Il vino è poesia. 97


Io non ci sto

Servono nuove cantine sociali non maxi strutture di Franco Ziliani i è recentemente capitato di raccontare in un articolo scritto per una testata che si rivolge al grande pubblico, quindi a persone non necessariamente addette ai lavori e non esperte del mondo del vino, quale significato e quale ruolo speciale abbiano avuto le cantine cooperative in Italia da un secolo a questa parte. Ho ricostruito perché siano nate alla fine dell’Ottocento e come si siano sviluppate nel secondo Dopoguerra, con l’intento di evitare la fuga dalle campagne, dare uno sbocco e una possibilità di reddito al lavoro dei piccoli viticoltori, sottraendoli alla speculazione di commercianti e imbottigliatori e combattere la piaga della disoccupazione. E ho sottolineato come abbiano svolto per lungo tempo una vera e propria funzione sociale, sottolineata anche dal nome con cui sono spesso chiamate: Cantine sociali, ovvero cantine dove non esiste un singolo proprietario, ma dove un certo numero di viticoltori decidono di collaborare e di cooperare per produrre insieme, con le uve provenienti dai rispettivi vigneti, vino. Ho parlato della loro logica da “stato assistenziale”, secondo la quale non era tanto importante come si producesse, quale fosse la qualità dei vini, quali gli sbocchi di mercato, ma soprattutto rappresentare una zona franca dove conferire uve che altrove diversamente avrebbero trovato collocazione visto che ben difficilmente quei viticoltori da soli avrebbero potuto essere dei trasformatori di uve a 360 gradi e diventare dei produttori in proprio. Ovvio, ho ricordato, che così facendo, sottraendosi in tal modo alle più elementari logiche di mercato, queste cantine finissero per accumulare pesanti passivi, che il potere politico (che molto spesso le ha favorite e “benedette” perché diventavano serbatoi di voti) si occupava di ripianare con generose elargizioni di finanziamenti pubblici. Questo era il passato, ancora presente in molte situazioni soprattutto al Sud dove una filosofia quantitativa ben più che qualitativa è spesso ancora dominante. Ma oggi le cose, ricordata la fortissima valenza sociale che le cantine cooperative hanno avuto nella loro fase iniziale, la situazione è profondamente cambiata. Come ho scritto, un’iniezione di “privato”, un progressivo abituarsi a considerare le cantine sociali come delle aziende private, dove devono tornare i conti e dove l’obiettivo è produrre vini che riescano a stare sul mercato, che abbiano buone probabilità di imporsi e di farsi apprezzare dai consumatori italiani e internazionali, o anche solo da quelli locali, per le cantine che preferiscono rivolgersi ancora a un bacino zonale o regionale più ristretto, ha fatto miracoli. Una sana vena d’imprenditorialità, il diffondersi della convinzione che la qualità, quella vera, quella riconosciuta e percepita dai consumatori più consapevoli, non potesse più rappresentare un optional, ma l’obiettivo dell’agire, ha portato a modificare profondamente le cose sia in vigna che in cantina. È sotto gli occhi di tutti, basta citare aziende esem-

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plari come la Cantina produttori del Barbaresco, quelle di Terlano o di Colterenzio o San Michele Appiano in Alto Adige, oppure quella di Colonnara nella zona del Verdicchio dei Castelli di Jesi, la Cantina di Santadi in Sardegna, quella della Valpolicella di Negrar, la Cooperativa agricola Cinque Terre, la Crotta di Vegneron in Valle d’Aosta, il fatto che diverse cantine cooperative italiane oggi non solo siano protagoniste sul mercato nazionale e su quelli esteri, ma che non abbiano nulla da invidiare alle aziende private. Ma c’è di più, perché alcuni vini prodotti da cantine cooperative sono addirittura diventati punti di riferimento nelle rispettive denominazioni, un risultato che anche solo 30-40 anni fa sarebbe apparso utopistico. Ed è palese che pur con tutto il rispetto possibile per grandi cantine cooperative del Trentino e dell’Emilia Romagna, che hanno raggiunto volumi importanti e una capacità di aggredire i diversi mercati grazie a una politica di fusioni tra loro, i risultati qualitativi migliori, qualitativamente parlando e a livello d’immagine, si hanno con le cantine che evitando il gigantismo, ovvero il raggiungere dimensioni troppo grandi si sono mantenute su dimensioni medie. Arrivando, con un cambiamento radicale, di pelle e di pensiero, a operare in vigna e in cantina e nella commercializzazione con l’identica mentalità di cantine private di medie dimensioni. Alla luce di questa evidenza, mi è suonato davvero strano leggere un recente intervento dell’assessore alle Risorse agricole e alimentari della Regione Sicilia, Bufardeci, che presentando un piano di riorganizzazione del sistema cooperativistico viticolo regionale ha dichiarato: “É necessario stimolare un processo di aggregazione tra le cantine sociali per creare nuovi soggetti imprenditoriali in grado di competere con maggiore incisività sul mercato nazionale e internazionale. Esiste un problema di dimensioni delle aziende agricole, particolarmente sentito nel settore vitivinicolo, che non consente ai nostri produttori di fare massa critica. La polverizzazione non paga e per rilanciare il settore va sostenuta una logica di accorpamento”. In altre parole per “promuovere l’aggregazione delle cooperative cantine sociali vitivinicole esistenti”, si vorrebbero “creare strutture di maggiori dimensioni in termini di capacità di ammasso di uve e di ettari di vigneto”. Capisco bene che è necessario razionalizzare, che troppe cantine sociali siciliane non hanno capito la nuova logica di stare veramente e non a parole sul mercato, ma siamo sicuri che dando vita a mega cantine che “ammassino” (si noti il verbo, espressione di una logica antica e superata) uve ed ettari di vigna, invece di risolvere dei problemi non se ne creerebbero di altri e di peggiori? In Sicilia, come nel resto d’Italia, c’è bisogno di cantine sociali nuove sul piano della mentalità, non di maxi strutture. È per questo che di fronte alla proposta dell’assessore Bufardeci mi tocca ancora una volta dire rispettosamente che no, io non ci sto…


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